Il delitto di Capodanno I Se gli avessero chiesto

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Il delitto di Capodanno I Se gli avessero chiesto
Il delitto di Capodanno
I
Se gli avessero chiesto perché continuava a ritornare in quel luogo non avrebbe saputo rispondere.
Eppure da quando era successo il fatto si era ritrovato spesso a percorrere quella strada di campagna e a camminare su quel prato e ogni volta aveva
strizzato ripetutamente gli occhi prima di rendersi
conto che il corpo non era più là.
Il corpo bianco, nudo dalla cintola in giù, scomposto come una bambola disarticolata, con il viso
coperto da un lembo del vestito da cui spuntavano
ciocche di capelli bagnate dall’umidità della notte.
Il corpo bianco che spiccava nella distesa verde
del prato che digradava verso la strada di terra battuta e che si estendeva su tutta la collina, delimitata nella parte più alta solo dal cielo.
Quella mattina, quando lo avevano chiamato, il
commissario Vico aveva maledetto il suo lavoro
che lo costringeva in quel giorno di festa a uscire di
casa per affrontare un gelo polare, mentre gran parte della città smaltiva ancora fra calde coperte gli eccessi della notte che era appena terminata.
Sua moglie, al suono del telefono, aveva emesso
quello che sembrava un lamento, poi era scomparsa sotto le coperte e aveva ripreso il sonno interrotto solo per pochi minuti.
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Paola Robotti
Si era fatto il caffè da solo, nella cucina fredda,
perché i termosifoni non si erano ancora accesi,
guardando con fastidio i resti della cena della sera
prima, che occupavano ancora disordinatamente il
ripiano della tavola.
Avevano deciso di passare il Capodanno a casa,
con pochi amici, ed era stata la scelta giusta: niente
rumore, né musiche assordanti, né atmosfere forzatamente vivaci.
Avevano trascorso la notte in allegria, brindando
al momento giusto, senza eccessi, distaccati dalla
follia delle case vicine, dove i ripetuti botti dei fuochi di artificio avevano provocato i latrati di paura
di tutti i cani della zona.
“Spero di poter stare tranquillo anche domani.”
Aveva pensato, senza, tuttavia, esserne troppo convinto. Sapeva per esperienza che in quella notte qualcosa sarebbe successo. Piccole trasgressioni, qualche
incidente, denunce per disturbi.
Tutto, ma non un delitto.
Quello non l’avrebbe proprio immaginato. Anche perché nella sua breve carriera non erano stati
molti i casi di omicidio che aveva dovuto affrontare
e mai nella tranquilla cittadina di provincia in cui
era stato trasferito da poco.
Era ancora giovane e sebbene si fosse già distinto per la sua bravura e per la passione con cui svolgeva il suo lavoro, non aveva ancora potuto farsi
l’esperienza che solo il passare degli anni gli avrebbe
consentito.
Più volte gli avevano detto che ricordava il commissario Montalbano: stessa dedizione, stessa uma8
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nità, perfino stessa struttura del corpo su cui si ergeva una testa rotonda e lucida a causa di una calvizie precoce e inesorabile.
Non accettava sconfitte, il commissario Vico, affrontare i problemi e risolvere i casi era per lui un
imperativo cui non poteva sottrarsi.
Mai.
C’era sempre riuscito.
Fino a quel delitto. Che era rimasto senza un colpevole, anche se c’erano stati molti sospetti.
Il delitto di Capodanno, come la stampa lo aveva subito definito, era rimasto un mistero e la povera ragazza uccisa non aveva avuto giustizia.
Vico questo non poteva sopportarlo.
Ritornava sul luogo dove era avvenuto il fatto
per riflettere, per cercare di provare sensazioni rivelatrici, per cercare particolari che fossero sfuggiti, per cercare qualcosa anche se non sapeva cosa.
Gli sembrava che lo spirito della ragazza, Anna,
fosse presente in quel luogo come se non potesse
trovare pace. Lo percepiva, ma non poteva dirlo a
nessuno per non correre il pericolo di essere giudicato fuori di testa.
Si era recato in quel prato, d’inverno, quando la
neve lo rendeva una distesa bianca che si confondeva senza distinzione con il chiarore del cielo e
quando il gelo induriva la terra e la brina rendeva i
fili d’erba irti e simili a spilli, in primavera, quando
viole, margheritine e crocus lilla pallido spiccavano
nel verde ridiventato smagliante, in autunno, quando tutta la vegetazione si spegneva a poco a poco
con una dolce stanchezza. Non conosceva quel
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luogo in estate perché lo immaginava estraneo e
troppo distante dall’atmosfera che lui ricercava.
“Perché l’omicidio era successo proprio là?” Se
lo chiedeva spesso.
Per arrivare al prato si doveva lasciare la strada
principale, correndo il pericolo di impantanarsi nelle stradine di campagna durante le manovre poco
agevoli per tornare indietro. Impantanarsi forse no,
perché quando era avvenuto il fatto la terra doveva
essere indurita, quasi ghiacciata per il freddo. Tuttavia quel particolare punto non sembrava al commissario Vico una scelta felice per la “camporella”,
come si diceva da quelle parti.
Eppure Anna era stata uccisa proprio là, dove era
arrivata con la sua macchina per incontrare qualcuno. Ma chi? E perché nel cuore della notte, dopo
una serata passata apparentemente senza problemi
con gli amici?
Erano ormai trascorsi diversi anni, ma quegli interrogativi, con una frequenza a volte fastidiosa, tornavano a presentarsi alla sua mente.
La non soluzione di quel delitto gli creava inquietudine, forse a causa della sensazione che persistesse
nella sua vita un qualcosa di non compiuto che doveva essere sistemato prima di poter andare avanti.
Doveva mettere le cose a posto e capire, se voleva guardare al futuro.
Il delitto di Capodanno, come con infelice sintesi veniva definito, era come una spina fastidiosa nel
fianco che limitava i movimenti, solo che per lui il
freno era mentale ed era la capacità di ragionamento e di intuizione a essere inibita.
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“Ho fallito.”
Il pensiero lo colpiva all’improvviso, facendolo
mutare di umore, tramutando in un balbettio confuso quello che stava per dire, togliendogli l’appetito, spegnendo l’ardore per un amplesso appena iniziato.
Anna morendo in quel modo aveva compromesso anche la sua vita.
Vico ne era cosciente, ma doveva tenere quel segreto per sé, perché nessuno l’avrebbe capito. Aveva pensato anche di chiedere a uno psicologo quale
potesse essere la causa di quella inspiegabile ossessione, ma non aveva fatto nulla.
Non aveva mai conosciuto la ragazza né i suoi
amici né la famiglia.
Quando era stato commesso l’omicidio era arrivato da poco in quella località di cui non conosceva ancora i vizi o le virtù e tanto meno la mentalità
degli abitanti del centro e dei paesi circostanti.
Doveva ancora capire quanto per tutti fosse importante una vita senza scosse, senza fatti che alterassero il tranquillo scorrere del tempo.
La presunzione degli abitanti di abitare in un’isola felice doveva rimanere intatta. Anche a costo
di alzare muri invisibili che ne proteggessero la paludosa, ma rasserenante routine.
Nella tranquilla cittadina e nei suoi dintorni non
c’era posto per un delitto.
Nella tranquilla cittadina non c’era posto per assassini.
L’omicidio di Anna stonava come qualcosa di
anomalo, capitato per errore, nel luogo sbagliato.
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Tranne che nei primi giorni dopo il fatto, nessuno voleva parlarne. Tutti volevano dimenticare.
Anche chi avrebbe dovuto indagare più a fondo.
Il tenente Vico lo sapeva.
Pure lui, forse, avrebbe dovuto fare di più, segnalando gli errori degli altri.
Non lo aveva fatto e a causa di quelle omissioni
la sua vita era stata segnata.
Doveva correggere lo sbaglio fatto allora. Ma
come?
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