Liberi nei libri Italiano 2

Transcript

Liberi nei libri Italiano 2
EPICA
Unità 2 • Il racconto epico
Obievi
specifici dell’unità
• Leggere tes di
epica
• Riconoscere gli
elemen
fondamentali del
racconto epico: i
personaggi, lo
spazio, il tempo, le
avventure
• Comprendere e
analizzare la
struura essenziale
di tes epici
• Saper riscrivere
tes epici
araverso
completamen,
manipolazioni,
realizzazioni
guidate
I tes
• I poemi omerici
• La quesone omerica
• La “storia vera” della guerra di Troia
L’ILIADE
ovvero la storia della guerra di Troia
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L’antefao
Cantami, o Diva, del Pelide Achille l’ira funesta…
La morte di Patroclo
Il duello tra Achille e Eore
Il riscao del corpo di Eore
La morte di Achille
L’inganno del cavallo
La produzione
Rimandi e
approfondimen
• Esercizi di
comprensione
• Esercizi di analisi
graduata
• Esercizi di
riflessione sulla
lingua
• Rifle su…
il confronto
L’ODISSEA
ovvero la storia delle vicende di Ulisse
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Protasi e invocazione alla Musa
L’isola dei lotofagi
Nell’antro del ciclope: l’incontro con Polifemo
Nell’antro del ciclope: il piano di Ulisse
Eolo, il re dei ven
Circe, la maga ingannatrice
La discesa negli inferi
MOSTRI DEL MARE: LE SIRENE, SCILLA E CARIDDI
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Le Sirene…
… Scilla e Cariddi
I buoi del Sole
La ninfa Calipso
Nella terra dei Feaci
Itaca!
Il fedele Argo
L’uccisione dei Proci
Conclusione
LE ARGONAUTICHE
• L’antefao
• Proemio
AVVENTURE IN VIAGGIO:
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Le Arpie
Le Simplegadi
La conquista del vello d’oro
La prova di Giasone
Giasone prende il vello
Il gigante Talo
Il ritorno in patria
Una disumana vendea
• Uno sguardo al
mondo del…
cinema: il film
Troy
Unità 2 • Il racconto epico
Obievi
specifici dell’unità
I tes
La produzione
Rimandi e
approfondimen
L’ENEIDE
ovvero la storia delle vicende di Enea
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Proemio
Le ulme ore di Troia
La morte di Lacoonte
L’ulma noe di Troia
In viaggio…
Enea e Didone
La maledizione di Didone
Il suicidio di Didone
Nel regno degli inferi
La terra promessa dal fato
È guerra!
Eurialo e Niso
Il duello tra Enea e Turno
Verifica di fine unità
PERCORSI TEMATICI
FIGURE FEMMINILI NELL’ODISSEA
…E L’INFERNALE
• Odisseo e Calipso
• Odisseo e Nausicaa
• Odisseo e la madre
• Enea e il padre
VERIFICA DI FINE PERCORSO: confronto tra tes
• Figure di donne nell’Odissea
VERIFICA DI FINE PERCORSO: confronto tra tes
• …e l’infernale
UOMINI E DONNE: L’AMORE
• Eore e Andromaca
• Odisseo e Penelope
• Enea e Didone
VERIFICA DI FINE PERCORSO: confronto tra tes
• I Senmen
IL MERAVIGLIOSO…
• La maga Circe
• Scilla e Cariddi
VERIFICA DI FINE PERCORSO: confronto tra tes
• Il “meraviglioso” nell’Odissea
• Caronte
I VALORI DELLA SOCIETÀ GUERRIERA NELL’ILIADE
• La lite tra Achille ed Agamennone
• Odisseo e Tersite
VERIFICA DI FINE PERCORSO: confronto tra tes
• I personaggi
Unità
Il racconto epico
ovvero storie di eroi
Il temine epica deriva dal greco épos e possiede molteplici significati:
parola, discorso, racconto, ma anche verso di poesia, a sottolineare il fatto
che il racconto epico è una narrazione in versi che racconta vicende ap‐
partenenti ad un passato più o meno lontano, spesso favoloso e mitico, e
le imprese compiute da uno o più eroi espresse in uno stile solitamente
elevato e solenne. Questi componimenti in versi prendono il nome di
poemi.
In origine il racconto epico era narrato oralmente da cantori, chiamati
rapsodi o aedi, che recitavano i versi al suono della lira o della cetra, gli
strumenti dell’antichità, nelle piazze o alla corte dei re.
Successivamente i vari canti in versi furono riuniti nei veri e propri
poemi e in questa forma sono giunti fino a noi.
A questo genere letterario appartengono le opere dei Greci (Iliade,
Odissea, Argonautiche) e dei Romani (Eneide), che costituiscono l’epica
classica e presentano dei caratteri comuni, quali:
la presenza di eroi dalle virtù eccezionali, come Achille, Ulisse, Gia‐
sone, Enea;
la celebrazione delle imprese straordinarie che essi affrontano;
l’inevitabile scontro finale con un avversario (Achille contro Ettore,
Ulisse contro i Proci, Giasone contro Eeta, Enea contro Turno);
la presenza degli dei che interferiscono nelle azioni degli uomini.
I poemi omerici
L’Iliade e l’ Odissea, i due massimi poemi epici della letteratura greca
antica, ognuno costituito da libri, scritti in versi esametri, sono sempre
stati considerati opere di straordinario valore poetico; inoltre sono am‐
bientati all’epoca della civiltà micenea, che prende il nome dalla città
greca di Micene,e quindi rappresentano per noi anche una importantis‐
sima testimonianza della storia, della vita, degli usi e costumi degli Achei,
il popolo che diede, appunto, origine a questa antichissima civiltà tra il
e il a.C.
La quesone omerica
La tradizione attribuisce la composizione dell’Iliade e dell’Odissea ad
Omero, un poeta greco cieco che si ritiene essere vissuto nel IX‐VIII se‐
colo a.C.
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2
Epica
Mito, epica, leggenda
Infatti nell’antichità si credeva che Omero fosse
realmente esistito e che avesse scritto da giovane
l’Iliade e da vecchio l’Odissea.
Ma in realtà studi approfonditi sulla cosiddetta
“questione omerica” hanno rivelato che non esi‐
stono prove certe per stabilire la reale esistenza sto‐
rica di Omero e la critica ha ormai da tempo quasi
generalmente concluso che non sia mai esistito un
autore di nome Omero, che abbia scritto nella loro
integrità i due poemi maggiori della letteratura
greca, i quali probabilmente risultano essere com‐
posti da singoli episodi epici, raccontati da diversi
poeti epici dell’antichità, successivamente riuniti
in un unico testo.
Ma chi abbia fatto questa operazione di raccolta
dei vari testi è ancora oggi una domanda a cui gli stu‐
diosi non sono riusciti a dare una sicura risposta.
Forse un poeta che si chiamava Omero? O forse an‐
che il nome Omero è del tutto inventato?... Chissà…
Anche questo mistero aumenta il fascino del‐
l’Iliade e dell’Odissea.
Ritratto immaginario di
Omero, copia romana del
II secolo d.C. di un’opera
greca del II secolo a.C. Conservato al Museo del
Louvre di Parigi.
La “storia vera” della guerra di Troia
Ma è davvero esistita una guerra di Troia? La risposta a questa domanda
è senz’altro affermativa e furono proprio gli Achei, il popolo di cui Omero
ci parla, a condurre la guerra. Essi, infatti, si erano
progressivamente arricchiti grazie ai commerci che
svolgevano nel Mar Egeo sulle loro agili navi, ma
quando cercarono di ampliare i loro traffici com‐
merciali verso il Mar Nero furono ostacolati dalla
città di Troia, che aveva gli stessi interessi econo‐
mici degli Achei.
I commerci e l’interesse economico ad essi col‐
legati furono, dunque, le vere ragioni della guerra
contro Troia, che fu realmente sconfitta dal popolo
acheo, probabilmente intorno al .
L’esistenza di Troia è stata, inoltre, provata dagli
scavi archeologici condotti nell’Ottocento da un fa‐
mosissimo archeologo H. Schliemann, che, se‐
guendo le indicazioni contenute nell’Iliade, ritrovò
i resti di una città distrutta e poi ricostruita ed an‐
che splendidi gioielli che egli ritenne fosse “il tesoro
di Priamo”.
H. Schliemann.
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Il racconto epico
L’Iliade
Unità 2
Omero
ovvero la storia
della guerra di Troia
L’Iliade (da “Ilio”, nome greco della città di Troia) non narra tutta la vi‐
cenda della guerra di Troia, ma soltanto un episodio cruciale,avvenuto nel
decimo e ultimo anno del conflitto: l’ira di Achille, che è l’argomento por‐
tante del poema.
Per permetterti una migliore comprensione degli avvenimenti, però co‐
minceremo il nostro racconto partendo da…
L’antefao
La principessa Elena, figlia del re Tindaro, era la più bella donna del
mondo e tutti i principi greci volevano sposarla; il padre, per evitare
che tra i pretendenti scoppiasse una guerra, li informò che Elena stessa
avrebbe scelto il proprio marito a patto che tutti giurassero di rispettare
la sua scelta e di aiutare lo sposo prescelto, se mai qualcuno lo avesse
offeso.
La bella Elena scelse Menelao, re di Sparta e per molti anni vissero
in pace e felici, fino a che... giunse da Troia il giovane principe Paride,
splendente di giovinezza e bellezza: a lui era stata promesso l’amore
della donna più bella di tutte dalla dea Afrodite.
Infatti durante il banchetto di nozze della ninfa Teti e del re Peleo,
la dea Discordia, per vendicarsi di non essere stata invitata alla festa,
aveva lanciato in mezzo alla tavola un mela d’oro, su cui era scritto “alla
più bella”. Subito era scoppiato un litigio tra Era, Atena e Afrodite su
chi tra loro fosse la più bella, e Zeus, per risolvere la questione, aveva
scelto quale giudice della contesa il giovane Paride, figlio di Priamo,
re di Troia.
Le tre dee si erano presentate al principe in tutto il loro splendore e
ognuna gli aveva promesso un dono speciale in cambio del suo giudi‐
zio: Era gli aveva offerto il potere dei re, Atena la saggezza più profonda,
Afrodite la donna più bella del mondo.
A lei Paride consegnò la mela d’oro e il titolo di dea più bella di tutte,
ed ora il principe riscuoteva il premio promessogli: Elena, infatti, in‐
namoratasi di lui, si convinse a seguirlo a Troia.
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1. contesa: litigio.
Epica
Mito, epica, leggenda
Allora Menelao convocò tutti i re Greci ed essi, fedeli al giura‐
mento fatto, accettarono di partire per una guerra contro Troia, sotto
il comando di Agamennone, fratello di Menelao. All’appello manca‐
vano, però, Ulisse, l’astuto re di Itaca, e Achille, l’invincibile eroe fi‐
glio di Peleo.
Di Ulisse si diceva che fosse impazzito, ma Palamede non ne era
convinto e si recò a Itaca: lì trovò Ulisse che seminava del sale sulla riva
del mare, gridando che sarebbero nati bellissimi pesci.
Allora Palamede depose per
terra, davanti all’aratro, Tele‐
maco, il figlio neonato di Ulisse,
il quale, giunto davanti al bam‐
bino, deviò il percorso dell’ara‐
tro, rivelando così di fingere la
pazzia, per evitare la partenza
per la guerra.
Fu poi lo stesso Ulisse a recarsi
nell’isola di Sciro, poiché si di‐
ceva che lì la ninfa Teti avesse
78
Il racconto epico
nascosto il figlio Achille, poiché sapeva che egli sarebbe morto nella
guerra contro Troia. Il re Licomede lo aveva fatto travestire da donna e
lo nascondeva tra le sue figlie. Ulisse escogitò un astuto stratagemma:
si travestì da mercante e mostrò alle figlie del re gioielli, pettini, stoffe
e scialli, ma tirò fuori anche una spada, che lasciò con noncuranza tra
gli altri oggetti. Appena vide che una bionda fanciulla allungava la
mano per prenderla, l’afferrò per il braccio e smascherò il travestimento
di Achille.
Finalmente tutti gli eroi greci erano radunati in Aulide,
pronti per la partenza, ma non soffiava un alito di vento e
le navi rimanevano ferme nel porto: l’indovino Calcante
profetizzò che la dea Artemide, irritata con Agamennone,
(cfr. pag. ) esigeva il sacrificio della sua giovane figlia Ifi‐
genia, per concedere la partenza delle navi. Agamennone
non poteva rifiutarsi e perciò, con la
morte nel cuore, fece venire con un
inganno Ifigenia in Aulide e la fece
condurre all’altare per il sacrificio:
ma quando già il sacerdote era
pronto ad uccidere la giovane, ella
scomparve improvvisamente e al
suo posto comparve una cerva.
Tutti compresero che Artemide
aveva salvato Ifigenia e che biso‐
gnava sacrificare la cerva: infatti
la dea aveva trasportato la
fanciulla in Tauride, de‐
stinandola a diventare
sua sacerdotessa.
Nel frattempo si
era alzato il vento fa‐
vorevole alla naviga‐
zione e la flotta greca
potè prendere il mare
e giungere a Troia, ac‐
campandosi sulla spiaggia.
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Unità 2
Epica
Proemio
(Libro I, vv. 1-9)
Mito, epica, leggenda
Cantami, o Diva, del Pelide Achille
l’ira funesta...
Il poema comincia con un proemio, che contiene l’invocazione alla
Musa protettrice della poesia e la protasi, cioè l’argomento del poema.
Il proemio è caratteristico di tutti i poemi epici.
1. Cantami o Diva: ispirami
a cantare o dea. La Musa
a cui il poeta si rivolge è
Callìope, protettrice della
poesia epica. Pelìde: figlio di Peleo. Questo è
un aggettivo patronimico, cioè indica il nome
del padre, in questo caso
Achille, figlio di Peleo. I
patronimici sono aggettivi tipici della poesia classica.
2. ira funesta: l’ira di Achille è funesta perché provocò molte morti. infiniti
addusse: fu causa di
moltissimi lutti
3-4. anzi tempo…eroi: trascinò nel regno dei morti
prima del tempo stabilito
molte anime generose di
eroi
5-6. e di cani…abbandonò:
e abbandonò i loro
corpi come cibo orrendo di cani e uccelli.
7. alto…s’adempia: così si realizzava la volontà misteriosa di Giove (o
Zeus).
8. primamente…
contesa: da
quando li separò un duro scontro.
9. Atrìde: Agamennone, figlio di Atreo.
10. divo: divino. Achille
era un semidio,
perché figlio di
un mortale,
Peleo, e di
una dea,
la ninfa
Teti.
Cantami, o Diva, del Pelìde Achille
l’ira funesta che infiniti addusse
lutti agli Achei, molte anzi tempo all’Orco
generose travolse alme d’eroi,
e di cani e d’augelli orrido pasto
lor salme abbandonò (così di Giove
l’alto consiglio s’adempìa), da quando
primamente disgiunse aspra contesa
il re de’ prodi Atride e il divo Achille…
(traduzione di V. Monti)
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Il racconto epico
Unità 2
FATTI E PERSONAGGI
1. Il poeta si rivolge a una divinità. Chi è e cosa le chiede?
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2. Che cosa provocò l’ira di Achille?
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3. Tra chi avvenne la violenta lite?
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LINGUA E STRUTTURA
1. Distingui, nel proemio, l’invocazione alla Musa e la protasi, sottolineando la prima in rosso e
la seconda in blu.
2. L’aggettivo patronimico è tipico della poesia epica di Omero. Individua nei versi i due patronimici presenti e spiega a chi si riferiscono.
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3. Un’altra caratteristica della poesia omerica è l’uso di aggettivi fissi o formule fisse che accompagnano i nomi dei personaggi. Questi aggettivi si chiamano epiteti e servono a specificare
delle qualità o delle caratteristiche di un personaggio, in modo da renderlo facilmente riconoscibile. Nel proemio c’è un epiteto: cercalo, spiega a chi si riferisce e che caratteristica vuol
sottolineare.
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Epica
Mito, epica, leggenda
PRODUZIONE
Come avrai notato nel testo epico le parole hanno una posizione diversa da quella normalmente
usata per costruire le proposizioni e spesso vengono adoperate dal poeta parole di uso non comune. Noi possiamo, però, ricostruire l’ordine logico e sintattico della frase (soggetto + predicato
+ complemento oggetto + altri complementi): questa operazione si chiama costruzione diretta.
1. Prova a farla anche tu… (l’esercizio è avviato).
Cantami, o diva, l’ira funesta del Pelide Achille,
che addusse infiniti lutti agli Achei
Oppure possiamo anche sostituire alle parole meno comuni termini più moderni, rispettando la
struttura del testo poetico: questa operazione si chiama parafrasi.
2. Prova a farla anche tu… (l’esercizio è avviato).
Cantami, o dea, l’ira mortale del Pelìde Achille
che provocò moltissimi lutti agli Achei…
Achille che cura
Patroclo.
La guerra tra Greci e Troiani si era trascinata
per nove anni, senza che nessuno dei due
eserciti riportasse una vittoria decisiva,
ma nel decimo anno scoppiò un ter‐
ribile litigio tra Agamennone e
Achille per il possesso di una
schiava di guerra. Achille, rite‐
nendosi offeso, decise di non
partecipare più alle battaglie,
ma i Greci senza di lui ven‐
nero più volte sconfitti e i
Troiani riuscirono anche ad
incendiare una nave greca.
All’improvviso però sul
campo di battaglia comparve
Achille: la sua armatura e le
sue armi vennero riconosciute
da tutti, ma il dio Apollo gli fece
saltare l’elmo e... comparve il viso
di Patroclo, l’amico più caro di
Achille, il quale aveva convinto l’eroe a
prestargli la sua armatura per ingannare i
Troiani e incoraggiare i Greci.
82
Il racconto epico
La morte di Patroclo
Ma Patroclo, vinto dal colpo del dio e dall’asta,
fra i compagni si trasse evitando la Chera.
Ettore, come vide il magnanimo Patroclo
tirarsi indietro, ferito dal bronzo puntuto,
gli balzò addosso in mezzo alle file, lo colpì d’asta
al basso ventre: lo trapassò col bronzo.
Rimbombò stramazzando, e straziò il cuore all’esercito acheo.
Come quando un leone vince in battaglia un cinghiale indomabile,
– essi superbamente han combattuto sui monti
per una piccola polla: volevano bere entrambi –
e infine con la sua forza il leone vince l’altro che rantola;
così il Meneziade, che già molti ammazzò,
Ettore figlio di Priamo privò della vita con l’asta,
e gli disse vantandosi parole fuggenti:
«Patroclo, tu speravi d’abbattere la nostra città,
e alle donne troiane togliendo libero giorno,
condurle sopra le navi alla tua terra patria,
stolto! Per esse i veloci cavalli d’Ettore
si tendono sopra i garretti a combattere: io con l’asta
eccello fra i Teucri amanti di guerra: e così li difendo
dal giorno fatale; ma te qui gli avvoltoi mangeranno.
[…]
E tu rispondesti, sfinito, Patroclo cavaliere:
«Sì, Ettore, adesso vàntati:
a te hanno dato vittoria Zeus Cronide e Apollo, che m’abbatterono
facilmente: essi l’armi dalle spalle mi tolsero.
83
Unità 2
Libro XVI,
vv. 816-857
816. vinto… dall’asta: Patroclo è stato colpito da
Apollo, che gli ha fatto
cadere l’elmo ed è stato
trafitto alla schiena dalla
lancia ( asta) di Euforbo,
un eroe troiano.
817. Chera: è una divinità
della morte.
818. magnanimo: generoso.
819. bronzo puntuto: la lancia dalla punta di
bronzo.
822. rimbombò stramazzando: cadendo pesantemente al suolo, fa rimbombare la pesante armatura.
825. piccola polla: piccola
sorgente d’acqua.
826. che rantola: che respira
affannosamente.
827. Meneziade:
Patroclo
era figlio di Menezio.
831. libero giorno: la libertà.
834. si tendono sopra i garretti: si tendono sulle
zampe al galoppo.
835. Teucri: sono i Troiani.
845. Cronide: Zeus era figlio
di Crono.
Epica
Mito, epica, leggenda
848. perivano: morivano.
849. il figliuolo di Latona:
Apollo.
854. Eacide: discendente di
Eaco. Il nonno paterno
di Achille era Eaco.
856. Ade: il regno dei morti.
Se anche venti guerrieri come te m’assalivano,
tutti perivano qui, vinti dalla mia lancia;
me uccise il destino fatale e il figliuolo di Latona,
e tra gli uomini Èuforbo: tu m’uccidi per terzo.
Altro ti voglio dire e tientelo in mente:
davvero tu non andrai molto lontano, ma ecco
ti s’appressa la morte e il destino invincibile:
cadrai per mano d’Achille, dell’Eacide perfetto».
Mentre parlava così la morte l’avvolse,
la vita volò via dalle membra e scese nell’Ade,
piangendo il suo destino, lasciando la giovinezza e il vigore.
(da Iliade, canto XVI, trad. di R. Calzecchi Onesti, Einaudi, Torino)
FATTI E PERSONAGGI
1. Cosa fa Ettore quando vede Patroclo ritirarsi tra i suoi compagni?
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2. Che cosa dice Ettore a Patroclo? ............................................................................................................................................
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3. Perché Patroclo dice ad Ettore “tu m’uccidi per terzo”?
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4. Qual è la profezia di Patroclo riguardo la morte di Ettore?
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LINGUA E STRUTTURA
1. Trova i patronimici presenti nel testo.
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continua 84
Il racconto epico
Unità 2
2. Trasforma l’espressione “figlio di Priamo” del verso 828 nel patronimico corrispondente.
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3. Trova nel testo l’epiteto riferito a Patroclo.
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4. Trova la similitudine nel testo: a chi è paragonato Ettore? E a chi Patroclo?
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PRODUZIONE
1. Stendi il riassunto del brano. ...................................................................................................................................................
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Achille si disperò e pianse per la morte del suo migliore amico e
giurò vendetta: perciò chiese alla madre Teti di portargli delle nuove
armi fabbricate da Efesto e sfidò a duello Ettore, pur sapendo che la
morte dell’eroe troiano avrebbe segnato il suo stesso destino.
Il Proemio dell’Iliade
con l’invocazione alla
musa in lingua greca.
85
Epica
Libro XXII,
vv. 250-318
1. porte Scee: era il nome delle porte di Troia.
2. sgomento: panico, spavento.
3. implacabile: che non vuole
fermarsi né calmarsi.
4. contendenti: avversari.
251. iliache: di Ilio, antico
nome di Troia. Mi aggirai: girai.
252. sostenni: tollerai.
253. intrepido: coraggioso.
254. fidi: fedeli.
255. sieno: siano.
256. di tua caduta: della tua
morte.
257. ma renderollo… tuoi:
ma lo restituirò intatto ai
tuoi, dopo aver tolto le
belle armi. Per gli anti-
Mito, epica, leggenda
Il duello tra Achille e Eore
Ed eccolo l’odiato Ettore! Aspettava immobile il nemico Achille vi‐
cino alle porte Scee , senza ascoltare le grida del vecchio padre Priamo,
che lo scongiurava di rifugiarsi entro le mura di Troia.
Ma quando vide Achille piombare su di lui, fu preso dallo sgomento e cominciò a correre intorno alle mura di Troia, mentre l’eroe greco lo
inseguiva implacabile , assetato di sangue e di vendetta, finchè en‐
trambi i contendenti si fermarono e si affrontarono con le armi in pu‐
gno, decisi ad uccidere o a morire con onore.
Più non fuggo, o Pelìde. Intorno all’alte
ilìache mura mi aggirai tre volte,
né aspettarti sostenni. Ora son io
che intrepido t’affronto, e darò morte,
o l’avrò. Ma gli Dei, fidi custodi
de’ giuramenti, testimon ne sièno,
che se Giove l’onor di tua caduta
mi concede, non io sarò spietato
col cadavere tuo, ma renderollo,
toltene solo le bell’armi, intatto
86
Il racconto epico
a’ tuoi. Tu giura in mio favor lo stesso».
«Non parlarmi d’accordi, abbominato
nemico – ripigliò torvo il Pelìde. –
Nessun patto fra l’uomo ed il lïone,
nessuna pace tra l’eterna guerra
dell’agnello e del lupo, e tra noi due
né giuramento né amistà nessuna,
finché l’uno di noi steso col sangue
l’invitto Marte non satolli. Or bada,
ché n’hai mestiero, a richiamar la tutta
tua prodezza, e a lanciar dritta la punta.
Ogni scampo è preciso, e già Minerva
per l’asta mia ti doma. Ecco il momento
che dei morti da te miei cari amici
tutte ad un tempo sconterai le pene».
Disse, e forte avventò la bilanciata
lunga lancia. Antivide Ettorre il tiro,
e piegato il ginocchio e la persona,
lo schivò. Sorvolando il ferreo telo
si confisse nel suol, ma ne lo svelse
invisibile ad Ettore Minerva,
e tornollo al Pelìde. «Errasti il colpo –
gridò l’eroe troian – né Giove ancora,
come dianzi cianciasti, il mio destino
ti fe’ palese. Dëiforme sei
87
Unità 2
chi era importantissimo dare sepoltura ai morti, altrimenti l’anima avrebbe vagato per cento
anni sulle rive dell’Acheronte, il
fiume infernale.
261. abbominato: odiato.
262. torvo: minaccioso.
263. lione: leone.
266. amistà: amicizia.
266-267. finchè… satolli: finchè uno
di noi ucciso non sazi con il sangue l’invincibile Marte, dio della
guerra.
269. chè n’hai mestiero: perché ne
hai bisogno.
270. prodezza: coraggio. punta: della
lancia.
271-272. e già Minerva… doma: già
la dea Atena (Minerva è il nome
latino) ti sconfigge attraverso la
mia lancia.
273. morti da te: uccisi da te.
275. avventò: scagliò.
276 Antivide: previde.
278. sorvolando il ferreo telo: la lancia dalla punta di ferro volando.
279-281. svelse… Pelide: Atena lo
strappò via e lo ridette ad Achille. errasti: sbagliasti.
283. come dianzi cianciasti: come prima hai detto, vantandoti.
284. ti fe’ palese: ti rivelò. deiforme:
simile agli dei.
Epica
Mito, epica, leggenda
285. cinguettiero: chiacchierone. con
vani accenti: con inutili parole.
286. atterrirmi: spaventarmi.
287. addormentarmi la virtude antica: spegnere il valore che ho
sempre mostrato.
293-294. si possa… quanta: possa
penetrare interamente nel tuo
corpo.
295. Teucri: Troiani. alleviar: alleggerire.
295-296. te spento… rovina: una volta che sarai morto tu, causa
principale della loro rovina luttuosa.
297. di lunga ombra: che proietta
una lunga ombra. squassando:
scuotendo.
299. senza fallir: senza sbagliare.
300. divino arnese: lo scudo di Achille
è divino, perché fabbricato dal
dio Efesto.
301. crucciossi: si irritò.
302. uscir vano: riuscire inutile.
303. mesto: triste.
304. Deifobo: fratello di Ettore, di cui
Atena aveva preso l’aspetto per
convincere Ettore al duello con
Achille.
305. picca: lancia. lungi: lontano.
307. m’appellar: mi chiamarono.
308. credeami: credevo.
309. mi deluse: mi ingannò.
310. nullo: nessuno.
312-313. saettante suo figlio: suo figlio Apollo che scaglia le frecce.
313. mi campar: mi salvarono.
314. guerrieri perigli: pericoli della
guerra.
315. negra Parca: la nera divinità
della morte. fia: sarà.
316. che da codardo io cada: che io
muoia da vigliacco. periremo:
moriremo. Ettore usa qui il plurale al posto del singolare, per
rendere più solenni le sue ultime
parole: è il cosiddetto pluralis
maiestatis.
318. bel fatto: bella impresa.
1. acerrimo: implacabile.
ma cinguettiero, ché con vani accenti
atterrirmi ti speri, e nella mente
addormentarmi la virtude antica.
Ma nel dorso tu, no, non pianterai
l’asta ad Ettorre che diritto viene
ad assalirti, e ti presenta il petto;
piantala in questo se t’assiste un Dio.
Schiva intanto tu pur la ferrea punta
di mia lancia. Oh si possa entro il tuo corpo
seppellir tutta quanta, e della guerra
ai Teucri il peso allevïar, te spento,
te lor funesta principal rovina!»
Disse, e l’asta di lunga ombra squassando,
la scagliò di gran forza, e del Pelìde
colpì senza fallir lo smisurato
scudo nel mezzo. Ma il divino arnese
la respinse lontan. Crucciossi Ettorre,
visto uscir vano il colpo, e non gli essendo
pronta altra lancia, chinò mesto il volto,
e a gran voce Deifobo chiamando,
una picca chiedea: ma lungi egli era.
Allor s’accorse dell’inganno, e disse:
«Misero! a morte m’appellâr gli Dei.
Credeami aver Deifobo presente;
egli è dentro le mura, e mi deluse
Minerva. Al fianco ho già la morte, e nullo
v’è più scampo per me. Fu cara un tempo
a Giove la mia vita, e al saettante
suo figlio, ed essi mi campâr cortesi
ne’ guerrieri perigli. Or mi raggiunse
la negra Parca. Ma non fia per questo
che da codardo io cada: periremo,
ma glorïosi, e alle future genti
qualche bel fatto porterà il mio nome».
(Traduzione di V. Monti)
La lancia di Achille non mancò il suo bersaglio e colpì mortalmente
al collo il valoroso Ettore, che con il suo ultimo respiro predisse la
morte imminente al suo acerrimo nemico. Ma alla vendetta di Achille
non bastò la sua morte: furente di odio, dopo avergli bucato i calcagni
e averli trapassati con un guinzaglio legato al cocchio, trascinò il corpo
di Ettore nella polvere intorno alle mura di Troia.
88
Il racconto epico
Unità 2
FATTI E PERSONAGGI
1. Quale giuramento Ettore chiede ad Achille?
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2. Perché Achille rifiuta di farlo?
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3. Che cosa fa capire ad Ettore che la sua morte è prossima?
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4. Perché Ettore pensa che sia importante il ricordo che lui lascerà alle “future genti”?
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LINGUA
1. Cerca nel testo gli epiteti presenti.
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89
Epica
Mito, epica, leggenda
PRODUZIONE
1. Disegna le fasi del duello tra Ettore e Achille e titola le vignette.
continua 90
Il racconto epico
2. Seguendo il fumetto che hai disegnato, scrivi ora un riassunto del brano.
Unità 2
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91
Epica
Mito, epica, leggenda
Il riscao del corpo di Eore
Solo quando il vecchio re Priamo, dopo qualche giorno, si presentò
da lui a chiedergli la restituzione del corpo del figlio, per rendergli gli
onori funebri, Achille sentì placarsi l’odio nel proprio cuore e accon‐
sentì alla richiesta del vecchio re, il cui aspetto e la cui età gli ricorda‐
vano quella del proprio padre Peleo.
Libro XXIV,
vv. 488-522
491-492. forse… angustiano:
forse anche Peleo può
essere offeso da popoli
vicini.
A lui come supplice Priamo si volse:
«Rammenta tuo padre, Achille che un dio rassomigli;
egli su l’ultima scura soglia è di vecchiezza
come son io; e forse i vicini anche lui
angustiano; forse nessuno trattiene
lontano sciagura e rovina da lui.
Ma certo sentendo dire di te che almeno sei vivo
gode il suo cuore e spera ogni giorno
di vedere il figliuolo tornare da Troia;
infelice del tutto invece son io, che di forti
92
Il racconto epico
figli in Ilio ampia fui padre e nessuno mi sembra
che più me ne resti: cinquanta ne avevo
quando giunsero i Danài dal mare;
diciannove da un unico uscirono grembo materno
e da donne diverse gli altri mi nacquero in casa.
Molti di loro Ares furente mi tolse;
e quello che a me rimaneva, sola difesa
di Troia, tu poco fa l’hai ucciso
mentre la patria sua difendeva lottando,
Ettore: per lui son venuto alle navi
de’ Dànai, da te a riscattarlo, e infiniti
doni ti porto. Rispetta gli dèi,
o Achille, e di me stesso pena ti prenda
a tuo padre pensando; più degno di lui
son io di pietà, che di più ho sofferto
di qualsiasi mortale, io che la bocca
su la mano ho premuto dell’uomo che uccise mio figlio».
Così disse; e in lui suscitò desiderio
di piangere il padre. Ed ecco per mano
il vecchio egli prese, placidamente, e da sé
lo scostò. Pensavano entrambi: molto piangeva
al pensiero di Ettore Priamo piegato
ai piedi di Achille; Achille piangeva suo padre
e Patroclo ancora; e su per la tenda
alto sorgeva il suono del pianto.
(Traduzione di E. Cetrangolo, Sansoni, Firenze)
Unità 2
498. Ilio: antico nome di Troia.
500. Danai: altro nome con
cui venivano definiti i
greci, perché discendenti di Danao.
503. Ares furente: la guerra
furibonda. Ares era il
dio della guerra.
513-514. io… figlio: è un gesto di supplica.
517-518. da sé lo scostò: non
è un gesto di superbia,
ma di pietà. Achille non
vuole che il vecchio Priamo si umili ancora.
FATTI E PERSONAGGI
1. Per convincere Achille a restituirgli il corpo di Ettore, Priamo si paragona al padre dell’eroe.
Quali sono, però, le differenze e le somiglianze tra la sua condizione e quella di Peleo?
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2. Che cosa commuove Achille e perché egli piange?
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3. Il gesto di scostare da sé il vecchio Priamo, quale lato del carattere di Achille ti fa intuire?
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93
Epica
Mito, epica, leggenda
LINGUA
1. Nel brano ci sono molte parole che si riferiscono al dolore. Cercale e per ognuna di esse trova
un contrario.
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PRODUZIONE
1. Svolgi la parafrasi del brano.
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2. Spiega con parole tue quali sentimenti il re Priamo sente nel proprio cuore, nel momento in cui
si umilia e bacia la mano di chi gli ha ucciso il figlio.
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Con questo episodio termina il poema di Omero, ma se vuoi conoscere
il racconto completo della storia della guerra di Troia, continua a leggere…
94
Il racconto epico
La morte di Achille
Ma era ora tempo che si compisse il destino di Achille: niente e
nessuno avrebbero potuto cambiare la volontà del Fato . Gli era stata
data, infatti, dagli dei la possibilità di scegliere se vivere a lungo senza
gloria e sconosciuto a tutti o avere una vita breve e famosa per le im‐
prese che avrebbe compiuto. Achille aveva scelto quest’ultima e il suo
destino era stato segnato per sempre. Greci e Troiani continuarono
ad affrontarsi in battaglia e, durante uno scontro, mentre l’eroe greco
stava facendo strage dei nemici, Paride, non visto da nessuno ma aiu‐
tato dal dio Apollo, scagliò contro di lui la freccia mortale, che colpì
Achille nell’unico punto vulnerabile del suo invulnerabile corpo: il
tallone che la madre Teti, stringendolo nella mano mentre lo immer‐
geva nel fiume Stige, le cui acque avevano il potere di rendere im‐
mortali, aveva dimenticato di bagnare.
La freccia mortale penetrò nel tallone, la vita fuggì dal corpo del‐
l’eroe... e così si compì il destino del valoroso Achille, che di sua volontà
aveva scelto una vita breve, ma ricca di gloria.
Unità 2
1. Fato: legge eterna e immutabile che regolava il destino di uomini e dei, a cui
neppure Zeus poteva opporsi.
Rifletti su… il lessico
Qual è il significato dell’aggettivo vulnerabile?
E qual è il suo contrario?
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Rifletti su… il lessico
Che cosa vuol dire
l’espressione “avere un
tallone d’Achille?”
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95
Epica
Mito, epica, leggenda
L‘inganno del cavallo
Rifletti su… il lessico
Che cosa vuol dire “essere una Cassandra”?
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Rifletti su… il lessico
Che cosa vuol dire “usare un cavallo di Troia”?
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L’assedio di Troia durava ormai da dieci anni e tutti i soldati e i capi
greci erano ormai esausti e sfiniti: allora l’astuto Ulisse, su ispirazione
della dea Atena, sua protettrice, escogitò un abile piano: fece costruire
un enorme cavallo di legno, si rinchiuse con un gruppo di guerrieri
scelti all’interno del suo ventre vuoto e disse agli altri Greci di imbar‐
carsi sulle navi, fingendo di partire, ma in realtà nascondendosi dietro
l’isola di Tenedo.
Quando al mattino i Troiani videro l’accampamento vuoto e
l’enorme cavallo di legno abbandonato sulla spiaggia, rimasero stupe‐
fatti e non sapevano cosa fare: distruggerlo o portarlo all’interno della
città?
Ma appena videro due mostruosi serpenti venire dal mare e assalire
e uccidere a morsi il sacerdote Lacoonte, che aveva consigliato di bru‐
ciare il cavallo, insieme ai suoi due figlioletti, i Troiani non esitarono
più: abbatterono una parte delle mura della città e lo portarono fin nel
centro di Troia, nonostante Cassandra, la figlia di Priamo, profetizzasse
l’imminente rovina di Troia. Nessuno l’ascoltò, poiché ella, che aveva
rifiutato l’amore di Apollo, aveva ricevuto dal dio il dono della profezia,
ma anche la punizione che nessuno le credesse mai.
I Troiani festeggiarono per tutta la notte la fine dell’assedio, ma
quando ubriachi si addormentarono profondamente... Ulisse e i suoi
compagni uscirono silenziosamente dal ventre del cavallo di legno,
mentre le navi greche già erano ritornate da Tenedo, e aprirono le porte
della città ai soldati: l’esercito greco fece strage dei Troiani, distrusse le
case, incendiò i templi, fino a che, all’alba, tutta la città fu un unico,
immenso rogo.
Fu quella l’ultima notte di Troia...
96
Il racconto epico
Approfondimenti
UNO SGUARDO AL MONDO DEL CINEMA
Puoi ripercorrere la storia dell’Iliade anche attraverso la visione del film Troy.
97
Unità 2
Epica
Omero
Anche l’Odissea comincia con un proemio, in
cui Omero invoca la Musa Calliope di ispirarlo
nella composizione dell’opera in cui racconterà
le avventure di Ulisse,
“l’uomo dal multiforme
ingegno”.
Mito, epica, leggenda
L’Odissea
ovvero la storia
delle vicende di Ulisse
L’Odissea è l’altro grande poema epico greco attribuito all’opera del
poeta Omero. L’argomento del poema tratta principalmente delle avven‐
ture capitate all’eroe greco Odisseo (o Ulisse, alla latina) durante il suo
lungo viaggio di ritorno verso la sua patria Itaca, dopo la caduta di Troia.
Libro I, vv. 1-16
* l’indicazione dei passi fa riferimento al testo dell’opera in lingua originale
1. Musa: è Calliope, la musa
protettrice della poesia epica.
multiforme ingegno: intelligenza versatile, che sa riuscire sempre in ogni situazione.
2. errò: vagò.
2-3. poi ch’ebbe… torri: dopo che
ebbe distrutto le sacre torri di
Troia. Ulisse era stato l’artefice
principale della conquista di
Troia, poiché aveva escogitato
lui l’inganno del cavallo di legno.
5. indol: indole, cioè il carattere,
la natura. sovr’esso: sopra.
6. affanni: angosce.
7. guardar: salvare. intende: si
sforza.
8. indarno: invano, inutilmente.
9. desiava: desiderava.
10. che… periro: perché morirono tutti a causa delle loro colpe.
11. osaro: osarono.
12. Iperion: il Sole era figlio del
Titano Iperone.
13. con empio dente: con denti
sacrileghi, perchè i compagni
di Ulisse mangiarono e quindi, addentarono, le carni dei
buoi sacri. irritaro il Nume: irritarono la il dio.
14. che del ritorno… addusse:
che non permise loro di vedere il giorno del ritorno.
15. ammirande: degne di ammirazione.
16. anco: anche. Diva: dea.
Musa, quell’uom di multiforme ingegno
dimmi, che molto errò, poi ch’ebbe a terra
gittate d’Ilïón le sacre torri;
che città vide molte, e delle genti
l’indol conobbe; che sovr’esso il mare
molti dentro del cor sofferse affanni,
mentre a guardar la cara vita intende,
e i suoi compagni a ricondur: ma indarno
ricondur desïava i suoi compagni,
che delle colpe lor tutti perîro.
Stolti! Che osâro vïolare i sacri
al Sole Iperïon candidi buoi
con empio dente, ed irritaro il Nume,
che del ritorno il dì lor non addusse.
Deh! Parte almen di sì ammirande cose
narra anco a noi, di Giove figlia e Diva.
(Traduzione di I. Pindemonte)
98
Il racconto epico
Unità 2
FATTI E PERSONAGGI
1. Qual è la principale caratteristica di Ulisse che viene messa in evidenza nel proemio?
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2. Quali sono le azioni compiute dall’eroe?
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3. Quale grave colpa hanno commesso i compagni di Ulisse?
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4. Chi li ha puniti? E come? .............................................................................................................................................................
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LINGUA E STRUTTURA
1. Sottolinea nel proemio in rosso i versi che contengono l’invocazione alla Musa e in blu i versi
che contengono la protasi.
2. Questa traduzione del poema presenta molti termini che oggi sono poco usati: sottolineali nel
testo e trova, per ognuno di essi, il termine moderno più adatto.
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3. “L’uomo dal multiforme ingegno” è una perifrasi, cioè un “giro di parole” con cui si sceglie di
indicare una persona o una cosa attraverso una frase intera, invece di usare i termini propri.
Questa è una figura retorica molto usata nella poesia epica. Prova a sostituire alla perifrasi i
termini propri :
“l’uomo dal multiforme ingegno” =
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PRODUZIONE
1. Esegui la costruzione diretta del proemio.
2. Svolgi la parafrasi del proemio.
3. Confronta il proemio dell’Iliade e quello dell’Odissea. Quali sono le somiglianze? E quali le
differenze?
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99
Epica
Mito, epica, leggenda
L’isola dei lotofagi1
1. lotofagi: mangiatori di fiori
di loto
Il poema comincia con la partenza di Telemaco, figlio di Ulisse, alla ri‐
cerca di notizie sul padre; successivamente l’azione si sposta nell’isola di
Ogigia, dove Ulisse da sette anni è trattenuto dalla ninfa Calipso, alla quale
gli dei ordinano di lasciarlo partire. Ulisse prende il mare su una zattera,
ma una tempesta lo fa naufragare e lo getta sull’isola dei Feaci, dove è ac‐
colto dal re Alcinoo, che gli chiede chi egli sia e quale sia la sua storia. Al‐
lora Ulisse gli risponde:” Ma ora voglio narrare le ansie e le lotte del viaggio,
che Zeus m’impose quando partii da Troia.”
Ulisse, re di Itaca, dopo la distruzione di Troia aveva caricato il bot‐
tino di guerra sulle sue dodici navi e insieme ai compagni navigava
verso la sua patria, quando una terribile tempesta rischiò di sommer‐
gerli. Ma, appena il mare si calmò essi videro in lontananza il profilo
dell’isola di Itaca e già pensavano di essere a casa: improvvisamente,
però, si alzò un vento
sfavorevole, che li por‐
tò fuori rotta, fino a
farli approdare su di
un isola deserta.
Ulisse mandò in
esplorazione alcuni
suoi uomini ma, non
vedendoli tornare, an‐
dò a cercarli e lì trovò
che stavano felici e
tranquilli in mezzo a
persone sconosciute,
mangiando dei fiori
rossi e profumati, i
fiori del loto, che face‐
vano dimenticare ogni
tristezza e ogni deside‐
rio. Ulisse rifiutò di
mangiarli, perché capì
che avrebbe perso il
desiderio di ritornare a casa, come era già capitato ai compagni che egli
ricondusse alle navi con la forza.
Ripresa la navigazione, approdarono su un’isola abitata solo da ca‐
pre, ma l’eroe si accorse che, da un’isola posta di fronte, si alzava un
filo di fumo e, incuriosito, decise di andare a vedere chi la abitasse, fa‐
cendosi accompagnare da pochi compagni.
100
Il racconto epico
Unità 2
Nell’antro1 del Ciclope:
l’incontro con Polifemo
Con una sola nave Ulisse e i suoi compagni raggiunsero ben presto
l’isola e si diressero verso il filo di fumo che avevano visto: entrarono
in una immensa caverna, dove c’erano numerose e grandissime
ceste piene di grossi formaggi ed enormi vasi colmi
di latte. Mentre, stupiti, si guardavano intorno
videro arrivare il padrone di casa, un gigante
smisurato, accompagnato dal suo gregge.
Terrorizzati si nascosero in fondo alla
caverna, mentre il gigante chiuse con
un macigno enorme l’ingresso dell’an‐
tro, si mise a mungere le capre e ac‐
cese il fuoco. Ma alla luce delle
fiamme si accorse degli uomini e,
chiedendo loro chi fossero, mostrò il
proprio viso mostruoso, reso ancora
più spaventoso da un unico occhio
piantato in mezzo alla fronte.
Ulisse si fece coraggio e gli rispose
che erano guerrieri di ritorno da Troia e
che gli chiedevano ospitalità in nome del
grande dio Zeus, ma il gigante ribattè…
I Ciclopi non si curano di Zeus, signore dell’egida,
né degli dei beati: noi siamo molto più forti.
Non ti risparmierò certo per timore dell’odio di Zeus,
né te né i tuoi compagni, se altro vuole il mio cuore.
Ma dimmi: dove hai messo la tua solida nave,
in fondo o qui vicino? Voglio saperlo”.
Così disse tentandomi, ma non m’ingannò: ne sapevo
[abbastanza,
e gli risposi a mia volta con astute parole:
“La nave me l’ha spezzata Poseidone che scuote la terra,
scagliandola contro le rocce ai confini della vostra terra,
sul promontorio dove ci condusse il vento.
Io con questi compagni sono sfuggito all’abisso di morte”.
Così dissi, e con cuore spietato non mi rispose neppure;
con un balzo stese le mani sui miei compagni,
e prese insieme due e li sbatté come cuccioli
per terra, ne uscì il cervello e bagnò il pavimento.
101
1. antro: caverna.
Libro IX,
vv. 275-298
275. egida: era lo scudo di
Zeus.
283. Posidone: era il dio del
mare. Ulisse non sa ancora che è il padre di
Polifemo.
Epica
294. noi… le mani: è il gesto
della preghiera e della
supplica agli dei.
297. schietto: puro e semplice.
Mito, epica, leggenda
Li fece a pezzi e si preparò la sua cena:
li mangiava come un leone montano, e non lasciava
carni né viscere né midollo delle ossa.
Noi sollevammo piangendo a Zeus le mani,
a vedere quei fatti orrendi, e la disperazione ci prese.
Dopo che il Ciclope ebbe riempito il grande ventre
di carne umana e bevuto il latte schietto,
si distese in fondo alla grotta tra le sue pecore.
FATTI E PERSONAGGI
1. Polifemo è un Ciclope. Quali caratteristiche presentano i Ciclopi, secondo quanto egli stesso
dice? ........................................................................................................................................................................................................
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2. Quale domanda rivolge ad Ulisse?
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continua 102
Il racconto epico
Unità 2
3. Perché Ulisse dice di saperne abbastanza e perciò decide di mentire, rispondendo al Ciclope?
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4. Polifemo si dimostra un essere crudele. Cosa fa?
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LINGUA
1. Trova gli epiteti esornativi contenuti nel brano.
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2. Il Ciclope è paragonato a un leone montano e i compagni di Ulisse a cuccioli. Cosa vuole mettere in evidenza il poeta con questi paragoni?
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3. Attraverso quali parole il poeta sottolinea il carattere astuto di Ulisse? ......................................................
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PRODUZIONE
1. Trova cinque aggettivi per definire il Ciclope e cinque per definire Ulisse.................................................
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2. Riscrivi con parole tue la scena in cui il Ciclope afferra e divora i compagni di Ulisse. ...................
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103
Epica
Mito, epica, leggenda
Nell’antro del ciclope:
il piano di Ulisse
Per tutta la notte Ulisse pensò a come uccidere il Ciclope, ma si ren‐
deva conto che non sarebbe mai uscito dalla caverna, perché solo il
mostruoso gigante aveva la forza necessaria per spostare il masso che
chiudeva l’ingresso.
All’alba il Ciclope afferrò altri due Greci e ripetè il suo orrendo pasto,
poi uscì a far pascolare il gregge, richiudendo l’antro con lo stesso ma‐
cigno; ma Ulisse, dopo aver a lungo riflettuto, escogitò un piano e lo
comunicò ai suoi compagni.
Presero tutti insieme un tronco d’albero, che era in fondo alla spe‐
lonca, lo affilarono ad una estremità e lo nascosero… dopo che il Ci‐
clope fu ritornato e ebbe mangiato altri due compagni, Ulisse gli si av‐
vicinò e gli offrì del vino puro, che aveva portato con sé. Il Ciclope bevve
volentieri, ne chiese ancora e ancora, poi domandò ad Ulisse il suo
nome, perché voleva fargli un regalo di ospitalità, ma l’eroe, astuta‐
mente, rispose di chiamarsi Nessuno e di volere sapere che tipo di re‐
galo avrebbe avuto; il Ciclope promise di mangiarlo per ultimo poi,
completamente ubriaco, piombò in un sonno profondissimo, e allora…
Libro IX,
vv. 375-414
375. io: è Ulisse che parla.
392. geme: stride. temprandosi: indurendosi.
Io allora misi il palo sotto la cenere
per farlo riscaldare, e incoraggiavo i compagni,
che nessuno avesse paura e mi abbandonasse.
Ma quando il tronco d’olivo stava per prendere fuoco
pur essendo verde – splendeva terribilmente –,
lo estrassi dal fuoco; attorno avevo i compagni:
un dio ispirava in noi un grande coraggio.
Presero il tronco d’olivo e ne ficcarono
la cima aguzza nell’occhio, ed io da sopra appoggiato,
lo giravo come quando si trapana una asse di nave;
da sotto gli uomini tirano con le cinghie, attaccati
alle due parti, e il trapano corre incessante:
così, tenendo nell’occhio il lungo palo,
lo giravamo, e sulla punta ardente scorreva il sangue.
Tutte le palpebre e le sopracciglia bruciavano,
ardeva il bulbo e friggevano le radici nel fuoco.
Come quando il fabbro immerge una grande scure o un’accetta
nell’acqua gelida, e il ferro geme temprandosi,
(tale è la forza del ferro), così a quel modo
l’occhio sfrigolava attorno al palo d’olivo.
Diede un grido feroce e riecheggiò la montagna;
noi fuggimmo atterriti. Il Ciclope strappò dall’occhio
104
Il racconto epico
il palo sporco di molto sangue, furioso
per il dolore lo scagliò molto lontano.
Chiamava a gran voce i Ciclopi che vivono
lì attorno, nelle spelonche sulle cime ventose.
Sentendo la sua voce accorrevano da ogni parte
e davanti alla grotta gli chiedevano che cosa avesse.
“Perché, Polifemo, queste grida angoscianti,
che ci tolgono sonno nella notte divina?
Forse qualche uomo ti sta rubando le greggi
o qualcuno t’uccide con l’inganno o con la forza?”
Da dentro alla grotta rispose il Ciclope fortissimo:
“Amici, Nessuno m’uccide, con l’inganno e non con la forza”.
E loro gli risposero queste parole alate:
“Se nessuno ti fa violenza e sei solo,
non puoi sfuggire a un male mandato da Zeus;
prega piuttosto tuo padre, il dio Poseidone”.
Così dissero, e se ne andarono, e il mio cuore rideva:
il nome l’aveva ingannato e l’astuzia impeccabile.
Unità 2
400. spelonche: caverne.
411. non puoi… Zeus: ingannati dall’astuzia del
nome, i Ciclopi pensano
a una malattia inviata
da Zeus.
412. prega… Poseidone: qui
viene rivelato che Poseidone è il padre di Poliremo.
414. impeccabile: perfetta.
FATTI E PERSONAGGI
1. Qual è il piano che Ulisse ha escogitato?
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continua 105
Epica
Mito, epica, leggenda
2. Come lo mette in pratica?
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3. Cosa fa il Ciclope, dopo essere stato colpito?
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4. Perché gli altri Ciclopi fraintendono le parole di Polifemo?
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5. In cosa è consistito l’inganno del nome?
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LINGUA E STRUTTURA
1. Il brano si può dividere in quattro momenti narrativi: quali? .............................................................................
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2. Qual è dei quattro il momento più drammatico?
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3. Trova e spiega con parole tue le due similitudini presenti nel brano. ...........................................................
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4. Prova a spiegare perché il poeta usa gli epiteti “ventose”, “divina” e “alate” riferiti rispettivamente alle cime dei monti, alla notte e alle parole.
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5. Spiega perché “Nessuno” è scritto con la maiuscola al verso 408 e con la minuscola al verso 410.
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6. Perché l’astuzia è definita impeccabile?
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106
Il racconto epico
Unità 2
PRODUZIONE
1. Stendi il riassunto del brano. ...................................................................................................................................................
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2. Forse anche a te è capitato di aver agito con astuzia per tirarti fuori da una situazione difficile.
Racconta…
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All’alba Polifemo doveva aprire l’ingresso della caverna e fare uscire
le capre al pascolo, ma per evitare che i Greci fuggissero tastava con le
mani gli animali, mentre meditava la vendetta. Ulisse però aveva un
piano pronto anche per la fuga: legò i compagni sotto il ventre delle
capre e lui stesso si aggrappò al ventre lanoso del montone, in modo
che potessero fuggire dalla caverna, senza che Polifemo se ne accor‐
gesse.
Usciti dall’antro, i Greci corsero subito alla nave e salparono, ma
Ulisse non seppe resistere alla tentazione di beffare il Ciclope e a gran
voce gli urlò di averlo attirato nel tranello del nome e che se mai qual‐
cuno gli avesse chiesto chi lo aveva accecato, avrebbe dovuto rispon‐
dere che era stato Ulisse, il re di Itaca. Polifemo, furibondo, divelse la
cima di una montagna e la scagliò nel mare, senza riuscire a colpire la
nave greca, poi pregò il proprio padre Posidone di vendicarlo, impe‐
dendo o almeno ostacolando il più possibile il ritorno in patria di
Ulisse: il dio del mare sentì la richiesta del figlio e giurò odio implaca‐
bile contro l’eroe greco e i suoi compagni.
107
1. beffare: deridere, prendersi
gioco di qualcuno.
2. divelse: sradicò, staccò.
Epica
Mito, epica, leggenda
Eolo, il re dei ven
Nel frattempo i Greci, ripresa la navigazione, approdarono su di
un’isola dove abitava Eolo, il dio dei venti, il quale li accolse cordial‐
mente e li ospitò per circa un mese. Al momento della loro partenza,
il dio consegnò ad Ulisse un grosso sacco, dove aveva rinchiuso tutti i
venti sfavorevoli alla navigazione, lasciando libero solo Zefiro, il vento
adatto a riportarli in patria.
Itaca era già in vista, quando Ulisse, stanco, si addormentò e i suoi
compagni aprirono il sacco, convinti che contenesse splendidi tesori:
subito una tempesta di venti sconvolse il mare e riportò indietro la
nave, fino all’isola di Eolo, ma il dio stavolta rifiutò di aiutare Ulisse,
che con tanta evidenza era stato ostacolato dagli dei.
108
Il racconto epico
Unità 2
Circe, la maga ingannatrice
Rimessisi in mare, i Greci, dopo essere sfuggiti anche ai Lestrigoni,
giganti mangiatori di carne umana, giunsero all’isola di Eea, e Ulisse
ordinò a una squadra di uomini, sotto il comando di Euriloco, di andare
in esplorazione. Essi arrivarono in vista di un magnifico palazzo di
marmo e furono circondati da lupi e leoni che, però, scodinzolavano:
entrati nel palazzo, videro una donna bellissima, che li invitò ad en‐
trare e offrì loro cibo e bevande. Solo Euriloco, sospettoso, rimase fuori
e vide con i propri occhi uno spettacolo spaventoso: la donna bellis‐
sima, toccandoli con un bastoncino, trasformò gli uomini in porci e li
rinchiuse in una stalla.
Allora Euriloco corse da Ulisse, gli descrisse l’orribile metamorfosi a cui aveva assistito e subito l’eroe si
precipitò a salvare i compagni, ma,
mentre attraversava il bosco, fu
fermato da Ermes, che gli conse‐
gnò un fiore bianchissimo con
una radice scura, da cui ri‐
cavare un infuso da bere
per non essere trasfor‐
mato in porco; inoltre gli
spiegò che la donna bel‐
lissima era la maga Circe
e che avrebbe dovuto mi‐
nacciarla con la spada. Ella
gli avrebbe chiesto di rima‐
nere con lei e Ulisse avrebbe
dovuto accettare solo a patto
che restituisse ai suoi compa‐
gni l’aspetto umano.
L’eroe seguì i consigli del
dio e rese innocua la maga,
tanto che si trattenne presso
di lei per un anno insieme
ai suoi compagni, fin‐
ché decise di ripartire;
allora Circe gli consigliò
di recarsi nel regno dei
morti, per interrogare lo
spirito dell’indovino Ti‐
resia e ricevere indica‐
zioni per il viaggio.
109
1. metamorfosi: trasformazione.
Epica
Mito, epica, leggenda
La discesa negli inferi
1. Trinacria: è l’isola di Sicilia,
così chiamata perché ha tre
punte.
2. peregrinazioni: viaggi, vagabondaggi.
3. ammaliatore: incantatore.
4. gorghi: vortici delle acque
del mare.
Accettato il consiglio della maga, Ulisse si recò nella terra dei Cim‐
meri, dove Circe gli aveva ordinato di compiere un sacrificio agli dei
inferi: scavò una fossa, vi versò vino, miele, poi acqua e farina bianchis‐
sima, poi sacrificò una pecora nera e un montone alle anime dei morti.
Ed ecco… intorno alla fossa comparve una folla di anime di tutte le
età, e tutte volevano bere il sangue degli animali sacrificati, ma Ulisse
sapeva che non doveva permetterlo, se prima non avesse bevuto Tire‐
sia. Appena l’indovino si presentò e bevve il sangue, predisse il futuro
dell’eroe greco, rivelandogli che avrebbe placato l’ira di Posidone, se
una volta giunto nell’isola di Trinacria non avesse toccato i buoi del
Sole, che sarebbe tornato ad Itaca su
una nave straniera ma avrebbe trovato
la sua casa piena di principi prepotenti,
pretendenti alla mano di sua moglie Pe‐
nelope, ed egli avrebbe dovuto ucci‐
derli, per poi rimettersi in viaggio por‐
tando con sé un remo e giungere presso
un popolo, che non conosceva né il
mare, né il sale e che avrebbe scambiato
quel remo per la pala di un mulino. Al‐
lora, e solo allora, sarebbero finite le sue
peregrinazioni e avrebbe potuto vivere
tranquillo a Itaca.
Dopo che l’indovino ebbe finito di
parlare, si avvicinò la madre di Ulisse,
Anticlea, la quale bevve il sangue, rico‐
nobbe il figlio e gli raccontò che Penelope, sua moglie, era sempre fe‐
dele al marito, che Telemaco, il figlio, cresceva degno di Ulisse, e che
Laerte, il vecchio padre, sentiva sempre più acuto il dolore per la lon‐
tananza dell’eroe. Ulisse tentò invano di abbracciarla una, due, tre
volte, perché non riusciva a stringere altro che una nebbia sottile.
Nel frattempo intorno alla fossa si affollavano le anime degli eroi
morti a Troia o durante il ritorno in patria: Agamennone, che gli rivelò
di essere stato ucciso dalla moglie, Patroclo e lo stesso Achille, il quale
gli confessò che, pur di tornare a vedere la dolce luce del sole, avrebbe
accettato di vivere come un contadino…
Ma era ormai tempo di allontanarsi dal regno dei morti e Ulisse ri‐
tornò all’isola di Circe, dove la donna offrì ai Greci un ultimo banchetto
e diede ad Ulisse un ultimo avvertimento, affinché superasse gli altri
pericoli che lo aspettavano nel suo lungo viaggio: il canto ammaliatore delle Sirene e i gorghi mortali dei mostri Scilla e Cariddi.
110
Il racconto epico
Unità 2
I mostri del mare: le Sirene…
Poco dopo aver lasciato l’isola di Circe, la nave greca giunse in vista
dell’isola delle Sirene, uccelli mostruosi dal volto di donna, che canta‐
vano con una tale dolcezza da attirare verso di loro chiunque le ascol‐
tasse, per poi ucciderlo. Ulisse, come la maga gli aveva consigliato,
chiuse le orecchie dei suoi compagni con tappi di cera e si fece legare
all’albero maestro, ordinando a tutti di non slegarlo per nessun motivo,
neanche se li avesse scongiurati di farlo: solo così avrebbe potuto ascol‐
tare il canto delle Sirene e rimanere vivo.
Ma come tanto fummo lontani, quanto s’arriva col grido,
correndo in fretta, alle Sirene non sfuggì l’agile nave
che s’accostava: e un armonioso canto intonarono.
«Qui, presto, vieni, o glorioso Odisseo, grande vanto degli Achei,
ferma la nave, la nostra voce a sentire.
Nessuno mai si allontana di qui con la sua nave nera,
se prima non sente, suono di miele, dal labbro nostro la voce;
poi pieno di gioia riparte, e conoscendo più cose.
Noi tutto sappiamo, quanto nell’ampia terra di Troia
Argivi e Teucri patirono per volere dei numi;
tutto sappiamo quello che avviene sulla terra nutrice».
111
Libro XII,
vv. 181-200
181. Ma…lontani: Chi racconta è sempre Ulisse.
182. agile: veloce.
184. Odisseo: è il nome greco di Ulisse.
186. nera: la nave è definita
così perché sulla chiglia
si spalmava pece nera.
187. suono di miele: è riferito
a voce. Il canto delle Sirene ha un suono che
per l’udito è dolce, tanto
quanto il miele è dolce
per il gusto. Questa è
una sinestesia, una figura retorica, molto usata
in poesia, che crea
un’immagine attraverso
l’associazione di termini
che si riferiscono a sensazioni che provengono
da differenti organi di
senso: in questo caso
l’immagine del canto
dolce è creata dal poeta
collegando il senso dell’udito a quello del gusto.
190. Argivi e Teucri: Greci e
Troiani. patirono: soffrirono.
191. nutrice: che nutre, che
produce alimenti.
Epica
194. a corpo perduto: senza
risparmiare le forze.
195. Perimède ed Eurìloco:
sono due compagni di
Ulisse.
Mito, epica, leggenda
Così dicevano alzando la voce bellissima, e allora il mio cure
voleva sentire, e imponevo ai compagni di sciogliermi,
coi sopraccigli accennando; ma essi a corpo perduto remavano.
E subito alzandosi Perimède ed Eurìloco
nuovi nodi legavano e ancora più mi stringevano.
Quando alla fine le sorpassarono, e ormai
né voce più di Sirene udivamo, né canto,
in fretta la cera si tolsero i miei fedeli compagni,
che negli orecchi avevo a loro pigiato, e dalle corde mi sciolsero.
FATTI E PERSONAGGI
1. Che cosa dicono le Sirene nel loro canto?
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2. Come reagisce Ulisse al canto delle Sirene? ..................................................................................................................
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3. Che cosa fanno i suoi compagni?
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4. Perché Ulisse vuole sentire il canto delle Sirene?
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5. Quale aspetto del carattere di Ulisse viene messo in evidenza in questo brano?
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LINGUA
1. Nel brano sono presenti molti termini che si riferiscono all’ascolto. Individuali.
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2. Collega ciascun nome al corrispondente epiteto
Odisseo
Nave
Terra
Nave
nera
nutrice
agile
nutrice
112
Il racconto epico
Unità 2
PRODUZIONE
1. Spiega con parole tue l’espressione “essere attirati dal canto delle Sirene”.
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2. Secondo gli antichi le Sirene avevano viso di donna e corpo di uccello ed erano brutte e mostruose. Nel medioevo, invece, le Sirene erano rappresentate con corpo di donna e coda di
pesce ed erano bellissime. Prova a disegnare i due tipi di Sirena.
continua 113
Epica
Mito, epica, leggenda
3. A una Sirena, Partenope, è collegata l’origine della città di Napoli. Ricerca il mito di Partenope
e raccontalo con parole tue.
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Fontana della Sirena, Napoli.
114
Il racconto epico
Unità 2
… Scilla e Cariddi
Ma, superato il pericolo delle Sirene, ecco giungere quello di Scilla
e Cariddi!
La nave greca, presso lo stretto di Sicilia, doveva passare attraverso
due scogli: da uno si sentivano provenire quello che poteva sembrare
il guaito di un cane, ma era, invece, il verso di Scilla (cfr. mito pag. ),
un orrendo mostro marino, che con le sue sei bocche fornite di tre file
di denti afferrava e divorava gli infelici naviganti, sull’altro viveva Ca‐
riddi, la mostruosa creatura che per tre volte al giorno ingoiava e poi
risputava l’acqua del mare. Ulisse, seguendo il consiglio di Circe, or‐
dinò ai compagni di tenere la nave lontana da Cariddi, che li avrebbe
inghiottiti tutti, e di rasentare Scilla.
Gli uomini eseguirono il suo ordine, guardando però con terrore le
onde schiumanti del mare ingoiate e poi risputate fuori dal mostro, in
mezzo al fragore terribile delle acque; così né essi né lo stesso Ulisse si
accorsero che alle loro spalle Scilla aveva tirato fuori le sue sei bocche
e in un attimo aveva divorato sei loro compagni…
115
1. rasentare: passare vicino.
Epica
Mito, epica, leggenda
I buoi del Sole
1. sacrilegio: peccato gravissimo.
2. sinistri: minacciosi, che fanno paura.
3. schiantò: spezzò, spaccò.
4. inabissare: affondare.
5. relitto: rottame, avanzo di
un naufragio.
Con l’animo straziato dal dolore per la morte dei compagni, i Greci
continuarono la loro navigazione, ma quando Ulisse propose di non
fermarsi nell’isola di Trinacria, per non rischiare di recare danno ai
buoi del Sole, essi rifiutarono la proposta e chiesero di potersi riposare
sulla terraferma, promettendo che non avrebbero in nessun modo toc‐
cato gli animali sacri.
Ma una volta toccata terra, un vento tempestoso impedì loro per sei
giorni di riprendere il mare, e gli uomini, affamati, dimenticarono la
loro promessa: approfittando del fatto che Ulisse si era addormentato,
uccisero, arrostirono e mangiarono alcuni buoi.
Ulisse, svegliato dal profumo della carne arrostita, corse dai com‐
pagni per rimproverarli della loro pazzia, ma ormai il sacrilegio era
stato compiuto e il Sole preannunciava la sua vendetta: le pelli scuoiate
dei buoi cominciarono a strisciare per terra e i pezzi di carne non an‐
cora cotti emettevano sinistri muggiti.
Ed ecco che non appena la nave riprese il mare, un vento furioso
strappò le vele e schiantò l’albero maestro, mentre un fulmine colpiva
la nave, facendola inabissare e trascinando nelle profondità del mare
tutti gli uomini.
Solo Ulisse, che non aveva toccato i sacri buoi, si salvò, aggrappan‐
dosi a un relitto e, dopo essere stato sballottato dalla corrente per nove
giorni e nove notti, riuscì finalmente a toccare terra.
116
Il racconto epico
Unità 2
La ninfa Calipso
L’isola su cui Ulisse era giunto, era abitata dalla bella ninfa Calipso,
che lo accolse festosamente e gli offrì ospitalità nella sua dimora, una
spaziosa grotta, profumata di tiglio e cedro, coperta dai grappoli di
una vite e posta su prati verdissimi rallegrati da freschi ru‐
scelli e tenere violette.
La ninfa, innamoratasi dell’eroe, non voleva la‐
sciarlo partire e gli offrì il dono dell’eterna giovi‐
nezza, purchè egli accettasse di sposarla. Ma
Ulisse, benché sapesse di non poter tornare a
casa privo di imbarcazione, non accettò la sua
offerta, poiché aveva sempre Itaca nel cuore e
passava i suoi giorni seduto in riva al mare a
sospirare nel ricordo della moglie e del figlio.
Dopo sette anni trascorsi così dolorosa‐
mente, gli dei ebbero pietà di lui e, approfit‐
tando di una momentanea assenza di Posi‐
done, inviarono Ermes da Calipso, per ordinarle
di lasciar partire Ulisse. La ninfa ubbidì all’ordine,
aiutò l’eroe a costruirsi una zattera, gli diede acqua
e provviste e lasciò che prendesse il mare, ma dopo di‐
ciassette giorni di navigazione, Posidone, ritornato dal
suo viaggio e accortosi di quanto era successo, scatenò una
violentissima tempesta che distrusse la zattera.
A stento Ulisse riuscì a salvarsi a nuoto dalla furia del mare, e nuotò
per due giorni e due notti finchè le onde lo gettarono sulla riva del
fiume di una terra sconosciuta, dove l’eroe, stremato dalla fatica, cadde
in un sonno profondissimo.
Jan Brueghel l'Ancien,
Ulisse e Calipso.
117
Epica
Mito, epica, leggenda
Nella terra dei Feaci
Pieter Lastman. Ulisse e
Nausicaa.
Era giunto nella terra del popolo dei Feaci, su cui regnava il re Alci‐
noo, che aveva una figlia, Nausicaa, alla quale la dea Atena, protettrice
di Ulisse, portò in quella notte uno strano sogno: alla fan‐
ciulla sembrò di vedere una sua cara amica, che le an‐
nunziava il giorno vicino del suo matrimonio e la in‐
vitava a lavare i suoi abiti sporchi.
Al mattino Nausicaa, memore del sogno, si
recò con le sue ancelle presso il fiume, e tutte
insieme lavarono gli abiti, li stesero ad asciu‐
gare e poi cominciarono a giocare con la
palla, che cadde nel fiume tra le grida delle
fanciulle.
Il grido, però, fece svegliare Ulisse, che
uscì dal suo nascondiglio di foglie e, sporco
di salsedine, spaventò tutte le fanciulle,
tranne Nausicaa, che ascoltò commossa le
parole supplichevoli dell’eroe, lo fece aiutare
dalle ancelle a lavarsi, a vestirsi con un manto,
a ristorarsi con del cibo e poi lo condusse alla reg‐
gia di suo padre.
Giunto alla presenza della regina, Arete, Ulisse si in‐
ginocchiò ai suoi piedi, scongiurandola di aiutarlo a ritor‐
nare in patria; il re e la regina lo accolsero con ogni benevolenza, lo
fecero partecipare al banchetto e gli chiesero di narrare le sue avven‐
ture, cosa che l’eroe fece per tutta una notte e tutto un giorno.
Al termine del racconto Alcinoo
fornì ad Ulisse una nave, un equipag‐
gio di marinai feaci e lo fece riaccom‐
pagnare a Itaca. Ma, durante il viag‐
gio, l’eroe si addormentò profonda‐
mente e non si svegliò neppure
quando i Feaci lo deposero sulla
spiaggia della sua isola.
Essi ripresero il mare per fare ri‐
torno alla propria terra, ma Posi‐
done, irato con loro perché avevano
aiutato Ulisse, sfiorò con la mano di‐
vina la loro nave, che si fermò all’im‐
provviso, mise radici in fondo al
mare e si trasformò in un blocco di
pietra.
118
Il racconto epico
Unità 2
Itaca!
Nel frattempo a Ulisse, che si era svegliato, apparve la dea Atena,
la quale lo avvertì che la sua reggia era piena di principi, i Proci, che
volevano sposare Penelope e che da anni spadroneggiavano e dilapi‐
davano i suoi beni, nell’attesa che la regina scegliesse il suo nuovo
marito, cosa che ella ritardava inventando sempre nuove scuse. Ma
ora i Proci avevano scoperto il suo ultimo inganno: Penelope aveva
promesso che avrebbe scelto il suo nuovo sposo, dopo aver terminato
il lavoro di tessitura di una splendida tela, e i principi avevano accet‐
tato questo termine, ma poi,avvertiti da un’ancella traditrice, essi
avevano sorpreso Penelope che di notte sfilava quella stessa tela che
tesseva di giorno.
Bisognava, dunque, intervenire presto ma con astuta prudenza:
perciò la dea trasformò l’eroe in un vecchio mendicante, in modo che
nessuno lo riconoscesse, e gli consigliò di chiedere ospitalità ad Eu‐
meo, un vecchio e fedele pastore, e di attendere là l’arrivo del figlio
Telemaco, che stava ritornando a Itaca dopo aver cercato invano no‐
tizie del padre.
Due giorni dopo alla capanna di Eumeo giunse Telemaco e Ulisse
gli rivelò la propria identità, dopo che Atena aveva reso splendido e re‐
gale il suo aspetto: padre e figlio si abbracciarono e piansero per la gioia
di essersi ritrovati, e, subito dopo, idearono insieme un piano per uc‐
cidere i Proci.
Il giorno dopo Ulisse, con l’aspetto del vecchio mendicante, si pre‐
sentò alla reggia e fu riconosciuto solo dal vecchio e fedele cane Argo,
che, debole e ammalato, era sdraiato vicino alla porta d’ingresso…
119
1. dilapidavano: consumavano, sperperavano.
2. ancella: serva.
Rifletti su… il lessico
Che cosa vuol dire
l’espressione “tessere la
tela di Penelope”?
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.............................................
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Itaca, oggi.
Epica
Libro XVII,
vv. 301-327
Mito, epica, leggenda
Il fedele Argo
301. Odisseo: è il nome greco di Ulisse.
304. si terse: si asciugò.
305. eludendo: evitando.
306. letame: escrementi del
bestiame, di solito usati
come concime.
308. celere: veloce.
316. recessi: luoghi nascosti.
317. fiera: animale selvatico.
le peste: le tracce.
322. possente: potente.
323. appena… il servaggio:
non appena diventa un
umile servo. Secondo gli
antichi un servo non
aveva una propria volontà nell’agire, ma eseguiva solo gli ordini del
padrone, perciò se il padrone non c’è i servi trascurano il loro dovere.
325. pretendenti egregi: sono i Proci; sono definiti
egregi, cioè illustri, perché sono giovani di stirpe principesca.
326. fato: destino a cui non si
può sfuggire.
Allorché vide Odisseo accanto,
scodinzolò e piegò entrambe le orecchie,
ma al proprio padrone non poté
avvicinarsi. Questi distolse lo sguardo e si terse una lacrima,
facilmente eludendo Eumeo poi domandò:
«Eumeo, che meraviglia, questo cane sopra il letame!
È bello il suo aspetto, ma non so chiaramente
se era anche celere con questa figura,
o se era come sono i cani da mensa
degli uomii: li allevano per lusso i padroni».
E tu rispondendo, o porcaro Eumeo, gli dicesti:
«Oh sì, questo è il cane di un uomo che è morto lontano:
se per l’aspetto e l’azione fosse così
come quando Odisseo, partendo per Troia, lo lasciò
subito ne ammireresti la celerità e la forza.
Nei recessi della selva profonda non gli sfuggiva
una fiera che egli inseguisse: eccelleva nel seguire le peste.
Ma ora è in miseria: il padrone gli è morto lontano
da casa e le donne, incuranti, non l’accudiscono.
Quando i padroni non ordinano, i servi
non vogliono più lavorare a dovere.
Zeus dalla voce possente toglie metà del valore
ad un uomo, appena lo umilia il servaggio».
Detto così, entrò nella casa ben situata
e si diresse nella gran sala, tra i pretendenti egregi.
E subito il fato nella nera morte colse Argo,
quando ebbe visto Odisseo dopo venti anni.
(Traduz. di A . Privitera)
120
Il racconto epico
Unità 2
FATTI E PERSONAGGI
1. Argo, il cane di Ulisse, riconosce il padrone. Infatti che cosa fa?
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2. Com’era Argo prima che Ulisse partisse?
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3. Secondo Eumeo qual è stata la sorte di Ulisse?
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4. Cosa pensa Eumeo dei servi?
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LINGUA E STRUTTURA
1. In questo brano chi sta raccontando i fatti?
a) Eumeo
b) Ulisse
c) Omero
2. Trova gli epiteti esornativi presenti nel brano e spiegali in rapporto al nome a cui si riferiscono.
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PRODUZIONE
1. Forse anche tu conosci qualche storia di animali che hanno mostrato fedeltà al proprio padrone.
Raccontala…
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121
Epica
Mito, epica, leggenda
L’uccisione dei Proci
Massacro dei Proci da
parte di Ulisse, Telemaco
ed Eumeo, particolare di
un vaso.
1. incoccò: mise la freccia sulla corda lell’arco.
2. scoccò: scagliò.
3. implacabilmente: spietatamente.
All’interno della reggia i Proci stavano banchettando, il loro capo
Antinoo schernì Ulisse, il quale continuava a fingersi un vecchio men‐
dicante, debole e indifeso. Ma nel suo cuore l’eroe meditava la vendetta
e si preparava all’azione: quella stessa notte, Ulisse e il figlio portarono
via tutte le armi che erano appese alle pareti della sala del banchetto…
Il giorno dopo, du‐
rante un nuovo ban‐
chetto, le regina Pene‐
lope, ispirata dalla dea
Atena, portò ai Proci un
grandissimo arco, che
solo il grande Ulisse
aveva saputo tendere, e
promise che avrebbe
sposato colui che fosse
riuscito a far passare
una freccia attraverso
gli anelli di una serie di
asce allineate: questo
era un esercizio di abi‐
lità che solo Ulisse era
riuscito a compiere.
Tutti i Proci si sotto‐
posero alla prova, tutti
tentarono di piegare
l’arco, ma nessuno vi
riusciva e, mentre i principi erano impegnati nell’inutile sforzo, Ulisse,
fattosi riconoscere da due servi fedeli, diede ordine di chiudere la
porta del cortile.
Poi chiese umilmente di poter partecipare alla prova, non per aspi‐
rare alla mano della regina, ma per mettere alla prova le sue forze, che
una volta erano state assai vigorose. Tra le risa di scherno dei Proci,
Ulisse prese l’arco, ne provò la corda, che vibrò senza opporre resi‐
stenza, incoccò la freccia, la scoccò … e quella passò rapidamente at‐
traverso gli anelli.
Allora un profondo silenzio scese nella sala e, mentre i Proci erano
ancora stupiti dall’accaduto, Ulisse scagliò una freccia mortale contro
Antinoo, gridando a gran voce la propria identità. I principi cercarono
affannosamente le armi per difendersi, senza trovarle, e allora impu‐
gnarono le corte spade, ma l’eroe greco, con l’aiuto del figlio e dei fidati
servi, li uccise implacabilmente l’uno dopo l’altro.
122
Il racconto epico
Conclusione
Quando tutto fu terminato, i corpi dei morti portati via e la sala pu‐
rificata, Ulisse chiese ad Euriclea, la sua vecchia nutrice che lo aveva
già riconosciuto da una vecchia cicatrice sulla gamba, di rivelare a Pe‐
nelope il suo ritorno. La regina non riusciva a credere a quella notizia:
scese nella sala e guardò con attenzione quell’uomo che le appariva uno
sconosciuto, anche se ora si era ripulito e rivestito. Venti anni erano
trascorsi da quel lontano giorno in cui Ulisse era
partito per Troia! Molti…Troppi!
La regina voleva una prova certa del‐
l’identità dell’uomo che le stava da‐
vanti, e ordinò alle ancelle di pren‐
dere il letto dalla sua stanza e por‐
tarlo nella sala. Ma quando
Ulisse le rispose che era impos‐
sibile, perché quel letto era
stato costruito da lui stesso sul
tronco di un ulivo, che sor‐
geva nella casa, Penelope non
ebbe più dubbi e si gettò,
piangendo, tra le braccia del
marito.
Nel frattempo la notizia
della morte dei Proci si era
sparsa e i parenti dei principi, per
vendicarne la morte, attaccarono la
reggia di Ulisse. Ma la grande dea
Atena, protettrice dell’eroe, ordinò a
tutti di smettere di combattere e di vivere in
pace.
Ma per Ulisse non erano finite ancora le avventure: bi‐
sognava che si avverasse l’ultima parte della profezia di Tiresia, che par‐
tisse, dunque, alla volta delle misteriose regioni che non conoscevano
né il sale né il mare e neppure la forma di un remo.
Ma questa sarebbe tutta un’altra storia…
123
Unità 2
Epica
Mito, epica, leggenda
Apollonio
Rodio
Le Argonautiche
Questo poema è opera di Apollonio Rodio, un poeta epico greco del‐
l’età ellenistica, che nacque probabilmente ad Alessandria all’inizio del
sec. III a.C.
In esso viene narrata la spedizione degli Argonauti, guidati da Giasone,
alla conquista del vello d’oro, custodito nella Colchide presso il re Eeta.
Anche qui, per agevolare la tua lettura, cominciamo con…
L’antefao
1. usurpare: impadronirsi ingiustamente.
2. oracolo: comando o profezia che gli dei davano agli
uomini attraverso un sacerdote o una sacerdotessa.
3. vello: era la pelle d’oro di
un montone sacro.
4. Colchide: antica regione affacciata sul mar Nero, presso l’odierna Turchia.
In Tessaglia, a Iolco, regnava Pelia,
che aveva usurpato il trono di
suo fratello Esone. Un ora‐
colo gli aveva predetto di
temere l’uomo calzato di
una sola scarpa che sa‐
rebbe giunto nel suo
regno e, quando un
giorno in città arrivò
uno straniero con
un solo sandalo ai
piedi, egli lo mandò
a chiamare e gli
chiese chi fosse.
L’uomo rivelò di es‐
sere Giasone, figlio di
Esone, e di rivolere il trono
che Pelia aveva usurpato. Pe‐
lia, allora, poiché non voleva re‐
stituire il regno, escogitò un inganno
e disse a Giasone: “Nella mia vita ho troppo
offeso gli dei ed essi mi perdoneranno solo se avrò il vello d’oro custo‐
dito nei boschi del re Eeta, in Colchide . Ma io sono vecchio e non
posso affrontare quest’impresa. Còmpila tu per me e, quando tornerai
con il vello, ti restituirò il trono”. Pelia sapeva che il viaggio era rischio‐
sissimo e l’impresa piena di pericoli insormontabili e sperava che Gia‐
sone morisse, ma l’eroe non si accorse dell’inganno, accettò il patto e
cercò subito compagni per il viaggio.
124
Il racconto epico
Proemio
Unità 2
Libro I, vv. 1-22
Da te sia l’inizio, Febo, a che io ricordi le gesta
degli eroi antichi che attraverso le bocche del Ponto
e le rupi Cianee, eseguendo i comandi di Pelia,
guidarono al vello d’oro Argo, la solida nave.
Il re Pelia aveva appreso un oracolo, che l’aspettava
una sorte atroce in futuro: chi tra i suoi sudditi
avesse visto venire calzato di un solo sandalo,
quello con le sue trame gli avrebbe dato la morte.
Non molto tempo dopo, secondo il tuo oracolo, Giasone,
mentre guadava d’inverno l’Anauro, trasse in salvo dal fango
un sandalo solo, e l’altro lo lasciò in fondo all’acqua.
Presto giunse da Pelia, per prendere parte al banchetto
che il re celebrava in onore di Posidone suo padre
e degli altri dei: ma di Era Pelasga non ebbe pensiero.
Appena vide Giasone capì, e pensò per lui la fatica
d’un duro e lungo viaggio, sperando che in mare
o tra genti straniere perdesse la via del ritorno.
Come Argo costruì la sua nave, con il consiglio di Atena,
cantano i poeti di un tempo : io voglio invece qui dire
la stirpe degli eroi ed il nome, e i lunghi viaggi per mare,
e tutte quante le imprese che essi compirono
nel loro errare. Siano le Muse ministre di canto.
(Trad. G. Paduano, Rizzoli, Milano, )
125
* L’indicazione dei passi fa riferimento al testo dell’opera in
lingua originale.
Il poema di Apollonio Rodio comincia con un proemio che presenta alcune novità: infatti l’invocazione non è rivolta alla Musa,
ma ad Apollo, che era il dio protettore di tutte le arti, e nella protasi è descritto molto brevemente
l’argomento del poema.
Segue poi la narrazione dell’antefatto, che di solito nella poesia
epica non veniva mai raccontato
e dopo questa il poeta fa una seconda dichiarazione, annunciando da dove prenderà inizio
la sua storia.
Il proemio si conclude con un richiamo alla protezione di tutte le
Muse.
1. da te… gesta: fammi trarre
da te l’ispirazione, o Apollo,
per ricordare le imprese…
2. Ponto: regione dell’Asia minore, sul mar Nero.
3. rupi Cianee: le Simplegadi,
scogli vaganti nel mare, molto
pericolosi per i naviganti.
4. Pelia: è il re di Iolco, usurpatore del trono, figlio di Posidone.
8. trame: inganni.
9. secondo il tuo oracolo: l’oracolo di Apollo.
10. guadava: attraversava.
Anauro: fiume della Tessaglia.
14. ma… pensiero: trascurò i sacrifici ad Era e la dea si vendicò, proteggendo Giasone e
la sua impresa. Pelasga era il
nome con cui la dea era onorata in Tessaglia.
17. perdesse… ritorno: morisse o
non tornasse più.
18-19. Come Argo…: questo è
l’inizio della seconda dichiarazione di Apollonio, quasi un
secondo proemio, in cui specifica gli uomini e gli eventi, di
cui intende parlare.
21. errare: vagare. Siano…canto: le muse governino la mia
poesia.
Epica
Mito, epica, leggenda
FATTI E PERSONAGGI
1. Quale divinità viene invocata nel proemio?
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2. Qual è il contenuto del poema?
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3. Perché Pelia ordina a Giasone di partire?
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Mappa del viaggio degli Argonauti secondo Apollonio Rodio
126
Il racconto epico
Unità 2
LINGUA E STRUTTURA
1. Sottolinea nel testo le diverse parti in cui si articola il proemio e dai ad ognuna un titolo.
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2. Spiega quali sono le novità che Apollonio Rodio introduce nel proemio. .................................................
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PRODUZIONE
1. Esegui la costruzione diretta del brano.
2. Svolgi la parafrasi del proemio.
3. Confronta il proemio delle Argonautiche con quelli dell’Iliade e dell’Odissea: cosa hanno in
comune e quali sono le differenze?
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127
Epica
Mito, epica, leggenda
Avventure in viaggio
1. cantore: cantante e musicista.
2. Bitinia: antica regione situata nella parte nord-occidentale dell’Asia Minore.
3. ripugnante: disgustosa.
4. nauseabondo: vomitevole.
La notizia si diffuse e da tutta la Grecia giunsero gli eroi e gli uomini
migliori: Càstore e Polluce, figli di Zeus e Leda, Orfeo, il divino cantore
che con la sua musica commuoveva anche i sassi, Linceo, che con la
sua vista acutissima poteva vedere anche sotto terra, Zete e Calai, figli
di Borea, capaci di volare con le proprie ali da un punto all’altro del
mondo. Tutti insieme costruirono la nave Argo e partirono alla volta
della Colchide, affrontando un lungo viaggio durante il quale avrebbero
vissuto straordinarie avventure.
Durante una sosta presso la Bitinia gli Argonauti incontrarono un
vecchio ridotto pelle e ossa che li supplicò di aiutarlo: era Fineo, al
quale Apollo aveva dato il dono della profezia. Ma egli aveva rivelato
agli uomini più di quanto essi dovessero sapere e il dio lo aveva con‐
dannato ad una pena ripugnante e all’eterna vecchiaia. Infatti ogni
volta che Fineo si accingeva a mangiare, dal cielo scendevano in volo
le Arpie, mostri dal corpo di uccello e dal viso di donna, le quali divo‐
ravano il suo cibo e poi volavano via, lasciando nell’aria un odore nau‐
seabondo . Gli Argonauti, commossi dalla infelice sorte di Fineo, de‐
cisero di aiutarlo.
128
Il racconto epico
Unità 2
Libro II,
vv. 263-300
Le Arpie
Subito i più giovani prepararono il pranzo per Fineo,
l’ultima preda offerta alle Arpie, e i Boreadi si misero accanto,
per respingere con la spada l’assalto di quelle.
Il vecchio aveva appena toccato il suo cibo che subito,
come acerbe tempeste, come baleni balzarono
dalle nubi, improvvise, e con immenso stridore
si avventarono sul cibo smaniose: a quella vista gli eroi
diedero un grido, ma quelle, sempre stridendo,
e divorata ogni cosa, volarono oltre il mare, lontano,
e là non rimase altro che un insopportabile odore.
I due figli di Borea brandirono allora le spade
e le inseguirono. Zeus diede loro una forza instancabile:
senza di lui non avrebbero mai potuto seguirle,
perché volavano rapide come tempeste di Zefiro,
sempre, quando andavano verso Fineo o ne ripartivano.
Come quando sui monti i cani esperti di caccia
corrono sulle piste delle capre o dei cerbiatti,
e gli si spingono addosso, ed in cima
alle mascelle serrano i denti a vuoto,
così serrando da presso la Arpie i figli di Borea
cercavano invano, protendendo le dita, di prenderle.
Quando poi le raggiunsero, lontano, alle isole Erranti,
certo le avrebbero fatte a pezzi, contro il volere divino,
se non li avesse visti la rapida Iride e non fosse discesa,
dal cielo, e non li avesse fermati ammonendoli:
“Non vi è lecito, figli di Borea, colpire con la vostra spada
le Arpie, che sono i cani del potentissimo Zeus,
ma io vi giuro che non torneranno da Fineo”.
Così disse e giurò sull’acqua del fiume Stige,
che è per gli dei tutti la più venerata e tremenda,
che mai più sarebbero andate alla casa
del figlio di Agenore; questo era stabilito dal fato.
Ed essi cedettero al giuramento e si volsero indietro veloci
per ritornare alla nave; perciò gli uomini diedero il nome di
[Strofadi,
Isole della Svolta, a quelle che prima chiamavano Erranti.
Le Arpie ed Iride si separarono, le une verso il profondo
d’una caverna di Creta, Iride in alto all’Olimpo:
la portavano in volo le velocissime ali.
129
264. Boreadi: sono Zete e
Calai, figli di Borea, il
vento del nord.
267. come acerbe… baleni:
simili a terribili tempeste
e a fulmini.
268. stridore: rumore.
269. smaniose: desiderose,
vogliose.
273. brandirono: impugnarono.
276. Zefiro: è un altro vento.
279. piste: tracce.
281. serrano: chiudono.
286. Iride: è la messaggera
degli dei.
287. ammonendoli: avvertendoli.
291. Stige: è uno dei quattro
fiumi infernali. Il giuramento fatto dagli dei sullo Stige era sacro.
294. figlio di Agenore: è Fineo.
Epica
Mito, epica, leggenda
FATTI E PERSONAGGI
1. Che cosa accade appena Fineo sta per mangiare?
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2. Cosa fanno i figli di Borea?
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3. Perché interviene Iride?
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4. Perché le isole Strofadi hanno questo nome?.................................................................................................................
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LINGUA E STRUTTURA
1. Trova nel testo il patronimico e l’epiteto, spiegando a chi si riferiscono.
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2. Spiega con parole tue la similitudine presente nel testo.
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PRODUZIONE
1. Stendi il riassunto del brano. ...................................................................................................................................................
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2. Spiega che cosa vuol dire l’espressione “essere un’arpia”. ................................................................................
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130
Il racconto epico
Unità 2
Libro II, vv. 549-583;
597-606
Le Simplegadi
Il vecchio Fineo, per ringraziare gli Argonauti del loro aiuto, rivelò
loro come superare un terribile pericolo che li attendeva nel viaggio: il
passaggio attraverso le rupi Simplegadi.
Queste rupi, prive di basi, vagavano nel mare e cozzavano tra loro,
schiacciando le navi che dovevano passare. Fineo disse agli Argonauti
di procurarsi una colomba e di liberarla quando fossero stati in vista
delle Simplegadi: se fosse passata senza essere schiacciata, anche essi
sarebbero potuti passare, se invece fosse stata schiacciata essi avreb‐
bero dovuto rinunciare all’impresa.
Arrivati gli eroi allo stretto, tortuoso passaggio,
chiuso da ambo le parti dalle rupi scoscese,
il vortice della corrente colpiva di sotto la nave
nel suo cammino, e andavano molto avanti ma con paura,
perché già colpiva gli orecchi il fragore tremendo delle due rupi,
che urtavano, l’una sull’altra, e urlava la spiaggia battuta dal mare.
Allora si alzò in piedi Eufemo tenendo
la colomba nella sua mano; salì sulla prora, e gli altri
regolarono, per comando di Tifi, figlio di Agnia, la voga
per passare poi tra le rupi, fidando
nel loro vigore. D’improvviso le videro:
superato l’ultimo braccio di terra, le videro aprirsi,
e i cuori furono sconvolti. Eufemo lanciò la colomba
e tutti alzarono il capo a guardarla,
quando volò tra le rocce e quelle di nuovo
urtarono insieme l’una sull’altra
con grande fragore. Si levò in alto un’ondata
ribollente, come una nuvola; il mare diede un urlo feroce
e rimbombò il grande etere tutto all’intorno.
Risuonarono le grotte cave, sotto gli scogli scoscesi,
quando le invasero i flutti; si riversò sulla riva,
in alto, la bianca schiuma delle onde ruggenti.
La corrente volgeva in tondo la nave. Le rocce tagliarono
le ultime punte alla coda della colomba; ma essa
volò illesa, e i rematori diedero un grido. Allora Tifi
ordinò di remare con forza: di nuovo le rocce si stavano aprendo.
Ma remando tremavano, finché il riflusso dell’onda
li trascinò tra le rupi e tutti furono presi
da atroce terrore: sopra le loro teste
era la morte, che non conosce rimedi.
Già da una parte e dall’altra si apriva vastissimo il Ponto
131
549. tortuoso: complicato.
550. scoscese: a picco sul
mare.
553. fragore: frastuono.
554. urlava: il mare sembra
quasi emettere alte grida, quando le onde si
abbattono con violenza
sulla spiaggia.
555. Eufemo: uno degli Argonauti.
556. prora: è la prua della
nave, cioè la parte anteriore.
557. Tifi: altro argonauta. voga: spinta data sul remo
per far avanzare la nave.
560. braccio di terra: lembo
di terra.
566. ribollente: le acque del
mare sono così agitate
che sembrano quasi bollire. urlo feroce: il frastuono del mare diviene
assordante.
567: rimbombò il grande
etere: l’urlo del mare
riecheggiò nell’aria circostante.
568. cave: vuote.
579. Ponto: è il mar Nero.
Epica
Mito, epica, leggenda
e d’improvviso si levò su di loro una grande ondata
ricurva, come una rupe scoscesa. Quando la videro,
chinarono il capo, perché pareva volesse
invadere Argo e sommergerla tutta.
[…]
Le rupi gemevano, scosse, e le tavole d’Argo erano
incatenate. Allora Atena si appoggiò a una solida roccia con
[la sinistra
e con la destra spinse la nave diritta attraverso il passaggio.
Essa si levò alta, come il volo d’una saetta:
tuttavia le rupi, scontrandosi l’una sull’altra,
tagliarono via la punta degli ornamenti
dell’aplustre; Atena di nuovo balzò sull’Olimpo,
quando furono in salvo, mentre le rocce, serrandosi insieme,
misero salde radici; questo era nei fati divini,
quando un uomo le avesse viste, e attraversate sopra una nave.
583. Argo: è il nome della
nave, da cui Argonauti,
cioè i naviganti di Argo.
597. le tavole di Argo: le tavole di legno con cui era
costruita la nave.
598. incatenate: bloccate.
600. saetta: freccia.
603. aplustre: ornamento che
nelle antiche navi si poneva in cima alla poppa, cioè la parte posteriore della nave… come
la coda della colomba!
605. misero salde radici: divennero immobili. questo… divini: ciò era stato stabilito dalla legge
immutabile del Fato.
(Traduzione di G. Paduano)
FATTI E PERSONAGGI
1. Da cosa gli Argonauti capiscono di essere vicini alle Simplegadi?
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2. Cosa accade quando la colomba vola tra le rupi?
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continua 132
Il racconto epico
3. Che cosa decidono di fare gli Argonauti?
Unità 2
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4. Come riesce a passare tra le rupi la nave Argo?
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5. La nave subisce la stessa sorte della colomba. Perché? .........................................................................................
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6. Cosa accade alle rupi Simplegadi, dopo il passaggio degli Argonauti?
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LINGUA E STRUTTURA
1. Ricerca nel brano e sottolinea i termini che si riferiscono ai suoni e al rumore.
2. Spiega con parole tue l’espressione “la morte, che non conosce rimedi” del verso 578.
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3. Spiega il significato del paragone presente ai versi 580-581. ..........................................................................
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PRODUZIONE
1. Stendi il riassunto del brano.
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133
Epica
Mito, epica, leggenda
La conquista del vello d’oro
1. aggiogare: mettere sotto il
giogo, cioè sotto un collare
di legno.
Giasone torna in patria
con il vello d'oro, in un
vaso attico a figure rosse.
Dopo un lungo viaggio gli Argonauti approdarono alla città di Ea,
in Colchide, dove il re Eeta custodiva il vello d’oro, appeso a una quercia
del bosco sacro ad Ares e sorvegliato da un orribile drago che non dor‐
miva mai.
Gli Argonauti si recarono alla reggia di Eeta e Giasone gli chiese di
donargli il vello d’oro, ma il re promise di darglielo solo se avesse supe‐
rato una difficilissima prova: avrebbe dovuto aggiogare due tori dagli
zoccoli di bronzo e che soffiavano fuoco e poi arare dall’alba alla notte
un campo, dove avrebbe dovuto seminare denti di drago, dai quali sa‐
rebbero nati dei giganti armati che egli avrebbe dovuto uccidere.
Giasone accettò di sottoporsi alla prova, anche se temeva che
avrebbe fallito, ma improvvisamente si presentò da lui Medea, figlia
di Eeta e abile maga, la quale si era perdutamente innamorata di Gia‐
sone e aveva deciso di aiutarlo. Gli consegnò un unguento preparato
da lei stessa e gli ordinò di spalmarlo sul corpo, così non sarebbe stato
ferito da nessuna arma né bruciato dal fuoco. L’eroe le promise che non
avrebbe dimenticato il suo aiuto e le chiese di partire con lui ed essere
la sua sposa. Medea accettò e gli offrì altri consigli per superare la prova.
All’alba Giasone giunse nel campo con il corpo unto dell’unguento
magico.
Anthony Frederick Augustus Sandys, Medea.
134
Il racconto epico
Libro III,
vv. 1290-1313
La prova di Giasone
Ed ecco che, sbucando da un occulto nascondiglio sotterraneo,
dov’essi avevano le loro possenti stalle, avvolte intorno da caliginoso
fumo, gli furono davanti ambedue insieme i tori spiranti fiamme
ardenti. N’ebbero paura gli eroi quando li videro; ma Giasone, ben
piantato sulle gambe, stette ad attenderli, mentre avanzavano con‐
tro di lui, come saldo scoglio, in mare, attende le onde agitate da
grandi tempeste. Aveva dinanzi a sé, pronto contro i tori, lo scudo;
contro il quale ambedue i tori insieme muggendo vennero a cozzare
con le forti corna; ma non riuscirono a farlo indietreggiare nem‐
meno un poco col loro colpo.
Come quando nei crogiuoli forati i mantici di cuoio dei fabbri
ora soffiano, facendo divampare l’esiziale fuoco, ora invece smettono
il soffio: un tremendo boato n’esce tutte le volte che la fiamma si
slancia dal fondo; così rumoreggiavano i due tori, soffiando la rapida
fiamma dalla bocca; e la fiamma rovinosa investiva l’eroe e lo colpiva
con la violenza del fulmine, ma i farmaci datigli dalla fanciulla lo
proteggevano. Allora Giasone, afferrato un toro alla sua destra al‐
l’estremità d’un corno, lo trascinò violentemente con tutte le sue
forze, onde avvicinarlo al giogo di bronzo; poi, con un rapido colpo
del piede allo zoccolo bronzeo, lo piegò a terra sulle ginocchia; allo
stesso modo piegò in ginocchio l’altro, mentre gli si avventava con‐
tro, colpendolo cioè con un unico agile colpo. Indi, posto a terra
l’ampio scudo, ben piantato su ambedue le gambe, li tenne fermi
piegati sulle ginocchia anteriori, uno a destra e l’altro a sinistra, sfug‐
gendo così alle fiamme.
(trad. G. Pompella)
135
Unità 2
40. occulto: invisibile.
41. possenti:
grandi
e
resistenti. caliginoso: che
offusca la vista.
42. spiranti: che soffiavano.
47. cozzare: colpire con le
corna.
50. crogiuoli: recipienti usati
per fondere i metalli.
mantici: attrezzi che servivano per soffiare l’aria
sul fuoco e ravvivare le
fiamme.
51. esiziale: che è molto dannoso.
52. boato: rombo forte e cupo.
60. si avventava: si scagliava.
Epica
Mito, epica, leggenda
FATTI E PERSONAGGI
1. Da dove sbucano i tori?
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2. Come assalgono Giasone?
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3. Perché Giasone non viene ustionato dal fuoco che i tori soffiano?
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4. Come fa Giasone a vincere sui tori?
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LINGUA E STRUTTURA
1. Spiega la similitudine dei versi 49-52.
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2. La fiamma è definita “rapida” e “rovinosa”: spiega il significato di questi epiteti in rapporto
alla natura del fuoco.
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PRODUZIONE
1. Il poeta definisce per due volte Giasone “ben piantato sui piedi”. Spiega con parole tue qual è
l’atteggiamento che l’eroe mostra durante il combattimento con i tori.
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136
Il racconto epico
Unità 2
Giasone prende il vello
Al sorgere della luna dal campo cominciarono a nascere enormi gi‐
ganti armati di aste e scudi: Giasone, ricordando i consigli di Medea,
aspettò che i giganti avessero posato i loro enormi piedi sulla terra, poi
lanciò un sasso ed essi, per impossessarsene, lottarono l’uno contro
l’altro. Allora l’eroe si slanciò in mezzo a loro e li uccise tutti con la sua
lancia.
Al termine del combattimento, mentre Eeta ritornava nel suo pa‐
lazzo, Medea guidò Giasone nel bosco, fino alla quercia sacra, poi con
un filtro magico, spruzzò gli occhi del drago insonne , che si addor‐
mentò subito. Dopo aver preso il vello d’oro, i due si diressero veloce‐
mente alla nave, ma per potersi allontanare dovevano sconfiggere
l’esercito dei Colchi, che il re Eeta aveva mandato contro Giasone e che
era comandato dal fratello di Medea.
La maga, senza esitazioni né rimorsi, attirò allora il fratello in un
tranello, Giasone lo uccise a tradimento e i Colchi, rimasti senza un
capo, furono facilmente sconfitti: gli Argonauti furono liberi di ripren‐
dere il mare, ma le loro avventure non erano ancora finite…
137
1. insonne: che non dorme
mai.
Epica
Mito, epica, leggenda
Il gigante Talo
Il delitto commesso da Medea e Giasone era troppo orribile e Zeus
decise di punirli, creando una serie di ostacoli al loro ritorno in patria.
Gli Argonauti riuscirono a superarli tutti e, quando furono in vista di
Creta, si avvicinarono all’isola per rifornirsi d’acqua, ma improvvisa‐
mente furono colpiti da una fitta pioggia di schegge di pietre. Medea
spiegò che Talo, un gigante di bronzo, difendeva l’isola di Creta con
quel sistema: il gigante era immenso e aveva il corpo invulnerabile. Ma
un piede di Talo nascondeva la sua debolezza, perché un’unica vena
lunghissima attraversava il corpo del gigante e terminava sotto il cal‐
cagno, coperta solo da una fragile membrana.
Perciò Medea si recò da sola verso Talo e lo Rifletti su… il lessico
affascinò con il suo sguardo di maga: il gigante Quale personaggio episi abbassò per guardarla da vicino ed ella gli co ti ricorda il gigante
soffiò in faccia tutto l’odio di cui una maga era Talo e perché?
capace. Talo traballò e cadde pesantemente .............................................
sulle rocce, la membrana sul calcagno si ruppe .............................................
e dall’unica vena sgorgò piombo fuso, che scor‐
.............................................
rendo portò via con sé la vita del gigante.
Il ritorno in patria
1. montone: vecchio caprone.
Ripresa la navigazione, gli Argonauti giunsero finalmente a Iolco e
qui Giasone scoprì che suo padre, sua madre e suo fratello erano stati
uccisi dal malvagio Pelia. Allora l’eroe, dopo avergli consegnato il vello
d’oro con aria apparentemente indifferente, chiese a Medea di vendi‐
care con i suoi poteri magici la morte dei propri cari.
Ella chiamò le figlie del vecchissimo Pelia e rivelò loro di conoscere
una magia che poteva ringiovanire chiunque, e anzi ne diede una di‐
mostrazione: uccise, squartò e fece bollire in un pentolone pieno d’ac‐
qua un vecchio montone , poi pronunciò una formula magica e dal
pentolone balzò fuori un bell’agnellino bianco. Subito le figlie di Pelia
uccisero, fecero a pezzi e bollirono il loro vecchio padre, ma al mo‐
mento di pronunciare la formula magica, Medea si rifiutò di recitarla
e lasciò il malvagio Pelia squartato e bollito nel pentolone.
Qui termina il poema di Apollonio Rodio, ma non la storia di Giasone e
Medea che ebbe un tragico finale…
138
Il racconto epico
Unità 2
Una disumana vendea
Per evitare la vendetta delle figlie di Pelia, Giasone e Medea fuggi‐
rono a Corinto, dove vissero felici per dieci anni ed ebbero anche due
figli. Ma un giorno Creonte, il re di Corinto, promise a Giasone il pro‐
prio trono se avesse sposato sua figlia Glauce, dopo aver ripudiato Me‐
dea. L’eroe, attirato dalla promessa del trono e dimenticando tutto
quello che Medea aveva fatto per lui, non esitò a chiederle di accettare
il ripudio. La maga, sentendosi tradita e abbandonata, dapprima
pianse, pregò e supplicò Giasone di non mandarla in esilio, poi sembrò
rassegnarsi al suo destino, chiese di poter portare con sé i figli e, anzi,
consegnò all’eroe due doni per Glauce: un magnifico peplo e una
splendida corona.
Giasone non capì che Medea meditava nel suo cuore un’atroce ven‐
detta e portò i doni alla sua nuova sposa, ma appena Glauce li indossò,
una violenta fiammata l’avvolse e bruciò il suo corpo e quello del padre
Creonte, che aveva cercato di soccorrerla, strappandole la veste.
Allora Giasone comprese… e temendo il peggio, corse verso la pro‐
pria casa per salvare i suoi figli, ma Medea aveva già compiuto la pro‐
pria terribile e disumana vendetta: per dare la punizione più grande al
tradimento di Giasone, aveva ucciso i suoi figli con le proprie mani,
sparendo poi sul carro alato del Sole.
Nessuno l’avrebbe rivista mai più…
139
1. ripudiare: il ripudio consisteva in una dichiarazione
fatta dal marito alla moglie
per rompere il matrimonio.
2. peplo: tipico abito femminile dell’antica Grecia.
Epica
Virgilio
Il poeta Virgilio dichiara
nel proemio quale sarà
l’argomento della sua
opera, e invoca la Musa
affinché lo assista nella
composizione del poema.
Libro I, vv. 1-19
Mito, epica, leggenda
L’Eneide
ovvero la storia
delle vicende di Enea
L’Eneide, il più famoso poema epico del mondo latino, costituito da do‐
dici libri, fu scritto dal poeta Virgilio nel I secolo a.C., e narra la storia di
Enea, principe troiano, che, fuggito dopo la caduta della città, viaggiò fino
all’Italia, approdando sulle coste del Lazio.
Proemio
* L’indicazione dei passi fa riferimento al testo dell’opera
in lingua originale.
1. le armi: le imprese di guerra.
valor:
coraggio.
grand’eroe: è Enea.
2. pria: anticamente. per destino: per volontà del Fato.
2-3. liti… di Lavinio: sono le
spiagge del Lazio. errando:
vagando.
4. sofferse: soffrì.
5. perigli: pericoli. incorse:
s’imbattè.
6-7. come…del ciel: poiché lo
trascinava l’invincibile volontà degli dei.
7. tenace: ostinata.
8. dura: difficile.
9. cittade: città.
9-10. gli suoi… Lazio: stabilì
nel Lazio gli dei protettori
della patria e della famiglia. Per gli antichi Romani
questi dei erano i Penati.
10-12. onde… Roma: grazie ai
quali crebbe il nome del
popolo dei latini, e poi il regno di Albalonga (fondata
da Iulo, figlio di Enea) e il
dominio dell’impero di Roma (fondata da Romolo,
nato dal dio Marte e da
Rea Silvia, figlia di Numitore, re di Albalonga).
13. Musa: è Calliope, la musa
che proteggeva la poesia
epica. cagioni: cause.
L’armi canto, e ’l valor del grand’eroe
che pria da Troia, per destino, ai liti
d’Italia e di Lavinio errando venne;
e quanto errò, quanto sofferse, in quanti
e di terra e di mar perigli incorse,
come il traeva l’insuperabil forza
del cielo, e di Giunon l’ira tenace;
e con che dura e sanguinosa guerra
fondò la sua cittade, e gli suoi dei
ripose in Lazio, onde cotanto crebbe
il nome de’ Latini, il regno d’Alba,
e le mura e l’imperio alto di Roma.
Musa, tu che di ciò sai le cagioni,
140
Il racconto epico
tu le mi detta. Qual dolor, qual onta
fece la Dea, ch’è pur donna e regina
degli altri Dei, sì nequitosa ed empia
contro un sì pio? Qual suo nume l’espose
per tanti casi a tanti affanni? Ahi tanto
possono ancor là su l’ire e gli sdegni?
Unità 2
14. tu… detta: suggeriscimele. onta: offesa
15. fece la Dea: rese, fece diventare Giunone. donna: signora
16. nequitosa ed empia: ingiusta e crudele.
17. contro un sì pio: contro un uomo così rispettoso degli dei.
17-18: qual suo nume… affanni?: quale suo potere divino lo
costrinse a tante dolorose vicende attraverso tante avventure?
18-19. Ahi… sdegni?: sono tanto potenti nel cielo l’ira e lo
sdegno degli dei?
(Traduzione di Annibal Caro)
FATTI E PERSONAGGI
1. Qual è l’argomento del poema?
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2. Quali vicende vissute da Enea vengono elencate?
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3. Qual era la missione affidata dal fato ad Enea?
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4. Che cosa chiede il poeta alla Musa?
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LINGUA E STRUTTURA
1. Sottolinea nel proemio in blu la protasi e in rosso l’invocazione alla Musa.
2. Il verbo errare ha qui il significato di “vagare senza raggiungere la meta”: ma nella lingua italiana assume anche il significato di “sbagliare”. I due significati derivano l’uno dall’altro perché:
a) chi vaga senza meta, si allontana e sbaglia la strada;
b) chi vaga si è allontanato dalla strada giusta, come chi sbaglia si è “allontanato” dal fare
o dire la cosa giusta;
c) chi vaga fa una cosa sbagliata.
3. Nell’Eneide il poeta non usa gli epiteti che hai incontrato nei poemi omerici, ma adopera un
linguaggio più vario. Nel proemio Virgilio usa due espressioni per definire le caratteristiche
principali di Enea. Prova a rintracciare le due espressioni nel testo.
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141
Epica
Mito, epica, leggenda
PRODUZIONE
1. Esegui la costruzione diretta del brano.
2. Svolgi la parafrasi del brano.
3. Metti a confronto il proemio dell’Odissea e quello dell’Eneide. Quali elementi comuni noti e
quali differenze, riguardo la struttura e il contenuto (per esempio il tema del viaggio è presente
in entrambi i poemi?).
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Virgilio con l’Eneide tra
Clio e Melpomene.
142
Il racconto epico
Unità 2
Le ulme ore di Troia
I primi sei libri del poema raccontano la storia del viaggio di Enea da
Troia all’Italia, mentre i rimanenti sei narrano la guerra dei Troiani contro
i Latini, vinta alla fine da Enea, che sposando Lavinia, la figlia del re Latino,
diventerà il progenitore del popolo romano.
Anche in questo poema una parte degli avvenimenti è raccontata dal
protagonista, Enea, durante un banchetto offerto dalla regina di Cartagine,
Didone, che ha benevolmente accolto i profughi troiani, la cui nave è stata
spinta da una tempesta sulle coste africane.
Alla richiesta della regina di narrare le sue peripezie , Enea così ri‐
sponde: “Tu mi chiedi, o regina, di rinnovare un dolore inesprimibile, nar‐
rando come i Greci distrussero le ricchezze di Troia e il suo regno degno
di pianto…”
Dopo dieci anni di assedio i Greci, ispirati dalla dea Atena, avevano
costruito un enorme cavallo di legno e vi avevano rinchiuso i guerrieri
più forti. Imbarcatisi sulle navi, avevano finto il ritorno in patria, la‐
sciando il cavallo sulla spiaggia e diffondendo la voce che era un dono
per la dea Atena: in realtà la flotta greca si era nascosta dietro l’isola di
Tenedo, a poca distanza da Troia.
I Troiani, liberati dall’assedio, si erano subito recati sulla spiaggia
ed erano rimasti stupiti e impressionati di fronte alla grandezza del ca‐
vallo: alcuni proponevano di portarlo in città, altri di distruggerlo, ma
era soprattutto il sacerdote Lacoonte a esortare i cittadini a non fidarsi
dei Greci.
Il popolo era incerto su cosa fare, quando venne portato davanti al
re Priamo un prigioniero greco, di nome Sinone, al quale il vecchio re
chiese spiegazioni in merito al cavallo. Sinone, che era stato lasciato
sulla spiaggia proprio perché ingannasse i Troiani con le sue menzo‐
gne , rivelò che da quando Ulisse aveva rubato da Troia il Palladio, la
sacra statua di Atena, la protezione della dea aveva abbandonato i
Greci; perciò per chiedere perdono del furto e ingraziarsi la dea, ave‐
vano costruito il cavallo, ma lo avevano fatto gigantesco, perché l’in‐
dovino Calcante aveva profetizzato che non doveva essere portato nella
città di Troia, altrimenti i Troiani sarebbero stati i vincitori di questa
e di altre guerre future.
Sinone aveva appena finito di parlare, quando sotto gli occhi dei
Troiani avvenne uno spaventoso prodigio…
143
1. progenitore: capostipite.
2. profughi: fuggiaschi, esiliati.
3. peripezie: avventure.
1. menzogne: bugie.
Epica
Libro II, vv. 70-103
Mito, epica, leggenda
La morte di Lacoonte
71. turbarci: spaventarci.
72. Nettuno: è il nome latino di Poseidone, dio del
mare.
76. si levano: si sollevano.
77. spire: anelli che i serpenti formano avvolgendosi su se stessi.
78. svettano: si innalzano.
sanguigne: color sangue.
81. s’attorcono:
si
attorcigliano.
83. ardenti: infuocati.
93. le sacre bende: le bende
bianche, che erano simbolo della sua carica sacra di sacerdote.
Allora un altro evento molto più spaventoso
sopraggiunse improvviso a turbarci: infelici!
Eletto sacerdote di Nettuno, Laocoonte
sacrificava ai piedi dell’altare solenne
del Dio un enorme toro. Ed ecco (inorridisco
nel dirlo) due serpenti, venendo da Tenedo
per l’alta acqua tranquilla, si levano sull’oceano
con spire immense e s’avviano insieme verso la spiaggia:
i loro petti svettano tra i flutti, le sanguigne
creste sorpassano l’onde, il resto del loro corpo
sfiora la superficie dell’acqua; enormi groppe
che s’attorcono in cerchi sul mare che, frustato
dalle code, spumeggia fragoroso. E approdarono
a riva: gli occhi ardenti iniettati di sangue
e di fuoco, lambivano con le vibranti lingue
le bocche sibilanti. Fuggiamo qua e là
pallidi a tale vista. Senza esitare, i serpenti
puntano su Laocoonte. E anzitutto, avvinghiati
con molte spire viscide i suoi due figli piccoli,
ne straziano le membra a morsi. Poi si gettano
su Laocoonte che armato correva in loro aiuto
stringendolo coi corpi enormi: già due volte
in un nodo squamoso gli han circondato vita
e collo: le due teste stan alte sul suo capo.
Sparse le sacre bende di bava e di veleno
144
Il racconto epico
Laocoonte si sforza di sciogliere quei nodi
con le mani ed intanto leva sino alle stelle
grida orrende, muggiti simili a quelli d’un toro
che riesca a fuggire dall’altare, scuotendo
via dal capo la scure che l’ha solo ferito.
Infine i due serpenti se ne vanno strisciando
sino ai templi più alti, raggiungono la rocca
della crudele Minerva, rifugiandosi ai piedi
della Dea sotto il cerchio del suo concavo scudo.
(Trad. C. Vivaldi)
Unità 2
99. la scure: l’accetta.
102. Minerva: è il nome latino della dea Atena, rappresentata come una
guerriera e perciò crudele.
FATTI E PERSONAGGI
1. Che cosa sta facendo Lacoonte?
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2. Quale aspetto hanno i mostruosi serpenti che uccidono Lacoonte e i suoi figli?
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3. Chi attaccano per primi i due serpenti?
4. Cosa fa Lacoonte?
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5. Dove vanno a rifugiarsi i due serpenti?
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LINGUA E STRUTTURA
1. Attraverso quali particolari il poeta Virgilio riesce a comunicare l’orrore provocato dall’aspetto
dei serpenti e dall’uccisione di Lacoonte e dei suoi figli?
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2. Trova la similitudine contenuta nel brano e spiegala con parole tue.
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Epica
Mito, epica, leggenda
PRODUZIONE
1. Prova a disegnare i due mostruosi serpenti.
2. Stendi il riassunto del brano.
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146
Il racconto epico
Unità 2
L’ulma noe di Troia
Allora tutti i Troiani si convinsero che bisognava portare il cavallo
nella città e abbatterono una parte delle mura di Troia per farlo entrare,
mentre Cassandra, la figlia di Priamo, profetizzava che quello sarebbe
stato l’ultimo giorno di Troia: ma le sue parole, per volontà di Apollo,
non venivano mai credute.
Durante la notte, mentre i Troiani dormivano tranquilli nelle loro
case, la flotta greca ritornò da Tenedo, Sinone aprì il ventre del cavallo
e i guerrieri uccisero le sentinelle, aprendo poi le porte della città ai
propri compagni.
Allora ad Enea si presentò in sogno il valoroso Ettore, che lo incitò
a mettersi in salvo, fuggendo dalla città e cercando un’altra patria.
Enea si svegliò di soprassalto, sentì il rumore delle armi, vide il ba‐
gliore degli incendi che i Greci avevano appiccato e afferrò subito le
armi per lanciarsi nella battaglia, combattendo valorosamente per le
strade della città
Ma ecco che gli apparve la madre Venere, la quale, dopo avergli ri‐
velato che proprio gli dei avevano voluto la distruzione di Troia, lo
esortò a mettere in salvo il vecchio padre Anchise, la moglie Creusa e
il piccolo figlio Iulo. Enea comprese di dover obbedire alla sua madre
divina e ritornò alla propria casa dove si caricò sulle spalle il padre pa‐
ralitico, prese per mano il figlio e, seguito da Creusa, si incamminò per
le strade di Troia, dopo aver dato ai servi istruzioni precise sul luogo in
cui si sarebbero incontrati
Durante il percorso per i vicoli più bui e fuori mano della città, Enea
si accorse di aver perso la moglie e tornò indietro a cercarla affannosa‐
mente, ma gli apparve l’ombra di
Creusa, la quale gli disse di essere
scomparsa per volontà degli dei
e che un lungo viaggio lo aspet‐
tava, ma infine sarebbe arrivato
in una nuova terra e avrebbe
avuto una nuova moglie.
Pieno di dolore per la perdita
della moglie, Enea raggiunse il
luogo fissato per l’incontro e là
trovò una folla di persone che
volevano seguirlo, dovunque egli
fosse diretto: cedendo alla vo‐
lontà degli dei, l’eroe accettò di
guidarli alla ricerca di una nuova
patria.
147
1. bagliore: riflesso, chiarore,
luccichio.
Federico Barocci, Enea
fugge mentre Troia brucia .
Epica
Mito, epica, leggenda
In viaggio…
1. stillare: gocciolare.
2. dolente: sofferente.
3. scellerata: sciagurata, malvagia.
4. mense: tavola.
I profughi troiani, dopo aver costruito le navi ed essersi messi in
viaggio, giunsero in Tracia, dove Enea era sul punto di fondare una
nuova città, quando un prodigio spaventoso lo fece fuggire: volendo
ornare l’altare del sacrificio agli dei, aveva colto un ramoscello da una
pianta e….dal ramo vide stillare gocce di sangue, mentre una voce do‐
lente , proveniente dal ramo, gli raccontava che lì gia‐
ceva, trasformato in pianta, Polidoro, il più giovane
dei figli di Priamo, che lo aveva affidato al re dei Traci,
per proteggerne la vita. Ma, appena saputo della ro‐
vina di Troia, il crudele re aveva ucciso il principe, col‐
pendolo con una pioggia di frecce: il corpo trafitto
aveva messo radici e si era trasformato in pianta.
Fuggito da quella terra scellerata , Enea si diresse
a Delo per chiedere all’oracolo quale sorte lo atten‐
desse e verso quale terra dovesse dirigersi. L’oracolo
rispose:” L’antica madre vi aspetta” e il vecchio An‐
chise pensò si dovesse andare a Creta, patria di Teu‐
cro, il fondatore di Troia, ma in sogno Enea venne av‐
vertito che l’antica madre era l’Italia, la terra dove era
nato Dardano, il capostipite dei Troiani.
Durante il viaggio verso l’Italia, i profughi giunsero
nelle isole Strofadi, dove furono attaccati dalle Arpie,
le mostruose creature dal corpo di uccello e dal viso
di donna e una di loro, Celeno, predisse ad Enea che
nella loro nuova patria essi sarebbero stati tanto tor‐
mentati dalla fame che avrebbero mangiato le proprie
mense.
Avviliti e preoccupati per la profezia, i Troiani ri‐
presero il loro viaggio e approdarono a Butroto, in Epiro, dove regnava
Eleno, uno dei figli di Priamo, che li accolse benevolmente e diede ad
Enea consigli utili a raggiungere l’Italia.
L’eroe troiano proseguì il suo viaggio, sostando in Sicilia, dove An‐
chise morì, ma quando Giunone lo vide dirigere la rotta verso il Lazio,
infuriata, corse da Eolo e gli chiese di liberare i venti e provocare una
tempesta. La dea aveva in odio i Troiani sia perché era ancora offesa
dalla scelta di Paride (cfr. pag. ), sia perché sapeva che Enea avrebbe
fondato una città che avrebbe vinto Cartagine, da lei protetta.
Le navi dei Troiani furono travolte, sommerse o danneggiate dalla
paurosa tempesta, finchè Posidone stesso, accortosi di quanto stava
accadendo, non intervenne a placare le acque e le imbarcazioni super‐
stiti riuscirono ad approdare in una terra sconosciuta.
148
Il racconto epico
Unità 2
Enea e Didone
Enea decise allora di andare in esplorazione e, in un bosco, incontrò
la dea Venere, trasformatasi in una fanciulla, la quale lo informò che
era giunto a Cartagine, su cui regnava Didone. Ella, dopo la morte del
marito Sicheo, per sfuggire al crudele fratello Pigmalione, con un
gruppo di persone a lei fedeli si era rifugiata in quella terra e
aveva fondato la città di cui era regina.
Enea si recò allora alla presenza di Didone, le
chiese ospitalità per sé e i suoi compagni, e la re‐
gina li accolse benevolmente, organizzando un
banchetto in onore degli ospiti, durante il
quale Eros, il dio dell’amore, che aveva preso
l’aspetto di Iulo per ordine di Venere, sca‐
gliò le sue frecce verso la regina ed ella,
dopo aver ascoltato da Enea il racconto
delle peripezie dei Troiani, si ritrovò ad es‐
sere perdutamente innamorata dell’eroe.
In questo modo Venere si era assicurata la
protezione per Enea, impedendo a Giunone
di perseguitarlo ulteriormente.
Giunone, allora, finse di far pace con Ve‐
nere e le propose di combinare un matrimonio
tra i due; la dea dell’amore capì che questo accordo
aveva il solo scopo di evitare che Enea raggiungesse
l’Italia, ma per il momento le fece credere di accettare.
Così la notizia del matrimonio si diffuse e giunse alle orecchie
di Iarba, re dei Gètuli, che Didone aveva rifiutato di sposare, ed egli,
sentendosi disprezzato dalla regina e ritenendosi umiliato perché ella
aveva preferito uno straniero a lui, pregò Giove di vendicare l’offesa da
lui subita.
Il padre degli dei inviò subito Mercurio ad ordinare a Enea di ripren‐
dere il viaggio e raggiungere la terra stabilita per lui dal Fato , ed il prin‐
cipe troiano, di fronte a questo rimprovero, non potè far altro che or‐
dinare ai propri uomini di prepararsi alla partenza.
Didone, sconvolta e addolorata per questa decisione, lo pregò e lo
supplicò di non abbandonarla, ma Enea le rispose di non poter sottrarsi
al volere degli dei e di essere costretto alla partenza contro la sua vo‐
lontà. La regina mostrò, allora, di rassegnarsi all’inevitabile, fece pre‐
parare un gran rogo, vi pose sopra tutti gli oggetti di Enea e finse di vo‐
lerli bruciare, per cancellare anche il ricordo dell’eroe, ma in realtà,
mentre le navi troiane salpavano dalla costa cartaginese, ella lanciò una
terribile maledizione contro Enea e la stirpe che da lui sarebbe nata…
149
1. Fato: legge eterna a cui né
gli uomini ne gli dei potevano disobbedire.
Epica
Libro IV,
vv. 607-629
609. Ecate… ululando: è una
divinità infernale che veniva invocata con lunghe grida di notte nei
trivi, cioè gli incroci di
tre strade, dove era collocata la sua immagine.
610. Dire vendicatrici: le Furie, dee della vendetta.
Elissa: altro nome di Didone.
612. l’infame: è Enea, che
Didone giudica un traditore.
615. travagliato: tormentato
dalle guerra. Quasi tutte
le maledizioni di Didone
si avvereranno, perché
Enea combatterà per
lungo tempo contro i Rutuli, dovrà separarsi dal
figlio e morirà pochi anni dopo la vittoria sui
nemici.
616. bandito: cacciato. Iulo:
è il figlio di Enea, chiamato anche Ascanio.
617. immeritate:
ingiuste,
non meritate.
619. iniqua: ingiusta. dolce
lume: la dolce luce del
giorno, cioè la vita.
620. cada prima dell’ora:
muoia prematuramente.
621. effondo: verso.
622. Tiri: sono i Cartaginesi,
chiamati così perché originari della città di Tiro.
622-623: tormentate… futura: è la predizione delle
guerre puniche.
625. vendicatore: nel personaggio del vendicatore
è facile vedere Annibale, il più implacabile nemico del popolo romano.
626. dardanii: sono i Troiani,
chiamati così dal nome
del loro progenitore
Dardano.
Mito, epica, leggenda
La maledizione di Didone
O sole, che illumini con le fiamme tutte le opere della terra,
e tu, Giunone, autrice e complice dei miei affanni,
Ecate invocata per la città nei notturni trivii ululando,
e Dire vendicatrici, e dei della morente Elissa,
accogliete quello che dico, punite con giusta potenza i malvagi,
e ascoltate le mie preghiere. Se l’infame deve raggiungere
il porto e approdare alla terra e questo richiedono
i fati di Giove, e il termine resta immutabile:
ma travagliato dalle armi e dalla guerra d’un popolo audace,
bandito dalle terre, strappato all’abbraccio di Iulo,
implori aiuto, e veda le immeritate morti
dei suoi, e quando si sia piegato alle leggi d’una pace
iniqua, non goda del regno e del dolce lume;
ma cada prima dell’ora, insepolto tra la sabbia.
Di questo vi prego, col sangue effondo quest’ultima voce.
E voi, o Tirii, tormentate con odio la sua stirpe
e tutta la razza futura, offrite un tal dono
alle nostre ceneri. Non vi sia amore né patto tra i popoli.
E sorgi, vendicatore, dalle mie ossa,
e perseguita col ferro e col fuoco i coloni dardanii,
ora, in seguito, o quando se ne presenteranno le forze.
Lidi opposti ai lidi, onde ai flutti
auguro, armi alle armi; combattano essi e i nipoti».
(Trad. L. Canali, Mondadori, , Milano)
150
Il racconto epico
Unità 2
FATTI E PERSONAGGI
1. A quali divinità Didone si rivolge e perché?
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2. Quali maledizioni lancia contro Enea?
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3. Che cosa chiede ai Cartaginesi?
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4. Chi deve nascere dalle sue ossa?
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LINGUA E STRUTTURA
1. Sottolinea nel testo con colori diversi l’invocazione di Didone agli dei, la maledizione contro
Enea, la richiesta ai Cartaginesi, l’invocazione al vendicatore.
2. Nella maledizione di Didone sono contenuti molti termini che si riferiscono alla guerra e alla
vendetta. Individuali.
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PRODUZIONE
1. Spiega con parole tue i sentimenti che sconvolgono il cuore della regina Didone e che la spingono a pronunciare le terribili parole di maledizione e di odio eterno.
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151
Epica
Libro IV,
vv. 648-668
1. presagio: segno premonitore.
2. sciagure: disgrazie.
647. qui: Didone si trova sul
rogo, dove sono ammassati gli oggetti che le
ricordano la storia
d’amore tra lei ed Enea.
vesti iliache: coperte di
fattura troiane.
648. giaciglio: è il letto nuziale.
650: estreme: ultime.
651. dolci spoglie: dolci ricordi d’amore.
659. premendo le labbra:
baciando.
660. ombre: nel regno dei
morti.
661. beva… gli occhi: Didone spera che Enea veda
dal mare il fuoco del rogo, come appunto accadrà
664. ferro: la spada.
665.-666. atrii: erano i vestiboli, cioè i vani d’ingresso delle case antiche.
666. imperversa… sgomenta: la fama, che qui è
personificata, diffonde
la notizia del suicidio,
aggirandosi velocemente nella città sbigottita.
Mito, epica, leggenda
Il suicidio di Didone
Poi Didone, pallida in volto e con lo sguardo stravolto, salì furiosa
sul rogo e si uccise con la spada di Enea, che da lontano vide ardere
il fuoco del rogo e sentì nel cuore un oscuro presagio di nuove scia‐
gure …
Qui, quando vide le iliache vesti e il noto
giaciglio, un poco indugiando in lagrime e in pensiero,
si adagiò sul letto, e disse le estreme parole:
«Dolci spoglie, finché il fato e il dio permettevano,
accogliete quest’anima, e liberatemi da queste pene.
Ho vissuto, e percorso la via che aveva assegnato la sorte,
e ora la mia ombra gloriosa andrà sotto terra.
Ho fondato una splendida città, ho veduto
mura da me costruite, vendicato lo sposo, punito
il fratello nemico; felice, troppo felice, se solo le navi
dardanie non avessero mai toccato le nostre rive!».
Disse, e premendo le labbra sul letto: «Moriremo invendicate,
ma moriamo» esclamò. «Così desidero discendere tra le ombre.
Beva questo fuoco con gli occhi dal mare il crudele
dardanio, e porti con sé la maledizione della mia morte».
Disse; e fra tali parole le ancelle la vedono
gettarsi sul ferro, la spada schiumante e le mani
bagnate di sangue. Vanno le grida negli alti
atrii; imperversa la Fama per la città sgomenta.
Le case fremono di lamenti, di gemiti, di urla
femminee; il cielo risuona d’un grande pianto.
152
Il racconto epico
Unità 2
FATTI E PERSONAGGI
1. Quale reazione ha Didone, nel vedere gli oggetti che le ricordano Enea? ..............................................
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2 Quali imprese ricorda di aver compiuto?
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3. Cosa ha distrutto la sua felicità, secondo lei?
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4. Come si uccide la regina?
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5. Cosa accade nella città all’annuncio della sua morte?
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LINGUA E STRUTTURA
1. Spiega con parole tue l’espressione “un poco indugiando in lagrime e in pensiero”.
.....................
......................................................................................................................................................................................................................
2. Con quali parole Didone definisce Enea? .......................................................................................................................
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PRODUZIONE
1. Dopo aver riletto anche il brano precedente, stendi il riassunto delle ultime, drammatiche ore
della regina Didone.
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153
Epica
Mito, epica, leggenda
Nel regno degli inferi
Antro della Sibilla a
Cuma.
1. Sibilla: profetessa ispirata
da Apollo.
Rimessisi, dunque, in mare i Troiani sostarono nuovamente in Si‐
cilia, dove Enea fondò una città e vi lasciò tutti quelli che non volevano
continuare il viaggio, proseguendo poi verso l’Italia per recarsi dalla
Sibilla , come il padre Anchise, apparso in sogno, gli aveva consigliato
di fare.
Durante il viaggio, una notte il dio Sonno fece precipitare in mare
Palinuro, il fedele timoniere della nave, presso un promontorio che da
lui prese il nome, ma Enea riuscì ugualmente a guidare la nave verso
le coste italiche e ad approdare a Cuma, dove abitava la Sibilla.
Enea si recò subito all’antro della Sibilla, una im‐
mensa grotta con cento porte e chiese di conoscere il
proprio futuro: la profetessa gli predisse un nuovo re‐
gno, ma anche nuove guerre, raccomandandogli di
sopportare tutte le fatiche e la sciagure future. Ma
Enea aveva ancora un’altra richiesta per la Sibilla, aiu‐
tarlo a scendere negli Inferi, dove il padre Anchise, in
sogno, gli aveva detto di volerlo incontrare. La donna,
allora, gli ordinò di recarsi nel bosco vicino e cercare
un ramoscello d’oro: se lo avesse trovato e fosse riu‐
scito a spezzarlo, allora avrebbe potuto scendere negli
Inferi, portandolo con sé per offrirlo in dono a Proser‐
pina, la regina del regno dei morti.
Dopo queste parole Enea ritornò dai suoi compa‐
gni e li trovò che piangevano la morte di Miseno,
l’abile trombettiere, che, mentre suonava sulla spiag‐
gia, era stato trascinato in acqua da un Tritone, invi‐
dioso della sua bravura.
Enea e i compagni, piangendo la sorte del loro amico, si recarono
nel bosco per tagliare gli alberi necessari al rogo funebre, e all’improv‐
viso l’eroe vide due colombe che si posavano vicino a lui. Comprese che
erano state inviate dalla madre Venere e seguì il loro volo, giungendo
a un albero, posto nel fitto della foresta, tra le cui foglie brillava il ra‐
moscello d’oro, che egli riuscì a cogliere senza difficoltà.
Dopo aver celebrato i riti funebri per Miseno e averlo sepolto in un
luogo che da lui avrebbe preso il nome, Enea, guidato e accompagnato
dalla Sibilla, entrò nel regno degli Inferi: l’eroe troiano percorse le
oscure strade infernali, incontrando terribili e tristi divinità, le Furie,
il Pianto, il Dolore, la Malattia, la Morte, la Guerra… sulle porte vide i
Centauri, metà uomini e metà cavalli, Briareo dalle cento braccia, la
Chimera, un mostro con una testa di leone e una di capra e la coda di
serpente, l’Idra di Lerna dalle sette teste, Gerione, mostro con tre corpi,
154
Il racconto epico
le Gorgoni, che avevano ali d’oro, mani con artigli di
bronzo, zanne di cinghiale e serpenti al posto dei
capelli, e le Arpie.
Infine Enea giunse presso il fiume Ache‐
ronte, dove una folla di morti implorava Ca‐
ronte, l’infernale traghettatore dagli occhi
cattivi e iniettati di sangue, di essere tra‐
sportata sull’altra riva, ma non tutti erano
ammessi a salire nella sua orribile barca,
poiché i morti che non avevano avuto se‐
poltura erano condannati a vagare per
cento anni sulle rive del fiume infernale.
Appena Caronte vide il ramoscello
d’oro, fece salire Enea e la Sibilla sulla barca
e li trasportò sulla riva opposta, dove furono
accolti dai latrati di Cerbero, il cane infernale a
tre teste, che la profetessa addormentò facendogli
mangiare un miscuglio soporifero. Enea potè allora
entrare nel vero e proprio regno dei morti e vide dall’alto
una grande città, chiusa da tre file di mura, circondate dal nero
fiume di fuoco Flegetonte e, su una altissima torre di ferro, la Furia Ti‐
sifone con una frusta di serpenti che incitava le sue orribili
sorelle a tormentare i dannati, mentre tutt’intorno si
sentivano pianti, lamenti e rumore di catene. La
Sibilla spiegò all’eroe che, quando i dannati
entravano, trovavano di fronte a loro un mo‐
struoso serpente con cinquanta bocche,
prima di essere precipitati nel profondo
Tartaro. Poi la donna guidò Enea verso
i campi Elisi, ma prima l’eroe nel suo
cammino riconobbe l’ombra di Di‐
done, che però si allontanò sdegnata
da lui, senza rispondere alle sue pa‐
role, finchè nel luogo dove erano rac‐
colti gli uomini buoni, egli potè rive‐
dere il padre, ma non riuscì ad abbrac‐
ciarlo poiché era solo un’ombra impal‐
pabile . Anchise, per rafforzare la volontà
del figlio, gli mostrò quelli che sarebbero
stati i suoi discendenti, descrivendo per
ognuno di essi le imprese famose che avrebbero
compiuto. Ma ormai era terminato il tempo con‐
cesso ad Enea negli Inferi, e l’eroe doveva ritornare nel
regno dei vivi e guidare i suoi compagni alla conquista della
nuova patria, il cui splendido destino di gloria gli era ormai ben chiaro.
155
Unità 2
2. impalpabile: sottilissima, lievissima.
Epica
Mito, epica, leggenda
La terra promessa dal fato
E finalmente, dopo alcuni giorni di navigazione, i Troiani videro
lungo la costa italica la foce di un fiume, che essi risalirono fino a giun‐
gere a un luogo adatto all’approdo. Qui prepararono da mangiare e,
non avendo dove appoggiare il cibo, lo misero su delle grandi focacce
di farro: il pasto era però insufficiente per gli uomini affamati e allora
tutti cominciarono ad addentare le focacce, mentre Iulo gridava che
per la fame stavano mangiando le mense!
Allora Enea, ricordandosi della profezia dell’Arpia Celeno, fu certo
di essere arrivato alla fine del suo viaggio e si inginocchiò a baciare la
terra, ringraziando gli dei che lo avevano guidato.
Il giorno dopo Enea inviò ambasciatori con ricchi doni presso La‐
tino, il re di quella regione, chiedendo amicizia e pace, ed egli li accolse
tanto amichevolmente da promettere in moglie la propria figlia, Lavi‐
nia, all’eroe troiano. Ma Giunone non poteva sopportare che si com‐
pisse così felicemente il destino di Enea e allora inviò le Furie a incitare
alla guerra i popoli vicini, soprattutto i Rutuli, al cui re, Turno, era stata
precedentemente promessa in sposa la giovane Lavinia.
Ferdinand Bol, Enea alla
corte del re Latino.
156
Il racconto epico
Unità 2
È guerra!
La guerra scoppiò e si estese in brevissimo tempo, da ogni parte
giungevano popoli per parteciparvi ma ad Enea una notte apparve in
sogno il dio Tiberino, la divinità del fiume Tevere, che gli consigliò di
chiedere aiuto al re Evandro. Al suo risveglio l’eroe s’imbarcò senza esi‐
tazioni e risalì la corrente del fiume fino a giungere al regno di Evandro,
il quale gli promise il proprio aiuto e gli consigliò di chiedere anche
l’alleanza dei popoli dell’Etruria, offrendogli come accompagnatore per
questa missione il proprio figlio, Pallante.
Mentre Enea era in viaggio per cercare gli aiuti necessari, Turno
stringeva sempre più l’assedio intorno ai Troiani, ma quando questi
erano sul punto di perdere ogni speranza di resistere ai nemici, l’eroe
troiano fece ritorno accompagnato dagli eserciti degli alleati.
Allora le battaglie diventarono violentissime e morirono nei diversi
scontri giovani coraggiosi in entrambi gli schieramenti: Pallante,
Lauso, Camilla, la valorosa amazzone , Eurialo e Niso, due amici inse‐
parabili nella vita così come nella morte…
157
1. amazzone: donna guerriera.
Epica
Libro IX,
vv. 483-540
483-484. gli perviene… grida: Eurialo e Niso si sono offerti volontari per
raggiungere Enea e informarlo che Turno ha
assalito i Troiani. Ma
nell’attraversare di notte
il campo nemico, vengono sorpresi da una
schiera di cavalieri rutuli
e tentano di fuggire, ma
Eurialo è catturato e Niso, che è poco distante
dall’amico, sente le grida di esultanza dei nemici.
484-485. tradito… notte: Eurialo è stato ingannato
dal luogo che gli è sconosciuto e dal buio della
notte.
485-486. sgomento… improvviso: spaventato
dall’assalto improvviso.
491-492. palleggiato il giavellotto: dopo aver fatto
oscillare la lancia.
492. Luna: la dea Diana, venerata anche come Luna, era la protettrice dei
boschi e della caccia.
495. Latona: Diana era, insieme ad Apollo, figlia
di Latona e di Giove.
502. sferza: colpisce.
503. Sulmone: è un guerriero
rutulo.
506. rantolo: respiro affannoso.
508. libra: soppesa, tenendolo in equilibrio.
510. Tago: altro guerriero rutulo.
Mito, epica, leggenda
Eurialo e Niso
Dopo non molto gli perviene
un clamore di grida e vede Eurialo, tradito
dal luogo e dalla notte, sgomento dal tumulto
improvviso, serrato in mezzo ad una squadra
nemica e portato via nonostante i suoi sforzi.
Che fare? Con quali armi osare liberarlo?
Forse è meglio gettarsi nel fitto dei nemici
cercando in fretta una morte gloriosa in battaglia?
Rapido, tratto indietro il braccio e palleggiato
il giavellotto, guardando l’alta Luna la prega:
«O Dea, sii favorevole alla mia impresa, tu
che sei lo splendore del firmamento e proteggi,
silenziosa figlia di Latona, le selve.
[…]
deh , lascia
che scompigli il nemico, dirigimi quest’arma!».
Con tutta la forza del corpo avventa il giavellotto,
l’asta volando sferza le ombre della notte
e penetra nel corpo di Sulmone, si spezza
trafiggendogli il cuore con una scheggia di legno.
Il guerriero già freddo rotola a terra, sprizzando
caldo sangue dal petto, con un rantolo lungo.
Smarriti si guardano attorno. Fiero del suo successo
Niso libra un secondo giavellotto all’altezza
dell’orecchio. I Latini son lì, tremanti: l’asta
sibilando attraversa le tempie di Tago,
tiepida resta infissa nel cervello trafitto.
158
Il racconto epico
Il feroce Volcente s’adira ma non riesce
a vedere l’autore del colpo ed a capire
con chi pendersela. «Tu, intanto, mi pagherai
col sangue caldo la morte dei miei compagni!», dice
lanciandosi su Eurialo, la spada sguainata.
Allora Niso, atterrito, fuori di sé, non può
nascondersi più a lungo nell’ombra e sopportare
tanto dolore. Grida: «Io! Sono io il colpevole!
Volgete quelle armi contro di me: l’inganno
è stato mio. Costui non ha colpa di nulla,
se chiamo a testimoni il cielo e le stelle che sanno:
ha solo amato troppo il suo amico infelice!».
Tardi. La nuda spada violenta ha già squarciato
le costole e trafitto quel petto bianco, puerile.
Eurialo è travolto dalla morte, va il sangue
giù per le belle membra e il collo senza forza
ricade sulle spalle: come un fiore purpureo
reciso dall’aratro morendo illanguidisce,
come abbassano il capo i papaveri, stanchi
sul loro stelo, quando la pioggia li colpisce.
Ma Niso si precipita tra i nemici, di tutti
vuole solo Volcente, cerca solo Volcente.
Intorno a lui i guerrieri premono, da ogni parte
lo stringono, fittissimi. Egli insiste, ruotando
la spada come un fulmine, finché l’immerge in gola
all’urlante Volcente: così morendo ruba
l’anima al suo nemico. Poi trafitto si getta
sul corpo dell’amico esanime e qui infine
trova eterno riposo nella placida morte.
Unità 2
512. Volcente: è il comandante dei Rutuli. s’adira:
si infuria.
523. ha solo… infelice:
secondo Niso Eurialo è
colpevole solo di aver
voluto accompagnare
l’amico nell’impresa rischiosa.
525. puerile: di ragazzo.
529. reciso: tagliato. illanguidisce: appassisce.
539. esanime: senza vita.
(Trad. di C. Vivaldi)
FATTI E PERSONAGGI
1. Cosa pensa di fare Niso per liberare l’amico?
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2. Cosa, invece, fa effettivamente?
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3. Perché decide di uscire allo scoperto?
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continua 159
Epica
4. Chi uccide Eurialo?
Mito, epica, leggenda
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5. Come reagisce Niso alla morte dell’amico? ..................................................................................................................
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6. Qual è la sorte di Niso?
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LINGUA E STRUTTURA
1. A cosa viene paragonato il corpo di Eurialo morto? Cerca nel testo le similitudini e spiegale
con parole tue.
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2. La ripetizione del nome di Volcente ai versi 532-533 indica un particolare stato d’animo di
Niso. Quale?
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PRODUZIONE
1. Spiega quali sono i valori che Virgilio ha voluto sottolineare nella storia di Eurialo e Niso.
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160
Il racconto epico
Il duello finale tra Enea e Turno
Ormai si avvicinava per i Troiani il momento della vittoria, ma Giu‐
none tentò di ritardarlo ancora: sapendo che la morte di Turno, suo pro‐
tetto, avrebbe segnato il compimento del destino glorioso di Enea, la dea
cercò di impedire lo svolgimento di un duello tra Turno e l’eroe troiano.
Il re dei Rutuli, però, non poteva accettare di essere considerato un
vile guerriero e chiese lui stesso che le sorti della guerra fossero decise
da un duello tra lui ed Enea; neppure la ninfa Giuturna, sorella di Turno,
riuscì ad evitare la morte del fratello, la lancia di Enea trapassò lo scudo,
spezzò la corazza e la violenza del colpo fece cadere il re dei Rutuli.
Il grande Turno cade, piega il ginocchio a terra.
Balzano in piedi i Rutuli gridando, la montagna
tutt’intorno ne echeggia, le profonde foreste
ripercuotono il suono per lungo tratto. Turno
supplichevole, umile, rivolgendosi a Enea
con gli occhi e con le mani in atto di preghiera,
161
Unità 2
Libro XII,
vv. 1149-1180
1. vile: vigliacco.
Epica
Mito, epica, leggenda
1158. Anchise: era il padre di
Enea.
1159. Dauno: è il vecchio padre di Turno.
1161. Ausoni: sono gli Italici.
1162. Lavinia: è la figlia del
re Latino, promessa in
sposa prima a Turno e
poi a Enea.
1168. fulgente: brillante.
1169. Pallante: è il giovane figlio del re Evandro, alleato di Enea, ed è stato
ucciso in battaglia proprio da Turno.
1171. di cui… la spoglia: dopo aver ucciso Pallante,
Turno aveva preso come bottino di guerra
(spoglia) la cintura del
giovane e ora la indossa come esibendo un
trofeo.
1176. ti sacrifica: chiede la
tua morte.
1177. scellerato: malvagio.
1178. nel petto avverso: nel
petto dell’avversario
che è di fronte a lui.
1180. Ombre: il regno dei
morti.
gli dice: «Ho meritato la mia sorte e non chiedo
perdono: segui pure il tuo destino. Solo
ti prego, se hai pietà di un infelice padre
(come Anchise lo fu) sii misericordioso
della vecchiaia di Dauno, restituisci ai miei
me vivo od il mio corpo privato della vita,
come ti piace. Hai vinto, gli Ausoni hanno veduto
Turno sconfitto tenderti le mani: già Lavinia
è tua, non andar oltre nella vendetta!». Enea
fiero nelle sue armi ristette, pensieroso,
guardando l’avversario e trattenendo il colpo.
E quasi le preghiere riuscivano a commuoverlo,
già dubitava, quando gli apparve, sulla spalla
del vinto, il disgraziato cinturone, fulgente
tutto di borchie d’oro, del giovane Pallante,
che Turno aveva ucciso con un colpo mortale
e di cui indossava come trofeo la spoglia.
Vista quella cintura, ricordo d’un dolore
terribile, infiammato di rabbia, acceso d’ira:
«Tu forse, che hai indossato le spoglie dei miei amici,
vorresti uscirmi vivo dalle mani? Pallante»,
disse, «solo Pallante ti sacrifica, e vendica
la sua fine col sangue tuo scellerato». Pianta
furibondo la spada nel petto avverso. Il corpo
di Turno si distende nel freddo della morte
la sua vita sdegnosa cala giù tra le Ombre.
(Trad. di C. Vivaldi)
Luca Giordano, Il duello
di Enea e Turno.
162
Il racconto epico
Con questo episodio si conclude il poema di Virgilio: Enea ha vinto,
sposerà Lavinia e dai loro discendenti avrà origine il popolo romano.
Dunque la missione di Enea si era compiuta.
Ora cominciava quella di Roma…
163
Unità 2
Epica
Mito, epica, leggenda
FATTI E PERSONAGGI
1. Che cosa chiede Turno ad Enea?
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2. Qual è la prima reazione di Enea alle parole di Turno?
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3. Cosa fa cambiare idea all’eroe troiano? .........................................................................................................................
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4. Quale sentimento prevale nel cuore di Enea?
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LINGUA E STRUTTURA
1. Trova nel testo gli aggettivi che definiscono Turno ed Enea (sono tre per ognuno).
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164
Il racconto epico
Unità 2
PRODUZIONE
Confronta il duello tre Achille ed Ettore con questo tra Enea e Turno e spiega con parole tue quali
sono gli elementi in comune e quali le differenze tra i due episodi.
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Rappresentazione del mito di Rea Silvia, figlia del re Numitore, discendente di
Enea, sedotta da Marte, da cui nacquero Romolo e Remo. Palazzo Mattei, Roma.
165
Verifica di fine
unità 2
Completa la tabella che segue:
ILIADE
ODISSEA
ARGONAUTICHE
Protagonista
Argomento
principale
del poema
Avversario/
antagonista
Conclusione
Divinità
a cui si rivolge
l’invocazione
Storie d’amore
Storie d’amicizia
Personaggi
mostruosi
Duelli
Visita degli inferi
Avvenimento
storicamente
accaduto
166
ENEIDE
Unità
Percorsi
tematici
I grandi poemi epici della Grecia e di Roma hanno in comune molti
aspetti. Proviamo insieme adesso a scegliere una tematica e a vedere come
è stata trattata dagli autori nei diversi poemi. Metteremo a confronto i
brani in cui il tema scelto è stato espresso con particolare attenzione dal‐
l’autore.
Scopriremo che in molti casi personaggi e situazioni si somigliano op‐
pure che il modo di vedere uno stesso sentimento o un avvenimento simile
sono narrati con punti di vista molto diversi.
167
2
Epica
Mito, epica, leggenda
Figure femminili
nell’Odissea
L’incontro di Odisseo con diversi personaggi femminili, donne o dee,
ci permette di comprendere le differenze tra i sentimenti e i comporta‐
menti di una dea e di una giovane principessa. Ma i colloqui tra l’eroe e
queste donne ci fanno scoprire anche i sentimenti più intimi e gli aspetti
principali del carattere di Odisseo: l’amore e la fedeltà verso la moglie, la
nostalgia per la patria, l’abilità nel parlare con prudenza, accortezza e
forza di persuasione.
Odissea, Libro V,
vv. 203-224
Odisseo e Calipso
Antefatto: Odisseo, dopo aver fatto naufragio e aver perduto i compa‐
gni, è giunto nell’isola di Ogigia, abitata dalla ninfa Calipso. Ella lo trat‐
tiene nell’isola per sette anni, impedendogli di partire, finchè il dio Ermes,
inviato da Zeus, le ordina di lasciar andare Odisseo. Calipso è costretta ad
obbedire ma, prima che l’eroe parta, vuole parlargli…
203. Laerziade: figlio di Laerte.
209. immortale saresti: diventeresti
immortale,
perché Calipso, che è
una dea, può donargli
l’immortalità. Bramoso:
desideroso.
211-213. di lei… gareggino:
mi vanto di essere più
bella di Penelope, perché non è possibile che
le donne mortali possano superare in aspetto e
bellezza le dee.
217. grandezza: statura
«Laerzìade divino, accorto Odisseo,
dunque alla casa, alla terra dei padri
subito adesso andrai? Ebbene, che tu sia felice!
Ma se sapessi nell’animo tuo quante pene
t’è destino subire, prima di giungere in patria,
qui rimanendo con me, la casa mia abiteresti
e immortale saresti, benché tanto bramoso
di rivedere la sposa , che sempre invochi ogni giorno.
Eppure, certo, di lei mi vanto migliore
quanto a corpo e figura, perché non può essere
che le mortali d’aspetto e bellezza con le immortali gareggino!»
E rispondendole disse l’accorto Odisseo:
«O dea sovrana, non adirarti con me per questo: so anch’io
e molto bene, che a tuo confronto la saggia Penelope
per aspetto e grandezza non val niente a vederla:
è mortale, e tu sei immortale e non ti tocca vecchiezza.
Ma anche così desidero e invoco ogni giorno
di tornarmene a casa, vedere il ritorno.
168
Percorsi tematici
Se ancora qualcuno dei numi vorrà tormentarmi sul livido mare,
sopporterò, perché in petto ho un cuore avvezzo alle pene.
Molto ho sofferto, ho corso molti pericoli
fra l’onde e in guerra: e dopo quelli venga anche questo!
Unità 2
221. livido: violaceo, cioè
scuro per la tempesta.
222. avvezzo alle pene: abituato a sopportare le
sventure.
(Omero, Odissea, trad. di R. Calzecchi Onesti, Einaudi, Torino )
COMPRENSIONE
1. Con quali argomenti la ninfa Calipso cerca di convincere Odisseo a restare?
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2. Con quali argomenti Odisseo si giustifica, ripetendo di voler partire?
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3. Le parole di Odisseo sono prudenti o offensive? Motiva la risposta.
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continua 169
Epica
Mito, epica, leggenda
4. Attribuisci a ciascuno dei personaggi le seguenti qualità e completa la tabella:
arroganza, astuzia, superbia, diplomazia, accortezza, vanità,
indelicatezza, delicatezza
CALIPSO
ODISSEO
PRODUZIONE
1. Stendi il riassunto del brano.
2. Quali sono le differenze evidenti nell’atteggiamento dei due personaggi in questo brano?
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170
Percorsi tematici
Odisseo e Nausicaa
Unità 2
Odissea, Libro VI,
vv. 127-197
Antefatto: Odisseo, partito da Ogigia con una zattera, naufraga nuo‐
vamente, poiché il dio Poseidone sconvolge il mare con una violenta tem‐
pesta. Le onde stanno per scagliare l’eroe contro le rocce dell’isola dei Feaci,
ma la dea Atena lo aiuta. Giunto alla foce di un fiume, Odisseo, sfinito,
perde i sensi. Nel frattempo la dea Atena appare in sogno a Nausicaa, la
figlia Alcinoo, re dei Feaci, e le consiglia di recarsi al fiume per lavare le
vesti. Mentre aspettano che le vesti si asciughino al sole, Nausicaa e le an‐
celle giocano a palla, le loro voci svegliano Odisseo che decide di farsi ve‐
dere per chiedere aiuto.
Così dicendo, di sotto ai cespugli sbucò Odisseo glorioso,
dal folto un ramo fronzuto con la mano gagliarda
stroncò per coprire le vergogne sul corpo.
E mosse come leone nutrito sui monti, sicuro della sua forza,
che va tra il vento e la pioggia; i suoi occhi
son fuoco. Tra le vacche si getta, tra le pecore,
tra cerve selvagge; e il ventre lo spinge,
in cerca di greggi, a entrare anche in ben chiuso recinto.
Così Odisseo tra le fanciulle bei riccioli stava
per mescolarsi, nudo: perché aveva bisogno.
Pauroso apparve a quelle, orrido di salsedine,
fuggirono qual e là per le lingue di spiaggia.
Sola, la figlia d’Alcìnoo restò, perché Atena
le infuse coraggio nel cuore, e il tremore delle membra le tolse.
Dritta stette, aspettandolo: e fu in dubbio Odisseo
se, le ginocchia afferrandole, pregar la fanciulla occhi belli,
o con parole di miele, fermo così, da lontano,
pregarla, che la città gli insegnasse e gli desse una veste.
Così, pensando, gli parve cosa migliore,
pregar di lontano, con parole di miele,
ché a toccarle i ginocchi non si sdegnasse in cuore la vergine.
Subito dolve e accorta parola parlò:
«Io mi t’inchino, signora: sei dea o sei mortale?
Se dea tu sei, di quelli che il cielo vasto possiedono,
Artemide, certo, la figlia del massimo Zeus,
per bellezza e grandezza e figura mi sembri.
Ma se tu sei mortale, di quelli che vivono in terra,
tre volte beati il padre e la madre sovrana,
tre volte beati i fratelli: perché sempre il cuore
s’intenerisce loro di gioia, in grazia di te,
quando contemplano un tal boccio muovere a danza.
Ma soprattutto beatissimo in cuore, senza confronto,
chi soverchiando coi doni, ti porterà a casa sua.
171
128-129. ramo fronzuto…
corpo: spezzò un ramo
ricco di foglie con la
mano forte per coprire
le nudità del suo corpo.
130-134. e mosse… ben
chiuso recinto: si mosse
come un leone che, sicuro della sua forza, va tra
il vento e la pioggia e i
suoi occhi sono ardenti.
Si lancia tra ogni tipo di
preda, la fame lo spinge
in cerca di greggi da assalire e anche ad entrare in recinti chiusi.
138. lingue di spiaggia: tratti
di costa sabbiosa che si
allungano in mare.
142. le ginocchia afferrandole: gettarsi ai suoi
piedi, abbracciandole le
ginocchia in segno di
supplica.
144. la città gli insegnasse:
gli desse indicazioni per
raggiungere la città.
147. non si sdegnasse… vergine: non si offendesse
la nobile fanciulla.
157. tal boccio… danza: un
così bel bocciolo di fanciulla danzare.
158-159. ma soprattutto… a
casa sua: sarà felicissimo l’uomo che, portando più doni degli altri, ti
condurrà sposa nella
sua casa.
Epica
Mito, epica, leggenda
162-163. in Delo… palma: a
Delo, vicino al tempio di
Apollo, ho visto un giovane albero di palma.
167. mai… terra: non è mai
cresciuta dalla terra una
pianta così bella.
169. duro strazio m’accora:
un dolore straziante mi
fa soffrire.
171. procelle rapaci: tempeste violente.
176. mi prostro: mi inchino.
Mai cosa simile ho veduto con gli occhi,
né uomo, né donna: e riverenza a guardarti mi vince.
In Delo una volta, così, presso l’ara d’Apollo,
vidi levarsi un fusto nuovo di palma:
sì, giunsi anche là; e mi seguiva innumerevole esercito,
via in cui m’era destino aver tristi pene.
Così, ammirandolo, fui vinto dal fascino
a lungo, perché mai crebbe tale pianta da terra,
come te, donna, ammiro, e sono incantato e ho paura tremenda
ad abbracciarti i ginocchi; ma duro strazio m’accora.
Ieri scampai dopo venti giornate dal livido mare:
fin qui l’onda sempre m’ha spinto e le procelle rapaci,
dall’isola Ogigia; e qui m’ha gettato ora un dio,
certo perché soffra ancora dolori: non credo
che finiranno, ma molti ancora vorranno darmene i numi.
Ma tu, signora, abbi pietà: dopo molto soffrire,
a te per prima mi prostro, nessuno conosco degli altri
uomini, che hanno questa città e questa terra.
La rocca insegnami e dammi un cencio da mettermi addosso,
se avevi un cencio da avvolgere i panni, venendo.
A te tanti doni facciano i numi, quanti in cuore desideri,
marito, casa ti diano, e la concordia gloriosa
a compagna; niente è più bello, più prezioso di questo,
quando con un’anima sola dirigono la casa
l’uomo e la donna: molta rabbia ai maligni,
ma per gli amici è gioia, e loro han fama splendida».
172
Percorsi tematici
Gli replicò Nausicaa braccio bianco:
«Straniero, non sembri uomo stolto o malvagio,
ma Zeus Olimpio, lui stesso, divide fortuna tra gli uomini,
buoni e cattiuvi, come vuole a ciascuno:
a te ha dato questo, bisogna che tu lo sopporti.
Ora però, che sei giunto alla nostra terra, alla nostra città,
né panno ti mancherà, né altra cosa,
quanto è giusto ottenga il meschino, che supplica.
La rocca t’insegnerò e dirò il nome del popolo.
I Feaci possiedono terra e città,
e io son la figlia del magnanimo Alcìnoo,
che tra i Feaci regge la forza e il potere».
(Omero, Odissea, trad. di R. Calzecchi Onesti, Einaudi, Torino )
Unità 2
186. braccio bianco: dalla
carnagione chiara.
193. quanto… supplica: tutto
ciò che è giusto offrire
allo sfortunato che chiede pregando.
COMPRENSIONE
1. Quale azione compie Odisseo prima di mostrarsi alle fanciulle?
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2. Quale paragone Omero utilizza per descrivere il comportamento di Odisseo?
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3. Odisseo sceglie il modo per chiedere aiuto tra due possibilità. Quali sono?
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4. Su quale modo ricade la sua scelta e perchè?
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5. Con quali argomenti Odisseo cerca di guadagnare la benevolenza di Nausicaa, prima di chiederle aiuto?
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continua 173
Epica
Mito, epica, leggenda
6. Quali sono le richieste che fa per essere aiutato?
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7. Qual è la risposta di Nausicaa?
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8. Dalle parole di Nausicaa ti sembra di capire che Odisseo, nudo, sporco di salsedine, sia riuscito
a non spaventare la principessa? Motiva la risposta.
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PRODUZIONE
1. Stendi il riassunto del brano.
2. La scena è molto particolare. Prova a immaginarla: la principessa e le sue giovani ancelle giocano spensierate, all’improvviso compare uno straniero nudo, sporco e in evidente stato di bisogno. La reazione naturale delle fanciulle avrebbe dovuto essere la fuga per lo spavento. Odisseo, invece, riesce a farsi ascoltare e ad ottenere l’aiuto necessario. Quali sono le doti di Odisseo che emergono in questo episodio e che, ancora una volta, lo salvano?
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174
Verifica di fine percorso:
confronto tra testi
FIGURE DI DONNE NELL’ODISSEA
Nell’incontro con Calipso e Nausicaa, Odisseo mostra un atteggiamento prudente, diplomatico: senza offendere Calipso, riesce a uscire da una situazione
delicata; senza spaventare Nausicaa, riesce a uscire da una situazione imbarazzante e drammatica. L’atteggiamento delle due donne, invece, è diverso.
Analizziamolo insieme.
1. Completa la tabella indicando, con una crocetta, le caratteristiche possedute dalle due donne:
CALIPSO
Bella
Superba
Dolce
Generosa
Orgogliosa
Nobile
Immortale
Ospitale
Innamorata
175
NAUSICAA
Epica
Mito, epica, leggenda
Uomini e donne:
l’amore
Uno dei “personaggi” presente nella narrazione dei poemi greci e latini
è l’amore. Le storie di guerra e di naufragi si intrecciano con storie di
amore che continuano nel tempo o vengono bruscamente interrotte. Per‐
ciò alcuni degli innamorati sono marito e moglie, altri invece sono per‐
sonaggi che vivono una breve ma intensa storia d’amore.
Gli autori dei poemi, anche se in maniera diversa, hanno sempre rac‐
contato anche l’amore dei loro eroi perché è una parte importante nella
vita di ogni persona.
Iliade, Libro VI,
vv. 392-493
Eore e Andromaca
Antefatto: Patroclo muore ucciso in battaglia da Ettore. Achille, per
vendicare la morte dell’amico, sfida a un duello all’ultimo sangue Ettore.
Prima del duello mortale, l’eroe troiano incontra la moglie Andromaca e il
figlioletto Astianatte. Nel colloquio tra moglie e marito scopriamo il pro‐
fondo amore che li unisce, ma anche la loro diversa visione della vita. An‐
dromaca teme per la sorte del marito, ma anche per il proprio destino e
quasi vorrebbe distogliere Ettore dalla battaglia. Ma nel cuore dell’eroe, che
ama teneramente sia la moglie sia il figlioletto, prevalgono ancora una
volta il senso dell’onore e il desiderio di gloria.
394. ricchi doni: che gli aveva portato una ricca
dote.
396. Placo: monte vicino a
Tebe.
397. cilice: della Cilicia, regione dell’Asia minore.
401. simile… stella: simile a
una bella stella.
402. Scamandrio… lui solo:
dal nome del fiume Scamandro.
403. Astianatte: il nome del
bambino, che significa
“difensore della città” ,
è in onore del padre,
considerato salvatore di
Troia.
E quando, attraversata la gran città, giunse alle porte
Scee, da cui doveva uscir nella piana,
qui la sposa ricchi doni gli venne incontro correndo,
Andromaca, figliuola d’Eezìone magnanimo,
Eezìone, che sotto il Placo selvoso abitava
Tebe Ipoplacia, signore di genti cilice;
la sua figlia appartiene ad Ettore elmo di bronzo.
Dunque gli venne incontro, e con lei andava l’ancella,
portando in braccio il bimbo, cuore ingenuo, piccino,
il figlio d’Ettore amato, simile a vaga stella.
Ettore lo chiamava Scamandrio, ma gli altri
Astianatte, perché Ettore salvava Ilio lui solo.
Egli, guardando il bambino, sorrise in silenzio:
ma Andromaca gli si fece vicino piangendo,
176
Percorsi tematici
e gli prese la mano, disse parole, parlò così:
«Misero, il tuo coraggio t’ucciderà, tu non hai compassione
del figlio così piccino, di me sciagurata, che vedova presto
sarò, presto t’uccideranno gli Achei,
balzandoti contro tutti: oh, meglio per me
scendere sotto terra, priva di te; perché nessun’altra
dolcezza, se tu soccombi al destino, avrò mai,
solo pene! il padre non l’ho, non ho la nobile madre.
Il padre mio Achille glorioso l’ha ucciso,
e la città ben fatta dei Cilici ha atterrato,
Tebe alte porte; egli uccise Eezìone,
ma non lo spogliò, ché n’ebbe tema in cuore;
e lo fece bruciare con le sue armi belle,
e gli versò la terra del tumulo sopra; piantarono olmi intorno
le ninfe montane, figlie di Zeus egìoco.
Erano sette i miei fratelli dentro il palazzo:
ed essi tutti in un giorno scesero all’Ade di freccia,
tutti li uccise Achille glorioso rapido piede,
accanto ai buoi gambe storte, alle pecore candide.
La madre – che regnava sotto il Placo selvoso –
poi che qui la condusse con tutte le ricchezze,
la liberò, accettando infinito riscatto,
ma là in casa del padre, la colpì Artemide arciera.
Ettore, tu sei per me padre e nobile madre
e fratello, tu sei il mio sposo fiorente;
177
Unità 2
417. ma non lo spogliò…
cuore: Achille uccise
Ezione ma non lo privò
delle armi per una forma di rispetto che nutrì
nel cuore.
420. egìoco: portatore dell’egida, cioè lo scudo di
Zeus.
422. ed essi… di freccia: in
un solo giorno morirono
colpiti da una freccia.
430. fiorente: giovane.
Epica
433. caprifico: pianta di fico
selvatico gradito alle capre.
435. per tre volte: ricorda
che già per tre volte i
Greci hanno tentato di
entrare in Troia dalle
porte Scee.
436. i due Aiaci/ Idomeneo:
nomi degli eroi greci
che hanno tentato l’impresa.
437. Atridi: figli di Atreo,
cioè Agamennone e
Menelao. Figlio di Tideo: è Diomede.
438. i responsi: le profezie
degli oracoli.
439. l’animo: il coraggio.
441-442. ho troppo rossore
dei Teucri: ho troppa
vergogna del giudizio
dei Troiani.
449. buona lancia: abili con
la lancia.
454. chitone di bronzo: intende la corazza.
455. libero giorno togliendoti: togliendoti la libertà e
quindi facendo di te una
schiava.
456: allora… tela: allora vivendo ad Argo, città
greca, sarai costretta a
lavorare per una padrona.
457. portar acqua di Messeide o Iperea: come
schiava sarebbe costretta a portare l’acqua,
Messeide e Iperea sono
i nomi di fonti di località
greche, in cui Andromaca potrebbe essere portata come schiava.
463. schiavo giorno: il tempo
della schiavitù.
469. cimiero chiomato: l’elmo che è ornato di un
pennacchio.
477. distinto: nobile, illustre.
Mito, epica, leggenda
ah, dunque, abbi pietà, rimani qui sulla torre,
non fare orfano il figlio, vedova la sposa;
ferma l’esercito presso il caprifico, là dove è molto
facile assalir la città, più accessibile il muro;
per tre volte venendo in questo luogo l’hanno tentato i migliori
compagni dei due Aiaci, di Idomeneo famoso,
compagni degli Atridi, del forte figlio di Tideo:
o l’abbia detto loro chi ben conosce i responsi,
oppure ve li spinga l’animo stesso e li guidi!»
E allora Ettore grande, elmo abbagliante, le disse:
«Donna, anch’io, sì, penso a tutto questo; ma ho troppo
rossore dei Teucri, delle Troiane lungo peplo,
se resto come un vile lontano dalla guerra.
Né lo vuole il mio cuore, perché ho appreso a esser forte
sempre, a combattere in mezzo ai primi Troiani,
al padre procurando grande gloria e a me stesso.
Io lo so bene questo dentro l’anima e il cuore:
giorno verrà che Ilio sacra perisca,
e Priamo, e la gente di Priamo buona lancia:
ma non tanto dolore io ne avrò per i Teucri,
non per la stessa Ecuba, non per il sire Priamo,
e non per i fratelli, che molti e gagliardi
cadranno nella polvere per mano dei nemici,
quanto per te, che qualche acheo chitone di bronzo,
trascinerà via piangente, libero giorno togliendoti:
allora, vivendo in Argo, dovrai per altra tessere tela,
e portar acqua di Messeìde o Iperea,
costretta a tutto: grave destino sarà su di te.
E dirà qualcuno che ti vedrà lacrimosa:
“Ecco la sposa d’Ettore, ch’era il più forte a combattere
fra i Troiani domatori di cavalli, quando lottavan per Ilio!”
Così dirà allora qualcuno, sarà strazio nuovo per te,
priva dell’uomo che schiavo giorno avrebbe potuto tenerti lontano.
Morto, però m’imprigioni la terra su me riversata,
prima ch’io le tue grida, il tuo rapimento conosca!»
E dicendo così, tese al figlio le braccia Ettore illustre:
ma indietro il bambino, sul petto della balia della cintura
si piegò con un grido, atterrito dall’aspetto del padre,
spaventato dal bronzo e dal cimiero chiomato,
che vedeva ondeggiare terribile in cima all’elmo.
Sorrise il caro padre, e la nobile madre,
e subito Ettore illustre si tolse l’elmo di testa,
e lo posò scintillante per terra:
e poi baciò il caro figlio, lo sollevò fra le braccia,
e disse, supplicando a Zeus e agli altri numi:
«Zeus, e voi numi tutti, fate che cresca questo
mio figlio, così come io sono, distinto fra i Teucri,
178
Percorsi tematici
così gagliardo di forze, e regni su Ilio sovrano;
e un giorno dica qualcuno: “È molto più forte del padre!”,
quando verrà dalla lotta. Porti egli le spoglie cruente
del nemico abbattuto, goda in cuore la madre!»
Dopo che disse così, mise in braccio alla sposa
il figlio suo; ed ella lo strinse al seno odoroso,
sorridendo fra il pianto; s’intenerì lo sposo a guardarla,
l’accarezzò con la mano, le disse parole, parlò così:
«Misera, non t’affliggere troppo nel cuore!
nessuno contro il destino potrà mai gettarmi nell’Ade;
ma la Moira, ti dico, non c’è uomo che possa evitarla,
sia valoroso o vile, dal momento ch’è nato.
Su, torna a casa, e pensa all’opere tue,
telaio, e fuso; e alle ancelle comanda
di badare al lavoro; alla guerra penseran gli uomini
tutti e io sopra tutti; quanti nacquero ad Ilio».
(Omero, Iliade, trad. di R. Calzecchi Onesti, Einaudi, Torino )
Unità 2
480. cruente: insanguinate.
487. gettarmi nell’Ade: uccidermi. L’Ade è il regno
dei morti.
488. la Moira: è il destino fatale di ogni uomo.
COMPRENSIONE
1. Al verso 429 Andromaca dice ad Ettore che egli è per lei “padre, madre, fratello”. Che cosa
ha ricordato prima per poter fare quest’affermazione?
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2. Secondo la tradizione cosa accade alle donne in caso di sconfitta del loro popolo?
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3. Quale compito, invece, secondo la tradizione ha l’uomo verso la sua famiglia?
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4. Perché Astianatte piange spaventato quando Ettore cerca di abbracciarlo?
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continua 179
Epica
Mito, epica, leggenda
5. Che cosa Ettore augura a suo figlio?
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6. Il brano si chiude con un riferimento al destino. Perché Ettore lo usa pensando di consolare Andromaca?
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PRODUZIONE
1. Stendi il riassunto del brano.
2. Descrivi lo stato d’animo dei due personaggi, mettendo in evidenza le diverse preoccupazioni
di ciascuno.
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Jacques Louis David,
Andromaca piange la
perdita di Ettore.
180
Percorsi tematici
Odisseo e Penelope
Unità 2
Odissea, Libro
XXIII, vv. 164-232
Antefatto: alla fine del suo viaggio finalmente dopo altre peripezie,
giunge alla reggia di Itaca, la libera dai Proci e infine rivede la sua amata
moglie. Il colloquio tra Odisseo e Penelope si svolge in un’atmosfera di dub‐
bio e di incertezza. La regina non riconosce nello straniero, seduto davanti
a lei, il suo amato e atteso marito, partito da Itaca vent’anni prima, e gli
tende un tranello per accertare la sua identità. Ma Odisseo non si lascia
ingannare e la sua risposta convince la moglie, che piangendo l’abbraccia
e finalmente lo riconosce. E allora anche l’eroe cede alla commozione:
piange… il grande Odisseo piange, stringendo al cuore la dolce sua sposa.
[…] sedeva sul seggio da cui s’era alzato,
in faccia alla sua donna, e le disse parola:
«Misera, fra le donne a te in grado sommo
fecero duro il cuore gli dèi che han le case d’Olimpo;
nessuna donna con cuore tanto ostinato
se ne starebbe lontana dall’uomo, che dopo tanto soffrire,
tornasse al ventesimo anno nella terra dei padri.
Ma via, nutrice, stendimi il letto; anche solo
potrò dormire: costei ha un cuore di ferro nel petto».
E a lui parlò la prudente Penelope:
«Misero, no, non son superba, non ti disprezzo,
non stupisco neppure: so assai bene com’eri
partendo da Itaca sulla nave lunghi remi.
Sì, il suo morbido letto stendigli, Eurìclea,
fuori dalla solida stanza, quello che fabbricò di sua mano;
qui stendetegli il morbido letto, e sopra gettate il trapunto,
e pelli di pecora e manti e drappi splendenti».
Così parlava, provando lo sposo; ed ecco Odisseo
sdegnato si volse alla sua donna fedele:
«O donna, davvero è penosa questa parola che hai detto!
Chi l’ha spostato il mio letto? sarebbe stato difficile
anche a un esperto, a meno che un dio venisse in persona,
e, facilmente, volendo, lo cambiasse di luogo.
Tra gli uomini, no, nessun vivente, neanche in pieno vigore,
senza fatica lo sposterebbe, perché c’è un grande segreto
nel letto ben fatto che io fabbricai, e nessun altro.
C’era un tronco ricche fronde, d’olivo dentro il cortile,
florido, rigoglioso; era grosso come colonna:
intorno a questo murai la stanza, finché la finii,
con fitte pietre, e di sopra la copersi per bene,
robuste porte ci misi, saldamente commesse.
E poi troncai la chioma dell’olivo fronzuto,
e il fusto sul piede sgrossai, lo squadrai con il bronzo
181
171. nutrice: si rivolge a Euriclea, che è appunto la
nutrice.
181. provando lo sposo:
mettendo alla prova lo
sposo.
194. saldamente commesse:
saldamente costruite.
195. fronzuto: frondoso, ricco di foglie.
Epica
199. polivo: levigavo.
206. conobbe il segno sicuro: riconobbe la prova
certa.
211. invidiosi: gli dei che cercano di non far essere
gli uomini troppo felici
per non farli somigliare
troppo a loro.
216-224. Ah! No,… sventura: racconta la storia di
Elena, per la quale si è
combattuta la guerra di
Troia e per colpa sua la
sfortuna si è abbattuta
anche sulla loro famiglia
220. Danai: sono i Greci.
Mito, epica, leggenda
bene e con arte, lo feci dritto a livella,
ne lavorai un sostegno e tutto lo trivellai con il trapano.
Così, cominciando da questo, polivo il letto, finché lo finii,
ornandolo d’oro, d’argento e d’avorio.
Per ultimo tirai le corregge di cuoio, splendenti di porpora.
Ecco, questo segreto ti ho detto: e non so,
donna, se è ancora intatto il mio letto, o se ormai
qualcuno l’ha mosso, tagliando di sotto il piede d’olivo».
Così parlò, e a lei di colpo si sciolsero le ginocchia ed il cuore,
perché conobbe il segno sicuro che Odisseo le diceva;
e piangendo corse a lui, dritta, le braccia
gettò intorno al collo a Odisseo, gli baciò il capo e diceva:
«Non t’adirare, Odisseo, con me, tu che in tutto
se il più saggio degli uomini; i numi ci davano il pianto,
i numi invidiosi che uniti godessimo
la giovinezza e alla soglia di vecchiezza venissimo.
Così ora non t’adirare con me, non sdegnarti di questo,
che subito non t’ho abbracciato, come t’ho visto.
Sempre l’animo dentro il mio petto tremava
che qualcuno venisse a ingannarmi con chiacchiere:
perché molti mirano a turpi guadagni.
Ah! no, Elena Argiva, la figlia di Zeus,
con l’uomo straniero non si sarebbe unita d’amore e di letto,
se avesse saputo che ancora i figli guerrieri dei Danai,
dovevan menarla a casa, alla terra dei padri.
Ma un dio la travolse a compiere l’azione sfrontata;
la colpa triste non capì prima in cuore,
la colpa, da cui su noi pure s’è rovesciata sventura.
182
Percorsi tematici
Unità 2
Ma ora il segno certo m’hai detto
del nostro letto, che nessuno ha veduto,
ma, soli, tu ed io, e un’unica ancella,
Attorìde, che il padre mi donò, quando venni,
quella che ci chiudeva le porte della solida stanza;
e il cuore m’hai persuaso, ch’è pur tanto ostinato».
Così disse, e a lui venne più grande la voglia del pianto;
piangeva, tenendosi stretta la sposa dolce al cuore, fedele.
(Omero, Odissea, trad. di R. Calzecchi Onesti, Einaudi, Torino )
COMPRENSIONE
1. In che cosa consiste la trappola che Penelope tende a Odisseo per scoprire la sua identità?
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2. Come ha costruito la stanza e il letto Odisseo?
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3. Con quali epiteti viene descritta Penelope? ....................................................................................................................
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PRODUZIONE
1. Stendi il riassunto del brano.
2. Descrivi il carattere di Penelope. ...........................................................................................................................................
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183
Epica
Eneide, Libro IV,
vv. 304-361
Mito, epica, leggenda
Enea e Didone
Antefatto: Enea, costretto a partire per ordine di Giove, comanda ai
Troiani di preparare in segreto la flotta, ma non trova il coraggio di infor‐
mare Didone della partenza. Accortasi dei segreti preparativi dei Troiani,
la regina Didone affronta con decisione Enea. Dal colloquio emerge l’infe‐
licità di tutti e due i personaggi. Didone soffre per la partenza di Enea, che
giudica ingrato e crudele verso di lei, l’eroe troiano è addolorato per la rea‐
zione della regina, ma sa di dover soffocare i propri sentimenti e di dover
obbedire alla volontà del Fato: raggiungere l’Italia.
306. senza parole: senza parlarmene.
310. aquiloni: venti freddi del
nord.
314-316. per la tua destra…
imeneo: in nome della
mano destra che mi hai
dato come segno dell’unione (connubio) e
del legame nuziale tra
noi (imeneo).
318. casa che crolla: casato
che finisce per mancanza di eredi, poiché Didone non ha figli.
320-321. per te… i Tirii: per
colpa tua i popoli confinanti e i miei stessi concittadini mi odiano e mi
sono nemici.
321-322. si estinse… stelle:
sempre per colpa tua ho
perso il pudore e la fama di regina valorosa.
326. getulo Iarba: Iarba era
il re dei Libici e dei Getuli, aveva chiesto in moglie Didone ma era stato
rifiutato dalla regina.
331. egli teneva… di Giove:
Enea teneva lo sguardo
fisso per gli ordini ricevuti da Giove.
335. Elissa: altro nome di Didone.
336. finchè… membra: fino
a quando avrò coscienza di me, cioè fino a che
vivrò, e l’anima sosterrà
il mio corpo.
Infine si rivolge per prima ad Enea con queste parole:
«Speravi, o perfido, di poter dissimulare una tale
infamia, e di allontanarti senza parole dalla mia terra?
Non ti trattiene il nostro amore e la mano che un giorno
mi desti, e Didone ostinata a morire amaramente?
Sotto le stelle invernali prepari la flotta,
e ti appresti a prendere il largo in mezzo agli aquiloni,
o spietato? Se tu non cercassi terre straniere
e ignote dimore, e sopravvivesse l’antica Troia,
andresti a Troia con le navi sul mare tempestoso?
Fuggi me? Ti prego per queste lagrime, per la tua destra
– poiché null’altro ho lasciato a me sventurata –,
per il nostro connubio, per l’iniziato imeneo, se bene
di te meritai, o qualcosa di me ti fu dolce,
abbi pietà della casa che crolla, e abbandona,
se ancora valgono le preghiere, questo pensiero.
Per te le libiche genti e i principi dei Numidi
mi odiano, sono ostili i Tirii; si estinse, sempre per te,
il pudore, e, sola per cui andavo alle stelle,
la fama di prima. A chi mi lasci morente, ospite?
(Questo è l’unico nome che mi resta dello sposo.)
Che cosa aspetto? forse che il fratello Pigmalione distrugga
le mie mura, o mi tragga prigioniera il getulo Iarba?
Almeno se stringessi fra le braccia un figlio avuto da te
prima della fuga, se giocasse per me nella corte
un piccolo Enea che almeno richiamasse te nel volto,
certo non mi sentirei sorpresa e abbandonata del tutto».
Disse. Egli teneva gli occhi immoti ai comandi di Giove,
e premeva con sforzo la pena del cuore.
Infine rispose brevemente: «Per quanto tu possa
enumerare moltissimi meriti, giammai negherò
che li avesti, o regina, né mi dorrò di ricordare Elissa,
finché mi ricordi di me e lo spirito mi regga le membra.
Del fatto dirò brevemente. Non speravo,
184
Percorsi tematici
non credere, tenerti nascosta la fuga, né mai
proffersi fiaccole nuziali o giunsi a questi legami.
Se i fati permettessero che io conducessi la vita
secondo i miei auspicî o placassi da me gli affanni,
prima sarei di nuovo nella città di Troia, con le dolci
reliquie dei miei, e l’alto palazzo di Priamo si ergerebbe,
e avrei ricostruito per i vinti Pergamo caduta due volte.
Ma ora Apollo Grineo e gli oracoli della Licia
mi ordinano di raggiungere la grande Italia;
questo il desiderio, questa la patria. Se la rocca di Cartagine
e la vista d’una città libica trattiene te fenicia,
perché non vuoi che i Teucri si stanzino in terra ausonia?
Anche noi possiamo cercare regni stranieri.
L’immagine del padre Anchise, per quante volte la notte
ricopre con le umide ombre la terra, e sorgono gli astri
di fuoco, mi rimprovera in sogno e mi atterrisce adirata;
anche il fanciullo Ascanio, con l’offesa al suo caro
capo, che defraudo del regno d’Esperia e dei campi fatali.
Ora anche il messaggero degli dei, mandato da Giove
– lo giuro sul capo di entrambi –, mi porta comandi
per l’aria veloce; io stesso vidi il dio nella chiara luce
penetrare i muri, e ne accolsi con questi orecchi la voce.
Smetti d’inasprire me e te con il pianto:
l’Italia non spontaneamente io cerco».
185
Unità 2
339. proffersi fiaccole nuziali: non ti ho mai promesso il matrimonio.
340. se i fati… Pergamo: se
il destino mi avesse permesso di scegliere la vita
che desideravo ora sarei
di nuovo a Troia presso
le tombe dei miei cari e
starei ricostruendo la
mia città.( Pergamo è un
altro nome di Troia).
345. Apollo Grineo… Licia:
si riferisce alla profezia
fatta dall’oracolo di
Apollo che aveva un
tempio a Grineo, città
della Licia
349. perché… ausonia?: perché non vuoi che i Troiani arrivino in Italia? (gli
Ausoni erano un popolo
che abitava l’Italia)
355. defraudo… campi fatali: gli tolgo la possibilità
di regnare sull’Italia e
sulle terre a lui destinate
dal Fato.
356. messaggero degli dei: è
Mercurio.
Epica
Mito, epica, leggenda
COMPRENSIONE
1. Perché Didone rimprovera Enea?
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2. Con quali argomenti cerca di convincerlo a non partire?
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3. Perché Didone sostiene che la sua fama di regina valorosa sarà compromessa dall’abbandono
di Enea?
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4. Didone usa parole dolci per rivolgersi ad Enea. Quali?
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5. Come risponde Enea alla preghiera della regina?
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6. Quali gravi motivi lo costringono a partire?
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7. Le parole di Enea ti sembrano affettuose o brusche? Motiva la risposta.
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186
Percorsi tematici
Unità 2
PRODUZIONE
1. Stendi il riassunto del brano.
2. Quali sono le differenze evidenti nell’atteggiamento dei due personaggi in questo brano?
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Heinrich Friedrich Füger Morte di Didone.
187
Verifica di fine percorso:
confronto tra testi
I SENTIMENTI
1. Completa la tabella (l’esercizio è avviato):
DIMOSTRA
DI ESSERE
INNAMORATO/A
HA PAURA
DEL PROPRIO
FUTURO
ANTEPONE
ALL’AMORE
IL PROPRIO
DOVERE
Ettore
Andromaca
Odisseo
Penelope
Enea
X
Didone
188
NUTRE
UN SENTIMENTO
SINCERO
Percorsi tematici
Unità 2
Il meraviglioso…
Personaggi dotati di poteri magici o soprannaturali, creature orride e
mostruose popolano il mondo dell’Odissea e concorrono a creare l’atmo‐
sfera “avventurosa” e “meravigliosa” delle vicende dell’eroe itacese.
Odissea, Libro X,
vv. 210-260
La maga Circe
Antefatto: Odisseo, viene accolto benevolmente dai Feaci e racconta
le proprie avventure, tra cui quella straordinaria avvenuta nell’isola di Eea,
abitata dalla maga Circe.
Approdati sull’isola, alcuni compagni di Odisseo erano andati ad
esplorarla e avevano trovato la maga nella sua casa, circondata da ani‐
mali selvaggi.
Trovarono in un vallone la casa di Circe,
fatta di pietre lisce, in posizione scoperta.
E intorno c’erano lupi montani e leoni,
che lei stregò, dando farmachi tristi.
Questi non si lanciarono sugli uomini, anzi,
con le code diritte e carezzarli si alzarono.
Come i cani intorno al padrone, che dal banchetto ritorna,
si sfregano; perché porta sempre qualche dolce boccone;
così intorno a loro i lupi zampe gagliarde e i leoni
si sfregavano; allibirono quelli a veder mostri paurosi.
Si fermarono nell’atrio della dea trecce belle,
e Circe dentro cantare con bella voce sentivano,
tela tessendo grande ed immortale, come sono i lavori
delle dee, sottili e splendenti e graziosi.
Fra loro prendeva a parlare Polìte capo di forti,
ch’era il più caro per me dei compagni e il più accorto:
«O cari, qui dentro una che tesse gran tela
soave canta, e tutto il paese ne suona;
o donna o dea. Su, presto, chiamiamo!»
Così disse e quelli gridarono chiamando.
Subito lei, uscita fuori, aperse le porte splendenti
e li invitava; e tutti stoltamente le tennero dietro.
Ma Eurìloco restò fuori, ché temeva un inganno.
Li condusse a sedere sopra troni e divani
e per loro del cacio, della farina d’orzo e del miele
nel vino di Pramno mischiò: ma univa nel vaso
189
213. lei… tristi: uomini che
lei aveva trasformato in
animali con pozioni magiche.
219. allibirono… paurosi: si
meravigliarono per il
comportamento di quelle belve feroci.
232. Euriloco: è uno dei compagni di Odisseo
235. vino di Pramno: vino
molto forte tipico di una
località chiamata Pramno.
Epica
242. eccio: albero che produce ghiande, come la
successiva quercia; corniole: bacche rossastre
frutti dell’albero del corniolo.
244. nave nera: ricoperta di
pece per impermeabilizzarla.
Mito, epica, leggenda
farmachi tristi, perché del tutto scordassero la terra paterna.
E appena ne diede loro e ne bevvero, ecco che subito,
con la bacchetta battendoli, nei porcili li chiuse.
Essi di porci avevano testa, e setole e voce
e corpo; solo la mente era sempre quella di prima.
Così quelli piangenti furono chiusi; e a loro Circe
ghiande di leccio e di quercia gettava e corniole
a mangiare, come mangiano i porci che a terra si voltolano.
Eurìloco tornò indietro, all’agile nave nera,
notizia a dir dei compagni, a narrarne la sorte crudele.
Ma non poteva formare parola per quanto volesse,
sconvolto in cuore dallo strazio terribile: i suoi occhi
erano pieni di lacrime, l’animo pianto voleva.
Ma quando tutti l’interrogammo stupiti,
finalmente degli altri compagni narrò la rovina:
«Andammo come ordinasti, in mezzo al querceto, Odisseo
[luminoso,
e in un vallone trovammo bella dimora,
fatta di pietre lisce, in un luogo scoperto.
Dentro una, che gran tela tesseva, cantava armoniosa,
o dea o donna. Essi gridarono chiamando.
Subito lei, uscita fuori, aperse le porte splendenti
e ci invitava: e tutti stoltamente le tennero dietro.
Ma io rimasi fuori, perché sospettavo un inganno.
E son tutti spariti, nessuno di loro
è riapparso; a lungo seduto, io son rimasto a spiare».
(Omero, Odissea, trad. di R. Calzecchi Onesti, Einaudi, Torino )
190
Percorsi tematici
Unità 2
COMPRENSIONE
1. Come descrive Omero la casa di Circe?
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2. Quale comportamento degli animali meraviglia i compagni di Odisseo? ................................................
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3. Perché Euriloco riesce a salvarsi? .........................................................................................................................................
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4. Che cosa offre la maga ai compagni di Odisseo?
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5. Che cosa accade ai compagni di Odisseo?
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6. Euriloco torna indietro sconvolto. Come lo descrive Omero?
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PRODUZIONE
1. Stendi il riassunto del brano.
2. Descrivi l’aspetto fisico e caratteriale di questa figura “meravigliosa”
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3. A quale tipo di narrazione può assomigliare questo episodio dell’Odissea? Per quali elementi?
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4. Per che cosa Circe sembra una fata e per che cosa sembra una strega?
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191
Epica
Odissea, Libro XII,
vv. 403-450
Mito, epica, leggenda
Scilla e Cariddi
La storia di questi due mostri mitologici, legata a Poseidone, è narrata
nella sezione “Mito” di questo volume a pag. .
Antefatto: Odisseo continua a raccontare le sue disavventure ai
Feaci: sfuggito al canto delle Sirene, è approdato in Sicilia, qui i com‐
pagni, mentre lui dormiva, avevano incautamente mangiato la carne
dei buoi sacri al Sole, che aveva chiesto a Zeus di punirli per questo sa‐
crilegio.
403. isola: Sicilia, che era
chiamata Trinacria.
405. Cronide: Zeus figlio di
Crono.
408. urlante lo zefiro: impetuoso vento di ponente.
409. stralli: funi che legano
l’albero alla prua della
nave.
411. sartie: funi che legano le
vele all’albero; sentina:
la parte bassa della nave.
414. l’animo… ossa: l’anima
lasciò il corpo, cioè morì.
417. vapori sulfurei: fumo
con odore di zolfo, caratteristico del fulmine.
420-421. maroso… murate:
un’onda staccò le fiancate dalla struttura centrale della nave.
425. funesti: di cattivo auspicio, che portano morte.
427. noto: vento che spira da
sud. Il cambio di direzione del vento lo riporterà indietro, costringendolo a ripassare tra Scilla e Cariddi, nello stretto
di Messina.
431: costei… mare: è Cariddi che produce il vortice
con il quale risucchia le
navi e gli uomini che le
passano davanti.
432. gran fico: grande albero di fico che si trovava
su uno scoglio vicino al
vortice e del quale gli
aveva parlato Circe per
metterlo in guardia dal
pericolo di attraversare
quel tratto di mare.
433. nottola: pipistrello.
Quando lasciammo quell’isola, e ormai non si vedeva
altra terra, ma il cielo e il mare soltanto,
ecco il Cronide rizzò sulla nave ben cava
una nuvola scura: di sotto il mare incupì.
Non corse ancora per molto: d’un tratto arrivò
urlante lo zefiro, impazzando con grande tempesta,
e la furia del vento spezzò entrambi gli stralli
dell’albero. L’albero cadde all’indietro, rovesciando tutte
le sartie e le vele nella sentina; sulla nave a poppa
percosse in testa il pilota e d’un colpo gli ruppe
tutte le ossa del cranio: simile a un tuffatore
egli cadde dal ponte, l’animo altero lasciò le sue ossa.
Zeus a un tempo tuonò e scagliò sulla nave un fulmine:
colpita dal fulmine di Zeus, essa ruotò interamente
e s’empì di vapori sulfurei. I compagni caddero in acqua.
Ed essi, come corvi di mare, intorno alla nera nave,
erano portati dai flutti: il dio gli tolse il ritorno.
Io m’aggiravo dentro la nave: ed ecco un maroso
dalla chiglia staccò le murate. Nuda la portavano i flutti.
Poi sbatté l’albero contro la chiglia: era gettato
su di esso uno strallo fatto di pelle di bue.
Legai con esso ambedue, la chiglia con l’albero,
e seduto su di essi ero spinto dai venti funesti.
Quando lo zefiro smise d’impazzare a tempesta,
venne rapido il noto a portare nel mio animo l’ansia
di dover traversare di nuovo la funesta Cariddi.
Fui sospinto per tutta la notte: il sole sorgeva
quando giunsi allo scoglio di Scilla e all’orrenda Cariddi.
Costei risucchiò l’acqua salsa del mare:
ma io, sollevatomi in alto al gran fico,
ad esso aggrappato, mi ressi come una nottola.
Non avevo dove puntare i piedi saldamente o salire:
stavano le radici lontano, ed erano in alto i rami
192
Percorsi tematici
lunghi e grandi, e coprivano d’ombra Cariddi.
Mi ressi senza mollare, finché vomitò
nuovamente albero e chiglia. Li aspettavo, e arrivarono
alfine: allorché dalla piazza va a cena un uomo
che dirime le molteplici dispute d’uomini in lite,
a quell’ora spuntarono da Cariddi quei legni.
Lasciai mani e piedi dall’alto, con un tonfo
in acqua piombai accanto ai lunghissimi legni,
e su di essi sedendomi mi misi con le mani a remare.
Il padre di uomini e dei non lasciò che Scilla
vedesse: non sarei altrimenti sfuggito alla ripida morte.
Per nove giorni fui trascinato: alla decima notte
gli dei mi gettarono sull’isola di Ogigia, dove abita
Calipso dai riccioli belli, dea tremenda con voce umana,
che m’accolse e nutrì […].
(Omero, Odissea, trad. di G.A. Privitera,
Fondazione Lorenzo Valla‐Arnoldo Mondadori Editore, Milano )
193
Unità 2
439-441. allorchè… legni:
all’ ora che un giudice
va a cena spuntarono
vomitate da Cariddi
quei pezzi di legno, cioè
l’albero e la chiglia che
egli aveva legato.
445. il padre… dei: Zeus.
446. ripida morte: ripida, come un abisso in cui si
cade.
Epica
Mito, epica, leggenda
COMPRENSIONE
1. Chi sono Scilla e Cariddi e cosa fanno?
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2. Quale dio interviene in questo episodio e in che modo?
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3. Come riesce Odisseo a sopravvivere?
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PRODUZIONE
1. Stendi il riassunto del brano.
2. L’astuzia di Odisseo si manifesta in questo episodio in due momenti importanti, perché si mostra
previdente e tenace. Sai dire come?
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194
Verifica di fine percorso:
confronto tra testi
IL MERAVIGLIOSO NELL’ODISSEA
Le peripezie del lungo viaggio di Odisseo sono ricche di episodi straordinari.
L’eroe, infatti, incontra maghe, ammaliatrici, giovani donne che si comportano
come aiutanti, ma anche mostri terribili. Ogni volta, quando sembra più vicina
la fine, riesce a trovare una via d’uscita e a continuare il suo viaggio.
Nei due episodi che hai letto ci sono due personaggi pericolosissimi: Circe e
Cariddi.
1. Completa la tabella indicando con una crocetta le caratteristiche dei due
personaggi:
CIRCE
Bella
Umana
Mostruosa
Ammaliatrice
Seduttrice
Crudele
Immortale
Ospitale
Famelica
195
CARIDDI
Epica
Mito, epica, leggenda
… e l’infernale
Omero nell’Odissea e Virgilio nell’Eneide narrano in un episodio
l’esperienza del contatto con il mondo dei morti. Sia Odisseo che Enea
avranno modo di entrare negli Inferi e incontrare uno dei genitori per
avere conforto nelle proprie sventure e sostegno per continuare il loro
viaggio e giungere alla meta voluta per loro dagli dei.
Il regno dei morti è affidato alla custodia di figure mitologiche che
hanno il compito di sorvegliare o di trasportare le anime dal mondo dei
vivi: spesso sono mostri spaventosi come Caronte.
Odissea, Libro XI,
vv. 180-208
Odisseo e la madre
Antefatto: Odisseo, nel suo racconto ai Feaci, narra che prima di par‐
tire dall’isola di Eea, Circe gli aveva dato preziosi consigli per giungere al‐
l’entrata degli Inferi e scendere nel regno dei morti. Qui egli incontra la
madre Anticlea. L’episodio è molto commovente, perché Odisseo non sa‐
peva della sua morte e a lei chiede notizie della moglie Penelope, del figlio
Telemaco e del vecchio padre Laerte.
181. ella: Penelope.
188. non gli sono giaciglio:
non gli fanno da letto.
198. saettatrice: è la dea Artemide, che, colpendo le
donne con le sue frecce,
ne causava la morte improvvisa e prima del
tempo stabilito.
Così dissi e subito mi rispose la madre veneranda:
«Certamente ella resta con animo tenace
nella tua casa: dolenti sempre per lei
decliniamo le notti e i giorni, nel pianto.
Non un estraneo detiene il tuo onore regale, ma sicuro
Telemaco governa il paese, partecipa ai banchetti
e ne celebra, come conviene che se ne occupi colui che amministra
[giustizia:
infatti tutti lo invitano. Tuo padre invece sempre là se ne sta,
in campagna, e non si reca in città: non gli sono giaciglio
letti, coperte e coltri splendide,
ma d’inverno riposa dove dormono gli schiavi in casa,
presso il focolare, nella cenere, e si veste di miseri cenci;
quando giungono l’estate e l’autunno fruttuoso,
dappertutto sulla collina ricca di viti
si ammucchiano al suolo giacigli di foglie.
Lì giace dolente, nel cuore nutrendo grande dolore,
lamentando il tuo destino: difficile vecchiaia lo opprime.
Così anch’io sono morta ed ho compiuto la sorte:
non la saettatrice infallibile mi colpì
196
Percorsi tematici
nella casa con i dardi senza dolore,
né mi colse la malattia, che atrocemente
rapisce la vita con misera debolezza:
ma il rimpianto di te, dei tuoi pensieri, nobile Odisseo,
della tua dolcezza, mi privò dell’amabile vita».
Così disse, ed io volevo con tutto il cuore
abbracciare l’immagine della madre mia morta.
Tre volte mi slanciai verso di lei, il mio cuore mi spingeva ad
[abbracciarla,
per tre volte come un’ombra o un sogno,
scivolò via dalle mie mani.
(Omero, Odissea, trad. di G.A. Privitera,
Fondazione Lorenzo Valla‐Arnoldo Mondadori Editore, Milano )
197
Unità 2
Epica
Mito, epica, leggenda
COMPRENSIONE
1. Anticlea racconta come vive Penelope. Quali sono le cose che fa Penelope?
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2. Cosa fa invece Telemaco?
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3. Come descrive la vita di Laerte?
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4. Perché Laerte ha fatto questa scelta?
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5. Cosa racconta Anticlea della causa della sua morte?
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6. Con quale immagine si chiude si chiude il brano?
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PRODUZIONE
1. Stendi il riassunto del brano.
2. Quali passi di questo brano ti sembrano commoventi e perchè?
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198
Percorsi tematici
Unità 2
Eneide, Libro VI,
vv. 679-702
Enea e il padre
Antefatto: Enea, accompagnato dalla Sibilla, sacerdotessa di Apollo,
scende negli Inferi dopo aver superato l’ingresso custodito da Cerbero, cane
guardiano a tre teste e Minosse, giudice infernale. Egli incontra molte
anime, tra cui Didone, e finalmente giunge nei Campi Elisi, il luogo dove
risiedono le anime degli uomini giusti e là vede il padre Anchise.
Ma il padre Anchise nel fondo d’una valle verdeggiante
le anime ancora racchiuse e destinate a salire alla luce
osservava attento passando in rassegna tutto il numero
dei suoi e i cari nipoti, meditava pensoso
i Fati e le sorti degli uomini, i costumi e le forze.
Ed egli appena venire vide per il prato
Enea, le palme protese, commosso,
solcate di lacrime le guance, proruppe:
«Infine giungesti e vinse la tua pietà, aspettata dal padre,
l’arduo cammino? È dato guardare il tuo viso,
o figlio, ascoltare la tua nota voce e parlarti?
Saldo era il pensiero, salda la fiducia,
giorno dopo giorno, e non mi ingannò l’attesa.
Per quali terre trascinato, e per quali mari travolto,
199
679-683. ma il padre… le
forze: Anchise in fondo
a una verde vallata osservava le anime destinate alla vita, esaminando quelle dei suoi discendenti, cioè i personaggi romani più famosi
e celebri, meditando sul
destino e la potenza degli uomini.
687-688. e vinse… cammino:
la tua devozione agli dei
ha sconfitto la difficoltà
del viaggio.
Epica
694. regni di Libia: Anchise si
riferisce al regno della
regina Didone, perchè
l’amore per lei avrebbe
potuto essere un danno
per Enea.
696. mi volse…soglie: mi ha
spinto a varcare le porte
degli Inferi.
Mito, epica, leggenda
ora ti accolgo, da quanti pericoli angosciato, figlio!
Quando temetti che i regni di Libia ti fossero danno!»
Ma egli: «Padre, la triste tua immagine
più volte apparendomi mi volse a toccar queste soglie;
stanno nel mare Tirreno le navi. Lascia che io stringa la tua destra,
padre, non ti sottrarre al mio abbraccio».
Così parla ed effonde largo pianto.
Tre volte cercò di abbracciarlo,
tre volte l’immagine, invano afferrata, sfuggì alle mani,
pari a vento lieve, simile al sonno alato.
COMPRENSIONE
1. A chi si riferisce Anchise quando parla dei suoi discendenti e perchè?
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2. Che cosa lo ha preoccupato mentre aspettava la visita del figlio agli Inferi?
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3. Con quale immagine si chiude si chiude il brano?
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PRODUZIONE
1. Stendi il riassunto del brano.
2. Quali passi di questo brano ti sembrano commoventi e perchè?
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200
Verifica di fine percorso:
confronto tra testi
… E L’INFERNALE
Nei due episodi che hai letto i protagonisti compiono un’esperienza simile:
visitano il regno dei morti e incontrano uno dei genitori.
1. Completa la tabella:
ODISSEO
Riceve notizie dei familiari
Scende agli Inferi per incontrare il padre/la madre
Apprende della morte del padre/la madre
Era atteso
Vede i propri discendenti
Si commuove
Vuole abbracciare il padre/ la madre
201
ENEA
Epica
Eneide, Libro VI,
vv. 298-316
298. nocchiero: timoniere, marinaio addetto alla guida
della nave.
299. canizie: pelo bianco,
con riferimento alla barba e ai capelli bianchi di
Caronte.
302. pertica: lungo bastone
303. di colore ferrigno: colore scuro come il ferro, riferito al fango del fiume.
304. vegliardo… vecchiezza:
vecchio ma di una vecchiaia verde, cioè vigorosa.
308. posti sul rogo: si riferisce ai corpi dei morti
che sono stati cremati.
309-314. quante… assolate:
Virgilio paragona il numero delle anime che attendono di essere trasportate sulla riva al numero delle foglie che cadono nei boschi dagli alberi scossi dal primo
freddo o al numero degli
uccelli che in inverno si
affollano sulla terra dal
mare, o fuggono oltre il
mare nelle regioni calde.
Mito, epica, leggenda
Caronte
Enea, nel suo viaggio agli Inferi, incontra degli esseri mostruosi di cui
hai letto nella sezione “Mito” di questo volume a pag. . All’ingresso degli
Inferi questi personaggi sono terribili perché rappresentano i mali del‐
l’umanità. Caronte, invece, ha il compito di trasportare oltre il fiume
Acheronte le anime di quelli che hanno ricevuto onore e sepoltura. È de‐
scritto come un vecchio orribile.
Antefatto: Enea, accompagnato dalla Sibilla, è giunto alle rive del‐
l’Acheronte. Caronte vorrebbe impedirgli di attraversare il fiume, ma la Si‐
billa lo convince a lasciar passare l’eroe perché il suo viaggio agli Inferi è
voluto dagli dei.
Orrendo nocchiero, custodisce queste acque e il fiume
Caronte, di squallore terribile, a cui una larga canizie
incolta invade il mento, si sbarrano gli occhi di fiamma,
sordido pende dagli omeri annodato il mantello.
Egli spinge la barca con una pertica e governa le vele,
e trasporta i corpi sullo scafo di colore ferrigno,
vegliardo, ma dio di cruda e verde vecchiezza.
Qui tutta una folla dispersa si precipitava alle rive,
donne e uomini, i corpi privati della vita
di magnanimi eroi, fanciulli e intatte fanciulle,
e giovani posti sul rogo davanti agli occhi dei padri:
quante nelle selve al primo freddo d’autunno
202
Percorsi tematici
cadono scosse le foglie, o quanti dall’alto mare
uccelli s’addensano in terra, se la fredda stagione
li mette in fuga oltremare e li spinge nelle regioni assolate.
Stavano eretti pregando di compiere per primi il traghetto
e tendevano le mani per il desiderio dell’altra sponda.
Ma lo spietato barcaiolo accoglie questi o quelli,
gli altri sospinge lontano e scaccia dalla spiaggia.
(Virgilio, Eineide, trad. di L. Canali, Mondadori, Milano )
Unità 2
314. per il desiderio… sponda: ansiose di essere
portate sulla riva opposta per raggiungere il
luogo infernale a cui sono destinati.
COMPRENSIONE
1. Come viene descritto Caronte?
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2. Cosa fanno le anime che attendono di attraversare il fiume?
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3. Come si comporta Caronte nei loro confronti?
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4. Spiega la similitudine che Virgilio scrive per dare il senso del grande numero di anime in attesa
sulla riva del fiume.
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203
Epica
Mito, epica, leggenda
PRODUZIONE
1. Stendi il riassunto del brano.
2. La figura di Caronte, descritta da Virgilio nell’episodio della discesa agli Inferi di Enea, non è
presente nell’analogo episodio della discesa agli Inferi di Odisseo, perché nel mondo greco
non esisteva questo personaggio infernale. Lo troviamo, invece, citato da Dante nella Divina
Commedia come uno dei guardiani dell’Inferno e anche qui il suo compito è quello di trasportare le anime oltre il fiume Acheronte. Dante lo descrive così (Inferno, III, vv.82-86; 97-99):
Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo,
gridando: «Guai a voi, anime prave!
Non isperate mai veder lo cielo:
i’ vegno per menarvi a l’altra riva
ne le tenebre etterne, in caldo e ‘n gelo.
[…]
Quinci fuor quete le lanose gote
al nocchier de la livida palude,
che ‘ntorno a li occhi avea di fiamme rote
Ed ecco venire verso di noi su una nave un
vecchio, con barba e capelli bianchi per l’età,
che gridava: “ Guai a voi, anime malvage!
Non sperate mai di vedere il cielo: io vengo
per buttarvi sull’altra riva nel buio eterno, nel
fuoco o nel ghiaccio
[…]
Allora si calmarono le guance pelose del timoniere della fangosa palude, il quale aveva
ruote di fiamme intorno agli occhi
Completa la tabella individuando i caratteri con cui sono descritti i due Caronte (l’esercizio è
avviato):
CARONTE
nocchiero
NELL’ENEIDE
NELLA DIVINA COMMEDIA
X
X
con capelli bianchi
crudele
parlante
occhi fiammanti
204
Percorsi tematici
Unità 2
I valori della società
guerriera nell’Iliade
Nella società guerriera descritta da Omero, gli eroi non esitano a
scontrarsi per difendere il proprio onore, riaffermare la propria gloria e
la propria supremazia, cioè quelli che ritenevano valori fondamentali e
irrinunciabili.
La lite tra Achille ed Agamennone
Iliade, Libro I
vv. 101-187
Nell’episodio che leggerai, il violento litigio tra Agamennone ed
Achille è provocato da una contesa sul possesso di due schiave: esse
rappresentavano il bottino di guerra ed erano il simbolo dell’onore e
del prestigio di cui ciascun eroe godeva. Cedere il proprio bottino si‐
gnificava sminuire la propria importanza agli occhi di tutti e vedere in‐
debolita la propria autorità sugli altri guerrieri.
È, dunque, la difesa del proprio onore il vero motivo della lite tra i
due eroi e la causa reale dell’“ira di Achille”.
Antefatto: durante il decimo anno della guerra, Apollo aveva diffuso
una grave pestilenza nel campo acheo. Nell’assemblea dei capi greci Achille
invita l’indovino Calcante a rivelare il motivo della pestilenza: il dio è sde‐
gnato contro Agamennone, che non ha voluto restituire la bella Criseide a
suo padre Crise, sacerdote di Apollo.
Così detto, sedette; s’alzò fra loro
l’eroe figlio d’Atreo, il molto potente Agamennone,
infuriato; d’ira tremendamente i neri precordi
erano gonfi, gli occhi parevano fuoco lampeggiante;
subito guardando male Calcante gridò:
«Indovino di mali, mai per me il buon augurio tu dici,
sempre malanni t’è caro al cuore predire,
buona parola mai dici, mai compisci!
E adesso in mezzo ai Danai annunci profetando
che proprio per questo dà loro malanni il dio che saetta,
perch’io della giovane Creseide il ricco riscatto
non ho voluto accettare: molto io desidero
averla in casa, la preferisco a Clitemnestra davvero,
benché sposa legittima, ché in nulla è vinta da lei,
205
101. così… sedette: Calcante, dopo aver rivelato il
motivo della pestilenza,
si risiede nell’assemblea.
103. d’ira… gonfi: l’ira gli
gonfiava il cuore; i precordi erano ritenuti parti del cuore, sede dei
sentimenti.
108. compisci: compi, realizzi.
110. il dio che saetta: è Apollo, che lancia le frecce.
113. Clitemnestra: è la sposa
di Agamennone.
Epica
Mito, epica, leggenda
119. indonato: che non ha ricevuto doni.
126. non va: non è giusto.
127. questa: cioè Criseide.
128. la riscatteremo: vuol dire che gliela ripagheranno con le donne troiane che cattureranno
una volta conquistata
Troia.
132. non coprire il pensiero:
non fingere.
138. Aiace: altro eroe greco
e Odisseo, Ulisse.
non di corpo, non di figura, non di mente, non d’opere.
Ma anche così consento a renderla, se questo è meglio;
io voglio sano l’esercito, e non che perisca.
Però un dono, subito, preparate per me; non io solo
degli Argivi resti indonato, non è conveniente.
Dunque guardate tutti quale altro dono mi tocchi».
Lo ricambiò allora Achille divino piede rapido:
«Gloriosissimo Atride, avidissimo sopra tutti,
come ti daranno un dono i magnanimi Achei?
In nessun luogo vediamo ricchi tesori comuni;
quelli della città che bruciammo, quelli son stati divisi.
Non va che i guerrieri li mettano di nuovo in comune.
Ma tu ora cedi al dio questa; poi noi Achei
tre volte, quattro volte, la riscatteremo, se Zeus
ci dia d’abbatter la rocca di Troia mura robuste».
Ma ricambiandolo disse il potente Agamennone:
«Ah no, per quanto tu valga, o Achille pari agli dei,
non coprire il pensiero, perché non mi sfuggi né puoi persuadermi.
Dunque pretendi – e intanto il tuo dono tu l’hai‐che così
Io me ne lasci privare, e vuoi farmi rendere questa?
Ma se mi daranno un dono i magnanimi Achei,
adattandolo al mio desiderio, che faccia compenso,sta bene;
se non lo daranno, io stesso verrò
a prendere il tuo, o il dono di Aiace, o quel d’Odisseo
prenderò, me lo porterò via: ah! S’infurierà chi raggiungo.
Ma via, queste cose potremo trattare anche dopo:
ora, presto, una nave nera spingiamo nel mare divino,
206
Percorsi tematici
raccogliamovi rematori in numero giusto, qui l’ecatombe
imbarchiamo, la figlia di Crise guancia graziosa
facciamo salire; uno dei capi consiglieri la guidi,
o Aiace, o Idomeneo, oppure Odisseo luminoso,
anche tu, Pelide, il più tremendo di tutti gli eroi,
che tu ci renda benigno, compiendo il rito, il Liberatore».
Ma guardandolo bieco Achille piede rapido disse:
“Ah vestito di spudoratezza, avido di guadagno,
come può volentieri obbedirti un acheo,
o marciando o battendosi contro guerrieri con forza?
Davvero non pei Troiani bellicosi io sono venuto
a combattere qui, non contro di me son colpevoli:
mai le mie vacche han rapito o i cavalli,
mai a Ftia dai bei campi, nutrice d’eroi,
han distrutto il raccolto, poiché molti e molti nel mezzo
ci sono monti ombrosi e il mare sonante.
Ma te, o del tutto sfrontato, seguimmo, perché tu gioissi,
cercando soddisfazione per Menelao, per te, brutto cane,
da parte dei Trioiani; e tu questo non pensi, non ti preoccupi,
anzi, minacci che verrai a togliermi il dono
pel quale ho molto sudato, i figli degli Achei me l’han dato.
Però un dono pari a te non ricevo, quando gli Achei
gettano a terra un borgo ben popolato dei Teucri;
ma il più della guerra tumultuosa
le mani mie lo governano; se poi si venga alle parti
a te spetta il dono più grosso. Io un dono piccolo e caro
mi porto indietro alle navi, dopo che peno a combattere.
Ma ora andrò a Ftia, perché certo è molto meglio
andarsene in patria sopra le concave navi. Io non intendo per te,
restando qui umiliato , raccoglier beni e ricchezze».
Lo ricambiò allora il sire d’eroi Agamennone:
«Vattene, se il cuore ti spinge; io davvero
non ti pregherò di restare con me, con me ci son altri
che mi fanno onore, soprattutto c’è il saggio Zeus.
Ma tu sei il più odioso per me tra i re alunni di Zeus:
contesa sempre t’è cara, e guerre e battaglie:
se tu sei tanto forte, questo un dio te l’ha dato!
Vattene a casa, con le tue navi, coi tuoi compagni,
regna sopra ai Mirmidoni: di te non mi preoccupo,
non ti temo adirato; anzi questo dichiaro :
poi che Criseide mi porta via Febo Apollo,
io lei con la mia nave e con i miei compagni
rimanderò; ma mi prendo Briseide guancia graziosa,
andando io stesso alla tenda, il tuo dono, sì, che tu sappia
quanto son più forte di te, e tremi anche un altro
di parlarmi alla pari, o di levarmisi a fronte».
(Omero, Iliade, trad. di R. Calzecchi Onesti, Einaudi, Torino )
207
Unità 2
142. ecatombe: sacrificio di
cento animali.
145. Idomeneo: altro eroe
greco.
146. Pelide: è Achille, figlio
di Peleo.
147. liberatore: è Apollo, che
libera dai mali.
155. Ftia: è la patria di Achille.
164. gettano a terra: distruggono. Teucri: altro nome
dei Troiani, dal loro fondatore, Teucro.
166. si venga alle parti:
giunga il momento di dividere il bottino.
176. alunni: pupilli, protetti.
180. Mirmidoni: è il popolo
di Achille.
Epica
Mito, epica, leggenda
COMPRENSIONE
1. Agamennone chiede una ricompensa per cedere la bella Criseide. Perché?
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2. Qual è la risposta di Achille alle parole di Agamennone?
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3. Achille rinfaccia ad Agamennone il motivo della guerra. Ricordi qual è?
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PRODUZIONE
1. Stendi il riassunto del brano.
2. Descrivi brevemente l’atteggiamento di Agamennone e quello di Achille. Chi ha ragione secondo te? Chi si comporta male e perché?
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208
Percorsi tematici
Odisseo e Tersite
Unità 2
Odissea, Libro II
vv. 211-277
Antefatto: dopo la discussione con Agamennone, Teti, la madre di
Achille, prega Zeus di aiutare i Troiani in modo che i Greci capiscano l’im‐
portanza della presenza di Achille in battaglia. Allora Zeus manda un finto
sogno premonitore ad Agamennone, per convincerlo che la vittoria è vi‐
cina. Agamennone decide di riprendere subito la battaglia, però prima con‐
voca il consiglio degli Anziani e comunica di volere mettere alla prova
l’esercito, fingendo di voler rinunciare alla guerra e di voler tornare in pa‐
tria, con la speranza che i soldati, invece, gli chiedano di continuare a com‐
battere. L’esercito, al contrario, si mostra desideroso di mettere fine alla
guerra. Odisseo riesce a convincere i soldati a restare. Solo un soldato, un
plebeo brutto e arrogante, senza onore né gloria, osa criticare i nobili eroi
e addirittura offendere il supremo comandante.
Gli altri dunque sedevano, furono tenuti a posto.
Solo Tersite vociava ancora smodato,
che molte parole sapeva in cuore, ma a caso,
vane, non ordinate, per sparlare dei re:
quello che a lui sembrava che per gli Argivi sarebbe
buffo. Era l’uomo più brutto che venne sotto Ilio.
Era camuso e zoppo d’un piede, le spalle
eran torte, curve e rientranti sul petto; il cranio
aguzzo in cima, e rado di pelo fioriva.
Era odiosissimo, soprattutto ad Achille e a Odisseo,
ché d’essi sparlava sempre; ma allora contro il glorioso Agamennone
diceva ingiurie, vociando stridulo; certo con lui gli Achei
l’avevano terribilmente, l’odiavano, però dentro il cuore;
ma quello gridando forte accusava Agamennone con parole:
«Atride, di che ti lamenti? che brami ancora?
piene di bronzo hai le tende, e molte donne
sono nelle tue tende, scelte, ché a te noi Achei
le diamo per primo, quando abbiam preso una rocca;
e ancora hai sete d’oro, che ti porti qualcuno
dei Teucri domatori di cavalli, riscatto pel figlio
preso e legato da me o da un altro dei Danai?
o vuoi giovane donna, per far con essa all’amore,
e che tu solo possieda in disparte? ma non è giusto
che un capo immerga nei mali i figli degli Achei.
Ah, poltroni, brutti vigliacchi, Achee non Achei,
a casa, sì, sulle navi torniamo, lasciamo costui
qui, a Troia, a digerirsi i suoi onori, che veda
se tutti noi lo aiutavamo o no.
Egli che adesso anche Achille, un uomo migliore di lui,
ha offeso; ha preso e si tiene il suo dono, gliel’ha strappato!
209
211. vociava… smodato: parlava a voce alta e senza
misurare le parole.
215. Argivi: abitanti di Argo,
cioè i Greci.
217. camuso: con il naso
grosso e schiacciato.
218. torte: storte.
219. rado il pelo fioriva: cioè
aveva pochi capelli.
221. chè: poichè.
222. con lui: cioè con Agamennone.
225. brami: vuoi, desideri.
226.-228. Piene… rocca: hai
le tende piene di bronzo
e di donne, perché noi
Achei le doniamo a te
per primo, dopo aver
conquistato una città come bottino di guerra.
231. Danai: sono i Greci, così chiamati dal nome di
Danao, mitico re di Argo.
Epica
Mito, epica, leggenda
241. longanime: generoso.
250. non parlare… bocca:
non nominare il nome
dei re.
251. non…ritorno: non ti
preoccupare del ritorno
in patria.
256. concioni ingiuriando:
parli pubblicamente, offendendo.
Davvero ira non v’è nel cuore d’Achille, è longanime,
se no, Atride, ora per l’ultima volta offendevi».
Diceva cos’, infamando Agamennone pastore d’eserciti,
Tersite; e a lui si avvicinò rapido il glorioso Odisseo
guardandolo bieco, lo investì con dure parole:
«Tersite, lingua confusa, per quanto arguto oratore,
smetti e non osare tu, di offendere i re.
Io dico che un altro uomo più vile di te
non esiste, quanti con gli Atridi vennero sotto Ilio.
Perciò, tu non parlare avendo i re sulla bocca;
non vomitare ingiurie, non ti curar del ritorno.
Non sappiamo ancor bene come saran queste cose,
se con fortuna o sfortuna torneremo, noi figli degli Achei.
Ma tu per questo l’Atride Agamennone pastore d’eserciti
godi d’offendere, perché molti doni gli dànno
gli eroi Danai; e tu concioni ingiuriando.
Però ti dico e questo avrà compimento;
se ancora a far l’idiota come adesso ti colgo,
non resti più la testa d’Odisseo sulle spalle,
210
Percorsi tematici
non più di Telèmaco possa chiamarmi padre,
s’io non t’acciuffo, ti spoglio delle tue vesti,
mantello e tunica, che le vergogne ti coprono,
e ti rimando piangente alle rapide navi,
fuori dall’assemblea, percosso con colpi infamanti!»
Disse così, e con lo scettro il petto e le spalle
percosse; quello si contorse, gli cadde una grossa lacrima:
un gonfio sanguinolento si sollevò sul dorso
sotto lo scettro d’oro; sedette e sbigottì
dolorando, con aria stupida si riasciugò la lacrima:
gli altri scoppiarono a ridere di cuore di lui, benché afflitti,
e uno parlava così, guardando un altro vicino:
«Ah, davvero, mille cose belle ha fatto Odisseo,
dando buoni consigli e primeggiando in guerra;
ma questa ora è la cosa più bella che ha fatto tra i Danai,
che ha troncato il vociare di quel villano arrogante.
Va’, che il nobile cuore non lo spingerà certo più a
infamare i sovrani con parole ingiuriose!»
(Omero, Iliade, trad. di R. Calzecchi Onesti, Einaudi, Torino )
Unità 2
262. vergogne: le parti intime.
267. gonfio sanguinolento:
ferita gonfia e sanguinante.
276. nobile: è ironico, vuole
intendere il contrario.
COMPRENSIONE
1. Individua e sottolinea nel testo le parole che descrivono l’aspetto e la personalità di Tersite.
Quale impressione Omero vuole dare di questo personaggio?
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2. Spiega brevemente il contenuto del discorso di Tersite e di che cosa accusa Agamennone.
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3. Odisseo rimprovera Tersite, difende Agamennone e minaccia una reazione. Quali argomenti
utilizza?
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continua 211
Epica
Mito, epica, leggenda
4. Cosa fa Odisseo per zittire Tersite?
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5. Come reagiscono gli altri soldati?
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PRODUZIONE
1. Stendi il riassunto del brano.
2. Descrivi brevemente l’aspetto fisico e il carattere di Tersite.
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3. L’intervento di Odisseo mette in evidenza che i soldati plebei sono obbligati all’obbedienza.
Sai spiegare perché?
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212
Verifica di fine percorso:
confronto tra testi
I PERSONAGGI
1. Completa la tabella delle ANALOGIE e delle DIFFERENZE (l’esercizio è avviato):
AGAMENNONE
ACHILLE
ODISSEO
TERSITE
plebeo
Livello sociale
Grado
nell’esercito
comandante
Aspetto fisico
bello e muscoloso
Aspetti del
carattere
astuto
Valori che
rappresentano
Modo di
comportarsi
213
Unità 3 • Che cos’è la leggenda?
Obievi
specifici
dell’unità
I tes
• Leggere leggende
CHE COS’È LA LEGGENDA?
• Riconoscere gli elemen
fondamentali della
leggenda: i personaggi,
lo spazio, il tempo, le
avventure, i prodigi, gli
even
• Comprendere e
analizzare la struura
essenziale del testo
della leggenda
• Saper riscrivere tes di
leggende araverso
completamen,
manipolazioni,
trasformazioni,
realizzazioni guidate
LE LEGGENDE SULLA STORIA
E SUI PERSONAGGI DI ROMA
• La leggenda di Romolo e Remo
• Orazio Coclite
• Muzio Scevola
• Clelia
• Valutare tes di
leggende
• Le oche del Campidoglio
• Alio Regolo
• Cornelia, la madre dei Gracchi
LE LEGGENDE SUGLI ANGELI E SUI SANTI
• San Michele e il diavolo
• San Marno
• La leggenda di San Giorgio, J. da Varazze
• Verifica di fine unità:
“Guai ai vin!”
La produzione
• Esercizi di
comprensione
• Esercizi di analisi
graduata
Unità
3
Che cos’è
la leggenda?
La leggenda (parola di derivazione latina) è la narrazione di fatti
che sono così straordinari da dover essere letti.
Questi racconti possono riguardare argomenti religiosi, come le
vite o le azioni dei santi, o storici, come la fondazione di città, o an‐
cora eroici, come le imprese eccezionali compiute da personaggi di
straordinario coraggio, ad esempio Muzio Scevola o re Artù.
La caratteristica principale della leggenda consiste nel fatto che
la narrazione ha un fondamento storico, ma viene abbellita e arric‐
chita con particolari fantastici e meravigliosi, per sottolineare l’ec‐
cezionalità e la straordinarietà dell’evento narrato o del personaggio
di cui il racconto tratta.
La leggenda, dunque, è ben diversa dalla favola e dalla fiaba, che
presentano personaggi e avvenimenti completamente fantastici, e si
differenzia anche dal mito in cui sono raccontate le storie di dei e
dee, cioè di personaggi non realmente esistiti.
Inoltre i miti erano ritenuti assolutamente veri dagli antichi popoli
che li raccontavano, cosa che non necessariamente avviene per le
leggende: infatti quando diciamo che una storia è leggendaria, vo‐
gliamo dire che non si è certi che sia una storia tutta vera, ma che
presenta alcuni elementi, fatti o personaggi, storicamente avvenuti
o esistiti.
Talvolta, però, miti e leggende si confondono tra loro, proprio per
la presenza, in entrambe le narrazioni, di azioni straordinarie com‐
piute da personaggi eccezionali o di fatti meravigliosi e stupefacenti
avvenuti in maniera prodigiosa.
Quelle che ora leggerai sono alcune delle leggende più famose
riguardanti la nascita della città di Roma e le imprese di famosi
personaggi della storia romana, che sono diventati, appunto,”
leggendari”.
216
Che cos’è la leggenda?
Unità 3
La leggenda di Romolo e Remo
Quando Proca, re di Alba Longa, morì, il trono passò al figlio Numi‐
tore, che fu spodestato dal fratello Amulio, il quale lo imprigionò
e costrinse la nipote, Rea Silvia, a diventare una vestale per impedire che
si sposasse e avesse dei figli, i quali un giorno rivendicassero il regno.
Ma il dio Marte si innamorò della fanciulla e dalla loro unione nacquero
due fratelli gemelli.
Amulio, scoperta la nascita dei bambini, ordinò che la madre fosse
mandata a morte, come prevedeva la legge per le Vestali che non rispet‐
tavano il voto di castità, e che i gemelli fossero messi in una cesta e gettati
nel fiume. La corrente trascinò la cesta coi due bambini fino a deporla al‐
l’asciutto, sulla riva del fiume.
Una lupa, attirata dai vagiti dei due bambini, li raggiunse e si mise ad
allattarli, finchè sopraggiunse in quel luogo un pastore, di nome Faustolo,
che li raccolse e li portò alla moglie Acca Larenzia, che li allevò come suoi
figli, dando loro il nome di Romolo e Remo
I due fratelli, diventati adulti e venuti a conoscenza della loro origine
reale e dell’usurpazione di Amulio, decisero di rivendicare il trono, perciò
uccisero Amulio, liberarono Numitore e gli restituirono il regno di Alba
Longa.
Poi Romolo e Remo lasciarono Alba Longa e si recarono sulla riva del
Tevere per fondare una nuova città nel luogo dove erano stati abbandonati
ma, non riuscendo a decidere chi dei due dovesse darle il nome ed esserne
il re, stabilirono di affidarsi alla volontà degli dei.
Romolo salì, allora, sul colle Palatino, dal quale vide passare in volo do‐
dici avvoltoi, mentre Remo
sull’Aventino ne vide solo sei.
Fu deciso, allora, che Ro‐
molo fosse il re indicato da‐
gli dei ed egli cominciò a
scavare con l’aratro il solco
che sarebbe diventato il
tracciato delle mura della
nuova città.
Remo, però, invidioso del‐
la sorte del fratello, scavalcò il
solco e venne ammazzato da
Romolo, il quale aveva mi‐
nacciato di uccidere chiun‐
que avesse oltrepassato quel
confine.
Romolo divenne quindi il
primo re di Roma. Era l’anno
a.C.
217
1. fu spodestato: fu privato
del potere.
2. vestale: le vestali erano sacerdotesse della dea Vesta
ed erano obbligate a rimanere vergini per trenta anni.
3. vagiti: pianti.
4. usurpazione: appropriazione illecita.
Leggenda
Mito, epica, leggenda
COMPRENSIONE
1. Cosa fa Amulio, dopo aver imprigionato Numitore? ..............................................................................................
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2. Perché Amulio fa gettare nel fiume i gemelli?
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3. Cosa succede, invece?
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4. Cosa decidono di fare Romolo e Remo, dopo aver restituito il regno a Numitore?
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5. Perché viene deciso che Romolo sarà il re della nuova città?
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6. Perché Romolo uccide il fratello?
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7. Quali sono i fatti prodigiosi narrati dalla leggenda?
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8. A quale avvenimento storico si riferisce questa leggenda?
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PRODUZIONE
1. Spiega con parole tue in che modo questa leggenda vuole esaltare la straordinarietà della storia di Roma.
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218
Che cos’è la leggenda?
Unità 3
Orazio Coclite
Durante la guerra contro gli Etruschi, Orazio Coclite, poiché i nemici
stavano tentando l’assalto a Roma attraverso il ponte Sublicio, gridò ai
compagni dietro di lui: “Tagliate il ponte!”
Poi, mentre i Romani si affrettavano a eseguire il suo ordine, tenne im‐
pegnata tutta la schiera dei nemici e, appena vide la patria liberata dal‐
l’imminente pericolo, si gettò nel Tevere completamente armato.
Gli dei immortali, ammirati da tanto coraggio, gli concessero di avere
salva la vita.
Infatti senza essere ucciso dall’altezza del salto né soffocato dal peso
delle armi e neppure danneggiato dai giavellotti, che i nemici scagliavano
da ogni parte, attraversò il fiume a nuoto e si salvò.
1. imminente: prossimo, vicino ad accadere.
COMPRENSIONE
1. Che cosa ordina Orazio Coclite ai compagni e perché?
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continua 219
Leggenda
Mito, epica, leggenda
2. Che cosa fa Orazio Coclite, mentre i compagni eseguono il suo ordine?
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3. Come si conclude lo scontro tra Orazio Coclite e i nemici?
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4. Perché gli dei salvano la vita ad Orazio Coclite?
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5. Quale impresa eccezionale è narrata in questa leggenda?
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6. Quali fatti straordinari sono sottolineati dalla narrazione?
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7. A quale avvenimento storico si riferisce la leggenda? ............................................................................................
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PRODUZIONE
1. Spiega con parole tue perchè Orazio Coclite veniva considerato un eroe dal popolo romano.
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220
Che cos’è la leggenda?
Unità 3
Muzio Scevola
Quando gli Etruschi, comandati dal re Porsenna, assediavano Roma
nella città scarseggiava il cibo. Allora un giovane aristocratico Caio Muzio
Cordo si presentò in Senato e si offrì come vo‐
lontario per infiltrarsi nel campo etrusco e
uccidere il re.
Giunto nell’accampamento nemico,
Muzio Cordo vide un funzionario del re
che distribuiva le paghe ai soldati e, in‐
gannato dall’eleganza delle vesti, che sem‐
bravano degne di un re, lo pugnalò a
morte.
Subito venne catturato dai sol‐
dati e portato al cospetto di Por‐
senna, davanti al quale Muzio
Cordo coraggiosamente disse:” La
splendida veste del tuo funzionario
ha tratto in inganno la mia mano,
che adesso io punirò con il fuoco”. E
senza esitare mise la mano destra su
di un braciere e ve la tenne, finchè non fu
completamente bruciata, senza mostrare
nessun segno di dolore. Porsenna rimase
colpito dal coraggio del giovane, e lo la‐
sciò libero, affrettandosi poi ad avviare
le trattative di pace con i Romani.
Da quel giorno Muzio Cordo ebbe il
soprannome di Scevola, cioè mancino.
1. infiltrarsi: introdursi di nascosto.
COMPRENSIONE
1. Cosa avveniva a Roma, durante l’assedio degli Etruschi?
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2. Cosa fa Muzio Cordo?
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continua 221
Leggenda
Mito, epica, leggenda
3. Perché uccide il funzionario reale?
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4. Come si comporta Muzio Cordo in presenza del re Porsenna? .......................................................................
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5. Come reagisce Porsenna di fronte al gesto di Muzio Cordo?
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6. Cosa significa il soprannome Scevola?
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7. Quale gesto straordinario è raccontato dalla leggenda?
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8. Quale virtù di Muzio Cordo viene esaltata nella leggenda?
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9. Anche in questa leggenda è presente un avvenimento storico: quale?
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PRODUZIONE
1. Spiega con parole tue perché, dopo il gesto di Muzio Scevola, il re Porsenna avviò le trattative
di pace con i Romani.
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222
Che cos’è la leggenda?
Unità 3
Clelia
Dopo che fu stipulata la pace tra Etruschi
e Romani, Porsenna chiese degli ostaggi, tra
i quali vi era anche Clelia, una nobile vergine,
insieme ad altri fanciulli e fanciulle.
La giovane riuscì ad ingannare le senti‐
nelle nemiche e a fuggire dall’accampa‐
mento etrusco, portando con sé tutte le altre
ragazze e, arrivate al Tevere, poiché non
c’era più il ponte Sublicio, si gettarono
tutte nelle gelide acque del fiume.
Porsenna, informato della fuga degli
ostaggi, inviò subito ambasciatori a Roma
per richiederne la restituzione, cosa che
il Senato romano fece prontamente.
Il re interrogò Clelia, che con fierezza rispose
di non essere pentita del suo gesto e di essere
pronta a ripeterlo: Porsenna ammirò a tal punto
il coraggio della giovane che non solo la
liberò, ma le diede il permesso di
portare con sé una parte degli
ostaggi.
COMPRENSIONE
1. Chi era Clelia e perché si trovava nel campo di Porsenna?
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2. Cosa fece la ragazza?
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continua 223
Leggenda
Mito, epica, leggenda
3. Cosa fece Clelia per meritarsi l’ammirazione di Porsenna?
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4. Cosa fece infine Porsenna?
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5. Quali imprese straordinarie compie Clelia? ..................................................................................................................
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6. Come giudichi il comportamento del Senato romano?
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7. A quale avvenimento storico si riferisce anche questa leggenda?
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PRODUZIONE
1. Non solo gli uomini ma anche le donne sono capaci di gesti coraggiosi. Conosci qualche storia
di donne coraggiose? Racconta…
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224
Che cos’è la leggenda?
Le oche del Campidoglio
I Galli assediavano Roma, e avevano posto l’assedio al Campidoglio,
il colle sul quale c’era il tempio di Giunone, dove vivevano le oche sacre
alla dea.
Una notte i Galli cercarono di dare la scalata al Campidoglio, appog‐
giandosi a vicenda e, silenziosamente, raggiunsero la cima: riuscirono a
passare inosservati alle sentinelle e non svegliarono nemmeno i cani.
Li sentirono, però, le oche nel tempio di Giunone che i Romani non
avevano osato mangiare, nonostante a Roma si soffrisse la fame a causa
del lungo assedio.
Lo starnazzare delle oche svegliò Marco Manlio, ex console della re‐
pubblica romana, che era a guardia del Campidoglio ed egli, afferrate le
armi, corse alle mura della rocca e, con un colpo di scudo, fece cadere un
Gallo, che era già riuscito a raggiungere la sommità delle mura e che, ca‐
dendo, travolse quelli che gli venivano dietro.
Nel frattempo le oche continuarono a starnazzare e svegliarono tutto
l’esercito, che corse ad aiutare Marco Manlio.
In questo modo i Galli, grazie all’aiuto delle oche sacre a Giunone, fu‐
rono respinti dai Romani.
225
Unità 3
Leggenda
Mito, epica, leggenda
COMPRENSIONE
1. Chi sente l’arrivo dei Galli? ......................................................................................................................................................
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2. Perché i Romani non avevano mangiato le oche?
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3. Cosa fece Marco Manlio quando fu svegliato dalle oche?
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4. Qual è l’avvenimento straordinario che la leggenda racconta?
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5. Qual è l’evento storico a cui si riferisce la leggenda?
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PRODUZIONE
1. La leggenda sottolinea che le oche erano sacre a Giunone e che i Romani le avevano rispettate,
non osando mangiarle. Spiega con parole tue perché è così importante questo particolare e
quale virtù dei Romani vuole sottolineare.
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226
Che cos’è la leggenda?
Unità 3
Alio Regolo
Durante la prima guerra punica, fu fatto prigioniero il giovane console
Marco Attilio Regolo, al quale i Cartaginesi chiesero di andare a Roma,
per convincere i Romani a chiedere la pace e fare uno scambio di prigio‐
nieri.
Prima, però gli fecero giurare che, se la sua missione fosse fallita, sa‐
rebbe tornato a Cartagine. Regolo giurò e partì per Roma ma, quando fu
davanti al Senato, convinse i Romani a non stipulare nessuna pace con i
Cartaginesi, ma anzi a continuare la guerra fino alla vittoria definitiva di
Roma.
Dopo, fedele al giuramento fatto, nonostante il Senato gli offrisse di
rimanere a Roma, tornò a Cartagine, dove fu ucciso in modo orribile: i
Cartaginesi prima lo privarono delle palpebre e lo accecarono, facendogli
guardare la luce del sole, poi lo rinchiusero in una botte irta di chiodi e
lo fecero precipitare da una collina.
1. guerra punica: le guerre
puniche furono tre e furono
combattute tra Roma e Cartagine.
2. stipulare: concludere.
3. irta: piena di chiodi conficcati nel legno.
COMPRENSIONE
1. Perchè i Cartaginesi inviarono Regolo a Roma?
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continua 227
Leggenda
Mito, epica, leggenda
2. Cosa disse Regolo ai senatori?
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3. Cosa fece Regolo dopo aver parlato in Senato?
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4. In che modo i Cartaginesi uccisero Regolo?
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5. Quali sono le azioni eccezionali che Regolo compie?
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6. Quali virtù di Attilio Regolo vengono celebrate in questa leggenda?
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7. Qual è l’avvenimento storico presente nelle leggenda?
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PRODUZIONE
1. Confronta le imprese di Orazio Coclite, Muzio Scevola e Attilio Regolo, indicando quali caratteristiche in comune hanno questi personaggi “leggendari” della storia di Roma.
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228
Che cos’è la leggenda?
Unità 3
Cornelia, la madre dei Gracchi
Cornelia, figlia di Publio Cornelio Scipione l’Africano e madre di Tibe‐
rio e Caio Gracco, fu una donna degna di grande lode.
Un giorno una nobile donna romana le mostrò alcuni suoi gioielli, ag‐
giungendo queste parole: “Mio maritò mi donò questi anelli, questi brac‐
ciali, queste cose preziose ed anche vesti molto belle, che subito ti mo‐
strerò”.
Cornelia con animo tranquillo sentì le parole di quella donna vanitosa
e lodò quei preziosi gioielli. Poi la superba matrona la pregò di mostrarle
i suoi. Cornelia allora con volto sereno fece venire i suoi figli Caio e Tiberio
e mostrandoli alla matrona disse: “Questi sono i miei gioielli.”
1. matrona: donna di nobile
famiglia.
COMPRENSIONE
1. Cosa mostrò la matrona a Cornelia e cosa le disse?
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continua 229
Leggenda
Mito, epica, leggenda
2. Cosa mostrò, invece, Cornelia alla matrona e cosa le disse?
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3. Qual è l’azione particolarmente importante che compie Cornelia?
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4. Cosa intende dire Cornelia quando afferma che i figli sono “ i suoi gioielli?”
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PRODUZIONE
1. Spiega perché il testo della leggenda mette subito in evidenza che “Cornelia fu una donna degna di lode”.
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230
Che cos’è la leggenda?
Unità 3
Le agiografie
Le leggende sugli angeli e sui santi fanno parte di un genere let‐
terario chiamato agiografia, (termine che deriva dal greco e signi‐
fica scritti sui santi) che si sviluppò moltissimo nel Medioevo ed era
usato dai frati predicatori nei loro sermoni per spiegare al popolo
la lotta contro il male o le vicende prodigiose della vita dei santi.
Te ne presentiamo, ora, alcune tra le più famose.
San Michele e il diavolo
Si racconta che al tempo della ribellione di alcuni Angeli contro Dio,
monte Castello e monte Aureo, due colline del territorio di Olevano sul
Tusciano, siano stati i territori dove si svolse la fase finale della lotta tra
l’arcangelo Michele e Lucifero.
L’Arcangelo Michele si era stabilito in una grotta, piccola e stretta, posta
sulla cima di monte Castello, mentre Lucifero si era rifugiato in una bel‐
lissima grotta del monte Aureo.
Un giorno il Diavolo andò a far visita al‐
l’Arcangelo Michele e lo prese in giro per
le dimensioni della grotta in cui abi‐
tava, magnificando la bellezza
della propria, dalla quale si ve‐
deva uno splendido panorama.
Anzi Lucifero sfidò l’Ar‐
cangelo Michele a visitare la
sua casa per vedere con i
propri occhi la bellissima
grotta. L’Arcangelo accettò
l’invito, entrò nella grotta
del diavolo e dovette am‐
mettere che era molto più
bella della sua e gli chiese
di potersi sedere sul suo
trono.
Lucifero, accecato dall’or‐
goglio, acconsentì ma, appena
l’arcangelo si fu seduto sul suo
trono, disse al diavolo che non
glielo avrebbe più restituito, la qual
cosa provocò l’ira di Lucifero.
231
1. Olevano sul Tusciano: paese in provincia di Salerno.
Leggenda
Mito, epica, leggenda
Nacque allora un terribile duello, nel quale il diavolo ebbe la peggio.
Infatti san Michele lo fece rotolare giù dal monte fino a che si fermò sopra
un duro macigno.
Allora Lucifero, furibondo per essere stato sconfitto, con enorme sde‐
gno, sferrò col suo zoccolo tondo e ferreo un violento calcio alla roccia su
cui era caduto.
L’impronta del diavolo restò impressa nella pietra e si può vedere
ancora oggi nel luogo che viene comunemente chiamato “zampa del
diavolo”.
COMPRENSIONE
1. Perché Lucifero invita San Michele nella sua grotta?
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2. Cosa fa San Michele per far infuriare Lucifero?
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3. Come reagisce Lucifero alla sconfitta nel duello con l’Arcangelo? .................................................................
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4. Dalla lettura della leggenda si capisce che il diavolo ha un aspetto particolare. Quale?
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5. Cosa significa il fatto che San Michele si sia impossessato del trono di Lucifero?
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PRODUZIONE
1. Spiega con parole tue il significato di questa leggenda.
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232
Che cos’è la leggenda?
Unità 3
San Marno
Era l’ novembre, un giorno freddo e piovoso: nel vento che soffiava
avanzava per la strada un cavaliere, avvolto nel suo ampio mantello di
guerriero.
Ma ecco venirgli incontro un povero vecchio coperto soltanto di pochi
stracci, che tremava per il freddo. Martino lo
guardò, ne ebbe compassione e pensò: “Po‐
veretto, morirà per il gelo!”
Non aveva con sé né una coperta
nè del denaro, con il quale il povero
avrebbe potuto comprarsi una co‐
perta. Aveva, però, il suo pesante
mantello che lo copriva tutto:
se lo tolse, lo tagliò in due con
la spada e ne diede una metà
al poveretto.“Dio ve ne renda
merito!” balbettò il mendi‐
cante, e sparì. San Martino
spronò il cavallo e proseguì
il cammino sotto la pioggia,
che diventava sempre più
fitta, mentre il vento soffiava
sempre più violento.
Ma improvvisamente smise di
piovere, il vento si calmò, il cielo
divenne sereno e il sole cominciò a ri‐
scaldare l’aria, obbligando il cavaliere a
levarsi anche il mezzo mantello.
Durante la notte Martino sognò Gesù che lo
ringraziava mostrandogli la metà del mantello: era
proprio Lui il mendicante che aveva incontrato
Da allora ogni anno per pochi giorni intorno all’ novembre il clima è
più mite: è l’estate di San Martino.
1. compassione: pietà.
2. spronò: incitò ad avanzare.
3. mite: tiepido.
COMPRENSIONE
1. Perché Martino ha compassione del vecchio?
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continua 233
Leggenda
Mito, epica, leggenda
2. Cosa decide di fare?
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3. Cosa accade all’improvviso?
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4. Che cos’è l’estate di San Martino?
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5. Quale aspetto del carattere di Martino vuole sottolineare la leggenda? ....................................................
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6. Qual è il fatto strano che si verifica?
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PRODUZIONE
1. Spiega con parole tue qual è il significato della leggenda.
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2. Conosci qualche altra leggenda sulla vita o le azioni di un santo? Raccontala.
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234
Che cos’è la leggenda?
La leggenda di San Giorgio
Unità 3
Jacopo
da Varazze
A differenza delle due precedenti di cui non si conosce l’autore, questa
leggenda, fa parte di un’opera scritta dal frate domenicano Iacopo da
Varazze.
L’opera,che ebbe un successo davvero straordinario, è la LEGENDA
AUREA, contiene vite di santi e servì a fornire ai predicatori le storie,
gli aneddoti e gli esempi utili ai loro sermoni.
S. Giorgio, originario della Cappadocia e tribuno nell’armata romana,
giunse una volta alla città di Silene, in Libia. Vicino a questa città vi era
uno stagno grande come il mare in cui si nascondeva un orribile drago
che più volte aveva messo in fuga il popolo intero armato contro di lui;
quando poi si avvicinava alle mura della città uccideva col fiato tutti quelli
in cui si imbatteva. I cittadini, per mitigare il furore del drago e impedire
che appestasse l’aria causando la morte di molti, gli offrirono dapprima
due pecore ogni giorno perché se ne cibasse; ma quando le pecore, di cui
non avevano grande abbondanza, cominciarono a mancare, furono co‐
stretti a dargli da mangiare una pecora e un uomo. Si tirava dunque a sorte
il nome della vittima scelta fra i giovani della città e nessuna famiglia era
esclusa: già quasi tutti i giovani erano stati divorati quando l’unica figlia
del re fu designata
come la vittima da presentare al drago. Il re profon‐
damente addolorato disse: «Prendetemi tutto l’oro e l’argento che ho e
metà del mio regno ma rendetemi la figlia mia, onde non perisca di sif‐
fatta morte». Rispose il popolo infuriato: «O re, hai fatto tu stesso questo
editto! I nostri figli sono morti e tu vorresti salvare la figlia tua? Se tu
non prometterai che questa muoia come gli altri, bruceremo te e la tua
casa!» Il re allora disse piangendo alla figlia: «Che cosa devo dirti figlia
mia dolcissima? Ormai non vedrò più le tue nozze!» Rivolto poi al popolo
esclamò: «Vi prego di darmi otto giorni di tempo per piangere la figlia
mia!» Il popolo acconsentì ma dopo otto giorni così parlò al re: «Non vedi
che tutti muoiono per il pestifero soffio del drago?» Il re vide che in nes‐
sun modo poteva salvare la figlia onde la vestì di vesti regali e abbrac‐
ciandola disse fra le lacrime: «Ahimé, figlia mia dolcissima, io credevo
che nel grembo regale tu avresti allevato i tuoi figli, e invece diverrai preda
del drago! Ahimé! figlia mia dolcissima, io speravo di invitare i principi
alle tue nozze, di ornare di perle il mio palazzo e d’ascoltare l’allegro suono
dei timpani e degli organi; invece tu diverrai preda del drago!» La figlia
allora cadde ai piedi del padre chiedendogli la sua benedizione. Il re la
benedisse con molte lacrime; dopodiché la giovinetta si incamminò verso
il lago. Il beato Giorgio che per caso passava di là vide la fanciulla pian‐
gente e le chiese cosa avesse. E quella: «Buon giovane, risali subito sul ca‐
vallo se non vuoi morire con me». E Giorgio: «non temere, figlia mia, ma
dimmi che cosa fai qui in lacrime sotto gli occhi di tutto il popolo, che ti
sta ad osservare dalle mura». E quella: «Vedo che sei un giovane audace e
235
1. Cappadocia: regione situata nell’attuale Turchia.
2. tribuno: ufficiale.
3. si imbatteva: incontrava.
4. mitigare: calmare.
5. appestasse: infettasse.
6. fu designata: fu scelta.
7. non perisca… morte: non
muoia in modo così terribile.
8. editto: legge.
9. onde: per cui.
10. timpani: strumenti a percussione, simili ai tamburi.
Leggenda
11.
12.
13.
14.
15.
16.
mansueto: docile.
in tal guisa: in tal modo.
onde: per.
fonte viva: una sorgente.
infermi: malati.
ammaestramenti: insegnamenti.
Mito, epica, leggenda
generoso, ma perché vuoi morire con me? Fuggi, fuggi senza aspettare!»
E Giorgio: «Non me ne andrò sino a che tu non mi abbia detto che cosa
stai facendo». Quando la fanciulla gli ebbe raccontato la sua storia disse
Giorgio: «Figlia mia non temere, poiché io ti verrò in aiuto nel nome di
Cristo». E quella: «Buon soldato non voler morire, basta la mia morte!»
Mentre così i due parlavano il drago sollevò la testa dall’acqua del lago
onde la fanciulla tutta tremante gridò: «Fuggi, fuggi, mio buon signore!»
Giorgio allora salì sul cavallo e fattosi il segno della croce si gettò sul drago,
vibrò con forza la lancia, e raccomandandosi a Dio, gravemente lo ferì. Il
drago cadde a terra e Giorgio disse alla giovinetta: «Non aver più timore e
avvolgi la tua cintura al collo del drago». Così ella fece e il drago cominciò
a seguirla mansueto come un cagnolino. Vedendola in tal guisa avvici‐
narsi alla città, tutto il popolo atterrito cominciò a gridare: «Ahimè, ora
moriremo tutti!» Ma il beato Giorgio disse loro: «Non abbiate timore poi‐
ché Iddio mi ha mandato a voi onde liberarvi da questo drago. Abbrac‐
ciate la fede di Cristo, ricevete il battesimo ed io ucciderò il mostro». Al‐
lora il re e tutta la popolazione ricevettero il battesimo: dopodiché Giorgio
uccise il drago e comandò che fosse portato fuori della città con un carro
tirato da quattro paia di buoi.
Senza contare le donne e i bambini in quel giorno furono battezzati
ventimila uomini. Il re fece costruire una gran chiesa in onore della Ma‐
donna e del beato Giorgio e dall’altare sgorgò una fonte viva per la cui
acqua molti infermi recuperarono la salute. Il re offrì a Giorgio anche
una gran somma di denaro ma questo ordinò che fosse distribuito fra i
poveri. Infine Giorgio dette al re quattro ammaestramenti
: di aver cura
delle chiese, di onorare i sacerdoti, di ascoltare devotamente gli uffici di‐
vini, di ricordarsi sempre dei bisognosi. Poi lo abbracciò affettuosamente
e se ne andò da quella città.
(Jacopo da Varazze, Legenda aurea, Einaudi)
236
Che cos’è la leggenda?
Unità 3
COMPRENSIONE
1. Cosa faceva il drago ai cittadini di Silene?
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2. Cosa fu costretto a fare il popolo della città?
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3. Come reagì il re quando fu designata sua figlia?
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4. Cosa promise san Giorgio alla principessa?
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5. Come fece san Giorgio a sconfiggere il drago?
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5. Come si conclude la leggenda? .............................................................................................................................................
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6. Che cosa simboleggiano il drago e san Giorgio? .....................................................................................................
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7. Qual è l’impresa straordinaria che compie san Giorgio?
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8. Quali sono i fatti prodigiosi che si verificano dopo la morte del drago?
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237
Leggenda
Mito, epica, leggenda
PRODUZIONE
1. Spiega con parole tue qual è il significato della leggenda.
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2. Stendi il riassunto della leggenda.
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238
Verifica di fine
unità 3
“Guai ai vin!”
Leggi la breve leggenda che segue e svolgi gli esercizi.
Dopo il tentativo dei Galli di assalire il Campidoglio, fallito a causa
delle oche sacre, la guerra era continuata, ma l’assedio posto dai nemici
alla città di Roma durava ormai da troppo tempo: mancava ormai il nu‐
trimento e i soldati romani erano talmente indeboliti da non reggere il
peso delle armi.
Allora il Senato decise di accettare la proposta fatta dai Galli di pagare
un riscatto affinché essi abbandonassero la città e incaricò i magistrati
di trattare con il nemico. Brenno, il capo dei Galli, pretese mille libbre
d’oro, una cifra esorbitante, che venne raccolta con molta fatica dal po‐
polo romano.
Mentre l’oro veniva pesato, i Romani, però si accorsero che i Galli sta‐
vano usando pesi falsi per imbrogliarli. Di fronte alle proteste dei magi‐
strati, Brenno gettò la sua spada sulla bilancia, pretendendo in questo
239
1. libbre: unità di misura del
peso, una libbra corrispondeva a circa mezzo chilo.
2. esorbitante: smisurato, esagerato.
Leggenda
Mito, epica, leggenda
modo un’ulteriore quantità di oro e, contemporaneamente, gridò con ar‐
roganza: “Guai ai vinti!”.
Ma il nobile e coraggioso Furio Camillo, giunto da una città vicina con
un nuovo esercito per portare aiuti a Roma, si fece avanti, mostrò la sua
spada a Brenno e gli urlò in faccia: “Non con l’oro, ma con il ferro, si ri‐
scatta la patria”.
Allora l’esercito romano si scagliò contro il Galli, costringendoli alla
fuga e lo stesso Furio Camillo non solo inseguì i nemici, sconfiggendoli a
più riprese, ma recuperò anche l’oro che era stato consegnato dal popolo.
Dopo questa impresa Furio Camillo fu chiamato dai Romani “secondo
Romolo” come fosse egli stesso fondatore della patria.
1. Chi è il protagonista della leggenda?
a) Brenno.
b) Furio Camillo.
c) L’esercito romano.
2. Perché i Romani accettano la proposta del riscatto?
a) Perché sono stati sconfitti dai Galli.
b) Perché sono stati traditi.
c) perché sono senza cibo e troppo indeboliti dal lungo assedio.
3. Ch e cosa succede quando viene pesato l’oro?
a) I Romani si accorgono che i Galli usano pesi falsi.
b) I Galli chiedono una maggiore quantità di oro.
c) I Romani si rifiutano di consegnare l’oro richiesto.
4. Che cosa vuol dire la frase “Guai ai vinti”?
a) È una maledizione: i vinti devono subire molte sciagure.
b) È una minaccia: i vinti non devono osare nessuna protesta.
c) È un’affermazione: i vinti sono nei guai.
5. Che cosa vuol dire la frase “Non con l’oro, ma con il ferro si riscatta la patria”?
a) Che i Romani dovevano usare le armi per liberare Roma dai nemici.
b) Che i Romani dovevano dare il ferro e non l’oro ai Galli.
c) Che i Romani dovevano prendere le spade dei Galli.
6. Perché i Romani chiamarono Furio Camillo “secondo Romolo”, come se fosse stato un secondo
fondatore di Roma?
a) Perché Furio Camillo era stato molto ammirato per il suo coraggio.
b) Perché Furio Camillo aveva salvato Roma dal pericolo della completa distruzione.
c) Perché Furio Camillo aveva recuperato l’oro del popolo romano.
continua 240
Che cos’è la leggenda?
Unità 3
7. Quali sono le virtù di Furio Camillo sottolineate dalla leggenda?
a) La generosità e il coraggio.
b) Il coraggio e l’amore verso la patria.
c) La generosità e l’amore verso la patria.
8. Qual è l’avvenimento storico presente nella leggenda?
a) La guerra tra Romani ed Etruschi.
b) La guerra tra Romani e Cartaginesi.
c) La guerra tra Romani e Galli.
Brenno.
241
Leggenda
Mito, epica, leggenda
Toc… toc… chi recupera con me?
Davvero bello questo mondo di dei e di eroi! Ma forse hai
bisogno di qualche piccolo ripasso… ti aiuto io con gli
esercizi che ho scelto per te.
1. Unisci con una freccia le frasi seguenti al nome del personaggio corrispondente:
Nacque dalla testa di Zeus
EFESTO
Guidava il coro delle Muse
GIASONE
Fu rapita da Ade
ATENA
Scese nell’Ade per riprendersi la moglie
Rubò il fuoco agli dei
CERBERO
ADE
Dea della bellezza e dell’amore
POSEIDONE
Il dio che aveva la sua officina nell’Etna
Eroe ateniese che uccise il Minotauro.
CARONTE
APOLLO
Aiutò Teseo a sconfiggere il Minotauro.
PROMETEO
Cane a tre teste, stava a guardia del regno dei morti
PERSEFONE
Conquistò il vello d’oro
TESEO
Figlio di Zeus, dovette compiere 12 fatiche
ARIANNA
Traghettatore delle anime dei morti
ORFEO
Dio degli Inferi, sposò Persefone
ERACLE
Fratello di Zeus e dio del mare.
VENERE
242
Mito, epica, leggenda
Modulo 5
Toc… toc… chi recupera con me?
2. Completa la tabella cercando le funzioni di Propp nelle storie di miti e
nelle narrazioni epiche che hai studiato. (L’esercizio è avviato)
EROI
ULISSE
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PROVA
ANTAGONISTA
DA SUPERARE
AIUTANTE
DONATORE
MEZZO
MAGICO
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................................
................................
................................
................................
243
Leggenda
Mito, epica, leggenda
Toc… toc… chi recupera con me?
3. Completa la storia e attribuiscile il titolo giusto:
.............................................................................
La dea della ................................................................. non fu invitata alle nozze di Peleo
e
..........................................................
Ella giunse di nascosto al banchetto e lanciò
sulla tavola una mela d’oro con la scritta: ...........................................................................
Di fronte alle tre dee,
....................................................., ......................................................
....................................................,
e
che litigavano fra loro, Zeus, non volendo scegliere
lui stesso, consegnò la mela a .................................................., il bellissimo figlio di
.....................................................
Il giovane principe scelse .........................................................,
dea dell’amore, la quale gli promise in premio l’amore di
.....................................................,
moglie di ........................................................., re di Sparta.
Paride dunque rapì Elena, portandola a
.......................................................
.........................................................,
ma
marito di Elena, per vendicare l’offesa subita,
chiese al fratello ................................................, re di Micene, di convocare tutti i re
della
..............................................
e di allestire un esercito per combattere contro
la città di .................................................., patria di Paride.
4. Riordina i seguenti eventi in successione cronologica:
A. Nella reggia Ulisse fa strage dei Proci.
B. Ulisse e i compagni accecano il ciclope Polifemo
C. Il cane Argo muore dopo aver rivisto Ulisse
D. La ninfa Calipso trattiene Ulisse nella sua isola incantata
E. Dopo una violenta tempesta Ulisse giunge nell’isola dei Feaci
F. Ulisse racconta al re dei Feaci le sue avventure
G. I compagni di Ulisse sono trasformati in animali dalla maga Circe
H. Ulisse ascolta il canto delle Sirene
244
Mito, epica, leggenda
Toc… toc… chi recupera con me?
5. Leggi il seguente brano tratto dall’Eneide e rispondi alle domande
Canto le armi e l’uomo che per primo dalle terre di Troia
raggiunse esule l’Italia per volere del fato e le sponde
lavinie, molto per forza di dei travagliato in terra
e in mare, e per la memore ira della crudele Giunone,
e molto avendo sofferto in guerra, pur di fondare
la città, e introdurre nel Lazio i Penati, di dove la stirpe
latina, e i padri albani e le mura dell’alta Roma.
5
[Eneide I, 1-7]
a] Indica fra parentesi se le seguenti parole o espressioni prendono come
modello l’Iliade [ILI] oppure l’Odissea [ODI].
Armi [.......] - uomo [.......] - molto per forza di dei travagliato in terra e in
mare [.......] e molto avendo sofferto in guerra [.......] - raggiunse esule l’Italia [.......]
b] Qual è la volontà del fato per Enea?
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c] Perché Giunone è adirata nei confronti di Enea [v. 4]?
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d] A quale guerra si riferisce il poeta al v. 5?
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5. Leggi il brano e rispondi alle domande.
LA LEGGENDA DI SAN COLOMBANO E IL DIAVOLO
Ancora giovane, Colombano, lasciò la sua nativa Irlanda e, compiendo
miracoli, passò nelle Gallie, in Germania ed in Italia: qui avuto in dono
dal re Agilulfo una parte del territorio di Bobbio, fondò in riva al fiume
Trebbia un celebre monastero. Con la carità e con i miracoli guadagnò il
cuore dei fedeli e degli increduli.
Un giorno Colombano ideò di costruire un ponte sulla Trebbia.
Sfortunatamente però non riuscì a raggranellare la somma necessaria per
eseguire i lavori. In quel frangente il diavolo gli si presentò.
“Se tu” gli disse “mi prometti di lasciare in mia balia la prima anima che
passerà sul ponte, io ti aiuterò a costruirlo”.
245
Modulo 5
Leggenda
Mito, epica, leggenda
Toc… toc… chi recupera con me?
a) che cosa intendeva costruire san Colombano?
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b) che cosa propose il diavolo a san Colombano in cambio del suo aiuto?
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“Il primo ESSERE che passerà sul ponte sarà tuo” disse sottilmente il monaco.
Così il demonio, credendo di aver sconfitto il suo avversario, mise mano al
lavoro.
Quando fu ultimato, Colombano gettò sul ponte un pezzetto di pane e vi
fece accorrere un cagnaccio che aveva portato con sé: compreso l’inganno,
il diavolo digrignò i denti e cominciò a inseguire il monaco e a insultarlo.
Ma il santo proseguì il suo cammino come nulla fosse, mentre l’altro aumentava la dose d’ingiurie.
c) con quale espediente san Colombano riuscì a non consegnare al diavolo quanto stabilito dall’accordo?
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d) che cosa diede san Colombano al diavolo?
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Quando giunsero ad un sentiero che conduce al Monte Penice, incontrarono una donna che aveva del riso nel grembiule.
Senza dire una parola, Colombano ne prese una manciata e la lanciò contro il suo persecutore. “Oh, miracolo!” I granelli di riso, anziché colpirlo,
si trasformarono in sassi neri… e, “meraviglia!” Essi riunendosi a formare
delle grotte spaventose, sporsero, sporsero, quasi a precipitare…
Questi massi neri esistono ancora e si chiamano “sassi del diavolo”.
e) chi incontrarono il diavolo e san Colombano sul sentiero che conduce
al monte Penice?
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f) in cosa si trasformarono i chicchi di riso?
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246
Appunti
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