Report dell`incontro a cura di Emma Garavaglia

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Report dell`incontro a cura di Emma Garavaglia
Nuove Relazioni d’Impresa: nuovi (vecchi) conflitti, contrattazione
e partecipazione
(Milano, Università Cattolica, 1 febbraio 2011)
Sintesi di Emma Garavaglia
L’intervento introduttivo da parte del Professor Colasanto ha gettato le basi per l’apertura della
discussione, fornendo i concetti chiave intorno ai quali ancorare il dibattito e proponendo alcune
questioni aperte. In un contesto come quello attuale, che trova sempre più spesso definizione
nei termini di cambiamento e discontinuità suscita particolare interesse il riemergere di
questioni che hanno avuto origine in tempi passati ma che si dimostrano quanto più attuali.
L’attenzione si fa ancora più acuta se tali questioni si innestano sul terreno tematico del lavoro,
con tutto il portato di novità che sta interessando questa istituzione. Tali considerazioni valgono
certamente per la questione del conflitto tra chi controlla i mezzi di produzione e il lavoro
subordinato. Emerso a partire dall’avvio dell’industrializzazione – perché diretta conseguenza
dell’impiego di lavoro salariato, tratto fondamentale dell’economia capitalistica – tale conflitto
sembrava aver trovato una dimensione di equilibrio e invece torna con forza, oggi, all’ordine del
giorno. Alcune coppie concettuali aiutano la definizione del sistema di relazioni industriali del
nostro paese. Innanzitutto consenso e conflitto; partecipazione e contrattazione; infine,
nazionale e aziendale i due livelli della contrattazione collettiva, strumento centrale per le
relazioni industriali che hanno conosciuto appunto, negli anni, un pendolarismo tra i poli opposti
di queste coppie citate.
Alla luce del riemergere della questione del conflitto e quindi della discussione sulle relazioni
industriali come complesso di norme, metodi, attori e processi che regolamentano l’impiego dei
lavoratori, l’oggetto della discussione della tavola rotonda diventa la domanda sul perché di
questo riemergere, sulla sua natura – siamo in presenza di un nuovo pendolarismo o siamo agli
albori di una nuova lunga stagione delle relazioni industriali? – e quindi sulle sue prospettive di
durata.
Se le suddette questioni rimangono senza dubbio aperte, quanto è innegabile è il fatto che le
relazioni industriali oggi non sono morte e alla luce di questa verità risulta utile ripercorrere i
concetti base per una definizione del tema e ritrovare la possibilità di aprire riflessioni critiche
in merito.
Le relazioni industriali si definiscono come complesso normativo a base epistemologica spuria,
che chiama dunque in causa, per definizione diverse discipline. La prospettiva giurista, tra
queste è certamente di fondamentale importanza perché traccia i confini e fornisce alcuni punti
fermi per la definizione e la discussione del tema con riferimento al contesto italiano.
Ripercorrendo i punti chiave dell’intervento del Professor Napoli è possibile trovare alcune linee
di prima definizione.
La norma a cui è affidato il compito di regolare i rapporti tra Stato e sindacato nella nostra
storia postcostituzionale è il primo Comma dell’art. 391 della Costituzione che definisce
l’organizzazione sindacale come libera. Le altre norme di tale articolo non sono invece state
attuate e questo dato determina la prima tipicità del sistema italiano da evidenziarsi: lo
scostamento persistente tra il dato normativo e il dato reale. Questo scostamento deriva dalla
contraddizione interna al modello istituzionale. Contraddizione che “attiene proprio alla
definizione dell’assetto dei rapporti tra società civile e Stato: si attribuisce al sindacato
operante nella società civile la funzione di determinazione principale delle condizioni di lavoro
ma si pretende di applicare una regola di funzionamento che è propria delle istituzioni” [Cella,
Treu 1982, 54]. La mancata attuazione dell’art. 39 ha portato quindi la giurisprudenza ad
adottare i modelli interpretativi del diritto sindacale ricavandoli dal diritto che regola i rapporti
tra privati. La contrattazione collettiva – struttura fondamentale su cui si fonda il nostro, come
tutti i moderni sistemi di relazioni industriali – “si colloca quindi giuridicamente nello schema
concettuale del contratto collettivo di diritto comune, con l’esclusione dell’efficacia generale
attribuita dal modello costituzionale” [Ibi, 55].
La contrattazione collettiva rappresenta lo strumento principale di azione del sindacato
industriale e proprio lo stesso sindacato si è rafforzato con la diffusione di questo strumento.
Procedendo con la definizione della contrattazione collettiva come insieme dei rapporti
negoziali tra sindacato e imprese è bene evidenziare i tre livelli, che ne definiscono la struttura,
mobile nel tempo e frutto degli eventi della storia: il livello nazionale di categoria; quello
aziendale e quello interconfederale. Tra i livelli tipici del sistema italiano, il contratto nazionale
di categoria rappresenta l’elemento unificante delle condizioni dei lavoratori del settore e resta
l’indicatore più significativo della capacità di mobilitazione del sindacato. La contrattazione
aziendale rappresenta lo strumento attraverso cui si attua principalmente nel sistema italiano di
relazioni il decentramento contrattuale. Infine, la contrattazione interconfederale disciplina
determinati istituti per i quali sia utile una regolamentazione uniforme per diverse categorie.
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L'organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione
presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge. È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati
sanciscano un ordinamento interno a base democratica. I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono,
rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia
obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce. [Costituzione Italiana, art. 39]
La contrattazione collettiva ha attraversato diverse stagioni, da fortemente centralizzata si è
evoluta in una decentralizzazione conflittuale e poi ricentrallizzazione, fino all’assetto odierno
definito dal Protocollo del 23 luglio 1993. Momento fondamentale per il sistema di relazioni
industriali italiano, il Protocollo definisce un sistema di collaborazione tra maggiori
confederazioni sindacali e Governo. In termini di struttura si chiude il livello di contrattazione
interconfederale come livello di politica salariale e si conferma il ruolo centrale del contratto di
categoria. Il protocollo del ’93 intende segnare la strada futura da seguirsi in fase di
contrattazione nazionale e aziendale. La conferma dei due livelli contrattuali si accompagna alla
precisa definizione delle competenze e dei rapporti tra gli stessi.
Ancora, l’accordo interconfederale del 2009 ribadisce il doppio livello della contrattazione: un
contratto collettivo nazionale di categoria e un contratto aziendale o alternativamente
territoriale. Punto di novità in questo ultimo accordo è certamente la mancata firma della CGIL.
Da una prospettiva squisitamente teorica e di definizione, dal punto di vista giuridico
dell’assetto italiano del sistema di relazioni industriali, l’intervento del Professor Boldizzoni ha
aperto una finestra sulla prospettiva organizzativa. Quali evoluzioni richiede un mercato globale
e sempre più aperto alla struttura organizzativa delle aziende e quindi alla struttura dei rapporti
e della comunicazione tra proprietà e lavoratori e, soprattutto nella grande impresa tra
management e lavoratori? Nella definizione dei rapporti tra i vari livelli della gerarchia, la scelta
può ricadere sul canale delle relazioni dirette o su quello delle relazioni mediate dalla
rappresentanza sindacale. Certamente l’esperienza italiana non vede un grande investimento in
quelli che sono gli strumenti – che ricadono formalmente tra gli strumenti di gestione delle
risorse umane – per la costruzione di reali ed efficaci relazioni dirette tra proprietà e lavoratori.
Tuttavia, ad oggi anche le tradizionali strutture di rappresentanza collettiva dei lavoratori, e
soprattutto le modalità operative e le istanze sostenute da queste non sembrano, nell’opinione
del
professore,
essere
adeguate
alle
richieste
dell’altro
interlocutore
fondamentale
dell’impresa: il mercato. E considerato come la sopravvivenza nel lungo termine dell’impresa si
basi sulla sua capacità di adeguamento alle richieste del mercato, certamente questo non può
che rappresentare un interlocutore di prim’ordine. Tesi principale dell’intervento di matrice
organizzativa è che, alla luce degli innegabili cambiamenti che stanno investendo il sistema
aziendale e con esso anche i tradizionali modelli di organizzazione del lavoro le forme di sua
regolazione e, quindi, in ultimo l’esperienza di lavoro stessa, sia necessario che anche le
strutture organizzative chiamate a rappresentare i lavoratori davanti al fronte imprenditoriale
siano in grado di tenere il passo di questi cambiamenti, non dimostrandosi arroccate su posizioni
lontane dalla verità odierna di questa istituzione. Necessità valida ancorché richieda una
revisione importante degli schemi, da quelli di struttura a quelli puramente ideali, che hanno
guidato l’operato dei sindacati fino ad oggi.
Questa mancata capacità di rappresentanza del sindacato e questo suo essere in qualche modo
lontano dai tempi presenti, viene invece negata, in chiusura della mattinata dal Dottor Colombo
che al contrario vuole sottolineare il rinnovato interesse, soprattutto da parte di un numero
significativo di giovani, riscontrato verso la realtà sindacale e in generale il sistema delle
relazioni industriali. Se la pratica ci dice dunque che, tra la popolazione attiva proprio chi è più
esposto a questo vento di novità che investe il mondo del lavoro, i giovani, dimostra di volersi in
qualche modo avvicinare al sindacato – anche solo per conoscerne meglio le logiche di azione – e
che quotidianamente numerose vertenze sindacali si concludono in tutta Italia – ben oltre i casi
eclatanti che raccolgono l’interesse dell’opinione pubblica – forse il punto di partenza, la non
morte del sistema di relazioni industriali è assolutamente confermato. E per chi, come la
maggior parte del pubblico presente alla mattinata, si augura per sé una carriera nella funzione
di gestione del personale, si rivela assolutamente necessario conoscere le logiche alla base di
questo sistema che dimostra, certo tra alti e bassi che seguono gli alti bassi del sistema socioeconomico, una innegabile continuità.