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Commentary,27gennaio2016
TUTTE LE DEBOLEZZE DI RIYADH
VALERIA TALBOT
’escalation di tensione che ha portato alla rottura delle relazioni diplomatiche con Teheran
all’inizio di gennaio giunge in una fase in cui
l’Arabia Saudita si trova di fronte a una molteplicità
di sfide sia al suo interno sia sul piano regionale.
L
Dallo scoppio delle primavere arabe, Riyadh ha giocato un ruolo regionale più assertivo cercando di influire sui cambiamenti in atto o di mantenere lo status
quo, a seconda dei propri interessi, con un duplice
obiettivo sullo sfondo: da un lato, arginare l’influenza
iraniana in Medio Oriente; dall’altro, evitare infiltrazioni esterne o effetti domino che possano minacciare
la sicurezza interna e la stabilità del regime.
©ISPI2016 La rivalità con l’Iran – per la leadership religiosa
all’interno dell’islam e, soprattutto, per la supremazia
geopolitica in Medio Oriente – fornisce la chiave di
lettura per comprendere la politica regionale saudita e
gli interventi, diretti o indiretti, in Bahrein, Siria e
Yemen. Riyadh ha utilizzato anche la carta della millenaria divisione tra sunniti e sciiti per giustificare un
intervenzionismo che si basa tanto su una politica di
potenza che su logiche settarie. Di conseguenza, le
tensioni tra Riyadh e Teheran hanno contribuito ad
alimentare e inasprire lo scontro settario nella regio-
ne. Sono in molti a sostenere che con l’esecuzione del
religioso sciita Nimr al-Nimr (insieme ad altre 46 persone) l’Arabia Saudita abbia voluto soffiare sul fuoco
delle divisioni settarie, forzando al tempo stesso gli
alleati sunniti a prendere apertamente posizione in
una fase particolarmente delicata per il regno saudita.
Dietro a questa prova di forza si cela infatti una serie
di preoccupazioni. All’interno, si è voluto mandare un
segnale forte alla minoranza sciita (circa il 10% della
popolazione), le cui proteste, seppur sporadiche, rappresentano un preoccupante fattore di instabilità per la
monarchia saudita. Ancora più preoccupante se si
considera che la popolazione sciita, marginalizzata
economicamente e politicamente in un paese a maggioranza sunnita, è dislocata prevalentemente nelle
province orientali dove si concentrano anche le principali risorse energetiche del paese.
Sul piano regionale, il regno degli al-Saud si trova a
fare i conti con i costi non solo economici del suo intervenzionismo, anche alla luce degli esigui risultati
finora ottenuti: il presidente siriano Bashar al-Assad è
ancora al potere, nonostante i flussi di denaro dalla
penisola arabica per sostenere il variegato ventaglio di
gruppi dell’opposizione siriana. In Yemen, a quasi un
anno dall’inizio dell’intervento guidato da Riyadh a
Valeria Talbot, ISPI Senior Research Fellow e Responsabile del Programma Mediterraneo e Medio Oriente
1 Le opienioni espresse sono strettamente personali e non necessariamente riflettono l‘opinione dell’ISPI.
Anche le pubblicazioni online dell’ISPI sono pubblicate con il supporto della Fondazione Cariplo. commentary
sostegno del presidente Hadi, la situazione è in fase di
stallo e non si intravedono soluzioni a un conflitto il
cui costo stimato per l’Arabia Saudita sarebbe di 6
miliardi di dollari al mese1. Per di più, contrariamente
agli obiettivi sauditi, il paese è tornato a essere terreno fertile per il jihadismo di stampo qaidista. A ciò si
aggiunge la pioggia di miliardi che la monarchia saudita ha elargito per sostenere paesi chiave come il
Bahrein e l’Oman, cui all’indomani delle rivolte arabe
sono stati destinati 20 miliardi di dollari, l’Egitto del
presidente al-Sisi, il Marocco e la Giordania, cui è
stata offerta la membership del Gcc (Consiglio di
cooperazione del Golfo) come pretesto per foraggiare
la stabilità delle altre due monarchie arabe al di fuori
del Golfo.
impatto significativo sull’economia del principale
produttore di petrolio al mondo. Nel solo 2015 le riserve della monarchia si sono ridotte di 100 miliardi
di dollari (da 732 a 632 miliardi di dollari) per coprire
il deficit di bilancio, accendendo un “campanello
d’allarme” in un paese che basa la propria economia
sugli idrocarburi e il consenso e la stabilità interna su
un elevato sistema di welfare garantito dalla rendita
petrolifera.
Ciò rende più che mai pressante, anche per la stabilità
politica interna, la necessità di diversificare l’economia
se non si vuole intaccare il sistema di sussidi. In
quest’ottica, il governo sta considerando la possibilità
di rivedere la sua strategia di investimenti e di avviare
una serie di privatizzazioni e riforme per ridurre la spesa pubblica e aumentare le entrate. Di recente, aperture
in tale direzione sono venute dal principe Mohammed
bin Salman – figlio di re Salman, ministro della Difesa
e secondo nella linea di successione dopo il cugino
Mohammed bin Nayef – che si è espresso a favore della possibilità di privatizzare la Saudi Aramco. Sebbene
al momento la privatizzazione della società petrolifera
non sembri essere in discussione, la dichiarazione del
principe saudita potrebbe far pensare che qualcosa stia
cambiando all’interno delle complesse dinamiche della
famiglia reale.
Su tutto questo incombe il grande timore per il ritorno
di un Iran “riabilitato”, con i suoi 80 milioni di abitanti, sulla scena mediorientale e sui mercati internazionali. Non è un caso che l’escalation di tensione tra il
regno degli al-Saud e la Repubblica Islamica si sia
verificata proprio a ridosso della data prevista per
l’avvio dello smantellamento del regime di sanzioni
internazionali contro Teheran.
©ISPI2016 Ma incombe anche la prospettiva di un prolungato
periodo di bassi prezzi del petrolio che potrebbe rendere difficilmente sostenibile l’attivismo regionale
saudita e allo stesso tempo costringere la monarchia a
rivedere il proprio sistema socio-economico. Infatti,
sebbene negli anni dell’oil boom il regno saudita abbia potuto beneficiare di un’elevatissima rendita petrolifera e abbia accumulato ingenti riserve monetarie,
la riduzione degli introiti petroliferi sta avendo un
Se vi è dunque la consapevolezza che le politiche
saudite non sono sostenibili nel lungo periodo in assenza di adeguate riforme e di condizioni del mercato
energetico favorevoli, resta da vedere come un paese
che guarda con timore ai cambiamenti riuscirà ad affrontare sfide cruciali per la sua stabilità interna e per
la leadership regionale.
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. Bruce Riedel, Saudi Arabia’s mounting security challenges, Al-Monitor, December 28, 2015.
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