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I TEMI MAP (libera consultazione)
Il lavoro italiano all’estero: fiscalità
domestica e regime internazionale
di Marco Russomando*
L’articolo affronta – in un ottica ricostruttiva – le diverse tematiche fiscali che ruotano intorno alla
cd. Mobilità internazionale del personale italiano.
La disamina dei profili interni e di quelli internazionali e delle loro interconnessioni, lato dipendente e lato azienda, fornisce una panoramica complessiva degli aspetti più significativi e delle
problematiche ancora non risolte.
1. Premessa
La cd. “mobilità internazionale” rappresenta una esigenza irrinunciabile non solo per le grandi multinazionali
ma, oramai, anche per le PMI che, per ragioni produttive
e/o commerciali, hanno la necessità di utilizzare al meglio
il proprio capitale umano in Italia e, sempre più, anche all’estero.
Il lavoro all’estero implica tuttavia una complessa attività di pianificazione e di gestione a motivo della specialità
e pluralità di norme (interne, estere ed internazionali) che,
intersecandosi e, a volte, sovrapponendosi, disciplinano
tematiche differenti.
Questo intervento sarà focalizzato su concetti e principi generali in ambito fiscale senza tuttavia sottacere l’esigenza per le aziende di valutare l’evento dell’espatrio nel
suo complesso e, dunque, anche in riferimento agli aspetti
contrattuali, previdenziali e di immigrazione1.
Ai fini dell’I.R.E., l’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto, formato:
Z per i residenti, da tutti i redditi posseduti (in Italia e
all’estero, secondo il principio della tassazione del
reddito mondiale);
Z per i non residenti, soltanto dai redditi prodotti nel
territorio dello Stato, secondo il principio della territorialità.
In base all’art. 2, TUIR, si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta – senza necessità di continuatività – siano in possesso di almeno uno dei seguenti requisiti:
Z iscrizione alle liste anagrafiche della popolazione
residente;
Z domicilio nel territorio dello Stato2;
Z residenza nel territorio dello Stato3.
2. La residenza fiscale secondo
il diritto interno
Le imposte sui redditi si applicano sia ai residenti che
ai non residenti, ma la base imponibile per le due categorie
di contribuenti è naturalmente diversa.
14
Così, ad esempio, se il lavoratore stabilisca la dimora
abituale all’estero senza essersi però iscritto all’anagrafe
degli italiani residenti all’estero (AIRE), continuerà ad essere considerato residente in Italia.
Nel caso di trasferimento di residenza in uno dei Paesi a regime fiscale privilegiato4 gli interessati devono co-
*
H.R. Management & Planning Area UniCredit.
1
Ovviamente ulteriori aspetti – rispetto a quelli delineati in questo scritto – dovranno essere considerati nel caso di distacco di personale
straniero in Italia.
Ci si riferisce in particolare agli obblighi previsti in materia di immigrazione nonché, da un punto di vista fiscale, agli adempimenti a carico
dei sostituti d’imposta.
2
Il domicilio è il luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi (art. 43, c.c.).
3
La residenza è il luogo in cui la persona dimora abitualmente (art. 43, c.c.).
4
Si veda il D.M. 23/01/2002 che prevede sia un gruppo di Paesi considerati tout court a fiscalità privilegiata:
- Alderney (Isole del Canale), Andorra, Anguilla, Antille Olandesi, Aruba, Bahamas, Barbados, Barbuda, Belize, Bermuda, Brunei, Cipro, Filippine, Gibilterra, Gibuti (ex Afar e Issas), Grenada, Guatemala, Guernsey (Isole del Canale), Herm (Isole del Canale), Hong Kong, Isola di
Man, Isole Cayman, Isole Cook, Isole Marshall, Isole Turks e Caicos, Isole Vergini britanniche, Isole Vergini statunitensi, Jersey (Isole del
Canale), Kiribati (ex Isole Gilbert), Libano, Liberia, Liechtenstein, Macao, Maldive, Malesia, Montserrat, Nauru, Niue, Nuova Caledonia,
Oman, Polinesia francese, Saint Kitts e Nevis, Salomone, Samoa, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Sant'Elena, Sark (Isole del Canale), Seychelles, Tonga, Tuvalu (ex Isole Ellice), Vanuatu.
- sia altri Paesi che per alcune attività riconoscono un regime fiscale “privilegiato”dalle autorità italiane.
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munque fornire la prova dell’effettiva residenza in tale
Stato5.
3. La residenza fiscale secondo
i trattati internazionali
Può peraltro determinarsi un conflitto di competenza
tra le regole fiscali del Paese di origine e quelle del Paese
di lavoro cui, in parte, pongono rimedio, i trattati internazionali contro le doppie imposizioni fiscali (di seguito “Trattati”).
I Trattati sono ispirati al cd. Modello elaborato dall’OCSE,
il cui art. 4 individua le regole (cd. “tie breaker rules”) che
devono essere applicate in ordine successivo fino a quando non sia determinata l’effettiva residenza dell’interessato.
Il primo criterio di collegamento è il possesso di un’abitazione permanente.
Sicché se il lavoratore dispone di un’abitazione permanente in uno solo dei due Stati contraenti, si presume che
questo sia il Paese di residenza.
Qualora invece il lavoratore abbia un’abitazione permanente in entrambi gli Stati si considera residente nel
Paese nel quale le relazioni personali ed economiche sono
più strette.
Per relazioni personali si intendono quelle familiari e
sociali, l’occupazione, le attività politiche, culturali e d’altro genere, mentre tra le relazioni economiche rientrano la
sede degli affari e il luogo dal quale si amministra la proprietà.
Qualora non sia possibile stabilire in quale Paese vi sia
il centro prevalente di affari ed interessi dell’interessato,
soccorre il criterio del soggiorno abituale e, in caso, di ulteriore conflitto, quello della cittadinanza.
Infine, nel caso di doppia cittadinanza, la decisione è
rimessa ad una procedura amichevole tra le due autorità
fiscali.
4. La determinazione
del reddito imponibile
Come evidenziato, il mantenimento della residenza fiscale in Italia implica:
Z l’imponibilità in Italia di tutti i redditi ovunque prodotti;
Z e – in linea di principio e salvo le deroghe di cui si
dirà infra – analoga imposizione anche nel Paese
estero in cui l’attività è stata svolta.
Ciò a prescindere da chi – entità italiana od estera –
abbia materialmente erogato il compenso.
A partire dall’anno 2001, la L. 242/2000 ha abrogato
la lett. c) del comma 3 dell’art. 3, TUIR, nella parte in cui
escludeva dalla base imponibile i redditi derivanti da lavoro dipendente prestato all’estero in via continuativa e
come oggetto esclusivo del rapporto.
Dal 1° gennaio 2001, pertanto, anche i redditi corrisposti a fronte dell’attività lavorativa svolta all’estero con carattere di continuità da parte di dipendenti che nell’arco
dei dodici mesi soggiornano all’estero per un periodo superiore a 183 giorni, ma che ai sensi dell’art. 2, TUIR, continuano ad essere qualificati come residenti fiscalmente in
Italia, concorreranno alla formazione del reddito complessivo del lavoratore dipendente in Italia.
In questo caso, l’art. 51, co. 8-bis, TUIR, dispone che la
base imponibile fiscale sia determinata sulla base di retribuzioni convenzionali definite annualmente con Decreto
del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali6.
A tal proposito, al fine di determinare la fascia di retribuzione convenzionale all’interno della quale collocare il
reddito della persona fisica7 sono da escludersi tutte quelle indennità in qualche modo riferibili all’attività all’estero,
dovendo prendersi a riferimento la sola retribuzione base
percepita dal dipendente.
Le condizioni per beneficiare di detto trattamento sono
la continuità e l’esclusività del lavoro all’estero.
La “continuità della prestazione” di lavoro è soddisfatta
qualora al dipendente sia demandato uno specifico incarico, non occasionale, presso una sede di lavoro all’estero,
con carattere di stabilità.
La seconda condizione di “esclusività” impone invece
che l’attività lavorativa sia svolta soltanto all’estero.
Ai fini del conteggio dei giorni di effettiva permanenza
all’estero, la C.M. 207/2000 ha peraltro chiarito come non
sia richiesta una assoluta continuità, essendo sufficiente
che il lavoratore presti la propria attività all’estero per un
minimo di 183 giorni nell’arco dei dodici mesi computando
anche i periodi di ferie, le festività, i riposi settimanali e gli
altri giorni non lavorativi indipendentemente dal luogo in
cui sono trascorsi.
L’autorità fiscale ritiene altresì necessaria la formalizzazione di un apposito contratto di distacco e la collocazione del dipendente in uno speciale ruolo estero8.
5
Così, ad esempio, la sussistenza della dimora abituale nel Paese fiscalmente privilegiato (sia personale che dell’eventuale nucleo familiare);
l’iscrizione ed effettiva frequenza dei figli presso istituti scolastici o di formazione del Paese estero; lo svolgimento di un rapporto lavorativo
a carattere continuativo stipulato nello stesso paese estero ovvero l’esercizio di una qualsiasi attività economica con carattere di stabilità.
6
Per il 2007, cfr. Decreto 19/01/2007 (G.U. 30/01/2007).
7
A seguito dell’invito della Commissione Finanze della Camera dei deputati (Risoluzione 13/02/2001, n. 8-00075), esponenti del Ministero delle
Finanze hanno confermato che “in via interpretativa l’ammontare dei contributi dovuti dal lavoratore possa essere considerato dal sostituto
in diminuzione dalle retribuzioni convenzionali all’atto dell’effettuazione delle ritenute periodiche”.
8
Circolare 18/10/1977, n. 95/8/1053. Operativamente, si rileva come, in caso di assunzioni, risoluzioni del rapporto di lavoro, trasferimenti da o
per l’estero, nel corso del mese, i valori convenzionali devono essere divisi in ragione di ventisei giornate.
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Diversamente, qualora anche una sola delle anzidette
condizioni non sia soddisfatta, la retribuzione imponibile
sarà quella “effettiva” determinata in base ai primi 8 commi dell’art. 51, TUIR, e, dunque, con la possibilità di beneficiare delle agevolazioni previste dai commi 5, 7-8 del predetto articolo.
È in particolare previsto che le indennità percepite per
le trasferte all’estero concorrano a formare l’imponibile fiscale solo per la parte eccedente € 77,47 al giorno, al netto delle spese di viaggio e di trasporto.
Peraltro:
(per l’Italia vale il metodo del calcolo dei giorni di
presenza fisica);
Z i compensi siano corrisposti da un datore di lavoro
che non risiede nel Paese dove è svolta l’attività;
Z i compensi non siano sostenuti da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro abbia nel Paese dove è svolta l’attività.
Dette condizioni sono tra loro concorrenti, per cui la
sola mancanza di una di esse determina l’impossibilità di
applicare tale esenzione.
Z nel caso di rimborso delle spese di alloggio, ovvero
di quelle di vitto, oppure di alloggio o vitto fornito
gratuitamente, il limite è ridotto a seconda dei casi
di un terzo/due terzi;
Z nel caso di rimborso analitico delle spese, non concorrono a formare il reddito i rimborsi di spese documentate relative al vitto, all’alloggio, al viaggio e
al trasporto, nonché i rimborsi di altre spese, anche
non documentate, sostenute dal dipendente fino all’importo massimo giornaliero di € 25,82.
In alternativa, l’art. 51, co. 8, TUIR, stabilisce che eventuali indennità/premi connessi all’attività all’estero concorrano a formare il reddito imponibile del lavoratore solo
nella misura del 50% del loro importo.
L’art. 51, co. 7, infine stabilisce che le indennità di trasferimento all’estero, entro il limite di € 4.648,11, sono imponibili limitatamente al 50% del relativo importo.
5. Doppia imposizione fiscale
- la cd. Treaty exemption
La maggior parte dei trattati contro le doppie imposizioni fiscali prevede la tassazione dei redditi di lavoro dipendente nel luogo in cui viene svolta l’attività di lavoro,
lasciando – come rammentato – in ogni caso al Paese della residenza la possibilità di esercitare anche la sua (concorrente) potestà impositiva.
Sicché, l’individuazione del Paese di residenza – mediante le regole interne ed i criteri di conflitti previsti dal
Trattato, nella specie, applicabile – non esclude che il reddito “estero” possa venir tassato in entrambi i Paesi.
Per escludere o, quantomeno, mitigare questo rischio,
due sono i rimedi in genere previsti a livello internazionale.
Il più semplice – per così dire, “a monte” – riguarda
l’esclusione da imposizione nel Paese estero qualora:
Z il percettore del reddito soggiorni nel Paese dove
l’attività viene svolta per meno di 183 giorni all’anno
16
6. Il sistema del credito d’imposta
Il secondo rimedio consente di risolvere la predetta
criticità “a valle”, riconoscendo un credito d’imposta nel
Paese di residenza calcolato in base alle imposte sostenute nel Paese di lavoro.
Il credito d’imposta consiste nella detrazione dall’imposta netta dovuta in Italia, delle tasse pagate all’estero, sui
redditi ivi prodotti e imputati a quello complessivo, per l’intero ammontare, se non superiore alla quota dell’imposta
italiana proporzionalmente attribuibile al reddito prodotto
all’estero.
Qualora l’imposta estera superi la predetta quota d’imposta nazionale, la detrazione è ammessa entro i limiti di
tale quota, secondo la formula seguente:
Credito d’imposta =
reddito estero x imposta italiana
reddito complessivo
Per poter beneficiare del credito, il pagamento delle
imposte estere deve essere “definitivo”9.
È necessario, pertanto, predisporre la documentazione
da cui risulti l’ammontare del reddito prodotto all’estero e
delle relative imposte pagate in via definitiva, al fine di poterla esibire, a richiesta degli uffici finanziari.
Il credito, inoltre, deve essere richiesto in sede di dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui le imposte
estere sono state pagate a titolo definitivo, ovvero deve
essere recuperato in sede di conguaglio fiscale da parte del datore di lavoro, ai sensi dell’art. 23, co. 3, D.P.R.
600/197310.
Sicché, il datore di lavoro può riconoscere il credito per
le imposte pagate all’estero già, direttamente, in sede di
conguaglio.
Con il D.Lgs. 344/2003, peraltro, sono state introdotte alcune novità di rilievo.
In primo luogo, l’art. 165, TUIR, dispone che i redditi si
considerano prodotti all’estero sulla base di “criteri reciproci” a quelli previsti dal nuovo art. 23 rubricato “Applicazione dell’imposta ai non residenti”.
9
L’imposta non si considera definitiva allorquando sia stata pagata a titolo di acconto, in via provvisoria, oppure, in generale, quando ne è
previsto il conguaglio con possibilità di rimborso totale o parziale.
10
Al riguardo, l’Amministrazione finanziaria ha ammesso la possibilità di recuperare le imposte pagate all’estero che siano diventate definitive
entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi italiana (Risoluzione Agenzia delle Entrate 14/08/2002, n. 283/E).
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In secondo luogo, con una previsione – oggetto di interpretazione autentica ed in deroga allo Statuto del Contribuente solo con la L. 248/2006 – è stato previsto che il
credito d’imposta debba in ogni caso essere riproporzionato qualora il reddito sia stato solo parzialmente assoggettato a tassazione in Italia (come nel caso di ricorso alle
precitate retribuzioni convenzionali).
Riprendendo un esempio utilizzato in ambito ministeriale, è possibile delineare le implicazioni pratiche che conseguono a questa modifica.
€ 10.000
€ 1.000
€ 2.000
€ 200
[1.000 x (2.000/10.000)]
compensi per co.co.co.
€ 8.000
reddito complessivo (punto 1 Cud)
€ 10.000
(2.000 + 8.000)
reddito percepito all’estero
imposta estera definitiva
reddito convenzionale
imposta estera definitiva %
si ipotizza che il contribuente abbia richiesto la non applicazione della no tax area (in tal caso, va barrato il punto
36 del Cud);
imposta lorda
imposta netta
€ 2.300
€ 2.300
credito per le imposte pagate all’estero:
(reddito estero imponibile/reddito complessivo) x imposta lorda
(2.000/10.000) x 2.300 = 460
Il credito pertanto spetterà nei limiti dell’imposta netta
nonché dell’imposta estera definitiva ridotta – come si è
visto – in misura corrispondente.
Ne consegue che se in passato il credito sarebbe stato
pari a 460 ora, invece, è pari a € 20011.
Peraltro, l’Agenzia delle Entrate non ha ancora chiarito
a quale reddito debba farsi riferimento (retribuzione effettiva o imponibile estero) per procedere a detto “riproporzionamento” sebbene dalla Circolare 28/2006 sia possibile
ricavare un’indicazione per l’utilizzo dei primi 8 commi dell’art. 51.
7. Implicazioni fiscali societarie
- Cenni - IRES12
L’art. 110, co. 7, TUIR, prevede come noto che “I componenti del reddito derivanti da operazioni con società non
residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o
sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti,
dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, determinato
a norma del comma 2, se ne deriva aumento del reddito; la
stessa disposizione si applica anche se ne deriva una diminuzione del reddito, ma soltanto in esecuzione degli accordi conclusi con le autorità competenti degli Stati esteri
a seguito delle speciali “procedure amichevoli” previste
dalle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni sui redditi”.
Detta disposizione deve essere calata nel contesto che
ci interessa – distacco di personale all’estero – ove il relativo onere economico viene, nella generalità dei casi, addebitato in capo alla società distaccataria beneficiaria dell’attività del dipendente.
Ne consegue che detto importo potrà essere considerato onere deducibile in capo alla società distaccataria
quale componente (ordinaria) del reddito d’impresa relativa alla prestazione di un servizio ricevuto e, specularmente, rilevante a fini IRES per la società distaccante italiana.
Qualora, poi, si trattasse – come spesso avviene – di
operazioni infragruppo andranno applicate con particolare
rigore le regole in materia di transfer pricing nel rispetto,
dunque, del criterio del “valore normale” ovvero il prezzo
o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi
della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel
tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti
o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi.
Nella ormai datata Circolare 32/9/2267 del 1980, il Ministero ha peraltro ammesso anche criteri di valutazione
alternativi, con l’avvertenza, che, quanto più approssimato
ed arbitrario sarà il criterio di quantificazione e/o di suddivisione adottato, tanto meno sarà attendibile la congruità
del corrispettivo prefissato.
Le parti sono ovviamente libere di determinare un margine di utile in linea con quello negoziabile tra imprese indipendenti e, in ogni caso, solo per quei servizi che costituiscono l’oggetto principale dell’attività del soggetto fornitore e non, dunque, per:
Z servizi che sono strettamente correlati alla struttura del Gruppo, che non formano oggetto dell’attività
istituzionale dell’ impresa prestatrice e che non si
traducono in prestazioni con un valore economico
di mercato;
11
Come indicato nell’articolo “Le novità del CUD 2007” pubblicato sulla rivista telematica dell’Agenzia delle Entrate (Fiscooggi): Nelle istruzioni
al punto 22 della nuova certificazione unica, viene precisato che l’imposta pagata all’estero resasi definitiva, da riportare nelle annotazioni,
è quella ridotta in misura corrispondente (200 euro).
In tutti i modelli di dichiarazione, infatti, si richiede al contribuente di riportare nell’apposito campo dell’imposta estera definitiva l’importo già
abbattuto, ai sensi dell’art. 165, co. 10. La riduzione proporzionale dell’imposta deve essere effettuata al di fuori della dichiarazione.
Nelle annotazioni, il sostituto deve, comunque, informare il contribuente che l’imposta estera definitiva evidenziata (200 euro) è stata ridotta
proporzionalmente al rapporto tra il reddito estero assoggettato a tassazione in Italia (2.000 euro) e il reddito estero effettivamente percepito
(10.000 euro).
12
Ovviamente ai fini della presente trattazione le implicazioni fiscali per la Società distaccataria (estera) non sono conferenti a meno che la
stessa non disponga di una stabile organizzazione in Italia.
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Z servizi che formalmente risultano prestati da una
delle imprese collegate che agisce da “intermediaria” tra la consociata ed un’impresa indipendente
effettiva prestatrice del servizio;
Z servizi riconducibili all’attività di direzione generale
ed amministrativa resa dalla casa-madre.
8. Implicazioni fiscali societarie
- Cenni - IRAP
Il distacco è espressamente disciplinato dall’art. 11,
co. 1-bis, D.Lgs. 446/1997.
Viene infatti previsto che:
Z gli importi spettanti a titolo di recupero di oneri del
personale distaccato presso terzi non concorrono
alla formazione della base imponibile ai fini IRAP;
Z e che l’onere sostenuto dalla società distaccataria
non è deducibile, anche se imputato in una voce di
conto economico rilevante ai fini dell’imposta di cui
in oggetto.
Quindi, come precisato anche nella Circolare del Ministero delle Finanze 141/E/1998, i ricavi in questione, non
formano oggetto di tassazione ai fini IRAP, permettendo
così la relativa neutralizzazione dell’operazione in esame,
visto che, a monte, vi è l’indeducibilità dei costi sostenuti
per il personale, anche se distaccato.
9. Implicazioni fiscali societarie
- Cenni - IVA
Le prestazioni relative a prestiti di personale sono comprese tra quelle di cui alla lett. d) del comma 4 dell’art. 7 del
decreto IVA e, pertanto, si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono rese a soggetti domiciliati
nel territorio stesso o a soggetti ivi residenti che non hanno
stabilito il domicilio all’estero ovvero a stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti, a meno che non siano
utilizzate fuori dalla UE.
Pertanto, nel caso in esame – distacco di personale italiano all’estero – non vi sarà, in linea di principio, applicazione dell’IVA in quanto la prestazione è resa all’estero in
favore di una società che generalmente non ha il domicilio
o, comunque, una sua stabile organizzazione in Italia.
Peraltro, anche qualora il tributo italiano fosse astrattamente applicabile, il riaddebito del costo potrebbe essere comunque non soggetto ad IVA.
18
Infatti sebbene il distacco di personale configuri una
prestazione di servizi verso corrispettivo dipendente da
un’obbligazione di fare, l’art. 8, co. 35, L. 67/1988, ha esentato dal tributo i prestiti o distacchi del personale a fronte
dei quali è riaddebitato il puro costo.
Tale impostazione è stata confermata anche dalla Cassazione13 che, analizzando la ratio della norma, ha ribadito
come il distacco di personale non costituisca operazione imponibile purché l’impresa beneficiaria corrisponda “il solo
costo di tale utilizzazione e, cioè, la retribuzione, gli oneri fiscali e previdenziali e le spese sostenute dai dipendenti”.
Di converso, ogniqualvolta il rimborso ecceda il costo
del dipendente14, l’importo dello stesso acquista natura di
corrispettivo di una prestazione di servizi imponibile ai fini
IVA per tutto il compenso e non solo per la quota eccedente l’onere sostenuto dall’impresa distaccante15.
Sicché, la formalizzazione del distacco con apposita
lettera o contratto risulta rilevante per una pluralità di ragioni: (a) nei “confronti” del dipendente per disciplinare gli
aspetti economici e normativi; (b) tra le due entità (distaccante e distaccataria) coinvolte sia per corroborare la sussistenza dei motivi, richiesti dal D.Lgs. 276/2003, a base del
(genuino) distacco sia per beneficiare delle agevolazioni,
ove applicabili, in materia di IVA.
10. Implicazioni fiscali societarie
- Cenni - Rischio di stabile
organizzazione
La formalizzazione dell’attività, delle modalità esecutive e del relativo riaddebito dei costi è molto opportuna anche al fine di escludere o, quantomeno, limitare il rischio di
costituzione di una stabile organizzazione all’estera della
Società italiana.
I trattati firmati dall’Italia riprendono – anche su questo tema – il modello OCSE che esclude l’esistenza di una
stabile organizzazione qualora una sede d’affari sia utilizzata (e dunque qualsiasi attività svolta all’estero sia svolta)
“ai soli fini di pubblicità, di fornire informazioni, di ricerche
scientifiche o di attività analoghe che abbiano carattere
preparatorio o ausiliario”.
Al riguardo è essenziale rinviare al Commentario elaborato dal Comitato affari fiscali dell’OCSE – il cui valore
interpretativo è stato valorizzato anche dalla ns. Cassazione nelle Sentenze n. 3367 e 3368 del 2001 – al fine di valutare se ed in che termini l’invio di personale all’estero di proprio personale implichi rischi di stabile organizzazione.
La questione essenzialmente ruota intorno ai poteri di
rappresentanza attribuiti al lavoratore.
L’OCSE ritiene al riguardo che la semplice partecipazione alle trattative per la stipulazione di un contratto fra
13
Cass. 03/10/1996, n. 1788.
14
E dunque è fondamentale determinarlo in modo analitico.
15
Utili spunti a conferma di tale approccio sono desumibili anche dalla decisione 04/01/1996, n. 13, della Commissione tributaria centrale secondo la quale una lieve maggiorazione del costo, nell’ordine di circa il 5%, dovuta ad oneri indiretti quali aumenti di contingenza e rivalutazione dell’indennità di fine rapporto, non determina l’imponibilità ai fini IVA del riaddebito dei costi per personale distaccato.
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il “proprio” datore di lavoro ed una Società estera nello
Stato non sia sufficiente a far ritenere che il dipendente sia
abilitato ad esercitare del potere di concludere contratti a
nome e per conto della Società italiana.
D’altra parte – come rilevato da autorevole dottrina internazionale – l’espediente di separare la materiale attività
di conclusione di contratti da quella di formale stipulazione degli stessi potrebbe essere considerato un comportamento elusivo anche a fronte della più recente elaborazione della Sezione Tributaria della Cassazione.
Il giudice di legittimità ha infatti rilevato come non possano ritenersi soggetti indipendenti le strutture aventi il
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potere di concludere contratti in nome dell’impresa: “an
authority to conclude contracts in the name of the enterprise”.
Tale potere, secondo il Commentario (sub art. 5, § 5,
punto 33), non deve essere inteso nel senso di una rappresentanza diretta, ma comprende anche tutte quelle attività
che abbiano contribuito alla conclusione di contratti.
Sicché, per chiarire se l’attività svolta dal personale all’estero costituisca o meno stabile organizzazione va valutato il “potere” rappresentativo attribuito all’interessato con riferimento alla reale situazione economica, e non
semplicemente ai canoni civilistici.
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