Tenuta e rilancio del modello del sindacato comparativamente più

Transcript

Tenuta e rilancio del modello del sindacato comparativamente più
CONSENSO, DISSENSO, RAPPRESENTANZA NEL SISTEMA DI GOVERNO DELLE RELAZIONI INDUSTRIALI Venezia 25 -­‐ 26 ottobre 2013 Sessione Rappresentanza e rappresentatività fra autoregolamentazione e eteroregolamentazione Tenuta e rilancio del modello del sindacato comparativamente più rappresentativo dopo il Protocollo del 31 maggio 2013 di Pasquale Passalacqua, Università di Cassino e del Lazio Meridionale SOMMARIO: 1. La scelta del tema. -­‐ 2. Alcune criticità del modello del sindacato comparativamente più rappresentativo e la sua lettura construens: la tenuta sul piano costituzionale. – 3. (Segue). Dalla selettività della formula alla verifica di validità degli accordi collettivi delegati. -­‐ 4. I possibili ulteriori criteri di decodificazione del parametro desumibili dal Protocollo del 2013 volti ad accrescere la tenuta del modello. -­‐ 5. Una prospettiva di evoluzione nel sistema: il possibile ruolo del sindacato comparativamente più rappresentativo in una riforma delle regole sulla titolarità dei diritti sindacali in azienda di cui all’art. 19 St. 1. La scelta del tema. Gli ultimi noti eventi (Protocollo del maggio 2013 e Corte cost. 231/2013) assurgono a potenti calamite, cui il dibattito sui temi del Convegno in qualche modo non può non essere attratto, nella prospettiva di intravedere i processi di evoluzione del diritto sindacale anche da questi realizzati o indotti. Allo stesso tempo, in un tale generale contesto, il legislatore allorché, nel costante tentativo di riequilibrare le stesse norme prodotte (a volte con ansia bulimica) in materia, affida poteri normativi (anche derogatori) alla contrattazione collettiva, continua a utilizzare senza remore la formula del rinvio ai contratti stipulati da sindacati comparativamente più rappresentativi1, considerata, lo vogliamo ricordare, da Gino Giugni “escogitazione linguistica intelligente e feconda”2, quale prodotto della “irreversibile integrazione della contrattazione collettiva negli assetti della fonte legislativa”3. In un tale conteso, se il titolo non si rivelasse troppo pretenzioso, così da decidere di 1 V., da ultimo, prima la legge Fornero del 2012 [BELLAVISTA 2013] e poi il decreto Letta dell’agosto 2013, convertito dalla l. n. 99 del 2013. 2 GIUGNI 1998, 240. 3 CARUSO, LO FARO 2010, 3 ss. 1 accantonarlo, si sarebbe potuto intitolare il paper “il sindacato comparativamente più rappresentativo: ieri, oggi e… domani”, ma esplicitiamo lo stesso l’idea al fine di delineare l’iter della presente indagine. Così, al fine di apprezzare la tenuta di un simile modello nel quadro odierno delle relazioni industriali, occorre, a nostro avviso, da un lato ripercorrere alcune delle questioni ritenute più direttamente legate, per così dire, alla sua plausibilità sistemica nonché alla sua decifrabilità4. Come noto, il dibattito si è sviluppato soprattutto a cavallo dell’emanazione del d.lgs. n. 276 del 2003, che ha fatto largo uso del modello elevandolo diremmo a sistema. Successivamente, si procede al confronto tra il richiamato dato di continuità sistematica, ovvero di un rinvio al sindacato comparativamente più rappresentativo assunto a dato stabile del sistema, con gli ultimi eventi citati, nel tentativo di vagliarne il loro peso, anche in relazione a questo modello, che non sembra facile ritenere concluso e accantonare. Inoltre, nella prospettiva di sviluppi futuri del sistema, in particolare sul tema della titolarità dei diritti sindacali in azienda, oggetto dell’attesissima pronuncia della Consulta citata (Corte cost. 231 del 2013), si vogliono svolgere alcune considerazioni in chiave evolutivo progettuale, tese a intravedere un possibile ruolo anche per il parametro del sindacato comparativamente più rappresentativo. 2. Alcune criticità del modello del sindacato comparativamente più rappresentativo e la sua lettura construens: la tenuta sul piano costituzionale. Nel ripercorrere in breve i tanti interrogativi emersi sulla sua tenuta costituzionale, il modello della maggiore rappresentatività comparata ha suscitato perplessità, per il fatto che si finirebbe per selezionare i soggetti sindacali in modo diverso da quanto 4 Rappresenta una precisa scelta di campo, nella ristretta economia del presente contributo, quella di non affrontare altre scottanti questioni legate al modello del rinvio legale, come, tra le tante, i suoi presupposti sistematici, l’efficacia soggettiva degli accordi cd. delegati dalla legge e la possibile diversificazione tipologica delle ipotesi di rinvio legale, le quali, tuttavia, paiono esulare dal tema qui affrontato, incentrato sulla tenuta del modello in relazione ai nuovi imput desumibili dal Protocollo del maggio 2013. Su tali complessi aspetti ci si limita a rinviare, da ultimi, a CARUSO, LO FARO 2010, 6 ss.; FERRARO 2011, 742 ss.; GAROFALO M.G. 2011, 531 ss.; GHERA 2011, 295 ss.; ROMEI 2011, 195 ss.; TULLINI 2010, 476 ss.; ZOLI 2010, 493 ss.; LAMBERTUCCI 2009, 576 ss. Sul dibattito sviluppatosi a seguito dell’emanazione del d.lgs. n. 276 del 2003, in cui si fece largo uso del modello, TULLINI 2005, CARINCI 2004 e inoltre, si consenta, anche per una ricostruzione degli apporti della dottrina prodotti fino ad allora sul tema, il rinvio a PASSALACQUA 2005b, spec. 89 ss. 2 previsto dall’art. 39 Cost., rimarcandosene un carattere differenziale rispetto alla precedente formula del sindacato maggiormente rappresentativo, giacché produrrebbe selezioni tra sindacati già maggiormente rappresentativi5 . A questi dubbi si è potuto già replicare che il modello del rinvio alla maggiore rappresentatività, poi evoluta in quella comparata, come ritenuto pacificamente dalla dottrina, si è sviluppato in modo del tutto autonomo, parallelo rispetto alla norma costituzionale, e soprattutto non tecnicamente incidente nell’ambito precluso dell’erga omnes. Pertanto, allo stesso modo della precedente formula del rinvio al contratto stipulato dal sindacato maggiormente rappresentativo, la declinazione del contratto stipulato dai sindacati comparativamente più rappresentativi delinea un sistema compatibile con il principio di libertà sindacale, in quanto non fa che ampliare, secondo quel determinato criterio selettivo ritenuto opportuno dal legislatore, il campo di incidenza della regolamentazione collettiva, che altrimenti non avrebbe potuto, in quel determinato ambito, occupato dalla norma inderogabile, operare6. Sempre sul versante della compatibilità costituzionale, altri hanno poi acutamente posto in evidenza, in particolare, che allorché il modello viene utilizzato per individuare i contratti collettivi stipulati da sindacati “qualificati”, abilitati a intervenire dalla legge in ambiti in cui si potrebbe ritenere che abbiano in ogni caso libertà di azione, ciò valga a impedire a sindacati “non qualificati” di contrattare su quelle materie, in violazione del principio di libertà sindacale ex art. 39, primo comma, Cost.7. In sintesi, a questi puntuali interrogativi si è potuto replicare sottolineando come il consueto rapporto legge-­‐autonomia collettiva storicamente costruito in termini di trattamento di miglior favore liberamente introducibile dalla fonte collettiva, mostri più di qualche difficoltà a essere declinato nell’ambito del “microsistema” del mercato del lavoro, tanto da rivelarsi insufficiente a regolare i rapporti tra le due fonti in questi ambiti, dove le normative, quali strumenti tesi a promuovere l’occupazione, vengono a incidere su interessi superindividuali, metacollettivi, che toccano insieme gli insiders e gli outsiders. Su questi presupposti si poteva e si può giungere a ritenere le normative di rinvio 5 Cfr., con diversi accenti, BELLOCCHI 1998, 338 ss.; RICCI, 2002, 182; SILVAGNA 211 ss. 6 PASSALACQUA 2005b, 137-­‐138 e ivi ulteriori riferimenti. 7 PINTO 2005, 275 ss.; ne accennano, da ultimo, anche GAROFALO M.G. 2011, 531-­‐532 e LECCESE 2013, 31, nota 5. 3 alla contrattazione collettiva “qualificata” che si sviluppano nel quadro del “mercato del lavoro”, fondate sull’interesse pubblico all’occupazione8, quale diretta esplicitazione del principio contenuto nell’art. 4 Cost., nella prospettiva della realizzazione del diritto sociale del lavoro, oltre che del perseguimento dell’ordine pubblico economico, implicato in tali normative, tese alla lotta alla disoccupazione e al lavoro nero9. Tale interesse, di così forte rilievo pubblicistico, giustifica l’appropriazione, da parte della legge, di spazi di intervento sindacale nella regolazione dei rapporti di lavoro, così da comportare una generale inderogabilità assoluta del precetto legale in quegli ambiti10. Contestualmente, lo stesso legislatore riaffida la gestione di determinati aspetti della materia soltanto al contratto collettivo stipulato da soggetti sindacali selezionati -­‐ che non per questo, lo si deve ribadire, muta la propria natura privatistica11 -­‐ riproponendosi in tal modo lo schema regola-­‐eccezione caratteristico del modello del rinvio legale, tanto da giustificare l’introduzione di tale filtro selettivo, volto ad abilitare solo quella contrattazione a derogare alla norma di legge12. 8 In prospettiva pare analoga, da ultimo FERRARO 2011, 746, per il quale l’oggetto della delega “sottende una valutazione legale sulla specifica esigenza che determina il rinvio alla contrattazione collettiva, la quale viene così ad assolvere una funzione regolamentare di rilevanza pubblicistica equivalente a quella della norma delegante”. 9 Questa lettura in chiave di tutela di un interesse pubblico, inoltre, è stata fatta propria anche dalla Corte Costituzionale nella nota sentenza del 1996 in ordine alla legittimità costituzionale degli accordi collettivi in materia di sciopero nei servizi pubblici essenziali (Corte Cost. 18 ottobre 1996, n. 344, in Foro it., 1997, I, 383). In quella occasione la Corte, in relazione all’utilizzo della tecnica della delega normativa all’autonomia collettiva, ha osservato, per incidens, che: “... l’uso di questo modello è giustificato quando si tratta delle materie del rapporto di lavoro che esigono uniformità di disciplina in funzione di interessi generali connessi al mercato del lavoro, come il lavoro a tempo parziale, i contratti di solidarietà, la definizione di nuove ipotesi di assunzione a temine”. In tali casi, secondo la Corte, si sarebbe in presenza di “un conflitto di interessi tra imprenditori e lavoratori incidente sull’assetto generale del mercato del lavoro (maggiore o minore elasticità dei modi d’impiego della mano d’opera, mantenimento dei livelli di occupazione, ecc.)”. 10 Spunti anche in LISO 2004, il quale in relazione alle norme del d.lgs. n. 368 del 2001 che affidano sindacato la possibilità di introdurre limiti quantitativi all’utilizzo del contratto a termine ed al contempo ne vietano l’introduzione in alcuni casi, osservava che “(…) l’ordinamento dello Stato pone addirittura un divieto all’autonomia collettiva, le cui determinazioni in questo campo vengono quindi evidentemente ritenute potenzialmente lesive dell’interesse pubblico all’occupazione” [corsivo nostro]. 11 Per tutti, da ultimo, GAROFALO M.G., 2011, 533, per il quale in questi casi “i soggetti legittimati stipulano il contratto collettivo alla luce ciascuno di un proprio interesse e non alla luce di un interesse pubblico, anche se il legislatore – nel consentire che lo standard legale sia derogato od integrato dal contratto collettivo stipulato da quei soggetti sindacali e non da altri – assume che in questo modo sarà soddisfatto anche l’interesse pubblico”, e ROMEI 2011, 203 ss. In precedenza nella medesima prospettiva già PROIA 2002, 192 ss., nonché ancor prima PERSIANI 1999, 19 e NAPOLI, 1998, 168 ss. 12 si consenta, PASSALACQUA 2005a, 339 ss. e amplius PASSALACQUA 2005b, 140 ss.; anche MARESCA 4 3. (Segue). Dalla selettività della formula alla verifica di validità degli accordi collettivi delegati. Una volta superati i problemi relativi alla tenuta costituzionale del modello, occorre passare al tema della complessa decifrabilità della formula, anche in relazione al confronto con il suo antecedente del sindacato maggiormente rappresentativo, tanto che da parte di molti si continua a dubitare della sua “maggiore” selettività rispetto al precedente modello chiamato a sostituire, proprio in virtù del suo progressivo slabbramento13. Al fine di apprezzarne i risvolti problematici, si deve ripartire dalla consolidata acquisizione per cui il rinvio al sindacato comparativamente più rappresentativo è nato al fine di individuare il contratto collettivo abilitato a integrare il precetto legale, in funzione di contrasto del fenomeno della cd. contrattazione “pirata”, quindi, come criterio di selezione tra contratti14. Tuttavia, lo sviluppo delle relazioni industriali fa emergere quale questione di maggior impatto quella emergente in caso di stipula di un unico contratto collettivo, cui non se ne contrapponga un altro, ma che risulti stipulato senza la firma di una o più sigle sindacali comparativamente più rappresentative (in molti casi le federazioni sindacali aderenti alla cgil), le quali in tal modo manifestano un legittimo dissenso alla stipula di quel determinato accordo collettivo contenente anche disposizioni delegate/autorizzate dalla legge. Su tali presupposti anche in questo caso ci permettiamo di riproporre quanto sostenuto in passato. Avevamo, invero, osservato, aderendo all’orientamento prevalente, che al fine di definire la formula, ai requisiti qualitativi enucleati dalla giurisprudenza con riferimento al sindacato “maggiormente rappresentativo” dovesse affiancarsi un apprezzamento anche “quantitativo” della rappresentatività. In tale prospettiva, si poteva ritenere che la formula inducesse a una ulteriore selezione tra sindacati, tutti rappresentativi secondo i tradizionali indici costruiti sulla precedente formula15, di quelli che possedessero quella “qualità” in questione in misura 2005, 582; in senso adesivo una lettura del genere ROMEI 2011, 198. 13 da ultimo CARINCI F. 2013, 32. 14 Si tratta della posizione di gran lunga prevalente, da D’ANTONA 1998, 675 a BALLESTERO 2012, 131. 15 Si tratta, come noto, degli indici della consistenza numerica; della equilibrata presenza in un 5 comparativamente maggiore16. Una volta selezionati in tal modo i soggetti sindacali, in ipotesi di pluralità di contratti prevarrà quello stipulato da sindacati nel loro insieme comparativamente più rappresentativi in relazione all’insieme degli altri sindacati che in ipotesi abbiano stipulato uno o più contratti collettivi concorrenti, ciò che conduce a superare il rischio di una volontà collettiva non unanime, formalizzata in accordi separati stipulati da sindacati comunque comparativamente più rappresentativi. Peraltro, in relazione alla seconda eventualità, che si invera, come notato, di sovente nella dinamica delle relazioni industriali, quando non esiste possibile comparazione tra contratti perché il contratto stipulato è solo uno, lo scrutinio di rappresentatività ha modo comunque di prodursi. In tal caso la verifica sarà svolta in relazione ai sindacati non firmatari di alcun contratto, con la conseguenza che soltanto in caso di prevalenza, non numerica ma quantitativa, nel loro insieme di questi ultimi soggetti, l’accordo collettivo, seppur validamente stipulato sul piano del diritto comune dei contratti, sarebbe stipulato da soggetti privi del relativo potere dispositivo, tanto da risultare non legittimato ad attuare quel determinato precetto legale, con conseguente nullità delle relative clausole17. In una tale prospettiva avevamo già notato che la modifica adottata nell’ambito del d.lgs. n. 276/2003, con la sostituzione davanti alla medesima dizione “sindacati comparativamente più rappresentativi” al posto del termine “dai” (preposizione articolata) del termine “da” (preposizione semplice) avvalorasse una tale lettura. Invero, l’eliminazione della preposizione “dai” (avrebbe consentito e) consente con maggiore sicurezza di ritenere che la formula non si riferisca a tutti i sindacati comparativamente più rappresentativi, ma a quelli di questi che stipulino il contratto, così da non rendere sostenibile una lettura che preveda la necessaria presenza di tutti i sindacati “comparativamente più rappresentativi” al fine di stipulare validamente quel contratto collettivo che attua la delega legale18. ampio arco di settori produttivi, della diffusione su tutto il territorio nazionale e dello svolgimento di un’attività di contrattazione e, in genere, di autotutela, con caratteri di continuità e di sistematicità [per tutti GIUGNI 1993, punto 19, e ivi ulteriori riferimenti]. 16 PASSALACQUA 2005b, 120; da ultimo sul punto CARINCI F., 2012, 18, che, pur non nascondendo perplessità, ritiene possano possedere questa qualità le sigle sindacali che occupino i primi posti di una potenziale graduatoria, tra sindacati comunque rappresentativi 17 in questi termini PASSALACQUA 2005b, 120 ss. 18 PASSALACQUA 2005b, 123 ss. 6 4. I possibili ulteriori criteri di decodificazione del parametro desumibili dal Protocollo del 2013 volti ad accrescere la tenuta del modello. Abbiamo riproposto alcuni passaggi che risultano utili ancor oggi per definire il parametro del sindacato comparativamente più rappresentativo, pur se appaiono al contempo necessarie alcune precisazioni. Dobbiamo allora rimarcare che nel dibattito emerso sul significato da attribuire alla formula del sindacato comparativamente più rappresentativo la dottrina quasi unanime, come abbiamo notato, fece leva innanzitutto sui criteri già conclamati sulla maggiore rappresentatività, ovvero su quel che già c’era, in una comprensibile ricerca di una linea di continuità, volta a superare l’horror vacui di una formula non “spiegata” dal legislatore. In mancanza di nuovi imput, il dibattito sul tema ha avuto il suo apice negli anni immediatamente successivi all’emanazione del d.lgs. n. 276 del 2003 che, come già notato, ha fatto largo uso di quel modello e poi si è poi sostanzialmente sopito, per riemergere, però in modo però diremmo laterale e tangente, diluito nell’ambito dei nuovi dibattiti sulla rappresentatività innescati dalle ultime evoluzioni del sistema. A nostro avviso, la stipula del Protocollo del maggio 2013, apprezzato nel quadro delle recenti “scosse” che hanno attraversato di recente le relazioni industriali, consente di offrire nuovi spunti sul tema, nella prospettiva, che andiamo a verificare, di rinsaldare la tenuta sistemica e l’autonomia concettuale del modello. Così, proprio una prospettiva del genere consente in via preliminare di sottoporre a verifica la possibilità di trasporre i noti criteri sulla maggiore rappresentatività al diverso parametro della rappresentatività comparata. Occorre partire dalla consapevolezza che la formula del sindacato comparativamente più rappresentativo avesse preso il posto di quella del sindacato maggiormente rappresentativo anche perché il criterio non appariva volto a essere declinato in relazione alle Confederazioni sindacali, per le quali era nato quello del sindacato maggiormente rappresentativo nell’alveo dell’art. 19 St., ma in relazione alle singole categorie19. Al contempo, la progressiva e oramai conclamata tendenza all’“aziendalizzazione” 19 CARINCI F. 2013, 18 ss. 7 delle relazioni di lavoro è stata assecondata anche dal legislatore20, che in molti casi declina il criterio in relazione all’ambito anche territoriale e al contempo delinea anche la possibilità che “quei” sindacati stipulino validi contratti collettivi attuativi di deleghe legislative (che autorizzino questi alla espressa deroga a norme legali) anche a livello aziendale, come da ultimo dispone il famigerato art. 8, d.l. 138 del 2011. Così, a ben vedere, tali nuove o meno nuove acquisizioni desumibili dall’evoluzione del sistema rendono trasponibili con difficoltà gli indici utilizzati per individuare il criterio della maggiore rappresentatività. Se, invero, il criterio della consistenza numerica può resistere, quantunque ne vadano precisati i contorni, maggiori dubbi si possono esprimere con riguardo a quello dello svolgimento di un’attività di contrattazione con caratteri di continuità e di sistematicità, laddove intesa nel senso che “l’azione sindacale deve essersi svolta a vari livelli organizzativi ed operativi e nei confronti di diversi interlocutori”21, data appunto la forte disgregazione percepibile della rappresentatività sindacale. Con maggiore sicurezza poi possono essere messi in discussione gli altri due consueti indici della maggiore rappresentatività, quello della diffusione su tutto il territorio nazionale, laddove la rappresentatività comparata sia declinata dal legislatore a livello territoriale e soprattutto, in generale, quello della equilibrata presenza in un ampio arco di settori produttivi, funzionale a una rappresentatività da misurare a livello confederale, nella logica originaria dell’art. 19 St. vecchio testo e non più proponibile in relazione alla contrattazione nazionale di categoria. Insomma, in un contesto tanto mutato, non possono che risultare condivisibili nel complesso i dubbi da più parti espressi anche di recente, tesi a stigmatizzare, in epoca di contrattazione separata, le difficoltà di utilizzare il modello qui analizzato, in mancanza di regole chiare di misurazione o verifica della rappresentatività22; tra i maggiori critici si annovera chi giunge a ritenere impossibile accertare in quei casi la maggiore rappresentatività comparata dei sindacati firmatari, tanto da considerare l’impiego di quel criterio giunto al capolinea23. In un tale contesto, il tentativo di ricostruzione di indici affidabili applicabili al 20 ALES 2011; BARBIERI 2011; CARINCI F. 2011; PERULLI 2011. 21 GIUGNI 1993, punto 19. 22 SCARPELLI 2011a, 77; BALLESTRERO 2012, 133. 23 ROCCELLA 2011, 255, 258. 8 modello qui esaminato non può che partire proprio dal ricordato indice della consistenza numerica24. In questa direzione avevamo già proposto in verità, in relazione alla legislazione già vigente nel pubblico impiego privatizzato, sulla scorta di ricostruzioni già circolanti tese a trasporre nel privato alcune di quelle regole25, di considerare anche il dato elettorale nonché quello delle deleghe sindacali (dato associativo), come indici quantitativi, al fine di individuare il sindacato comparativamente più rappresentativo26. Ora l’evoluzione del sistema consente di rafforzare tale linea interpretativa, già prospettata come possibile in virtù del precedente A.I. del 28 giugno 201127, considerando ora la soglia del 5% fissata dal Protocollo del 2013 quale criterio ermeneutico adottabile anche dalla giurisprudenza al fine di individuare i sindacati comparativamente più rappresentativi abilitati ad attuare negli accordi collettivi la delega legale28. Si tratta proprio di quel dato numerico definito che anche la dottrina richiedeva. Quanto alla sua base contrattuale, basta osservare che se gli indici della maggiore rappresentatività erano frutto di elaborazione dottrinale e poi hanno trovato applicazione da parte della giurisprudenza, il consenso espresso dalle “maggiori” parti sociali sulla definizione di tali indici a fini contrattuali nel Protocollo del maggio 2013, ben può valere a fornire alla stessa giurisprudenza quei criteri numerici, da ritenere anzi, “maggiormente” rispettosi dell’autonomia collettiva, in quanto non eteroprodotti, ma autodefiniti e utilizzabili anche laddove nel rinvio non vi sia espresso riferimento alla “categoria”, che si può ritenere, pur con qualche forzatura, implicitamente richiamata in via di interpretazione dell’indice di rappresentatività. Allo stesso tempo, trasponendo anche su questo punto le regole convenzionali 24 Cfr. BALLESTRERO 2012, 132, la quale ritiene che i vecchi criteri di valutazione della rappresentatività presunta delle Confederazioni risultano inutilizzabili in relazione al parametro della rappresentatività comparata, che deve far ricorso ai numeri, ma “il problema è su quali numeri debba basarsi il giudizio”. 25 ZOPPOLI L., 249 ss. 26 PASSALACQUA 2005b, 120 ss. 27 SCARPELLI 2011b, 10, il quale osservava che “l’implementazione delle nuove regole consentirà di individuare con maggiore certezza, ai fini legali, quali contratti nazionali possano rivestire la qualifica di accordi stipulati dalle associazioni comparativamente più rappresentative, in grado di avvalersi delle numerose deleghe normative formulate dalla legislazione sulla flessibilità degli ultimi decenni”. 28 Risulta favorevole anche CARINCI F. 2013b, 19-­‐20. 9 introdotte dal Protocollo del 2013, si propone che la regola contrattuale oggetto di rinvio legale sia ritenuta valida (sul presupposto, quindi, di un legittimo esercizio del potere dispositivo delegato dalla legge da parte dei soggetti sindacali stipulanti) solo se espressa in contratti collettivi di lavoro sottoscritti da Organizzazioni Sindacali che nel loro complesso giungano al 50% +1 della rappresentatività, come richiesto dal Protocollo con riferimento al contratto collettivo nazionale di categoria. Il dato del 50% vale come espressione del principio di maggioranza che, fatto proprio dalle parti sociali in sede di stipula del contratto collettivo nazionale secondo il Protocollo del maggio 2013, non può che sovraintendere a maggior ragione alla validità della stipula di contratti, o meglio, delle parti di contratti che realizzano la delega legale laddove questa sia, per quanto già notato29, espressione di interessi anche meta collettivi, di ordine pubblico economico, comuni alle norme sul mercato del lavoro, le quali, in tal modo, possono risultare frutto di adeguata ponderazione ed effettività. Questo secondo passaggio offre ulteriori risposte anche alle obiezioni prima vagliate in merito alla dubbia validità di accordi delegati sottoscritti da sigle sindacali da ritenere comparativamente più rappresentative, ma nel loro complesso minoritarie. Si tratta di una posizione di equilibrio, rispettosa delle libere dinamiche sindacali30, tra gli “eccessi” derivanti da un lato dalla ritenuta validità formale di un accordo minoritario e, dall’altro, dalla sostenuta necessaria stipula dell’accordo collettivo da parte di tutti i sindacati comparativamente più rappresentativi ai fini della validità dell’accordo31. Occorre sottolineare che una tale operazione ermeneutica si rileva comunque necessaria, in quanto il valore solo obbligatorio e inter partes del Protocollo del maggio 2013 non consente, in linea di stretto diritto, di ritenere che il criterio valga ex se anche per le ipotesi di rinvio legale32, oltre a non poter essere direttamente ritenuto 29 V. supra § 2. 30 Nella medesima prospettiva, in riferimento all’A.I. del 28 giugno 2011, già SCARPELLI 2011b, 10, per il quale il sistema conferma “ora che sarà anche possibile misurare e comparare con maggiore certezza, che possa avvalersi di tale qualifica solo un accordo sottoscritto da associazioni cumulativamente più rappresentative di quelle rimaste dissenzienti”. 31 In tale ultima prospettiva, da ultimo, si pone LAMBERTUCCI 2009, 587. 32 Ciò vale rebus sic stantibus, in mancanza di un intervento del legislatore sulla titolarità negoziale di possibile trasposizione delle regole del Protocollo, da più parti auspicato, ma non privo, come di consueto in materia, di rilevanti problemi di compatibilità costituzionale. Peraltro, anche un legge che si limitasse a trasporre le regole del Protocollo non risolverebbe di per sé la questione del riconoscimento del potere dispositivo dei soggetti sindacali e della relativa individuazione dei requisiti di validità 10 applicabile nel caso che il rinvio sia riferito anche al livello territoriale o aziendale della contrattazione33. Questo ultimo aspetto merita una puntualizzazione. La legge di sovente, come nel caso del citato art. 8, d.l. n. 138 del 2011 fa riferimento a una rappresentatività comparata degli attori negoziali da accertare a livello anche o solo territoriale. Ciò, comunque, nella logica del modello prelude a una attività di contrattazione collettiva che si svolga a livello nazionale, territoriale o aziendale. Se ne può pertanto dedurre, pur nella consapevolezza della complicazione indotta dal riferimento alla rappresentatività territoriale di incerta decifrabilità34, che sia il livello della contrattazione a determinare l’ambito di accertamento territoriale della rappresentatività comparata, secondo i proposti indici desumibili dal Protocollo del maggio 2013. Per essere più chiari, riferiamoci al caso di apparente maggiore complessità, ovvero quello in cui non vi è apparente coincidenza tra livello di accertamento della rappresentatività comparata e livello della contrattazione collettiva stipulata da quei determinati soggetti sindacali. Si tratta, ad esempio, proprio di uno dei casi delineati dall’art. 8, d.l. n. 138 del 2011, laddove a intervenire in determinati ambiti, anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate, è abilitata anche la contrattazione di livello aziendale posta in essere “da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale”35. dell’accordo collettivo attuativo di una delega legale [sul punto già, in relazione all’A.I. del giugno 2011, le calzanti e acute riflessioni di CARUSO 2011, 301 e nota 107]. 33 Per spunti in tal senso MARAZZA 2013, 627-­‐628. 34 TREU 2011, 636, il quale sul punto osserva come “questa rappresentatività può essere espressione di ambiti territoriali variabili, anche molto circoscritti (provincia, comune, oppure ambiti più ristretti), senza nessun ancoraggio a dimensioni significative alla stregua di parametri riconoscibili e accettati. Il che presenta il rischio di una frammentazione arbitraria del sistema delle relazioni industriali e può legittimare il potere negoziale di organizzazioni portatrici di interessi particolaristici e micro corporativi”. Criticano il riferimento al territorio anche, ex plurimis, ALES 2011, 1080; LECCESE 2013, 38 SS.; LISO 2012, 25-­‐26; PERULLI SPEZIALE, 2011, 33; SANTONI 2012, 91; SCARPELLIb 2011, 11. 35 Anche in questo caso si deve ritenere che il potere dispositivo sia attribuito al contratto, di livello anche aziendale, stipulato nel suo complesso, da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, quindi dal 50% + 1 di quelle associazioni, in coerenza con quanto si può ritenere operante anche negli altri casi di rinvio legale alla contrattazione collettiva [in prospettiva analoga LECCESE 2013, 80, per il quale, ai fini della coerenza sul piano costituzionale della norma, il rispetto del «criterio maggioritario» risulta indispensabile, non solo per l’accordo sottoscritto dalle rappresentanze sindacali presenti in azienda, ma anche per l’accordo territoriale, nonché per quello aziendale sottoscritto unicamente da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale (…)” sicché (p. 81) “gli effetti previsti dall’art. 8 non potranno prodursi qualora la sottoscrizione dell’accordo territoriale o aziendale avvenga da parte 11 In questo caso la sussistenza degli indici di rappresentatività per la selezione e la validità dell’accordo potrà essere verificata in relazione all’ambito territoriale (sempre categoriale) in cui il contratto spiega la propria efficacia36. Così, per una contrattazione aziendale che interessa un’impresa dislocata in un solo sito produttivo in relazione a quello specifico ambito, ma laddove la stessa abbia più siti o stabilimenti nella medesima regione, in ambito regionale categoriale, ovvero se la stessa dislochi la sua attività in sedi collocate in varie regioni, allora la rappresentatività territoriale finirà con il coincidere con quella nazionale di categoria, alla quale dovrà farsi riferimento. 5. Una prospettiva di evoluzione nel sistema: il possibile ruolo del sindacato comparativamente più rappresentativo in una riforma delle regole sulla titolarità dei diritti sindacali in azienda di cui all’art. 19 St. Una volta rimarcati i caratteri del modello, anche nella prospettiva di una sua maggiore tenuta sul piano sia giuridico formale che politico sindacale, possiamo tentare di intravedere alcune possibili prospettive evolutive in chiave progettuale del parametro del sindacato comparativamente più rappresentativo, in relazione, in particolare, al tema della titolarità dei diritti sindacali in azienda, tornato agli altari delle cronache. Rappresenta condivisa opinione che il sistema delineato dall’art. 19 St. sulle Rsa, come “ribaltato” nella sua ratio dall’esito referendario del 1995, anche a seguito di quanto emerso dalla vicenda Fiat, mostri ormai la corda, tanto da suggerire – come anche la Corte costituzionale ha ribadito nella sentenza 231 del 2013 -­‐ la necessità di di una sola tra le «associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale», quantunque rientrante nel novero degli eletti”; contra VALLEBONA 2011, per il quale detti contratti possono essere sottoscritti anche da una sola associazione dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale]. In ogni caso, a nostro avviso, non osta a una lettura del genere, a nostro avviso, il fatto che il richiamo posto dall’art. 8, primo comma, d.l. n. 138 del 2011, al criterio maggioritario (comunque oscuro e di difficile interpretazione, BARBIERI 2011, 468; SANTONI 2012, 91 ss.) sia riferito espressamente ai contratti stipulati a livello aziendale dalle RSA, giacché si può ritenere si tratti di una precisazione necessaria, appunto, solo in relazione a questi soggetti e, invece, da ritenere implicita nel primo caso. 36 Cfr. PERULLI E SPEZIALE 2011, 34, i quali, sebbene non nascondano perplessità sull’utilizzo del riferimento al livello territoriale, altresì osservano che “Tuttavia, la realtà concreta delle nostre relazioni industriali a livello locale, caratterizzate essenzialmente dalla presenza di un numero limitato di sindacati (Cgil Cisl e Uil ed a volte UGL) rende molto meno rilevante la questione della identificazione dei soggetti sindacali legittimati nel territorio. Questi ultimi, inoltre, potrebbero provvedere a definire essi stessi l’ambito spaziale di riferimento dell’accordo secondo una prassi diffusa (che fa coincidere l’accordo con la provincia o la regione)”. 12 un suo ripensamento da parte del legislatore, volto a superare il sistema vigente, la cui decifrabilità risulta complicata proprio dal citato intervento della Consulta37, va detto non per sua responsabilità, ma per la stessa progressiva “complicazione” di un sistema che solo il legislatore può tentare di sciogliere38. Al contempo, anche il deciso rilancio delle Rsu nel Protocollo di maggio 2013 finisce col rimarcarne i consueti limiti, sicché un nuovo intervento del legislatore, nella direzione sopra indicata, potrebbe riguardare anche il modello parallelo delle Rsu, che guadagnerebbe effettività dal riconoscimento legale39. Così, tra le variegate ipotesi progettuali messe in campo nella prospettiva di un intervento legislativo sulla titolarità dei diritti sindacali in azienda possiamo intravedere un percorso in cui tale modello trovi ulteriore spazio. Sul punto, possibili soluzioni sottoposte al legislatore sono state individuate anche dalla Corte Cost. nel suo ultimo intervento, su cui ferve il dibattito. La Corte propone in via alternativa a) la valorizzazione dell’indice di rappresentatività costituito dal numero degli iscritti; b) l’introduzione di un obbligo a trattare con le organizzazioni sindacali che superino una determinata soglia di sbarramento; c) l’attribuzione al requisito previsto dall’art. 19 dello Statuto dei lavoratori del carattere di rinvio generale al sistema contrattuale e non al singolo contratto collettivo applicato nell’unità produttiva vigente; d) il riconoscimento del diritto del diritto di ciascun lavoratore ad eleggere rappresentanze nei luoghi di lavoro40. Se non è questa la sede per analizzare compiutamente proposte del genere, al contempo ci si può limitare a osservare come il numero degli iscritti resti difficile da quantificare e potrebbe rivelarsi non stabile se riferito all’azienda; prevedere un obbligo a trattare porrebbe problemi di compatibilità con l’art. 39 Cost.; il rinvio al sistema contrattuale sembra al contrario poco rispettoso della effettiva rappresentatività in azienda; infine, appare difficile delineare un sistema di elezione in 37 Cfr. CARINCI 2013a; MARESCA 2013. 38 Cfr. GHERA 2013 e MAGNANI 2013, 7, la quale, se da un lato considera velleitario e inattuale un intervento onnicomprensivo su soggetti, livelli e procedure della contrattazione collettiva, al contempo ritiene sia “ben possibile e più a portata di mano un intervento mirato proprio sulle rappresentanze sindacali aziendali”; sul tema anche NATULLO 2013, 294-­‐295, nonché ID. 2011, 17 ss. 39 Sul tema, da ultimo, BELLOCCHI 2011, spec. 567 ss. e anche DE MOZZI 2012, 72 ss. e ivi ulteriori riferimenti. 40 Così Corte Cost. 231/2013, in motivazione, punto 9. 13 via legale a favore del singolo lavoratore41. Proprio la difficoltà di accogliere tout court quelle soluzioni, pur del tutto plausibili e formulate dal Giudice delle leggi, apre alla possibilità di formularne altre, maggiormente articolate. Tra queste, con tutta la cautela possibile, proviamo a delineare una linea di sviluppo tesa a non vanificare l’esito referendario del 1995, teso alla valorizzazione della presenza effettiva del sindacato in azienda. In una tale prospettiva si potrebbe anche prendere spunto e recuperare in parte, sul piano del modello, quello delineato dal tanto (giustamente) criticato art. 8, d.l. n. 138 del 2011. In quel contesto, invero, i contratti collettivi, di livello aziendale o territoriale, legittimati a realizzare le “specifiche intese” a cui è finalizzata la norma, devono essere sottoscritti da associazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale. Al contempo, la stessa norma legittima alla stipula di quelle intese anche il contratto collettivo sottoscritto dalle “loro” rappresentanze sindacali operanti in azienda; in tal modo vengono abilitate soltanto le rappresentanze sindacali riferibili a quelle associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative42. Traendo spunto da quel (impreciso e di per sé criticabile) modello risulta così possibile intravedere e prospettare un nuovo sistema di fonte legale, volto a riconoscere la titolarità dei diritti sindacali del titolo III St. per il tramite delle Rsa alle sigle sindacali in possesso di rappresentatività comparata, attraverso una utilizzazione del modello su questo versante, volto non più a individuare i contratti collettivi abilitati ad attuare il rinvio legale, ma i soggetti sindacali titolari dei diritti del titolo III dello Statuto. La rappresentatività verrebbe verificata a quel punto a livello aziendale, insieme, eventualmente, alla espressa previsione (che potrebbe anche rimanere implicita, quale criterio interpretativo della formula, per quanto proposto in precedenza)43 del possesso di una percentuale minima delle deleghe sindacali in quell’ambito (in ipotesi il 5% importato dal Protocollo di maggio 2013), ma in ogni caso a prescindere dalla formale sigla del contratto collettivo applicato in azienda, nonché dall’incerto 41 Cfr., amplius, CARINCI F. 2013, 53 ss., il quale ritiene tali soluzioni “assemblate alla buona” 42 Sui problemi intrinseci derivanti da questo non chiaro collegamento CARINCI F. 2013, 32; LECCESE 2013, 78 ss., 95-­‐96; SCARPELLI 2011b, 15 ss. 43 V. supra, par. 4. 14 succedaneo della partecipazione alle trattative enucleato dalla Corte Costituzionale44. In una tale prospettiva, l’abbandono del requisito della formale sottoscrizione del contratto applicato in azienda troverebbe un bilanciamento nell’introduzione del filtro basato sulla rappresentatività comparata declinata a livello aziendale, cui potrebbe in alternativa porsi una previsione di fonte legale volta a validare la legittimazione elettiva delle Rsu, sempre a garanzia della promozione dell’effettività dell’azione sindacale. Una proposta tra le tante possibili, al fine di sviluppare il dibattito, utilizzando un modello, come già detto, che, pur rimanendo non del tutto risolto, non appare prossimo alla pensione. _________________ Riferimenti bibliografici ALES E. (2011), Dal “caso FIAT” al “caso Italia”. Il diritto del lavoro “di prossimità”, le sue scaturigini e i suoi limiti costituzionali, in Dir. rel. ind., 2011, 1061. BALLESTRERO M. (2012), Diritto Sindacale, IV Ed., Torino. BARBIERI M. (2011), Il rapporto tra l’art. 8 e l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, in Riv. giur. lav., I, 461. BELLAVISTA A. (2013), Riforma Fornero e autonomia collettiva, in Il diritto del lavoro al tempo della crisi, Atti del XVII Congresso nazionale A.I.D.L.A.S.S., Pisa, 7-­‐9 giugno 2012, Milano, 539. BELLOCCHI P. (2011), Rappresentanza e diritti sindacali in azienda, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 543. BELLOCCHI P. (1998), Libertà e pluralismo sindacale, Padova. CARINCI F. (2013a), Il buio oltre la siepe: Corte cost. 23 luglio 2013, n. 231, di prossima pubblicazione in Dir. rel. ind., dattiloscritto. CARINCI F. (2013b), Adelante Pedro, con juicio: dall’accordo interconfederale 28 giugno 2011 al Protocollo d’intesa 31 maggio 2013 (passando per la riformulazione “costituzionale” dell’art. 19, lett. b) St.), WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT – 179/2013. CARINCI F. (2012), Il grande assente: l’art. 19 dello Statuto, WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 144/2012. CARINCI F. (2011), Al capezzale del sistema contrattuale: il giudice, il sindacato, il legislatore, WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 133/2011. CARINCI F. (2004), Una svolta ideologica e tecnica: continuità e discontinuità nel diritto del lavoro di inizio secolo, in Commentario al D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, coordinato da F. Carinci, vol. I, Organizzazione e disciplina del mercato del la-­‐ voro, a cura di M. Miscione e M. Ricci, Milano, 2004, XXIX. CARUSO B. (2011). La rappresentanza negoziale irrisolta. Il caso Fiat tra teoria, ideologia, tecnica ... e cronaca. ., in Riv. it. dir. lav., III, 265. CARUSO B., LO FARO A. (2010), Contratto collettivo di lavoro (Voce per un dizionario), WP C.S.D.L.E. 44 Una soluzione del genere consentirebbe di superare la rilevata incoerenza sistemica dell’attuale assetto “per cui un sindacato comparativamente più rappresentativo avrebbe titolo a negoziare un contratto integrativo, suppletivo, derogatorio rispetto alla legge; ma non di costituire una rsa in un’impresa, per non soddisfare al momento la precondizione di cui all’art. 19 lett. b), cioè di aver non solo trattato, ma anche sottoscritto un contratto che vi sia applicato, fosse anche per averlo rifiutato in quanto costitutivo di un nuovo sistema sindacale ritenuto inaccettabile”, così CARINCI F., 2011, 20. 15 “Massimo D'Antona”.IT vol. n. 97/2010. D’ANTONA M. (1998), Il quarto comma dell’art. 39 Cost., oggi, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1998, 665. DE MOZZI B. (2012), La rappresentanza sindacale in azienda: modello legale e modello contrattuale, Padova. FERRARO G. (2011), L’efficacia soggettiva del contratto collettivo, in Riv. giur. lav., I, 739. GAROFALO M.G. (2011), Per una teoria giuridica del contratto collettivo: qualche osservazione di metodo, in Giorn. dir. lav., rel. ind., 423. GHERA (2013), L’art. 19 dello Statuto: una norma da cambiare?, in Il contributo di Mario Rusciano all’evoluzione teorica del diritto del lavoro. Studi in onore, Torino, 155. GHERA (2011), Il contratto collettivo fonte nella dottrina, in Studi in onore di Tiziano Treu, I, Napoli, 287. GIUGNI G. (1998), Intervento, in A.I.D.L.A.S.S., Autonomia collettiva e occupazione, in Atti, Milano, 1998, 240. GIUGNI G. (1993), Libertà sindacale, in Dig. disc. priv., sez. comm., vol. IX, Torino, 17. LAMBERTUCCI P. (2009), Contratto collettivo, rappresentanza e rappresentatività sindacale: spunti per il dibattito, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 565. LECCESE V. (2013), Il diritto sindacale al tempo della crisi, in Il diritto del lavoro al tempo della crisi, Atti del XVII Congresso nazionale A.I.D.L.A.S.S., Pisa, 79 giugno 2012, Milano, 29. LISO F. (2012), Osservazioni sull’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e sulla legge in materia di «contrattazione collettiva di prossimità», WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT – 157/2012. LISO F. (2004), Analisi dei punti critici del decreto legislativo 276/2003: Spunti di riflessione, Working Paper C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona” n. 42/2004. MAGNANI M. (2013), Le rappresentanze sindacali in azienda tra contrattazione collettiva e giustizia costituzionale. Prime riflessioni a partire da Corte costituzionale n. 231/2013, in www.Adapt.it MARAZZA M. (2013), Il Protocollo d’intesa 31 maggio 2013 c’è, ma la volontà delle parti?, in Dir. rel. ind., 621. MARESCA A. (2013), Prime osservazioni sul nuovo articolo 19 Stat. lav.: connessioni e sconnessioni sistemiche, in La RSA dopo la sentenza della Corte costituzionale 23 luglio 2013, n. 231, ADAPT Labour Studies, e-­‐Book series, n. 13, 1. MARESCA A. (2005), Modernizzazione del diritto del lavoro, tecniche normative e apporti dell’autonomia collettiva, in Diritto del lavoro. I nuovi problemi. L’omaggio dell’Accademia a Mattia Persiani, I, Padova, 469. NAPOLI M., I rinvii legislativi e i caratteri dell’autonomia collettiva, in Autonomia collettiva e occupazione, Atti del XII Congresso A.I.D.La.S.S., Milano, 23-­‐25 maggio 1997, Milano, 1998, 165. NATULLO G. (2013), L’incerta rappresentanza dei lavoratori in azienda tra legge e contratti, in Il contributo di Mario Rusciano all’evoluzione teorica del diritto del lavoro. Studi in onore, Torino, 282. NATULLO G. (2011), Le RSA ieri, oggi; e domani?, WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 116/2011. PASSALACQUA P. (2005a), Intervento, in Autonomia individuale e autonomia collettiva alla luce delle più recenti riforme, Atti delle giornate di studio di diritto del lavoro, Abano Terme-­‐Padova, 21-­‐22 maggio 2004, Milano, 339. PASSALACQUA P. (2005b), Autonomia collettiva e mercato del lavoro, La contrattazione gestionale e di rinvio, Torino. PERSIANI M.(1999), Contratti collettivi normativi e contratti collettivi gestionali, in Arg. dir. lav., 1999, 1. PERULLI A., SPEZIALE V. (2011), L’articolo 8 della legge 14 settembre 2011, n. 148 e la “rivoluzione di Agosto” del Diritto del lavoro, WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona” .IT -­‐ 132/2011. PERULLI A. (2011), Delocalizzazione produttiva e relazioni industriali nella globalizzazione. Note a margine del caso FIAT, in Lav. dir., 343. 16 PINTO V. (2005), Intervento, in Autonomia individuale e autonomia collettiva alla luce delle più recenti riforme, Atti delle giornate di studio di diritto del lavoro, Abano Terme-­‐Padova, 21-­‐22 maggio 2004, Milano, 272. PROIA G. (2002), Il contratto collettivo fonte e le “funzioni” della contrattazione collettiva, in Il sistema delle fonti nel diritto del lavoro, Atti delle Giornate di studio A.I.D.La.S.S., Foggia-­‐Baia delle Zagare, 25-­‐26 maggio 2001, Milano, 2002, 112. RICCI M. (2002), Il contratto collettivo fonte e l’art. 39 Cost., in Il sistema delle fonti nel diritto del lavoro, Atti delle Giornate di studio A.I.D.La.S.S., Foggia-­‐Baia delle Zagare, 25-­‐26 maggio 2001, Milano, 180. ROCCELLA M. (2010), Le regole del gioco sindacale. Appunti per un dibattito, in A. Andreoni (a cura di), Nuove regole per la rappresentanza sindacale, Roma, 2010, 260. ROMEI R. (2011), L'autonomia collettiva nella dottrina giuslavoristica: rileggendo Gaetano Vardaro, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 181. SANTONI F. (2012), Contrattazione collettiva e principio di maggioranza, in Riv. it. dir. lav., I. 75. SCARPELLI F. (2011a), Lo studio delle relazioni industriali nell’opera di un giurista poliedrico (Ricordo di Massimo Roccella), in Studi in onore di Tiziano Treu, I, Napoli, 71. SCARPELLI F. (2011b), Rappresentatività e contrattazione tra l’accordo unitario di giugno e le discutibili ingerenze del legislatore, in WP C.S.D.L.E.”Massimo D’Antona”.IT127/2011. SILVAGNA L. (1999), Il sindacato comparativamente più rappresentativo, in Dir. rel. ind., 211. TREU T. (2011), L’accordo 28 giugno 2011 e oltre, in Dir. rel. ind., 613. TULLINI P. (2011), Legge e legislazione lavoristica, in M. Persiani (a cura di), Le fonti del diritto del lavoro, in Trattato di diritto del lavoro, diretto da M. Persiani e F. Carinci, 451. TULLINI P. (2005), Breve storia delle fonti nel mercato del lavoro, in Arg. dir. lav., 137. VALLEBONA A. (2011), L’efficacia derogatoria dei contratti aziendali o territoriali: si sgretola l’idolo dell’uniformità oppressiva, in Bollettino Adapt 3 ottobre 2011, n. 32, www.adapt.it. ZOLI C. (2010), Contratto collettivo come fonte e contrattazione collettiva come sistema di produzione di regole, in M. Persiani (a cura di), Le fonti del diritto del lavoro, in Trattato di diritto del lavoro, diretto da M. Persiani e F. Carinci, 487. ZOPPOLI L. (2002), Il contratto collettivo con funzione normativa nel sistema delle fonti, in Il sistema delle fonti nel diritto del lavoro, Atti delle Giornate di studio A.I.D.La.S.S., Foggia-­‐Baia delle Zagare, 25-­‐26 maggio 2001, Milano, 261. 17