Furet, il lucido bastian contrario
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Furet, il lucido bastian contrario
Furet, il lucido bastian contrario Un anno fa, di questi giorni, moriva a Tolosa lo storico Francois Furet, l'eretico delle due rivoluzioni, come ebbe a definirlo il Corriere della Sera. Aveva settant'anni e in Italia divenne celebre nel 1995 quando fu tradotto Il passato di un'illusione, l'idea comunista nel XX secolo. Figlio di una agiata famiglia della borghesia francese - il padre era un alto funzionario di banca - Furet a ventidue anni si iscrisse al partito comunista e vi restò legato sino al 1956. Fu la repressione comunista in Ungheria a fargli abbandonare il Pcf, insieme ad Annie Kriegel ed Emmanuel Le Roy Laurel. Non senza aver fatto propria la causa della indipendenza dell'Algeria, come molti esponenti della cultura di sinistra di allora. Un'altra passione di Furet fu quella che lo legò al mondo del giornalismo, grazie all'amicizia con Jean Paul Sartre ed attraverso la collaborazione a France Observateur, il settimanale da cui deriverà Nouvel Observateur che con L'Express, negli anni Cinquanta, primeggiò nel dialogo con la classe dirigente transalpina. La morte colse Furet prima che avesse la possibilità di redigere l'introduzione a Il libro nero del comunismo - pubblicato in Italia da Mondadori - che pure i redattori gli hanno voluto significativamente dedicare. Laterza, Rizzoli, Bompiani e Mondadori vantano suoi testi in catalogo. Furet ha occupato gran parte della ricerca nello studio della Rivoluzione francese, rinnovando profondamente il giudizio sull'Ottantanove e sul giacobinismo, che diventò non più culmine del fatto rivoluzionario ma il suò slittamento. Tanto da recare in sé i germi del totalitarismo successivo. Furet propose una lettura coraggiosa, i fallimenti politici del giacobinismo rivoluzionario, visti come causa della sua «ricerca incessante di un nuovo corpo politico corrispondente alla società civile borghese». L'analisi prese avvio da La rivoluzione francese (1955, due volumi scritti con Denis Richet, pubblicati da Hachette) proseguì con Critica della Rivoluzione francese (1978), si precisò infine col fortunato Dizionario critico della Rivoluzione francese, redatto assieme a Monia Ozouf, alla fine degli anni Ottanta. L'interpretazione dello storico francese entrò in rotta di collisione con la tradizionale visione degli eventi che, in senso marxista e teleologico, leggeva nella rivoluzione francese del 1789 il preludio a quella sovietica del 1917. Furet ha peraltro contestato a quella stessa interpretazione di non aver saputo riconoscere quanto Marx aveva suggerito, già prima del 1850, nelle opere giovanili (La Sacra Famiglia e La questione ebraica), e cioè le difficoltà della società liberale nel costruire e dimensionare la propria sfera politica. Una difficoltà che proprio la rivoluzione francese avrebbe messo in rilievo, per la ma volta in modo evidente. Furet pare costantemente in dialogo con i classici del pensiero politico. Marx, Rousseau e Constant, insieme a Guizot, Stuart Mill Burke, sono interlocutori dello storico, ancor più - ha scritto Marina Valensise, massima conoscitrice dello studioso francese nella analisi di una figura patologica della democrazia moderna come il totalitarismo. Se infatti il giacobinismo può essere inteso come la prima plateale manifestazione del volontarismo in politica, la sua dimensione rivoluzionaria si rispecchia centotrenta anni più tardi nel bolscevismo. Ma mentre la rivoluzione francese tese a rafforzare la proprietà borghese, quella sovietica la distrugge. Eliminando aristocrazia, borghesia e financo contadini ed operai. E pur tuttavia «senza l'Ottobre, senza l'Unione Sovietica scrisse Furet - l'idea comunista sarebbe rimasta quella che era nel XIX secolo. Una promessa vaga, un orizzonte lontano, un mondo successivo all'alienazione borghese che ciascuno poteva configurare secondo le proprie inclinazioni. È l'Ottobre, è l'Urss, che danno a questa figura la sua unità». A metà degli anni Novanta, col saggio Il passato di un'illusione, lo storico francese si sofferma lungamente sul destino dell'idea comunista del Novecento. Non storia del fenomeno ma piuttosto saggio interpretativo, un'opera che ha fatto conoscere Furet al grande pubblico. Essenziale risulta l'interpretazione per lo studioso francese della dimensione duale del bolscevismo. Furet spiegò poco prima di morire a Fabrizio Intonti che il bolscevismo ebbe la capacità combinare, in un orizzonte rivoluzionario, l'idea di libertà ed il determinismo della scienza, l'onnipotenza dell'uomo sul proprio destino e la necessità delle leggi della storia, in modo che, anche in senso trascendente, «trovasse pace l'insicurezza dell'individuo contemporaneo». L'idea della rivoluzione è in realtà costantemente presente nell'immaginario dell'individuo moderno, ma è in particolare la Prima guerra mondiale a costruire una formidabile rampa di lancio per lo spirito rivoluzionario. Democratica, industriale ed allo stesso tempo "totale", la guerra del 1914-18 inasprisce le passioni rivoluzionarie e solleva interrogativi esistenziali convinta. Attraverso l'esperienza bellica fanno l'ingresso nel mondo della politica le masse. Il soffio rivoluzionario le attirava da un lato, verso l'ideale nazionale dell'uomo nuovo fascista. Dall'altro, verso l'ideale universale del perfetto sovietico. Uomini come Bernard Shaw e Pierre Drieu La Rochelle amarono - ad un tempo - sia Stalin che Hitler. Resosi conto del grave pericolo rappresentato dalla dittatura tedesca, il leader sovietico, con sorprendente successo, innestò l'antifascismo nel pedigree di un più tragico e durevole totalitarismo. Furet chiarì con lucidità come il passo russo-tedesco avesse messo a nudo l'inconsitenza dell'antifascismo di Mosca. L'antifascismo consentì di convogliare nell'area della democrazia liberale il comunismo, ed è per questo, spiega Furet, che esso rappresenta un concetto ingannevole. Il totalitarismo diviene dunque in Furet la chiave di volta per una interpretazione del nostro secolo, come ha ovviamente posto in risalto lo stesso De Felice. Soprattutto per il ruolo di personalità forti come Mussolini, Hitler, Lenin, Stalin che riuscirono a costruire dei sistemi politici nei quali la singolarità scompariva in nome della collettività.Non è certo un caso che le critiche alle tesi dello storico francese siano giunte anzitutto da sinistra. Ad esempio da Domenico Losurdo, a proposito d'un presunto appiattimento metodologico sul fronte degli antagonisti della rivoluzione o ancora, da parte di Ralph Dahnendorf, che contestò a Furet una scarsa serenità di giudizio, in quanto ex-comunista. Più utile rileggere ciò che Eric Hobsbawm, autore de Il secolo breve, 1914-1991 scriveva - pro domo sua appena due anni fa: «Dopo il 1989, data che segna chiaramente la fine di un'epoca, una storia del nostro tempo che aspiri a sopravvivere nel secolo successivo, deve cominciare a considerare con distacco i campi di battaglia ideologica e politica della nostra epoca». Frutto ritardato della guerra fredda, Il passato di un'illusione interpreterebbe pertanto una realtà già modificata. Il più assiduo nel confronto con lo storico francese è comunque stato Ernst Nolte, più o meno frettolosamente avvicinato al Furet contemporaneista, come ha ricordato Gian Enrico Rusconi su questo giornale, nel maggio scorso. Lo scambio epistolare fra Furet e Nolte, raccolto dal mensile Liberal nel 1997, rappresenta un riferimento importante per la critica. Una certa convergenza fra i due si riscontra sul piano storico-genetico: per Furet, infatti, comunismo e fascismo avrebbero la medesima genealogia, ferme restando sia le diversità inerenti la persecuzione antiebraica ed i gulag sovietici, sia le convergenze fra le rivoluzioni comuniste del XX secolo. Più preciso è infine un successivo giudizio, emesso da Francois Furet, sulla categoria di fascismo e sulla opportunità di distinguerlo dagli altri totalitarismi, quindi da quei regimi reazionari che, come il franchismo, avevano trovato fondamento nel potere della proprietà fondiaria e della Chiesa locale. Una convergenza ulteriore con Renzo De Felice, che nei lontani anni Cinquanta era un giovane studioso anche lui stregato dal giacobinismo.