25 agosto 20005 - Andrea Gironda

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25 agosto 20005 - Andrea Gironda
www.andreagironda.it - perché la vita merita di essere raccontata
19 Giugno 2009
Ripensiamo la scuola ripensando agli insegnanti
Il rapporto OCSE presentato dal ministro dell’istruzione Maria Stella Gelmini non lascia molti motivi di
speranza e di ottimismo per la scuola italiana. A dire il vero più che un rapporto sulla scuola sembrava la
descrizione di una grande impresa: monitoraggio, rendimento, valutazione, investimento, tutti termini che
sembra non si riferiscano al mondo dell’sitruzione. E il ministro ha preso a pretesto questa impietosa
relazione per sostenere con forza le sue teorie su una scuola più rigida, più attenta al merito. Mentre si
dispiace degli alunni bocciati in questo anno scolastico, saliti di molto rispetto agli anni passati, si augura
che la scuola abbandoni quella strada del buonismo a tutti i costi che ha caratterizzato gli ultimi decenni.
Evidentemente la posizione e le esternazioni del ministro hanno portato i suoi effetti: gli insegnanti forse
si sono riscoperti più forti, hanno dato maggiore importanza al comportamento degli studenti, ma tutto
questo ha provocato solo un aumento dei bocciati e non un aumento dei promossi! Una sconfitta quindi. E
probabilmente la vera riforma deve coinvolgere anche chi è seduto dietro la cattedra.
Di riforme ne sono state ipotizzate tante, sicuramente nessuno ha la formula giusta in tasca; credo che
ognuna proponesse delle idee percorribili. Però nessuno ha mai effettivamente detto agli insegnanti
“dovete lavorare con più impegno”, o meglio “dovete lavorare diversamente!”. Attenzione, chi vi scrive è
un insegnante che fa un po’ di autocritica; anche insegnando religione che fa autocritica, sentendosi parte
della grande categoria degli insegnanti. Nel rapporto OCSE si parla del fatto che molti insegnanti scelgono
la professione per l’alta probabilità di non perdere il posto. È giusto garantire una stabilità ad ogni
lavoratore, però è pur vero che tanta incondizionata fiducia da parte dello Stato deve equivalere ad un
ritorno anche in termini di rendimento. È giusto che si parli di un cambiamento, di un rinnovamento della
professione; lo Stato però dovrà offrire anche agli insegnanti la possibilità di cambiare, aggiornandosi e
soprattutto fornendoli di nuovi mezzi. Penso alla tecnologia: è scandaloso che alcuni insegnanti,
sottovalutando quanto la tecnologia possa aiutare la didattica, ancora non sappiano usare il computer.
Molti di essi addirittura lo dicono quasi fosse un vanto! Gente statica, pigra dentro, che non ha voluto
cambiare mai pagina. E così in tanti altri ambiti della vita scolastica.
Il rapporto OCSE purtroppo fa anche riferimento agli investimenti. Alla fine si parla sempre di soldi e la
questione si svilisce nella polemica politica. Mi piacerebbe una scuola fuori dalla politica, dove non ci sia
né destra né sinistra, ma qualcuno veramente capace che parli nell’interesse della scuola stessa. È
evidente che di soldi ce ne sono sempre meno e che molte scuole devono arrangiarsi come possono; anche
qui lo Stato dovrebbe prendere maggiore consapevolezza dello stato disastrato in cui si trovano molti
istituti scolastici. E se la tendenza sarà quella di tagliare sempre e comunque, non si andrà molto lontano.
3 Giugno 2009
Legati al filo di Internet
Chi segue il mio sito si sarà probabilmente accorto che per diversi giorni non è stato aggiornato. Per dar
retta a Mike Bongiorno e Fiorello ho deciso di cambiare il provider e così mi sono trovato senza Internet
per diversi giorni.
Inizialmente ho reagito molto male, mi sono arrabbiato, quasi non riuscivo a capacitarmi di cosa fosse
successo; inoltre il disagio è stato amplificato dal fatto che ho incontrato due giorni lavorativi su cinque
vista la festività del 2 giugno. Niente internet, niente sito, niente navigazione…
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Mi sono domandato inizialmente “come si fa a stare senza Internet per 5-6 giorni?”. Domanda profonda di
senso nel terzo millennio!!! Poi ho pensato ad un mio amico che di Internet non ne vuole proprio sapere, e
così ho pensato - a ragione - che mi avrebbe dato del pazzo. E così me ne sono fatto una ragione. Ho
pensato che tutto sommato la tecnologia è utile ma non dobbiamo dipendere da essa. Però proprio nel
momento dell’assenza di collegamento mi sono accorto delle normali azioni quotidiane che faccio
attaccato ad Internet e che mai avevo visto con tale considerazione: dalle cose più semplici come leggere
le notizie, la posta, consultare le previsioni del tempo, navigare sui siti a me preferiti, leggere Facebook,
a quelle più complesse come fare un bonifico o aggiornare il sito. E proprio quest’ultima cosa è quella che
mi ha messo più a disagio: mi è sembrato come se qualcuno avesse voluto tapparmi la bocca. Io che dico
sempre che la vita merita di essere raccontata, mi sono trovato per un momento senza il mezzo per
poterla raccontare. Terribile!
Alla fine mi sono dovuto rassegnare. E in un momento in cui la tecnologia mi ha voltato le spalle dal
momento che contemporaneamente ho avuto problemi all’antenna della televisione e addirittura al
citofono, mi sono ritrovato in salone a gustarmi un film, a leggere qualcosa di diverso e addirittura a
trascorrere mezz’ora in terrazzo a riveder le stelle!
Sarà forse il caso di sperimentare ogni tanto questo digiuno obbligatorio dalla rete. Forse ne farei anche
più facilmente a meno se non fosse per questa possibilità che ho di raccontare la vita attraverso il sito.
Ma ora finalmente la luce del modem ha smesso di lampeggiare, sono tornato nella rete mondiale: una
rete dalla quale non mi sento dipendente, ma sicuramente legato per tante di quelle piccole azioni
quotidiane che hanno cambiato non solo il mio modo di vivere.
29 aprile 2008
100 giorni di Obama, tra speranze e incertezze
Oggi Barak Obama celebrerà i suoi primi 100 giorni da Presidente degli Stati Uniti. Molti, compreso me,
hanno accolto favorevolmente la sua elezione e ammetto che il Presidente Obama è un uomo che - a
giudicare dall’apparenza, dal modo di porsi e dalla sua determinazione - mi ispira fiducia.
In questi 100 giorni Obama è stato più volte chiamato in causa soprattutto in relazione alla crisi economica
che sta coinvolgendo l’economia globale. Il mondo intero si aspetta da Obama un segnale, che sia lui a
risollevare le sorti degli Stati Uniti e, di riflesso, anche il sistema economico di tanti paesi.
Non posso rimpiangere Bush, anche se il perverso sistema dell’informazione mi ha fatto tornare in mente
un tema di cui ultimamente si è parlato poco. Infatti l’ex presidente texano sembrava fosse un sanguinario
uomo impassibile davanti alla pena di morte; sembrava che Bush - che non ha mai concesso la grazia a
nessuno, neanche davanti a casi eclatanti - fosse il più grande sostenitore della pena di morte.
Probabilmente lo era veramente, e a ragione tutto questo gli è stato contestato. Il Presidente Obama cosa
ha fatto finora in questo senso? Il tema infatti sembra sparito dall’interesse generale dei mezzi di
informazione. Il neo Presidente non ha mai negato di essere favorevole all’esecuzione capitale, e dal
momento del suo insediamento sono già state eseguite alcune condanne a morte. Si spera che il
Presidente Obama risponda con un gesto concreto alle pressioni che molti paesi del mondo fanno al fine di
poter mettere fine a questa terribile serie di condanne.
Però mentre la pena di morte colpisce solo alcuni condannati, alcuni dei quali hanno una visibilità,
un’altra piaga che negli USA dilaga è quella della pratica dell’aborto. Qui i bambini non hanno voce e
quindi non si può esattamente dire quanti siano i bambini non nati in America. Le legislazione non tutela
la vita, e c’è molta libertà per le donne che intendono abortire. Anche qui il Presidente Obama non ha
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dato segnali, anzi in più di un’occasione si è dimostrato favorevole all’aborto senza fare nuove leggi provita.
Probabilmente il tempo è stato poco, non possiamo pretendere che Obama risolvi tutto da un momento
all’altro, ma ciò che più mi preoccupa è che mentre questi due temi venivano “usati” contro Bush, adesso
non ne parla più nessuno; Obama per il momento deve solo pensare a far rifiorire la crescita
dell’economia e a pensare ai conti degli Stati Uniti.
Stranamente però ho fiducia; queste righe non serviranno a cambiare le cose, ma almeno vorrei sperare
che non cali il sipario sul tema così profondo del diritto alla vita.
24 aprile 2008
Il negozio delle mattonelline
Durante la pausa del pranzo, degustando un ottimo gelato, non ho potuto fare a meno di fare una
passeggiata lungo un viale romano a me caro. È dai tempi della mia infanzia che percorro quella strada a
piedi, come in macchina. Passeggiando ovviamente non posso fare a meno di osservare le vetrine e con
grande dispiacere ho notato che un piccolo negozio di ceramiche, aperto da circa un paio d’anni, ha
chiuso e al suo posto c’è un’altra attività commerciale. Sono rimasto male perché in quel negozio
avevamo comprato con mia moglie - appena acquistata la nuova casa - delle piccole mattonelle
decorative, con l’intenzione di acquistarne ogni tanto delle altre.
Mentre camminavo poi vedevo come rapidamente negli anni si sono susseguiti i negozi. Alcuni cambiano
piuttosto rapidamente, segno evidente della crisi, ma anche di scelte sbagliate, di poca propensione al
commercio, di affari poco vantaggiosi e chissà quanti altri motivi. Dispiace, perché dietro a questo
immagino anche la delusione di chi magari aveva investito denaro e speranze per avviare la propria
attività commerciale. Allo stesso tempo però ho visto alcuni negozi ‘storici’, che stanno lì da quando io
ero bambino: un piccolissimo bar, un negozio di ottica, una gelateria… E guardandovi all’interno è facile
osservare come gli stessi proprietari si sono invecchiati negli anni, segno che loro le scelte le hanno fatte
giuste, probabilmente l’esperienza li ha formati e abituati a riprendere anche nei momenti poco rosei.
Le attività commerciali diventano così parte della nostra vita. Perché ci abituiamo, ci affezioniamo
sempre agli stessi negozi, quelli dove sappiamo di trovare il commesso simpatico, il proprietario con il
quale è possibile scambiare quattro chiacchiere, prodotti e prezzi qualitativamente vantaggiosi. Dispiace
vedere qualcuno chiudere, ma del resto è giusto ricordare che purtroppo molti di questi piccoli negozi
sentono il fiato dei grandi centri commerciali, dove tutti noi ci rechiamo (chi più, chi meno) per trovare
tutto, per fare prima, per risparmiare (sarà poi vero?)… noi figli e figlie di questa società che deve
correre, che deve risparmiare tempo per risparmiare denaro, che non guarda in faccia nessuno e
preferisce un rapporto freddo con un grande ipermercato piuttosto che un rapporto di fiducia e di
simpatia con il commerciante sotto casa.
Tempi che cambiano. Intanto però, chiudendo il negozio delle mattonelline, dietro a quella saracinesca
restano anche i sorrisi e le emozioni di una giovane famiglia che aveva trovato delle simpatiche mattonelle
che ancora oggi arredano il nostro ingresso. Un breve ricordo, che tutto sommato era una consolazione.
16 aprile 2008
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La solidarietà fa male
Un amico su Facebook mi invita a leggere un articolo dal titolo neanche troppo chiaramente provocatorio
“Ma io per il terremoto non do nemmeno un euro”. Mentre in tutte le trasmissioni, all’Ufficio Postale, in
Banca, e tra un po’ anche dal barbiere ci dicono di versare qualcosa per i terremotati, ecco questo
articolo di un cittadino di Marsala che sostiene l’esatto contrario. A dire il vero, leggendo attentamente il
testo ci sono molti spunti di riflessione. Questo signore, Giacomo di Girolamo, sostiene - in parole povere che la solidarietà di cui gli italiani sono esempio è un modo per nascondere le magagne della politica. In
un certo senso si parlava di questo anche in merito al volontariato: tanta buona gente che copre le
mancanze dello stato sociale.
In questi giorni stiamo sentendo che molti edifici, in primis l’ospedale e la Protezione Civile, sono stati
costruiti senza rispettare le norme antisismiche, che molte case, palazzi e anche edifici pubblici non
erano in regola con le normative edilizie… Insomma il solito “papocchio” all’italiana che viene fuori solo
quando succede qualcosa. Immense pratiche burocratiche nascoste e impolverate chissà dove che
nascondono irregolarità, accomodamenti, condoni… Ora arriva il terremoto, spazza via tutti senza
guardare in faccia nessuno, e giù a domandarsi: ma l’ospedale non doveva essere il luogo più sicuro?
Il nostro cittadino di Marsala, scrivendo l’articolo su Facebook, mi ha fatto riflettere sull’inefficienza del
governare all’italiana; cattive abitudini radicate nel passato, dove la politica ha servito più se stessa che
la gente. Non si poteva evitare il terremoto, ma che tanta gente rimanesse in quelle condizioni, questo sì,
i danni forse potevano essere più contenuti. “Non do un euro perché è la beneficienza che rovina questo
Paese, lo stereotipo dell’italiano generoso, del popolo pasticcione che ne combina di cotte e di crude, e
poi però sa farsi perdonare tutto con questi slanci nei momenti delle tragedie. Ecco, io sono stanco di
questa Italia. Non voglio che si perdoni più nulla. La generosità, purtroppo, la beneficienza, fa da
pretesto. Siamo ancora lì, fermi sull’orlo del pozzo di Alfredino, a vedere come va a finire, stringendoci
l’uno con l’altro. Soffriamo (e offriamo) una compassione autentica. Ma non ci siamo mossi di un
centimetro”. È vero, quanti passi in avanti sono stati fatti dal pozzo di Alfredino ad oggi?
Con questo ognuno faccia come vuole: il mio gesto l’ho fatto, e non mi sento di condannare la beneficenza
perché se i responsabili andranno in galera (e questo me lo auguro) la povera gente rimane povera gente e
va aiutata lo stesso. Speriamo però non ritrovarci allo stesso punto in futuro.
9 aprile 2008
Le margherite del prato
È primavera. E le prime a dirci che la primavera è finalmente arrivata sono le margherite. Quando
vediamo i prati diventare improvvisamente colorati di bianco capiamo subito che l’inverno è veramente
finito e che si avvicina la primavera. Quanto sono belli quei prati che vediamo ovunque ricoperti di questi
simpaticissimi fiorellini. Che spuntano ovunque: dove c’è un po’ di erba ecco le margherite.
L’altro giorno mi trovavo al parco con i miei bambini. Ovviamente non hanno resistito alla tentazione di
raccoglierne qualcuna, un gesto semplice e spontaneo che ogni bambino ha fatto nella sua infanzia; quasi
a voler portare un po’ di quella bellezza nella propria casa. Ricordo benissimo che anch’io da piccolo
quando mia madre mi portava ai giardini tornavo sempre a casa con un mazzolino di margherite. Lei - per
tenerle ferme - attorcigliava intorno intorno un gambo un po’ più lungo, che le teneva ferme. Una volta
arrivati a casa, poi, prendeva un vasetto lungo e stretto e immergeva queste margherite nell’acqua.
Duravano a volte anche tre o quattro giorni: puntualmente si chiudevano la sera e si riaprivano al
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mattino… intelligenza della natura!
Quando mio figlio piccolo mi ha portato alcune di queste margherite mi sono soffermato ad osservarle
attentamente; il loro disegno è praticamente perfetto, i colori sono bellissimi (bianco, giallo e il verde del
gambo) e il profumo è inconfondibile. Per un attimo hanno rallegrato la mia giornata e mi hanno fatto
tornare in mente momenti spensierati della mia infanzia.
23 marzo 2008
Il dopo-Africa di Benedetto XVI
Suggestivo il viaggio in Camerun e Angola di Papa Benedetto XVI. Un viaggio che non è passato inosservato
al mondo dell’informazione. Il rientro in Italia del Pontefice lascia aperti molti punti di discussione e
sicuramente ci vorrà molto tempo affinchè si possa metabolizzare il messaggio del Papa.
Purtroppo tutto si è ridotto ad un solo marginale argomento; ancor prima di arrivare nel continente
africano si ribadiva il pensiero del Papa sul legame Aids-preservativo. Sono state tratte molte
considerazioni, molte polemiche in seguito alla posizione del Vaticano sul tema, addirittura una
manifestazione dei gay ha accolto il Papa vicino P.zza S. Pietro. Come se il Papa fosse l’untore e i gay i
salvatori…
Non ci si può stupire della posizione del Papa sul tema, ma caso mai fare una profonda riflessione. È noto
il pensiero del Vaticano in questo senso: il preservativo mai, né come mezzo di contraccezione, né come
strumento per impedire la diffusione delle malattie sessualmente trasferibili. Non ci si poteva aspettare
altro di quello che è stato detto. Una profonda riflessone - che non si fermi all’aspetto superficiale del
dibattito - però va fatta. Questo diniego è motivato dal fatto che la Chiesa preferisce educare piuttosto
che trovare mezzi, apparentemente efficaci, ma che offendono la dignità dell’uomo. E allora ecco che il
Papa ha voluto affermare che per l’Africa è prioritaria la cultura, formare le coscienze, interrogarle,
fornire valori prioritari. Purtroppo però questo è un modello non sempre facilmente trasferibile: ciò che
culturalmente e pastoralmente può essere detto e accettato in Italia non va bene per l’Angola. Nella
società come il numero di donne che un uomo ha ‘conquistato’ può essere un fattore determinante per
acquisire rispetto e considerazione; evidentemente questo discorso della formazione è difficilmente
attuabile se poggiato su simili posizioni, e forse è più facile dire alla gente di usare il preservativo.
Sicuramente può avere un effetto positivo immediato, ma quale cultura e quali speranze vuole offrire la
società all’Africa? È più facile dare al malato la medicina oppure spiegargli come può non ammalarsi più? Il
mondo vuole continuare a trattarli da selvaggi perché tanto non capiscono, oppure offrire una possibilità
per uscire con le proprie forze dalla miseria?
Non a caso il Papa ha anche alzato la voce contro lo sfruttamento (come quello delle multinazionali),
contro la guerra che devasta tutto ciò che incontra, contro il pericolo ancora vivo delle mine antiuomo,
contro la pratica dell’aborto, contro i conflitti razziali, contro la miseria e la povertà che ha provocato
negli ultimi 10 anni ben 5.000.000 di vittime! (di cui ovviamente non se ne parla), contro la politica di
certi paesi che nulla investono nella scolarizzazione, contro la stregoneria che uccide forse più dell’Aids,
denunciando al mondo (che finge di non sapere) che milioni di persone non hanno accesso alle cure. In
questo contesto possiamo anche capire perché il Papa ha dovuto ribadire il suo pensiero sul preservativo.
Starà alla Chiesa Africana il difficile compito di cercare di tradurre in proposte pastorali percorribili
quanto suggerito dal Papa e al mondo intero prenderne atto…
Mi dispiace che solo un aspetto sia quello che più ha colpito l’opinione pubblica, indirizzata da una
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informazione ormai in malafede; nessuno ha messo in risalto - e quindi preso posizione - le vignette
blasfeme di Le Monde e del Times dove si vedeva il Papa con un preservativo in testa, e sempre Benedetto
XVI sconsolato su una barca dove Gesù invece che moltiplicare i pani e i pesci moltiplicava i preservativi.
Basta! Certa stampa non è onesta, non è credibile e soprattutto non mette un punto all’oscenità e al
blasfemo.
18 febbraio 2008
Gli 80 anni di mio papà
Generalmente si ricordano gli anniversari di nascita delle persone importanti… gli 80 anni, i cento anni e
così via…
Se mio papà fosse ancora qui mercoledì 18 febbraio festeggerebbe con noi i suoi 80 anni. Colgo l’occasione
per ricordarlo dalle pagine di questo sito, anche se immagino non sarà facile.
Per scrivere di lui ho bisogno di un sottofondo musicale idoneo; e così mentre vi scrivo ascolto Luciano
Pavarotti. I due formavano un binomio davvero unico. Sentendo la sua musica rivivo il trasporto con il
quale papà ascoltava la musica lirica. Ricordo con gioia quel giorno in cui Zucchero e Pavarotti duettarono
insieme; era come se i nostri due spiriti si unissero per un attimo grazie alla musica. Sì, perché papà era
un artista nel vero senso della parola. Artista perché aveva un animo da artista, fin troppo sensibile, a
volte anche troppo idealista e sognatore. Artista è colui che non è insensibile all’arte, a quella forma di
comunicazione che coinvolge i sensi; la sua arte si esprimeva soprattutto attraverso il suo lavoro di
falegname e decoratore. Spesso le cose fatte da lui superavano il valore dell’oggetto stesso: un mobile
non era solo un mobile, un presepio era più di un presepio e così via. Da lui ho ereditato la passione per la
musica. Mi raccontava che da piccolo era un polistrumentista nella banda del paese, sempre pronto a
sostituire ora il trombone, ora il tamburo, ora il flauto, ora le percussioni… Gli piaceva sentirmi suonare e
soprattutto sapere che la musica era mia compagna di vita.
Papà mi ha lasciato troppo presto, quando avevo appena 21 anni, in un momento in cui tutto stava
cambiando, quando stava per delinearsi un futuro professionale e sentimentale di cui sicuramente sarebbe
stato fiero. Purtroppo non ho goduto con lui alcuni momenti belli della mia vita; mi manca il padre, mi
manca la figura del nonno. Con i miei bambini sarebbe stato sicuramente un nonno vero, di quelli che
giocano e si mettono a fare i bambini piccoli. Del resto non ama la vita chi non si commuove davanti ad un
bambino.
I miei ricordi più belli li ho legati alla mia infanzia quando la domenica mattina andavamo nella zona
dell’Acqua Acetosa a veder correre qualche cavallo. Ricordo le carezze a Rebecca una cavalla a cui in un
certo qual modo ci eravamo affezionati. Ricordi di cocomeri freschi, di partite a dama, di pastarelle
legate alle vittorie della nostra Lazio… già, la Lazio… quante partite vissute insieme allo stadio, quante
gioie e quanti ricordi legati a quei colori e a quella bandiera che portavo nelle nostre domeniche allo
stadio, partite di una Lazio un po’ spuntata, povera ma bella.
Poche cose semplici ma che ricordo con gioia. Come anche qualche frase, qualche parola, qualche
discorso che facevamo insieme. Mio padre era un padre forse pedagogicamente poco attrezzato, ma un
padre semplice che sapeva amare la sua famiglia; un padre che ha insegnato anche attraverso i suoi errori
e le sue debolezze cosa fosse giusto fare e cosa non fare.
Ho un ricordo di un grande papà; non perché abbia fatto chissà quale cosa straordinaria, ma perché con lui
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tutto assumeva un sapore diverso. Sarà perché ero un bambino, sarà perché lui sapeva rendere tutto
speciale. Ricordo quando tornava a casa dal lavoro, quando stava con noi, quando sapeva sempre cosa
dire, quando mangiava le mezze zite, quando parlava della sua Calabria, quando si arrabbiava e quando
rideva, quando…
Papà ci lasciò all’improvviso nell’estate del 1995.
Ricordo l’ultimo momento vissuto con lui. Era sera, stavo partendo per le vacanze, sulla porta di casa
prima di salutarmi mi disse “Oh… non fare il fesso”. Sarà, ma quella frase la porto sempre con me, quasi
come fosse un’eredità spirituale da far fruttare. Ricordi che si perdono nella notte dei tempi. Tempi che
non passeranno, perché nella vita di un figlio un genitore non muore mai.
Ora papà è un papà in cielo. Anche lì starà facendo il padre… magari cantando il “Nessun dorma” insieme
a Big Luciano...
7 febbraio 2008
Il Paese è impazzito
Temo proprio di sì. Credo che il Paese sia impazzito. Leggere il giornale in questi giorni vuol dire
imbottigliarsi in un vorticoso tunnel di notizie capaci di far rabbrividire, stupire, arrabbiare, disperarsi.
Non voglio fare il solito cattolico “cieco”, quello che deve per forza e ostinatamente credere a quanto
dice la Cei. Ci credo perché ritengo giusto crederci, perché so che le verità della fede sono fondamento
della mia vita e su di esse ho costruito negli anni una base di pensiero.
Sono per la vita, questo è innegabile. Il caso Eluana sta veramente scuotendo le coscienze. Molti si
schierano dalla parte dell’eutanasia (perché questo è), molti vorrebbero far morire questa ragazza. Si
scatenano dibattiti televisivi, consigli dei ministri che approvano decreti contro il parere del Capo dello
Stato, chi ci dice che Eluana è un vegetale attaccato a tante macchine, chi invece come Avvenire racconta
di una Eluana che non conosciamo, che vive, respira, addirittura capace di sostenere passeggiate
primaverili come una normalissima disabile. Berlusconi ci dice che Eluana sarebbe addirittura capace di
generare figli… Non ci capisco più niente, il guaio è che qui qualcuno gioca sporco e non ci dice la verità.
Certo è che lo Stato non può autorizzare qualcuno a togliere la vita a qualunque essere umano. Oggi c’è
Eluana, ieri Welby, domani arriverà un altro caso. Si ama la persona “in quanto” persona o si ama finchè
sta bene?
Poi leggo la notizia, a mio avviso più scandalosa, dei medici che dovrebbero denunciare i clandestini. Una
legge pericolosissima. Un malato è un malato, va curato. I rischi sono di una diffusione di malattie
tranquillamente curabili, di neonati gettati nei cassonetti, di madri che moriranno di aborto, di criminali
che metteranno su una sanità parallela illegale. Roba da matti! Politica farneticante.
Anche nella Chiesa qualcuno dà i numeri. Tornano i lefevriani: prima accolti con un gesto di misericordia,
poi subito in polemica. Un vescovo lefevriano riattacca gli ebrei: e giù critiche, polemiche, accuse. Aiuto!
Il Papa voleva solo accogliere la pecorella smarrita che forse nel frattempo ha smarrito anche il
buonsenso.
E poi gli stupri. Uomini impazziti in cerca di violenza. Quasi arriveremo a stupirci quando non leggeremo
più di qualche stupro in un parco pubblico. E anche qui discussioni, ipotesi, critiche alla magistratura, ai
giudici…
E ancora: ronde padane, mafia sul web, pedofilia online, incidenti stradali, il dilagare delle droghe,
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accoltellamenti...
Basta! Forse tutto insieme è troppo. Tornerò a leggere Topolino per scappare dalla realtà, trovare un po’
di infanzia, pulire la mente.
Morte, distruzione, razzismo, violenze. Che la società di oggi possa trovare nuovamente un po’ di pace,
magari tornando a credere in valori veri. Io i miei ce l’ho e su questi provo ad affrontare nel mio piccolo le
grandi questioni della vita.
29 gennaio 2008
Come fermare gli stupratori?
In questi giorni il tema della sicurezza è di grande attualità; in realtà anche nella recente campagna
elettorale si era dibattuto molto sul tema, e sicuramente si sono fatte molte promesse. Ha vinto il Popolo
delle Libertà, Roma dopo tanti anni ha un sindaco di destra, ma le violenze e gli stupri purtroppo non sono
terminati. Il guaio è che in Italia si trasforma tutto in questione politica: i violenti, gli assassini, gli
stupratori così come gli scippatori esisteranno sempre e continueranno a fare reati indipendentemente dal
governo! A Roma sono spuntati militari un po’ dappertutto, il sindaco ha provato a fare qualcosa, ma
sarebbe impensabile controllare tutta la città, boschi e zone appartate comprese. Ha suscitato grande
sdegno la vicenda della ragazza violentata alle 10 di sera vicino ad un capolinea dell’autobus; è vero,
purtroppo alcune zone sono veramente lasciate al degrado e spesso i luoghi dove ci sono i mezzi pubblici
non sono controllati. Ancora vivo è il ricordo del modo violento in cui perse la vita la sig.ra Reggiani.
Sono inutili anche le battute che il nostro Presidente del Consiglio ha fatto sul tema: non servono tanti
militari quante sono le belle ragazze. Berlusconi ha sbagliato a parer mio a fare certe affermazioni. Il
guaio è che viviamo in una società troppo sessocentrista, dove la pornografia è a disposizione di tutti in
modo anche facilmente accessibile (pensiamo ai rischi che corrono i ragazzi che navigano in Internet),
dove la dimensione della sessualità è stata sradicata dal legame con l’affettività per diventare pura
“attività” sessuale.
Non so cosa passi nella perversa mente di uno stupratore. Probabilmente non si può provare piacere in un
atto del genere; o forse il piacere sta proprio nell’ottenere qualcosa con la violenza più estremizzata.
Sicuramente è gente che vive in un contesto violento, che ha subito o pratica la violenza di qualsiasi
genere con estrema facilità. Tutte chiavi di interpretazioni che non attenuano la colpa, per carità!
Il fatto che ormai l’identikit dello stupratore sia quello del maschio rumeno è davvero un grande pericolo
per una serena convivenza tra i popoli. Gli stupratori non hanno nazionalità: chi fa questi reati sarebbe
capaci di farli ovunque si trovi. Spaventa molto di più la tendenza razzista ad allontanare gli stranieri
(anche quelli buoni) anch’essa praticata con atti di intolleranza inqualificabili.
Va bene controllare le piazze, le stazioni, i treni, i capolinea, le periferie. Ma andrà soprattutto meglio
quando si faranno rispettare le leggi, si mostrerà fermezza nei confronti di chi commette reati e si
daranno ai giovani nuovi valori su cui credere. La ragazza stuprata l’ultimo dell’anno era ad un rave
frequentato da gente poco raccomandabile, chiede silenzio ma concede generose interviste in televisione
e lo stupratore è agli arresti domiciliari. Un mix di fattori: scarsi valori, mancanza della famiglia che ora
sa solo minacciare vendetta e poca sensibilità nel far rispettare le leggi. Ditemi voi…
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8 gennaio 2009
La mia esperienza su Facebook
A quanto pare gli italiani hanno scoperto Facebook. Sto notando da qualche giorno che in quasi tutte le
edizioni dei telegiornali entra in un modo o nell’altro Facebook. Effettivamente tutto questo sembra
proprio portare un cambiamento nella vita e nelle abitudini di tanta gente, anche tra coloro che possono
definirsi meno ‘internauti’! Nel 2008 in Italia c’è stato un vero e proprio boom di registrazioni, dato che
deve far riflettere. Addirittura la mafia, così come la politica, non si stanno facendo scappare la
possibilità di potersi esprimere ed esporre su questa grande piattaforma.
Essendo un appassionato, e mettendo in un certo senso la mia presenza nel mondo del web attraverso il
sito, ho voluto anche io provare e spingermi oltre le mie consuete abitudini, iscrivendomi a Facebook.
Ammetto che ancora ho tanto da imparare, ma la mia breve esperienza mi permette almeno di trarre
alcune considerazioni.
Attraverso Facebook ho incontrato alcune persone di cui avevo perso le tracce; compagni di scuola,
vecchie amicizie, cugini lontani, addirittura una cara amica di infanzia con la quale condividevo momenti
di gioco. Proprio da quest’ultima esperienza che mi ha scaldato il cuore ho capito quanto fosse forte e
potente questo strumento. Ovviamente i trentenni e i quarantenni usano questo strumento in modo
diverso dagli adolescenti; noi (ahimè!) abbiamo una storia da ricostruire, amici da ritrovare, percorsi da
rivivere. I ragazzi di oggi usano Facebook come un ottimo strumento di contatto. Addirittura ieri sera al
TG1 si parlava dello “sbarco” dei genitori su Facebook: ad alcuni ragazzi veniva posta la domanda se in
questo modo si sentissero più controllati dagli adulti!
Una cosa che non mi piace è il fatto che su Facebook tutti i contatti vengono raggruppati con la parola
“amici”. Sarà, ma io per abitudine peso sempre le parole e per me gli “amici” non sono gli amici di
Facebook; francamente con alcune persone con cui ho un’amicizia virtuale nella vita reale raramente ci
incontriamo, a malapena ci salutiamo o con altri addirittura non ci si vede neanche. Quindi non possono
essere “amici” come sono amici i miei veri amici, quelli con cui condivido sentimenti ed emozioni da
moltissimi anni.
Ci sono poi i gruppi, che francamente trovo inutili o quasi; va bene lo scambio democratico di idee… ma
per questo c’erano già molti forum, e quindi Facebook non ha inventato nulla. E’ vero però che da quando
seguo Facebook ho scoperto qualche sfumatura sulla personalità delle persone con cui sono in contatto
tanto da intuirne gusti, aspettative e desideri. Ho notato come alcuni formulino degli slogan, pensieri,
altri addirittura cercano attraverso Facebook di proporre temi di riflessione, se non addirittura fare di
Facebook uno strumento di evangelizzazione. Tutto fa brodo!
Insomma, nel complesso non getterei giù dalla torre questo strumento. L’unico timore è che si rischia di
degenerare e così da strumento che dovrebbe favorire l’incontro possa diventare un mezzo per dividere e
suscitare contrasti. Del resto questo è il pazzo mondo di internet dove tutto è possibile, nel bene e nel
male.
29 dicembre 2008
Riflessioni sulla famiglia
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Ieri in Chiesa si parlava della famiglia. Era infatti la festa della Santa Famiglia di Nazareth, quella che
vediamo spesso rappresentata nelle icone o nei santini. Una famiglia dall’aria sempre austera, severa, ma
allo stesso tempo serena e seriosa.
Si potrebbero fare tante riflessioni sulla famiglia, sotto vari punti di vista: sociale, religioso, economico,
sull’impatto nelle varie realtà quotidiane…
Quante volte con i miei alunni a scuola mi soffermo a parlare della famiglia. Spesso purtroppo vengo a
conoscenza di situazione poco serene. Capita che alcuni genitori mi confidano situazioni drammatiche con
le conseguenze che potete immaginare sui figli. Molto spesso i bambini soffrono di queste situazioni in
modo spesso silenzioso, nei loro cuori c’è la tempesta più sfrenata. Anche volendo, durante le mie lezioni
non posso proprio fare a meno di sottolineare ai miei piccoli studenti quanto importante sia la famiglia.
Essa è la “culla” per la crescita, per una serena convivenza e una serena crescita dei vari componenti;
culla per la fede, per la buona condotta, per la buona educazione, per i sani valori. Ci sono molti esempi
di famiglie che ho conosciuto dove si apprezzano i risultati di alcuni sani principi che i genitori vogliono
trasmettere ai figli.
Penso così al valore e al ruolo che la famiglia deve riacquistare nel tessuto sociale e - perché no? politico. Sarebbe ora che i nostri governanti pensassero veramente ad aiutare le famiglie a svilupparsi;
non bastano i bonus bebè e le belle parole, ma fatti concreti che possano ogni giorno aiutare le persone
con figli ad andare avanti nel concreto, fornendo loro servizi e agevolazioni in grado di aiutarli.
Ciò che più mi addolora è vedere e sentire come certe trasmissioni o certi mezzi di informazioni tendono a
sminuire, se non a ridicolizzare, la famiglia; tanti mali della nostra società sono dovuti alla distruzione
della famiglia causata dall’affermazione della singola individualità e libertà a discapito del bene comune
della famiglia.
Mi piacerebbe che i nostri figli trovassero una società basata su una famiglia forte, dove i genitori si
incontrino per almeno due pasti e dove esista una reale condivisione di problematiche, gioie e
preoccupazioni.
Riflessioni a “ruota libera” sulla famiglia con lo sfondo della Santa Famiglia di Nazareth, capace di
illuminare pensieri sereni e santi.
24 dicembre 2008
Vi racconto il mio Natale
“Come l’anno scorso…” quante volte abbiamo ripetuto questa frase soprattutto in occasione di feste e
ricorrenze che ogni anno andiamo a ricordare. È così ovviamente anche per il Natale: ricorrenze,
tradizioni, ricordi… tutto si fonde ogni anno in una miscela di ricordi ed emozioni del passato, che spesso
risalgono addirittura a quando eravamo bambini. Ricordo quasi ogni Natale festeggiato con tutti i miei
parenti, fin da quando ero bambino; tavolate chiassose e gioiose, tra il sapore del salame per antipasto e
del pandoro tanto amato nei miei ricordi d’infanzia.
Quest’anno, non so perché, mi sento di guardare molto indietro, sarà perché con il tempo ti accorgi che
molte cose sono cambiate e che - ahimè - qualcuno purtroppo non c’è più. Sono soprattutto le persone
che ci hanno lasciato quelle che mancano di più all’appello; come spesso succede le feste sono gioiose ma
spesso portano con sé un’arma a doppio taglio perché amplificano dolori che cerchiamo di tenere in
disparte nel corso del tempo. Quest’anno poi vedo intorno a me persone care che non stanno bene e mi
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rendo conto di quanto possa essere preziosa la loro presenza in occasioni simili.
Allo stesso tempo però mi rendo che avendo dei bambini, non posso vivere di soli ricordi. Adesso sono loro
che hanno acceso il tasto “rec”, quello che usavamo un tempo quando mettevamo in registrazione una
musicassetta; ho il dovere come padre di offrire loro un Natale sereno proprio perché possano con il
tempo ricordare momenti belli vissuti nella completezza della famiglia.
Tra passato e futuro; questo sarà il mio Natale. E mentre ho nel cuore un po’ di dolore e di preoccupazioni
per alcune persone a cui tengo molto, mi arrivano le parole della mia amica Chiara M. che mi scrive a
proposito della notte di Betlemme: “chissà se anche duemila anni fa, durante una notte buia e fredda
accompagnata da un strano silenzioso senso di attesa, qualcuno si sarà posto queste domande?”. È così
che la fede trasforma il dolore in speranza, è così che riscopro il Natale come momento di grande pace
perché da quella famosa “Notte” è spuntata la luce. Anche io, insieme ai miei cari, stiamo forse
attraversando la notte; vorrei seguire quella stella che brilla nel cielo e trovare anche io la Luce.
E’ Natale in tutto il mondo, anche il Cina dove il cristianesimo non è arrivato. Chissà forse la stella cometa
è indirizzata anche a coloro che non credono. Vorrei proprio sperare che sia un momento di pace e di
speranza per tutti. Auguri amici del sito, auguri di un Vero Natale.
17 dicembre 2008
Vivere una vita bella
Mi trovavo in una delle solite estenuanti file all’ufficio postale. Mi trovavo sull’uscio della porta scorrevole
in attesa del mio turno quando arriva davanti a me una vecchietta che inizialmente mi guarda e farfuglia
qualche frase in un dialetto incomprensibile. Dopo qualche istante di incertezza mi metto all’ascolto delle
sue parole che erano rivolte proprio a me. “Voi giovani dovete vivere una vita bella. Io ho vissuto una vita
bella: ho dato tanto e ho ricevuto tanto, senza però chiedere niente a nessuno. Prima nella mia casa
c’era solo un tavolino, ora ci sono tre televisioni, la radio, i mobili! Voi giovani dovete cercare di vivere
una vita bella. La bellezza sta nella generosità, bontà, disponibilità, onestà. L’inferno è nel male,
nell’invidia, nella violenza. Ricordati, voi giovani dovete cercare la bellezza”. Mentre questa signora
parlava, io l’ascoltavo incantato con il sorriso sulle labbra. In quel momento si era materializzata davanti
a me la saggezza, quella profondità che hanno gli anziani. Una saggezza che viene dal basso, da una donna
poco istruita ma che nel fare il suo resoconto soddisfatto di una vita trascorsa nella bellezza, ha elencato
una serie di virtù e di strade da praticare. Insisteva sul fatto che le nuove generazioni devono cercare la
bellezza; questa parola la diceva con una certa frequenza, quasi a voler sottolineare che uno non può
accontentarsi di ciò che è torbido e lascia il cuore dell’uomo nella mediocrità.
Una breve lezione sull’uscio dell’ufficio postale. Mentre la gente era intenta nel maneggiare i soldi, quella
donna misurava la sua ricchezza dal fatto che nella sua casa c’erano ben tre televisioni, i mobili e
addirittura la radio (la radio la entusiasmava molto). Beati i poveri in spirito, diceva Gesù; beata povertà
che rende ricco il cuore degli uomini semplici.
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11 dicembre 2008
Una finestra sulla pioggia
Ore 12.30. Aggiornamento insolito come orario per il sito. Piove. Piove e anche tanto; in queste ore nella
città di Roma è scesa giù tantissima acqua. Nella mia città, Monterotondo, c’è stata addirittura una
vittima. Sono qui davanti al pc, la radio accesa, la cronaca incalzante di una giornata di disagi. Chi parla
delle foglie, chi del sindaco, chi delle troppe auto, chi sdrammatizza, chi fornisce informazioni; e poi
internet, praticamente una finestra sul mondo. Su Youtube ci sono video di allagamenti, alcuni siti
pubblicano foto spedite dai lettori, mentre i telegiornali staranno preparando i servizi che vedremo nei
telegiornali all’ora di pranzo. La comunicazione è vivace, e anche da casa davanti ad un pc ci si rende
conto di cosa sta accadendo fuori.
Leggo notizie costantemente aggiornate. Mi fa sorridere l’invito del prefetto di Roma: mentre fuori c’è
l’inferno lui invita i romani a lasciare a casa l’auto e prendere i mezzi pubblici. Altra impresa! Saranno un
po’ tolleranti i datori di lavoro per gli inevitabili ritardi che si sono verificati? Penso a chi di uscire non ne
può fare a meno; chi deve andare in ospedale, chi deve partorire, chi purtroppo vive nella strada
(Repubblica ha pubblicato una foto davvero drammatica di alcuni barboni)… Chissà quanti pensieri e
quante riflessioni ognuno di noi sta facendo in questo momento. È vera la staticità nel fare interventi
preventivi da parte dei politici, anche perché questi - paradosso della politica - fanno meno ‘pubblicità’ in
campagna elettorale. Però è anche vero che le automobili sono troppe e il cemento delle nostre città non
favorisce le cose. La necessità è quella di fare il famoso ‘passo indietro’, ma questa è solo utopia dal
momento che nessuno è bendisposto a lasciare le proprie comodità.
Piove ancora. Speriamo nel sole che - a quanto pare - si farà desiderare per ancora diversi giorni.
Aspettiamo e nel frattempo speriamo...
10 dicembre 2008
La religione come esperienza che unisce
Ricercare le feste per completare il calendario interreligioso è un’operazione ardua, ma alla fine
interessante e formativa non solo per chi legge ma anche per chi scrive. Infatti prima di compilare tutto il
calendario che trovate nella prima pagina del sito, faccio ricerche incrociate su vari siti più o meno
istituzionali per verificarne l’attendibilità, dal momento che non sempre trovo notizie concordi (come si
può essere discordi anche sulle feste?).
Mi capita di osservare spesso delle coincidenze interessanti che meritano attenzione. Parto dal
presupposto che per quanto mi riguarda, il mio cammino di fede è esperienza soprattutto di pace e di
preghiera; quando mi trovo in Chiesa o durante la preghiera faccio una esperienza di rigenerazione e
gratificazione umana e spirituale. E così ho avuto modo di osservare che in questo mese di dicembre
alcuni miei momenti ‘forti’ coincidono con alcuni momenti importanti per la vita di fede dei miei fratelli
ebrei e musulmani. Li chiamo ‘fratelli’ perché li considero vicini a me; ho un caro amico ebreo e uno zio
musulmano… come posso considerarli nemici? Ho una idea della religione di grande fratellanza e non di
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divisione come purtroppo spesso capita di vedere. Il giorno 8 dicembre mentre i cristiani pregavano
l’Immacolata Concezione i musulmani pregavano nelle moschee la festa del sacrificio di Abramo, padre di
tutti i credenti. Il mio Natale coinciderà con la festa delle luci ebraica - la Channukkah - che viene sì
considerata come festa ‘minore’ ma rimane molto sentita dagli ebrei. Non posso dimenticare come diversi
anni fa, in casa del mio amico ebreo, ho partecipato con tanto di kippà alla preghiera in ebraico per la
festa; un momento davvero molto toccante.
Mi piace pensare che la stessa esperienza di pace che vivo io nella mia Chiesa, la stanno vivendo altre
persone nei loro luoghi santi. Che i pensieri di fratellanza, amore reciproco e i grandi temi dei valori
universali siano predicati in tutte le lingue e tutti i luoghi di culto. Saranno così giorni di pace per i corpi e
per lo spirito.
È un sogno, lo so, ma per me la religione unirà sempre i popoli e mai li dividerà.
10 novembre 2008
Dove c’è un po’ di luce
Finita la ricreazione, mi siedo alla cattedra per fare l’appello, quando una mia alunna mi porta un
biglietto che aveva trovato per terra. Me lo consegna, era scritto da un bambino: c’era scritto “Mi trovo
dove c’è un po’ di luce”.
Ammetto di essere rimasto molto colpito, tanto che mi sono soffermato qualche momento per cercare di
interpretare questa frase. A cosa voleva riferirsi ’mi trovo dove c’è un po’ di luce’. Ho iniziato a fare delle
supposizioni, prima tra me e me, poi a voce alta con i miei alunni.
Trovarsi dove c’è un po’ di luce può voler dire tante cose. Ad esempio uno che non ha le idee chiare ma
trova uno spiraglio per ragionare serenamente. Oppure chi è rimasto senza luce: magari un piccolo
bagliore può illuminare quanto basta. È la situazione di chi è disperato, sconfortato o senza via d’uscita e
trova nella fede ’un po’ di luce’ (per me è stata la prima ipotesi!). Ogni volta che si percorre un tunnel
con la macchina - soprattutto se molto lungo - uno spera prima o poi di uscirne, e quando vede la luce si
prova un senso di grande benessere: la luce dopo il buio, metafora sempre valida per la vita. Ripensandoci
ancora penso a quel dialogo tra filosofi scritto da Diogene: Mentre una volta prendeva il sole, Alessandro
Magno sopraggiunto e fattogli ombra disse: "Chiedimi quel che vuoi" . E Diogene, di rimando : "Lasciami il
mio sole ". In quel momento il sole, che scalda, abbronza, dona sollievo era ciò che di massimo si poteva
desiderare. Diogene si trovava dove c’era un po’ di luce, no?
È stato divertente quanto interessante sentire anche le ipotesi che alcuni dei miei alunni hanno fatto in
merito. Per poi scoprire che questo simpatico biglietto era un’indicazione per la caccia al tesoro. Un’altra
interpretazione!
3 novembre 2008
Riflessioni sull’aldilà (viste dall’aldiquà)
Debbo purtroppo cominciare questo articolo con una tiratina d’orecchie al sito del Vaticano. Già sabato
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sera avrei voluto pubblicare una frase che il Papa Benedetto XVI ha detto durante l’Angelus in occasione
della festa di Tutti i Santi; generalmente i testi ufficiali venivano pubblicati quasi in tempo reale. Ora no:
dopo due giorni ancora la sezione degli Angelus non è stata aggiornata. Se uno vuole sapere cosa ha detto
il Papa deve aspettare. Volevo essere più veloce del sito del Vaticano…
Con lo spirito di tutti gli anni sono andato comunque alla Messa del 2 novembre, ricordando nel cuore le
persone che ci hanno lasciate. Mi rendo conto ogni anno che passa quanto sia importante questo genere di
ricordi. Una volta lessi una frase di Confucio il quale diceva che è nel ricordo degli avi la nostra ricchezza,
e che nella memoria di chi ha lasciato possiamo trovare la saggezza dell’oggi. Un pensiero sicuramente
molto profondo; nelle culture orientali questo genere di memoria è molto sentito. Oggi si va nei cimiteri,
si portano i fiori, chi più chi meno recita qualche preghiera ricordandosi di essere cristiano, poi però si
cerca di allontanare il pensiero della morte. Realtà che sembra assente nel pensare comune, quasi a
volerne negare l’esistenza.
Nella festa della Commemorazione dei Defunti, così come nel mese di novembre, la Chiesa cerca di
riportare alla luce proprio il pensiero della morte alla luce della vita eterna. Tutti i perché - alla luce
della risurrezione - svaniscono, aprendo così alla nostra realtà terrena tutta un’altra dimensione.
Inevitabile il pensiero è andato ai miei cari, al mio papà innanzitutto, ma anche a tante altre persone care
che ci hanno lasciato. Vive il dolore umano, ma questo sentimento assume alla luce della fede cristiana
un’altra dimensione. Avere un papà in Cielo è altrettanto importante e consolante come averlo qui. Ne
parlavo qualche giorno fa con mia figlia, a proposito della nonna materna che lei ha conosciuto nei suoi
primi tre anni di vita; ne sente la mancanza, ma lei è anche consapevole della sua silenziosa presenza.
Sono contento che ogni domenica in Chiesa, da sola, spontaneamente, dedica l’accensione di una
candelina ai nonni scomparsi. Credo che i nostri giovani debbano essere educati non solo al consumo anzi, al divorare - quotidiano, ma anche al costante ricordo di chi ci ha voluto bene. Allontanare il
pensiero della morte non serve a niente; rendersi conto che prima o poi la nostra vita ci sarà chiesta
indietro ci aiuterà ad apprezzare con maggiore consapevolezza il tempo che ci è donato.
22 ottobre 2008
Gentilezze metropolitane
Chi dice che la città è sempre una giungla di cemento dove ognuno fa quel che vuole dovrebbe ogni tanto
provare a guardarsi intorno. Come sapete io giro molto, nel senso che nella mia vita da pendolare sono
costretto a prendere molti mezzi pubblici, tra cui il treno. Vi racconto due fatti molto semplici ma ricchi
di speranza.
Ore 18. il treno è piuttosto affollato dal momento che c’è stato il solito piccolo ritardo. Sono
insolitamente in piedi, mentre le fermate scorrono via lentamente. Ad un certo punto ecco il momento
tanto atteso: una signora dietro di me si alza e lascia libero il suo posto. Solitamente uno si aspetta la
classica situazione, ovvero che il più vicino prenda subito il posto facendo un tuffo degno di De Biasi! In
“vantaggio” c’era un signore. Quest’uomo insolitamente attende qualche istante (l’incertezza poteva
rivelarsi fatale), si guarda intorno e decide di allertare una signora al suo fianco chiedendogli se
desiderava sedersi. La signora ringrazia e si siede gioiosamente. Quel brav’uomo di altri tempi ha
applicato l’antica norma “cedere il posto alle signore”. Bravo.
Giorno successivo. Stavolta sono io il protagonista. Attendo il treno seduto su una panchina. Leggevo il
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giornale, quando una signora al mio fianco decide di accendersi una sigaretta. Si volta e mi dice: “le
dispiace se fumo? Non vorrei mandarle il fumo negli occhi?”. Caspita! “Fumo negli occhi”! Ricordo
immediatamente una bellissima canzone “Smoke gest in your eyes” ah… i Platters!Tornando
immediatamente alla domanda della signora, rispondo “No, grazie… faccia pure”. Ammetto la sorpresa
per una domanda così gentile ma soprattutto pronunciata con così tanto garbo.
Due piccoli episodi di ‘gentilezza urbana’ li vorrei definire. Piccoli ma efficaci, tanto insoliti da averli
notati e ricordati. Però tutto sommato è di questo che abbiamo bisogno: di piccole attenzioni, gli uni
verso gli altri, che ci aiuterebbero a vivere meglio.
4 ottobre 2008
Sono diventato invisibile!
Ogni tanto mi capita di leggere ai miei alunni una favola di Gianni Rodari dal titolo “Tonino l’invisibile”.
La fiaba narra di un bambino che per sfuggire all’interrogazione del maestro riesce a realizzare il sogno di
diventare invisibile. Dopo un momento di iniziale divertimento però, si rende conto che diventare invisibili
vuol dire anche sperimentare la solitudine e l’indifferenza delle persone care. Ovviamente alla domanda
che precede il racconto ‘Vorreste diventare invisibili?’ i bambini rispondono con entusiasmo di sì, per poi
cambiare idea alla fine della favola.
Ebbene, a me qualche giorno fa è capitato di diventare invisibile, proprio come il Tonino della favola. Mi
trovavo nella scuola dove insegnavo l’anno scorso per adempiere ad una richiesta fatta dalla scuola
relativa alle mie capacità informatiche. Entrando ho salutato qualche collega con cui volentieri si
scambiano delle battute. Poi man mano trascorreva la giornata ho cominciato a vedere dei genitori di exalunni e vari conoscenti che facevano finta di non conoscermi. Addirittura una di esse si è fermata davanti
a me facendo finta di nulla. E così via altre due-tre persone. Impossibile che questa gente si fosse
dimenticata di me; neanche l’educazione di dire semplicemente “Buongiorno!”… nulla. A quel punto mi
sono reso conto di essere diventato proprio invisibile! La favola che tante volte ho raccontato si era
concretizzata… come uscirne? Come tornare visibile?
Mestamente sono uscito dalla scuola per recarmi all’appuntamento con mia sorella, la quale gentilmente
mi offriva un passaggio con la macchina. Vedendola arrivare da lontano ho visto che mi lampeggiava con i
fari. MI AVEVA VISTO! Ero tornato visibile, l’incantesimo era finito! Appena aperto lo sportello gli ho detto
“Ma allora mi vedi?”. Lei, sbalordita, avrà pensato che avessi infranto la mia proverbiale astemia e che
quindi avessi bevuto un whiskey doppio al bar… No, per fortuna ero tornato visibile!
Si fa fatica ad essere invisibili. Sperimentare l’indifferenza degli altri. Forse in questo mi rendo conto di
avere una sensibilità maggiore rispetto a tanti; detesto vedere gli occhi della gente fare finta di nulla,
negare anche un banale e formale saluto. Spero di non tornare più invisibile ed incontrare gente che
invece che occhiali firmati porti sul naso gli occhi che sanno riconoscere con il cuore.
11 settembre 2008
La ‘particella di Dio’
Un mio amico tempo fa mi aveva detto: “Guarda che il 10 settembre la Terra scoppierà!”. ‘Caspita’, ho
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pensato, ‘meglio organizzarsi per tempo’ visto che uno lo sa prima. Poi, accantonata la notizia
nell’archivio delle battute da dimenticare, accendo la tv il giorno 10 settembre e sento come prima
notizia ai telegiornali che la Terra stava veramente per scoppiare. In realtà erano degli scienziati che –
dotati di sofisticatissime apparecchiature, molte delle quali di produzione italiana – hanno tentato di
riprodurre il Big Bang. Essendo un incompetente nella materia fisica e scientifica, poco ho compreso
dell’esperimento in termini tecnici, mentre mi faceva sorridere il grande entusiasmo e il volto felice di
tutti gli scienziati presenti nel laboratorio di Ginevra. Più che altro – dato che per il TG1 era la notizia di
apertura – devo pensare che si è fatto proprio sul serio. Gli scienziati si aspettano molto, e da questa
operazione sembrerebbero aprirsi grandi prospettive per la ricerca.
Mi ha colpito un’espressione molto forte degli scienziati, ovvero che uno degli obiettivi è ricercare il
bosone di Higgs, detto anche la “particella di Dio”, ovvero quel “qualcosa” che ha dato via alla grande
esplosione che poi ha generato il nostro pianeta. Si è così riaperto il rapporto tra tesi scientifiche e il
racconto biblico che in realtà di scientifico non ha proprio nulla e tantomeno pretende di essere un testo
scientifico. La Bibbia non spiega come si sia formato l’universo; si preoccupa solo di dare una risposta
esistenziale ai nostri ‘perché’ e soprattutto vuole dirci che tutto il creato è frutto della mano del
Creatore. Equivoco tutt’altro che scontato, dal momento che a scuola molte maestre di storia mi chiedono
come uscire da questo equivoco Bibbia-scienza, che poi equivoco non è.
Ciò che mi ha fatto riflettere è l’arroganza dell’uomo, curioso di conoscere cosa è veramente accaduto
milioni di anni fa; sì, forse queste ricerche ci aiuteranno a capire molto di più, forse no. Mi domando solo
se oggi, nel terzo millennio, non dobbiamo preoccuparci più di far andare meglio il mondo, piuttosto che
indagare sulle “particelle di Dio”. Detto questo, dico sempre ‘viva la ricerca scientifica’ perché l’uomo
deve continuamente interrogarsi e cercare delle risposte; però la ricerca deve avere un indirizzo di buon
senso, che si muova nel rispetto delle grandi risorse umane ed economiche che impegnano (l’acceleratore
di particelle è costato ben 6 miliardi di euro!) La scienza si ponga definitivamente un limite oltre il quale
non riesce ad andare. Il grande prof. Zichichi in un suo gradevolissimo libro “Perché io credo in Colui che
ha fatto il mondo” aveva capito che la scienza può spiegare tutto, ma mai riuscirà a capire i “perché”.
Alla faccia delle particelle di Dio!
21 agosto 2008
Una statua per Fonzie
Era proprio quello che ci voleva! Il giusto tributo ad un personaggio che ha influenzato la crescita di
diverse generazioni di ragazzi.
Ammetto di essere stato sempre un patito del grande Fonzie. Ed oggi mi ha fatto molta tenerezza vedere
in tv l’attore Henry Winkler, oggi 63enne, con i capelli un po’ bianchi scoprire il busto che rappresenta il
mitico Fonzie. È un telefilm che non muore mai, Fonzie; sono passati ormai più di trent’anni da quando la
famosa serie è stata girata. Nascevo io, nel 1974 e dall’altra parte dell’Oceano venivano girati i primi
ciack della serie; in Italia vennero trasmessi dal 1977 al 1984 con interminabili repliche, ancora oggi
affidate a Mediaset. Fonzie ha accompagnato la mia crescita, e ancora oggi – quando mi capita- mi
soffermo volentieri a rivedere le vecchie puntate.
Fonzie era un personaggio a mio avviso educativo. Apparentemente poteva sembrare un bulletto, dava
l’aria di uno violento con i jeans, il giubbotto di pelle con sotto quella maglietta bianca che ha fatto
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indubbiamente tendenza. In realtà Fonzie non ha mai dato pugni a nessuno, era un vero conquistatore non
solo perché era indubbiamente bello, ma anche perché era un incredibile romantico, gentile con le donne,
un uomo di altri tempi, lontano da quei personaggi volgari che propone la tv dei nostri giorni. Mi piaceva
perché si batteva per il bene di tutti, andava in moto, era un esperto di motori, un amicone di tutti. Mi
faceva impazzire – a proposito di pugni – quando dava il pugno sul juke-box che immediatamente suonava
una canzone per un ballo lento.
Della serie ho amato anche gli altri personaggi. La famiglia era al centro dei valori di tutti; si riunivano
intorno ad un tavolo per parlare, discutere, confrontarsi. I signori Cunningham erano genitori attenti ai
loro figli, che sapevano confrontarsi serenamente con le nuove generazioni mantenendo fede alle loro
tradizioni. Un ideale di famiglia che sicuramente era più sano, dove ognuno stava al suo posto, dove i figli
ascoltavano i genitori anche quando facevano di testa loro.
“Happy days” ha fatto veramente trascorrere giorni felici a tutti. Sono contento che l’inaugurazione di
questa statua mi abbia dato la possibilità di ricordare quei pomeriggi spensierati trascorsi insieme alla
comitiva di Fonzie. Ricordo il sapore molto anni ’80, la fetta biscottata con la Nutella (perché l’ora in cui
veniva trasmessa era quella della merenda), la rudimentale tv a colori dei miei genitori… Sapori del
passato, ma che tornano vivi ancora oggi quando sentiamo la canzone di apertura e di chiusura, quando
rivediamo quei personaggi straordinari riuniti ancora ad uno dei primi fast food d’America.
12 agosto 2008
Campioni olimpionici
Decisamente diamo troppa importanza al calcio, considerandolo come lo sport nazionale, e da molti
l’unico sport. Anche io, sicuramente, recito mea culpa in questo senso. Anche se vediamo ciò che ci
propongono, e quindi dove girano più soldi, nelle Olimpiadi il calcio non assume così tanta importanza, e
così capita di assistere a molte gare di competizioni che spesso cadono nel dimenticatoio.
E vediamo piccoli grandi campioni, atleti che ogni giorno si allenano con grande sacrificio; mentre
conosciamo tutti le gesta eroiche di Kakà e Ronaldinho, tanti campioni se li incontriamo per la strada
neanche li conosciamo.
Tra i tanti mi ha colpito Giovanni Pellielo, oro olimpico a Pechino nel tiro al volo. Un nome sconosciuto,
ma che nel dopo gara ha dato una bella testimonianza di fede (bella ovviamente per chi ci crede).
Intervistato da RaiSport Giovanni Pellielo ha detto che lui prega ogni giorno, e non per vincere la gara, ma
per arrivarci perché ogni giorno va vissuto come fosse l’ultimo, perché non conosciamo quando questa vita
ci verrà chiesta in cambio. Parole forti, purtroppo non riportate dai quotidiani (ecco perché non uso il
virgolettato). Di cattivo gusto gli scongiuri, tutt’altro che cattolici, dei presenti in studio: chi si toccava,
chi cercava di fare ampi gesti di scaramanzia…
Non vorrei far sembrare il mio intervento come il solito modo di fare dello squadrismo religioso. No,
Pellielo non è campione perché cattolico, è campione e basta. Di lui ho ammirato la schiettezza
nell’affermare e nel testimoniare la sua fede, a costo di essere deriso come poi è successo nello studio di
RaiSport. Parole anche di incoraggiamento ai giovani ad intraprendere lo sport come palestra di vita. E di
questi tempi – scusatemi – ma credo siano parole da lodare.
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7 agosto 2008
Alle Olimpiadi delle polemiche
Sicuramente le Olimpiadi di quest’anno verranno ricordate a lungo, a priori dei risultati sportivi e delle
competizioni che partiranno domani. La fiaccola olimpica già dalla sua partenza in giro per il mondo ha
trascinato con sé molte polemiche: il simbolo per eccellenza dello sport che propone valori universali è
stato preso a pretesto per denunciare soprusi e abusi del governo cinese agli occhi del mondo intero.
Giustamente, direi. Abbiamo sentito tanti attacchi alla Cina per non rispettare i diritti umani di tante
persone, compreso quello della libertà religiosa; pensiamo a quanti sacerdoti ed esponenti di altre
religioni vengono addirittura uccisi dal regime. Lo stesso Dalai Lama, in esilio, ha espresso più volte il suo
risentimento per i monaci tibetani repressi dai cinesi.
Pensiamo poi agli attacchi terroristici che ci sono stati nei giorni scorsi; il pericolo di altre manifestazioni
di questo tipo appare reale, almeno a detta degli ‘esperti’ nel settore. Quasi a voler gettare benzina sul
fuoco ci si sono messi anche i terremoti che hanno devastato molte zone della Cina provocando molte
vittime.
Mi chiedo se a questo punto sia stato giusto scegliere proprio Pechino per questi giochi. Forse sì perché
almeno si è affrontato il problema dei diritti umani, della pena capitale, della libertà di espressione, di
religione, di pensiero… Forse con occhio più prudente, il comitato Olimpico poteva scegliere una città più
tranquilla dove tutto si sarebbe svolto più serenamente. La Cina vorrà dimostrare al mondo la sua forza e
la sua potenza agli occhi del mondo; molti ci guadagneranno e cercheranno di trarre profitti sotto vari
aspetti da questa competizione.
Per il momento possiamo provare a concentrarci sui giochi olimpici, sulle prestazioni dei nostri sportivi,
nella speranza che le Olimpiadi possano essere “pegno di fraternità e di pace fra i popoli” come auspicato
da Benedetto XVI nell’Angelus di domenica scorsa.
16 luglio 2008
Una porta aperta
È vero, la vita merita di essere raccontata; questo slogan del mio sito mi ha fatto riflettere. Racconto le
mie esperienze, propongo spunti di spiritualità e di riflessione, parlo di argomenti seri a volte più leggeri,
a volte voglio far ridere, a volte vorrei parlare ai cuori di chi legge. Ma la vita è anche sofferenza, dolore.
Una nuova vita stava per arrivare nella nostra famiglia, invece ha preso un’altra strada. Quando succedono
eventi simili si dà spazio solo al silenzio. Stasera ho deciso di scrivere un po’, forse perché è un modo per
scaricare un po’ di tensione. All’improvviso ci si accorge della devastazione, fisica e morale. Devastazione
nell’aver visto svanito un sogno, nell’aver vissuto un momento magico e poi ritrovarsi come al di fuori di
una meravigliosa avventura; forse uno pensa sempre che certe cose possano accadere agli altri, mentre da
un momento all’altro ti trovi in un incubo. Uscendo per la strada ho sentito gente parlare delle cose più
comuni: due signore discutono sulla bellezza una camicetta, un ragazzo con un pallone cerca i suoi amici,
una mamma chiama i bambini al parco per dargli la merenda. Dentro di te il dolore, fuori di te il banale,
l’ordinario. E ti accorgi, ancora una volta che i piccoli problemi di tutti i giorni, ai quali spesso diamo un
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peso fin troppo eccessivo, sono poca cosa davanti al dolore vero, quello che ti annienta e di penetra nel
profondo del cuore.
Facciamo progetti sempre senza considerare la nostra fragilità. E invece la vita è un vero miracolo, e ogni
momento dobbiamo “respirare la vita”, accorgendosi di vivere dentro ad un miracolo vero e proprio, ogni
giorno, ogni momento. Da questa triste esperienza ho rivisto i miei figli e le persone care con occhi
diversi, quasi a rendermi conto della forza e del valore che ognuno di noi si porta dentro.
Al dolore non ci sono parole. Il dolore merita silenzio, rispetto, compostezza. Non ci sono cure, medicine,
terapie… le parole poi… quelle quasi non servono. Accettate queste mie righe, che non vogliono suscitare
compassione né tenerezza. È vita vissuta, che - ahimè! - merita di essere raccontata (lo slogan mi si
ritorce contro!). Non sempre c’è una spiegazione a tutto; non siamo in grado di capire e siamo sempre
nelle mani del Signore, nella gioia come nei momenti difficili. Sicuri che – come dice quella famosa
preghiera di autore anonimo – proprio nei momenti più duri le orme sulla spiaggia saranno solo due,
perché Lui ci avrà presi in braccio.
Ovvio che in questi momenti penso ad altri che hanno vissuto esperienze simili alla nostra; penso anche
con rabbia a chi, volontariamente, si fa giudice della vita decidendo come e quando interromperla. Alla
vita non si dovrebbe comandare, mai.
Una mamma ed un papà danno tutto ai loro figli; sono pronti a scalare le montagne per loro. Li amano
sempre, anche quando dormono. Un bimbo ha bussato alla nostra porta: era aperta. È entrato, ha creato
un po’ di “panico”, poi se ne è andato via nel silenzio. Una porta, quella dei cuori di una famiglia, che
rimarrà sempre aperta, nel ricordo e nella consapevolezza del suo valore.
30 giugno 2008
Una Chiesa vicina alle famiglie
Ogni tanto dobbiamo segnalare anche le buone notizie, del resto guai se non ce ne fossero. È da lodare
una bella iniziativa della Diocesi di Roma a favore delle famiglie con bambini molto piccoli. Dal momento
che è tragica la situazione degli asili nido nella Capitale, dove le liste d’attesa sono molto lunghe e molte
famiglie devono ricorrere ai nidi privati, pagando rette anche piuttosto alte (intorno ai 400-500 euro
mensili!), la Diocesi di Roma ha pensato di dare una mano a queste famiglie, aprendo non proprio degli
asili nido, ma degli oratori per bambini molto piccoli. Il Vicariato infatti ha incoraggiato le parrocchie
romane alla creazione di spazi idonei per accogliere i più piccoli; spazi inutilizzati nelle ore del mattino,
sfruttando così le risorse della parrocchia stessa. Alcune parrocchie si stanno già attivando per aprire nel
mese di settembre questi “oratori”. Sarà davvero una bella mano per chi deve affrontare il grave
problema di non sapere come fare per lasciare i propri figli.
Spesso sentiamo delle critiche alla Chiesa stessa proprio perché non aiuta le famiglie, o è troppo lontana
dai problemi di tutti i giorni. Mai come in questa occasione la Diocesi di Roma si è mostrata davvero vicina
ai problemi della gente e delle famiglie. Ricordo anche io quando ancora abitavo a Roma il grande
problema degli asili nido; negli anni nessuno è veramente riuscito a dare una svolta seria e concreta a
questo problema. Ora sicuramente l’amministrazione capitolina sarà ben felice di ricevere una mano dalla
Chiesa.
Vogliamo sperare che questa iniziativa che partirà a settembre possa davvero essere un servizio utile e
duraturo a tutte le famiglie. E poi si sa… i piccoli cristiani si allevano fin dalla culla!
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13 giugno 2008
Da pazienti a clienti
In questi giorni si parla moltissimo della famosa “clinica degli orrori” di Milano; nei telegiornali e nella
carta stampata questa vicenda occupa molto spazio, già da diversi giorni. Il fatto è che questo fenomeno
sta assumendo dimensioni sempre più importanti, e la vicenda sembra allargarsi a macchia d’olio.
Leggendo alcune interviste ai diretti responsabili, ai famosi “addetti ai lavori” o comunque a persone
interessate anche indirettamente alla vicenda, emerge un dato comune, se vogliamo inquietante. Si parla
non di ‘pazienti’ ma di clienti. La persona bisognosa di cure entra in clinica e da quel momento non è visto
come un paziente, ma come un cliente, ovvero come uno strumento per far soldi, possibilmente tanti.
Con questo non voglio affermare che tutte le cliniche private applicano esclusivamente un criterio di
profitto, ma di certo è innegabile che entrare in una struttura simile vuol dire diventare una possibile, e
quasi certa, fonte di guadagno per qualcuno. Pensiamo per esempio all’altissima percentuale di parti
cesarei che avvengono nelle cliniche private; donne che potrebbero tranquillamente partorire
spontaneamente ma che vengono sottoposte ad un vero e proprio intervento chirurgico (più redditizio
rispetto al parto naturale). Se ne parlò qualche tempo fa, poi tutto passò nel dimenticatoio dei misteri
dell’informazione. In un certo senso il passo non è poi così lungo dal parto cesareo alle operazioni per finti
tumori, solo che lì c’è gente con meno scrupoli che mettono il profitto al primo punto. Ciò che è successo
alla clinica “S.Rita” è davvero sconvolgente; gente capace di ammazzare dei pazienti e
contemporaneamente avere la forza di guardarsi allo specchio senza sputarsi addosso.
Non che il servizio sanitario pubblico sia migliore, ma io parto da un presupposto chiaro, che mi disse una
volta il mio caro amico don Fabrizio: non ti fidare mai di chi si prende cura di te e poi ti chiede i soldi.
Con questo viva i medici bravi e coscienziosi.
4 giugno 2008
Un piccolo incendio
Che siamo tutti collegati ad un filo, questa è cosa nota. In ogni casa la corrente elettrica è diventata quasi
indispensabile, figuriamoci negli uffici, nelle banche… Sabato sera, come sempre, mi trovavo davanti al pc
on l’intenzione di aggiornare il sito. Scritto il pezzo faccio la solita procedura di aggiornamento, ma…
niente! Provo, riprovo, faccio tentativi di natura diversa, ma il sito non si aggiornava. Dopo un po’ decido
di desistere e sono andato a letto, senza essermi riuscito a spiegare il perché di tale anomalia.
Riprovo l’indomani mattina e finalmente, dopo un po’, l’aggiornamento è andato. Nel pomeriggio mi
arriva una e-mail da Altervista (il server dove mi “appoggio”… a proposito… grazie!) che spiega tutto: un
incendio di natura elettrica, avvenuto in una non specificata zona degli Stati Uniti, ha mandato in tilt il
sistema, compreso il mio sito. Riflettevo nel leggere questa e-mail; pensavo a quanto sono distanti gli
Stati Uniti, e soprattutto alla loro immensa superficie. Poi ripensavo a me, seduto sulla mia sedia, in un
piccolo paese di provincia, con un sito piccolo piccolo… danneggiato momentaneamente da un incendio
negli Stati Uniti!
Se vogliamo siamo all’assurdo, eppure questi sono i nostri tempi. Legati tutti da un filo e da una rete che
alla fine ci ha pescato proprio tutti.
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21 maggio 2008
Che cantiamo?
Piazza del popolo, Roma, sabato 17 maggio. La solita tv accesa da parte di chi tiene democraticamente il
telecomando in mano, è ovviamente su “Amici”. Mentre preparo il caffè, ecco che arriva quello
squinternato di vincitore, tale Marco. Dovrebbe cantare una canzone di Antonello Venditti. L’intro è ovvia,
“Ricordati di me”. Inizia a cantare… “Ogni volta”. Boh, dico dentro di me, sarà ma a me non suona…
Infatti dopo poco viene interrotta l’”esecuzione” perché questo giovanotto cantava sulla base di
“Ricordati di me” il testo di “Ogni volta”. Inizialmente mi sono morto dalle risate, non riuscivo a crederci.
Di musica ne ho sentita tanta, ma una cosa del genere non me la sarei mai aspettata! Questo evidenzia
due cose: che Venditti si ricopia da solo, e che tale Marco è il vincitore di “Amici”. Detto questo, lascio a
voi le considerazioni del caso.
Trovavo difficoltà nell’inserire nel sito tale pensiero. “Dritto e Rovescio” mi sembrava di sparare sulla
Croce Rossa; forse andava bene “Ti strappo un sorriso” ma per questo ci voleva il video (chissà…. Su
Youtube, forse)…. Insomma il solito disastro di una trasmissione che illude i giovani, li sfrutta, li spreme e
poi li abbandona, tutti senza arte e ne parte.
Andate a lavorare!
16 maggio 2008
Uno scudetto solo solo
Inevitabile non parlarne. Per chi è tifoso, per chi segue il calcio è impossibile non pensare al finale di
campionato più imprevedibile di questi ultimi anni. Neanche un regista alla Dario Argento poteva far
incontrare le prime due squadre che si giocano un solo posto per la serie A. Praticamente un out-out, un
inferno-paradiso messo insieme. E già ci immaginiamo le scene di gente che esulta e gente che piange allo
stesso tempo, sullo stesso terreno. Impossibile che in un campo si goda tutti insieme…
Certo è che questo scudetto sarà dato in piena solitudine. I tifosi di Inter e Roma non potranno assistere le
loro squadre nelle rispettive città (per i romanisti una fatica risparmiata!!!); colpa di un calcio malato, di
una situazione in cui rischiare l’incolumità di tanta gente non vale proprio la pena. E così si è deciso di
non fare i cosiddetti “figli e figliastri”: tutti a casa a vedere la partita in tv. Una saggia decisione, una
volta tanto! Anche se mi domando come si possa pensare di impedire la libertà di movimento a tanta
gente contemporaneamente.
Lo so, lo so… molti di voi aspettano il mio commento da tifoso (laziale). Che vi devo dire? Per noi
biancocelesti il campionato è finito da un po’, tra attese, speranze e tanta rabbia che i tifosi stanno
sfogando contro il proprio Presidente. Effettivamente non hanno tutti i torti. Su Inter e Roma vi lascio
immaginare per chi faccia il tifo.
Da sportivo serio, imparziale (non-laziale) vi dico che non mi fido dell’Inter. Max Pezzali la definiva “pazza
Inter”… effettivamente non c’è da stare allegri quando uno sbaglia un rigore che può valere uno scudetto.
Speriamo non sia la paura a sopraffare i nerazzurri. I “peperones” dal canto loro hanno astuzia, scaltrezza
e coraggio, doti che alla lunga hanno permesso una insperata rimonta.
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Lo sport ci regalerà ancora per 90 minuti dei momenti magici. Scopriremo chi ha vinto solo alla fine delle
partite! E ancora per una volta i tifosi saranno tutti lì, a vedere come va a finire. Staremo a vedere. Per il
momento auguriamo all’Inter di non essere troppo pazza, al Catania di fare la partita della vita, e alla
Roma e al Parma di…….. beh, lo lascio immaginare a voi!
14 maggio 2008
Statali fannulloni? Parla uno statale…
Ha fatto sicuramente scalpore, ma in un certo senso nessuno si è meravigliato, il servizio di “Repubblica”
sui dipendenti statali del “palazzaccio” di Roma che entravano, timbravano il cartellino e poi uscivano per
sbrigare “altri affari”…! Una denuncia contro l’assenteismo, contro la chi – pagato dallo Stato – non svolge
con professionalità il suo lavoro.
A dire il vero quando parliamo di statali mi sento anch’io chiamato in causa, perché chi vi scrive seppur
all’amorevole servizio della Chiesa è anche dipendente dello Stato. Ammetto che una certa mentalità un
po’ troppo lassista gira anche nel mio settore. Sicuramente nella scuola – almeno in quella elementare
dove insegno io – lasciare il posto di lavoro e magari incustoditi 20 bambini è più un rischio che un reale
beneficio; con questo però non voglio dire che siamo tutti immacolati. Anzi.
Per molti il fatto di non avere un vero e proprio controllore, un capo (a certi servirebbe un carabiniere)
che controlla e vigila con poteri decisionali e disciplinari seri, è uno stimolo in più ad approfittarsi di certe
situazioni. Mi arrabbio molto quando vedo molte assenze “strategiche” come è stato per le elezioni;
colleghi che hanno avuto il coraggio di “ammalarsi” per tre settimane, aggiungendo ai giorni di chiusura
per le elezioni e ai ponti, giorni di ‘malattia’. Una specie di epidemia che ha colpito diversi insegnanti,
guarda caso tutti quelli che vengono da fuori sede, da altre città, altre regioni. Detto questo mi indigno
anche a sentire lamentele sulle ferie, sulla mole e sull’orario di lavoro… sicuramente le responsabilità
sono tante, il lavoro è in certi momenti davvero duro, ma di certo non possiamo dire di non godere di
benefici ad altri negati. Di persone che lavorano tanto e lavorano duro ne ho conosciute molte… il mio
mestiere al confronto, è un’altra cosa.
In questo senso più che parlare di statali fannulloni, oserei dire di dipendenti statali con una mentalità da
fannulloni. Fannulloni forse è un po’ troppo. Di certo manca la voglia di fare e la sensibilità di fare bene
fino in fondo il proprio lavoro. E il lassismo è evidente agli occhi di tutti quando andiamo negli ospedali,
agli uffici postali, negli uffici pubblici, nella pubblica amministrazione. Addirittura i nostri politici, i
cosiddetti “pianisti” che votano per altri deputati assenti… come si dice in questi casi il pesce puzza dalla
testa…
Chissà mai se le cose cambieranno veramente. Credo però di no, almeno fino a quando le regole e le
sanzioni non saranno più chiare e soprattutto esecutive per tutti.
6 maggio 2008
Che dire?
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Sinceramente volevo esprimere stasera il mio punto di vista sugli ultimi fatti di cronaca che hanno visto
purtroppo protagonisti i giovani. Volevo, perché in realtà stasera in testa ho tanti dubbi, domande,
perplessità.
Ho visto il video girato dai ragazzi di quella scuola di Viterbo che davano fuoco ai capelli di un ragazzo che
frequentava lo stesso istituto. Appena quattordicenni, bulli di primo pelo, smaliziati e terribilmente
cattivi. Il video è agghiacciante, mi ha lasciato sconcertato, amareggiato. Bravate filmate con il
telefonino, poi messe in circolazione e infine nella solita rete smaliziata di internet (addirittura il sito
dell’Ansa ne dava risalto).
Cosa dire poi di quei ragazzi che hanno addirittura ucciso uno sconosciuto per una sigaretta negata.
Violenza, tanta violenza, repressa e poi sfogata senza un minimo contegno, senza un vero e fondato
motivo (anche se nessun motivo giustifica una violenza, tanto meno se futile).
Cosa dire… non lo so neanche io.
Ogni frase, ogni concetto stasera risuonerebbe scontato, ovvio. Parlare del malessere giovanile, della
politica che si disinteressa di loro, dell’ “emergenza educativa” di cui parlava Benedetto XVI, della
disattenzione della scuola al problema del bullismo… non lo so, tutto suona come qualcosa di sentito e
risentito, a volte pieno di discorsi nauseanti da talk-show pieno di frasi fatte e senza conclusioni concrete.
Davanti a tali fatti rimane lo sconcerto e la domanda “cosa dire?”. Ma soprattutto, cosa fare? Lasciare lo
spazio per una riflessione silenziosa, davanti alla morte, al dolore, a vite distrutte di giovani del nostro
tempo.
14 aprile 2008
La saggezza di Valentina
Valentina è un’anziana signora che vive nel mio palazzo; ogni tanto viene a casa nostra, spesso la vediamo
entrare e uscire, anche al mattino molto presto. Questa donna ha avuto una vita piuttosto dura; non molti
anni fa perse un figlio in seguito ad una grave disgrazia, e poco tempo dopo anche il marito. Di Valentina
la nostra famiglia ha sperimentato la saggezza, la generosità infinita, la disponibilità, l’allegria che ci
mette nel salutare i nostri bambini.
Nelle scorse settimane è venuta a casa per una serie di iniezioni da fare ad uno di noi. Nel suo parlare un
po’ dialettale, di persona non molto istruita, Valentina ci ha regalato ultimamente due frasi che mi hanno
colpito molto.
E così una sera, mentre preparava il medicinale per l’iniezione, ci parlava della gestione di alcuni piccoli
risparmi. Nel mezzo del suo discorso guarda il piccolo Gabriele e dice: “i figli so’ miliardi”, loro sono la
vera ricchezza di una famiglia. Una frase apparentemente buttata lì così, senza dargli troppo peso, che
però mi ha colpito. La speranza di accumulare, di avere, di guadagnare, ci fa dimenticare che il valore
unico è proprio nei nostri figli. Non che io da padre non lo sapessi… ma detto così mi ha fatto pensare a
quanti figli sono purtroppo considerati un peso più che una benedizione.
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Qualche sera fa, la seconda “perla”. Il tema era la pizza. Beatrice ha raccontato a Valentina che qualche
tempo fa siamo andati a mangiare una pizza al ristorante. Valentina, nell’accogliere lo stupore della
nostra piccola, ci guarda e ci dice “Quando volete andare a mangiare una pizza, andateci. La vita è breve,
vi sfugge e certe cose non tornano più”. Mi ha fatto pensare a quante volte noi stiamo lì a privarci anche
dei piccoli piaceri senza renderci conto che poi la vita scorre via. Carpe diem!
Negli anziani si racchiude la saggezza degli uomini. Una saggezza che non viene dai libri o dalle cattedre
universitarie, ma dal cuore di chi ha vissuto una vita. Anziani che spesso siamo capaci di abbandonare o di
dimenticare, ma che invece sono un polmone inesauribile per la crescita delle nuove generazioni.
3 aprile 2008
Elettori scoraggiati
Siamo ormai veramente agli sgoccioli, mancano una decina di giorni alle elezioni politiche. Ogni tanto tra
amici, parenti o colleghi ci si trova a parlare dell’argomento, facendo commenti, pronostici,
considerazioni. Diciamo che aleggia una certa mancanza di fiducia generalizzata nella politica, o almeno
di questa politica; ma la cosa che ho raccolto di più è che molti non andranno a votare. Questo se
vogliamo è un dato davvero allarmante, che i nostri politici dovranno prima o poi prendere in
considerazione.
Personalmente non ritengo l’astensionismo una valida alternativa; probabilmente questo sarà dovuto alla
mia giovane età, dove c’è un barlume di speranza per il futuro. Del resto il diritto a votare rappresenta
una conquista che i nostri nonni hanno guadagnato con sacrificio, e solo nei paesi dove non c’è libertà
manca la possibilità di esprimersi.
Certo è che questa campagna elettorale non incoraggia certo gli elettori. Gli slogan di certi soggetti che
sentiamo nelle radio, nelle televisioni o nei cartelloni pubblicitari, rasentano spesso il patetico. Promesse,
promesse, promesse… impegni… tutti sembrano prendere veramente sul serio i problemi della gente.
Anche gli stessi leader non si distinguono in originalità, le promesse e gli impegni sono più o meno gli
stessi; si scrivono i programmi, si firmano contratti, eppure molti italiani sono veramente scoraggiati. La
politica di oggi è priva di ideali, di un pensiero dove la gente possa ritrovarsi; non propone ideali, scuole
di pensiero, ma solo frasi fatte, vuote, che lasciano il tempo che trovano. Perché la politica di oggi è
clientelismo, affari, gestione. Come recita il “Rap lamento” di Frankie Hi Nrg (il rapper di Sanremo) “qui
nel nostro stato il campionato vien giocato solamente da due squadre con le maglie identiche” e gli
elettori sono solo “colonna di un sistema”!
Detto questo il 13 e il 14 aprile mi recherò lo stesso, certificato alla mano, al seggio elettorale, anche io
un po’ scoraggiato. Ma voterò, questo è certo, perché almeno posso sentirmi parte attiva di un
meccanismo: unico momento in cui la politica coinvolge i propri elettori, che dal lunedì pomeriggio
torneranno a subire e ad osservare quanto succede. Metterò la mia “x” dando fiducia a quella corrente
politica in cui non mi ritrovo, ma che ritengo la meno peggio. E andare a votare per il ‘meno peggio’,
credetemi, è tutt’altro che un’esperienza gratificante.
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25 marzo 2008
Papà ti spiego cos’è la guerra
In occasione della Pasqua, Beatrice, la primogenita di 4 anni, ha portato a casa un biglietto augurale
realizzato a scuola con allegata una simpatica poesia. Questa poesia si concludeva con una frase molto
incisiva: “ci sono cose da non fare mai, una di queste è la guerra”. Dopo i complimenti e i baci di mamma
e papà, ha voluto precisare cosa fosse per lei la guerra, e mi dice: “la guerra è quella che si fa con i
pugni. E anche con gli schiaffi e i calci, e la guerra, papà, non si deve proprio fare!”.
Ammetto che questa spiegazione mi ha fatto molto riflettere. Mi ha lasciato qualche secondo in silenzio a
pensare, perché ritenevo “bello” questo concetto di guerra. Non che la guerra sia bella, per carità, ma la
sua idea di guerra si estende a tutto ciò che è violenza; anche due compagni che a scuola si prendono a
schiaffi per lei è “la guerra”.
Come sempre la visione dei bambini deve insegnare molto anche a noi adulti. L’innocenza dei bambini è
talmente semplice che proprio in questa semplicità sono conservati i segreti per risolvere i grandi
problemi del mondo.
Beatrice non potrebbe certo accettare l’idea che la guerra si fa con le armi, quelle vere, che sparano e
uccidono.
Non potrebbe accettare che le armi le costruiscono uomini che ogni giorno studiano per costruirne di
nuove, più forti e capaci di uccidere più persone in breve tempo.
Non potrebbe accettare e capire che le armi le vendono gli stati, che vengono finanziate dalle banche
dove noi mettiamo i nostri risparmi.
Rifiuterebbe l’idea che la guerra si fa per i soldi, e che davanti ai soldi si arriva ad uccidere uomini
innocenti.
Non capirebbe che nel cielo volano anche aerei da guerra, e nel mare ci sono anche navi che viaggiano con
il loro carico di munizioni e polvere da sparo.
Non potrebbe certo comprendere che molti bambini e bambine come lei vivono di stenti e di sofferenza a
causa della guerra.
E ancora, rifiuterebbe l’idea della guerra come mezzo per seminare odio, violenza e sangue tra popoli
della stessa nazione, magari di etnie diverse, ma figli e fratelli della stessa terra.
La guerra, per una bambina di 4 anni è sinonimo di violenza. E la violenza ai suoi occhi si esercita con i
pugni, gli schiaffi e i calci; ingrandito alla vita di tutti i giorni – perché di certo nessuno di noi può
veramente fermare la guerra fatta con le armi – la guerra la viviamo nei nostri condomini, nei
pianerottoli, nelle famiglie, nei corridoi delle scuole, nelle corsie degli ospedali, nelle strade, nelle
periferie… quando l’uomo non sa dominare se stesso e ribadire a se stesso che “la guerra non si deve
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proprio fare”.
Quanto insegnano i bambini.
7 marzo 2008
La stessa faccia di due vite diverse
A volte la vita in modo beffardo ti mette davanti a due situazioni opposte. Mi trovato al mercato della
frutta qualche mattina fa, e mentre le mie mani sceglievano delle succulenti pere, sento parlare vicino a
me un signore sulla sessantina d’anni, il quale sia per il tono della voce, sia per la sua gestualità ha
attirato la mia attenzione. In perfetto dialetto romano riferiva ad una signora che interloquiva con lui più
o meno queste parole: “Vede signò, se lei viene qui verso le due del pomeriggio, trova un sacco de frutta
per terra! Io vengo qui, nun me vergogno a diglielo, me le prendo e me le porto a casa: quelle bone me le
magno, quelle che so’ marce le butto. Perché vede signò… io so un morto de fame. Me arzo la mattina
alle 3 pe annà a lavorà, ma so un morto de fame, nun c’arivo alla fine der mese. Oggi i giovani a lavorà
non ce vogliono annà: aspettano che more la nonna, er nonno, er padre o la madre speranno che lasciano
quarcosa…”.
Mi colpiva il modo di parlare di quel signore, che in fondo non si vergognava della sua situazione. Un
dignitoso signore, costretto alla sua età a fare chissà quale lavoro ma allo stesso ammettere
pubblicamente la sua condizione di indigenza. Non facevo fatica a credergli: non era un miserabile, faceva
tenerezza, ma allo stesso le sue parole mi hanno spinto in una profonda riflessione sulla situazione di tanti
nostri anziani, costretti a vivere del minimo indispensabile dopo aver lavorato una vita.
Finita la mia spesa al mercato, mentre vado verso casa decido di entrare in una tabaccheria per
acquistare dei francobolli. All’interno vi erano solo due persone, anch’esse di mezza età. Ebbene, uno dei
due decide di giocare al Lotto, puntando in tutto 50 euro su due ambi. Rileggendo la schedina disse anche
di aver sbagliato perché i numeri da giocare non erano forse quelli, ma degli altri… come se nel Lotto ci
fosse un criterio logico da seguire! Tira fuori dal portafogli la banconota da 50 euro ed esce. L’altro
signore – probabilmente un amico del tabaccaio – fa un commento sulla pazza giocata di quel signore. Il
tabaccaio, dal canto suo, diceva che in fondo quello non era niente: “La gente – diceva – non sai cosa fa
con il Gratta e vinci. Buttano un sacco di soldi”.
Ripensavo al signore che prendeva la frutta alla fine del mercato, e allo stesso tempo ripensavo a quei 50
euro usciti come se niente fosse dal portafogli di quel signore. Due facce della vita, “miseria e nobiltà”
avrebbe detto Totò. Ma, ripensandoci bene, forse sono le facce della stessa medaglia: da un lato chi non
riesce a vivere, dall’altro chi tenta di tutto pur di sbarcare il lunario, impoverendosi ulteriormente per
vivere di speranza. Questa è l’Italia del nostro tempo. Che merita attenzione, rispetto e soprattutto azioni
concrete.
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5 marzo 2008
Perché il testo della Bertè è satanico
Qualche perplessità mi è venuta fin dal primo ascolto. La canzone non mi quadrava del tutto, e così sono
andato a rileggermi il testo del brano di Loredana Bertè “Musica e parole” presentato al Festival di
Sanremo 2008.
Dopo un’attenta lettura e rilettura mi sono apparsi chiari dei riferimenti al satanismo. È necessaria, anzi
indispensabile, una premessa.
Qualche anno fa ho letto un libro e degli articoli in merito a questo argomento, dal momento che era
tema dibattuto con interesse in un gruppo di ragazzi adolescenti della parrocchia. Dovetti informarmi e
dal momento che per natura tutto ciò coinvolge il mio campo di studio e di lavoro sono un curioso, mi
imbattei in numerose letture. Il principio secondo cui “gira” il satanismo è proprio quello di capovolgere
tutto ciò che ha valore e senso per chi ha fede in Dio. E così nascono i messaggi subliminali nelle canzoni,
le preghiere lette al contrario, il sacrilegio delle Ostie consacrate e anche i riti satanici non sono altro che
una demonizzazione del divino, proprio perché Lucifero è il contrario assoluto di Dio. Al satanismo poi si
legano molte altre simbologie e ritualità di cui non vorrei dilungarmi perché inutili o poco idonee al nostro
discorso. Per questo vi rimando ad alcuni articoli che un esperto giornalista in materia, Carlo Climati
(disponibili nel sito www.carloclimati.com), ha scritto qualche anno fa, nello specifico tra il rapporto tra
musica e satanismo.
Detto questo torniamo alla nostra Bertè.
Il testo della canzone non è apertamente satanico, nel senso che l’artista non poteva certo esporsi a tal
punto in una rassegna così nota, ma le parole che lei stessa ha scritto possono essere interpretate in un
preciso orientamento. È lo sfondo generale della canzone che induce ad avanzare diverse ipotesi e a
generare più di un sospetto. Se, come detto in precedenza, il principio è quello di ribaltare il senso delle
cose, ecco che andiamo ad analizzare alcuni passaggi.
“Paradiso un corno/ stiamo già all'inferno/ passo anch'io” questo stare già all’inferno, offendendo
addirittura il Paradiso è l’inizio di segnale piuttosto inquietante;
“Tu sai che l'arrivo imprevisto/ di un povero cristo/ non ci salverà” in questo passaggio viene messo in
dubbio il ritorno di Cristo, principio su cui si basa la fede cristiana;
“dentro l'uragano/ un canto gregoriano/ chi lo sente” qui si prende addirittura un canto gregoriano che
non viene ascoltato perché siamo dentro un uragano. Quale uragano renderà impossibile l’ascolto di un
canto gregoriano, quindi a sfondo religioso? Eccolo spiegato subito dopo:
“Lucifero sul tetto/ i media sotto il letto/ che regia!” Lucifero metterà a tacere – da abile regista – tutte
le voci che gli vanno incontro. Che regia! Commenta l’autrice del testo. Mica male, no?
“Mentre tu sai chi sono i ladroni/ e chi sono i buoni/ non cambierà/ comunque innocenti/ però non ci
senti/ è la verità/ Solo tu/ perchè tu”. A questo punto comincio a dubitare che quel “tu” della canzone
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non sia rivolto ad una persona ma magari al Lucifero di prima. Lui sa chi sono i ladroni e i buoni, e anche
da innocenti gli uomini non saranno ascoltati, perché “lui” è la verità, il male. Solo “lui” sa! Incredibile!
Ma ciò che mi ha tolto qualsiasi dubbio è anche il ritornello, perché viaggia su un ritmo metrico davvero
strano. La Bertè ripete “solo tu/ solo tu/ solo tu/sei” per ben tre volte. Se “tu” sarebbe il diavolo…
attenzione, perché ripetendo il ritornello tre volte ecco che di “sei” ce ne sono tre! È il 666, il classico
numero del satanismo.
Detto questo le cose sono due. O io ho viaggiato con la fantasia, e vedo anche cose che non dovrei vedere,
oppure quello che vi sto scrivendo è verità. Inoltre non dobbiamo staccare la canzone dal personaggio, nel
senso che la Bertè ha portato una canzone chiaramente copiata, ma durante il Festival ha detto che ha
scritto tutte lei “da sola” le parole dopo aver letto i Vangeli. Non penso che dopo aver letto i Vangeli si
possa arrivare a dire scrivere che Lucifero è sul tetto, quasi in posizione di comando, dominante. Inoltre
lei stessa ha indossato, come nel suo stile recente, un ambiguo cappuccio… Nessuno, e sottolineo nessuno,
della stampa e dei giornali ha sottolineato questo aspetto (forse la regia di Lucifero che avrebbe messo i
media sotto al tetto ha funzionato?), e questo appare inquietante. Se questo fosse il vero senso di questa
canzone, che ha fatto scandalo proprio perché vergognosamente copiata (e non credo all’insaputa di
tutti), sarebbe un fatto davvero grave su cui interrogarsi e riflettere. Può arrivare un testo del genere in
una vetrina come Sanremo?
28 febbraio 2008
Salutando i fratellini di Gravina
La terribile scoperta dei due fratellini di Gravina di Puglia ha scosso le coscienze e la sensibilità di molti di
noi. Un po’ come nel caso del piccolo Tommy, tutta l’Italia stava seguendo la vicenda. Il caso ha voluto
che questi due bambini fossero scoperti da una vera e propria casualità, un ragazzo che cade in una
cisterna e chiede soccorsi. Quella cisterna – guarda caso – è proprio il luogo dove si trovavano i corpi dei
piccoli.
Una vicenda terribile, una fine impensabile. Due ragazzini finiti lì sotto, sono morti nella solitudine e nel
dolore. Molti di noi si domandano cosa sia veramente successo, è impossibile dare una risposta anche se
ognuno ha una sua ipotesi. Omicidio o incidente? E le indagini sono state compiute in modo scrupoloso?
Rispondere a questi dubbi è compito degli investigatori.
Quando i protagonisti di queste sfortunate vicende sono i bambini, il dolore di tutti arriva in fondo al
cuore. Questi due bambini a quanto pare vivevano in un contesto socio-culturale piuttosto difficile, con un
forte disagio. devono intervenire lì dove questo disagio viene manifestato. Spesso l’omertà fa più male
della violenza domestica, perché si vuol togliere una mano che invece dovrebbe essere tesa ad offrire
aiuto. Sicuramente questi due ragazzi potevano essere aiutati prima, e come loro tanti altri ragazzi che
vivono in famiglie dove regna un clima di solitudine, violenza e degrado. Offrire a questi ragazzi un aiuto,
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una speranza per poter costruire la propria vita con valori sani: è il compito di tutta la società, almeno
una società che tiene a cuore il futuro dei propri giovani.
E invece qui si uccide, scorre il sangue, la violenza: pedofilia, abusi, violenze di vario genere,
accattonaggio… Come per il piccolo Tommaso, come per altri ragazzi e bambini che non trovano anime
disposte ad amarli, a valorizzarli e ad educarli.
Mentre piangiamo nel silenzio Ciccio e Tore, pensiamo ad altri ragazzi e bambini che vivono in condizioni
di disagio; ma soprattutto ognuno di noi si impegni a fare ciò che le proprie possibilità gli consentono per
aiutare chi è più debole e indifeso, come i bambini. Sarà un modo per cercare di non sentire notizie dove
si bruciano le giovani vite della nostra società.
22 febbraio 2008
Ma come fai?
Questa è la domanda che tutti gli amici che incontro mi fanno dopo appena aver parlato del sito. “Ma
come fai ad aggiornarlo così spesso?”. Effettivamente è una domanda a cui rispondo spesso, ed è
divertente vedere i volti sorpresi delle persone! Diciamo che per me scrivere è un fattore indispensabile;
da sempre ho amato la scrittura, fin da ragazzo ho sempre scritto pagine di appunti privati da qualche
parte, come se fosse qualcosa di assolutamente naturale. E in questo senso è stato piuttosto naturale
aprire un sito e tenerlo aggiornato costantemente, unico modo per renderlo vivo, altrimenti – come diceva
una Preside di una scuola dove insegnavo qualche anno fa – il sito sta lì come “la foto del nonno morto!”.
Mi ha fatto ridere questa espressione, ma in fondo contiene una grande verità.
Il tempo effettivamente è tiranno, è poco per tutti, e neanche io sono dispensato dal corri-corri
quotidiano. Arrivo a sera e mentre tutti si addormentano, magari davanti alla tv, io mi ritrovo qui, nel
silenzio a scrivere. Di giorno non riesco a scrivere neanche due righe, le parole si bloccano, i pensieri non
escono dalla testa. La sera invece, dopo una giornata fatta di figli e di scuola, quando i miei piccoli sono
andati a letto – se non sono troppo stanco – per me inizia un’altra giornata, un pezzo della mia esistenza a
cui non potrei rinunciare, anche se ultimamente mi sono un po’ autodisciplinato nel non superare certi
limiti. Leggo le notizie nei quotidiani online, navigo, scrivo qualche e-mail, poi quando il cervello ha
iniziato a girare comincio a scrivere qualcosa per il sito. Molto spesso arrivo con le idee molto chiare,
perché magari durante la giornata “ho scritto” il pezzo a mente. A volte invece nasce tutto lì per lì,
sollecitato da qualcosa che non come definire. L’atto di scrivere è solo un breve momento, perché le
parole scorrono spesso molto velocemente. Impaginare e aggiornare tutte le parti del sito poi, è un vero
atto di creatività. Questo non va sottovalutato, perché la parte creativa è la più bella, posso esprimermi
anche in questo senso. L’impaginazione – quando è necessaria - di solito è la cosa più lunga e a volte
difficile. Ma sono proprio solo, non ho collaboratori, non ci sono segretarie, redattori, suggeritori… tutto
ciò che leggete è “roba fatta in casa”. Stasera una collega mi chiedeva – a proposito di questo – di svelare
anche di quale polvere bianca faccio uso…. Niente! Assolutamente niente! Del resto se questo è “il sito
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che racconta la vita”, la vita va raccontata tutti i giorni.
Dopo aver scritto vado a dormire. Dormo sei, al massimo sette ore a notte, la mattina sono di nuovo in
piedi (a volte con domande mistiche-esistenziali tipo “chi sono?” “da dove vengo?” “qual è la meta della
mia vita” “dov’è il bagno?”) pronto per ricominciare la giornata fino a sera. Il tutto donando a mia moglie,
ai miei figli e alla scuola il tempo che rimane.
A volte sono stanco, è vero. In certi momenti c’è anche il bisogno di tirare il fiato, ed è per questo che
cerco di prendermi qualche pausa ogni tanto, ma con il tempo mi sto sforzando di impormi una certa
autodisciplina. Quando ci sarò arrivato sarà una grande conquista.
Detto questo, vi saluto. Non so voi, ma io dopo aver terminato l’articolo andrò a letto!
9 gennaio 2008
Io e il gospel
Era da poco passata la mezzanotte e nel periodo festivo mi concedo ogni tanto qualche tiratina un po’ più
tarda del solito. Alla tv a mia insaputa stava iniziando un concerto gospel registrato nella cattedrale di
Orvieto per l’iniziativa “Concerti per la pace”. Si esibiva “BOBBY JONES & THE NASHVILLE SUPER CHOIR”.
Il nome ovviamente era sconosciuto anche a me, ma questi signori e signore avevano il tipico aspetto di
cantanti gospel; abiti tutti uguali rigorosamente scuri, le donne e gli uomini ovviamente neri, i musicisti
neri anch’essi, la circonferenza delle signore era di una certa stazza… ma soprattutto voci incantevoli che
si alternavano e duettavano con il leader Bobby Jones che da quanto ho capito è un personaggio di rilievo
nel gospel. I brani proposti erano decisamente coinvolgenti, quelli lenti come quelli più vivaci.
Inizialmente il gelido pubblico della cattedrale era immobile, poi piano piano si sono sciolti anche i signori
della prima fila. Più andava avanti il concerto più lo spettatore veniva coinvolto da questi canti che sono
poi delle preghiere, o comunque testi di carattere sacro. Non vi sto a descrivere la mia emozione e la mia
esaltazione nel sentire cantare questi angeli vestiti di nero.
Per un attimo mi sono immedesimato in uno dei musicisti, il chitarrista ovviamente. Per anni ho suonato la
mia chitarra nella Messa dei giovani eppure sempre ho sognato di suonare un giorno qualche gospel.
Purtroppo però le nostre tradizioni musicali in campo liturgico attingono a tutt’altra radice e quindi
questo genere non viene praticato; sono sicuro che se fossi nato nel Mississippi il mio posto era lì, in una
chiesa a suonare questi gospel. Perché? Perché anche io non sono nero e non mi trovo a Memphis in una
chiesa a suonare gospel?!?!?!
A parte gli scherzi, adoro questo genere di canti che a mio avviso renderebbero più allegre certe liturgie.
Infatti anche il sacerdote che ha preso il microfono alla fine dell’esibizione, anch’egli preso
dall’entusiasmo, si è augurato che a tanta energia attingano anche le nostre liturgie affinchè siano un po’
“più vive” (parole sue). Penso che ad un popolo non gli si possa imporre una musica che non è la sua; noi
non riusciremmo a cantare il gospel e loro non riuscirebbero a cantare i canti liturgici latini o gregoriani…
Ad ognuno il suo, questo sì. Ma, ripeto…. Quanto mi sarebbe piaciuto prendere la mia chitarra e suonare in
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mezzo a questi musicisti di grande spessore emotivo qualche canto… chissà, forse in Paradiso, sempre che
mi accettino!
31 dicembre 2007
Verso l’anno che verrà
Eccoci finalmente all’ultimo giorno dell’anno. Ultimo aggiornamento per il 2007, ultimi pensieri, ultime
riflessioni su un anno ormai alle spalle. Tra poche ore ognuno di noi si farà gli auguri per il nuovo anno, si
cercheranno le persone care per trascorrere una serata felice. Questa data da ragioniere (il 31/12 è la
classica data da ragioniere, ecco perché il capodanno forse non mi fa impazzire!) ci spinge tutti,
inevitabilmente, a fare un piccolo resoconto o bilancio dei 365 giorni trascorsi.
Ammetto che il 2007 non è stato un anno di quelli che ricorderò nella vita. È stato un anno vissuto
nell’ordinarietà, cioè in quella situazione di normalità che tutto sommato non si deve mai disprezzare; un
po’ come nella natura ci sono delle fasi in cui le piante crescono, lentamente, ma vivono, sono sempre
verdi in attesa del periodo della fioritura. E così è stato un po’ il mio 2007, un anno di crescita, di vita
semplice e normale, senza né alti e né bassi. Però dal momento che la mia filosofia è quella di dire
sempre “chi vuol essere lieto sia, del doman non v’è certezza” allora va tutto bene. Del resto il
benessere, la salute, le gioie della vita… niente è eterno, non è detto che duri per sempre e quindi come
tale il tempo che passa va benedetto perché donato da Dio. Va benedetto anche quando vediamo tutto
nell’ordinario: la famiglia, i figlioli che crescono, il lavoro che va avanti, le amicizie, gli affetti… tutto ha
contribuito a rendere questo anno sereno. In ogni giorno trascorso ho assaporato le fatiche della vita:
sacrifici per crescere i figli, i tempi spesso sempre troppo stretti, i sacrifici economici per una famiglia
come la mia, perplessità e dubbi su alcune scelte in campo lavorativo, educativo… E anche per questo
posso ringraziare il Signore perché tutto è stato superato, da tante situazioni ho avuto modo di imparare e
di crescere. Penso anche a questo sito, che ha raccontato la vita proprio nella quotidianità. Un sito che è
cresciuto, che ha avuto un momento primaverile di calo e di stanchezza, ma che poi ha ripreso forza e
vigore nella seconda parte dell’anno con un rinnovamento grafico e di contenuti. Attraverso il sito ho
provato a raccontare la vita, la mia vita, fatta di incontri, di esperienze, di abbracci, di bambini, di
emozioni belle e brutte.
Penso anche al mio Paese. Nonostante ciò che ci dicono i nostri politici al governo, vedo che molte
famiglie non ce la fanno a pagare il mutuo, a vivere serenamente, a progettare un futuro per i giovani, a
pensare a far nascere dei figli perché risorse e strutture spesso non aiutano; tra facili promesse, rosee
prospettive e offensive considerazioni come quella dei “bamboccioni”, i nostri governanti dovrebbero
preoccuparsi dell’aumento dei prezzi, del costo della vita, dei problemi pratici di tutti i giorni che le
persone normali vivono. Ma su questo continuo a pensare che loro vivono un’altra realtà. Molta gente ha
perso la vita sul lavoro, alcune persone per colpa della violenza dilagante; l’Italia ha perso un grande
artista di fama mondiale come Pavarotti. Forse l’Italia ne esce con qualche ossa rotta e con tanti
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interrogativi da risolvere.
In tutto questo speriamo di poter vedere nel 2008 buoni frutti. Molto dipenderà da ciascuno di noi. A tutti
voi va il mio miglior augurio per l’anno che verrà.
28 dicembre 2007
Lo sguardo sorpreso dei miei figli
Essendo questo un periodo di vacanza dalla scuola, il tempo lo trascorro quasi esclusivamente con i miei
figli. Una vera full immersion che da un lato è inevitabilmente faticosa, ma dall’altro incredibilmente
emozionante. A me riempie il cuore trascorrere con loro il tempo; siamo tutti un po’ più riposati e questo
ovviamente contribuisce a rendere il clima più sereno e gioioso.
In questi giorni ho visto dipinto nel loro viso spesso lo stupore e la meraviglia. Quelle emozioni che tutti
noi dovremmo riscoprire davanti alle meraviglie della vita, e farci quindi riscoprire il bambino che è in
noi. È stato così in occasione dell’imponente figura di Babbo Natale, intervenuto sia la sera della vigilia,
sia dopo il pranzo natalizio entrando sempre dalla finestra (in due case diverse) e sotto mentite spoglie
prima di uno zio poi di un cugino. Mentre Beatrice ha “sospettato” che dietro l’abito ci fosse una figura
familiare, Gabriele era pressoché paralizzato dallo stupore, ma non impaurito. Nei loro sguardi c’era tutta
l’ammirazione e la gioia di chi vive la bellissima età dell’infanzia.
Stupore anche davanti al primo regalo che Babbo Natale ha consegnato ai bambini. Beatrice tutto
sommato se l’aspettava il pacco incartato, mentre Gabriele ha sgranato gli occhi e senza alcun timore
reverenziale è andato da Babbo Natale a prendersi il pacco, tutto felice!
Tenerezza invece l’ha suscitata ieri il piccolo Gabriele davanti ad una macchinina radiocomandata. Non
avendone mai vista una si è letteralmente impaurito nel vederla correre e sbattere contro i mobili.
Quando la vede gira, con molta cura, alla larga. Tutt’altra reazione invece l’ha avuta davanti ad una
bruttissima befana che abbiamo comprato a Piazza Navona; questa befana fa un ghigno malefico e gli
occhi si illuminano di rosso…. Apparentemente sembrerebbe terrificante, ma lui si spaventa per una
macchinina e non per la befana! Davvero incredibile.
Durante queste vacanze non smetterò di osservarli e di stupirmi anche io, con la consapevolezza che loro
stanno vivendo un periodo magnifico della loro infanzia, ed io mi sto godendo questo spettacolo della vita
come spettatore non pagante, ma decisamente appagato dall’entusiasmo, dall’affetto e dalla dolcezza dei
miei “pezzi di cuore”!
14 dicembre 2007
Perché non scrivere la letterina a Babbo Natale
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Il tempo natalizio è inevitabilmente anche il tempo dei regali. Sembra proprio non riuscire a tirarsi fuori
da questa consuetudine. Soprattutto si pensa ai bambini ai quali si cerca di non far mancare mai un regalo
sotto l’albero. È un classico anche la famosa “letterina a Babbo Natale” che i genitori chiedono di scrivere
ai loro figli, in modo da vedere concretizzata l’espressione del desiderio dei propri figli.
La letterina a Babbo Natale la trovo non educativa. Mi spiego. Non di rado ho assistito al momento
dell’apertura dei pacchi natalizi, momento di vera estasi per molti bambini. In più di un’occasione mi è
capitato di vedere nei loro volti una certa tristezza dovuta al non aver ricevuto tutto quello che avevano
richiesto nella letterina. Ovviamente i genitori non possono sempre soddisfare proprio tutte le richieste
dei bambini, per svariate ragioni. Il momento dell’apertura dei regali per molti è un momento di gioia ma
che facilmente può trasformarsi in delusione.
Invece di far scrivere le letterine a Babbo Natale e di presentare a lui una lunga lista di giocattoli, i
genitori farebbero meglio ad insegnare più la gioia del ricevere che il diritto di pretendere. Aprire un
regalo – qualsiasi esso sia – deve essere un momento dove si dovrebbe insegnare ad apprezzare la gioia del
dono arrivato. Sarò forse troppo teorico, oppure i miei figli sono ancora troppo piccoli e magari anche io
mi piegherò nel corso degli anni a questa abitudine, forse sarà una visione fin troppo utopica (come certe
teorie educative), ma sicuramente quanto sostengo richiede tempo e costanza per far passare questo
concetto.
Oggi i bambini hanno tanto, a volte fin troppo. Insegnare ai più piccoli che un regalo è un bene prezioso,
frutto di un generoso gesto da parte di qualcuno, è quanto meno una posizione che vuole far passare il
concetto di fondo che nella vita non tutto è dovuto, non tutto è scontato, non tutto è per sempre. Senza
far mancare ai bambini i classici regali natalizi, proviamo ad investire qualche risorsa del nostro tempo
nell’insegnare loro ad apprezzare quanto “Babbo Natale” ha voluto portare… di sua spontanea volontà,
perché Babbo Natale non può sbagliare un regalo!
26 novembre 2007
Il godereccio per il virtuale
Impazzano gli spot pubblicitari sui regali natalizi. Inevitabile, ogni anno siamo bombardati da novità,
vecchie proposte, babbi natale di tutti i tipi… il solito rito consumistico che sfuma sempre più il significato
sacro di una festa cara a tutti, anche a coloro che non credono. Certamente lo spot che mi ha colpito di
più è stato quello che ha per protagonista Panariello. Sarà perché mi fa simpatia il comico toscano, ho
osservato attentamente cosa succede nella sua casa; tutti gli invitati cominciano a giocare davanti ad un
videogioco dove invece del classico joestick dei comandi sono loro stessi a muoversi e quindi a diventare
protagonisti. E così iniziano partite virtuali di tennis o lanci ai birilli del bowling e altre diavolerie. Non è
certo una novità di quest’anno; nella scorsa estate assistii a mio nipote che davanti alla tv faceva una
virtuale lotta e addirittura una volta – sempre per finta – suonava la chitarra!
Inorridisco al pensare che della gente possa mettersi davanti ad uno schermo e pensare di giocare a
tennis. Come innorridisco al pensiero che questa realtà virtuale voglia far credere alla persona che si
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mette davanti allo schermo di poter vivere le esperienze più disparate, convinto anche di divertirsi.
Sarà veramente il momento di tornare alla vanga e al badile. Sarà forse ora di riportare i bambini in
campagna, fargli mungere una capra, far vedere dove nascono i cetrioli e come si coltiva un orto;
assistere alla nascita degli agnellini o vedere lo schiudersi delle uova… Forse sarà il caso di riconquistare i
parchi, l’aria aperta, la bicicletta e godersi un tramonto. O magari poter incontrare i nostri amici davanti
ad una pizza fatta in casa, e magari suonare anche la chitarra per davvero come si faceva negli anni ’80.
Chissà, forse dovremmo anche riassaporare la gioia di suonare uno strumento per davvero.
Lasciare da parte questi marchingegni che ci riduranno con il tempo a dei poveri dementi, incapaci di
lanciare una vera palla da bowling, ignorandone il fascino e l’ilarità nell’indossare quelle ridicole
scarpette.
Lasciamo perdere il virtuale per assaporare la genuinità della vita.
21 novembre 2007
Tolto il dente…
Mi reco come sempre nel solito studio della mia dentista di fiducia. Entro e trovo con molta sorpresa un
altro dottore, un sostituto. Pazienza, dico, sarà bravo lo stesso. Dopo un breve dialogo ecco che il
famelico dentista, mentre scruta silenzioso la radiografia, tuona una sentenza spietata: “Senta, questo
dente è da levare”! Caspita, non ero preparato a tale eventualità! Arrivo predisposto per un semplice
controllo ed invece questo sconosciuto individuo vuole togliermi un dente, un mio caro dente al quale,
seppur malato, ci sono affezionato…
Ammetto di essermi trovato in grande difficoltà. Dopo una serie di indecisioni il medico mi lascia qualche
minuto per pensare ed intanto si reca in un’altra stanza. Mi trovo lì, nella sedia del dottore, solo,
disperatamente solo con il dubbio se togliere o no questo dente. In quegli interminabili minuti penso che
nella vita ci sono anche questo tipo di situazioni; decidere in pochi istanti cosa fare di se stessi, della
propria salute, del proprio dente, se affrontare questa situazione oppure rimandarla. In realtà non sapevo
bene cosa fare neanche quando ho visto rientrare il dentista. Quasi senza pensare, con una certa
incoscienza, decido di procedere all’estrazione. Coraggioso, no? Forse. Mi sono accorto che in queste
situazioni sono spesso le remore di tipo mentali a frenare le azioni di ognuno di noi. Semplicemente non
ero preparato, ed era più l’effetto sorpresa a sconvolgermi che non l’operazione in sé. Del resto uno
sconosciuto, perché per me restava uno sconosciuto, mi stava proponendo di togliermi un dente!
Insomma, il dentista inizia a prendere gli inquietanti strumenti del mestiere. Anestetico, siringhe e
soprattutto le… PINZE. In quel momento ho pensato ad una strana legge del contrappasso: i miei alunni si
stavano vendicando, dal momento che io per sdrammatizzare la situazione davanti ai loro stravaganti
malesseri mi propongo come dottore che toglie denti, stacca le teste per mandare via il mal di testa o
altre bizzarre operazioni simili. Sentivo le loro voci che mi dicevano: “adesso vediamo se hai coraggio!!!”.
Stavolta toccava a me…!
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L’estrazione del dente è stata meno dolorosa di quanto pensassi. Nel momento dell’operazione pensavo –
stavolta seriamente – ai malati, a quanti stavano peggio di me e offrivo il mio dolore per molti di loro.
All’improvviso dopo una serie di vigorose spinte, il dente decide di uscire. Era lui: il dente del giudizio.
Spero che il dentista oltre al dente non mi abbia tolto anche quel “giudizio” di cui tanto avrei bisogno. Il
dottore me lo fa vedere, poi lo prende e lo butta via. Ed io che volevo metterlo sul comodino nella
speranza di trovarci l’indomani un soldino!
La mia disavventura quotidiana terminava così. Con un dente di meno, ma con la consapevolezza di aver
avuto un certo coraggio che non pensavo di saper dimostrare a me stesso. Ne sarò uscito arricchito?
17 novembre 2007
Donare il sangue
Ammetto che io sono stato un irrefrenabile “fifone” fino a qualche anno fa. Già, l’idea di andare a farmi
bucherellare per donare il sangue proprio non mi entrava nella testa. Fu il mio vice-parroco, il caro don
Fabrizio, una volta dall’altare a farmi cambiare idea; parlò di questo problema della raccolta del sangue
con talmente tanto impeto da farmi veramente cambiare idea, perché solo gli stupidi non cambiano mai
idea. E così mi decisi ad affrontare questo grande passo. In realtà non era nulla di trascendentale. Mi recai
nella mia parrocchia, dove due volte all’anno i medici dell’Ospedale Bambin Gesù vengono a raccogliere il
sangue. Da allora non mi sono perso un appuntamento, cercando di stare sempre bene e non prendere i
farmaci vietati prima della donazione. La “puncicata” per il prelievo è veramente un’idiozia, a pensare al
bene che si potrà fare. Nel mio caso poi è addirittura destinato ai bambini, quindi lo faccio ancora più
volentieri e con il cuore più generoso che mai. Nella sala in cui generalmente doniamo il sangue c’è un
crocifisso: durante la donazione mi soffermo diversi istanti a contemplarlo un po’, perché le sofferenze
del Cristo appeso sulla croce sono le stesse sofferenze di tanti piccoli bimbi che affrontano
quotidianamente malattie o operazioni alle quali non vorremmo mai assistere. Ma è inutile fare come gli
struzzi, è inutile nascondere a noi stessi la sofferenza, quasi a volerla esorcizzare: soffrono i grandi e
soffrono i piccoli, gli onesti e i malvagi, i ricchi come i poveri, e la sofferenza quando è tale non ha
colore, non ha stato sociale. Ognuno di noi donando il sangue può fare qualcosa per il prossimo che soffre.
Inoltre donare il sangue è anche una buona occasione per controllare la nostra stessa salute, dal momento
che il nostro sangue viene anche analizzato prima di essere preso per buono; se dovessero esserci delle
anomalie vengono ovviamente segnalate.
Non sto facendo il discorso “teorico”: chi vi scrive è un donatore affezionato, che dona il sangue due volte
l’anno, che vive quello che vi scrive. È un modo per dimostrare il nostro SI’ alla vita e vincere uno stupido
egoismo, inutile quanto dannoso.
31 ottobre 2007
I miei santi
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Domani arriva la festa di tutti i santi. La Chiesa e tutta la comunità cristiana riflettono sul vero fine della
vita umana: la santità. Parola che spesso spaventa, disorienta, quasi non ci si ritrova. Come? Io santo.
Come San Pietro, come San Pio da Pietralcina…. Sicuramente questi sono santi da “santino” ovvero quei
santi difficilmente raggiungibili in statura di fede, ma del resto non è l’eroicità straordinaria che viene
chiesta ad ogni uomo, ma quella eroicità di tutti i giorni che chiede obbedienza e fedeltà al messaggio
evangelico. Con tutte le nostre cadute e le nostre colpe: una volta leggevo una frase di un importante
santo (ma ahimè non ricordo il nome) che diceva che la vera santità non è nel non cadere mai ma nel
sapersi sempre rialzare.
Quindi con tutte le difficoltà, gli errori, i peccati, le negligenze e le omissioni ogni uomo può raggiungere
la santità. Del resto l’uomo non è “create” santo, ma deve “diventarlo” elevando la sua vita fino a
renderla piena di senso.
Anche io ho i miei santi di riferimento. Figure che ho studiato quando ero tra i banchi dell’università, ma
soprattutto storie di uomini che ho avuto modo di approfondire personalmente attraverso la lettura
biografica e spirituale della loro vita. Non ultimo anche lo sforzo di pubblicare la storia di un santo al
mese nel sito è un modo per me stesso di conoscere nuove figure ogni volta. Quando penso ai santi, penso
soprattutto a coloro ai quali mi affido. San Francesco sicuramente è uno di quelli che mi scalda il cuore e
che sento più vicino a me. C’è poi San Tommaso Moro, la cui vita è una testimonianza non solo per
l’eroicità della sua coerenza alla fede ma anche come padre ed educatore (aspetto poco studiato); penso
poi a quei santi che mi hanno arricchito teologicamente come San Tommaso, Sant’Agostino e
Sant’Anselmo durante il corso dei miei studi. C’è poi San Filippo Neri “Pippo bono” definito un “santo che
ride” per la sua ironia e allegria. San Massimiliano Maria Kolbe, la cui vita è una profonda testimonianza di
amore verso l’uomo, qualunque esso sia. Le “sante” come Santa Chiara, Santa Rita da Cascia dove ho fatto
una meravigliosa gita-pellegrinaggio, Santa Patrizia… e ancora molti altri santi che scopro continuamente,
perché leggere la vita di un santo è qualcosa che arricchisce l’anima e spinge l’uomo ad andare verso il
Vangelo.
Ci sono poi tutti quei santi che abbiamo conosciuto nella nostra vita e di cui la Chiesa non può certo
elevare agli altari. Persone “anonime” che nella loro esistenza sono stati esempio e modello per tutti noi.
E ce ne sono, sicuramente io ne conservo diversi nel cuore; persone a me care, amici e amiche di cui ho
conosciuto le virtù nella mia parrocchia che mi hanno dato molto. A questi santi dovremmo rivolgerci più
spesso. Una volta un sacerdote durante una omelia disse delle parole molto forti: “Io prego
incessantemente i “miei” santi che sono in cielo, quelli che io stesso ho conosciuto. E loro intercedono per
me. E questa non è teoria, è esperienza”. Quel finale mi fece ancora una volta capire che la famosa
“comunione dei santi” esiste.
Mentre svaniscono gli echi di feste di streghe e zucche che evocano morte, distruzione e satanismo,
rivolgiamo gli occhi a chi ha vissuto eroicamente la propria vita, consacrandola a Dio e all’amore verso i
fratelli.
27 ottobre 2007
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Bambini senza
Ancora una volta i tg hanno attirato l’attenzione sulla triste vicenda della piccola Denise Pipitone,
scomparsa come noto da tre anni dalla sua casa di Mazara del Vallo. La mamma in occasione del settimo
compleanno della sua piccola, si è incatenata davanti al Quirinale per chiedere un cambiamento della
attuale legge sui sequestri di minori. La vicenda è nel cuore di tutti gli italiani, credo che ognuno di noi ha
nella sua memoria lo splendido volto di questa piccola creatura.
Faceva più tristezza del solito vedere la signora Piera Maggio davanti al Quirinale. L’impressione è proprio
quella di una donna sola, sola in una mattina di pioggia romana, seduta con l’ombrello e uno striscione
poco visibile; Piera Maggio è solo una donna che vive una pena incredibile e l’immagine di ieri, così
malinconica, ha evidenziato ancora di più la sua triste situazione. Sembra assurdo credere che nessuno sa
dove sia finita questa bambina. Qualche falso avvistamento, questo sì, che fa solo aumentare l’angoscia e
lo sconcerto. Nel mondo delle immagini, diffuse attraverso tutte le possibili forme, nessuna persona ha
mai più visto questa bambina, come se fosse sparita nel nulla. E più passa il tempo, più la speranza di un
ritrovamento si affievolisce. Alla signora Piera va riservato tutto l’affetto di una nazione che vede negli
occhi della piccola Denise l’innocenza e la purezza, infranta da qualche orco che chissà dove (speriamo)
tiene questa piccola.
E nella stessa giornata di ieri anche la vicenda della piccola Madeleine è stata ripresa per via
dell’ennesima intervista che i coniugi portoghesi hanno rilasciato. Mentre però per la vicenda di Denise
l’atteggiamento dei nostri tg, forse per una maggiore vicinanza territoriale, mostrano rispetto e
comprensione, per la vicenda di Madeleine i giornalisti non sono sempre stati teneri, sconfinando spesso in
una spudorata morbosità. Tanti i sospetti e le accuse ai genitori che – effettivamente – sembrano aver
fatto dell’immagine della piccola, una icona dei tempi moderni. Ma non sta a noi giudicare
l’atteggiamento di due genitori che hanno nel cuore una grande pena; se poi saranno scoperti responsabili
della scomparsa della loro figlia il caso passerà ai giudici, ma anche agli psichiatri. La cosa che mi ha fatto
sobbalzare però, è stata la conclusione di un servizio del TG1 sul caso Madeleine, che cita un sondaggio
secondo cui circa l’80% degli intervistati non crede alla buona fede dei genitori. L’informazione deve dare
notizie o diffondere sondaggi con lo scopo di infangare la reputazione di due persone, alle quali – ripeto –
va comunque il nostro rispetto e comprensione?
La speranza è di rivedere nuovamente a casa Denise, Madeleine, i fratellini pugliesi, e tutti quei bambini
di cui non si ha più traccia. L’Italia spera, come sperava nella vicenda del piccolo Tommaso, che ha tenuto
col fiato sospeso milioni di persone. L’augurio è che stavolta l’epilogo sia diverso e che tante sofferenze
possano essere ripagate con una gioia che non avrà confini.
16 ottobre 2007
La mia vecchia cinta
Inevitabilmente, con l’inverno alle porte, arriva il momento del cambio di stagione. E così con un certo
slancio provo ad affrontare l’odiato momento, purtroppo impossibile da rimandare o da evitare. Come
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spesso accade capitano tra le mani diversi capi di abbigliamento che si decide di eliminare, magari perché
di qualche taglia troppo “giovane”. Tra queste cose mi è capitata la mia vecchia cinta. Una cinta che ha
una storia, perché mi fu regalata quando avevo 11-12 anni (erano i tempi delle scuole medie) ed è stata
mandata “in pensione” solo quest’anno, dopo che era veramente ridotta male. È uno di quegli oggetti a
cui una persona si affeziona, ed acquisiscono un valore proprio per una questione puramente affettiva.
Prima di decidere di buttare definitivamente questa cinta, mi sono soffermato a guardarla attentamente;
c’erano proprio i segni del tempo, e osservando questa vecchia cinta di cuoio ho rivisto i miei felici anni
delle scuole medie, poi le superiori, le prime fidanzate, le uscite con i miei amici il sabato sera, lo stadio,
l’università, il viaggio di nozze, la sala parto… tutto (o almeno quasi tutto) vissuto insieme alla mia
inseparabile cinta. Un pezzo di vita, molto più di un pezzo di cuoio un po’ rovinato. Non so perché ma fin
dall’inizio ricordo che quella cinta mi fu subito “simpatica” e decisi di portarla sempre sui miei
inseparabili jeans. Ovviamente con il tempo i jeans si sono avvicendati, ma lei la cinta no, sempre la
stessa, sempre con la stessa brillantezza.
Sembrerà davvero un discorso strano questo, e forse lo è, me ne rendo conto anche in questo momento
mentre scrivo, che sto parlando di una vecchia cinta. Eppure quando l’ho vista per l’ultima volta mi sono
soffermato a guardarla attentamente… Ora ne ho una nuova, ma questa è senza un sentimento, senza
vita, ha tutto da dimostrare e tanto (speriamo) da vedere. Per me è stato difficile scegliere quale doveva
essere la sostituta della mia vecchia cinta.
Generalmente non sono uno che si affeziona troppo agli oggetti, ma forse la mia cinta ha assunto un
valore significativo perché ha navigato in un periodo della mia vita così bello e che non tornerà più. E
forse dietro a questo vecchio pezzo di cuoio mi sono accorto che in fondo c’è un po’ di nostalgia per il
passato. Questo era il vero motivo di tanta nostalgia…
27 settembre 2007
Tortorella: “La RAI snobba il 50° dello Zecchino d’Oro”
Dalle pagine di Avvenire del 25 settembre apprendo lo sfogo del famoso Cino Tortorella. Le sue sono
parole pesanti: «Alla Rai non ci sono più programmi per i ragazzi e anche del mio Zecchino d'Oro non
gliene frega niente. Anzi due o tre anni fa hanno cercato di farlo sparire. Eppure costa poco, solo il
doppio di quello che è costato Coco all'Isola dei Famosi. […] In Rai non ci sono più programmi per i
ragazzi, né su Raiuno, né su Raidue: una cosa inaccettabile e una mancanza di sensibilità. Hanno
cancellato proprio tutto e il mio programma è solo una foglia di fico. […] Per i ragazzi in Rai ormai c'è
solo su Raitre la Melevisione. Anche questa è solo una la foglia di fico. Dei ragazzi importa ormai poco
alla tv e non a caso poi li vediamo protagonisti di incredibili fatti di cronaca. Spero ci sia Topo Gigio, ma
a poco più di un mese non posso confermare neppure questo. Non capisco proprio perché non si sfrutti di
più questa manifestazione. Eppure facciamo uno share del 27-28%. Una cosa che, parlo ora come autore
tv, non mi lascerei scappare».
Si commentano da sole le parole di Cino Tortorella, ideatore del famoso programma canoro per bambini
che ha accompagnato musicalmente la crescita di molti di noi, negli ultimi 50 anni. La sua denuncia suona
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come qualcosa di già sentito in passato, quando il programma stava per finire a Mediaset e poi quando la
Rai è stata capace di mettere in discussione anche il contratto con Topo Gigio. Il topo più famoso del
mondo ha infatti disertato le ultime edizioni dello Zecchino. Mi domando come facciano quelli della Rai a
pagare e a non mettere in discussione gente come Alda D’Eusanio o Luca Giurato e a cacciare dalla porta
il povero Topo Gigio!
Ma Tortorella denuncia anche la mancanza totale di programmi per bambini. Credo che più manchino più
che altro programmi “adatti” ai giovani e ai bambini in televisione; nelle varie tv domina la violenza nei
cartoni, nel wrestling, nei film e nei varietà i bambini vengono a contatto con la volgarità, nei reality sono
astio gratuito e discriminazione.
Lo Zecchino si appresta a compiere 50 anni. Un bel traguardo davvero, al quale mi sento di porgere la mia
gratitudine per averci regalato indimenticabili ritornelli, allegre canzoni e spensierati momenti d’infanzia
che ora, grazie ai miei bambini, sto rivivendo alla scoperta di alcuni valori troppo spesso dimenticati.
25 settembre 2007
La logica del mouse non ci cambierà
La riflessione che ho fatto ieri pomeriggio giustifica per certi versi il sottotitolo del sito “la vita merita di
essere raccontata”. Già, essere raccontata. E così mentre mi trovavo nell’ennesimo incontro con le
famiglie a scuola, mi tornava in mente un discorso che qualche giorno fa facevo con un mio amico
artigiano, ottimo corniciaio e amico prezioso. Ultimamente mi è tornata in mente un’idea, in un modo
così insistente che a volte la vita sembra proprio volerti dire o insegnare qualcosa.
Il computer, ormai diffuso, credo abbia modificato un po’ il modo di comportarsi di alcune persone.
Attraverso il mouse possiamo tranquillamente modificare un’immagine, un testo, un articolo, una foto a
nostro piacimento; possiamo allungare, accorciare, cambiare carattere, sfondo, contorni, suoni… insomma
il pc si presta in modo molto duttile ai cambiamenti che ogni fruitore desidera apportare. Questa logica e
questo modus operandi, ho notato che molte persone lo trasportano nella vita di tutti i giorni.
E così si parte dal poster del corniciaio che uno vorrebbe modificare secondo le proprie misure, per
arrivare a desiderare una scuola secondo le proprie esigenze (che spesso non contemplano affatto quelle
degli altri) e i propri parametri; in molti casi si vorrebbe anche una parrocchia e forse una fede
estendibile ai propri confini e ai propri limiti; forse anche nei rapporti umani molti, con un colpo di
mouse, vorrebbero modificare gli altri. E così è anche nell’aspetto fisico: il ritocco di un viso o di un corpo
non è così semplice come modificare una foto, quasi da ridurre la propria fisicità ad un formato jpg!
La vita – ahimè – non è così duttile. Ci sono persone più o meno morbide, caratteri più duri e altri più
estroversi e simpatici; insegnanti dolci e altri più aridi; parrocchie e parroci più accoglienti, altri meno;
visi belli e visi meno belli, altri bellissimi altri più bruttini; ci sono persone che accettiamo e con cui
andiamo d’accordo, altri con cui non è semplice convivere. Ci sono momenti belli e momenti più grigi
nella vita di tutti i giorni. Non sarà la logica del mouse a cambiare il mondo. Semmai ognuno di noi
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dovrebbe imparare ad accettare la non modificabilità degli eventi della vita.
28 agosto 2007
Si torna a parlare di aborto
Si torna prepotentemente a parlare di aborto in Italia. Il caso dell’interruzione di gravidanza praticato a
Milano a metà giugno ha qualcosa di incredibile: una coppia di genitori decide di praticare l’aborto solo
per uno dei due gemellini che si trovavano nel grembo materno, ovviamente quello “malato” affetto da
una sindrome di Down. Il caso ha voluto che i bambini – questi birboni – si sono scambiati di posto da
un’ecografia all’altra e così è stato ucciso quello sano. Una volta accortosi dell’errore i così detti
(l’aggettivo è d’obbligo) genitori hanno deciso di abortire anche quello rimasto.
Quando andiamo al mercato sappiamo selezionare e distinguere tra una pesca matura e una più acerba,
possiamo valutare al supermercato se un prodotto è più valido di un altro, possiamo anche scegliere al
negozio di vestiti quale pantalone è più alla moda e quale invece non ci piace. E così ora si fa la stessa
cosa con i figli: la prego dottore – avranno detto questi signori – ci lasci quello buono, l’altro lo butti pure
nel water (perché è lì che vanno a finire). La beffa del destino ha voluto però che fosse quello sano a
rimetterci la vita. Un fratello capace, così piccolo, di salvare la vita a quello più debole. Lo dico sempre
che i bambini si mettono sempre dalla parte del più indifeso.
E quando sentiamo – giustamente – la Chiesa protestare, perché la Chiesa è dalla parte del più debole ed
in favore della vita, dovremmo soffermarci un po’ a riflettere. "Nessun uomo ha diritto di sopprimere
un'altra vita. Nessuno uomo ha il diritto di sostituirsi a Dio. Per nessuna motivazione. Eppure innocenti
continuano a morire. E' così che sono morte due bambine, a Milano. Uccise nelle conseguenze di un
aborto selettivo. E' la cultura della perfezione che impone di escludere tutto ciò che non appare bello,
splendente, positivo, accattivante". Queste, in sintesi, le parole di fuoco dell’Osservatore Romano. Parole
definite “banali” dalla radicale Rita Bernardini. Il commento lo lascio al lettore.
Continuare a soffermarsi solo sulle conseguenze che la legge 194 produce, potrebbe risultare un po’
troppo da politici e un discorso ormai fatto e rifatto, anche perché di polemiche questa legge ne ha
sempre suscitate, fin dalla sua approvazione. È necessario discutere di leggi, ma altrettanto importante è
intraprendere una strada che faccia capire all’uomo che è doverosa e moralmente ortodosso, accogliere la
vita in tutte le sue sfaccettature. Accettare chi non è uguale agli altri – con il conforto e il sostegno della
Chiesa e delle strutture sanitarie statali – vuol dire difendere la vita e tutelare il debole. Altrimenti lo
Stato in quanto istituzione dovrà domandarsi da che parte si sta schierando.
25 agosto 2007
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Ricomincia il Campionato
Finalmente. Sì, finalmente ricomincia il campionato di calcio. Basta con estenuanti partite amichevoli,
notizie finte e notizie vere di calciomercato, dichiarazioni, allenamenti… Ora si ricomincia a fare sul serio.
E così il tifoso ricomincerà a vivere, il martedì, il mercoledì, il sabato, la domenica, di pomeriggio, di
sera, di mezza serata… tutto ricomincerà ad avere un senso, un po’ meno per le mogli come la mia. Tutti
davanti alla tv, allo stadio, nei pub, nelle case degli amici, incollati alle radioline come negli anni ’80,
tutti i tifosi che si rispettino riprenderanno a respirare calcio, a vivere il campionato con le solite
emozioni.
Ricordo con simpatia Fantozzi, quando tornava a casa e si immedesimava con la tv, fino a condizionare
l’intera vita della famiglia, tanto da coniare alcuni termini simpatici come “birra e rutto libero” (!) nel
mercoledì di coppa. Chi rimarrà a casa vorrebbe essere allo stadio (come me), mentre chi invece si
troverà sugli spalti soprattutto nelle serate invernali piovose e fredde non si pentirà di essere andato in
curva a scaldare il cuore del tifo per i propri colori. Parlo ancora da tifoso di curva, anche se quella
dimensione purtroppo l’ho accantonata da un po’. Ma il calcio, come saprete, non l’ho mai abbandonato,
fin dal primo giorno quando, da bambino, papà mi portò alla prima partita di una Lazio spuntata e in serie
B. Ma quando vedo quei colori scendere in campo mi fanno tornare in mente alcuni versi di una canzone
che dice “Quanto è bello esse laziali, me voglio m’briacà”!
E così finalmente domani alle 18 si riprenderà a vivere di calcio, proprio con la mia squadra del cuore. E ci
saranno proprio tutti: la Juve (che ruberà!), il Milan, l’Inter, la Samp e il Genoa, il Napoli e la Fiorentina,
tutte squadre storiche. Ebbene sì, ci saranno anche “loro”, gli innominabili.
Con la consueta simpatia e con l’ironia del caso anche quest’anno, ogni tanto, il sito farà qualche
‘puntatina’ nello sport più popolare. Per ridere, per sdrammatizzare, senza violenza e con tanta simpatia.
Speriamo.
E Forza Lazio!
4 agosto 2007
Le accuse a don Gelmini
Sono una bufala!
Non sono un magistrato, non conosco personalmente don Piero Gelmini, non sono un giornalista, ma da
semplice uomo di Chiesa e prima ancora da persona dotata di un minimo di intelligenza non posso credere
a quanto scritto sui giornali. E lo dico oggi in tempi non sospetti, nel giorno in cui la famosa “gogna
mediatica” ha messo il nuovo mostro in prima pagina. In questo don Gelmini proprio perché uomo
rispettato e apprezzato da tutti è una preda molto prelibata da chi vuol fare notizia a tutti i costi.
Non si infanga così chi lavora al servizio del prossimo. Non è giusto. Anche perché la notizia che le agenzie
e i telegiornali hanno diffuso è alquanto frammentaria, poco chiara e tutta da verificare. Insomma da
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pochi indizi si è montato un caso che getta discredito nell’opera della comunità “Incontro” e del suo
celebre fondatore.
Ma ultimamente la musica sembra essere sempre la stessa. La Chiesa nel recente passato è stata bersaglio
di molte accuse – alcune prive di fondamento - e spesso è stata chiamata ad una difesa forzata di certe
posizioni e di certi personaggi. Il Papa stesso viene accusato quando parla e quando tace; mons. Bagnasco
bersaglio di continue minacce ; la Chiesa è stata tirata in ballo nella questione dei Pacs prima e poi dei
Dico (tutto risolto in una bolla di sapone). E così anche all’estero: il caso Milingo che ha smosso un
polverone; la Curia statunitense messa a ferro e fuoco per i casi di pedofilia risalenti a quaranta anni fa
fino ad arrivare a Don Giancarlo Bossi sequestrato e poi liberato nelle Filippine. E ora ci vogliono far
credere che il famoso don Gelmini sia un maniaco sessuale, capace dopo quasi cinquant’anni di arrivare a
fare delle molestie sessuali a due tossicodipendenti espulsi dalla comunità per alcuni furti. È vero che a
pensar male si fa peccato, ma il sospetto che dietro ci sia un discorso politico proprio non posso
allontanarlo; don Gelmini, così come il fratello (padre Ligio, fondatore della comunità “Mondo X”) sono
uomini più ‘vicini’ alla destra politica (che infatti subito si è scagliata veementemente in sua difesa). Non
vorrei che qualcuno stia giocando sporco, sulla salute e sulla credibilità di personaggi rispettati e ammirati
da tutti.
Comunque staremo a vedere. Nella vita ci si può sbagliare e forse mi sbaglio anch’io. Ma se così non fosse,
se tutto si dissolverà con un semplice “no, ci scusi, ci siamo sbagliati”, se troveremo nei giornali il solito
trafiletto di smentita, beh allora sarebbe ora che certa gente si mettesse da parte e la smettesse di
infangare chi è al servizio del prossimo, con amore incondizionato donando la sua vita agli altri. Se invece
don Gelmini sarà trovato colpevole, ognuno applicherà il suo metro di giudizio morale, per i cristiani
quello del perdono e della pietà verso un fratello debole.
Staremo a vedere.
(continua, sicuro che continua)
19 luglio 2007
Lode al cocomero
Non c’è niente da fare, ogni anno per me è la stessa cosa. Come un rito che si ripete mi reco a comprare il
cocomero. Ricordo primordiale dell’infanzia: uno a cui sono legato in modo morboso, ovvero quando mio
padre la domenica mattina mi portava a Tor di Quinto a comprare il cocomero da “Peppone”, il
‘cocomeraro’. Peppone (che credo ci sia ancora) era un uomo un po’ strano. Barese, con una bella ‘panza’
e la faccia di un uomo di altri tempi. Faceva il cocomeraro e allo stesso tempo faceva anche il ‘bagarino’
allo stadio! La sua frutteria si stendeva lungo la strada, allora già frequentata da molte automobili che
sfrecciavano. Peppone aveva una montagna enorme di cocomeri, tutti accatastati in modo molto ordinato
l’uno sull’altro fino a formare una piramide. Alcuni li teneva in una grande vasca; l’acquirente poteva
scegliere, fresco (costava di più) o a temperatura ambiente. Lui li prendeva e con una mossa quasi da
samurai, praticava un foro per farti assaggiare la delizia dell’estate. Davvero una magia. Mio padre
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ovviamente non voleva che quel buco fosse praticato perché piaceva a lui compiere il sacro rito del taglio
del cocomero. Fatto sta che qualche volta non si riusciva a fermare l’impeto delll’abile venditore. Andare
a comprare il cocomero era una gioia per me; uscire con papà, prende la macchina (una vecchia Opel
Kadett), scambiare quattro chiacchiere con Peppone, tornare a casa, tagliarlo, mangiarlo… Che delizia.
Ancora oggi ammetto di essere stregato da quei camion che si vedono per la strada pieni di cocomeri.
Vorrei salirci sopra, toccarli, sentire “se bussano”, odorarli e soprattutto tagliarli a metà. Quando si apre
il cocomero è bello sentire quell’inconfondibile suono; più “scrocchia” e più è buono. Del profumo poi non
ne parliamo!
Ma la cosa più comica era quando si andava la domenica insieme ai miei zii al lago di Bracciano. Il nostro
stile di ‘villeggiare’ era alquanto unico. Mia madre preparava deliziosi panini, pasta fredda, pranzi
succulenti, non proprio da definirsi leggeri. Mio zio arrivava attrezzato in modo piuttosto pittoresco. Ma la
cosa che più mi è rimasta impressa era il cocomero: veniva messo in una busta e – accuratamente legato –
veniva immerso nella riva del lago a rinfrescarsi. Quel cocomero nel lago non potrò mai dimenticarlo. Era
un pezzo immancabile delle nostre giornate. Ricordava alcuni film di Aldo Fabrizi quando andava ad Ostia
sulla corriera con il cocomero sotto braccio.
Ma al cocomero sono legati anche molti altri ricordi delle mie estati. Una volta, a ferragosto, acquistai per
una importante tavolata un cocomero da 20 kg; fu una festa, soprattutto per me. E sono contento che
anche oggi i miei figli, soprattutto il più piccolo, accolgono a tavola il frutto con il mio stesso entusiasmo
di allora.
Qualche giorno fa mi trovavo nel supermercato dove abitualmente faccio la spesa. Un uomo al banco della
frutta stava tagliando a metà alcuni cocomeri. Per qualche istante mi sono isolato dal resto del contesto
per osservarlo attentamente; nel rosso del cocomero rivedevo la mia infanzia, i miei ricordi, il mio papà.
Ho osservato quell’uomo quasi con un pizzico d’invidia. Mia moglie mi chiama quasi per svegliarmi da
quello stato di “trans” e ovviamente – capendo la situazione – mi ha sollecitato a comprare il cocomero.
L’estate, stagione calda e a me tanto cara. Senza il cocomero non potrei stare, senza quel rosso che
rincuora, quel sapore che incanta e quel profumo che invoca ricordi, momenti teneri e gioiosi. Ecco cos’è
per me il cocomero.
PS: e per favore… non chiamatelo anguria, almeno in mia presenza!
14 luglio 2007
Il governo elemosina gli anziani
Torno ancora una volta su un argomento toccato qualche mese fa, in occasione di una riflessione sui costi
della politica, sui benefici di cui godono i politici italiani e sulla distanza che gli stessi vivono in rapporto
con la realtà di tutti i giorni.
Ci torno dal momento che ho sentito spacciata come grande notizia, come grande passo del Governo Prodi
l’aumento delle pensioni minime di 33 euro. Dunque, chi vive con la pensione minima vuol dire che al
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massimo (e dico al massimo) può prendere una cifra che si aggira intorno ai 650 euro al mese. Quando va
bene. Ora il Governo decide di alzare queste pensioni minime di 33 euro. Non capisco se questa è una
presa in giro oppure uno spunto per riflettere seriamente sulle condizioni di molti dei nostri anziani.
Qualche giorno fa in televisione c’era un servizio su alcuni di questi pensionati che andavano a chiedere
un sussidio alle varie comunità sociali (Caritas, Comunità di S.Egidio e così via); molti lamentavano –
giustamente - come fosse impossibile vivere con 500 euro al mese. Immagino che ci si debba sentire
veramente beffati da un aumento di 33 euro. Cosa ci può fare un pensionato con tale cifra? Ma lo sanno i
politici quanto costano i farmaci? Lo sanno che se un anziano deve fare una visita in ospedale i tempi di
attesa sono di 6-10 mesi e che è impossibile sostenere i costi di un medico privato? Cosa ci si compra al
supermercato con 33 euro in più al mese? Se uno di questi anziani si mettesse ad un angolo della strada a
chiedere l’elemosina, sarebbero sufficienti 33 persone di buona volontà che gli donassero un euro. Questo
aumento da parte dello Stato equivale all’elemosina.
Capisco che 33 euro al mese per tutti i pensionati d’Italia possano essere un esborso importante per le
tasche dello Stato. Lo stesso Stato però non lesina privilegi a chi governa, ai senatori a vita e a tutti coloro
i quali girano nel mondo della politica. Non credo che il mio sia sempre ‘il solito discorso’: per dare il
buon esempio bisogna non solo parlare bene, ma anche “razzolare” altrettanto bene (per dirla con un
proverbio).
Credo che a questo punto bisogna parlare di scarsa considerazione degli anziani. Tagliati fuori dal processo
produttivo diventano un peso per lo Stato che li deve “mantenere” senza un vero ritorno. Questo è il
messaggio che la politica di adesso vuole trasmettere, intraprendendo ridicole iniziative e spacciandole
per lodevoli. I nostri nonni, i nostri anziani, coloro i quali hanno magari anche combattuto e lavorato per
l’Italia della rinascita, del boom economico; quegli italiani non hanno solo la 500 che li accomuna ai più
giovani. Meriterebbero rispetto, maggiore considerazione e per favore anche qualche spicciolo in più.
19 giugno 2007
Vi racconto la mia maturità
Siamo veramente agli sgoccioli! Migliaia di studenti in queste ore sono alle prese con gli ultimi ripassi alla
vigilia dell’esame di maturità. Davvero un passo importante nella vita degli studenti, il primo vero grande
esame, una prova che sancisce la fine di un ciclo, un momento in cui nessuno vuole fare brutta figura.
Eppure, come spesso succede negli esami, le sorprese possono trovarsi sempre dietro l’angolo.
Aprendo il cassetto dei ricordi, non posso dimenticare il mio esame di maturità, avvenuto nel giugno 1996.
A differenza del mio percorso accidentato della scuola superiore, alle prese con una faticosissima e mai
compresa ragioneria, il mio esame di maturità fu uno scoglio molto felice. Anche io ricordo l’emozione
della vigilia; francamente non riuscivo a stare lontano dai libri, ma allo stesso tempo riuscivo a dominare
la situazione. Del resto nella gestione delle forze e del tempo sono sempre stato molto bravo; non
sopportavo il ritmo incalzante delle interrogazioni, quello no, ma gli esami li ho sempre preparati
organizzandomi per tempo e in modo adeguato. Fu così anche in quella occasione. La commissione, per
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l’occasione, era formata da professori molto in gamba. In modo particolare il presidente, un prof. di
educazione fisica (!) sapeva relazionarsi positivamente con ognuno di noi. In occasione delle prove scritte,
un’eccellente figura la feci con il tema (ma va?) ispirato ad un pensiero di Cesare Pavese. In ragioneria me
la cavai con qualche aiutino (…). Mentre alla prova orale diedi sfoggio delle mie qualità relazionali:
portavo francese e scienza delle finanze. In francese me la cavai benino, meglio senz’altro in scienza delle
finanze (perché potevo parlare finalmente in italiano!). Alla fine l’esame si concludeva con una domanda
di attualità. Ricordo che questo prof. di ginnastica apriva il giornale del giorno e faceva commentare agli
studenti una notizia a caso. A me capitò di leggere che “il tedoforo delle prossime olimpiadi sarà
Mohammed Alì”. Domanda: chi è un tedoforo? Premetto che non avevo mai sentito questa parola prima di
allora, ma con l’intuito me la cavai nella speranza di non sbagliare. I professori si complimentarono con
me, li salutai tutti cordialmente e con grande gioia me ne andai. Il voto fu sorprendentemente felice:
44/60! Davvero un bel colpo per me, che studiavo ragioneria ma nel cuore sognavo la teologia. Il sogno
universitario da quel momento poteva avere finalmente inizio.
Particolari consigli agli studenti che tra qualche ora affronteranno l’esame non mi sento di darli; del resto
i soliti articoli che tutti gli anni vengono proposti sono stati rispolverati anche quest’anno… Dico solo di
avere tanta fiducia in se stessi, e crederci fino in fondo. Con un pizzico di fortuna e un po’ di abilità…
coraggio!
15 giugno 2007
Riflessione sulla felicità
Ieri leggevo un articolo pubblicato sul sito dell’Adnkronos dal titolo “La vita è bella, ancor di più con
Internet e cellulari”. Ammetto che il titolo ha attirato la mia attenzione; l’articolo prende spunto da
alcune affermazioni del sociologo Domenico De Masi che vi riporto di seguito: ''Abbiamo fatto passi da
giganti, prima non era così facile comunicare e spostarsi. Oggi abbiamo telefonini, treni iperveloci, aerei,
ipod, biotecnologie. Non c'è paragone si vive meglio - sottolinea - negarlo è solo una moda da filosofi
'sfigati'. Non è vero che oggi la società è più massificata: abbiamo decine di tipi di cellulari, palinsesti tv
sterminati, si sono moltiplicate le opportunità. C'è più libertà, più possibilità di scelta. Nella società
industriale invece la massificazione era totale. Non vedo aspetti negativi oggi posso accedere a tutto il
mondo con un BlackBerry. Senza telefonino e internet morirei. E poi - conclude De Masi - viviamo 5 anni
di più''.
C’è molto da dire. Forse sono un po’ troppo amante del messaggio francescano, o addirittura potrei essere
un filosofo sfigato, ma a me questa balla della felicità predicata da questo sociologo proprio non mi piace.
Se vogliamo affermare che oggi, rispetto a cinquanta anni fa qualità della vita è migliorata sotto molti
punti di vista siamo anche d’accordo, ma ciò che non posso concordare è questa esaltazione della
tecnologia, viatico di felicità. La vera felicità è un’altra cosa. Stare davanti ad un computer non è il
massimo della felicità; Internet non dà la felicità; il BlackBerry nemmeno, figuriamoci i palinsesti
televisivi. Vivere cinque anni in più può essere una conquista, ma dipende dallo stile di vita che un
soggetto può affrontare.
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Mi spiego. Spesso visito i centri commerciali o i grandi supermercati: all’interno c’è un’infinità di prodotti
che pensiamo utili e che invece non si rivelano tali. La pubblicità martellante ci propone un’infinità di
prodotti che pensiamo veramente come indispensabili. In realtà quello che viene soffocato è il nostro vero
bisogno, che si adegua a quanto proposto generando spesso infelicità e insoddisfazione; mi propongono
mille cose, io ne posso comprare solo 50, sto male perché non riesco ad acquistare tutto quanto mi viene
proposto. Proprio la tecnologia, capace di rinnovarsi quotidianamente spinge le persone a sollecitare il
bisogno di un volubile cambiamento (del cellulare, del pc, dell’i-pod, della macchina ecc.). L’uomo di
oggi (almeno quello italiano) sta dimenticando il lavoro dei campi, l’artigianato, il lavoro manuale, tanto
da aver bisogno di manodopera da altri paesi più poveri perché certi lavori sono stati completamente
abbandonati. Molti giovani oggi si immaginano seduti dietro una grande scrivania, davanti al pc, con tre
telefoni, due segretarie…
Il sociologo ci parla di aerei, comunicazioni veloci, possibilità di scelta. Ma le ore di una giornata sono
sempre 24 e l’uomo riscopre la sua fragilità ogni giorno, quando vede intorno a sé la malattia, la
limitatezza, la solitudine, le paure. Oggi ci sono molte persone sole, bambini che chiedono affetto da
parte di genitori insensibili, famiglie che vivono nella solitudine e nello stento, mentre la televisione ci
propone la falsa felicità tra un programma e l’altro.
Sono felice per il dott. Del Masi che non vede aspetti negativi e che potrà trovare la felicità collegandosi
con un amico argentino con il suo cellulare… Io mi tengo stretta la mia vita, la mia famiglia, i miei
bambini, il mio splendido lavoro, le mie certezze di uomo di fede, una fede che non mi fa crollare mai.
Questa è la mia felicità.
11 giugno 2007
Vi racconto il mio anno scolastico
Non c’è proprio niente da fare: ogni anno, ogni fine anno scolastico, l’atmosfera e i sentimenti sono
sempre gli stessi. Nostalgia, tristezza, malinconia, ma anche un pizzico di serenità per aver portato a
termine un altro anno di scuola. A me personalmente fa uno strano effetto sentire l’ultima campanella
della scuola e vedere i bambini che vanno via.
Un maestro di religione divide il suo cuore tra tantissimi alunni e – come è successo quest’anno – anche in
diverse scuole. Durante l’anno si incontra tanta gente, famiglie, alunni, insegnanti, collaboratori
scolastici… tante mani che si stringono, tanti pensieri, sorrisi, qualche arrabbiatura, qualche delusione ma
anche molte soddisfazioni. Tutto si conclude nell’ultimo giorno di scuola, aspettando probabilmente un
piccolo gesto di riconoscenza. Molte volte questo accade, certe volte vedi famiglie e alunni andar via
nell’indifferenza generale, quasi non ti conoscessero. Fa male, lo ammetto, ma a quanto pare mi ci sto
abituando, tornando a pensare che alla fine il mio lavoro è paragonabile a quello del seminatore; non
sempre ci viene dato il tempo di vedere i frutti del nostro sforzo. Li lasciamo al Signore e alla vita.
Domani non entrerò più in classe, non sentirò le voci chiassose dei bambini, non sentirò più la sensazione
del cancellino sporco tra le mani; sono un po’ triste, mi mancheranno. Sfrutterò il tempo estivo per
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ricaricare le pile e soprattutto mettere a punto nuove idee per l’anno futuro. Già, il futuro. Per me è
sempre un’incognita, un grande punto interrogativo. Dove andrò? Cosa sarà di me? Mi metto qui buono
buono ad aspettare con ansia la lettera della nomina per l’anno prossimo, nella speranza che la
destinazione offertami sia la stessa che ho pensato nel cuore. Se così non sarà prenderò lo stesso la borsa
del maestro e partirò; del resto è la Chiesa che mi invia a svolgere un compito molto importante. Se non
altro faccio voto di obbedienza.
L’anno trascorso è stato duro. Quattro scuole, 195 alunni, distanze importanti, viaggi in treno,
stanchezza. Ma questa è la mia vita. Sono però soddisfatto per aver visto dei miglioramenti in certe
situazioni, i meriti però li lascio al Signore. È stato un anno impegnativo perché ho visto molte famiglie in
difficoltà; due miei alunni hanno perso il papà, altre famiglie le ho viste sfasciarsi, in altre ho visto i
rapporti con la scuola deteriorarsi irreparabilmente. Spesso ho provato una sensazione di impotenza
davanti a tutto questo. Ma rimane anche la bellissima sensazione che i miei alunni di quinta hanno dato a
me e alle mie colleghe l’ultimo giorno di scuola; il loro “grazie” collettivo è stato davvero commovente,
un momento da “appiccicarsi” sulla pelle per i momenti bui. Questo è ciò che ripaga più di tutto, l’affetto
dei bambini è veramente impagabile.
Ora arriva l’estate. Continuerò a pensare ai miei allievi, li immaginerò in vacanza, immersi nei loro giochi;
spero non si dimentichino di me. Il nemico più grande per un insegnante è essere dimenticato.
Per il resto ora ci sarà il silenzio; aule vuote, scuole semideserte, banchi vuoti. In attesa di riprendere con
l’entusiasmo di sempre!
7 giugno 2007
Care Famiglie: lo Stato non ci pensa proprio!
Mi trovavo nel mio portone a discutere su alcune questioni economiche con un ragazzo della mia età,
anch’egli sposato ma senza figli. Entrambi, quasi a consolarci a vicenda, esponevamo gli stessi identici
problemi, le stesse difficoltà a livello economico. Spese che si fanno con enormi sacrifici; molte delle
famiglie italiane hanno in conti in rosso e questo dato purtroppo corrisponde sempre più a verità. Lungi da
me fare il piagnisteo, soprattutto nel mio sito che parla di fede e speranza, ma se vediamo l’abbandono
da parte dello Stato alle famiglie italiane dobbiamo per forza di cose fermarci a riflettere.
I conti all’osso che si fanno le famiglie italiane fanno da contrasto con i costi della politica che
ultimamente sono stati denunciati da alcuni organi di informazione. Diciamocela tutta: ai nostri politici
non manca niente. Macchine, viaggi, alberghi, aerei, segretari, portaborse, stipendi importanti, lussi di
ogni genere, agevolazioni ovunque da estendere alle future generazioni… nessuno di loro va al Discount a
fare la spesa o minimamente si rende conto di cosa vuol dire una vita da persone “normali”. Quando si
arriva a certi livelli si perde il contatto con la realtà, e quindi ecco che vediamo iniziative al limite del
ridicolo in favore della famiglia, o aumenti da elemosina ai dipendenti statali (mi ci metto anche io).
Forse per una volta sto scrivendo delle frasi “da bar”, ma lasciatemi libero di indignarmi un po’ quando
vedo tassati tutti i miei beni in modo inverosimile e poi vengo a sapere che lo Stato italiano è penultimo in
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Europa per spese per la famiglia (3,8% contro il 7,7% della media europea, 10,2% della Germania, 14,3
dell’Irlanda). E mi indigno ancora di più quando sento Beppe Grillo che afferma che “abbiamo un
parlamentare ogni 60.371 abitanti contro ogni 66.554 in Francia, ogni 91.824 in Gran Bretagna, ogni
112.502 in Germania, per non dire degli Stati Uniti: uno ogni 560.747” e che “lo stipendio di un deputato
è cresciuto dal 1948 ad oggi, in termini reali e cioè tolta l'inflazione, di quasi sei volte ... ed è di 11.703
euro oggi”.
Che dire…
Oggi molte famiglie provano a tirare su la testa con onore e dignità, facendo salti mortali per accudire i
figli, mandarli a scuola (che spesso inizia dall’asilo nido, quando c’è), dargli un’istruzione e garantirgli una
crescita adeguata. Tutto fatto con immenso amore – che cancella quasi sempre i sacrifici – ma che non
viene riconosciuto in modo adeguato dallo Stato che dovrebbe assicurare un sostegno adeguato per la
famiglie. Magari non quelle dei senatori, degli onorevoli e dei parlamentari!
25 maggio 2007
Ce la manderesti tua figlia a prostituirsi?
Sembra che in Italia sia riemerso il problema della prostituzione. Dico “riemerso” perché ogni tanto,
soprattutto quando le notizie scarseggiano, se ne torna a parlare nei salotti televisivi più noti, da “Porta a
Porta” (dove qualche sera fa si è messa in scena una trasmissione tragi-comica) a “Matrix” fino all’ultimo
in ordine di tempo, ovvero “Anno Zero” di Santoro. Tutti ne parlano, ognuno prova a dare la sua teoria; la
politica sembra molto interessata dal momento che è nota una prostituzione “d’èlite” di cui usufruiscono
molti parlamentari, ma allo stesso tempo sembra anche ferma a discutere sulla base di linee di pensiero
che vanno avanti da decenni e che non si sono mai mutate in un senso o nell’altro: liberalizzare sì,
legalizzare no… come se queste due strade fossero le uniche vie percorribili. Mi domando solo se c’è
veramente l’intenzione di sconfiggere la prostituzione o solamente di organizzarla in qualche maniera.
Premetto che non mi sento di appoggiare la legalizzazione della prostituzione per una serie di motivi di
ordine morale. Perché la prostituzione va contro la dignità della persona, perché rovina mariti, padri e
famiglie, perché è umiliante vedere una donna fare un simile lavoro, e non ultimo perché non credo sia
eticamente corretto che uno Stato possa incassare del denaro sulla pelle di ragazze disposte a prostituirsi.
Non mi piacerebbe che lo Stato in cui vivo si mettesse dalla parte dello sfruttatore con l’intenzione di
sconfiggere gli stessi sfruttatori… mi sembrerebbe un paradosso incredibile.
Qualche anno fa conobbi – in via del tutto casuale – una ragazza di 15-16 anni ricoverata in un letto
d’ospedale per la frattura di una gamba. Mi trovavo lì per accompagnare i giovani della mia parrocchia per
un’azione di volontariato. Casualmente incontrai questa ragazza rumena; era davvero molto bella, ma
anche molto spaventata. Dopo un breve colloquio, una delle volontarie mi disse che quella ragazza era
una prostituta; poco più che bambina (dormiva con l’orsetto) questa giovanissima aveva il terrore e il
dolore negli occhi; occhi che gridavano aiuto e odio per gli uomini, occhi che non dimenticherò
facilmente. Mi è bastata questa breve esperienza per capire molte cose. Il dolore e la ferita nel cuore di
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questa ragazza difficilmente potrà essere sanata. Molti di questi benpensanti (Pannella per primo)
dovrebbero conoscere il dolore che prova una donna, annientata nella sua dignità che si prostituisce, più o
meno volontariamente.
La prostituzione è violenza, è sopruso, è una realtà devastante. Farei solo una domanda a tutti i
parlamentari, onorevoli, opinionisti, gente di spettacolo, no-global e quanti in questo strano paese hanno
diritto di parlare in televisione appoggiando la prostituzione: ma voi ce le mandereste le vostre sorelle e
le vostre figlie a prostituirsi?
12 maggio 2007
Guardo gli aerei di notte
Con l’arrivo della primavera ripristino un’abitudine tanto cara, quella di uscire la sera dopo cena sul
balcone e ammirare il cielo stellato. Fortunatamente la mia casa è posizionata in un punto dove si riesce
ad avere una discreta visuale del cielo, e anche il riverbero della luce del paese non è come quella della
città.
Guardo il cielo, provo a contare le stelle, le ammiro, le scruto. Mi infondono un senso di pace e di infinito,
quell’infinito che ognuno cerca dentro se stesso, infinito che genera domande, incertezze, mistero. Ogni
uomo davanti all’infinito si rende conto della sua infinitesimalità e fragilità. Quando guardo le stelle mi
vedo lì, piccolo piccolo: un piccolo uomo che dal secondo piano di un anonimo paese scruta il cielo.
Ma la cosa che più mi affascina è vedere gli aerei che con le loro lucine illuminano come lucciole il cielo
notturno. Stasera ne sono passati due contemporaneamente. Mentre li osservo penso ai passeggeri che vi
sono all’interno; loro guarderanno giù e io li ammiro lassù! Mi domando dove andranno. E mentre vedo
l’aereo a migliaia di metri sopra di me, penso a quelle lontane città che la vita, non so ancora come, mi
ha dato la possibilità di visitare: Gerusalemme, Barcellona, Londra, Singapore, ma soprattutto Bangok e la
meravigliosa Thailandia del viaggio di nozze di cui sento ancora i profumi e il calore dei sorrisi che ho
incontrato. E mentre mi perdo nei ricordi vedo svanire nel cielo gli aerei: si allontanano, se ne vanno…
non saprò mai dove andranno ad atterrare. A volte si vive meglio con un pensiero fantastico che con una
veritiera realtà.
Ogni sera guardo il cielo, lo ammiro. Ogni sera è una poesia che solo un cielo nuvoloso potrà interrompere.
Poesia della vita.
27 aprile 2007
Da Rignano Flaminio all’Est Europa: un dolore comune, una tragedia infinita
La triste e nota vicenda che ha coinvolto alcuni piccoli bambini della scuola elementare di Rignano
Flaminio – paesino fino ad oggi sconosciuto alle masse – ha scosso le coscienze, ha fatto inorridire molte
persone, tutte coloro che hanno un cuore, che si emozionano davanti ad un bambino e non gli negano un
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sorriso. Inevitabile non parlarne, impossibile tacere. A volte sono un po’ prudente nell’emettere
un’opinione quando sento parlare di violenze che coinvolgono gli insegnanti, non per difendere la
categoria, ma perché so bene le dinamiche che si sviluppano nel parlare dei genitori, nell’enfatizzare da
parte della stampa affamata di cercare il mostro da sbattere in prima pagina; ci vuole poco a rovinare la
carriera e la vita ad un insegnante, molto di più a ricostruirgli una credibilità con se stesso e con chi gli
vuole bene. In questo caso però no, credo che siamo proprio davanti ad una banda di pervertiti ben
organizzata.
Sconvolgono i modi, i tempi, il numero di alunni coinvolti, le pressioni, le minacce e ovviamente la
violenza. Queste piccole vittime non dimenticheranno e non cancelleranno mai nella loro coscienza e nella
loro memoria quanto accaduto. È raccapricciante, orribile, deprecabile quanto è successo.
Sono sconvolto come padre, perché quelle piccole creature non sono solamente i figli di altri papà e di
altre mamme, ma di tutti noi, della società e della collettività, perché un bambino è una risorsa e un
patrimonio per l’umanità intera; sono allibito come docente, pensando a dei miei colleghi capaci di
approfittarsi dell’innocenza e dell’ingenuità di questi piccoli, gente disposta a tutto perché chi approfitta
di un bambino è solo un verme; sono disperato come cittadino di questo paese, dal momento che il
legislatore dovrà pur dare una pena esemplare, se non altro per non far passare il messaggio che con gli
avvocati e le prescrizioni tutto finisce come sempre; sono dispiaciuto come cristiano, perché credo che
questa gente, capace di simili fatti, viva un dramma interiore infinito che merita silenzio e preghiera.
Durissimo il giudizio di chi scandalizza i più piccoli: “Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che
credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse
gettato negli abissi del mare” (Mt 18,6).
Mentre l’Italia si interroga e si sconvolge per questo ultimo triste fatto di cronaca, Don Fortunato Di Noto
con la sua “Associazione Meter” celebra proprio in questi tempi la giornata in ricordo dei bambini vittime
di violenze di ogni genere. E combatte, ricordando a tutte le migliaia di bambini che scompaiono ogni
giorno nell’Europa dell’Est, in Asia, in Sudamerica, e che ogni giorno vengono scoperti e denunciati siti
internet a sfondo pedofilo dove compaiono volti e corpi di piccole creature. Ogni giorno, ogni ora, forse
anche in questo momento. L’uomo contemporaneo, scientificamente sviluppato, tecnologicamente ben
attrezzato, usa questi mezzi e queste risorse per la violenza, per la libertà dei costumi e della sessualità,
fino alla fine oltre ogni limite; ogni giorno il grande Caino uccide il piccolo Abele, una storia antica come il
mondo ma sempre terribilmente vera.
Lasciamo che le indagini facciano il loro corso nella vicenda di Rignano Flaminio. Lasciamo almeno che le
nostre coscienze e i nostri cuori nel vedere queste immagini e nell’apprendere queste notizie che vengono
seguite nello stesso telegiornale dalle ultimissime sulle semifinali della Champions League, si fermino un
momento a pensare e a prendere coscienza su quanto è importante stare sempre dalla parte dei bambini.
15 aprile 2007
Bambini al guinzaglio
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Ieri mattina ero al parco pubblico insieme ai miei figli, intento a spingere la più grande all’altalena e con
un occhio a controllare che il più piccolo non si mangiasse qualche sassolino. All’improvviso vedo una
ragazza (non se madre o babysitter) di una bambina che aveva all’incirca un anno e mezzo mettere alla
piccola un… guinzaglio! Lei le chiamava “bretelline” in realtà sono quegli orribili guinzagli studiati per
bambini che non dovrebbero permettergli di scappare, rimanendo così sempre imprigionati. Ammetto che
questi accessori per bambini sono veramente orribili. Come si può legare una bambina? I guinzagli vanno
bene per i cagnolini, non per gli esseri umani. E poi i bambini – soprattutto in un contesto ludico come un
parco pubblico – devono sentirsi liberi ed esprimere la propria voglia di vivere nella corsa e nel gioco. Poco
importa se i genitori o chi li accudisce debbano correre e dannarsi pur di non perderli di vista: i figli si
fanno da giovani apposta, e andrebbero affidati comunque a persone in grado di seguirli in modo
adeguato.
A volte questa specie di guinzagli è utilizzata anche per i bambini che si trovano in prossimità di
camminare, e quindi soggetti più facilmente a cadute. Il bambino deve cadere! Deve imparare a cadere.
Anche nella caduta imparerà a mettere bene le manine, a capire che è meglio atterrare su un morbido
pannolino che non con la schiena a terra. Ovviamente i genitori dovrebbero essere sempre presenti, e
quando ci si distrae anche solo per un momento (perché c’è sempre “quel” momento) sarà l’Angelo
custode o la più popolare “santa pupa” a metterci una mano!
Insomma, inorridisco davanti ai bambini tenuti al guinzaglio dai genitori. Lasciate perdere se siete tra
coloro che solo osano pensare di limitare la voglia di correre dei più piccoli. Bisognerebbe ogni tanto
mettersi di più dalla loro parte e pensare se ciò che comunemente facciamo ai più piccoli fosse fatto a
noi. Come ci troveremmo incatenati ad un guinzaglio?
Viva la libertà. Viva i bambini che corrono, che gattonano, che magari gattonando cadono buffamente…
viva i bambini liberi nei parchi, che urlano, che ridono e che scappano via dai genitori troppo ossessivi.
19 marzo 2007
Quando arriva la festa del papà
Fin da piccolo ricordo che alla scuola elementare ci facevano festeggiare con scarni lavoretti (non
paragonabili a quelli di oggi) la festa del papà. Mio papà si chiamava Giuseppe, ed io pensavo che questa
festa fosse in quel giorno proprio perché lui si chiamava così. E, strana coincidenza, anche la festa della
mamma che viene generalmente intorno alla metà di maggio, spesso coincideva con il compleanno di mia
madre, il 9 maggio. Insomma, nella mia mente di bambino queste feste erano studiate proprio per far
onore ai miei genitori.
Oggi, ad anni di distanza, mi trovo anche io ad essere festeggiato. E credo che sia una cosa molto bella
dedicare un giorno ai papà, da sempre i grandi assenti nel campo dell’educazione dei figli. Ed infatti
ancora oggi vedo che sono generalmente le mamme che vengono a parlare con gli insegnanti per il profitto
dei propri alunni, anche se ogni tanto si vede anche qualche papà; questi ultimi spesso sono anche molto
più esigenti delle donne e vogliono capire a fondo la realtà dei figli a scuola.
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Da padre posso dire che sono un uomo molto fortunato, perché ho due bambini che costituiscono la vera
ricchezza di una persona. Impossibile stare lontano da loro. Non credo che sarei in grado di fare uno di
quei lavori che mi portano via giornate intere fuori dalla mia città e dalla mia famiglia. Il sentimento che
ci unisce è speciale, ed insieme a quello della mamma, formano l’essenza, il cuore, della vita di una
famiglia.
Ovviamente in giornate simili il pensiero ritorna al mio papà. Il ricordo è indelebile; anche se è scomparso
per me ancora prematuramente (avevo 21 anni) tanti sono gli insegnamenti che mi ha lasciato. Mio papà
come vi ho detto si chiamava Giuseppe, e faceva il falegname, proprio come San Giuseppe! Era un uomo
molto buono, a volte fin troppo, con le sue debolezze e i suoi interrogativi, le sue angosce e i suoi
problemi: ma sempre cercava di indicare a noi figli la strada da seguire. L’onorabilità e la fierezza erano i
suoi punti fermi; un uomo per essere tale non doveva mai perdere l’onore, un concetto d’altri tempi ma
incredibilmente verace. L’ultima frase che mi disse prima di morire, la sera prima sulla porta di casa, fu
scherzosa. Mi disse “non fare il fesso!”. Ancora oggi la porto dentro come una giaculatoria che mi torna in
mente, quasi a dover sempre rispettare quest’ultimo consiglio. Cerco di ripercorrere da padre, i passi che
lui stesso mi ha insegnato, alle volte anche sbagliando. Per me rimane un esempio e non è un caso che
oggi, nella festa del papà, io sia qui a ricordarmi di lui.
Sarebbe bello che oggi, tutti i figli dicessero ai loro papà la frase “Ti voglio bene!”. I papà sono importanti
e tutti i padri oggi dovrebbero riscoprire questo ruolo e ridiventare parte attiva nella vita dei figli. Magari
con qualche euro in meno ma con qualche ora in più da passare al parco…
5 marzo 2007
La santa normalità
Tutta la mia famiglia è stata colpita negli ultimi tempi da un duro periodo di influenze; io stesso mi sono
ammalato per ben due volte nel giro di dieci giorni, e ovviamente mi hanno seguito i bambini e mia
moglie. Solo da qualche giorno tutto è tornato alla normalità, ognuno al suo posto di lavoro e soprattutto i
piccoli a scuola.
Durante il periodo delle malattie ci siamo dovuti dividere, io e mia moglie, con l’aiuto di una instancabile
nonna, per far fronte alle esigenze dei piccoli che ovviamente non potevano essere lasciati soli in casa. È
stato duro, difficile, e mai come in questi momenti uno sogna la normalità. Sembra davvero qualcosa di
ideale, e lo stato della normalità mi fa pensare ad uno stato di benessere, dove ognuno si incastra nei suoi
ruoli, senza dover ricorrere a sforzi esterni. Dover coinvolgere altre persone, o perdere dei giorni di lavoro
è qualcosa che disturba e destabilizza, soprattutto quando ci sono periodi lunghi e prolungati.
Per questo che pensavo alla normalità come ad una “santa normalità”: spesso le cose ordinarie uno le
pensa come monotone o prive di emozioni, e invece io penso proprio il contrario. Quando tutti i
componenti di una famiglia sono abili e arruolati allora si può vivere una vita normale, e si è liberi di
scegliere cosa fare e cosa non fare. Al contrario gli impedimenti, tutti gli impedimenti (dalle malattie
all’automobile che non parte, da un contrattempo ad altri spiacevoli eventi) disturbano e fanno sognare
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uno stato di normalità. Forse per l’uomo è un modo per rifugiarsi nelle proprie certezze e trovare riparo
davanti alle difficoltà della vita. Sarà, ma quando vedo che le cose procedono come previsto vivo il
momento con estrema felicità, con la consapevolezza che se questa ordinarietà si interrompesse gli
equilibri salterebbero.
Sarò poco aperto ad una vita avventurosa, forse. Ma io preferisco vivere sereno e magari con qualche
felice contrattempo!
8 febbraio 2007
Ma la Melandri c’è mai stata in curva?
Scusate, ma quanto sta succedendo in questi ultimi giorni nel mondo del calcio credo che rasenti il
ridicolo, il patetico e rispecchia per molti versi il nostro essere italiani! Nelle radio, su molti siti internet,
nei telegiornali oltre che nelle trasmissioni sportive non si parla d’altro: tutta l’Italia ora è concentrata sul
mondo del calcio. Questo per molti è assurdo; possibile che ora il problema più grande sono delle partite
di calcio? Sì, il campionato dello sport più popolare è un grosso problema. Intorno a questo mondo girano
interessi economici che – se arrestati – potrebbero influenzare l’andamento dell’economia italiana.
Societàdi calcio, televisioni (con tutti i dipendenti), CONI, negozi di merchandaising sportivo, ristoranti…
insomma tutti in un unico calderone, tutti dipendenti dell’azienda calcio.
Ma ciò di cui si discute di questi tempi è assolutamente demenziale. Vado per ordine.
Mi domando se i nostri onorevoli e rappresentanti delle massime istituzioni sportive siano mai andate
allo stadio, esclusa la tribuna d’onore. L’on.Amato e Melandri sono mai andati in curva? Conoscono
i ragazzi della curva e sanno qualcosa sul tifo organizzato?
Sempre gli stessi… conoscono il mondo dei giovani? Hanno mai parlato con essi? Sanno che “fiducia” e
“responsabilizzare” sono termini che generano effetti diversi rispetto a “reprimere” e
“condannare”?
Dopo gli sconti di Catania lo stop dei campionati era stato proclamato “a tempo indeterminato”.
Risultato: una domenica e si torna a giocare. Le solite cose all’italiana.
Vogliono giocare le partite a porte chiuse. Il Governo vuole che gli stadi siano aperti ma che la gente
non ci vada, mettendo ostacoli e paletti per rendere difficile la vita non al delinquente, ma alla
gente normale, alle famiglie, ai tifosi genuini.
Partite a porte chiuse: siamo sicuri che davanti alle porte chiuse non ci sia bisogno di tutelare
comunque l’ordine pubblico?
Si scopre dopo gli incidenti di Catania, che gli stadi non sono a norma: allora lo Stato, i Prefetti e la
Lega Calcio hanno mandato la gente negli stadi insicuri. Bravi! E ora ce lo dite?
Chi ripagherà i tifosi abbonati che non potranno seguire – non per loro diretta colpa – le partite allo
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stadio domenica prossima?
Sullo stesso piano si trovano coloro che hanno fatto abbonamenti al digitale terrestre e alla
piattaforma satellitare: perché privarli di uno spettacolo che hanno pagato e anche
profumatamente?
Veramente voi pensate che cambierà qualcosa nella sicurezza degli stadi? L’anno prossimo, fino a
quando non ci scapperà (Dio non voglia) un’altra vittima tutto tornerà esattamente… normale,
come lo è stato fino alla scorsa settimana.
Chiudere le radio che fanno violenza: bravi! Invece di promuovere il dialogo e il confronto tra le
istituzioni e le tifoserie…
E infine: perché ci state togliendo il calcio?
6 febbraio 2007
Pippo Baudo e il “delirio dell’onnipotenza”
Un caro amico, ex compagno di scuola, mi manda una e-mail molto provocatoria. Si riferisce alla polemica
costruita da Pippo Baudo il quale si domanda perché il Papa non ha ricordato nell’Angelus di domenica
scorsa il poliziotto morto durante gli scontri a Catania.
Stimo molto Pippo Baudo per la sua carriera, per il modo unico di presentare programmi sempre di grande
qualità, per aver fatto sempre una televisione pulita ed elegante. Però ho sempre pensato anche che il
Baudo uomo soffra di una forma di protagonismo; e non mi sorprende la sua uscita domenica scorsa, dal
momento che quando sta per arrivare il Festival lui comincia ad entrare in fibrillazione con una specie di
delirio di onnipotenza. Parole di chi si crede di poter parlare su tutto e di tutti. E poi, ci scusi Pippo, con
quale arroganza lei si sente in diritto di insegnare al Papa come fare il Papa? Non pensa che sia mancata
un po’ di umiltà, dote importante nel suo lavoro?
Certamente è risuonato un po’ strano che il Papa alla fine della preghiera dell’Angelus non abbia fatto
nemmeno un cenno; lo stato d’animo di tanti italiani era scosso da questa vicenda e il Pontefice parlava
anche ai romani e agli italiani. Probabilmente il Papa ultimamente è molto ascoltato (soprattutto gli si
vuol sentir dire ciò che non dice!) e il suo silenzio in materia credo sia spiegabile per il fatto che
comunque, purtroppo, ogni giorno muoiono molte persone sul lavoro; sarebbe davvero impossibile
ricordarle tutte. E in ogni modo non è l’Angelus il momento preposto per tali condoglianze; il Papa cita
solo fatti davvero eclatanti, agli occhi del mondo (popoli in guerra, catastrofi naturali ecc.). Del resto se
avesse espresso un cordoglio le sue parole non avrebbero avuto lo stesso eco rispetto a quanto sostenuto
dal Baudo-nazionale. Un operaio che muore sui binari di un treno non ha nulla di meno rispetto ad un
poliziotto che muore negli scontri per una partita di calcio. C’è solo l’eco mediatico degli eventi a fare la
differenza.
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Pippo Baudo voleva anche che i festeggiamenti per la Santa Patrona fossero sospesi. Vorrei che sia chiaro
un concetto. La Chiesa vuole parlare agli uomini della risurrezione, che vale anche per il povero
poliziotto; e la fede aiuta l’uomo soprattutto in momenti simili, tragici, dolorosi per tutti. I
festeggiamenti sono stati fatti solo in forma religiosa, annullando tutto ciò che era di contorno; la festa
della santa probabilmente è stato il modo per stare più vicino alla gente, al contrario di quanto sostiene
Baudo.
Le parole di Baudo hanno comunque suscitato molte reazioni. Tanti hanno colto la palla al balzo per
attaccare la Chiesa, ritenendola lontana dalla vita della gente. Non credo sia corretto parlare in questi
termini; la Chiesa, il Papa, i Vescovi testimoniano il Vangelo il parole ed opere. In tutto questo chi ha fede
trova anche la chiave di lettura per spiegare un simile fatto. Chi ha fede. Appunto.
Per correttezza di cronaca, vi segnalo una notizia ANSA del 6/2/2007
PAPA: PROMUOVERE RISPETTO PER LEGALITA'
Il Papa è "spiritualmente vicino" alla moglie e ai figli di Filippo Raciti. In un telegramma inviato a suo
nome dal segretario di Stato, Tarcisio Bertone al vescovo di Catania, monsignor Salvatore Gristina,
Benedetto XVI ribadisce la sua "ferma condanna per ogni gesto di violenza che macchia il gioco del calcio"
mentre esorta a promuovere con "maggiore determinazione" il rispetto "per la legalità favorendo lealtà,
solidarietà e sana competitività". Nel telegramma di cordoglio per la morte dell'ispettore capo Raciti, il
pontefice assicura anche "fervide preghiere di suffragio" per questo "fedele servitore dello Stato" mentre
invoca "la consolazione celeste sui familiari, sui colleghi e su quanti sono colpiti da un così drammatico
lutto".
23 gennaio 2007
L’Abbè Pierre: l’uomo che ha saputo vedere gli altri
Mi ha lasciato molto addolorato la notizia della scomparsa dell’Abbè Pierre. Figura popolarissima in
Francia, questo grande uomo ci ha lasciato nella mattina del 22 gennaio. Appresi la notizia dopo poche ore
dall’ANSA, e infatti subito nel sito è apparsa la sua foto con un breve pensiero. Era il minimo. Non sono
mai stato vicino a nessun tipo di movimento o associazione, ma nutro un’imparziale simpatia per esse che
sono strumento di evangelizzazione per molti. Ovviamente ero a conoscenza di “Emmaus” la comunità
fondata proprio dall’Abbè Pierre. Ho conosciuto questa figura leggendo in passato delle interviste
rilasciate dall’abate ad “Avvenire”; non erano mai dichiarazioni fine a se stesse, teoriche, ma pensieri e
spesso provocazioni di un uomo che sapevamo vivere il Vangelo sul campo di battaglia, in mezzo ai poveri,
che partiva dalla concretezza. Rimasi davvero colpito da molte delle sue affermazioni: l’Abbè Pierre era
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capace di aprire le menti, di scuotere le coscienze con quel suo grido contro le ingiustizie sociali.
Nei nostri telegiornali non se ne è parlato molto; qualche notizia biografica e poco più. La stampa è stata
forse più attenta, ma a mio avviso si poteva fare qualcosa di più. Ciò che più mi ha infastidito è stato il
fatto di ricordare solo alcuni passaggi (per altro frammentari) di un suo libro in cui l’Abbè Pierre parlava di
alcuni rapporti con delle donne e la sua posizione in materia di unioni omosessuali e delle ordinazioni
delle donne. I soliti colpi ad effetto, ma assolutamente riduttivi e che non inquadrano la vera figura di
questo uomo. È vero, l’Abbè Pierre in certe circostanze è stato duro, pesante, provocatore, polemico
soprattutto con la gerarchia ecclesiastica, ma sempre con l’intenzione di far riflettere, sfiorando a volte
anche il paradosso. Spero che la Chiesa prima o poi possa prendere in considerazione una futura
canonizzazione di questo uomo: sarebbe un atto di grande coraggio.
Molti poveri sono stati accolti dall’Abbè Pierre. Oggi molti di loro lo ricorderanno; funerali di Stato venerdì
prossimo, in quella Francia che ultimamente nega il messaggio cristiano, sempre più laica e sempre più
islamica per certi versi. La Francia si fermerà per dare l’ultimo saluto all’Abbè Pierre; con il cuore e con
lo spirito io sarò lì per dire “grazie” a questo dolce vecchietto che ha saputo vedere nell’ultimo il fratello
da servire.
19 gennaio 2007
Ma qualche soldino in più, no?
Molte persone che incontro mi rivolgono spesso una domanda “Come va nella nuova casa? Vi siete
ambientati a Monterotondo?”. La risposta – lì dove dare tante spiegazioni è difficoltoso – si conclude con
un “tutto bene, grazie!”, risposta non certo scontata, ma sincera anche se non dice veramente tutto.
La vita che insieme alla mia famiglia abbiamo intrapreso da sei mesi a questa parte, è sicuramente nuova.
Ora siamo una famiglia e come tutte le famiglie italiane vivono la vita attenti alle spese, al bilancio
familiare… insomma in ogni casa c’è un ragioniere più o meno patentato! Qualche giorno fa al telegiornale
si parlava delle condizioni di vita economica fatta di stenti delle famiglie italiane. Gli stipendi (lì dove c’è
un lavoro sicuro) spesso bastano solo per pareggiare i conti e la capacità di risparmio diventa sempre più
difficoltosa.
Anche noi ovviamente stiamo attenti alle spese, e contrariamente alla mia natura ho imparato presto a
dare un peso relativo alla questione. C’è la consapevolezza dei passi che possiamo fare; non navighiamo
nell’oro e qualche rinuncia o limitazione alla volte pesa un po’, ma tutto sommato viviamo senza che nulla
ci manchi veramente.
La sera guardando la mia famiglia a cena mi rendo conto che la vera ricchezza è proprio intorno al tavolo.
Beatrice che canta e ride, Gabriele che invia sorrisoni a tutti noi mentre cresce rapidamente, mia moglie
che con amore cucina e gestisce i lavori casalinghi con grande energia e generosità. Quella è la vera
ricchezza di un uomo: vederli tutti lì, nella confusione di una famiglia di quattro persone, nel focolare
domestico che riscalda il cuore. Sono un uomo ricco. E questa è la vera felicità. Poi i conti, le
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preoccupazioni e le bollette si affronteranno con quella consapevolezza – e fondata certezza – che la
Provvidenza non ci abbandonerà mai, così come non ha mai fatto in passato. Ad essa ci affidiamo con
grande spontaneità. Il Buddha insegnava che il desiderio provoca il dolore: è vero, oggi il mondo offre di
tutto e di più, siamo condizionati dalla pubblicità che ci parla di cose sempre più indispensabili, ma che
tali non sono. Ed è così che riscopro e mi abbraccio la mia famiglia, Chiesa domestica, dove si vive e si
respira un profumo di amorevole scambievolezza.
La famiglia, con i suoi tempi, i suoi ritmi. Dopo tanto chiasso ora i bimbi dormono, e anche qui si sente
quel silenzio che dice “pace” ma che vorrà essere interrotto da quella sana normalità di tutti i giorni che
apprezziamo nei momenti più difficili della vita (una malattia, un lutto, un disagio, un impedimento…).
Auguri a tutte le famiglie. A quelle vere, a quelle che la sera si abbracciano e si scambiano un sorriso
sincero, che a volte litigano e a volte piangono di gioia come di dolore. A tutte quelle famiglie che si
accontentano di ciò che hanno, che non cercano il soldino più ma che vedono nell’altro quella fonte di
ricchezza straordinaria.
31 dicembre 2006
La condanna di Saddam Hussein, tra storia ed evento mediatico
Si può tranquillamente dire che a livello mediatico l’impiccagione di Saddam Hussein è la notizia
dell’anno. Quelle immagini sono state definite un ‘documento storico’ e tutti i telegiornali, così come le
agenzie di stampa e probabilmente i giornali domani mattina, le hanno proposte. Il vecchio rais con il
cappio al collo; questo è ciò che volevano far vedere al mondo, questo è quanto gli americani volevano
dimostrare al mondo. Di essere i più forti, di aver vinto, dimostrare al mondo che questo è un grande atto
di giustizia, così come lo ha definito il Presidente Bush.
Quelle immagini si sono spinte quasi al limite. Mentre le vedevo per la prima volta – al tg delle 9 davanti a
mia figlia - pensavo “ora si fermano, ora non ci fanno vedere il cappio… ora si fermano…” e infatti il
video si è fermato a mio avviso ben oltre il limite della decenza e se vogliamo anche del rispetto per una
persona che comunque va a morire. Tutto questo durante le famose fasce protette, quelle che dovrebbero
preservare i bambini da scene cruente. Niente. Queste immagini sono un documento storico, vanno viste,
poco importa se turbano i bambini!
Tornando al fatto, si è riaperto il dibattito sulla pena di morte. Ci sono state delle reazioni e alcuni leader
politici hanno preso la distanza, ribadendo il loro no alla pena capitale. Ma tutto con molta timidezza,
senza troppa convinzione. Il mondo ha taciuto, o quasi, sul fatto che un’altra esecuzione capitale veniva
eseguita. Certo, ovviamente Saddam Hussein non era il solito ragazzone nero rinchiuso nel braccio della
morte per aver ucciso decenni prima una qualsiasi persona, magari sotto l’effetto della droga. Saddam era
un assassino incallito, uno che non esitava ad uccidere, un uomo che ha provocato stragi, ha tenuto un
paese sotto un’estrema povertà, riducendolo a niente. Ma era pur sempre un uomo; e se diciamo ‘no’ alla
pena di morte, questo no doveva essere ribadito anche in questa occasione. Ma francamente credo sia
difficile organizzare una fiaccolata o un corteo per salvare Saddam, oppure accendere le luci del Colosseo
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nel caso la pena fosse stata annullata (come succede in questi casi a Roma). La gente non si schiera con i
criminali e gli assassini. E così, Saddam Hussein ha fatto la fine che doveva fare, condannato in un paese
che conosce solo la violenza e la morte, da quando nasce a quando muore. Forse tutto il male che ha
provocato gli è tornato contro, proprio attraverso l’impiccagione, un metodo per uccidere i condannati
che sembra così arcaico nel mondo del terzo millennio ma che lui non ha esitato ad usare in alcuni fasi
della sua dittatura. Tutto questo sotto l’occhio delle telecamere che non lo lasciavano un attimo, quasi a
dimostrare a tutti che fine fa un assassino.
Questa è stata la fine di Saddam Hussein. La sua morte ha provocato altre violenze, altre vittime. Il male
continuerà ad esistere, anche dopo di lui. E la vita sarà negata ogni qual volta un uomo viene condannato
a morte da altri sui stessi simili. È una storia davvero brutta questa.
6 dicembre 2006
La grazia a chi uccide un figlio autistico
Apprendo dal telegiornale della grazia concessa dal Presidente della Repubblica Napolitano a due
detenuti. Due storie diverse, due uomini diversi al quale il Capo dello Stato ha pensato di concedere un
gesto di clemenza. Intervistati i due, mi ha colpito la storia di Salvatore Piscitello: questo uomo di 78 anni
ora in pensione è stato condannato a più di 6 anni di reclusione per aver ucciso il figlio autistico che
assisteva da oltre quaranta anni. Esasperato dalla situazione, Piscitello ha pensato di sparare al giovane
ponendo fine alla sua sfortunata esistenza. Ora – date le condizioni di salute non buone che rendono
impossibile la detenzione – è stata concessa la grazia. Fin qui potrebbe anche andar bene, il Capo dello
Stato ho pensato di fare un gesto di clemenza nei confronti di un uomo anziano e malato che tanto ha
sofferto nella vita, gesto che – come ha affermato il Ministro della Giustizia, Mastella – sotto Natale può
andar anche bene. Ma durante il tg questo uomo è stato intervistato e alla domanda su un pentimento di
tale gesto, l’uomo con sconcertante lucidità, ha detto che proprio non ci pensava al pentimento, anzi
ritiene ancora oggi di aver giustamente messo fine alla vita del giovane.
Capisco la grazia, capisco il caso umano, ma è giusto rimettere in libertà un uomo che non si è
minimamente pentito di quanto fatto, che ha pensato di decidere cosa fare della vita di suo figlio? Tale
decisione del Presidente della Repubblica mi sconcerta perché potrebbe essere un segnale verso una
precisa direzione, in un momento in cui nel nostro paese si attenta al diritto di vivere, parlando di
eutanasia e di testamento biologico. Credo che nessuno abbia il diritto di decidere cosa fare di un altro. E
concedere la grazia ad un uomo che ha commesso un grave reato senza dimostrare il minimo segno di
pentimento, mi sembra un modo per affermare questo principio. Forse c’erano altri modi per dimostrare
un gesto di clemenza (per esempio concedere gli arresti domiciliari) verso questo anziano signore, al quale
va tutta la mia comprensione.
Forse non capisco. Ma non posso adeguarmi. Almeno stavolta.
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28 novembre 2006
Anche Berlusconi è un umano
Ammetto che sono rimasto molto colpito nel vedere l’ex Presidente del Consiglio accasciarsi davanti alle
telecamere mentre parlava in un comizio ai giovani del suo partito. Berlusconi… anche Berlusconi mi viene
da pensare “è un umano”. Nel senso che anche lui può sentirsi male, anche lui prende gli antibiotici,
anche lui può svenire… Sarà, ma siamo abituati a vedere Berlusconi sempre splendido, pettinato,
sorridente, elegante, abbronzato, con la faccia di uno che dice sempre che tutto va bene. Insomma l’idea
di un uomo che vuole apparire vincente e convincente. Spesso mi sono domandato come fa, lui alla sua
età, a sostenere una vita così stressante: viaggi, convegni, riunioni, responsabilità, interviste, campagne
elettorali spesso feroci… Come del resto tutti i suoi colleghi politicanti. Immagino un’ottima dieta, medici
al seguito, qualche sostanza energizzante (!)…
Vedere Berlusconi impallidire, accasciarsi, preso di peso e trascinato fuori, ricoverato in un “normale”
ospedale, mi ha fatto pensare che anche lui fa parte del genere umano, fatto di carne ed ossa come tutti
noi. E chissà, magari un giorno ci faranno sapere che cambia qualche pannolino ai nipotini…! Sarà, ma a
volte ci dimentichiamo che questi politici che voglio apparire invincibili e instancabili condividono con noi
quella fragilità umana che appartiene a tutti.
26 novembre 2006
Tanti figli, tanti voti
Sono venuto a conoscenza di una simpatica quanto valida iniziativa intrapresa politicamente dal governo
tedesco. È allo studio, attraverso un disegno di legge, l’introduzione del voto per i figli minori. I genitori
di famiglie numerose potrebbero così votare anche per i loro figli; una famiglia di sei persone (genitori e
quattro figli) avrebbe così diritto ad altrettanti voti. L’idea mi sembra valida, anche perché così le
famiglie possono riprendersi un ruolo, quello di soggetto politico e (speriamo) anche sociale.
L’idea è sostenuta in Italia anche dall’Associazione Nazionale Famiglie Numerose (ANFN) che proprio
quest’oggi terrà un convegno sul tema a Firenze. Ammetto di non averne mai sentito parlare prima di tale
associazione, ma il principio e l’idea di fondo per cui si muovono ed esistono è semplice: ridare voce e far
sentire nella società la presenza delle famiglie con tanti figli.
In Italia, francamente, questa mi sembra vera utopia. Siamo troppo arretrati culturalmente per arrivare a
pensare che anche le famiglie numerose possano avere voce nella vita del Paese; del resto è già molto
faticoso definire il concetto di “famiglia” nel nostro Paese. Quali famiglie? Quelle sposate? I PACS? E con i
separati e i divorziati come la mettiamo? Insomma davvero questa idea di introdurre un voto anche per i
minori mi sembra un obiettivo impensabile. Ma non per questo errato. Probabilmente se fosse introdotta
una tale possibilità la politica si sentirebbe chiamata in causa direttamente nel proporre delle leggi – e
ovviamente realizzarle – che tutelino le famiglie che fanno tanti bebè. Quest’ultime diventerebbero così
un soggetto attivo nella vita del Paese, essendo detentrici di più voti. I genitori potrebbero esprimere il
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proprio voto per quei schieramenti più vicini al mondo della famiglia. Ma per far ciò sarebbe necessaria
una consapevolezza dell’importanza delle nuove generazioni e quale valore dare ai bambini e ai ragazzi,
cittadini adulti del domani.
Chissà. Magari tra decenni si arriverà anche a questo. Per il momento sembrerebbe già un risultato se si
arrivasse a vagliare e a discutere su questo; vorrebbe dire veder muoversi qualcosa…
24 novembre 2006
Una stanza di bottoni
L’ultimo arrivato in ordine di tempo è il digitale terrestre. E con l’inserimento di questo nuovo
elettrodomestico nel mio salone con angolo cottura siamo arrivati a 217 pulsanti (cellulari esclusi) per una
stanza di 16mq! Una densità di 13,5 pulsanti per mq… non c’è male. Avete mai provato a contare quanti
pulsanti ci sono in una casa? Ogni giorno le nostre dita spingono continuamente tasti; telecomandi,
cellulari, impianto hi-fi, lavastoviglie, microonde, lavatrice, e tante altre diavolerie della tecnica sono
fatte di pulsanti. Senza rendercene conto operiamo continuamente delle scelte e spesso non sappiamo
sfruttare la completa potenzialità di un elettrodomestico proprio perché ognuno richiede uno studio e una
applicazione. Di fatto, se andiamo a vedere, i manuali di istruzione ormai non li legge quasi più nessuno;
del resto i più pratici – come me – sanno far funzionare all’istante un apparecchio proprio perché ognuno
di esso funziona più o meno con lo stesso principio, ma per altri questo è un grave handicap. Pensiamo ai
più anziani: a chi non è capitato di dover aiutare non tanto il nonno, quanto la mamma con il nuovo
cellulare o con la lavatrice digitale. Noto come gli anziani siano terribilmente indietro rispetto ad una
parte della popolazione che invece ha dimestichezza con i tasti. Per non parlare dei bambini di oggi: mia
figlia già a due anni sapeva – con una operazione meccanica – aprire il cellulare, trovare il menù,
selezionare la fotocamera e scattare una fotografia. Sembra che questi bambini già durante la gravidanza
prendano attraverso il cordone ombelicale delle microlezioni di elettronica…!
Mi domando quando la mia generazione sarà anziana. Probabilmente ci troveremo davanti ad uno scenario
della terza età completamente diverso rispetto ad oggi. Saremo anziani capaci di navigare in internet e
magari controllare il nostro conto in banca online, sapremo azionare gli strumenti all’avanguardia che – mi
auguro – semplificheranno la vita nella terza età; speriamo che il mondo non taglierà fuori gli anziani di
domani così come fa oggi. Si continuano a fare passi da gigante; intanto conviviamo con 217 pulsanti in
una stanza e già siamo in crisi così…
8 novembre 2006
Questi santi piccoli piccoli
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Oggi ricorre un importante anniversario. Molti sanno che mi piace ricordare le date, le ricorrenze, gli
anniversari: li ritengo una buona occasione per ricordarsi almeno una volta all’anno di tutti gli amici,
anche quelli che senti poco. Come dicevo, oggi è il primo anniversario della scomparsa di Maria Teresa,
una cara amica che non ho dimenticato. È passato un anno e dal giorno della sua scomparsa il sito porta
una dedica in suo onore in fondo alla home-page, spiegata nel link di collegamento. È difficile spiegare a
chi non l’ha mai incontrata chi fosse Maria Teresa. Era una persona davvero buona, unica per certi aspetti;
solare, gioiosa, coinvolgente, entusiasmante, amante della vita. In questo anno mi è mancato il suo
sorriso, la sua voce squillante, i suoi consigli, le sue stranezze… ho sentito a pelle la sua mancanza, ma la
nostalgia ha spesso dato spazio a quella serenità che accompagna i giusti nell’ora del saluto estremo.
Maria Teresa era una persona giusta, una donna che non sapeva far del male a nessuno e il suo cuore, così
come il suo sorriso, si prestavano sempre all’ascolto, dote rara di questi tempi dove ognuno cerca di
sopraffare l’altro per dire la propria idea.
Riflettevo per un attimo sull’incontro di Maria Teresa e sulla nostra amicizia decennale: ho avuto la
consapevolezza che fino a questo momento ritengo di aver incontrato delle persone davvero speciali, sante
nel mio cuore. E così vedo Maria Teresa insieme ad altre figure a me molto care, tutte incontrate nella
Parrocchia dei Sacri Cuori dove sono stato cresciuto e coccolato spiritualmente da molte persone; ripenso
al caro don Cesare – il parroco della mia infanzia – alla dolcissima Suor Pia, o a Iole, una specie di Madre
Teresa del quartiere. Tutti fratelli e sorelle nella fede che hanno fatto qualcosa per gli altri. E se nel
Vangelo Gesù dice che “Chiunque vi darà da bere un bicchiere d`acqua nel mio nome perché siete di
Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa”(Mc 9,41) non è difficile pensare a quanti
bicchieri d’acqua queste persone hanno servito, a modo loro, a seconda di quanto la vita chiedeva loro di
offrire. Una ricchezza, un dono averli incontrati questi santi piccoli piccoli che nessuno ricorderà nei
secoli, ma a cui rivolgo sempre uno sguardo. Persone vere, concrete, che ho avuto la gioia di conoscere.
Maria Teresa ci ha lasciato un anno fa. In questo tempo non ho dimenticato quanto il bene che ha fatto a
me e alla mia famiglia. E’ con il sorriso nel cuore e qualche velo di nostalgia che voglio ricordarla,
rinnovando la dedica fatta un anno fa, a lei che ha creduto in me, sempre prodiga in consigli e sempre con
un po’ di entusiasmo da donare. La luce dei suoi occhi non si spengerà mai.
3 novembre 2006
Gianni, l’amico radiofonico
Era il 1976. Avevo solo 2 anni e probabilmente ancora non sapevo neanche parlare. Eppure chi poteva
sapere che in quel tempo alla radio c’era già Gianni Elsner. Ai lettori di questo sito vorrei presentare una
persona che non posso definire “amica”, perché gli amici sono quelli con cui ci vai a cena, con cui
condividi emozioni, sentimenti, incontri, i cui percorsi di vita si intrecciano in innumerevoli occasioni.
Gianni Elsner invece lo definisco un “amico radiofonico”; con la sua trasmissione “Te lo faccio vedere chi
sono io” mi ha tenuto compagnia negli anni degli studi universitari, delle prime esperienze lavorative, ed
ora che lavoro stabilmente e sono sposato con figli, lui è ancora lì a farmi compagnia con la sua voce.
Gianni lo porto con me ovunque: nelle tre case che ho cambiato negli ultimi dieci anni (tale è la mia
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“militanza” radiofonica) lui c’è sempre stato, quasi sempre lo ascolto “on the road” con il walkman, e la
mia radio in macchina è sempre sintonizzata sulla sua trasmissione. L’ho ascolto un po’ ovunque:
sull’autobus, sul treno, in macchina, all’università, a scuola, in ospedale. Spesso mi capita di ripercorrere
alcune strade o rivivere certe situazioni, ed ecco che mi tornano in mente alcune puntate, alcuni
riflessioni. Scoprii Gianni per la prima volta durante una replica notturna: ero alla Stazione Termini,
sull’autobus, mi colpì questa voce del nord che tentava di abbozzare un romano molto simpatico.
Con Gianni ho rafforzato le mie radici laziali, ma soprattutto ho scoperto la vera arte, la poesia, il teatro,
il cinema, ho conosciuto persone che fanno parte del mondo dell’essere e non dell’apparire, ho imparato
a distinguere l’effimero dal vero, a fare delle scelte. Grazie a Gianni intrapresi qualche anno fa la felice
esperienza del volontariato con il Comune di Roma a beneficio degli anziani della città; ho capito il valore
delle adozioni a distanza, dei problemi delle fasce più deboli, degli handicappati, dei poveri. Gianni ha
dato voce a quella fascia sociale che spesso non ha voce: la sua radio è aperta, i telefoni squillano e tutti –
in grande libertà – possono parlare. Questo è Gianni, l’amico radiofonico, al quale dedico queste righe che
vogliono rappresentare un ringraziamento per quanto fatto per me e per la mia città. “Quante volte ti ho
fatto arrabbiare?” mi ha chiesto qualche giorno fa durante un mio raro intervento in diretta: sì è vero,
Gianni mi ha fatto anche arrabbiare. Spesso non ci troviamo sulla stessa linea, nella politica, nella
religione… ma tutto ciò ha contribuito nel tempo a farmi capire l’importanza di ascoltare anche chi non ha
le mie stesse idee. Spesso il difetto peggiore di noi cattolici è proprio quello di dar retta solo a chi la
pensa come noi; ma Gianni è così, qualche volta ho anche provato a non ascoltarlo più, ma poi
inevitabilmente il dito ritornava dove batteva il cuore, ovvero a selezionare quella frequenza, quella voce,
per ritornare a confrontarmi con lui e con i suoi radioascoltatori. E ogni volta continuo a crescere, ad
imparare, a ridere, ad arrabbiarmi, a commuovermi con le sue poesie, i suoi racconti…
Grazie Gianni per come sei. Perché sei una persona speciale e in trent’anni ininterrotti di radio “ce l’hai
fatto vedere chi sei!”. È così il mio “amico radiofonico” Gianni Elsner, fedele compagno di vita, di ricordi,
di emozioni.
30 ottobre 2006
Valentino campione vero
Premetto che non ci capisco nulla di moto, di motomondiale, di piste… sono completamente lontano dal
mondo dei motori. Premetto anche che avrei comunque deciso di fare un intervento nel sito per parlare di
Valentino Rossi dopo la finale del motomondiale, in cui ha rischiato di vincere l’ottavo titolo mondiale.
Detto questo vengo al dunque. Valentino mi piace. Lo trovo un personaggio splendido, un buon esempio
per i giovani. Lui è un grande della sua disciplina: pochi come lui sanno vincere e stupire ogni volta.
Fantastico sulla moto, divertente quando vince, altrettanto umile e sportivo nelle sconfitte. Ieri sperava
di coronare ancora una volta il sogno di diventare campione del mondo, eppure stupendo tutti, ha fatto
una ingenua caduta, che lui stesso ha ammesso con grande sportività e quell’umiltà che solo i grandi
personaggi hanno. Si è complimentato con il vincitore, ha ammesso l’errore, l’ha presa sportivamente.
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Valentino mi piace moltissimo anche fuori dalle piste. Sempre disposto allo scherzo, sincero e corretto, sa
ironizzare su se stesso (simpatiche le sue interpretazioni negli spot) e credo proprio che per i giovani sia
un esempio positivo. Dagli esordi in cui appariva pieno di sé, spocchioso e addirittura odioso, Valentino
probabilmente è cresciuto soprattutto come uomo. E i giovani lo ammirano, lo stimano e credo che in lui
non vedano solo il vincente, perché Valentino non è sempre vincente, ma trovano in lui una simpatia di un
giovane che sa di essere giovane, consapevole che il futuro è tutto il suo. A differenza di tanti palloni
gonfiati Valentino non ha bisogno di apparire, perché lui “è” qualcuno, è uno che ha dimostrato che per
diventare famoso, ricco e vincente non c’è bisogno di andare su un’isola o di buttarsi nei circhi costanziani
ma bisogna lavorare sodo, divertendosi e vincendo soprattutto con la passione per ciò che si fa.
Bravo Valentino. Ed è bello quando un personaggio fa avvicinare anche uno come me, restio al mondo dei
motori, ad uno sport. Tiferò ancora per il Valentino motociclista e per il Valentino ragazzo spensierato.
Auguri per il futuro, Campione vero.
Nella pagina LETTERE AL SITO è giunta una replica in merito a questo articolo
18 ottobre 2006
Io nella metropolitana insieme a loro
Come viaggiatore e come romano mi sento di non poter trascurare quanto accaduto nella metropolitana di
Roma. Solo chi solitamente viaggia con questo mezzo può veramente capire quanto accaduto. Per anni ho
preso quei treni, centinaia, migliaia di volte sono passato per la stazione di Piazza Vittorio; fermate e
soste spesso della durata di pochi secondi, il tempo di uno sguardo, di un’immagine. Un bambino che
scende, un immigrato con i suoi bagagli, un onoesto lavoratore, una studentessa carina, una vecchietta.
Tutto scorre sotto la metropolitana con lo stesso ritmo, i stessi tempi. Solo i volti della gente cambiano
continuamente e, se vogliamo, sono l’unica vera cosa da osservare. Immagino il clima che c’era a
quell’ora nella metropolitana. E provo anche lontanamente ad immaginare quanto possa essere accaduto.
Il buio (il vero grande nemico), la gente sottosopra, il panico, le urla. Mi sento vicino a quella gente, a
quelle persone di cui anche io, da eterno viaggiatore, mi sento far parte. La metropolitana la prendono le
persone “normali”, quelle che si spostano continuamente per la città. Nella metropolitana non ci trovi
Berlusconi, Veltroni, Briatore, Simona Ventura o Bruno Vespa: dentro quei tunnel ci trovi l’impiegato, lo
studente, il vecchietto… insomma quelli che fanno l’Italia, che la vivono in tutti i loro aspetti fino in
fondo.
Mi sento vicino a quella povera ragazza che ha avuto solo la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato nel
momento sbagliato. Penso alla sua vita infranta, ai suoi progetti, al suo dolore e a quello della famiglia.
Morire in una metropolitana… Povera ragazza che stava solo svolgendo il suo dovere, che non potrà far
ritorno a casa. Un viaggio iniziato e mai terminato, un viaggio che le auguriamo possa trovare la pace vera
nel Regno dei Cieli.
Domani Roma tornerà a viaggiare. Milioni di persone continueranno a prendere gli autobus, il treno, la
metropolitana. Un po’ spaventati, ma consapevoli anche del fatto che centinaia di treni e mezzi pubblici
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viaggiano ogni giorno garantendo sempre sicurezza da venticinque anni. Poi si sa, l’incidente ci può
sempre stare.
Roma tornerà a vivere. Un bacio a quella povera ragazza, un abbraccio ai feriti e a quanti hanno vissuto
un simile momento.
17 ottobre 2006
Ci mancava solo Briatore!
Adesso ci mancava anche Briatore! L’ultima sparata di questo signore è l’annuncio di un suo prossimo
ingresso nel mondo della politica. E come inizio non c’è male: i ricchi sono un modello per i giovani,
questo è il senso di un’intervista rilasciata su RAITRE a Lucia Annunziata. E poi: se fosse una persona
normale (scusaci Briatore, noi poveri plebei…) e non riuscisse a pagare le tasse del 50% cadrebbe
volentieri nell’illegalità, evadendole. I soliti discorsi. Lui, ricco, ricchissimo, uomo di successo e di grande
fascino, che fa dei discorsi cominciando a dire cosa la gente dovrebbe fare e ponendo dei modelli
discutibili ai giovani. Che i ricchi siano proprio un modello da seguire per i giovani avrei qualche dubbio. Si
può diventare ricchi onestamente, dice lui, ma ci crediamo davvero? Un povero maestro elementare che
prende il suo onesto stipendio a fine mese, lavorando con dedizione e passione, potrà diventare ricco
come Briatore? Già, dimenticavo… qualche giorno fa il TG1 sosteneva, secondo un’indagine sull’evasione
fiscale, che un gioielliere guadagna come un maestro elementare!
Sarebbe meglio che questa gente predicasse a se stessa, si calasse nella realtà di tutti i giorni, fatta di
un’Italia che lavora onestamente e fatica ad arrivare alla fine del mese. E la pressione fiscale andrebbe
alleggerita e non evasa, caro Briatore. E la gente come te, che non risiedi in Italia ma in Gran Bretagna,
dovrebbe pagarle le tasse alla nostra Italia. Regalerei un bel libro di Madre Teresa di Calcutta a Briatore,
magari uno che parla dei poveri, degli ignudi e dei disperati delle baraccopoli.
28 settembre 2006
La storia di Maria faccia riflettere il mondo
Mi viene spontaneo e naturale schierarmi sempre dalla parte dei bambini. E lo faccio anche una volta. Le
cronache di questi giorni ci hanno parlato molto di Maria, questa bimba di 10 anni che i genitori affidatari
genovesi hanno tenuto nascosta per quasi tre settimane, creando un caso diplomatico internazionale. Ora
che la bambina è stata ritrovata in compagnia dei nonni in Val d’Aosta, è probabile che venga rispedita in
Bielorussia dove – a detta dei coniugi genovesi – questa creatura pare abbia subito delle violenze, sia
fisiche sia psicologiche.
C’è stato un forte interesse intorno al caso di Maria. Ma quello che più mi impressiona, mi scandalizza ma
purtroppo non mi sorprende è il silenzio da parte dei mezzi di informazione, del mondo della politica
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(tutta) e delle associazioni su cosa accade veramente in questi paesi quando si parla di bambini. Fanno
notizia i terroristi, il petrolio che sale e scende, il buco dell’ozono, i caprioli del Piemonte e anche la Juve
in serie B, ma nessuno – e dico nessuno – si è mai pronunciato in merito.
Non faccio fatica a credere a ciò che dicono questi signori a cui è stata affidata la bambina. Nella mia
breve carriera scolastica ho avuto ben quattro casi di bambini affidati e poi fortunatamente adottati
provenienti dai paesi dell’ex Unione Sovietica e in tutti i casi i genitori mi hanno raccontato delle
inenarrabili sofferenze, soprusi, violenze e maltrattamenti subiti da questi bambini negli orfanotrofi.
Tutti questi bambini venivano da posti e orfanotrofi completamente diversi, eppure la “musica” era la
stessa. Don Fortunato di Noto attraverso la sua Associazione Meter che si batte nel mondo della pedofilia
denuncia nel suo libro “Dalla parte dei bambini” la scomparsa di minori nei paesi dell’Europa dell’Est: in
questi paesi i fanciulli scompaiono letteralmente dal giorno alla notte. Pedofilia, traffico di organi,
pedopornografia, sfruttamento, adozioni illegali (quando va bene), lavoro minorile… Eppure TUTTI
tacciono. C’è da pensare – e non lo fa solo don Di Noto – che queste organizzazioni godano di una
copertura politica ad alti livelli.
E così è stato anche per il caso di Maria. Nessuno si è chiesto ed ha indagato su quanto accade negli
orfanotrofi di quei paesi. Ora Maria tornerà in Bielorussia e probabilmente non avrà neanche gli occhi
puntati addosso per lungo tempo. È proibito pubblicare il sorriso di un bambino in un giornale perché viola
la privacy, mentre è lecito tacere su crimini orribili nei confronti dei bambini.
Speriamo che questa storia ci faccia almeno riflettere. Ma ne dubito.
9 settembre 2006
Umili come un bicchiere d’acqua
AVVERTENZA: PRIMA DI INIZIARE A LEGGERE QUESTE RIGHE, ANDATE IN CUCINA E PRENDETE UN BEL BICCHIERE D’ACQUA
FRESCA
Mi trovavo alla fermata dell’autobus quando mi accorgo che dietro di me c’era un po’ di trambusto. Un
capannello di persone stava assistendo una signora che era caduta insieme al suo bambino, probabilmente
scendendo dal mezzo pubblico. Mi avvicino discretamente e mi rincuora vedere che entrambi non si erano
fatti niente di grave, anche se la signora era molto spaventata. Immediatamente i soccorritori (tra cui due
poliziotti in servizio davanti ad una banca) portano un bicchiere d’acqua alla signora.
Pensavo e ripensavo al bicchiere d’acqua. Un bicchiere d’acqua non si nega a nessuno, e questo viene
offerto o richiesto in molti momenti della vita. Serve per rinfrescare, per soddisfare la sete, viene chiesto
al bar dopo il gelato (solitamente quando non è un gran che!), oppure dopo il caffè. Spesso quando viene
una persona a casa assetata, rifiuta qualsiasi bibita ma si accontenterà di un bel bicchiere d’acqua fresca!
Lo stesso si offre quando, come nel caso precedente, una persona è spaventata o ha subito un trauma.
Non sarebbe lo stesso con un bicchiere di gazzosa, di vino o di Coca-Cola… l’acqua, l’umile, l’utile,
preziosa e casta acqua che San Francesco lodava nel suo “Cantico delle Creature”.
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Mi piace l’acqua. E da oggi ancora di più il bicchiere d’acqua offerto, magari in un bicchiere di plastica,
segno dell’immediatezza e della rapidità. C’è da imparare da un bicchiere d’acqua: si offre a tutti,
soddisfa in molte occasioni, non si può e non si deve negare mai a nessuno. Il bicchiere d’acqua è umile e
semplice, quasi un modello da imitare e da prendere in considerazione per la quotidianità. Vedi cosa si
impara nell’osservare la vita che scorre, spesso troppo frettolosamente, così come velocemente
mandiamo giù un bicchiere d’acqua!
5 settembre 2006
Iiiiiiiii…. Ecco l’idea! La patata lessa!
Irresistibile. È questo l’aggettivo che più mi viene spontaneo per una pubblicità che abbiamo visto e rivisto
durante l’estate; questo mago Merlino simpaticissimo che si inventa “la patata lessa” dopo aver provato a
decaffeinare il caffè. Ovviamente questa simpatica espressione è entrata subito nel linguaggio comune,
tanto che addirittura mia figlia di tre anni si incanta ad ascoltarla e ripete la frase di Merlino. Non vi
nascondo che anche il sottoscritto si ferma per assistere alla scenetta e puntualmente mi scappa sempre
un sorriso.
È affascinante la pubblicità quando mette il buon umore, quando irrompe anche nel linguaggio comune
con i suoi slogan, le sue trovate, i suoi modi di dire. Questa, come tante altre, è stata una trovata davvero
geniale, grazie anche alla simpatia di Bonolis e Laurenti. Ma sono tanti, tantissimi gli slogan della
pubblicità che ancora oggi ripetiamo, anche a distanza di anni. Sempre a proposito di caffè – guarda caso
sempre lo stesso – come possiamo non dimenticare il buon Nino Manfredi che decenni fa pubblicizzava la
tazzina con una simpaticissima vecchietta: finiva con “più lo mandi giù e più ti tira su!”. Chi l’ha
dimenticato? E così tanti altri slogan che non sto qui ad elencare, ma che di tanto in tanto ci tornano in
mente. Mi domando spesso come una persona possa decidere di acquistare un determinato prodotto
solamente perché lo dice la pubblicità… Questa è qualcosa che ci entra dentro e che in modo quasi
subdolo ci spinge a fare delle scelte, influenzandoci in modo determinante.
Ben vengano, però, quegli spot che ci fanno sorridere, come quella simpaticissima particella che naviga
nell’acqua. Queste brevi pubblicità ci strappano per un momento un sorriso. Chissà, forse quel caffè e
quell’acqua povera di sodio magari possono anche non piacere, ma di fatto il loro beneficio lo hanno già
dato, in buon umore!
1 settembre 2006
Viaggi e miraggi
È partito un nuovo anno lavorativo. Stamattina, dopo più di due mesi di ritiro nel paesello, ho cominciato
anche io a fare il pendolare, a riappropriarmi di un mondo che avevo dimenticato per un po’, quello del
viaggiatore. Premesso che a me piace molto viaggiare con i mezzi pubblici: li trovo popolari, sociali, a
volte allegri a volte tristi, e soprattutto di notte acquistano un sapore molto particolare. Prendendo il
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trenino che da Monterotondo mi portava a Roma ho rivisto le facce di sempre: lavoratori, ragazze, uomini
con la “ventiquattrore”, stranieri (molti), nomadi, bambini, suonatori ambulanti, donne con le buste della
spesa, perfino un gruppo di manifestanti della Padania! Insomma, nulla è cambiato, le facce sembrano
sempre le stesse, immutate da molti anni. Una mia professoressa universitaria ci diceva che il modo di
viaggiare di un popolo è un parametro per farsi un’idea ben precisa di quella gente; mi sembra una buona
intuizione, peccato non avere i mezzi per approfondire il discorso….! L’unica cosa che è cambiata in
questi anni sono gli strumenti che porto con me per sentire un po’ di musica: dalle vecchie cassette, ai
primi lettori cd, oggi il lettore mp3… e mi accorgo che questi ultimi ormai sono diffusissimi.
Viaggiare in autobus o in treno mi fa riappropriare di un modo di essere. Anche le attese sono un tempo
che la vita sembra togliere, ma che se ci pensiamo bene, ci dona: dal momento che comunque dobbiamo
aspettare il mezzo pubblico tanto vale occupare quello spazio per noi, senza innervosirsi troppo. Durante
il tempo di un viaggio posso leggere, pensare molto, osservare chi mi sta di fronte, pormi degli
interrogativi (chi sarà? Cosa farà oggi? Come sarà la sua vita?) anche se raramente scambio qualche parola
con qualcuno. Mi piace guardare i dettagli: i piedi, le unghie, le scarpe, gli anelli… tutto ciò che
soprattutto in una donna sono segno di cura e attenzione. Mi piacciono le stazioni, con i graffiti, i
venditori ambulanti, e riscopro che Roma è una città che viaggia, dove milioni di persone si spostano
continuamente e ininterrottamente per tutta la giornata.
Nel tempo ho scoperto che ogni viaggio non è mai lo stesso. Ognuno ha una sua caratteristica che lo rende
unico: un ritardo, un incontro, un imprevisto, un’immagine, un suono, un profumo, uno stato d’animo.
Quello di stamattina è stato unico perché il primo che mi portava in una scuola nuova, il primo da
pendolare, il primo di tanti altri viaggi che farò fino alla prossima estate, per poi riprendere con
l’autunno.
Interminabili ore passate in viaggio sugli autobus, sui treni. Che Dio ce li mandi buoni… e sempre puntuali!
28 agosto 2006
L’uomo, il dolore, la morte
Irrompe prepotentemente nella mia vita alla fine di questa estate il dolore, la sofferenza, la morte.
Mentre ricordo l’anniversario del mio papà, ecco ammalarsi gravemente una mia cara zia, e
contemporaneamente apprendo della scomparsa di una mia amica, che ci ha lasciati prematuramente a
soli 28 anni. Il mio cuore è inquieto quando succedono questi eventi; mi domando ancora una volta – come
fa ogni essere umano fin dalla notte dei tempi - il senso del dolore e della morte, soprattutto quando
coinvolge soggetti così giovani. Cosa fare, cosa dire, cosa pensare. In questi casi il mio cuore tace, non so
proprio cosa pensare e cosa dire, sorge solo spontaneo il desiderio e il dovere di pregare per tutte queste
persone. La preghiera in questi casi – per chi ha fede – assume un carattere ancor maggiore di contatto
con il Dio della Vita, con Colui che tutto regola, l’unico padrone della vita e della morte. Sì, dicevo del
Dio della Vita: anche quando si muore così giovani, Lui è il Dio della Vita, perché la morte agli occhi del
cristiano non si riduce ad un tragico evento tragico, ma ad un passaggio alla vita che continua e che non
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finisce.
Ed è lo stesso per il dolore. Quest’oggi mi trovavo in gita con la mia famiglia ed entrando in una Chiesa,
proprio per sostare qualche minuto in preghiera, ho notato come mai mi era accaduto prima, che in quella
Chiesa (già visitata altre volte) c’era una croce davvero enorme, imponente. Una croce spoglia: su quella
croce mi è sembrato di vedere – sofferenti – le persone che portavo con me, mentre vivevano il mistero e
l’esperienza del dolore - quello più profondo, più atroce - e della morte. Ho sperato e pregato per la loro
redenzione e per la loro salvezza.
Certo è che davanti a simili avvenimenti ci sentiamo ancora più fragili del solito. Noi uomini che pensiamo
di dominare e governare questa nostra vita credendo di essere artefici di tutto quanto ci succede, in
realtà davanti ad una persona che chiede aiuto, conforto e condivisione ci sentiamo sempre più piccoli. E
in realtà è proprio così: creati ad immagine e somiglianza di Dio, redenti da Gesù Cristo, ma eternamente
fragili.
21 agosto 2006
L’Africa e l’ovvio problema
Leggo un articolo del PIME (Centro Missionario) che fa una denuncia ormai detta e ridetta sulle assurde
morti provocate in Africa da malattie che in Occidente sono debellate da molti anni. Siamo alle solite, il
diritto alla salute non è per tutti; vale per quella gente che abita nei paesi ricchi, conta poco o nulla per
chi vive in paesi come la Liberia, il Congo o chissà quale altro mondo sconfinato dell’Africa.
Come sempre si cercano i cattivi, i colpevoli. E quindi giù accuse alle multinazionali farmaceutiche ree di
dare medicinali solo a chi se li può comprare. Certo, è vero, queste multinazionali non sono certo scevre
da responsabilità in merito, quanto meno è criticabile (qualora ci fosse) il codice etico applicato, ma non
dimentichiamo che queste industrie esistono per guadagnare, e questo anche a scapito di chi vive di
stenti, morte e sofferenza.
Ma allarghiamo anche il nostro orizzonte pensando anche a come vivono queste popolazioni. Manca una
cultura e i mezzi per favorire una condizione igenica dignitosa che abbatta il diffondersi di certe malattie;
mancano i mezzi tecnici e le capacità minime per favore la produzione agricola, artigianale e la
manodopera; non c’è istruzione; le guerre minacciano le condizioni sociali di questi paesi con inevitabili
tragiche ripercussioni sulle popolazioni civili… Sembra quasi che ai potenti del mondo sia ‘opportuno’ che
gli africani non diventino troppi… Potrei continuare all’infinito, rischiando di diventare ovvio. Ma questo è
l’aspetto più drammatico del problema: diventare ovvi!
Sembra che a poco servano le denunce dei missionari che tentano di portare pace, giustizia e solidarietà
umana a queste martoriate popolazioni. A poco serviranno queste considerazioni ma sarebbe bene che
tutti, i “grandi del mondo” per primi riprendano a discutere su questi temi. L’anno scorso di questi tempi
il “Live8” riproponeva con forza all’opinione pubblica mondiale questi temi che sembrano nuovamente
tornati nel dimenticatoio.
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9 agosto 2006
E ammiro le stelle
Domani è il 10 agosto ed è la notte di San Lorenzo; come noto a tutti sarà la notte delle stelle cadenti,
quelle stelle che invogliano ad esprimere un desiderio, chissà, magari uno un po’ improbabile. Dalla mia
nuova casa ho la possibilità di vedere un’ampia fetta di cielo, cosa che non mi era possibile nella vecchia
abitazione di Roma. Questa per me è stata davvero una bella sorpresa perché nel mio cuore c’è il
desiderio – ed in parte è anche un dovere per il benessere di ognuno di noi – di non perdere il contatto con
le bellezze del creato. E così la sera spesso mi soffermo qualche istante per ammirare il cielo stellato,
favorito anche da un relativa scarsa illuminazione dell’ambiente circostante. Lo guardo, lo osservo, lo
ammiro e penso alla “Preghiera sotto le stelle” di Keplero (già pubblicata nella pagina “La pace del
cuore”) che dice “Grande è il nostro Dio e grande è la sua potenza e la sua sapienza infinita. Lodatelo
cieli, sole, luna e pianeti,con la lingua che vi è data per lodare il vostro creatore”.
Guardare in alto, sopra le nostre teste per scoprire tante ricchezze. Spesso il nostro sguardo non va oltre
le vetrina dei negozi o il terrazzo del piano di sopra, mentre il cielo contiene e racconta tante storie così
come ci insegnano gli antichi greci. Nella mia totale ignoranza astronomica sono riuscito anche ad
osservare il famoso “carro”, ma ignoro completamente gli altri nomi delle stelle. Ricordo con una certa
emozione e stupore come un mio caro zio, navigato ex comandante di navi, mi illustrava il cielo e mi
diceva tutti i nomi delle stelle… incredibile. Le stelle guidano anche le navi!
In questo periodo un po’ tutti guardiamo verso il cielo, così come fanno gli innamorati, per esprimere un
desiderio (magari di amore eterno) all’amato/a. Ognuno di noi però, al vedere una stella cadente, potrà
esprimere questo o quel desiderio: desideri materiali, spirituali, sentimentali… poco importa, per cercare
un po’ di migliorare la propria vita ci si attacca a tutto, anche alle stelle cadenti, pur sapendo che questo
non è funzionerà. La solita frase “non è vero ma ci credo!” che riempie i cuori di consolazione.
Anche io in questi giorni sto guardando il cielo nella speranza di riuscire a vedere almeno una stella
cadente. Come dicevo di astronomia ne so poco, ma cerco di compensare tutto questo aprendo il mio
cuore alla bellezza di un cielo stellato, cercando di vedere cosa mi ispira, quali emozioni mi dà ogni volta.
Poco importa se la stella cadente non riuscirò a vederla; è immensa la bellezza che gli occhi e il cuore
possono contemplare.
1 agosto 2006
Sono sempre le solite bombe
L’anno scorso proprio di questi tempi stavamo riflettendo sulle bombe e gli attentati terroristici di Londra.
Sconcertati ci domandavamo il futuro dell’Europa, se questa ondata di attacchi potesse colpire un giorno
anche il nostro paese, perché – diciamolo – ci preoccupiamo veramente solo quando avvertiamo un serio
pericolo per la nostra pelle. Ora, passato un anno, le cronache ci descrivono una feroce quando
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inaspettata guerra tra Israele e Libano. Siamo quindi alle solite: l’uomo a quanto pare di starsene in pace
proprio non ne vuole sapere. Eppure a sentire in giro c’è una maggiore coscienza oggi della pace nel
mondo, almeno tra la gente comune: se chiediamo all’uomo medio sicuramente preferisce uno stato di
non-guerra ad uno di conflitto armato. Ma questo vale per l’uomo della strada, non per coloro che guidano
dei popoli con interessi economici in gioco. Per questi “potenti del mondo” è giusto probabilmente
combattere, uccidersi, mettere a repentaglio la vita di persone innocenti perché non sono solo i civili
colpiti le vittime innocenti, ma anche chi viene mandato in guerra (per scelta oppure no).
Ora siamo di fronte a questo inquietante scenario nella terra di Israele. E vengono sinceramente dei dubbi
su cosa stia veramente succedendo laggiù. Mi riferisco ad una certa mentalità antisemita che vige nascosta
in Italia; sotto sotto c’è un antisemitismo latente e subdolo che spesso mi lascia sconcertato. E in questo
caso Israele viene presentato proprio come il mostro cattivo che sta bombardando gratuitamente una
terra uccidendo a più non posso. Mi domando se effettivamente è così. Non ho una risposta in merito, ma
solo tanti dubbi. Certamente lo stato ebraico stavolta ci sta andando con la mano pesante, e forse una
logica un po’ più umana dovrebbe tener conto dello stato di indigenza della popolazione civile… ma in
guerra a quanto pare non si fanno sconti a nessuno. Deplorevole e ripugnante il bombardamento di Cana
con molte vittime soprattutto bambini.
La sig.ra Condoleeza Rice e il segeretario generale dell’ONU Kofi Annan corrono da una parte all’altra del
mondo per cercare di ripristinare una situazione ormai compromessa, quasi che il mondo dipendesse dagli
sforzi di questo o quel personaggio. Chissà, forse questa gente dovrebbe muoversi e domandarsi sulle
ingiustizie e sulle contraddittorie situazioni di alcuni popoli anche quando non ci sono guerre in atto,
senza dimenticare che nel mondo si combe quotidinamente (Cecenia e Daghestan India, Colombia, Costa
d’Avorio, Nigeria, Haiti, Kasmir indiano…). A buon gioco del traffico e della vendita delle armi che, nel
caso del conflitto tra Libano e Israele – secondo una denuncia di Padre Alex Zanotelli - potrebbero essere
passate anche in Italia.
Ci stiamo dentro tutti e ogni stato, ogni potente, ogni uomo deve interrogarsi su cosa può veramente fare
per fermare tutto questo…
27 luglio 2006
Ho girato l’Italia sottosopra e rovesciato l’America
Ero dal fornaio, in fila per pagare il pane. Il commesso stava parlando al telefono ed ho sentito che
riferiva all’interlocutore di aver visto nel suo computer la casa di un suo amico che vive in Australia, tutto
questo grazie ad un programma fornito gratuitamente da Google. Da buon internauta ho elaborato
l’informazione ed ho trovato questo simpatico programma, geniale sotto molti aspetti. Premetto che se mi
date un mappamondo (oggetto che non ho mai posseduto, sigh!), un atlante o una carta geografica potete
anche scordarvi di me perché passerei le ore ad osservare le coste, le nazioni, le città, i confini, i laghi…
Fin da piccolo ho una passione per le carte geografiche, le contemplo fino allo sfinimento. Con questo
programma non vi dico le pazzie che ho potuto fare! Ho girato il mondo in lungo e in largo; attraverso il
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satellite ho visto la mia nuova casa a Monterotondo, sono andato in Thailandia dove ho fatto un viaggio di
nozze meraviglioso, unico e indimenticabile, ho visto le coste di Capo Verde dove mio fratello è in
vacanza, ho visto la Tanzania dove abita un mio carissimo alunno, sono risalito in Groenlandia per poi
andare nella foresta Amazzonica. E poi le isole Fiji, l’Australia, il Texas, New York, l’Egitto, la Nigeria e il
Mar Morto… insomma ho fatto notte! Poi, non contento ho preso il pianeta e l’ho capovolto: Bari era al
nord insieme a Palermo e Napoli, Milano e Bolzano erano al sud, la Sardegna ad Est e l’America per una
volta era andata la Sud del mondo. Un viaggio con la fantasia, un gioco che poteva sembrare realtà.
Magnifico.
Pensavo anche a scopi meno nobili di tale programma, per esempio l’aiuto che dà alle organizzazione
terroristiche capaci di avere la mappa dettagliata di un quartiere o di una strada o delle basi militari, ma
penso anche che alla fine le cose belle vanno anche vissute e godute per ciò che ci offrono. Forse nel mio
gioco c’è anche tanta voglia di viaggiare, di vedere e scoprire; ma dal momento che il mio tenore di vita
non mi permette di salire e scendere dagli aerei, provo ad usare l’immaginazione, la fantasia e perchè no?
– anche il satellite che per una volta mi fa sentire vicino a popolazioni e mondi lontani.
22 giugno 2006
Bono Vox (U2) parla di Dio, e che Dio!
Chi pensa sia Gesù?
«Penso che sia il figlio di Dio. Lo penso, per strano che possa sembrare».
Come si sviluppa il suo rapporto con la religione?
«In ogni uomo arriva il periodo di vita in cui inizia a riflettere su sé stesso, sul fatto che un terzo della
popolazione soffre la fame e che tu sei un cantante di un gruppo superpagato. Sono contraddizioni, come
forse lo è la nostra sponsorizzazione all'U2iPod o la mia amicizia con Soros o Bill Gates. Ma sono queste
contraddizioni che generano nuova vita. E allora mi affido a Dio. Penso che Dio non è definibile
dall'uomo. È più grande, più vasto, più profondo di qualunque pensiero l'uomo possa avere su di lui. Se
cerchi Dio, cercalo tra i più poveri, lì lo troverai. Sono credente e voglio portare un po' di Paradiso su
questa terra».
Queste le parole di Bono Vox, leader degli U2. Mi hanno colpito le parole di questa intervista pubblicata
da “Avvenire” domenica 18 giugno, intervista comunque gradevole e ricca di spunti di riflessione. Ho
pensato di proporla ai lettori di questo sito perchè non sempre dal mondo del rock i messaggi che arrivano
sono edificanti. Rock spesso è sinonimo di trasgressione, mentre qui uno dei più grandi cantanti, idolo
delle folle, si presenta al pubblico parlando quasi come un monaco benedettino…! Per carità, io non mi
fido mai dei cantanti, non conosco la vita di fede di Bono, ma stavolta voglio credergli ed esprimere la
mia amirazione per quanto ha detto e ha fatto in questi anni. Generalmente affermare che “Gesù è il
Figlio di Dio” potrebbe essere una mossa controproducente, quasi un volersi attaccare a ad una verità di
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fede che la cultura moderna vuole sradicare dal cuore dell’uomo. Ma ancor di più il vedere Dio nei poveri
è quanto di più evangelico Bono potesse dire. È lo stesso pensiero di Madre Teresa o di San Francesco…
Insomma, non voglio accostare il leader degli U2 ai grandi santi, ma almeno vorrei che le sue parole
facciano riflettere i grandi del mondo e soprattutto il pubblico giovanile a cui lui si rivolge. Ha la grande
fortuna di avere un microfono in mano e poter comunicare con milioni di persone. Bravo Bono, continua
così!
21 giugno 2006
Mattone dopo mattone, mattonella dopo mattonella...
È finalmente giunto il momento di cambiare casa. Questo passo così importante per una famiglia è il
risultato – almeno nel mio caso – di un grande lavoro progettato e pensato da mesi. Un lavoro che implica
ogni genere di energie: fisiche, mentali, economiche, nervose e una grande risorsa di tempo.
In questi mesi che hanno preceduto il trasferimento ormai imminente ho avuto molti contatti con tante
persone. Ho conosciuto operai, negozianti, falegnami, elettricisti, arredatori, idraulici, tecnici,
trasportatori, facchini… insomma tante categorie di gente che fino a questo momento non mi era mai
capitata di incontrare. C’è da dire che sorprende il fatto che ormai in Italia i lavori, così detti, “di fatica”
siano lasciati completamente agli stranieri. I muratori sono ormai tutti stranieri, i trasportatori di
arredamenti anche. E così quando entra qualcuno a casa a portarti un mobile non sai mai da dove venga:
generalmente sono rumeni o moldavi, ma anche ucraini o polacchi. Insomma tutto ciò che comporta
energia fisica è affidata a loro. Mi ha sorpreso solo una cosa; viviamo nel mondo della tecnologia più
avanzata eppure c’è ancora gente che porta i frigoriferi sulle spalle per due (o più) piani a piedi. Non
capisco perché non si sia ancora inventato un marchingegno per non compromettere la schiena di questa
gente. Spesso ho provato una sensazione di grande imbarazzo perché mi sembravo il tiranno che faceva
lavorare questa gli altri, io che non ho neanche un decimo della loro forza.Veramente ammirevoli sotto
tutti gli aspetti.
Poi ho avuto modo anche di confrontarmi con le mie poche abilità manuali. Ammetto di non essere molto
ferrato in campo di ristrutturazioni, ma questa esperienza mi ha portato anche a conoscere molti aspetti
del campo. Ora mi sento più preparato quando parliamo di impianti elettrici, corrugati, rasanti,
mattonelle, materiali per l’edilizia. È proprio il caso di dire che nella vita non si finisce mai di imparare!!!
Quando vado a casa di qualcuno ora apprezzo e osservo molto meglio di prima l’arredamento, come sono
messe le mattonelle e quali sono state scelte, dove sono le travi di cemento armato (!) e dove saranno
passati i corrugati… insomma sono diventato un fissato della materia.
Ma alla fine ho fatto anche lavorare le mie mani. Le ho messe a dura prova, cercando di sfruttare quel
poco che ho ereditato nel DNA di un papà artigiano. E senza sentimentalismi, ammetto che in questa
avventura della ristrutturazione mi è mancato proprio tanto: chissà quanti consigli mi avrebbe elargito,
dove avrebbe messo le sue magiche mani, e quanto mi avrà preso in giro da lassù per come ho tentato di
fare certe cose.
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Nella casa dove andrò ad abitare però conserverò un bel ricordo di molti che vi hanno lavorato. Penso ai
miei familiari che si sono dati da fare, ai miei amici che mi hanno dato una grande mano ognuno secondo
il tempo e i talenti da mettere a disposizione, a coloro che sono intervenuti con il loro lavoro. Io sono
fatto così: quando qualcuno mi aiuta nel riparare o costruire qualcosa io continuo a pensarlo ogni volta
che vedo o uso quell’oggetto. E così quando scriverò sul sito penserò ai miei amici che mi hanno aiutato ad
inaugurare la “nuova sede” del sito (un mobile dell’IKEA per il pc che prima o poi vedrete in foto…). Nella
mia casa continuerà a vivere non solo l’opera manuale di molti, ma anche la loro umanità. Ho cercato in
questi mesi anche di conoscere le persone che sono entrate nella mia casa, la loro storia, il loro vissuto, i
loro sentimenti. Ho cercato di rendere la ristrutturazione di una casa, un modo per avere un rapporto
umano con qualcuno e devo dire che con tutti c’è stato un dialogo che spesso mi ha arricchito.
Questo è quanto. Poi in futuro vi parlerò – sperando di fare cosa gradita a chi legge – di Monterotondo,
questa ridente cittadina che mi ospiterà – del mio arrivederci a Roma, della nuova avventura che mi
appresto a vivere con la mia famiglia.
8 giugno 2006
Mettiamo la museruola a Gattuso e ridiamo entusiasmo ai Mondiali
Ecco l’ultima. Alla radio sento la notizia dell’infortunio dell’ultimo campione della nazionale, il fenomeno
tutto italiano Gennaro Gattuso. Dispiaciuto più per l’uomo che per il giocatore ecco che il centrocampista
della Nazionale italiana esordisce nell’intervista rispondendo alla domanda (intelligente anch’essa!) su
come si sentiva dopo essersi fatto male. Risponde “ringhio”: “Volevo piangere, ma poi ho visto un
vecchietto che stava peggio di me e allora mi sono reso conto che i problemi gravi sono altri”,
e giù a ridere, lui e giornalisti. Davvero bravo! Un vero esempio di equilibrio e di intelligenza
sopraffina. Vorrei dire a Gattuso che il paragone suona quanto mai inopportuno. Lui, oltre che
essere smisuratamente più ricco della media degli anziani italiani, è ben curato da medici e
massaggiatori, tutti di primo ordine; i vecchietti invece vanno con l’autobus a fare le file alle
ASL e sono tutti ex insegnanti, operai, agricolotori, tutta gente che ha fatto il bene di un paese
a differenza di chi gioca al calcio. I vecchietti vengono curati dai medici degli ospedali, i
calciatori no. I vecchietti vivono di pensione, Gattuso guadagna in mezza giornata la pensione
di uno di loro. Mi fanno arrabbiare certe frasi, perché questa gente, capace di tradire la
passione di molti tifosi, non si rende conto di vivere in un’oasi felice.
Domani intanto iniziano i Mondiali. Generalmente questo dovrebbe essere il torneo più ambito,
quello più seguito e più apprezzato. Ma quest’anno ho l’impressione che l’interesse e l’attesa
non sia quella di sempre. Forse solo quando rivedremo la palla correre sul prato verde potremo
ritornare un po’ ad emozionarci, dimenticando Gattuso, le scommesse da 500.000 euro “a
botta” di Buffon, l’arroganza del nostro capitano Cannavaro che non ci rappresenta… insomma
le nefandezze di un mondo che non c’entra con lo sport. Torneremo a tifare e ad esultare per
un gol?
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27 maggio 2006
Carabinieri: dentro la divisa un cuore
Vi racconto un fatto piccolo piccolo ma significativo.
Roma. Lungotevere. Sono le 10.30 di un giorno qualunque e il sottoscritto insieme alla sua famiglia si trova
nei pressi di un importante ospedale di Roma per fare una visita pediatrica. Fa caldo e cercare un
parcheggio a quell’ora è un’impresa quasi impossibile. Passano quasi 45 minuti e mi trovo a fare
l’ennesimo (il quinto?) giro dell’isolato cercando disperatamente un posto, con i bambini che iniziavano a
dare in escandescenze e dopo aver dato fondo a tutti i cd dello Zecchino d’Oro che nel frattempo
intrattenevano la surreale situazione.
Disperato, ormai scoraggiato, chiedo a dei carabinieri di pattuglia presso un monumento cosa potevano
fare per me in quel momento. Capita la situazione, il maresciallo mi dice di accostare vicino alla loro
auto, scendere, fare tranquillamente la visita, tanto avrebbe controllato lui la mia auto evidentemente in
divieto di sosta ma senza intralciare il traffico.
Non vi dico il sollievo mio, dei bambini e di mia moglie, che finalmente avevamo risolto un grandissimo
problema. Ovviamente mi ha fatto piacere vedere che dietro quella divisa non c’è sempre il militare
imperturbabile che applica alla regola il codice (in questo caso stradale). Dietro quella divisa c’era un
uomo, probabilmente un papà, che ha capito la situazione e che ha fatto il classico “strappo alla regola”
per un caso umanitario tipo il mio.
Ringraziando di cuore quel carabiniere (che forse non incontrerò mai più e che difficilmente leggerà il mio
sito) vorrei augurare ad ognuno di noi di trovare gente sempre così. La mia incondizionata fiducia verso le
forze di Polizia di Stato e dei Carabinieri che svolgono una protezione e una tutela dell’ordine pubblico
per tutti i cittadini è stata ripagata. Ho anche avuto modo di vedere come queste persone vedono nel
cittadino non solo un nome e cognome ma anche delle persone, con delle storie, delle emozioni, delle
circostanze. Un piccolo esempio del grande lavoro di chi ci difende e ci aiuta nella vita di tutti i giorni.
18 maggio 2006
Il bel calcio salverà il calcio
Voglio tornare sul calcio. Lasciatemi dire un pensiero che ho fatto stasera mentre guardavo la finale di
Champions League Barcellona-Arsenal. Ammetto che entrambe le squadre mi sono simpatiche, ma quando
le ho viste in campo non ci ho pensato un attimo: mi sono schierato con il Barça. Se non altro perché
vedere quei giocatori prendere la palla tanto da sembrare giocatori della Playstation, fare un gioco corale
di grande armonia e bellezza, lottare fino in fondo facendo sentire la propria forza fino all’ultimo
momento, beh, tutto questo mi ha fatto pensare che il calcio è proprio lo sport più bello del mondo.
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Ronaldinho da solo vale il prezzo del biglietto, mai ho visto un giocatore del genere, una vera forza della
natura. Insomma il bel calcio è uno spettacolo e Barcellona ed Arsenal hanno dato un grande spettacolo.
Pensavo alle nefandezze che si sentono in questi giorni sul nostro calcio. La “medicina” che salverà il
nostro calcio sarà quella di tornare a giocare, di tornare a portare campioni veri nel nostro campionato;
che si torni a lottare onestamente, senza favoritismi; che si mettano a tacere tutte quelle bocche da
vecchie pettegole degli “opinionisti”, razza che prolifera pericolosamente in Italia, e l’allontanamento
(spero definitivo) di Biscardi non può che essere accolto con gioia in questo senso; che si torni insomma a
far divertire la gente, con squadre vere, con giocatori veri, con partite e arbitri veri. Solo così il bel calcio
potrà salvare il calcio.
Ricordo una volta un’intervista di Moira Orfei che parlava del suo circo. “Quando il circo è in crisi” –
diceva – “io non taglio i pezzi migliori, ma cerco di ingaggiarne di nuovi, sempre più belli, per risollevare
la situazione”. Una politica dell’investimento, proprio il contrario della politica del nostro calcio fatta solo
di interessi beceri da parte di pochi che non hanno voluto spartire con i più poveri il giro di denaro.
Spero proprio di tornare a vedere un calcio bello, pulito, onesto. Per il momento godiamoci Ronaldinho ai
mondiali…
14 maggio 2006
È già ieri
Non sono un grande appassionato di film, lo ammetto. Il cinema ha un ruolo marginale nella mia vita,
anche se cerco di seguire a modo mio il mondo della cellulosa. Più che un genere di film ci sono alcuni
attori che ammiro e di cui non perdo un film (Robin Williams, il mio preferito, ma anche Ben Kingsley,
Robert De Niro ed altri). Tra gli italiani – perdonatemi il paragone con gli altri nomi – c’è Antonio Albanese
attore di cui non perdo una interpretazione. Contrariamente a come faccio di solito non sono riuscito
stavolta ad andare al cinema a vedere un film uscito nel 2003, “E’ già ieri”, remake del grande successo
americano “Ricomincio da capo”. Per colmare questa lacuna qualche sera fa ho preso il dvd di questo
film. Ammetto che non avevo troppe pretese dal momento che non è nel cinema che si vede il miglior
Albanese; ma con il passare del tempo il mio interesse e il mio gradimento aumentavano con il trascorrere
delle scene. Le recensioni che si trovano su Internet non sono affatto generose con questo film, anzi molte
lo giudicano un po’ modesto, solo un tentativo mal riuscito di ricalcare il successo dell’originale.
Ed invece vi posso assicurare che erano molti anni che non vedevo un film così bello. Mi ha fatto ridere,
emozionare, pensare, ma soprattutto – e questa è la cosa più importante secondo me - mi ha lasciato un
un messaggio. Il protagonista è un giornalista antipaticissimo che fa un viaggio alle Canarie per realizzare
un servizio sulle cicogne per il suo famoso programma naturalistico. E lì è costretto misteriosamente a
vivere la stessa giornata per moltissime volte, con gli stessi episodi, le stesse scene, le stesse parole. Solo
alla fine capisce che per uscire da questo tormento dovrà cambiare se stesso tendendo la mano all’altro
piuttosto che respingere tutti con quel suo modo di fare odioso. Solo così entrerà nel cuore degli altri,
scoprendo quell’umanità che spesso ognuno di noi non riesce a cogliere.
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È un film che consiglio ai miei lettori, ma anche ai miei amici sacerdoti, agli insegnanti. È un film da far
vedere ai giovani, sul quale si può discutere, confrontarsi. Guardatelo e poi ne riparleremo, magari nel
forum!
5 maggio 2006
Stavolta il calcio dica la verità
Sì, stavolta non può finire ancora una volta “a tarallucci e vino” come succede sempre. Questa volta il
calcio deve dire la verità, deve smascherare i veri burattinai del gioco, deve dirci chi imbroglia, chi è (o
meglio chi sono) gli imbrogliati. Insomma, da tifoso del calcio sono sempre più sconcertato. Le
intercettazione telefoniche tra il dg Moggi e altri componenti di spicco del mondo del calcio, non lasciano
molti dubbi: si parla di esplicite richieste di arbitri, macchine ordinate, orologi regalati, giochi di potere
che solo chi è veramente potente può fare. E stavolta mi auguro che non si arrivi ad archiviare i fatti o a
far cadere certi reati in prescrizione, a sentenziare che non è successo nulla, che un dirigente come Moggi
tuttavia ha solo fatto richieste ai designatori degli arbitri (“a Messina mandami Consolo e Battaglia”), e
loro, compiacenti, accettavano.
Insomma, stavolta il calcio deve dire la verità. Per il rispetto dei tifosi che pagano gli abbonamenti (allo
stadio e in televisione), per il rispetto degli scommettitori che ancora giocano – come me – la schedina del
Totocalcio, nei confronti di un gioco che resta il più bello del mondo e che riunisce e fa discutere
settimanalmente tanta gente.
Tutti quei sospetti che hanno fatto della Juve la squadra più antipatica del calcio italiano devono
finalmente essere smascherati, per il bene di questa gloriosa società e dei suoi tanti tifosi a cui va il mio
rispetto sportivo. Non che io pretenda che deve essere detta la “mia” verità, ma almeno che si ammetta
che qui c’è qualcuno che fa un gioco poco chiaro, che è potente e che vuole comandare e vincere ad ogni
costo. Spero che non avvenga come il processo per doping: tutti puliti, tutti innocenti, quasi quasi si
scusavano per averli disturbati. Eppure le testimonianze in tribunale furono più che sconcertanti.
Vorrei che a questo gioco venisse ridata la dignità e continui a trasmettere quei nobili valori che lo sport
sa insegnare. Invece di vedere quei tre finti gol di Siena, vorrei che la Juve ricominciasse a combattere
onestamente e – se giusto – vincere anche meritatamente. Tutta l’Italia calcistica vede e sente delle cose
eppure tutti rimangono sempre impuniti, ne escono sempre candidi. Stavolta mi aspetto qualcosa dalla
giustizia non solo quella calcistica, ma anche ordinaria, nei confronti di chi sta tirando troppo la corda
senza paura che essa possa prima o poi spezzarsi. Ma questa volta si spezzerà?
Ai posteri l’ardua (o l’ardita) sentenza.
29 aprile 2006
Una mamma che allatta
Questo piccolo intervento vuole essere una lode ad una mamma che allatta. Mi soffermo spesso ad
osservare quanto amore ci mette una mamma impegnata in un così difficile impegno; ovviamente nel mio
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caso mi riferisco a mia moglie che in questi tempi è chiamata a svolgere questo compito, ma sicuramente
il discorso si può estendere anche ad altre donne.
Una mamma che allatta dona tutta se stessa al figlio. Gli dona il latte che lo fa crescere velocemente; gli
dona il suo amore alzandosi anche nel cuore della notte per dare il suo sostegno al piccino; gli fa succhiare
la vita, continuando quel rapporto intimo ed unico durato 40 settimane all’interno della pancia; una
mamma che allatta è un segno d’amore grandissimo ed unico, di cui - purtroppo – da grandi non si ha più
coscienza. Quando il piccolo piange perché vuole il suo unico cibo per la sua provvidenza non aspetta altro
che quel seno caldo che darà a lui molto di più di un semplice cibo: vedo come sia Gabriele, ma anche
Beatrice, si “tuffano” letteralmente il quel mare di morbidezza e di amore che solo la mamma può donare
loro. E quanta fatica e sacrifici costa tutto questo per una mamma; quando un bimbo è molto piccolo una
poppata può durare anche 50 minuti e poi, dopo poco più di due ore… si riparte; magari nel frattempo la
mamma ha dovuto anche cambiarlo, pensare al pranzo, al resto della famiglia, oppure è uscita a fare la
spesa… quanto Amore. Questo sì che è amore.
E poi è troppo bello vedere quelle facce dei bimbi che dopo aver finito di mangiare hanno quella faccia
così comica. A volte viene da pensare se al posto del latte hanno bevuto un boccale di birra o del wisky
vista la faccia satolla, donando all’osservatore un senso di invidiabile benessere; penso semplicemente
che hanno fatto il pieno non solo di latte, ma anche dell’amore della mamma.
Ammiro molto le donne che coraggiosamente decidono di allattare i propri figli. L’allattamento era messo
in discussione qualche decennio fa, corrente di pensiero sostenuta dalle grandi multinazionali che avevano
sentito profumo di soldi producendo il latte artificiale, ma ora tutto il campo medico si è deciso ad
unanimità di rivalutarlo. Penso – come disse una volta il card.Tonini in un’intervista – che il fatto che
anche questa mattina una mamma abbia allattato il proprio figlio è un segno d’amore e un miracolo della
vita.
Auguri alle mamme che allattano. A voi tutte, e a mia moglie in particolare, va tutta l’ammirazione di un
papà.
19 aprile 2006
Ma non ti sembra di averla già sentita questa notizia?
Dalla serie “quando le notizie sono sempre le stesse”. Ditemi se non vi è mai capitato, mentre guardate il
telegiornale, di avere la sensazione di aver già visto o sentito un servizio.
Ecco una ipotetica lista (a cui potete apportare qualche idea, qualora ve ne venissero) di servizi
“riscaldati” per l’occasione. Andiamo per ordine:
Gennaio: cosa porterà la befana? I regali dell’ultimo minuto con i soliti servizi e interviste ai bambini
di P.zza Navona.
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Febbraio: i regali più gettonati per San Valentino. Centinaia di servizi su Sanremo: chi lo presenta, le
gaffe, le prime donne, le polemiche e forse i cantanti e forse la musica.
Marzo: quali i consigli degli esperti per la settimana bianca. Ma è anche la stagione delle allergie ai
pollini: come curarsi?
Aprile: arriva pasqua: la tradizione delle uova di pasqua e della colomba. Un ampio reportage su
quanti chili di cioccolato gli italiani mangeranno e quanti euro spenderanno per l’abbacchio che
ovviamente è aumentato rispetto all’anno precedente. E poi ci sono le previsioni del tempo,
sempre incerte (1X2?) per la pasquetta dal momento che i metereologi non si sbilanciano più dopo
le critiche di due anni fa. E poi c’è il 25 aprile… : è sempre polemica politica!
Maggio: visto che si inizia ad andare al mare, ecco i consigli dei medici su come perdere peso e fare
bella figura in bikini.
Giugno: arrivano gli esami di maturità: quale alimentazione seguire per gli studenti, come affrontare
la dura prova, consigli degli esperti.
Luglio: cosa si fa nella riviera romagnola? E quali novità sui gelati? Gli esperti parlano dei nuovi gusti in
gelateria.
Agosto: cosa si continua a fare nella riviera romagnola? Esistono altri posti da sballo oltre alla riviera
romagnola? Perché la gente non va nella riviera romagnola? Cosa fanno in montagna quei pochi
che non vanno nella riviera romagnola?
Settembre: inevitabili rincari della benzina, acqua, luce e gas. Riaprono le scuole ed ecco anche qui
servizi sui rincari del kit dell’arredo per andare a scuola, dei libri e la classica polemica dal titolo
“ma le vecchie edizioni non erano le stesse?”. E poi: chi dirigerà il prossimo festival di sanremo?
Ottobre: ottobre è solitamente il mese più difficile per i giornalisti, non essendoci eventi prevedibili. I
talk-show si riempiono dei nuovi protagonisti dei reality e della stagione televisiva autunnale… a
volte i servizi sono gli stessi anche qui, cambiano i nomi.
Novembre: a novembre generalmente succedono i più catastrofici eventi metereologici. A volte uno
pensa che se non accadono c’è qualche giornalista che li fa accadere per forza. E così ci fanno
vedere la neve del Cervino che magari è la neve del Monte Bianco, oppure il solito uragano
caraibico tanto chi può dire se erano le coste del Messico o quelle della Costa Rica?
Dicembre: ovviamente qui i tg raggiungono l’apice del copia/incolla sui servizi per il Natale: le
immagini sono sempre le stesse, gli intervisti pure, cambia poco o nulla. Quali regali, quanto
costano rispetto all’anno precedente, le solite fantomatiche stime su quanto spenderemo in
panettoni, alberi di Natale e cenoni… Gli oroscopi di fine anno, i bilanci dei vip… Insomma la solita
musica.
Insomma, abbiamo scherzato è vero. Ma in tutto questo c’è un fondo di verità che viene da un
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telespettatore che vede almeno tre telegiornali al giorno. L’impressione è questi tg oltre a durare troppo,
dicono sempre le stesse cose: manca l’originalità, uno spirito di osservazione diverso che porti a cercare
nuove notizie e non a ripetere sempre le stesse. Si dovrebbe provare ad osare qualche volta, magari
rispolverando quel vecchio modo di fare informazione dove il giornalista vero andava sul posto e non si
fidava delle battute delle agenzie che riportano; siamo nell’epoca dei “riportatori” e dove non c’è
materiale da riportare si “riscaldano” i vecchi brodini.
10 aprile 2006
Quella barba che punge
Fatemi tornare, vi prego, ancora un volta sulla scomparsa del piccolo Tommaso. Guardando i funerali che
si sono svolti in una Chiesa gremita di tanta gente, si è capito che questa tragedia ha veramente coinvolto
tutte le famiglie italiane. Mi ha colpito molto le parole di una ipotetica lettera che il piccolo poteva
scrivere alla famiglia. C’era un riferimento alla barba del papà che lo pungeva durante i momenti di gioco;
un particolare che mi ha colpito e che mi ha fatto riflettere su un dettaglio della vita di un bambino. Un
piccolo, forse insignificante dettaglio, ma che ci fa capire come la vita è fatta di questi dettagli che
spesso sfuggono. Mi ha fatto pensare a quanti piccoli gesti quotidiani io stesso con mia figlia – e presto
spero anche con il nuovo arrivato – faccio: leggere insieme i libri sul letto prima di addormentarsi, il bacio
che mi dà dopo che l’ho vestita, la corsa che mi dona il bentornato quando apro la porta, giocare con
“Paperello” il suo pupazzo preferito da me animato con vocine e scherzi vari, recitare la sera la preghiera
dell’Ave Maria, andare alla Messa insieme e vederla incantata davanti all’organo che suona, andare al
parco e spingerla sull’altalena… Insomma, miriadi di azioni ripetute e continuative, che a volte sembrano
meccaniche, ma che costituiscono il sapore di ogni giornata. Sono proprio questi piccoli dettagli che
mancano di più quando qualcosa si rompe: una separazione, una malattia, senza pensare alla morte.
Mi veniva in mente come spesso dovremmo un po’ tutti rivalutare questi piccoli dettagli. E pensare alla
barba che pizzicava il piccolo Tommaso ci fa stringere il cuore, perché questo gioco mancherà a lui, ai
suoi genitori e a noi tutti che abbiamo adottato nel cuore questa creatura.
E non dite che i dettagli non contano.
29 marzo 2006
Chi non ha conosciuto Iole
Chi non ha conosciuto Iole non sa cosa si è perso. Iole era una simpatica vecchina che assiduamente
frequentava la mia parrocchia. Di lei ho un ricordo molto bello che si perde nella mia infanzia. Mi ricordo
che entravo in Chiesa verso le 18.30 e sentivo una bella voce, limpida, serena, che recitava al microfono
in rosario: dal momento che non vedevo il suo volto provavo ad immaginarla, tanto da pensare che quella
voce, così sempre uguale e precisa, fosse registrata. Poi me la ricordo quando - instancabile – faceva da
perpetua ai sacerdoti della nostra parrocchia, cucinando e facendo tutti i servizi in modo ammirevole. Poi
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la ricordo quando, lasciato l’incarico, ne cominciò un altro, quello di servire amorevolmente tutti i
bisognosi del quartiere. Ha bucato i sederi di tutti con le sue punture, ha portato conforto a molti
ammalati, ha dato sollievo a tanti angosciati: ricordo che mentre recitava il rosario alla litania “rifugio
dei peccatori” si toccava il cuore, quasi volesse indicare che il suo cuore ambiva a diventare un rifugio per
chi era nel dolore. Non era un caso che la sera, anche a mezzanotte, la si incontrasse per le strade di
ritorno da qualche puntura o qualche opera buona. Poi Iole ebbe un grave incidente d’auto dove morì il
suo amato fratello sacerdote del Don Guanella e lei rimase gravemente ferita. Anche lì dovette sopportare
innumerevoli sofferenze, eppure era sempre sorridente e i suoi occhi emanavano una luce speciale quando
ci rivedeva tutti. Veniva poco dopo l’incidente nella parrocchia, ma ogni volta che ci incontravamo il suo
sorriso era commovente e la sua gioia indescrivibile.
Ora Iole ci ha lasciati, ma la morte di una persona così non può che lasciarci sereni perché con mano tutti
hanno sperimentato la sua santità.
Conoscere persone come Iole vuol dire arricchire la propria vita di qualcosa. Sono persone che non si
incontrano facilmente, ma che ti fanno capire come può essere sempre bella la vita e soprattutto che ogni
vita, spesa così, può avere veramente un senso, al di là dell’aspetto di fede. Certamente la sua vita è
stata un esempio di come il Vangelo può veramente essere messo in pratica.
Quando vedevo Iole pensavo a Madre Teresa di Calcutta. Anche lei, piccolina e curva, era piena di quella
buona volontà e ricca di amore. Il giorno della sua morte è coincisa con la nascita del mio piccolo
Gabriele: sono sicuro che anche in questa occasione lei avrà versato qualche lacrima di gioia e avrà tanto
pregato per noi, come ha fatto in tutta la sua vita.
Auguro a tutti di conoscere persone come Iole, un esempio, un’immagine da tenere nella mente e nel
cuore.
21 marzo 2006
Tommaso libero: ma da chi?
Ogni giorno quando accendo la televisione o mi collego ad Internet spero di trovare la notizia della
liberazione del piccolo Tommaso. Senza dubbio questa vicenda, così come le altre dove si verificano
sparizioni di bambini, mi lasciano molto colpito. Sotto sotto mi rendo conto di vivere anche io in uno stato
di ansia per questa creatura. Forse perché sono padre anche io, forse perché vivo insieme ai bambini e mi
metto sempre dalla loro parte, forse perché come tutti non posso tollerare la violenza sui piccoli.
Passano i giorni, eppure di Tommaso non si sa nulla. Intanto i giornali si sono scatenati nel cercare di dare
notizie. Il padre di Tommaso si è messo in non buone acque, agli occhi di tutti appare come un
personaggio sospetto; si è addirittura ricorsi ad una sensitiva per trovare il piccolo (figuriamoci come sono
condotte le indagini in Italia!); l’offerta per fare da intermediario di don Mazzi è stato rispedito al
mittente; il pc del padre di Tommaso con immagini contenenti i minori… Ma intanto il piccolo Tommaso è
sparito, sembra come volatilizzato. I rapitori – o presunti tali – hanno portato via dalla famiglia un
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bambino di neanche due anni e per di più malato; lo hanno preso con la forza, e chissà con quale stato
d’animo continuano – speriamo – a tenerlo. L’impressione è che più passano i giorni, più le cose si mettano
male. Nessun segno, nessuna chiamata.
Il popolo di Internet si è mobilitato: i webmaster sono stati chiamati a raccolta per inserire una foto, una
segnalazione di Tommaso. Questo stesso sito ha portato in tutti questi giorni una scritta “Tommaso
libero”. Ma continuo a domandarmi: da chi Tommaso deve essere liberato? Dai rapitori? Dalla sua stessa
famiglia? Da qualche suo parente? Da qualche aguzzino? Da una banda di sequestratori? Mistero.
Mentre pare – dalle ultime notizie – che secondo gli inquirenti Tommaso sarebbe vivo, ci aggrappiamo tutti
a questa speranza. Comprendendo il dolore di questa famiglia, di questi due genitori che non posso più
stare con il loro piccolo: non voglio azzardare giudizi o ipotesi, per questo c’è la legge, voglio solo
condividere con questi due signori il loro dolore. Il dolore di due genitori è sempre lo stesso in questi casi:
colpevoli, vittime o innocenti cambia poco. Quando manca da casa il tuo piccolo, si soffre e molto. Forse
ci vorrebbero meno pettegolezzi, e sperare tutti un po’ di più in un lieto fine di questa storia. Un augurio
alla famiglia Onofri, ma anche a Denise, ad Angela Celentano e a tutte quelle famiglie che hanno perso le
tracce dei loro bambini…
14 marzo 2006
Risposta a V.Messori sull’ora di religione
Da giorni ormai circola la voce della famosa proposta – uscita guarda caso proprio in piena campagna
elettorale – della possibilità di introdurre un insegnamento della religione islamica nelle scuole italiane
pubbliche. Su questo molti colleghi mi hanno interpellato e a scuola, probabilmente il tema è molto
sentito da tutti, anche se molti si sono espressi in modo non favorevole a questa possibilità.
Anche sui giornali il tema è ampiamente dibattuto e tra le tante voci mi giunge inaspettata quella di
Vittorio Messori, intervistato da La Stampa. Il noto scrittore e giornalista a quanto pare ha le idee chiare:
«L’ora di Islam è un’assurdità [..] segno di una confusione generalizzata. Altro che insegnare anche
l’Islam, fosse per me cancellerei pure un vecchio relitto concordatario come l’attuale ora di religione. In
una prospettiva cattolica la formazione religiosa può solo essere una catechesi e nelle scuole statali, che
sono pagate da tutti, non si può e non si deve insegnare il catechismo. Lo facciano le parrocchie a spese
dei fedeli». Messori contesta così l’insegnamento della religione cattolica (IRC), «ridotta a un dannoso e
confuso mix di politicamente corretto, una via di mezzo fra storia delle fedi ed educazione civica. Fa più
male che bene, oggi gli insegnanti di religione, scelti dal vescovo, si impegnano molto ma hanno una
missione impossibile, ballano sul filo per farsi accettare e provocano reazioni laiciste di indifferenza o
rivolta come i crocifissi imposti nei tribunali. Perciò, ritiriamo i professori di religione dalle scuole
pubbliche e assumiamoli nelle parrocchie tassandoci noi credenti».
Probabilmente anche qui siamo di fronte ad una persona che parla senza sapere di cosa effettivamente sta
parlando. Pur rispettando le idee di Messori, vorrei ribadire che oggi non si fa più il catechismo nelle aule
di scuola. Forse Messori ha un’idea un po’ antica di dell’IRC: non è né una via di mezzo fra la storia delle
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religioni nè una educazione civica. L’IRC è un insegnamento serio, che vuole formare nei giovani una
cultura religiosa che è troppo spesso carente nella società di oggi. Il suo fine non è formare dei perfetti
fedeli, giovani religiosi e credenti, ma semplicemente parlare loro della religione cattolica (e non solo) in
modo onesto, rivolgendosi in primis ai cittadini e poi ai cristiani. L’IRC tiene conto di tutte le realtà
presenti nella scuola italiana ed è per questo che si è deciso di limare tutte quelle sfumature di
catechismo presenti fino a qualche decennio fa. Dire che l’IRC fa più male che bene mi sembra
un’espressione forte: ma cosa insegniamo noi insegnanti di religione? Ad uccidere? A far scegliere ai
giovani il male? A distruggere le coscienze? Caro Messori, forse la prossima volta dovresti pensare di più
prima di esprimerti con così tanta leggerezza. Non mi sento, come insegnante di religione, di ballare su un
filo per farmi accettare… Se c’è una cosa che posso dire nei miei (pochi) anni di scuola è di essere stato
sempre serenamente accettato da tutti, anche da chi è dichiaratamente non credente; forse perché mi
presento con cordialità alle persone, senza intraprendere lotte, ma semplicemente inserendomi nel
contesto della scuola come un cooperatore all’educazione e alla formazione delle coscienze e della
cultura (religiosa nel mio specifico) dei miei studenti. Se mi mettessi a discutere animatamente nei collegi
sulla questione dei crocifissi, beh, questo sarebbe un modo sicuramente controproducente per costruire
qualcosa; in questa questione ci sono delle leggi e sono i dirigenti scolastici a doverle far rispettare. Caso
mai noi insegnanti di religione dovremmo denunciare quanti crocifissi mancano nelle scuole italiane! Forse
il famoso scrittore “cattolico” nella sua intervista voleva porre un’altra questione su cui mi trova
pienamente d’accordo: quella della vera formazione di chi il catechismo lo fa per davvero nelle
parrocchie… Ma questa è un’altra questione.
Non mi sento di difendere la materia che insegno solo perché devo “difendere il posto”, ma perché credo
fermamente in ciò che faccio e dopo averlo sperimentato l’ho accettato, convinto di poter costruire
qualcosa come insegnante e come uomo di fede.
6 marzo 2006
Il piccione vincitore
Diciamo la verità: tra l’amore e i buoni sentimenti delle canzoni di Sanremo il fatto che a vincere sia una
metafora sul piccione fa male a molti. E diciamo anche serenamente che la canzone di Povia non era un
capolavoro, ma una canzone semplice, disincantata, spensierata, orecchiabile, ma con un senso, ovvero la
difesa della monogamia. Alla fine ho tifato per Povia, se non altro perché tra i finalisti di questo festival,
esclusi i Nomadi, gli altri erano veramente “poca roba”! Povia mi sta simpatico; ha l’aria di uno che ha
fatto tanta strada, ha la faccia onesta, di uno che canta lo stupore dei bambini che fanno oh e che scoppia
in lacrime alla notizia della vincita, che dichiara il suo amore alla figlia e alla compagna, che chiede ai
suoi genitori di abbracciarsi. Insomma mi sembra un personaggio positivo, che non chiede al mondo nulla
di più di quello che già generosamente gli ha dato. Ma se vogliamo questa canzone ha vinto perché reduce
da una canzone che l’anno scorso gli ha aperto la strada; ha vinto con un pezzo un po’ simile all’altro, i
soliti quattro (di numero) accordi, una melodia accattivante ed una interpretazione molto singolare, con
l’introduzione del verso del piccione, invenzione veramente originale!
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Ho seguito poco e male il festival per farvi una critica precisa di tutte le canzoni, alcune delle quali non
ho avuto modo di ascoltare. Ho visto attentamente solo l’ultima serata e francamente mi sono posto più di
un dubbio sulla regolarità della gara. Mi chiedo come mai gli artisti che vanno a Sanremo vengono dalla
scuola di Mogol, e mi rispondo da solo (meglio tacere pubblicamente però…); mi chiedo perché Mogol firmi
tanti testi, alcuni francamente indegni per un paroliere così celebre; mi chiedo se il televoto sia uno
strumento democratico e limpido. Del televoto non si conoscono i dati, costano troppo (0,75 cent), e
francamente tagliano fuori molte persone anziane che non sanno inviare SMS. Ecco quindi spiegato il
motivo della presenza di Anna Tatangelo tra le vincitrici delle donne: francamente penso che la Tatangelo
possa essere definita con tanti aggettivi positivi (bella, simpatica, solare, giovanile) ma sulla professione
di cantante sarebbe molto meglio soprassedere. E poi ancora: chi giudica queste canzoni? Perché non far
giudicare a persone veramente capaci di distinguere una stonatura di un quarto di tono o che di mestiere
fanno musica… Insomma, le solite ombre, i soliti dubbi che si affacciano in questi casi.
Ma, convinti che dove gira il soldo c’è sempre qualche affare un po’ losco, torniamo a pensare al piccione
vincitore. Povia con la sua canzone ci ha fatto sorridere, così come Simone Cristicchi che reduce dal
successo con cui aspirava a cantare come Biagio Antonacci, ci dice alla fine della sua canzone “Amami per
quel che sono veramente e resterò con te per sempre” lodando i matti perché dicono veramente quello
che pensano. A volte penso che ci vorrebbero dei “matti” che possano dirci veramente come stanno le
cose, a Sanremo così come nella politica, nello sport, nell’economia, nella vita di tutti i giorni.
21 febbraio 2006
Un’emozione olimpica
In questi giorni si è sentito molto parlare di Barabara Fusar Poli Maurizio Margaglio. Nomi sconosciuti al
grande pubblico, almeno fino a venerdì sera, quando con il loro volteggiare sulla pista di pattinaggio sul
ghiaccio per la prova di “danza di figura” hanno fatto provare un brivido a molti italiani, me compreso.
Mai mi era capitato di soffermarmi ad assistere ad una simile prova, ma questi due atleti mi hanno fatto
provare una intensa emozione. E così accade quando vedo le olimpiadi: dietro una prova immagino le ore
di estenuanti e duri allenamenti, i sacrifici di moltissimi mesi, l’intensità di un’emozione. E in “quel”
momento ci si gioca veramente tutto, per molti anche una intera carriera. Venerdì mi sono emozionato e
la stessa cosa mi stava capitando domenica; quando però li ho visti perdere l’equilibrio nell’ultima
frazione della loro ottima prova… beh… che rabbia e che dolore, vedere i loro sguardi attoniti, i loro occhi
pieni di rabbia e di incredulità. Alla fine loro, noi, tutti, speravamo e sognavamo una medaglia. Sono finiti
sesti. Ora probabilmente, schiacciati dal fenomeno-calcio, torneranno insieme ad altri grandi campioni
nell’oblio di uno sport che non è dei più seguiti nel nostro paese.
Ma lasciatemi ringraziare questi due atleti per il loro modo di danzare. Quell’armonia, quel sorriso, quella
gioia che ci hanno messo non era solo apparenza; traspariva passione, emozione, gioia per quello che
facevano. Li ho visti danzare con una dolcezza che ha fatto rabbrividire anche un orso come me, che
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proprio di ballo e di danza non ne capisce nulla. Un’emozione olimpica, per me da medaglia d’oro tutta la
vita!
20 febbraio 2006
Internet, la democrazia e la censura
Per una volta lasciatemi dire che sono d’accordo con Beppe Grillo, e ultimamente mi accorgo che questo
capita abbastanza spesso. Questo comico, esiliato dalla televisione, porta avanti delle battaglie spesso
coraggiose andando contro corrente, sfidando quello che tutti chiamano “il sistema”. E durante il suo
ultimo spettacolo lui porta avanti un’idea che mi ha fatto riflettere, ovvero quella di dire che Internet è
l’unico sistema di comunicazione davvero democratico. Probabilmente è proprio così; mentre la
televisione e i giornali (almeno le grandi emittenti e i grandi quotidiani) sono guidati da gruppi editoriali
con precise idee politiche, che orientano l’informazione in un preciso indirizzo, Internet, esclusi anche qui
i grandi portali (gli stessi legati ai gruppi editoriali di tv e giornali) dà veramente un’idea di libertà. Anche
io con il mio piccolo sito, con spese assolutamente limitate, posso dire quello che voglio, godendo di una
assoluta libertà; è anche vero che a furia di troppa libertà qualcuno usa questo mezzo in modo negativo, e
a mio avviso in questo senso dovrebbero esserci più regole.
Però la democrazia sta nel dare libertà di espressione a tutti e in questo senso credo che la televisione
faccia più danni di Internet. Anche se nella rete c’è veramente di tutto, è sempre l’utente a scegliere
consapevolmente quello che vuole visitare nel bene e nel male. Un uomo davanti ad un pc è più forte di
un uomo davanti al telecomando; innanzi tutto perché è sempre l’utente a scegliere con mouse e tastiera
dove andare, e poi perché i siti vietati richiedono comunque delle competenze e dei mezzi ben precisi per
accedervi. In questo senso anche il telecomando potrebbe essere uno strumento di potere, ma cambia
l’offerta: per ventiquattro ore al giorno la tv trasmette immagini, notizie e informazioni che come
dicevamo sono pilotate, ma anche i programmi adatti per famiglie e bambini nascondono delle insidie
gratuite. Pensiamo al modo con cui la pubblicità possa pilotare i gusti dei consumatori; ma anche ai
contenuti, pieni di frivolezze e spudoratezza, nel linguaggio e nei contenuti.
Con questo non voglio dire che Internet è un’oasi felice. Però quanto meno mi dà non solo la possibilità di
esprimermi (attraverso un sito, un blog o semplicemente partecipando ad un forum), ma anche la libertà
di scegliere cosa vedere, dove andare e cosa evitare. Se usato con la testa, Internet è un modo di
conoscere e comunicare molto potente, con effetti benefici in molti campi, nell’economia, nelle relazioni
sociali, negli scambi culturali, nel campo del lavoro; l’immediatezza e la mancanza di veri confini fa di
Internet un mezzo sempre più gradito e di maggiore diffusione, anche negli italiani. Non so se questa è
democrazia ma quanto meno Internet, nel bene e nel male, non chiude la bocca a nessuno…
6 febbraio 2006
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Cercasi Pulcinella per l’Islam
Non possiamo neanche scherzare! Incredibile. La vicenda che in questi giorni ha visto coinvolti alcuni
giornali del nord europa rei di aver pubblicato delle vignette offensive nei confronti dell’islam mi ha
lasciato davvero perplesso. Sì, perché come dice San Tommaso Moro nella preghiera per il buon umore,
quando invoca la grazia di poter accettare uno scherzo, ci fa capire che saper ridere e sdrammatizzare un
po’ alle volte è fondamentale nella vita. Sinceramente sono rimasto un po’ perplesso nel vedere quanta
violenza hanno scatenato simili vignette. Questo è un segnale chiaro ed evidente che con questa gente
non è possibile neanche scherzare.
Cosa dovremmo dire allora davanti a quel filone di barzellette sui preti, le suore, il Papa e i vescovi? In
Italia non si contano nemmeno le rappresentazioni burlesche sulla religione che, una volta, era addirittura
di Stato. Eppure nessuno si è mai sognato di aizzare le folle per qualche battuta di troppo, nessun
cardinale ha mai fatto battaglie contro un editore per una vignetta satirica. Si accetta lo scherzo, magari
sperando che il buon gusto e il rispetto per l’altro non scadano mai, e si va avanti… Anzi, a volte queste
barzellette sono significative di una realtà…
E invece con l’islam non possiamo nemmeno scherzare. Guai a toccare il povero Maometto! Per fortuna
che qualche giorno fa ho pubblicato nel mio sito una simpatica barzelletta sugli ebrei (presa da un sito
ebraico) e un racconto molto divertente su San Filippo Neri. Chissà se mi fossi azzardato a toccare
l’islam… a quest’ora il mio sito sarebbe stato oscurato oppure attaccato dai virus!
Attenti a chi non sa scherzare.
25 gennaio 2006
Da Vanna Marchi al “divino” Otelma… il passo è breve!
«Se qualcuno si è sentito truffato a queste persone chiedo scusa. Ogni volta che dicono di aver chiamato
Vanna Marchi e di averle dato dei soldi mi sento morire. Nessuno ha dato i soldi a Vanna Marchi […] Sono
perseguitata giorno e notte da questa vicenda e per il fatto che mi hanno fatto passare come ricca non
trovo più lavoro. Io non ho soldi, io devo lavorare come ho fatto per tutta la mia vita. […] Non ho mai
pensato che vendere la fortuna sia stata una truffa».
Sa dell’inverosimile quanto dichiarato dalla Sig.ra Vanna Marchi davanti al giudice nell’aula di tribunale.
Ovvio che questa signora ha tutto il diritto di difendersi, di dire la sua, di tentarle tutte, ma proprio tutte
(fino ad arrivare al pianto) per scontare qualche anno di carcere.
Ma passare da carnefice a vittima ce ne vuole. E così, abbiamo sentito anche il pianto della Marchi. Per
carità, ci sono anche cose ben peggiori che accadono nelle aule dei tribunali, ma l’opinione pubblica
credo che ormai si sia fatta un’idea ben precisa sull’attività che questa signora insieme a sua figlia ha
fatto per anni. Forse non è neanche giusto che sia “Striscia la Notizia” a scovare dei malfattori, a fare un
processo mediatico e dare la sentenza ancor prima di andare in aula, ma quello che il tg satirico di Canale
5 ha trasmesso in merito a questa vicenda è davvero sconcertante. Questa signora oggi in aula, ci ha fatto
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credere che lei è una vittima, è una signora povera che ora – guarda caso – non ha più lavoro. Chissà…
forse come attrice…
Ma la cosa che più mi ha sconcertato è la frase che dice “Non ho mai pensato che vendere fortuna sia
stata una truffa”. No, Vanna Marchi, tu non vendevi fortuna: ti sei approfittata della buona fede di gente
ingenua, chiedendogli (se non estorcendo, ma questo sarà il giudice a deciderlo) molti, molti soldi a gente
bisognosa, giunta alla disperazione per i motivi più vari. E questo non è vendere fortuna, è approfittarsi,
circoscrivere una persona nel momento del dolore, approfittare di una vittima. La fortuna non si vende. E
questo è il vero messaggio che dovrebbe trasparire; eppure ci sono ancora tanti maghi, incantatori,
cartomanti presenti nelle tv private e in loro studi di proprietà che guadagnano alle spalle della povera
gente. E non c’è da stupirsi quando vediamo il Divino Otelma, “Primo teurgo della Chiesa dei viventi” (!)
apparire in televisione e fare quei riti che – diciamolo – sono esoterici, magici, satanici. Il Divino Otelma
passa da “uomo di spettacolo”, ma dietro a quel fenomeno da baraccone c’è un chiaro intento e una
precisa strategia magica.
Chissà se mai, in questo Paese, qualcuno s’impegnerà a prendere una posizione rigorosa contro questa
gente che vive alle spalle dei più ingenui, con conti in banca da capogiro, “vendendo” fortuna
materializzata in pozioni magiche, oroscopi, cartomanzie.
Apriamo gli occhi, please!
17 gennaio 2006
Un maestro che diventa genitore
Colloquio telefonico:
“Sai, devo scrivere la mia bambina alla scuola dell’infanzia”
“Andò?”
“Sì, alla scuola materna…”
“Ah... all’asilo!”
Questo simpatico equivoco avuto con un mio amico anche lui padre, ma poco addentro alle questioni
scolastiche, mi ha fatto riflettere sul come passano i tempi, cambiano i ministri, si fanno riforme, ma
quella che oggi è la “scuola dell’infanzia” – termine che critico perché la pedagogia insegna che l’infanzia
va da 0 a 3 anni – rimane ancora oggi per tutti “l’asilo”.
E così, questa mattina, ho iscritto mia figlia a scuola.
Non è stato facile per me, perché in quel momento ho capito che la fiducia che spesso pretendo dai
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genitori dei miei alunni che incontro durante i numerosi colloqui individuali, stavolta dovevo riporla io nei
confronti di una istituzione scolastica, fidarmi di colleghi che non conosco, confidare nell’organizzazione
di una scuola che non avevo mai visitato se non su Internet.
Il Signore mi ha voluto concedere quest’anno una grazia ancora maggiore, ovvero quella di vivere la realtà
scuola attraverso tutti gli aspetti. Quando insegno sono un docente, quando vado all’università due volte
alla settimana sono uno studente, quando ho iscritto oggi mia figlia a scuola ero nei panni del genitore. In
questo intercambiarsi di ruoli spero di non fare confusione, ma di uscirne sempre più arricchito.
Mi spaventa un po’ il pensiero di dover affidare a delle persone sconosciute, l’affetto più grande della mia
vita. A loro delego una parte – seppur consistente - della sua educazione, insieme dovremo costruire
qualcosa di buono per Beatrice. Questo è un vero “atto di fede” e mentre le novità mi spaventano un po’
all’inizio, confidando nell’aiuto e nell’ispirazione del mio Socio sono sicuro che poi l’esperienza sarà
formativa per tutti.
Ma, vi assicuro, per un insegnante che ha ogni anno 180-190 alunni ai quali trasmettere un’educazione e
un insegnamento (non solo quello della religione) iscrivere per la prima volta la propria figlia a scuola è
molto, molto di più di un semplice atto formale, dove apporre una qualsiasi firma. Mi sono sentito
svuotato dalla mia esperienza scolastica e sono entrato in quella scuola in modo “anonimo”, facendo (un
po’ apposta) delle domande ingenue, da genitore inesperto. Servirà quell’umiltà di voler capire e voler
crescere insieme, io, mia moglie, Beatrice e la scuola.
Anche qui vorrei conoscere le esperienze dei genitori più esperti di me. Sarebbe un motivo di conforto.
Speriamo!
10 gennaio 2006
La fredda cronaca di una mattinata all’INPS
Ore 11. Arrivo con la mia macchina e mia figlia a bordo, presso l’ufficio dell’INPS a Montesacro. Vado
all’ufficio informazioni e prendo il numero dello sportello a cui dovevo rivolgermi per consegnare una
pratica. Noto che prima di me c’erano ben 17 persone che aspettavano il loro turno. Faccio sedere la
piccola Beatrice nella sala d’attesa, quando, trascorsi ormai più di 30 minuti noto che di utenti in coda ce
n’erano ancora 16. Con l’approssimarsi dell’ora del pranzo, e con una previsione di quasi due ore di
attesa, decido, con la bimba in braccio di chiedere all’impiegata la gentilezza di poter consegnare la
pratica e andare via. Richiesta accolta, secondo il principio che le donne in dolce attesa e le persone con
difficoltà come me che avevo una bambina meritano una precedenza. L’operazione, semplice, dura non
più di 4 minuti. Con i dovuti ringraziamenti, saluto ed esco.
Giunto nella sala d’attesa vengo apostrofato alle spalle con una bella battuta “Ha fatto il parac….”. Mi
giro e trovo dietro a me un anziano signore e un altro uomo di circa quarant’anni che mi insultano (con la
bimba presente) accusandomi di aver scavalcato la fila facendomi forte della presenza della piccola. “La
prossima volta mi porto anche io le mie due nipotine” dice l’anziano signore. “Ed io mi porto qualche
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bambino…” diceva l’altro. Visibilmente nervoso, e con un fuoco dentro di me, ho pensato di evitare
discussioni e mi sono scusato per non turbare Beatrice. Dopo averla rivestita sono tornato indietro e mi
sono ulteriormente scusato con questi due simpatici signori, i quali hanno rincarato la dose.
È vero. Le file spesso sono estenuanti e fanno perdere la pazienza a molti. Ovunque c’è voglia di andare
via, spesso anche dal fornaio si creano discussioni per chi era prima o dopo. Solitamente sono uno che le
file le faccio tutte senza discutere, ma in questo caso ho pensato che - davanti ad una giusta causa - si
potesse fare una eccezione. Ma non sono stato capito. Le persone presenti non hanno avuto pietà neanche
davanti ad una bambina che non avrebbe retto ad altre due ore di fila. Ma questo succede anche quando
andiamo a fare la spesa in un grande ipermercato: andiamo in una cassa “prioritaria” per le donne incinta
(quando ovviamente è ben visibile il pancione di mia moglie) ma anche lì, dove siamo palesemente nel
giusto, sentiamo i mormorii e gli insulti delle altre persone in fila.
Spesso si legge nei “numeretti”: 17 utenti in attesa. Dobbiamo domandarci spesso se dietro a quei numeri
ci sono anche delle persone con dei casi umani (donne incinta, malati, bambini). E “cedere il posto” come
si faceva una volta sull’autobus, dovrebbe essere un segno più che di gentilezza, di umanità.
Uscito dall’ufficio non so se mi veniva più da piangere o essere arrabbiato per aver sperimentato tanta
cattiveria.
Voi come la vedete? Spero in una risposta.
1 gennaio 2006
Un secondo nell’eternità
E così il 2006 è arrivato, ma a quanto pare, questo birbone si è fatto attendere per un secondo di più. È
proprio il caso di dire che appare appropriato il modo di dire “aspetta un secondo”. Infatti, apprendo da
una notizia riportata da più agenzie di stampa, che al 2005 è stato aggiunto un secondo, questo per tenere
conto dei mutamenti della rotazione terrestre. E così negli orologi terrestri mondiali alle 23:59 non
segnavano più la mezzanotte, ma le 23:60! Incredibile! Nel tradizione count-down per stappare le bottiglie
di spumante nessuno ha tenuto conto di questo secondo in più.
Ma a quanto pare c’è poco da scherzare, in quanto numerosi scienziati esperti nel “misurare in tempo”
sono in conflitto e stanno ampiamente discutendo se adottare questo sistema sporadicamente, oppure
istituzionalizzare l’introduzione di un’ora in più in un certo numero di anni. Addirittura ci sono convegni,
studi su questo spinoso argomento. A prendere simili decisioni tocca all’International Earth Rotation and
Reference Systems Service (IERS).
Fino a oggi in totale sono stati aggiunti 32 secondi in più e con quello del 2005 saliremo a 33. I computer
da tavolo aggiusteranno il loro orologio interno collegandosi direttamente a internet, una procedura che
spesso fanno i computer che sono rimasti spenti per molti giorni. Alcuni però chiedono di abolire la pratica
di aggiungere i secondi perché potrebbe provocare errori e danni ai sistemi più delicati.
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È il caso di dire che siamo davanti ad un problema esistenziale. Sinceramente non credevo si potessero
organizzare convegni e discutere se aggiungere è opportuno un secondo all’anno. Probabilmente saranno
anche problemi seri, ma per noi poveri mortali, un secondo in più o in meno penso che non comporta
grandi cambiamenti. A volte, nella nostra società di gente abituata a correre può capitare anche di
contare i minuti, misurare il tempo, cercare di dominarlo con orologi sempre più complicati e sofisticati.
Ma il tempo che viviamo ci è concesso da Dio, per Sua immensa generosità. E forse dobbiamo cercare di
viverlo meglio, più che tentare di calcolarlo meglio, senza lasciarci rincorrere dalla fretta. Tanto i giorni
passano, gli anni passano e nessuno di noi potrà mai tornare indietro.
Penso alle parole di S.Agostino nelle “Confessioni” (XI, 14) che negava l’esistenza del tempo, parole che
oggi striderebbero con la precisione degli orologi nucleari…
“Cos’è dunque il tempo? Se nessuno m’interroga, lo so; se volessi spiegarlo a chi m’interroga, non lo so.
Questo però posso dire con fiducia di sapere: senza nulla che passi, non esisterebbe un tempo passato;
senza nulla che venga, non esisterebbe un tempo futuro; senza nulla che esista, non esisterebbe un
tempo presente. Due, dunque, di questi tempi, il passato e il futuro, come esistono, dal momento che il
primo non è più, il secondo non è ancora? E quanto al presente, se fosse sempre presente, senza tradursi
in passato, non sarebbe più tempo, ma eternità. Se dunque il presente, per essere tempo, deve tradursi
in passato, come possiamo dire anche di esso che esiste, se la ragione per cui esiste è che non esisterà?
Quindi non possiamo parlare con verità di esistenza del tempo, se non in quanto tende a non esistere”.
Meditate gente.
14 dicembre 2005
Il calcio al servizio della politica
Se volete litigare con un amico basta mettere in mezzo o i soldi o la politica. E così è stato anche per me
quando ho deciso di abbandonare lo stadio. Dopo quasi una decina di anni di abbonamento alla mia
squadra del cuore, la Lazio, non riuscivo più a tollerare la violenza, non tanto quella fisica che mi
coinvolgeva solo in parte (non essendo mai stato un teppista) quanto quella verbale, pronta ad offendere,
non limitandosi più alle classiche parolacce – che tutto sommato fanno parte del linguaggio di tutti i giorni
– ma con termini di paragone spesso molto pesanti. E così dopo che la mia curva ha esposto lo striscione
“Squadra di negri e curva di ebrei” ho pensato che io, con quella gente e con questo calcio, avevo ormai
poco da condividere, se non la passione sportiva che è rimasta tale anche dopo non essere più andato allo
stadio.
E così tornano alla ribalta, continuamente, gli accostamenti tra la passione sportiva e la politica,
rinvigoriti ultimamente anche dalle gesta di molti protagonisti. E così, la gente che non ha mai messo
piede allo stadio, fa i soliti discorsi nei salotti sportivi, dove ci si domanda come riuscire a far separare la
politica dallo sport. Nessuno dice però che sono gli stessi partiti, le stesse sezioni di partito a servirsi dello
sport come veicolo per diffondere i propri slogan, le proprie ideologie. Ed così che nascono tifoserie di
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destra e altre di sinistra e che gli scontri tra ultras non sono dettati da un rigore non dato o da una rivalità
sportiva, ma spesso è proprio l’ideologia politica a far muovere tifoserie pronte ad armarsi pur di far male
ad altri gruppi di tifosi rivali nel calcio, ma soprattutto nella politica.
Gli episodi di razzismo a cui abbiamo assistito ultimamente e che tanto hanno fatto discutere vengono da
un odio profondo dell’avversario non in quanto avversario, ma in quanto uomo di colore proveniente da un
altro continente. Ricordo con un po’ di timore un episodio capitato in curva durante un Lazio-Milan di
diversi anni fa. Prendeva la palla Weah, liberiano, e mentre il calciatore fa la sua azione si sente uno che
da dietro gli grida “A scimmia!”. Nello stesso istante scendeva le scale un uomo di colore piuttosto
inquietante per stazza fisica, che probabilmente non ha reagito o fatto finta di non sentire. Chissà cosa
poteva succedere in quel momento se quell’uomo avesse reagito. Questa gente si nasconde nella massa, si
copre il volto con le sciarpe e picchia con le aste delle bandiere. Strumenti che nascono per colorare una
curva ma che finiscono per infangare la dignità degli esseri umani.
Basta con la politica nel calcio. Vedo alcuni miei giovani alunni portare a scuola del materiale che
prendono allo stadio con slogan non sportivi ma politici. Questa è la politica che si serve dello sport, che
va a cercare e formare adepti proprio lì dove ci sono i giovani.
9 dicembre 2005
Il matrimonio cambia: preparati. A cosa?
Il Comune di Roma di iniziative ne fa tante, alcune anche piuttosto bizzarre. E l’ultima in ordine di tempo,
secondo me, è quanto meno discutibile, sia in senso negativo sia positivo. Mi riferisco a dei corsi
prematrimoniali organizzati dal Comune rivolti a chi si sposa civilmente.
Mi chiedo cosa ne pensano tutte quelle coppie che vanno a malincuore ai corsi prematrimoniali organizzati
nelle parrocchie, dove sembra che “i preti” obblighino per forza qualcuno ad ascoltare le solite
ramanzine, noiose e magari già sentite decenni prima nelle ore di catechismo.
Ma ancora di più mi chiedo attraverso quale chiave di lettura si possano educare degli sposi che solo
davanti allo Stato Italiano sono sposati, ovvero solo davanti ad una istituzione che non porta con se una
specifica ideologia o modo di pensare. La differenza tra un matrimonio civile ed uno cristiano sta nel fatto
che mentre nel primo c’è solo un patto, un accordo tra le parti, nel matrimonio cattolico oltre a questo
patto c’è anche il sacramento che comporta tante scelte e che caratterizza con dei tratti ben specifici il
matrimonio religioso: indissolubilità, apertura alla vita, fedeltà… In un matrimonio civile c’è
semplicemente un accordo di due persone che, amandosi, stabiliscono che la loro unione debba essere
sigillata da un atto ufficiale davanti ad una istituzione. E così leggo che in questi corsi interverranno
esperti in psicologia di coppia, diritto di famiglia, gruppi di 'auto-aiuto' (?), e che le tematiche affrontate
riguarderanno la capacità di ascolto, l’attaccamento e l’autonomia, ma anche la gestione dei conflitti,
per passare ai figli e ai rapporti con le famiglie di origine. Insomma, questi esperti (gli stessi che poi
intervengono quando la coppia si sta per separare) non si sono inventati niente di nuovo.
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Ma la mia domanda è semplice: se in un matrimonio civile c’è semplicemente un patto, con quale sfondo
ideologico si intendono affrontare queste tematiche? Capacità di ascolto: ti ascolto sempre oppure fino a
quando ne ho voglia o fino a quando mi sei simpatico/a? Attaccamento e autonomia: queste due parole mi
sembrano cozzare tra loro, mi attacco a te nella prospettiva di un amore agapico che si dona, o il mio
attaccamento finisce dove inizia la mia autonomia? E ancora. I figli: il matrimonio cristiano si apre alla
vita, in un matrimonio civile c’è questa apertura? E come si intendono affrontare le relative
problematiche? La gestione dei conflitti: ti amo e quindi ti perdono oppure ti perdono fino a quando ti
amo?
Non vorrei sembrare eccessivamente critico, probabilmente questi corsi serviranno anche a qualcuno, se
non altro mi auguro che si rivaluti l’istituzione della famiglia. Però anche in queste iniziative le parrocchie
avranno qualcosa da imparare visto che a questi corsi interverranno anche elementi di spicco del mondo
della cultura e dell’arte, quali Ricky Tognazzi e Simona Izzo (entrambi non al primo matrimonio), e i
cabarettisti comici di Zelig, Paolo Migone e Geppi Cucciari. Si potrebbe dire che il matrimonio si stia
veramente trasformando in una barzelletta, dove ormai tutti possono mettere bocca. Un consiglio agli
amici parroci è di attrezzarsi: magari si potrebbe far intervenire Albano o Marylin Manson….
“Ma mi faccia il piacere” diceva Totò…
E siamo seri, almeno una volta.
17 novembre 2005
A me me piace ‘o blues
Così recitava il ritornello di una canzone di Pino Daniele di diversi anni fa. Molti mi hanno chiesto più volte
perché proprio il blues tra la mia musica preferita. Si potrebbe dire che il blues non si addice ad un
insegnante di religione perché è chiamata la “musica del diavolo” (!), ma non ci posso fare proprio
niente… mi emoziono quando sento cantare in quel modo. Lo scorso anno il blues ha compiuto cento anni,
anche se non si può proprio indicare una precisa data di nascita di questo genere. Nato nel profondo sud
dell’America dai neri schiavizzati che, nelle condizioni in cui si trovavano, pensarono di alleviare il dolore
delle loro sofferenze intonando questi meravigliosi canti pieni di dolore ma anche di speranza. E così il
bues diventa non solo musica, ma anche uno stato d’animo, un modo di sentirsi.
I miei amici più cari conoscono la mia ammirazione per il grande B.B. King: il re del blues ha influenzato il
mio modo di crescere e di vivere, il mio “stile” chitarristico, la mia passione per la musica. Ma ho i brividi
anche quando sento Muddy Waters, J.Lee Hooker, Eric Clapton, Buddy Guy, Lightin Hopkins… e molti molti
altri, fino ad arrivare al nostro Zucchero. Molto spesso fantasticando mi immagino in un’altra realtà: io,
nero, nel Mississippi con la chitarra in mano ad intonare uno spiritual in una di quelle chiese dove la
dimensione del sacro si sposa con la musica gospel… Sarebbe bello, lo ammetto, poter cantare come loro,
suonare come loro, farsi trasportare da quel sound irresistibile che mi fa immediatamente battere il piede
tenendo il tempo.
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Con il passare degli anni ho capito di più il blues, e mi fa piacere constatare come anche il nostro pubblico
ha recepito maggiormente questo genere musicale. L’ho visto proprio in occasione degli ultimi concerti di
B.B. King, dove ho scoperto che gli italiani sono molto più black di quanto immaginassi.
E mi fa piacere anche che il blues sia capace di trovare ammiratori in tante generazioni. A tal proposito ho
un ricordo molto bello, che vorrei raccontare. Mio padre amava molto la musica, in particolare quella
lirica ed ovviamente il maestro Pavarotti era il suo tenore preferito. A quel tempo io vedevo le
videocassette di B.B. King per studiare ed ammirare il suo stile. Un giorno, dopo tanto tempo passato
davanti al video anche in sua presenza, mi disse “Senti, metti un po’ la cassetta di quel ciccione che
suona la chitarra!”. Potenza della musica. Potenza del blues, una musica senza confini. Neanche vi dico la
gioia quando ho visto che Pavarotti e B.B. King hanno duettato insieme nel 1999 nel “Pavarotti & Friends”
a Modena. Peccato solo che a quel tempo papà già non c’era più. Ma ci siamo stretti in un abbraccio
ideale.
A me me piace ‘o blues. Sono italiano, amo la melodia italiana, ma è il blues la musica che mi scorre nelle
vene.
6 novembre 2005
Quegli occhi pieni di odio
Chissà quanti miei colleghi potrebbero condividere con me le storie di sofferenza che sentono dai propri
alunni. Osservando il campione molto limitato di bambini e ragazzi - quali il numero degli alunni di una
scuola – si potrebbe pensare ad una generazione in crisi che si porterà avanti negli anni queste ferite. Ma
pensiamo anche che il bene è sempre nascosto e non fa notizia; proviamo a consolarci così, nel tentativo
di vedere il bicchiere mezzo pieno.
Nonostante “l’abitudine” la sofferenza dei più piccoli non mi lascia mai indifferente. E non riesco proprio
a tacere e mi domando quali responsabilità ci portiamo dentro quando non siamo pronti a denunciare
certe situazioni. Ma esiste quella linea di confine dove evidentemente la scuola non può entrare più di
tanto, ovvero nella sfera privata di una famiglia.
È proprio di qualche giorno fa l’ultimo sfogo di un mio alunno che, arrabbiato, pretendeva un po’ di
ascolto da parte della propria famiglia con molti problemi, denunciando di fatto una grande solitudine.
Tanti bambini vivono con situazioni familiari disastrose, con genitori separati o divorziati che
contemporaneamente hanno altri amori (“il fidanzato di mamma”…, la prima volta che sentii questa frase
rimasi molto interdetto). Purtroppo molte persone continuano a vivere in modo troppo egoistico senza
tener conto dei danni irreparabili che portano a questi figli. Ma non siamo ai soliti moralismi faciloni dove
non è ammessa una crisi in una coppia; può succedere che due persone non vadano più d’accordo e che
magari decidano di intraprendere nuove strade. Quello che non è ammissibile è che certe persone non si
rendono veramente conto del dolore provocato ai figli e non fanno nulla per ripare a queste ferite che i
più deboli portano dentro. Basterebbe vedere il comportamento di certi bambini per capire subito che
nella famiglia di provenienza non si vive certo in un clima ideale.
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Come cristiano e come insegnante non lascio nessuna strada intentata pur di scovare anche una minima
possibilità che porti ad un beneficio per un mio alunno che soffre; vorrei tanto gridare questo dolore con
la forza di chi voce non ne ha. Ma spesso mi domando se anche queste situazioni non siano “morte”. La
morte è solo assenza di vita? O è morte anche vedere un bambino abbandonato dai propri genitori, con
l’odio negli occhi, privo di riferimenti e continuamente arrabbiato con il mondo?
18 ottobre 2005
Noi amici degli anni ‘80
Non sempre capita di uscire di sera, e non sempre capita di trascorrere una serata piacevole. Non c’è cosa
più bella che ritrovarsi in casa di amici e trascorrere del tempo con lo spirito di sempre. I miei amici sono
di vecchia data, possiamo dire che ci frequentiamo da almeno 15 anni, quando eravamo tutti adolescenti,
frequentavamo i gruppi parrocchiali e strizzavamo l’occhio alle ragazze; oggi siamo ancora tutti insieme,
“trasformati” in famiglie con figli ma con lo spirito di sempre anche se con qualche difficoltà oggettiva in
più nel riuscire a conciliare i tempi dei bambini con i nostri di adulti. Eppure, quando ci riuniamo il tempo
sembra non essere mai passato: ognuno porta qualcosa da mangiare, chi mette la casa, io porto sempre la
musica (nel frattempo siamo passati dal vinile ai cd) e parliamo sempre di qualcosa di nuovo, ci
divertiamo come allora, ci scambiamo consigli che per me sono di primaria considerazione proprio perché
vengono da chi mi vuole veramente bene. Qualcuno con il passare degli anni è un po’ cambiato, è
inevitabile; spesso anche io mi sento un po’ meno chiassoso di prima, più con la voglia di ascoltare e di
ammirare chi mi parla piuttosto che cercare di fare io la parte del “buffone di corte”.
Sì, i miei amici sono proprio come la mia famiglia. Gli voglio bene e non saprei come fare senza di loro.
Qualche volta mi è balenata l’idea di cambiare nazione, paese, andare a vivere lontano…: ma ho sempre
pensato “come farei senza gli amici?”. Noi siamo gli amici degli anni ’80: quelli che non hanno mai avuto
bisogno della discoteca perché le feste con la musica le facevamo nelle case, magari accompagnati dalla
mia chitarra…; nessuno ha mai acceso una sigaretta perché non era bella cosa per i ragazzi della
parrocchia fumare…; non avevamo bisogno marchingegni della tecnica o i simboli della moda per essere
accettati dal gruppo. Insomma, penso che siamo molto diversi dai ragazzi di oggi, eppur ci sentiamo
sempre eternamente ragazzi anche se trascorriamo molto tempo al lavoro piuttosto che sui libri
universitari, con pannolini e biberon piuttosto che ai numerosi concerti vissuti insieme. Cambiano i tempi,
le epoche, eppure è bello riscoprirsi sempre noi, sempre amici e sempre legati da un profondo senso di
appartenenza. Questa si chiama: AMICIZIA.
10 ottobre 2005
Katrina batte Stan: quando un uragano è un vero uragano
Ci sono uragani ed uragani. Ci sono morti e morti.
Altro che la Livella di Totò. Siamo alle solite.
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Nel mese di settembre tutto il mondo ha seguito, quasi in diretta, al passaggio dell’uragano Katrina. Ce lo
hanno annunciato, lo abbiamo seguito prima del suo arrivo, lo abbiamo aspettato, l’abbiamo visto passare,
abbiamo visto cosa ha provocato, abbiamo osservato con tono patetico il Presidente Bush andare in giro
per contare i danni, abbiamo sentito il lamento del paese più ricco del mondo che quasi con
sfacciataggine ha chiesto aiuti umanitari (gli stessi che l’America ha negato nella scorsa estate all’Africa).
Insomma l’uragano Katrina è stato proprio un uragano “serio”, vero, un uragano che la storia dell’umanità
non potrà mai dimenticare perché ha solo “osato” colpire un vero stato, il più forte: gli Stati Uniti
d’America.
9 ottobre: si apprende dai telegiornali che anche in Guatemala c’è stato un uragano. Caspita! Ha
provocato molte più vittima di Katrina: 1400 nel villaggio di Panabaj a causa di una frana che si è staccata
dal vulcano Toliman dopo le piogge torrenziali provocate dall'uragano Stan, e un altro migliaio per le
inondazioni anche in altri paesi del centro-america (67 in Salvador e “alcune decine” in Messico, fonte
AdnKronos). Il giorno successivo questa notizia già inizia ad essere meno diffusa dai telegiornali, la stampa
non le dà molto rilievo, probabilmente anche a causa della coincidenza con il terremoto in Pakistan e
dintorni. Ma è incredibile come solo dopo due giorni il mondo ha dimenticato i morti del Guatemala. Ma
Stan, così lo chiamano, non poteva competere con Katrina: vuoi mettere colpire il paese più potente al
mondo rispetto ai quei “poveracci” del Guatemala?!?!
E con la solita arroganza dei ricchi, abbiamo ri-visto le solite facce (giustamente) affrante degli americani
che, come per l’11 settembre, chiedevano a Dio di salvare l’America, come se Dio fosse americano.
Contemporaneamente i morti del Guatemala scompaiono nel giro di due giorni dai telegiornali e dagli
organi di informazione.
Anche la morte ha una carta d’identità.
5 ottobre 2005
Provate ad andare in giro con un passeggino….
… per le strade di Roma! Vi accorgerete subito che la città non è proprio il posto migliore per andare in
giro con le “quattro ruote a spinta”. Effettivamente le uniche quattro ruote che possono padroneggiare a
Roma sono le automobili. Salire e scendere marciapiedi scoscesi, attraversare tra le auto parcheggiate
perché i passaggi appositamente creati per i disabili o sono occupati dalle auto in sosta oppure non ci sono
proprio, sperare che le auto non suonino il clacson a pochi centimetri dal bambino, evitare i “rifiuti
organici” dei cani: sono solo alcune delle azioni che rendono la vita quasi impossibile a chi porta a spasso
un bambino. È vero che ci sono le ville, i parchi pubblici, ma anche lì non sempre le aree attrezzate per i
più piccoli sono pensate per loro; spesso mi viene da pensare che chi le fa non ci porta i propri figli.
Ma se per un bambino e il proprio genitore le camminate in carrozzina o con il passeggino durano solo per
un periodo di 3-4 anni, c’è molta gente che sulle carrozzine ci sta una vita, e così ti accorgi di quanti
piccoli ma costanti disagi per i disabili ci sono in una città come Roma che ha ancora molte, troppe,
barriere architettoniche. Quanti gradini si salgono e si scendono in una passeggiata di trenta minuti.
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Quando si cammina con un passeggino si ha il tempo di riflettere e di pensare. Ma anche di vedere con gli
occhi del bambino che dalla sua visuale si accorge di molti dettagli che ci sfuggono: il mendicante seduto
che chiede qualche soldino, gli altri bambini sui passeggini, le vetrine che colpiscono il piccolo per
qualche particolare, le fontanelle, ma anche i segni di protesta del piccolo quando si entra in un negozio
(magari una gelateria!) e non vede nulla perché sovrastato da altre persone molto più alte di lui che, da
seduto, si sente “soffocare”.
Camminare con un passeggino per le strade di Roma non è semplice. Ma camminare fa bene, aiuta l’adulto
così come il piccolo. E spesso è anche bello fare l’esperienza di chi guarda con gli occhi aperti alla
meraviglia e allo stupore il mondo intorno che lo circonda. E che ci circonda. Inevitabilmente. Forse ogni
tanto faremmo bene a cambiare il punto di visuale.
27 settembre 2005
Quanto è amaro il naufragar….
Pochi giorni fa navigavo su Internet, visitando i soliti siti che o per svago o per ricerche sono solito
guardare. Mentre ero in “navigazione”, come qualche volta capita, ho naufragato! Stavolta ho naufragato
sul dolore di una persona che chiedeva per la sua figliola di soli nove mesi delle preghiere da parte dei
visitatori del sito; la piccola – della quale era anche pubblicata una bellissima foto – ha un cancro maligno
agli occhi e rischia seriamente di diventare cieca. Dovrà cominciare la chemioterapia. Purtroppo tutti
conosco quanto sia malvagia questa terapia, l’unica però che fino a questo momento riesce a salvare delle
vite. Quasi in ogni famiglia c’è chi si è trovato a combattere una dura lotta contro questa malattia che è il
tumore.
Mi sono fermato per un attimo a pensare agli occhi di questa bambina e al dolore e alla sofferenza su una
piccola creatura di nove mesi. Nonostante la mia fede solida a volte non riesco proprio a comprendere la
sofferenza sui bambini: credo che sia un mistero miliardi di volte più grande di quello degli adulti. E poi,
la chemio su una bambina così piccola…...
Continuerò a pregare per questa bimba che si chiama Federica. Lo farò per lei e per i suoi genitori, messi
alla prova da un dolore ancora maggiore. Penso ai bambini che soffrono negli ospedali. Penso che non
possiamo sempre far finta di nulla. Penso a coloro i quali il dolore proprio non lo capiscono: e vedo anche
me, con le mie debolezze a cercare un perchè. La fede cristiana insegna che dobbiamo “semplicemente”
accettare la Sua volontà, consci che anche quelle lacrime fanno parte di un disegno. Ci credo
fermamente. Mi sono fermato non solo per quell’attimo a pensare a Federica. E a piangere per lei.
Quant’è stato amaro il naufragar….
5 settembre 2005
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Per me Miss Italia…….. finisce qui
Andrea: per te miss Italia finisce qui! Evviva! Sono proprio contento dell’eliminazione, ovvero
dell’autoeliminazione. Non è stato certo sufficiente il televoto o una giuria apposita per eliminarmi: no,
mi elimino da solo. Nel senso che non ritengo uno spettacolo degno di questo nome il concorso di Miss
Italia. Questa manifestazione oggi non rappresenta più per molte ragazze un semplice sogno o un gioco al
quale vale comunque la pena tentare. A giudicare dalle interviste di molte partecipanti, dalle aspettative
che esse ripongono nella manifestazioni – aspettative incentivate dalle famiglie di provenienza – “Miss
Italia” è molto più di un semplice gioco. Alcune ragazze credono che con la sola bellezza fisica si possa
veramente sfondare nel mondo dello spettacolo e ripongono sulla cura del corpo, sull’apparire piuttosto
che sull’essere, tutte le loro speranze e attese.
Per un certo verso è vero: “la bella presenza” oggi è d’obbligo in molti campi della vita. Infatti è
puntualmente deprimente sentir parlare queste ragazze, in quelle stupide domande dove devono
dimostrare anche di avere un pizzico (quanto basta, come nelle ricette di cucina) di intelligenza.
Non ci credo a Miss Italia. Non ci credo a quegli abbracci quando viene proclamata la vincitrice:
scherzando mi viene da pensare che sotto sotto qualcuna molli calci, pugni nel fegato e tirate di capelli
alla eletta, tutte involontarie ovviamente. E la cosa più tragica è che l’ho visto fare anche al Mr.Italia:
decine di ragazzotti abbracciavano l’eletto proprio come fanno le miss…. Non ci credo a quei sorrisi falsi
delle eliminate: immagino dietro le quinte scene di isterismo e valli di lacrime. Non ci credo neanche alla
regolarità del gioco: del resto non sempre in Italia la meritocrazia è sempre rispettata. E la Miss è appunto
dell’Italia…
Mi arrabbio quando vedo queste ragazze piangere per l’eliminazione. Due anni fa di questi tempo ero in
ospedale con mia moglie in attesa della nascita di mia figlia. Accanto a me c’era una giovane ragazza in
lacrime. Si era sentita male a casa, era corsa in ospedale e i medici avevano constatato la morte del feto
che doveva nascere entro qualche mese. Quella ragazza aspettava il “raschiamento” termine così brutto
che indica proprio la “rimozione” del bimbo ormai privo di vita. Nei suoi occhi c’era la vera disperazione.
Torno a casa e al telegiornale una di queste sgallettate che veniva eliminata diceva di essere “disperata”
per la sconfitta.
Sarà il caso che nella società dell’apparire, del bello-a-tutti-i-costi si ritorni a dare il giusto valore a
quello che è un gioco, alla vita, alla felicità e alla disperazione.
25 agosto 2005
Scusami Maria Grazia Cucinotta ma…..
"Io sono una passionale: se mi dovessi innamorare di un altro, non mi fermerebbe nulla. Mio marito è
della stessa opinione. Siamo sposati da 10 anni, con un accordo: nel momento in cui il nostro cuore
batterà per un altro, chiuderemo. Io piangerò o lui piangerà, pazienza. Ma non vivremo nell'ipocrisia".
Effettivamente il proverbio dice “Tra moglie e marito non mettere il dito!”. Ma qui siamo davanti ad una
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dichiarazione pubblica (fonte ANSA) ed io mi sento almeno di metterci mezzo dito. Questa affermazione
della bella Maria Grazia Cucinotta mi ha fatto riflettere. Oggi purtroppo molte unioni già in partenza
hanno simili intenzioni, si basano su una filosofia che rivendica nella libertà il più sacrosanto dei diritti.
Fedeltà allo sposo o alla sposa, fedeltà alla famiglia… oggi questa parola sembra una mortificazione del
proprio io egoista, che pensa più a se stesso che al noi.
“Nel momento in cui il nostro cuore batterà per un altro, chiuderemo”: questo, scusami Maria Grazia, mi
suona già come un mezzo tradimento, nel senso che fa intendere che l’amore può durare fino al momento
in cui non incontro un giovane più bello e affascinante di te!
“Io piangerò o lui piangerà, pazienza. Ma non vivremo nell'ipocrisia": bello! Non è ipocrisia vivere un
abbraccio sapendo che domani questo potrà finire in un batter d’occhio?
Sarebbe il caso di lasciar stare quei falsi grilli parlanti che da un elegante salotto televisivo incitano al
tradimento, alla distruzione delle famiglie, alla pornografia dei sentimenti, alla spudoratezza
sentimentale. Alcune riviste da quattro soldi ogni estate pubblicano i soliti sondaggi che dimostrano che il
tradimento in estate è qualcosa di “normale”, anzi è strano per chi non lo fa. Basta con queste
sciocchezze. Torniamo a guardare il nostro sposo, la nostra sposa, o se volete anche il convivente, con gli
occhi dell’amore: quell’amore vero che non precipita mai, basato sulla fedeltà, sul dialogo e sulla
donazione reciproca verso l’altro e verso la famiglia.
18 agosto 2005
Giovani e Giovani
Ci sono giovani e giovani.
Giovani che buttano sassi dal cavalcavia per vincere la noia e l’abbandono, in paesi desolati senza teatri,
sale da concerto, cinema, luoghi di ritrovo che non siano le solite discoteche o sale giochi.
Giovani che partono per Colonia alla ricerca di una parola che cambi la loro vita, che guidi la loro
esistenza.
Giovani che vogliono solo raggiungere la felicità: e questa felicità vuol dire entrare nel Grande Fratello,
diventare velina o avere una barca da far concorrenza a Briatore.
Giovani che si dedicano, non necessariamente spinti da un ideale di fede, al volontariato, ad aiutare
anziani, disabili, emarginati.
Giovani che escono dalle discoteche ubriachi di musica (magari solo di quella), alcool, luci psichedeliche.
Giovani ai quali viene chiesto di non bere e non correre con la macchina dalle stesse persone che vendono
e pubblicizzano auto potenti e guadagnano sugli alcolici.
Giovani che dimenticati dai parroci, dalle famiglie e dai catechisti, confusi in un oblio di idee pensano di
trovare in oroscopi, maghi o sette sataniche qualche via per la felicità, qualche risposta alle proprie
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domande.
Giovani abbandonati nelle scuole da professori sordi ed incapaci di aprire i cuori, alla ricerca di qualcuno
o qualcosa che capisca i loro sogni, le loro aspettative, i loro disagi.
Non ci capisco più niente con i giovani. Eppure mi sento — nonostante la mia condizione paterna - ancora
un giovane. E da giovane continuerò ad ascoltare quelle parole che Benedetto XVI rivolgerà ai giovani. Ma
sarò pronto ad ascoltare anche le voci dei miei coetanei e degli altri giovani che incontro in parrocchia, in
autobus o a scuola.
Penso che quando saremo anziani questa ex-gioventù avrà ancora le idee molto confuse. Serve un grido
forte di fiducia e di responsabilità da parte di Papa Ratzinger che coinvolga tutti i giovani del mondo
anche coloro che sono lontani da Dio; serve l’impegno della politica a prevenire che dei giovani si
divertano ad uccidere lanciando pietre come nei videogames. Penso che non servano più analisi, indagini.
Quello di cui ha bisogno un giovane è sapere che su di lui il mondo ha fiducia.
Ora servono i fatti.
5 agosto 2005
Storia di un campione
Per molte persone il nome di Giuliano Fiorini non dice nulla. Probabilmente neanche a quelli che il calcio
lo conoscono bene, perché lui, Giuliano Fiorini, non è stato un grande campione. Un buon calciatore, ma
nulla più; un eroe invece per i tifosi laziali che hanno seguito gli anni ottanta, come me quando papà mi
portava allo Stadio Olimpico (il vecchio Stadio Olimpico) a vedere le imprese di una Lazio tanto piccola
quanto generosa. E l’emblema di quella squadra di leoni, penalizzata da nove punti di penalizzazione per
le vicende del calcio scommesse, era proprio lui, Giuliano Fiorini. Ero lì quando segnò quel gol che salvò la
Lazio dalla retrocessione in serie C. Non dimenticherò quella zampata vincente a meno di dieci minuti
dalla fine. Lui aveva sempre la faccia stravolta, correva lento, il passo stanco, le mani sui fianchi, le
spalle grosse; non era un fenomeno ma ogni tanto la buttava dentro con quell’istinto dell’attaccante di
razza. Me lo ricordo bene in mezzo al campo: da piccolo lo paragonavo ad un grosso pugile riempito di
botte, alla fine di un match. E forse era proprio così. Giuliano Fiorini non lo dimenticherò: un po’ perché
legato ai miei ricordi d’infanzia fatto di figurine e domeniche allo stadio con il mio papa, un po’ perché
rimane impressa in me quell’emozione di un gol storico che il tempo non potrà dimenticare. Sapere che
oggi non c’è più — scomparso prematuramente a soli 47 anni — lascia un vuoto nei miei ricordi di tifoso e
in quelli di molte persone che hanno vissuto quei momenti.
1 agosto 2005
Ci sono fuochi e fuochi
Tutti al mare! Con il corpo quest’anno sono andato nella Riviera Romagnola, anche se con il cuore ero
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nelle amate montagne del Trentino. Si parla tanto della Riviera Romagnola, e devo ammettere che di
divertimento ce n’è per tutti. L’estate è stata però funestata dalle tragiche notizie che arrivavano
dall’Egitto; in realtà ogni giorno ci sarebbero notizie preoccupanti ma noi ci rendiamo conto (o meglio, ci
informano) solo di quelle che ci riguardano da vicino.
Bombe, kamikaze, sangue. Mentre in Egitto si moriva a Rimini si sparavano fuochi d’artificio. La piccola
Beatrice aveva paura quando sentiva i botti di questi fuochi anche se erano solo fuochi di festa. Come al
solito pensavo ai bambini costretti a vivere in zone dove i fuochi non sono segni di festa ma di guerra,
morte e distruzione.
Mentre a Rimini si suona e si balla tutta la notte, da altre parti del mondo si vivono momenti dove la
voglia di ballare ce n’è veramente poca.
Addirittura a Rimini le porzioni di cibo fornite dall’hotel erano abbondanti, molto più delle nostre
capacità, noi eravamo costretti ogni tanto a rimandare il cibo indietro. Mi piangeva il cuore pensare che
quel cibo andasse buttato; nella società del consumo si buttano cibi in abbondanza, mentre in altre parti
del mondo si muore di fame.
Insomma, una vacanza con tante contraddizioni. Con questo non voglio dire che non bisogna più ballare,
cantare, sparare fuochi d’artificio o mangiare una buona porzione di cibo. Penso però che dovremmo
avere un po’ di consapevolezza di quello che ci è donato... vivendo l’attimo: siamo una società ricca ma
non è giusto che diventiamo una società dello spreco; siamo una società di festaioli, ma non è sapiente
diventare una società di egoisti. Spariamo i fuochi, sono belli, ma ricordiamoci che ci sono fuochi e
fuochi…..
15 luglio 2005
Con B.B.King: le emozioni non hanno né tempo, né prezzo
Ieri sera è stato il mio quinto concerto di B.B.King; un nome che per molte persone non vuol dire molto,
ma per chi ama il blues B.B.King rappresenta il simbolo per eccellenza. Ascolto la sua musica da più di
quindici anni e per me rappresenta quel mito di cui tutti abbiamo bisogno: un punto di riferimento per chi
suona la chitarra e per chi ama il blues.
Ieri sera al Centrale del Tennis, B.B. ha suonato come un “vecchietto” di 80 anni: non gli si poteva
chiedere la luna, ma in quei 90 minuti scarsi ha saputo infiammare il pubblico con le note della sua
Lucille, con il suo sorriso, le sue battute e la sua voce che sembra venire da un altro pianeta. Le note
della sua chitarra non erano semplici note di una scala musicale eseguite da un abile interprete: erano
note che venivano da lontano, da oltre 50 anni di carriera, note che contenevano un vissuto, i campi di
cotone, l’infanzia poverissima, gli odi razziali, l’America del Mississippi degli anni ’30, ma anche il
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successo che viene dai quasi 200 palchi che ogni anno B.B.King calca con la sua enorme stazza, i
riconoscimenti a livello mondiale, l’amore per la musica. Mentre suonava mi è sembrato di rivedere tutto
questo e quanto letto nella sua autobiografia uscita una decina di anni fa (“Il blues intorno a me”).
Per pochissimo non sono riuscito a stringerli la mano prima di entrare sul palco; è quasi intoccabile e
difficilissimo da avvicinare. Eravamo lì a pochi metri: ci siamo guardati, ho alzato il pollice della mano
destra quasi a voler dire “sei il più forte”, lui mi ha risposto con un cenno di intesa. E’ sceso dalla
macchina che lo portava a suonare, tutto vestito di nero, giacca nera, lui nero… quasi non si vedeva.
Eppure la sua visibilità è a livello mondiale e tutti i presenti al concerto di ieri sera hanno provato quei
brividi che solo “il maestro” e la sua Lucille sa dare.
Nella speranza di vederlo ancora per un altro tour… arrivederci B.B.King. Roma ti aspetta.
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