UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI “ALDO MORO
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Matricola n° 507162 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI “ALDO MORO” DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN GIURISPRUDENZA TESI DI LAUREA IN DIRITTO DEL LAVORO SOMMINISTRAZIONE E APPALTO Relatore: Chiar.mo Prof. Tommaso Germano Laureando: Nicolò Marino Ceci ANNO ACCADEMICO 2012-2013 1 Alla nonna Maria e al piccolo Michele: solida radice e meravigliosa gemma della mia famiglia. Storia e futuro di un’intera generazione – la mia - che ha dimenticato se stessa. 2 INDICE Introduzione. 1. Legge n° 264/1949: nasce il Collocamento Pubblico in Italia. CAPITOLO I pag. 7 pag. 11 pag. 19 L. n. 1369/1960, “Divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro e nuova disciplina dell'impiego di mano d'opera negli appalti di opere e di servizi”. 1. Cenni pag. 19 2. Articolo 1 L. 1369/1960 pag. 22 2.1 Somministrazione: divieto di fornitura di prestazioni pag. 23 3. Appalto: appalto genuino, appalto c.d. interno e pseudo appalto pag. 23 3.1 Deroghe al regime dell’art. 3 pag. 26 4. Conclusioni pag. 28 CAPITOLO II Legge n. 196/1997, il “Pacchetto Treu”. 1. Inquadramento pag. 30 1.1 Mancata abrogazione del divieto d’interposizione pag. 33 2. Contratto di fornitura pag. 34 2.1 Soggetti legittimati alla stipulazione pag. 34 2.2 Soggetti fornitori pag. 35 2. 3. Contratto di fornitura, tratti essenziali pag. 39 2. 4 Limiti alla conclusione del contratto di fornitura pag. 43 2.5 Divieto di ricorso al lavoro temporaneo pag. 44 3 3. Rapporto tra il lavoratore e l’impresa utilizzatrice pag. 45 3.1. Poteri dell’utilizzatore: controllo, conformazione della prestazione; “ius variandi” pag. 46 3.2 Obbligazioni verso il lavoratore pag. 48 4. Convenzioni volte al reimpiego dei lavoratori in mobilità tramite contratti di lavoro temporaneo e allo svolgimento di attività formative pag. 52 CAPITOLO III Le esternalizzazioni nella Riforma del lavoro “Biagi”: Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276 “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro”, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30. 1. Dal “Libro bianco” alla “riforma Biagi” pag. 55 2. D. lgs. n. 276/2003: inquadramento pag. 59 3. Il lavoro tra interposizione ed esternalizzazione: nuove frontiere dell’outsourcing pag. 63 4. Somministrazione di lavoro pag. 69 5. Contratto di somministrazione pag. 75 6. Somministrazione a tempo determinato pag. 79 7. Somministrazione a tempo indeterminato pag. 82 8. Intreccio tra staff leasing e contratto di lavoro a tempo indeterminato pag. 85 9. Soggetti della somministrazione pag. 86 9.1 Agenzie di somministrazione di lavoro pag. 86 9.2 Autorizzazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali pag. 92 9.3 Utilizzatore pag. 96 9.4 Lavoratore somministrato pag. 98 9.5 “Statuto giuridico del lavoratore” pag. 102 4 9.6 Formazione pag. 105 9.7 Principio della parità di trattamento pag. 107 9.8 Tutela della salute e sicurezza del lavoratore pag. 109 10. Poteri datoriali pag. 112 10.1 Potere direttivo pag. 112 10.2 L’esercizio dello ius variandi pag. 114 10.3 Potere disciplinare pag. 116 11. Responsabilità civile per danni a terzi pag. 118 12. Appalto pag. 120 12.1. Contratto di appalto, requisiti pag. 123 12.2 Procedure di certificazione pag. 128 12.3 Nuove tecniche di tutela pag. 130 12.4 Rapporto di lavoro pag. 132 13. Altre forme di esternalizzazione: trasferimento d’azienda pag. 133 13.1 Ramo d’azienda pag. 137 13.2 Riacquisizione delle funzioni mediante contratto di appalto pag. 139 14. Distacco pag. 141 14.1 Interesse del distaccante pag. 146 14.2 Temporaneità del distacco pag. 146 14.3 Consenso del lavoratore pag. 147 14.4 Fattispecie a confronto: distacco e trasferimento pag. 149 15. Il nuovo regime sanzionatorio dopo il decreto legislativo n. 251/2004 pag. 149 16. Somministrazione abusiva pag. 150 16.1 Somministrazione abusiva aggravata pag. 154 16.2 Utilizzazione illecita pag. 155 5 16.3 Utilizzatore pubblico pag. 157 17. Somministrazione fraudolenta pag. 158 18. Somministrazione “irregolare” pag. 161 19. Nuova interposizione di manodopera pag. 164 19.1 Pseudo appalto pag. 164 19.2 Distacco illecito pag. 167 CAPITOLO IV Somministrazione e appalto nella “Riforma Fornero”, L. 28.6.2012, n. 92 («Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita»), come modificata con l. 7.8.2012, n. 134, conversione “Decreto Sviluppo”. 1. Cenni pag. 170 1.1 Il contratto “dominante” pag. 171 1.2 Le novità della Riforma pag. 172 2. (A)causalità della somministrazione di lavoro pag. 174 2.1 Esclusione della causale nei casi previsti dal d. lgs. n. 24/2012 pag. 177 3. Durata del contratto di somministrazione pag. 181 3.1 Successione contrattuale e obbligo di intervallo pag. 183 4. Limiti quantitativi e ipotesi vietate pag. 184 5. Perdita e sospensione dello stato di disoccupazione pag. 188 6. Borsa continua nazionale del lavoro pag. 189 6.1 Banca dati INPS pag. 191 7. La responsabilità solidale negli appalti dopo la riforma del 2012 pag. 191 Conclusioni. pag. 199 Bibliografia pag. 211 6 Introduzione. L’organizzazione del sistema produttivo appare, a cavallo del secolo, caratterizzata da forte e strutturale dinamismo, quando non anche da rivoluzioni epocali, specie sotto la spinta di incalzanti vettori di innovazione, quali la competizione internazionale, le nuove tecnologie, gli imperativi della flessibilità e della qualità. Alcune mutazioni in corso mettono in discussione importanti categorie concettuali e normative del diritto del lavoro, producendo un singolare processo di scomposizione dell’impresa medio - grande e che si caratterizza lungo almeno tre direttrici1: a) lo svolgimento in due fasi, distinte dal punto di vista logico – giuridico, ma coordinate dal punto di vista funzionale e temporale: nella prima, la c.d. “esternalizzazione”, l’impresa cede ad un terzo un intero segmento aziendale – costituito da impianti, macchinari, know how e personale addetto -; nella seconda la medesima impresa, mediante un contratto di appalto o altro contratto commerciale2, riacquisisce dal cessionario-appaltatore il bene, semilavorato o il servizio prodotto dal ramo ceduto, onde riaggregarli nel proprio complessivo processo produttivo. Ci troviamo di fronte ad una progressiva sostituzione della produzione interna con l’acquisto esterno di beni o servizi realizzati da terzi con gestione a rischio ma mediante 1 “I processi di esternalizzazione – opportunità e vincoli giuridici”, a cura di Raffaele DE LUCA TAMAJO; collana coordinata dal Comitato Giuridico di Federmeccanica, Edizioni Scientifiche italiane, 2002. 2 Può trattarsi di fornitura, vendita, somministrazione, subfornitura ex l. 18 giugno 98 n. 192, franchising, concessione di vendita etc. 7 utilizzazione dei medesimi fattori produttivi originariamente impiegati dall’impresa scorporante3; b) la tendenza dell’impresa a conservare al proprio interno soltanto alcune attività concorrenti il core business aziendale, cioè il nucleo di competenze specifiche ed “eccellenti” e ad affidare ad altri sempre più numerosi segmenti produttivi, interessanti non solo fasi meramente ausiliarie o strumentali dell’attività principale, ma anche funzioni centrali e delicate, molto prossime al cuore del processo produttivo primario. Si configura in tal modo un sistema “ a rete” o di specializzazione flessibile, ove imprese che riducono le proprie dimensioni entrano in un fitto gioco di relazioni contrattuali di carattere commerciale con soggetti (fornitori) terzi. Tale processo si spinge fino a conferire alla grande impresa un ruolo non tanto di produzione diretta ma di gestione del marchio, di ricerca e innovazione o addirittura di general contractor, cioè di mera coordinazione dei risultati produttivi di altre imprese subfornitrici4; c) la frequente permanenza della produzione affidata a terzi nel medesimo luogo nel quale era in precedenza allocata, cioè entro il perimetro aziendale della impresa committente, cosicchè non soltanto restano tendenzialmente identici i fattori produttivi impiegati, ma essi – pur gestiti da un nuovo soggetto – non subiscono alcuna delocalizzazione o spostamento topografico. Un modello organizzativo definibile come “esternalizzazione 3 “Il sistema produttivo dà luogo ad un vero e proprio processo di diluizione della funzione imprenditoriale, che assume caratteri diffusi e transazionali” così G. GIUGNI, “una lezione sul diritto del lavoro, Dir. Lav. Rel. Ind.”, 1994 p. 209. 4 Cfr. P. ICHINO “Il diritto del lavoro e i confini dell’impresa, Dir. Lav. Rel. Ind.”, 1999, p 210 ss. 8 intra moenia”, suggestivo ossimoro che coniuga la tendenza al decentramento funzionale con l’opposta esigenza di contiguità spaziale. I modelli di organizzazione dell’impresa sono ormai così complessi ed indefiniti da mettere in crisi il concetto stesso di impresa come entità economica riconducibile ad un significato univoco: l’impresa può limitarsi ad organizzare, così come può far organizzare da altri; può operare nel mercato ed avere una propria identità avendo al di fuori di essa il centro di imputazione delle sue scelte strategiche; può esser controllata senza che chi controlli abbia rapporti contrattuali diretti con essa; può esistere in un luogo fisico ovvero in un luogo virtuale5. Di conseguenza in questo panorama appare evidente e pregnante, ai fini di questa ricerca, indagare e approfondire il delicato tema del fenomeno interpositorio e della “esternalizzazione” produttiva nelle relazioni di lavoro: esiste infatti un “impatto delle esternalizzazioni, che tende ad uno svuotamento silenzioso delle tutele del lavoratore”6. E si afferma sempre più un complesso rapporto dialettico – che talvolta degrada a vero e proprio conflitto - tra l’efficienza dell’impresa nel mercato e la protezione dei lavoratori, intesa come salvaguardia dei loro diritti e interessi. Si va pertanto forgiando “un nuovo modo di intendere le politiche attive del lavoro, non più concentrate sul sistema sociale dello Stato del benessere (welfare), ma piuttosto sul sistema della imprenditorialità e dell’autoimpiego (workfare) dove il lavoro diventa occasione di crescita personale e professionale: il diritto del lavoro abbandona definitivamente il proprio tradizionale core business per 5 “Le esternalizzazioni dopo la Riforma Biagi – somministrazione, appalto, distacco e trasferimento d’azienda” a cura di Michele TIRABOSCHI, Milano, 2006. 6 Ibidem. 9 dedicarsi ad una nuova missione qual è quella di divenire diritto promozionale dell’occupazione, anziché, come per il passato, diritto gestionale dei rapporti di lavoro.”7 Alla luce di queste riflessioni questa tesi di ricerca si propone l’ambizioso obiettivo di studiare gli istituti della Somministrazione e Appalto di lavoro subordinato, partendo dall’attuale definizione che ci offre il Codice Civile e ripercorrendo successivamente l’evoluzione legislativa di oltre mezzo secolo di storia del nostro Paese. Avremo infatti modo di vedere come l’inquadramento giuridico dei due istituti si sia sempre mosso di pari passo con la trasformazione crescente del coevo contesto e tessuto sociale, economico, culturale e politico8 a partire dal secondo dopo guerra. In particolare, questo studio analizzerà la l. n. 264/1949 “Provvedimenti in materia di avviamento al lavoro e di assistenza dei lavoratori involontariamente disoccupati” , la l. n. 1369/1960 “Divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro e nuova disciplina dell’impiego di mano d’opera negli appalti di opere e di servizi”, la l. 196/1997 "Norme in materia di promozione dell'occupazione " – noto come “Pacchetto Treu”, il d. lgs n. 276/2003 "Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30" – noto come “Legge Biagi”, la l. n. 92/2012 “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita” – c.d. Riforma 7 Ibidem Si pensi all’intenso e travagliato dibattito parlamentare che accompagna ogni nuova riforma del lavoro in Italia; come anche si consideri il ruolo svolto dalle istituzioni europee nel corso dei decenni, volto ad armonizzare le legislazioni nazionali e – nel caso di questo studio - la materia commerciale e lavoristica tra i vari Stati. Su tutte, si veda la proposta di “Direttiva del parlamento Europeo e del Consiglio relativa alle condizioni di lavoro dei lavoratori temporanei”, presentata dalla Commissione Europea in Bruxelles, il 20 marzo 2002. Infine non è un caso che la prima e l’ultima delle leggi oggetto di questa ricerca siano influenzate dagli accadimenti storico – politici loro coevi: la l. 264/1949 risentiva ancora del corporativismo di matrice fascista; la Riforma del Lavoro Renzi invece si muove in un contesto politico liberale, nel quale perno del mercato del lavoro non è più lo Stato ma l’iniziativa privata. 8 10 Fornero, la l. n. 93/2013 “Conversione in legge, con modificazioni, del decretolegge 28 giugno 2013, n. 76, recante primi interventi urgenti per la promozione dell'occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto e altre misure finanziarie urgenti” - a cura del Governo Letta e, infine, il “Jobs act”9 del neonato Governo guidato da Matteo Renzi, tutt’ora in attesa di esser approvato dal Parlamento italiano. 1. Legge n° 264/1949: nasce il Collocamento Pubblico in Italia. Fondamenti costituzionali del sistema di collocamento nel nostro Paese sono l’art. 4, co. 1, secondo cui: “la repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto” e l’art. 35, che statuisce: “la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori.” E’ su queste basi valoriali e strumentali che si poggia la prima legge relativa al collocamento nel nostro Paese: la legge “Fanfani10” del 29 aprile 194911, che si ispirava al principio della equa ripartizione dei posti di lavoro12. 9 JOBS Act è un acronimo: “Jumpstart Our Business Startups Act” e mira appunto a promuovere lo sviluppo di startup, semplificando una serie di procedure per le imprese, facilitando il reperimento di fondi e il crowdfunding. 10 «Fanfani si colloca in una posizione intermedia tra corporativismo cattolico e corporativismo fascista», G. MICHELAGNOLI “Amintore Fanfani. Dal corporativismo al neovolontarismo statunitense”, Rubbettino, 2010. 11 Denominata in tal modo perché fu promossa da Amintore Fanfani (1908 – 1999), allora Ministro del Lavoro del quinto Governo De Gasperi (1948 – 1950). 12 F. LISO, “Collocamento ed agenzie private”, in DLRI, 2002. 11 Formalmente la legge n. 264/1949 dal titolo “Provvedimenti in materia di avviamento al lavoro e di assistenza dei lavoratori involontariamente disoccupati”13 era stata pensata e promulgata in applicazione della Convenzione n. 88, adottata dalla Conferenza generale dell'O.I.L. (Organizzazione Internazionale del Lavoro)14 il 9 luglio 1948: essa prevedeva che in ogni Stato membro dovesse essere attivato un efficiente servizio pubblico e gratuito per promuovere l'occupazione. Un servizio organizzato in modo tale da potersi adeguare ai cambiamenti e alle evoluzioni delle attività produttive e alle esigenze della popolazione attiva. La posizione espressa in quegli anni dall'O.I.L.15 in materia di servizi pubblici di collocamento e di mediazione privata a fini di lucro affondava le sue radici nei principi stabiliti con il Trattato di Versailles, a tutela delle condizioni di lavoro. La stessa Organizzazione Internazionale del Lavoro, istituita con tale trattato, venne considerata quale garante di tali principi, costituenti l'embrione del "diritto operaio". Fra essi, spicca su tutti il principio “il lavoro non è una merce” - dal quale deriva che il servizio reso ai lavoratori in cerca di occupazione non può essere oggetto di transazione commerciale. Inoltre, il principio di uguaglianza, che impone che tutti i lavoratori vengano informati dei posti di lavoro resi disponibili e che tutti possano accedere alle informazioni su una base di parità. Di conseguenza l'attività 13 Vi è una distinzione di fondo tra collocamento ordinario, che trova disciplina nella legge n°264/1949, e collocamenti cd. speciali. Il primo è il sistema normale, valido in generale, salvo diverso specifico regolamento introdotto per un particolare settore, fascia sociale, categoria: esso copre gran parte del mercato del lavoro privato extra-agricolo. Oltre al collocamento in agricoltura, disciplinato prima dalla stessa legge n°264 e poi dalla legge 11 marzo 1970, n° 83, esistono nel nostro ordinamento altri sistemi speciali di collocamento, istituiti per particolari categorie di lavoratori o collegati alla particolarità del rapporto di lavoro. 14 L'Organizzazione internazionale del lavoro è un'agenzia specializzata delle Nazioni Unite che si occupa di promuovere la giustizia sociale e i diritti umani internazionalmente riconosciuti, con particolare riferimento a quelli riguardanti il lavoro in tutti i suoi aspetti. È stata la prima agenzia specializzata a far parte del sistema delle Nazioni Unite nel 1946, ma la sua fondazione risale al 1919 in seno alla Società delle Nazioni. Ne fanno parte 185 Stati. 15 E’ proprio all’OIL che si deve la nascita del concetto di collocamento, inteso come servizio volto all’assunzione controllata dei lavoratori. 12 di informazione e di assistenza nella ricerca del posto di lavoro doveva essere necessariamente oggetto di un virtuoso pubblico servizio. Peraltro già nel 1919 la prima Conferenza dell'O.I.L. - tenutasi a Washington – fu all’insegna di una forte, netta e condivisa linea di interventismo pubblico, come riflesso delle politiche dirigistiche sperimentate in molti Paesi nel corso del primo conflitto mondiale. La ratio di tale impostazione era quella di "prevenire la disoccupazione e rimediare alle sue conseguenze". Già allora si riconosceva la centrale importanza del collocamento come pubblico servizio, raccomandandone l'istituzione agli Stati membri e invitandoli al contempo ad adottare normative volte ad interdire l'istituzione di agenzie private di collocamento a fini lucrativi. In quest'ottica il collocamento pubblico era concepito come instrumentum di politica sociale e con funzione distributiva delle opportunità di lavoro a favore dei disoccupati16: proprio per questo la sua organizzazione veniva affidata ad uffici statali o, comunque, sottoposti al controllo dello Stato – in regime di monopolio17. Oltre alle motivazioni squisitamente politiche, però, pesò notevolmente l'eredità lasciata dal precedente regime corporativo, che aveva accolto una visione del collocamento, in funzione del controllo sulla forza-lavoro. Il risultato fu l'esasperazione e l'aggravamento della logica dell'interventismo pubblico, in materia di controllo sul mercato del lavoro. 16 La legge in commento fu approvata anche grazie a un compromesso con le sinistre parlamentari. Il principio del monopolio pubblico del collocamento - mai intaccato dalle riforme che hanno successivamente riguardato la materia dell'avviamento al lavoro - è stato recentemente abbandonato dal legislatore con l'approvazione del d.lgs. 23 dicembre 1997, n°469 ("Conferimento alle regioni e agli enti locali di funzioni e compiti in materia di mercato del lavoro, a norma dell'articolo 1 della legge 15 marzo 1997, n°59"), il cui art. 10 ("Attività di mediazione") prevede che imprese, gruppi di imprese ovvero enti non commerciali possano svolgere attività di mediazione fra domanda e offerta di lavoro, previa autorizzazione del Ministero del lavoro. 17 13 Il sistema vincolistico, così come disegnato dall'originaria legislazione del 1949, ha i suoi due pilastri, da un lato, nella "duplice rendita monopolistica"18, per la quale solo lo Stato può fare collocamento e solo attraverso il collocamento statale può realizzarsi ed essere sanzionato l'incontro fra datore di lavoro e lavoratore (art 7: “Il collocamento è funzione pubblica esercitata secondo le norme del presente titolo”); e, dall'altro, nel cosiddetto "avviamento su richiesta numerica", come regola generale per l'assunzione dei lavoratori disoccupati, con la conseguenza di una rilevante compressione dell'autonomia negoziale dell'imprenditore. La statalità del collocamento implica, da un lato, il categorico divieto della mediazione privata - anche se gratuita o esercitata senza scopo di lucro - nel collocamento; dall'altro lato, l'impossibilità per qualsiasi soggetto di diritto pubblico, diverso dallo Stato, di svolgere tale attività19. A garanzia dell'osservanza di tali divieti sono previste dalla legge n°264/1949 sanzioni penali che puniscono l'esercizio abusivo della mediazione, l'assunzione senza il tramite dell'Ufficio di collocamento e la mancata denunzia entro il termine previsto dei licenziamenti effettuati (art. 27: [1° co.]“Chiunque esercita la mediazione in violazione delle norme della presente legge, è punito con l'ammenda da L. 500 a L. 20.000. Se vi è scopo di lucro, la pena è dell'arresto fino a tre mesi e l'ammenda fino a L. 80.000. [2°co.] I datori di lavoro che non assumono per il tramite degli Uffici di collocamento20 i lavoratori, sono puniti con l'ammenda da L. 2000 a L. 10.000 per ogni lavoratore assunto.”) 18 F. CARINCI, “L'intervento pubblico sul mercato del lavoro, Diritto e pratica del lavoro”, 1993. L'inosservanza delle norme sul collocamento pubblico, oltre che l'applicazione delle sanzioni penali a carico sia dei mediatori privati (art. 27, comma 1°), sia dei datori di lavoro che ad essi ricorrano (art. 27, comma 2°), comporta altresì l'annullabilità del contratto di lavoro, su proposta del pubblico ministero, su denuncia dell'ufficio di collocamento, entro un anno dalla data di assunzione del lavoratore (art. 2098 c.c.). 20 Gli Uffici di collocamento sono stati istituiti il 29 marzo 1928, con il preciso compito di iscrivere in “liste ufficiali” i lavoratori disoccupati, così da constrastare il dilagante lavoro nero. 19 14 E' possibile notare, inoltre, come la disciplina sull'avviamento non si limiti al divieto della mediazione privata domanda-offerta, ma arrivi a configurare l'istituto del collocamento come organizzazione pubblica del mercato del lavoro. La disciplina in questione, infatti, proietta la propria efficacia sulla fase antecedente alla formazione del contratto di lavoro, nell'area del contatto sociale che s'instaura fra datore e prestatore ai fini dell'eventuale conclusione del contratto di lavoro. Il "rapporto preliminare di scambio", generato dall'incontro fra offerta e domanda di lavoro, forma oggetto della disciplina giuridica del collocamento. Tuttavia, la realtà dei Paesi industrialmente avanzati ha dimostrato come gli uffici di collocamento, pur al massimo della loro efficienza, non possono costituire l'unico - ma nemmeno il principale - canale d'incontro fra domanda e offerta di lavoro. L'effetto del divieto fu quello di sopprimere i meccanismi spontanei di funzionamento del mercato del lavoro, relegandoli nella clandestinità. La loro modernizzazione si era resa necessaria in particolare a causa della inefficienza e dell’incapacità di svolgere di fatto un ruolo attivo nell’incontro tra domanda e offerta di lavoro 21 e dell’inadeguatezza a rispondere alle esigenze e richieste provenienti da un mercato del lavoro modificato. Tutto ciò era imputabile, in buona parte, alla tipologia di organizzazione e gestione dei servizi pubblici per l’impiego, prettamente burocratica - amministrativa, tipica del regime di monopolio5. Essa infatti non prevedeva, né richiedeva un impegno diretto ad abbinare nel modo migliore le caratteristiche dei lavoratori 21 Si ricorda infatti come i servizi pubblici per l’impiego siano arrivati a intermediare non più del 4-5% degli incontri tra domanda e offerta di lavoro, cfr. CNEL, Rapporto sul mercato del lavoro 1997-2001 Commissione dell’informazione, Roma, luglio 2002, qui 183; dati simili sono ricavabili dalla tabella di fonte Istat, 1997, in A. MOCAVINI, A. PALIOTTO, “Job vacancies in Italia. Il quadro teorico, le indagini, le evidenze empiriche, Isfol, Monografie sul Mercato del lavoro e le politiche per l’impiego”, Roma, 2000, p. 72; ancora, cfr. S. VERGARI, Collocamento e procedure: vecchie eredità e nuove prospettive, in F. CARINCI, R. DE LUCA TAMAJO, P. TOSI, T. TREU (a cura di), “I servizi per l’impiego tra pubblico e privato”, 1999, 51 - 76 15 con le richieste dei profili professionali dei datori di lavoro, in quanto il sistema era costruito sulla formale registrazione dei lavoratori nelle liste e sul loro avviamento in base all’anzianità di iscrizione, a parità di mansione. Non era quindi in sostanza prevista nel sistema una vera e propria azione di intermediazione, nel senso dell’abbinamento, del matching di domanda e offerta di lavoro, ma soltanto appunto una azione di “collocamento”, intesa come copertura di un determinato posto di lavoro da parte di un lavoratore sulla base di un diritto di precedenza, indipendente dalle sue caratteristiche e competenze specifiche6. D’altra parte questa modalità di azione degli uffici ministeriali era coerente con il principio del collocamento come funzione pubblica (come stabilito dall’articolo 7 della legge 29 aprile 1949, n. 246), inteso a rispondere all’interesse pubblico di allocare la risorsa lavoro in modo equo e trasparente e di controllare i flussi di manodopera nel mercato. Per perseguire tale obiettivo, erano quindi necessarie liste che determinassero la precedenza dei lavoratori rispetto all’avviamento al lavoro. Conseguentemente i lavoratori che aspirassero ad essere avviati al lavoro alle dipendenze altrui (articolo 8, legge n. 264 del 1949) erano tenuti ad iscriversi alle liste di collocamento. Nel contempo era istituito l’obbligo da parte dei datori di lavoro di assumere lavoratori iscritti alle liste (articolo 11, comma 2) facendone domanda al competente ufficio (articolo 13, comma 1) mediante una richiesta numerica (articolo 14, comma 1). con l’indicazione della categoria e della qualifica professionale richiesta7. L’effetto terminale del procedimento amministrativo d’iscrizione era la nascita a favore del collocabile di un diritto soggettivo pubblico all’avviamento al lavoro. La titolarità del diritto all’avviamento al lavoro era condizionata alla permanenza 16 dello stato di disoccupazione del lavoratore iscritto. Questo era tenuto a farne dichiarazione all’ufficio di collocamento competente, entro trenta giorni dalla fine del mese della propria iscrizione o della successiva conferma. Il mancato adempimento di tale obbligo, imposto dalla legge, comportava la cancellazione d’ufficio dell’iscrizione del nominativo del lavoratore dalle liste di collocamento e la contemporanea perdita del diritto soggettivo all’avviamento al lavoro. Dall’iscrizione non derivava, comunque, alcun diritto all’assegnazione del posto di lavoro. Infatti, l’assunzione dell’iscritto era condizionata alla presentazione della richiesta da parte del datore di lavoro. Il collocamento, quindi, era solamente eventuale rispetto all’iscrizione e il collocabile non aveva alcuna legittima aspettativa al posto di lavoro. Il diritto all’avviamento al lavoro era solo un semplice presupposto del collocamento, attinente all’oggetto del provvedimento finale di assegnazione Questo sistema incontrò ostacoli fin dal momento della sua istituzione, in quanto: - impediva ai datori di lavoro di scegliere la manodopera; - non garantiva ai lavoratori un rapido accesso nel mondo del lavoro; - non riconosceva – come invece accade oggi - le organizzazioni sindacali22 quali tutori e promotori dei lavoratori23, sia per l’accesso al mondo del lavoro, sia rispetto alla salvaguardia delle condizioni lavorative. 22 Le forze politiche della sinistra accolsero la legge sul collocamento come un compromesso fra le posizioni sostenute dal governo e quelle fatte proprie dalla C.G.I.L., in quanto si prevedeva un controllo sindacale di tipo consultivo, realizzato attraverso l'inclusione di soggetti direttamente designati dal sindacato nelle commissioni istituite a livello centrale, provinciale e, in via eventuale, comunale. In realtà la partecipazione sindacale alla gestione del collocamento si rivelò sin da subito come puramente formale, anche perché i rappresentanti dei lavoratori costituivano la maggioranza solo nella commissione locale, la cui costituzione era affidata alla discrezionalità del Ministro del lavoro. La legge quindi conteneva già in sé la possibilità della sua elusione: cosa che, effettivamente, accadde, almeno fino all'approvazione dello Statuto dei lavoratori. Inoltre agli organi politico-partecipativi furono affidate funzioni poco significative, di modo che la concreta gestione del collocamento divenne senz'altro appannaggio dell'apparato burocratico: i collocatori. 23 In proposito cfr. G. DI VITTORIO, “Al collocamento parteciperanno i rappresentanti dei lavoratori”, in Notiziario Cgil, 1949, n° 10. 17 Non a caso, nel gennaio del 1945 - durante il primo congresso della C.G.I.L. svoltosi a Napoli – Giuseppe Di Vittorio definiva il collocamento come "naturale funzione del sindacato"24, già sollevando la questione del nuovo assetto da dare al collocamento della manodopera in Italia, fra le questioni di maggiore rilevanza per il movimento sindacale. Del resto nel periodo prefascista la funzione del collocamento era stata una delle più importanti fra quelle svolte dalle Camere del lavoro25. 24 25 “La C.G.I.L. dal Patto di Roma al Congresso di Genova”, Roma, 1949 V. BARBADORO “Storia del sindacalismo italiano dalla nascita al fascismo”, La Nuova Italia, Firenze, 1973. 18 Capitolo I L. n. 1369/1960 “Divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro e nuova disciplina dell'impiego di mano d'opera negli appalti di opere e di servizi”. 1. Cenni - 2. Articolo 1 L. 1369/1960 – 2.1 Somministrazione: divieto di fornitura di prestazioni – 3. Appalto: appalto genuino, appalto c.d. interno e pseudo appalto - 3.1 Deroghe al regime dell’art. 3 – 4. Conclusioni. 1. Cenni Il problema dell’interposizione si lega con il disposto dell’art. 2094 c.c. in forza del quale chi utilizza le prestazioni di lavoro altrui, continuativamente, sottoponen dolo al potere direttivo e in assenza di mezzi di produzione ‐ ne è, altresì, datore di lavoro. Tale disposizione riassume in sé quel compromesso tra libertà d’iniziativa economica – per cui l’imprenditore è libero di organizzare e reperire come e dove meglio crede la forza lavoro di cui necessita - e lo streben garantista nei confronti del lavoratore che costituisce il proprium del diritto del lavoro. La necessità di regolare figure datoriali meramente interpositorie costituisce, l’altra faccia di quella medaglia che è l’art. 2094 c.c.: esso infatti esclude che l’acquisizione di energie lavorative possa svincolarsi dall’impiego di un contratto di lavoro subordinato. 19 Ebbene, la questione dell’interposizione, seppur positivamente tradotta in un vero e proprio divieto di legge soltanto nel 1960, trova i suoi primi referenti positivi non soltanto nella disposizione codicistica testè citata, ma anche nell’art. 2127 c.c.: il legislatore del 1942 pose il divieto per l’imprenditore di: “affidare a propri dipendenti lavori a cottimo da eseguirsi da prestatori di lavoro subordinato assunti e retribuiti direttamente dai dipendenti medesimi” diversamente, operando si sarebbe incorsi in una responsabilità diretta per gli obblighi assunti dal proprio dipendente nei confronti dei prestatori di lavoro assunti da quest’ultimo. Tuttavia, “anche in questo caso…la protezione accordata era doppiamente limitata: da un punto di vista soggettivo perché venivano colpite elusivamente quelle condotte attuate con l’intermediazione di lavoratori subordinati e dal punto di vista oggettivo, perché la responsabilità dell’imprenditore committente era limitata alle sole obbligazioni assunte dal soggetto interposto”. Fin dall’emanazione del Codice Civile del 1942 si avvertì infatti l’esigenza di evitare che si creassero triangolazioni nei rapporti tra imprenditore e lavoratore mediante la presenza di un terzo soggetto, che di fatto si occupasse solo della gestione della manodopera - senza l’impiego di mezzi o capitali propri: a fronte di tali motivi l’art. 2127 introdusse il divieto del c.d. cottimo collettivo autonomo. Per contestualizzare storicamente la L. 1369/1960 c’è da segnalare che: - il contesto socio – economico di cui era figlia tale legge era quello della vecchia impresa manifatturiera di stampo “fordista” mentre intanto, proprio nel corso 20 degli anni ’60, in Italia, si sviluppa in maniera esponenziale il ricorso ai contratti d’appalto; - al contempo, in mancanza di previsioni legali puntuali ed efficaci, trovarono capillare diffusione le più varie formule interpositorie, genericamente definite come “caporalato” - tutte accomunate dalla circostanza di costituire un esercizio di fatto privato dell’attività di collocamento. Il caporalato è un fenomeno criminale avente ad oggetto il “reclutamento” di manodopera lavorativa non qualificata, sfruttata illegalmente, diffuso su tutto il territorio italiano, in particolare nel settore ortofrutticolo del Mezzogiorno e nell'edilizia del Settentrione26. In entrambi i casi i lavoratori sono pagati a giornata o a settimana e senza diritti previdenziali e sindacali. Il 'caporale' è una figura - spesso collegato alle mafie locali – che ha il compito di condurre sul posto di lavoro la manovalanza e di retribuirla a suo totale arbitrio. Questa pratica è stata spesso tollerata a causa dell'assenza di una legislazione repressiva specifica.27 La legge 1369/1960 aveva cercato di evitare tali opprimenti forme di schiavitù, codificando il principio c.d. “di trasparenza” - secondo la definizione offerta da Gisella De Simone - in forza del quale almeno tendenzialmente, vi doveva essere necessaria coincidenza tra chi beneficiava delle utilità derivanti da una prestazione di lavoro e chi rivestiva, anche formalmente, la posizione di datore di lavoro.28 Tre le direzioni verso cui si mossero le disposizioni della legge: - Divieto di appalto (o subappalto) di mere prestazioni di lavoro - Allargamento delle tutele; 26 Caporalato, Enciclopedia italiana TRECCANI. Ibidem 28 “La distinzione fra interposizione e appalto e le prospettive della certificazione” di R. ROMEI, tratto da “Le esternalizzazioni dopo la Riforma Biagi”, a cura di M. TIRABOSCHI. 27 21 - Predisposizione di un corpus di sanzioni civili e penali in caso di violazione dei divieti ed amministrativa per la vigilanza sull’applicazione della legge. Il fine era chiaro: rendere il più possibile cogente ed operativo il nuovo apparato di norme. 2. Articolo 1 L. 1369/1960 Art. 1, co. 1: “è vietato all'imprenditore di affidare in appalto o in subappalto o in qualsiasi altra forma, anche a società cooperative, l'esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante impiego di manodopera assunta e retribuita dall'appaltatore o dall'intermediario, qualunque sia la natura dell'opera o del servizio cui le prestazioni si riferiscono.” Il campo d’azione del divieto rappresentato dall’art. 1 della legge in commento era a maglie molto strette ma con un raggio d’azione tendenzialmente onnicomprensivo e sanciva la regola della parità di trattamento dei c.d. appalti interni. Emergeva così un atteggiamento di forte diffidenza del legislatore nei confronti dei fenomeni di dissociazione imprenditoriale, che evidenziava anche tutta la eccezionalità di questi ultimi rispetto ad una regola che invece imponeva la coincidenza tra piano formale e sostanziale. Si spiega in questa prospettiva la costruzione della fattispecie interpositoria in termini di fattispecie atipica, coerente con la configurazione della dissociazione come fenomeno in sé vietato, in quanto foriero di possibili elusioni delle tutele predisposte dall’ordinamento in favore del lavoratore. 22 2.1 Somministrazione: divieto di fornitura di prestazioni Art. 1 co. 2: “è altresì vietato all'imprenditore di affidare ad intermediari, siano questi dipendenti, terzi o società anche se cooperative, lavori da eseguirsi a cottimo da prestatori di opere assunti e retribuiti da tali intermediari.” Sul piano civile, alla violazione del divieto di interposizione corrispondeva la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato tra il committente ed i lavoratori assunti dall’interposto, pseudo appaltatore. Vietata era dunque la mera fornitura di prestazioni di lavoro e l’effettiva utilizzazione dei lavoratori da parte del soggetto interponente: al verificarsi della fattispecie vietata, l’ordinamento reagiva fisiologicamente con sanzioni civili come appunto la costituzione di un rapporto con l’interponente e perfino sanzioni penali. Si può parlare in proposito di una sorta di automatismo29. Non a caso, il co. 4 arti 1 recita: “i prestatori di lavoro, occupati in violazione dei divieti posti dal presente articolo, sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell'imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro prestazioni.” 3 Appalto: appalto genuino, appalto c.d. interno e pseudo appalto. 29 “Gli appalti – dalla L. n. 1369/1960 al D. Lgs. N. 276/2003” a cura di A. MURATORIO, Università degli Studi di Genova, Facoltà di Giurisprudenza, 2007. 23 La tutela apprestata dalla l. 1369/1960 non si spiega esclusivamente in termini negativi di divieto d’interposizione, ma anche in termini positivi di regolamentazione (all’art. 3) di “appalti genuini”, in cui assume rilievo decisivo la titolarità in capo all’appaltatore di una rilevante organizzazione di mezzi materiali. L’appalto è consentito allorquando l’appaltatore fornisce un’opera o un servizio di natura imprenditoriale – realizzati cioè mediante un’organizzazione di mezzi e di persone gestita a proprio rischio, ex co. 3 art. 1: “E’ considerato appalto di mere prestazioni di lavoro ogni forma di appalto o subappalto, anche per esecuzione di opere o di servizi, ove l'appaltatore impieghi capitali, macchine ed attrezzature fornite dall'appaltante, quand'anche per il loro uso venga corrisposto un compenso all'appaltante.” Vengono quindi regolati gli appalti c.d interni – e cioè “da eseguirsi nell’interno delle aziende” – nell’ambito dei quali i lavoratori impiegati hanno diritto ad un trattamento non inferiore a quello cui hanno diritto i dipendenti del committente. Ex art 3 co. 1 infatti: “gli imprenditori che appaltano opere o servizi, compresi i lavori di facchinaggio, di pulizia e di manutenzione ordinaria degli impianti, da eseguirsi nell'interno delle aziende con organizzazione e gestione propria dell'appaltatore, sono tenuti in solido con quest'ultimo a corrispondere ai lavoratori da esso dipendenti un trattamento minimo inderogabile retributivo e ad assicurare un trattamento normativo, non inferiore a quelli spettanti ai lavoratori da loro dipendenti.” 24 A tale strumentazione si affiancava poi il meccanismo di protezione contenuto nell’art. 1676 c. c. in virtù del quale i lavoratori impiegati dall’appaltatore per l’esecuzione del contratto di appalto possono agire direttamente nei confronti del committente per conseguire quanto loro dovuto fino però alla concorrenza del debito che il committente aveva nei confronti dell’appaltatore al tempo in cui la domanda veniva proposta Imponendo un pari trattamento retributivo e normativo ai dipendenti dell’appaltatore di opere o servizi, per lavori inerenti o interni all’impresa utilizzatrice, il legislatore volle rendere la l. n. 1369/1960 non solo strumento di repressione ma anche mezzo di tutela dei lavoratori addetti agli appalti eseguiti all’interno dell’impresa committente. Spiccava quindi la responsabilità solidale tra appaltante e appaltatore, per il trattamento minimo inderogabile retributivo e normativo ex art. 3 co. 3: “gli imprenditori sono altresì tenuti in solido con l'appaltatore, relativamente ai lavoratori da questi dipendenti, all'adempimento di tutti gli obblighi derivanti dalle leggi di previdenza ed assistenza.” La sola natura occasionale e saltuaria delle attività svolte in appalto poteva giustificare una deroga sia al trattamento uniforme che alla responsabilità solidale, date le caratteristiche che escludono la loro inerenza al ciclo produttivo dell’impresa committente. La disciplina dell’impiego di manodopera negli appalti genuini di opere o servizi ex art. 1655 c. c. tendeva perciò a tutelare, da un lato, l’equilibrio delle relazioni economiche di lavoro - garantendo a tutti i lavoratori i minimi livelli inderogabili 25 di trattamento economico ed il rispetto della parità retributiva tra dipendenti dell’impresa appaltatrice e dell’impresa committente - e, dall’altro, voleva evitare la costituzione di imprese appaltatrice aventi il solo scopo di eludere le norme a protezione del lavoratore. La Legge 23 ottobre 1960, n.1369 vieta inoltre di affidare in appalto o in subbappalto “l’esecuzione di mere prestazioni di lavoro” (c.d. appalto di manodopera) consentendo, invece, l’appalto di opere o di servizi a seguito della stipulazione di un contratto genuino. Un divieto espresso ricorre anche nei confronti dello pseudo appalto di sole prestazioni di lavoro, intendendo il legislatore precludere la messa a disposizione di mera forza lavoro reclutata e retribuita dal sedicente appaltatore (che realizza in tal modo un lucro parassitario) ma “utilizzata” dal committente. Infatti criterio di definizione dell’appalto è la fornitura all’appaltante di un “valore aggiunto” alla mera prestazione lavorativa, mentre si delinea una mera interposizione vietata ove lo pseudo appaltatore non aggiunge nulla di proprio – in termini di organizzazione d’impresa all’attività svolta dai lavoratori, che si muovono nella sfera organizzativa dell’appaltante. Lo pseudo appaltatore subiva la sanzione pecuniaria dell’ammenda proporzionata ad ogni lavoratore avviata illecitamente e per ogni giornata di occupazione, cui era civilmente responsabile per il pagamento anche il committente. 3.1 Deroghe al regime dell’art. 3 Nel definire il campo applicativo dell’art. 3, la l. 1369/1960 individua una serie di profili derogatori tipici e tassativi, elencati all’art. 5, che ammonisce: 26 “Le disposizioni di cui all'art. 3 della presente legge non si applicano: a) agli appalti per costruzioni edilizie all'interno degli stabilimenti; b) agli appalti per installazione o montaggio di impianti e macchinari; c) ai lavori di manutenzione straordinaria; d) ai trasporti esterni da e per lo stabilimento; e) agli appalti che si riferiscono a particolari attività produttive, le quali richiedano in più fasi successive di lavorazione, l'impiego di manodopera diversa per specializzazione da quella normalmente impiegata nell'impresa, sempre che tale impiego non abbia carattere continuativo; f) agli appalti per prestazioni saltuarie ed occasionali, di breve durata, non ricorrenti abitualmente nel ciclo produttivo e nell'organizzazione dell'impresa. Per tali appalti l'esclusione dalla disciplina di cui all'art. 3 dovrà essere preventivamente autorizzata, di volta in volta, dall'Ispettorato del lavoro competente; g) agli appalti per l'esecuzione dei lavori di facchinaggio, di pulizia e di manutenzione ordinaria degli impianti - esclusi per questi ultimi gli appalti di cui al secondo comma dell'art. 3 - conclusi con imprese che impiegano il personale dipendente presso più aziende contemporaneamente. Per tali appalti l'esclusione dalla disciplina di cui all'art. 3, salva la disposizione dell'art. 1676 del codice civile, dovrà essere autorizzata preventivamente dall'Ispettorato del lavoro competente del luogo dove i lavori devono eseguirsi. Restano ferme le disposizioni di cui alla legge 3 maggio 1955, n. 407; 27 h) agli appalti per la gestione dei posti telefonici pubblici, di cui all'art. 55 del regolamento di esecuzione dei titoli I, II e III del libro II della legge postale e delle telecomunicazioni, approvato con regio decreto 19 luglio 1941, n. 1198, soltanto nei casi in cui la prestazione del lavoratore per l'espletamento del servizio telefonico non sia prevalente rispetto a quella da lui normalmente svolta.” 4. Conclusioni A tutela del lavoratore è giusto ricordare come la l. 1369/1960 abbia rappresentato l’estrinsecazione dei principi costituzionali contenuti negli articoli 3530 e ss31, realizzando la principale forma di tutela del lavoratore nelle ipotesi in cui un soggetto si fosse interposto, tra datore e prestatore di lavoro, al fine di lucrare sull’intermediazione delle parti. La fenomenologia dell’esternalizzazione – produttiva di una vera e propria dissociazione, se non addirittura sovrapposizione, tra datore di lavoro e impresa utilizzatrice finale – disegnava spesso un quadro di assoluto caos, celante l’instaurazione di rapporti geneticamente fraudolenti a fronte dei quali il divieto di interposizione si pose prestocome baluardo della le galità e mausoleo di quel principio di corrispondenza tra datore di lavoro ed utilizzatore della prestazione che, per decenni, ha fatto da corollario al rapporto di lavoro subordinato tradizionalmente inteso. Per lungo tempo dunque la distinzione tra appalto lecito ed interposizione illecita venne condotta basandosi 30 Art. 35 co. 1 Cost.: “la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni” Artt. 35 – 40 Cost., Titolo III “Rapporti Economici”, rappresentano i precetti fondamentali a tutela del lavoro nel nostro Paese, fermo restando che “L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro” (Art. 1 co. 1) 31 28 sulla consistenza degli elementi materiali apportati dall’appaltatore. Il discrimen tra una lecita organizzazione imprenditoriale e mera interposizione rimase legato alla verifica dell’impiego di significativi elementi materiali, ritenuti unici “indici rilevatori” della sussistenza di una autonoma impresa dell’appaltatore32. La rigidità dell’impostazione rinvenibile nella legge 23 ottobre 1960, n. 1369, era però destinata a produrre forti contrasti con le esigenze di riorganizzazione aziendale, evidenziatesi soprattutto al termine delle crisi industriali degli anni ottanta e correlate ad una crescente terziarizzazione delle attività d’impresa non direttamente inerenti la propria vocazione industriale. Con l’evolversi del sistema produttivo italiano e del settore dei servizi, il divieto di interposizione finì con il rivelarsi un riferimento legislativo inadeguato, insufficiente ed anacronistico. 32 Sul punto si veda R. DE LUCA TAMAJO, “Le esternalizzazioni”, cit. 43 s 29 Capitolo II Legge n. 196/1997, il “Pacchetto Treu”. 1. Inquadramento – 1.1 Mancata abrogazione del divieto d’interposizione - 2. Contratto di fornitura – 2.1 Soggetti legittimati alla stipulazione - 2.2 Soggetti fornitori - 2. 3. Contratto di fornitura, tratti essenziali - 2. 4 Limiti alla conclusione del contratto di fornitura – 2.5 Divieto di ricorso al lavoro temporaneo - 3. Rapporto tra il lavoratore e l’impresa utilizzatrice – 3.1. Poteri dell’utilizzatore: controllo, conformazione della prestazione; “ius variandi” – 3.2 Obbligazioni verso il lavoratore – 4. Convenzioni volte al reimpiego dei lavoratori in mobilità tramite contratti di lavoro temporaneo e allo svolgimento di attività formative. 1. Inquadramento del provvedimento legislativo. Il divieto di cui alla l. 1360/1960 venne percepito come sempre più inattuale e poc o attento alle nuove forme d’impresa33. L’unica via attraverso la quale il divieto di legge poteva essere attualizzato rispett o alle nuove realtà imprenditoriali era offerta dalla giurisprudenza, che approdò alle più variegate soluzioni nell’intento di mitig are e temperare l’autoritarietà del divieto con le esigenze di flessibilità. Nel 1997 ha quindi visto la luce un provvedimento legislativo - la legge 24 giugno 1997, n°196: 33 P. ICHINO,“Il lavoro interinale e gli altri varchi nel ʺmuroʺ del divieto di interposizione”, in DLRI, 1997 30 “Norme in materia di occupazione”, nota come “pacchetto Treu” - che ha reso finalmente possibile nel nostro Paese il ricorso al cd. lavoro temporaneo o interinale - dal francese “interimaire”34 -, legittimando la “fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo”. Si apriva così la prima breccia al rigido divieto di somministrazione di prestazioni di lavoro altrui35. Il “Pacchetto Treu”, dedica i primi undici articoli alla disciplina del lavoro temporaneo, dettando poi una serie di disposizioni in tema di contratto a tempo indeterminato e parziale, di formazione e lavoro, di apprendistato, di occupazione nel settore della ricerca, di riordino della formazione professionale, di tirocini formativi, di lavori socialmente utili, ecc. E’ da sottolineare l’approccio “di stampo europeo” della legge, la quale, rivelando la sua natura di “legge concertata"36, dimostra una spiccata tendenza a valorizzare il ruolo delle parti sociali: queste sono viste come i soggetti più idonei ad individuare il giusto equilibrio tra le esigenze del sistema produttivo, quelle dei lavoratori e le turbolenze dell’economia mondiale: si potrebbe dire che la l.196/97 ambiva a realizzare una forma di compromesso tra le istanze di flessibilità provenienti dal mondo imprenditoriale e le esigenze del garantismo radicate nella cultura del movimento sindacale. Si configura, per la prima volta nel nostro ordinamento, una ipotesi di lecita mediazione privata nell’incontro tra domanda e offerta di lavoro così superando, come si è detto più volte, gli angusti ambiti del divieto di interposizione nonché del monopolio pubblico del collocamento (l.264/1949). Il lavoro temporaneo così disciplinato realizza uno schema flessibile sia sul versante interno del rapporto di 34 L’espressione “lavoro interinale” è stata mutuata dal francese “travail interimaire”. P. ICHINO “Il lavoro interinale e gli altri varchi nel ʺmuroʺ del divieto di interposizione”,in DLRI, 1997 36 Nel settembre del 1996 venne stipulato il c.d. “Patto per il lavoro” tra il Governo e le parti sociali, le cui linee guida sono state successivamente recepite dal Parlamento, che ne ha fatto la base per la adozione, dell’organico provvedimento legislativo in materia di lavoro in commento 35 31 lavoro, sia sul versante esterno del rapporto stesso, id est direttamente sul mercato del lavoro: il lavoro temporaneo integra una tipologia contrattuale che coinvolge tre soggetti: il lavoratore, l’impresa fornitrice di manodopera (abilitata secondo i parametri stringenti fissati dalla legge) e l’impresa utilizzatrice. Il rapporto triangolare che lega questi soggetti si articola in due distinti rapporti contrattuali: - contratto per prestazioni di lavoro temporaneo: da un lato abbiamo un contratto di lavoro a tempo determinato o indeterminato tra l’impresa fornitrice e il lavoratore, avente ad oggetto l’assunzione dello stesso lavoratore alle dipendenze dell’impresa fornitrice, la quale riveste il ruolo di datore di lavoro “formale”; - contratto di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo: si esprime in un vero e proprio contratto di natura commerciale tra l’impresa fornitrice e l’impresa utilizzatrice, con il quale la prima mette a disposizione della seconda un certo numero di lavoratori da impiegare per il soddisfacimento di esigenze di carattere temporaneo; Il rapporto triangolare si attua dunque mediante l’invio, da parte dell’agenzia, dei lavoratori temporanei da essa assunti in virtù del primo contratto presso l’impresa utilizzatrice per la esecuzione delle prestazioni lavorative concordate. I lavoratori temporanei, pur essendo formalmente assunti dall’agenzia di lavoro interinale, eseguono la prestazione di lavoro presso l’impresa utilizzatrice, la quale si configura come soggetto estraneo rispetto al rapporto di lavoro subordinato che intercorre esclusivamente con l’impresa fornitrice di manodopera: si genera così una scissione tra titolarità giuridica del rapporto di lavoro ed effettiva utilizzazione della prestazione lavorativa, di modo che si possa parlare di 32 un datore di lavoro “formale”, cioè l’agenzia, e di un datore “sostanziale”, vale a dire l’impresa utilizzatrice. 1.1 Mancata abrogazione del divieto d’interposizione. Novità interessante è che la l.196/97 non ha abrogato completamente il divieto di interposizione posto dalla l.1369/60. Essa ha infatti soltanto introdotto una deroga a tale divieto - tutt’altro che incondizionata, bensì rigidamente e dettagliatamente regolamentata. Conforme a questa affermazione, la giurisprudenza, che - chiamata a pronunciarsi sul punto ha sempre escluso la abolizione ad opera della l.196/97 del divieto di interposizione fittizia di manodopera posto a suo tempo dalla l.1369/1960. In particolare, con sent. n° 5232 del 9 aprile 2001, la Corte di Cassazione (Cass. civ. sez. lav.) ha chiarito che l’espressa previsione (art.10, l.196/97) secondo cui continua a trovare applicazione la l.1369/60: il divieto di interposizione continua a trovare applicazione nei confronti dell’impresa utilizzatrice che ricorra alla fornitura di lavoro dipendente da parte di soggetti diversi da quelli indicati all’art 2, l.196/97 - che violi cioè le disposizioni di cui al precedente art.1, commi secondo, terzo, quarto e quinto (i quali stabiliscono i casi in cui è consentita o vietata la fornitura di lavoro temporaneo e dettano la disciplina rispettivamente applicabile al contratto di fornitura di lavoro temporaneo, che intercorre tra l’impresa fornitrice e l’impresa utilizzatrice, e al contratto per prestazioni di lavoro temporaneo, che intercorre, invece, tra l’impresa fornitrice e il lavoratore). Secondo l’unanime giurisprudenza la l.1369/60 non è stata abrogata per effetto dell’entrata in vigore della l.196/97, la quale, infatti, nell’introdurre il contratto di 33 fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo, ne ha espressamente richiamato, all’art 10, le norme sanzionatorie per la inosservanza dei requisiti soggettivi delle cd. agenzie di lavoro interinale, nonché delle norme volte ad allineare il nuovo schema contrattuale alle garanzie poste a sostegno dei lavoratori nell’ambito del rapporto di lavoro dipendente. 2. Contratto di fornitura. 2.1 Soggetti legittimati alla stipulazione: soggetti utilizzatori. Il contratto di fornitura rappresenta l’elemento portante su cui poggia l’intero schema trilaterale tipico del lavoro temporaneo tramite agenzia37: proprio in ragione del carattere derogatorio del contratto di fornitura rispetto al divieto ex L. 1369/1960, il ricorso a tale contratto è stato assoggettato dalla legge ad una serie di precisi obblighi e puntuali adempimenti, con un formalismo forse eccessivo e da molti ritenuto paralizzante. La stipulazione di tale contratto è, infatti, subordinata alla sussistenza in concreto di determinate condizioni oggettive nonché al possesso, da parte dell’impresa fornitrice, di determinati requisiti di carattere soggettivo (artt. 1 – 2 l. 196/97). La legge indica, in maniera dettagliata, quali soggetti possono stipulare il contratto 37 M. TIRABOSCHI, “La legalizzazione del lavoro interinale tramite agenzia. Prime riflessioni sulla l.196/97” in Dir. rel. ind. 1997. 34 di fornitura. Per quanto riguarda i soggetti utilizzatori, l’art 1 l.196/97 delinea un amplissimo quadro; può trattarsi di: - imprese costituite in forma societaria; - non imprenditori (per esempio associazioni e datori di lavoro privati) - pubbliche amministrazioni. Anche per le pubbliche amministrazioni, il lavoro intermittente tramite agenzia rappresenta un mezzo per far fronte ad eventuali carenze temporanee di organico o a situazioni di emergenza, consentendo di superare in maniera efficace e vincente i tempi burocratici delle normali procedure selettive del personale. Non per questo tuttavia si genera un contrasto con l’art 97, comma 3° Costituzione (“Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso”), poiché, mentre tra la P.A. e l’agenzia di lavoro interinale sorge un mero rapporto di fornitura, tra la P.A. e il lavoratore intercorre un mero rapporto di fatto: il lavoratore, dunque, non viene assunto dall’utilizzatore – P.A., ma è legato contrattualmente solo all’agenzia-fornitrice. A questo si aggiunga che: - l’utilizzazione può chiaramente avere solo carattere temporaneo; - rispetto alla P.A. il ricorso al lavoro interinale non può assolvere alcuna funzione collocativa, ma rappresenta molto più semplicemente – come già anticipato - uno strumento per fronteggiare celermente una carenza contingente di personale. 2.2 Soggetti fornitori. L’attività di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo non può essere svolta da chiunque ne abbia interesse, ma soltanto dai soggetti dotati dei requisiti di legge e muniti di autorizzazione. Il legislatore italiano ha dunque optato per lo status delle 35 agenzie autorizzate38: i soggetti fornitori devono cioè sottoporsi ad un sistema di registrazione, certificazione e controllo per poter ottenere l’autorizzazione prevista per l’esercizio dell’attività. Tale autorizzazione implica ch’essi siano dotati di personalità giuridica39. Sono escluse le persone fisiche e le società di persone. Significativa è la previsione relativa alla esclusività dell’oggetto sociale: la norma (art 2, comma 1°, lett. a) intende evitare non solo la commistione tra attività produttiva e attività di fornitura, ma soprattutto che tale promiscuità possa inficiare la tenuta economica dell’agenzia: consentire il perseguimento di scopi diversi dalla mera fornitura di manodopera avrebbe certamente potuto vanificare la sussistenza di requisiti patrimoniali che - nel quadro della l.196/97 rappresentano uno dei principali criteri selettivi dei soggetti meritevoli di essere autorizzati all’attività di fornitura. Inoltre il vincolo rappresentato dalla esclusività dell’oggetto sociale mira a semplificare i meccanismi di controllo sull’attività delle imprese fornitrici, poiché restringe al minimo l’ambito di operatività delle agenzie. Tale vincolo – va infine osservato - non inibisce lo svolgimento di attività preparatorie, strumentali ed accessorie rispetto all’attività di fornitura, purché funzionalmente collegate al perseguimento dell’oggetto sociale. Requisiti necessari per l’abilitazione 38 L’obbligo di autorizzazione era uno dei punti qualificanti sia del Protocollo sul sistema delle relazioni industriali e il mercato del lavoro del 1993 sia del Patto per il lavoro del 1996 7 L’art 2 l. 196/1997 specifica che possono accedere allo status di agenzie autorizzate soltanto le società di capitali e le cooperative 36 La legge richiede di poter vagliare la “genuinità” del soggetto abilitato alla fornitura, attraverso precisi indici qualitativi e quantitativi: si tratta di requisiti attinenti a: - consistenza economico - patrimoniale della società (la c.d. “solidità economica”); - tipo di struttura organizzativa adottata (idoneità dell’organizzazione tecnicoprofessionale); - onorabilità e professionalità delle persone preposte ad agire per conto della stessa società40. Sono questi i presupposti indispensabili ai fini dell’ottenimento dell’autorizzazione amministrativa: la loro mancanza comporterebbe la esclusione dalla disciplina speciale dettata dalla l.196/97 e il ripristino del divieto interpositorio ex l.1369/60, con le relative conseguenze penali e civilistiche. Con una peculiarità: mentre le altre violazioni della legge comportano sì la reviviscenza del sistema protettivo delineato dalla legge del 1960, ma solo nei confronti dell’impresa utilizzatrice, il mancato rispetto dei requisiti soggettivi da parte dell’impresa fornitrice comporta l’applicazione delle sanzioni, ossia il ripristino del divieto di rapporti interpositori, sia nei confronti dell’impresa utilizzatrice, sia nei confronti dell’impresa fornitrice. La prescrizione di cui all’art 10, comma 1° (ultima parte) della l.196/97 in effetti potrebbe determinare due tipi di conseguenze, che coinvolgono sia l’agenzia “irregolare” sia l’impresa destinataria delle prestazioni lavorative: ove ricorra un ipotesi illegittima di interposizione (il che dovrà essere oggetto di verifica in 40 L’art 2, comma 2° l. 196/97, relativamente alla condotta degli amministratori, dei direttori generali, dei dirigenti muniti di rappresentanza e dei soci accomandatari è necessario che questi soggetti non abbiano subito condanne penali, anche non definitive (comprese le sanzioni sostitutive previste dalla l. n. 689/1981) per delitti contro il patrimonio, contro la fede o l’economia pubblica, per il delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso, per delitti non colposi per i quali la legge preveda la pena della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, per delitti o contravvenzioni previsti da leggi dirette alla prevenzione degli infortuni sul lavoro o, in ogni caso, previsti da leggi in materia di lavoro e previdenza sociale; e, inoltre, che non siano sottoposti a misure di prevenzione. 37 concreto), si applicherà la sanzione civilistica della riconduzione del rapporto in capo all’effettivo beneficiario della prestazione lavorativa (ossia l’impresa utilizzatrice) e l’applicazione della connessa sanzione penale. La procedura per il rilascio dell’autorizzazione. L’esercizio dell’attività di fornitura di lavoro temporaneo è subordinata all’iscrizione in un apposito albo istituito presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale nonché al rilascio di una autorizzazione da parte dello stesso Ministero: conformemente all’art 2, comma 1° della l.196/97, il Ministero, dopo aver acquisito il parere della Commissione centrale per l’impiego, entro 60 giorni dalla richiesta e previo accertamento dei requisiti appena descritti (solidità economico - patrimoniale, idoneità tecnico-professionale, onorabilità delle persone destinate alla gestione dell’impresa), rilascia l’autorizzazione provvisoria all’esercizio dell’attività di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo, provvedendo contestualmente all’iscrizione dell’impresa richiedente nell’albo predetto. Decorsi due anni, il Ministero, su richiesta della stessa impresa, entro i 30 giorni successivi, rilascia l’autorizzazione a tempo indeterminato, subordinatamente alla verifica del “corretto andamento” dell’attività svolta (art 2, comma 1° della l.196/97). Tale autorizzazione è “personale”, cioè di stretta pertinenza del soggetto che l’ ha ottenuta, e non potrebbe essere oggetto di transazione commerciale, né potrebbe essere ceduta o “prestata” ad altri41. I due anni che devono intercorrere tra il rilascio dell’autorizzazione provvisoria e la richiesta di quella a tempo indeterminato rappresentano, nell’ottica della 41 M. TIRABOSCHI, “Attività di fornitura di lavoro temporaneo”, in Dir.prat.lav. Oro 5/1997 38 l.196/97, una sorta di periodo di prova necessario perché l’autorità ministeriale competente possa vagliare l’affidabilità e la serietà delle imprese autorizzate42. In proposito è quanto mai doveroso rammentare che l’amministrazione è tenuta ad esercitare una mera discrezionalità tecnica e non una discrezionalità amministrativa: essa deve limitarsi a riscontrare il possesso da parte dell’impresa dei requisiti indicati dalla legge, senza inoltrarsi in una valutazione circa l’opportunità dell’ingresso di un certo soggetto nel mercato del lavoro interinale. E’ infatti la stessa legge che, fissando con rigore i requisiti, ha già effettuato a monte una precisa valutazione dei soggetti che siano in grado di soddisfare gli interessi di natura pubblica implicati dall’attività di fornitura. 2. 3. Contratto di fornitura, tratti essenziali. Conformemente a quanto è stato sostenuto dalla maggior parte degli Autori, l’espressa definizione legale della fattispecie43, la minuziosa regolamentazione fortemente limitativa dell’autonomia privata -, l’esplicita delimitazione applicativa a taluni soggetti nonché, infine, la precisa indicazione dell’oggetto dell’obbligazione gravante sull’agenzia sono tutti elementi che hanno indotto a ritenere che il contratto di fornitura si sia configurato come nuovo contratto nominato, dotato cioè di una propria regolamentazione e avente ad oggetto lavoro subordinato altrui. Possiamo così riassumerne le peculiarità: • onerosità o gratuità del contratto: 42 M. TIRABOSCHI, “I soggetti abilitati all’attività di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo”, Diritto e Pratica del Lavoro, volume 33, 1999. 43 Art 1, comma 1° l. 196/97 : “Il contratto di fornitura di lavoro temporaneo è il contratto mediante il quale un’impresa di fornitura di lavoro temporaneo (...) pone uno o più lavoratori (...) da essa assunti con il contratto previsto dall’art 3 , a disposizione di un’impresa che ne utilizzi la prestazione lavorativa (...) per il soddisfacimento di esigenze di carattere temporaneo individuate ai sensi del comma 2°.“ 39 la legge non contempla, tra gli elementi costitutivi del contratto in parola (art 1, comma 5°, l.196/97), anche il corrispettivo, sicché non è dato considerarlo come elemento necessario a pena di nullità. D’altro canto, ritenere che il contratto di fornitura debba per forza essere a titolo oneroso sarebbe in contrasto con la funzione propria del contratto stesso, che è quella di favorire la promozione dell’occupazione. Potremmo perciò concludere che il contratto di fornitura delineato dalla l.196/97 non è un contratto necessariamente a titolo oneroso, poiché la possibilità che alla “messa a disposizione” dei lavoratori non corrisponda alcun corrispettivo44 non è in conflitto con le norme deputate a regolare il rapporto. • contratto di durata: il fattore temporale è di fondamentale importanza nello schema contrattuale della fornitura di manodopera, in quanto connota la causa del contratto sotto due diversi aspetti: da un lato, la “messa a disposizione” di uno o più lavoratori interinali è volta a soddisfare un interesse dell’impresa utilizzatrice che non si esaurisce in una singola “operazione” ad esecuzione istantanea (l’invio del lavoratore), ma costituisce un bisogno durevole, per un arco di tempo prestabilito; per altro verso, proprio la temporaneità dell’esigenza avvertita dall’impresa utilizzatrice è condizione generale di legittimità del contratto di fornitura ed è il carattere che vale a distinguere tale contratto dagli altri contratti di durata. In particolare può dirsi che il contratto di fornitura sia un contratto strutturalmente a termine: esso, infatti, può essere legittimamente stipulato solo per soddisfare un 44 “Per corrispettivo deve intendersi non solo la somma tra il costo retributivo e previdenziale gravante sull’impresa fornitrice e la maggiorazione corrisposta per il servizio di fornitura, ma anche il mero rimborso degli oneri sostenuti”, M. TIRABOSCHI, “Lavoro temporaneo e somministrazione di manodopera. Contributo allo studio della fattispecie lavoro intermittente tramite agenzia”, Torino, 1999, p. 64 e ss. 40 bisogno oggettivamente temporaneo di lavoro subordinato da parte dell’impresa utilizzatrice. La tecnica definitoria utilizzata45 che , unitamente alla predeterminazione delle ipotesi di lecito ricorso al lavoro temporaneo e all’elaborato sistema sanzionatorio, produce una spiccata rigidità della funzione tipica della fattispecie e rappresenta al contempo il parametro cui anche la contrattazione collettiva deve fare riferimento nel momento in cui sia chiamata a determinare ulteriori ipotesi di lecito ricorso al lavoro temporaneo. Inoltre la necessarietà dell’apposizione di un termine al vincolo contrattuale46 sarebbe coessenziale alla causa del contratto di fornitura. • contratto formale: Il comma 5° dell’art 1 della l.196/97 dispone: “Il contratto di fornitura di lavoro temporaneo è stipulato in forma scritta e contiene i seguenti elementi: a) il numero dei lavoratori richiesti; b) le mansioni alle quali saranno adibiti i lavoratori e il loro inquadramento; c) il luogo, l’orario e il trattamento economico e normativo delle prestazioni lavorative; d) assunzione da parte dell’impresa fornitrice dell’obbligazione del pagamento diretto al lavoratore del trattamento economico nonché dei contributi previdenziali; 45 Proprio la definizione di apertura della legge - art 1, comma 1, l.196/97: “...per il soddisfacimento di esigenze di carattere temporaneo” - rivela luminosamente il giudizio di meritevolezza espresso dal legislatore nella codificazione del tipo contrattuale in questione. 46 Art 1, comma 5, lett. h. l. 196/97, il contratto deve contenere “la data di inizio e il termine del contratto per prestazioni di lavoro temporaneo”. 41 e) assunzione dell’obbligo dell’impresa utilizzatrice di comunicare all’impresa fornitrice i trattamenti retributivi e previdenziali applicabili, nonché le eventuali differenze maturate nel corso di ciascuna mensilità o del minore periodo di durata del rapporto; f) assunzione dell’obbligo dell’impresa utilizzatrice di rimborsare all’impresa fornitrice gli oneri retributivi e previdenziali da questa effettivamente sostenuti a favore del prestatore di lavoro temporaneo; g) assunzione da parte dell’impresa utilizzatrice, in caso di inadempimento dell’impresa fornitrice, dell’obbligo del pagamento diretto al lavoratore del trattamento economico nonché del versamento dei contributi previdenziali in favore del prestatore di lavoro temporaneo, fatto salvo il diritto di rivalsa verso l’impresa fornitrice; h) la data di inizio e il termine del contratto per prestazioni di lavoro temporaneo; i) gli estremi dell’autorizzazione rilasciata all’impresa fornitrice.” La previsione della forma ad substantiam per il contratto di fornitura (tale che il mancato rispetto dei requisiti formali comporta la nullità del contratto di fornitura) risponde all’intenzione del legislatore di predisporre una serie di tutele non tanto a sostegno dei contraenti, quanto piuttosto del lavoratore temporaneo, che rimane di fatto estraneo al vincolo negoziale che intercorre tra l’agenzia e l’impresa utilizzatrice. Sembrerebbe infine che il legislatore abbia inteso addirittura sanzionare due volte il mancato rispetto dei requisiti formali: è stabilito, infatti, che alla violazione 42 dell’art 1, comma 5° segua il ripristino del divieto di interposizione posto dalla l.1369/60 (art 10, comma 1°, l.196/97161) e che al mancato rispetto della forma del contratto di fornitura segua la trasformazione del contratto di lavoro a tempo indeterminato (art 10, comma 2°, l.196/9747). 2.4 Limiti alla conclusione del contratto di fornitura. Per fronteggiare il pericolo di una eccessiva destrutturazione dell’occupazione stabile, della polverizzazione dell’azione sindacale e di una progressiva inversione del rapporto di regola ad eccezione tra “rigidità” e “flessibilità”, il legislatore, optando per una tecnica che è stata definita “a tenaglia” e “ridondante”48 ha indicato sia i casi in cui la stipulazione del contratto di fornitura è ammessa (art 1, co. 2 e 3 l.196/97), sia i casi in cui essa è esclusa, attribuendo poi alla contrattazione collettiva (art 2, co. 1 lett. a ) la facoltà di individuare ulteriori ipotesi di legittimo ricorso al lavoro temporaneo. Le uniche limitazioni, dal punto di vista soggettivo, sono relative al settore agricolo192e al settore dell’edilizia, rispetto ai quali le cautele approntate dal legislatore hanno ragioni di carattere storico e prevenzionale49: in origine l’art 1, comma 3° della l.196/97 prevedeva, infatti, che, in via sperimentale, nei settori agricolo e dell’edilizia, la contrattazione collettiva potesse individuare particolari aree nonché la modalità di svolgimento della fornitura. In sostanza, la legge subordinava la stipulazione dei contratti di 47 Art. 1, comma 5 “[…] il lavoratore che presti la sua attività a favore dell’impresa utilizzatrice si considera assunto da quest’ultima con contratto di lavoro a tempo indeterminato, nel caso di mancanza di forma scritta del contratto di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo ai sensi dell’art 1 , comma 5.” 48 A. MARESCA, “Il contratto di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo”, Milano, 2010. 49 M. ROCCELLA , “I rapporti di lavoro atipici in Italia dall’accordo tripartito del 23 luglio 1993 alla legge 196/1997”, in Rivista Giuridica del Lavoro, 1998. 43 fornitura di lavoro temporaneo, nei due settori indicati, all’intesa tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentativi a livello nazionale. 2. 5 Divieto di ricorso al lavoro temporaneo. I divieti posti dalla legge, in particolare dall’art 1, comma 4° della l.196/97, rappresentano un limite sia per la contrattazione collettiva, chiamata ad individuare ulteriori ipotesi di legittimo ricorso al lavoro temporaneo (art 1, comma 2°, lett. a, l.196/97)197, sia per l’autorità amministrativa, chiamata ad intervenire in via suppletiva nel caso di inerzia delle parti (art. 11, comma 4°, l.196/97). Tali divieti mirano evidentemente ad evitare un uso indiscriminato e privo di controllo dell’istituto. In particolare, il ricorso al lavoro temporaneo è vietato: a) “per le mansioni individuate dai contratti collettivi nazionali della categoria di appartenenza dell’impresa utilizzatrice stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi, con particolare riguardo alle mansioni il cui svolgimento può presentare un pericolo per la sicurezza del prestatore di lavoro o di soggetti terzi”; b) “per la sostituzione di lavoratori in sciopero” (art 1, comma 4) – ratio della prescrizione era prevenire i comportamenti del datore di lavoro ascrivibili all’ambito della condotta antisindacale (art 28. Statuto dei Lavoratori); mentre secondo parte della dottrina tale divieto non potrebbe trovare applicazione in caso di sciopero illegittimo; c) “nelle unità produttive in cui nei dodici mesi precedenti siano stati effettuati licenziamenti collettivi nei confronti di lavoratori adibiti alle mansioni cui si 44 riferisce la fornitura (a meno che questa non avvenga per la sostituzione di lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto di lavoro) ovvero nelle unità produttive in cui siano in atto sospensioni dei rapporti di lavoro o riduzioni di orario nei confronti di lavoratori addetti alle mansioni cui si riferisce la fornitura"; d) “a favore di imprese che non dimostrino alla Direzione provinciale del lavoro di aver effettuato la valutazione ai sensi dell’art 4 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n°626”. 3. Rapporto tra il lavoratore e l’impresa utilizzatrice. Il soggetto utilizzatore non è qualificabile come datore di lavoro, ma ciononostante la legge gli ha attribuito una serie di poteri e di obblighi nei confronti del lavoratore, quali il potere direttivo e l’obbligo di sicurezza, in virtù del realizzarsi della fattispecie definita come “lavoro temporaneo tramite agenzia”, cioè a seguito della stipulazione del contratto di fornitura e del contratto di lavoro temporaneo: si tratta dunque di effetti ex lege che scaturiscono dalla conclusione di due distinti negozi collegati e non dal mero inserimento del lavoratore nell’organizzazione produttiva di un soggetto diverso dal datore di lavoro. 3.1. Poteri dell’utilizzatore: controllo, conformazione della prestazione; “ius variandi”. Art. 3 co. 2, l. 196/97: 45 “il lavoratore temporaneo, per la durata della prestazione lavorativa presso l’impresa utilizzatrice svolge la propria attività [...] sotto la direzione [...] dell’impresa medesima.” Art 4, co. 1: “il prestatore di lavoro temporaneo svolge la propria attività secondo le istruzioni impartite dall’impresa utilizzatrice per l’esecuzione e la disciplina del rapporto di lavoro ed è tenuto inoltre all’osservanza di tutte le norme di legge e di contratto collettivo applicate ai lavoratori dipendenti dell’impresa utilizzatrice.” Il lavoratore temporaneo si trova in una posizione di soggezione nei confronti dell’utilizzatore: “il potere di conformazione della prestazione, nonostante sia attribuito ad un soggetto diverso dal datore di lavoro, dovrà essere esercitato nei confronti del lavoratore entro i limiti segnati dal contratto di lavoro (in specie dall’oggetto del contratto stesso: le mansioni convenute, l’orario pattuito, e così via) e dalla legge (si pensi allo Statuto dei lavoratori). Il lavoratore ben potrebbe rifiutare al proprio datore di lavoro, vale a dire all’agenzia, di eseguire una prestazione difforme da quella convenuta, e all’utilizzatore di soggiacere ad un potere esercitato fuori dei limiti imposti. L’utilizzatore si troverà di conseguenza esposto nei confronti della propria controparte contrattuale, (l’agenzia), alle conseguenze derivanti dall’inadempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto di fornitura (risoluzione, risarcimento di un eventuale danno), ma anche nei 46 confronti delle organizzazioni sindacali - qualora agissero ai sensi dell’art 28 dello Statuto dei lavoratori, volto appunto alla repressione della condotta antisindacale. Per quanto riguarda, poi, il cd. ius variandi, l’art 6, comma 2° della l.196/97 dispone che “l’impresa utilizzatrice, nel caso in cui adibisca il prestatore di lavoro temporaneo a mansioni superiori, deve darne immediata comunicazione scritta all’impresa fornitrice, consegnandone copia al lavoratore”. Il potere di variare le mansioni è attribuito all’utilizzatore e non è richiesto alcun consenso da parte del lavoratore - che si configura quindi come soggetto passivo di un’altrui determinazione. Tuttavia anche in questa ipotesi troveranno applicazione i limiti generali imposti dall’art 2103 del Codice Civile: “l’utilizzatore potrà adibire il lavoratore a mansioni equivalenti a quelle indicate nel contratto di lavoro, non però a mansioni inferiori; se lo adibisce a mansioni superiori, il lavoratore avrà diritto a ricevere il relativo trattamento”. Per il resto la legge non aggiunge altro, lasciandoci senza una sufficiente definizione dei limiti dello ius variandi. In assenza quindi di diversa e speciale disposizione, anche rispetto al lavoro temporaneo, dovranno ritenersi operanti i vincoli fissati dall’art 2103 c. c.. Risulterebbe infatti incongruo - nonché contrario al principio che impone la parità di trattamento dei lavoratori interinali (art 4, co. 2, l.196/97) - che il suddetto potere, riconosciuto dalla legge in capo 47 all’utilizzatore, non venga esercitato entro gli stessi limiti che valgono in generale per il lavoro subordinato. 3.2 Obbligazioni verso il lavoratore: Obbligazione (solidale) previdenziale. L’art 6, comma 3° della l.196/97 prevede che l’impresa utilizzatrice risponda “in solido, oltre il limite della garanzia prevista dall’art 2, comma 2°, lett. c, dell’obbligo della retribuzione e dei corrispondenti obblighi contributivi non adempiuti dall’impresa fornitrice”. La disposizione va necessariamente connessa e coordinata con art 1, comma 5: che impone all’impresa utilizzatrice di assumere, nel contratto di fornitura, l’obbligo, in caso di inadempimento dell’impresa fornitrice, “del pagamento diretto al lavoratore temporaneo del trattamento economico nonché del versamento dei contributi previdenziali in favore del prestatore di lavoro temporaneo.” Secondo una congiunta lettura delle due norme, vediamo scaturire un obbligo di legge in capo all’utilizzatrice verso il lavoratore e verso l’Inps - ribadito altresì nel contratto di fornitura, attinente al versamento delle somme relative alla 48 retribuzione e ai contributi previdenziali non corrisposte dall’agenzia - secondo lo schema di una “fideiussione legale”50. Come testualmente recita l’art 6, comma 3° della l.196/97 si tratta di un’obbligazione solidale, di modo che il lavoratore potrà chiedere il pagamento al suo datore di lavoro (l’agenzia), oppure all’impresa utilizzatrice. L’utilizzatore, a sua volta, ha il diritto di agire in regresso nei confronti dell’agenzia, secondo quanto disposto dall’art 1, comma 5°, lett. g., l.196/97. Obbligo di garantire il godimento dei servizi sociali ed assistenziali. Il lavoratore temporaneo ha il diritto di fruire di tutti i servizi sociali ed assistenziali di cui godano i dipendenti dell’impresa utilizzatrice addetti alla stessa unità produttiva, esclusi quelli il cui godimento sia condizionato ad associazioni o società cooperative o al conseguimento di una determinata anzianità di servizio (art 6, comma 4°, l.196/97 )580. La norma può essere intesa non solo come semplice applicazione del principio di parità di trattamento, bensì come norma volta a creare un preciso obbligo verso un soggetto estraneo al rapporto di lavoro, cioè verso l’utilizzatore. Obbligo di informazione e formazione in materia di salute e di sicurezza sul lavoro. L’art 6, co. 1 della l.196/97 pone uno specifico obbligo di informazione e tutti gli obblighi di protezione in materia di sicurezza del lavoro in capo all’utilizzatore: 50 Così M. T. CARINCI, “La fornitura di lavoro altrui. Interposizione, comando, lavoro temporaneo, lavoro negli appalti. Art. 2127”, Giuffrè, 2000. 49 trova così attuazione, con riguardo al lavoro temporaneo la direttiva comunitaria 91/383 volta a “promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute durante il lavoro dei lavoratori aventi un rapporto di lavoro a durata determinata o un rapporto di lavoro interinale". Un’attuazione solo parziale però, dato che risulta necessario un ulteriore intervento del legislatore nazionale per portare la recezione della direttiva CEE al suo completo “assorbimento”51. Per quanto riguarda, in particolare, gli obblighi di informazione, l’art 6, comma 1 stabilisce che “nel caso in cui le mansioni cui è adibito il prestatore di lavoro temporaneo richiedano una sorveglianza medica speciale o comportino rischi specifici, l'impresa utilizzatrice ne informa il lavoratore conformemente a quanto previsto dal decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni ed integrazioni.” Pertanto sull’agenzia grava un obbligo di informazione generale sui rischi per la sicurezza e la salute “connessi alle attività produttive” (art 3, comma 5°, l.196/97), sul soggetto utilizzatore grava invece un obbligo di informazione specifico in relazione ai particolari rischi dell’attività in concreto svolta dal lavoratore. E ancora, l’art. 6 statuisce: “l'impresa utilizzatrice osserva, altresì, nei confronti del medesimo prestatore, tutti gli obblighi di protezione previsti nei confronti dei propri dipendenti ed è responsabile per la violazione degli obblighi di sicurezza individuati dalla legge e dai contratti collettivi.” 51 M. TIRABOSCHI “La legalizzazione del lavoro intermittente tramite agenzia nell’ordinamento giuridico italiano. Prime riflessioni sulla legge n. 196/1997”, in DRI, numero 3/VII, Giuffrè, 1997. 50 Questa disposizione trova la sua ragion d’essere nel fatto che l’attività lavorativa è destinata a svolgersi negli spazi, nell’ambiente, nell’organizzazione predisposti dall’utilizzatore: solo quest’ultimo, dunque, è in grado di dominare i fattori di rischio che incombono sul lavoratore. Si noti che i lavoratori temporanei sono computati e si sommano ai dipendenti dell’utilizzatore, in deroga al principio generale, ai fini dell’applicazione delle norme di legge e di contratto collettivo in materia di igiene e sicurezza (art 6, comma 5, l.196/97). Infine, qualora il soggetto utilizzatore non adempia ai suoi obblighi, il lavoratore potrà agire contro di lui: sollevando l’eccezione di inadempimento nei confronti del proprio datore di lavoro (agenzia) e rifiutando di eseguire la prestazione lavorativa. Responsabilità verso i terzi. Art. 6, co. 7: “L’impresa utilizzatrice risponde nei confronti dei terzi dei danni ad essi arrecati dal prestatore di lavoro temporaneo nell’esercizio delle sue mansioni.” Si tratta di una previsione a favore dell’impresa fornitrice - come del resto altre contenute nella stessa legge 196/97: si pensi in particolare a quella che stabilisce un corrispettivo minimo a carico dell’utilizzatore di importo pari agli oneri retributivi e previdenziali effettivamente sostenuti dal fornitore a favore del lavoratore temporaneo (art 1, comma 5, lett. f, l.196/97) o alla previsione di un 51 regime sanzioni a carico dell’agenzia meno arcigno rispetto a quello generalmente previsto dalla l.1369/1960. 4. Convenzioni volte al reimpiego dei lavoratori in mobilità tramite contratti di lavoro temporaneo e allo svolgimento di attività formative. L’art 8, comma 3° della l.196/97 dispone che: “ le agenzie regionali per l’impiego52 (...) possono stipulare, con i soggetti di cui all’art 2 ( id est con le agenzie di lavoro interinale), convenzioni che prevedano lo svolgimento da parte di questi ultimi di attività mirate a promuovere il reinserimento lavorativo dei titolari dell’indennità di mobilità mediante l’effettuazione di prestazioni di lavoro temporaneo nel rispetto delle condizioni previste dai commi 1, lett. b e 2° dell’art 9 della legge 223/1991 (e successive modificazioni e integrazioni)53”. La norma aggiunge che la convenzione può prevedere lo svolgimento di attività formative finanziate a carico dell’apposito fondo istituito in virtù dell’art 5, comma 2° della l.196/97. Ancora, al comma 4 dell’articolo in commento, è individuata una precisa sanzione per i lavoratori che rifiutino l’assunzione da parte dell’impresa fornitrice così 52 Legge 28 febbraio 1987, n° 56. L’art 9, comma 1, lett. b della l. 223/1991 prevede che il lavoratore sia cancellato dalla lista per la mobilità quando “non accetti l’offerta di un lavoro professionalmente equivalente ovvero, in mancanza di questo, che presenti omogeneità anche intercategoriale e che, avendo riguardo ai contratti collettivi nazionali di lavoro, sia inquadrati in un livello retributivo non inferiore del 10% rispetto a quello delle mansioni di provenienza.” 53 52 convenzionata: la “sospensione dell’indennità di mobilità per un periodo pari a quello del contratto offerto o comunque non inferiore ad un mese”. Le norme indicate mirano, evidentemente, al reinserimento dei lavoratori in mobilità nel mercato del lavoro nonché alla promozione di attività di formazione che, a loro volta, facilitino quel reinserimento. E’ stato quindi suggerito di interpretare l’art 8, comma 3° in senso definitorio e non precettivo, in modo tale da consentire la stipulazione di convenzioni anche a favore di lavoratori pur iscritti alle liste di mobilità, ma che non percepiscono la relativa indennità. Fugando in tal modo al contempo i possibili dubbi di legittimità costituzionale con riguardo al principio di uguaglianza di cui all’art 3 della Costituzione54: in questo caso, infatti, l’interesse protetto non è quello della tutela del reddito, ma quello del reinserimento lavorativo, comune, evidentemente, ad entrambe le categorie di lavoratori. 54 A. OCCHINO, “Prestazioni di lavoro temporaneo e lavoratori in mobilità in Napoli. Il pacchetto Treu”, in Nuove Leggi Civili Commentate, CEDAM, Milano, 2008. 53 Capitolo III Le esternalizzazioni nella Riforma del lavoro “Biagi”: Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276 Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30. 1. Dal “Libro bianco” alla “riforma Biagi” - 2. D. lgs. n. 276/2003: inquadramento - 3. Il lavoro tra interposizione ed esternalizzazione: nuove frontiere dell’outsourcing - 4. Somministrazione di lavoro - 5. Contratto di somministrazione - 6. Somministrazione a tempo determinato - 7. Somministrazione a tempo indeterminato - 8. Intreccio tra staff leasing e contratto di lavoro a tempo indeterminato - 9. Soggetti della somministrazione - 9.1 Agenzie di somministrazione di lavoro - 9.2 Autorizzazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali - 9.3 Utilizzatore - 9.4 Lavoratore somministrato 9.5 “Statuto giuridico del lavoratore” - 9.6 Formazione - 9.7 Principio della parità di trattamento - 9.8 Tutela della salute e sicurezza del lavoratore - 10. Poteri datoriali -10.1 Potere direttivo - 10.2 L’esercizio dello ius variandi - 10.3 Potere disciplinare - 11. Responsabilità civile per danni a terzi - 12. Appalto - 12.1. Contratto di appalto, requisiti - 12.2 Procedure di certificazione - 12.3 Nuove tecniche di tutela - 12.4 Rapporto di lavoro - 13. Altre forme di esternalizzazione: trasferimento d’azienda - 13.1 Ramo d’azienda - 13.2 Riacquisizione delle funzioni mediante contratto di appalto - 14. Distacco- 14.1 Interesse del distaccante - 14.2 Temporaneità del distacco - 14.3 Consenso del lavoratore - 14.4 54 Fattispecie a confronto: distacco e trasferimento - 15. Il nuovo regime sanzionatorio dopo il decreto legislativo n. 251/2004 - 16. Somministrazione abusiva - 16.1 Somministrazione abusiva aggravata - 16.2 Utilizzazione illecita 16.3 Utilizzatore pubblico - 17. Somministrazione fraudolenta - 18. Somministrazione “irregolare” - 19. Nuova interposizione di manodopera - 19.1 Pseudo appalto - 19.2 Distacco illecito. 1. Dal “Libro bianco” alla “riforma Biagi”. “L’Italia è il paese europeo con il più basso tasso di occupazione generale e femminile in particolare; il più alto livello di disoccupazione di lungo periodo, il più marcato divario territoriale.”55 Alla legalizzazione della fornitura di lavoro temporaneo - attuata con l’entrata in vigore del “pacchetto Treu” - ha fatto seguito un frenetico dibattito dottrinale, nel cui ambito si è cercato di chiarire alcuni dei non pochi nodi problematici della fattispecie, contribuendo altresì a dissolvere il clima di diffidenza che aveva a suo tempo accompagnato l’introduzione della legge. A sei anni dall’entrata in vigore della l.196/97, il lavoro temporaneo o interinale rappresenta, nel nostro ordinamento, una realtà diffusamente presente sul territorio nazionale - come testimonia peraltro il crescente numero di società autorizzate all’esercizio dell’attività di intermediazione di manodopera e il numero di 55 Così, R. MARONI, Presentazione al “LIBRO BIANCO SUL MERCATO DEL LAVORO IN ITALIA. PROPOSTE PER UNA SOCIETÀ ATTIVA E PER UN LAVORO DI QUALITA’”, Roma, 2001. 55 missioni effettuate. Si osserva, infatti, come sia stata superata dai più l’idea che “lavoro temporaneo” fosse sinonimo di “marchandage du travail” e che, come tale, meritasse un giudizio di segno negativo e un atteggiamento di diffidenza da parte del legislatore56. In particolare, la nuova riforma del mercato del lavoro si è ispirata alle indicazioni contenute nel cd. “Libro bianco”57 sul mercato del lavoro58 e introdotta nell’ordinamento dalla legge delega 14 febbraio 2003 n°30, alle cui disposizioni si è data ora attuabilità mediante il D.lgs. 10 settembre 2003, n°276. La riforma59 delinea un progetto di larga portata, configurando una serie di novità che riguardano, per citare solo quelle di maggiore impatto, i servizi pubblici per l’impiego, la regolamentazione delle collaborazioni coordinate e continuative mediante il modello del cd. “lavoro a progetto”, l’introduzione di nuove forme di lavoro flessibile60, il tentativo di far emergere alcune forme di ”lavoro nero”(attraverso l’introduzione del cd. lavoro accessorio), la riforma dell’apprendistato e del contratto di formazione lavoro (ora sostituito dal cd. contratto di inserimento), le modifiche alla disciplina del lavoro a tempo parziale, il nuovo istituto della certificazione dei rapporti di lavoro e infine – ciò che più interessa lo studio di questa ricerca - l’introduzione della somministrazione di 56 “Le esternalizzazioni dopo la riforma Biagi. Somministrazione, appalto, distacco e trasformazione d’azienda”, a cura di M. TIRABOSCHI, Collana Adapt – Fondazione “Marco Biagi”, Giuffrè, 2006. 57 Pubblicato dalla Commissione europea, il Libro bianco è un documento contenente proposte per azioni comunitarie in campi specifici dell’economia ed è in genere sottoposto al vaglio del Consiglio dell'Unione, al Parlamento Europeo e alle parti sociali; è sottoposto al regime di pubblicità. A titolo di esempio, si possono citare i libri bianchi sul perfezionamento del mercato interno, sulla crescita, la competitività e l’occupazione o sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati associati dell’Europa centrale ed orientale, nei settori che interessano il mercato interno. Mutuando lo schema del Libro bianco comunitario, anche gli Stati nazionali pubblicano a loro volta “libri bianchi”, quali documenti che illustrano strategie e programmazioni del Governo in ambiti specifici. 58 Pubblicato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali il 3 ottobre del 2001; e redatto da un gruppo di lavoro coordinato da Maurizio Sacconi e Marco Biagi, cui hanno partecipato anche Carlo Dell’Aringa, Natale Forlani, Paolo Reboani, Paolo Sestito. In merito al dibattito scaturito dalla pubblicazione del Libro bianco e del di poco successivo disegno di legge delega sono interessanti le riflessioni svolte da CARINCI, “Dal Libro bianco alla Legge delega” 59 Per una prima interpretazione del decreto legislativo n. 276/2003 si veda M. TIRABOSCHI (a cura di) “La riforma Biagi del mercato del lavoro”, Giuffrè, Milano, 2004. 60 Si ricordino fattispecie quali il lavoro a chiamata o “job on call” e il lavoro ripartito o job sharing. 56 manodopera (o staff leasing61), destinata a subentrare al lavoro interinale. Già nel Libro bianco si osservava come, in Italia, il tasso di disoccupazione si fosse progressivamente ridotto e si presumeva che fosse destinato a ridursi ulteriormente negli anni a venire; tuttavia era (ed è) palese un grave problema di disoccupazione di lunga durata: il tasso di disoccupazione relativo a questo segmento era, infatti - all’epoca in cui il Libro Bianco veniva stilato - pari all’8,3%, mentre la media europea si attestava intorno al 4,9%62. Cause della situazione in cui versa il mercato del lavoro italiano sono quindi da ricercare: • nella radicale carenza di servizi di incontro tra domanda e offerta (solo il 4% circa dei rapporti di lavoro infatti è propiziato dal collocamento); • nella insufficienza e inefficacia della pur cospicua spesa per la formazione (da addebitarsi anche al carente monitoraggio dei bisogni presenti nel mercato del lavoro) e, quindi, nella inadeguatezza del livello culturale medio della popolazione (il 20% della classe d’età compresa tra i 15 e i 65 anni possiede solo la licenza elementare o non ha alcun titolo di studio e meno del 38% possiede solo la licenza media). Nel Libro bianco si osservava, inoltre, come la spesa sociale del nostro Paese fosse sì prossima alla media europea, ma che le integrazioni al reddito del disoccupato fossero disomogenee e scollegate da diritti doveri per il reinserimento lavorativo. • con un tasso di occupazione che nel 2000 è ancora al 53,5%, l’Italia sconta un ritardo pesante rispetto a tutti gli altri paesi europei. La causa principale del gap italiano è ascrivibile al Mezzogiorno, che dista dagli attuali livelli medi UE di 61 Secondo la terminologia anglosassone; tutta la riforma del mercato del lavoro ha infatti un’impronta liberista di stampo anglosassone. 62 M. R. GHEIDO, A. CASOTTI, “Riforma del lavoro: scenari attuali e prospettive future”, DPL, 2003. 57 oltre venti punti percentuali sia per il totale sia per la componente femminile63. Nondimeno, anche nelle regioni del Centro-Nord i livelli occupazionali rimangono inferiori rispetto ai livelli medi dell’UE (59,9% contro 63,3% per il totale e 48% contro 53,4% per la componente femminile).64 • nei problemi di carattere generazionale. Le prospettive dei giovani per un rapido accesso al mercato del lavoro, appaiono contraddistinte da difficili processi di transizione dalla scuola al lavoro, dal lavoro alla formazione e dalla formazione al lavoro. I lavoratori anziani, penalizzati dagli scarsi incentivi alla prosecuzione dell’attività lavorativa e che non appaiono beneficiare delle tipologie contrattuali flessibili adottate, continuano a ridurre la loro quota ufficiale nella popolazione lavorativa.65 A fronte di questa situazione la “riforma Biagi” si ripropone quali obiettivi prioritari: - la realizzazione di un mercato del lavoro trasparente ed efficiente, in grado di incrementare le occasioni di lavoro e di garantire a tutti un equo accesso ad un’occupazione regolare e di qualità; - il perseguimento di idonee “politiche dell’occupabilità”, principalmente rivolte ai lavoratori beneficiari di forme di integrazione del reddito; - la messa in atto di una “strategia coordinata” volta a contrastare i fattori di debolezza strutturale della nostra economia (disoccupazione giovanile; disoccupazione di lunga durata; concentrazione della disoccupazione nel 63 “Le donne continuano a soffrire di una difficile condizione di accesso e di permanenza sul mercato del lavoro. […] “Le politiche del lavoro che saranno adottate dovranno tenere conto di questa peculiarità e dovranno anzitutto rimuovere tutti quei fattori esterni al lavoro che influenzano negativamente la decisione delle donne di iniziare un’attività lavorativa. Inoltre, occorre effettuare uno sforzo di ripensamento complessivo di tutte le politiche nella prospettiva di rafforzare le opportunità di lavoro e di carriera delle donne. Si tratta di agire non solo dunque per ragioni di equità sociale ma anche per un miglioramento dell’efficacia del mercato del lavoro e della sua qualità”, Libro bianco, 2001. 64 Ibidem. 65 Ibidem. 58 Mezzogiorno, dove, peraltro, molto diffuso è altresì il “lavoro nero”; modesto tasso di partecipazione delle donne e degli anziani alle dinamiche del mercato del lavoro); - l’introduzione di tipologie contrattuali utili a potenziare l’adattabilità delle imprese e dei lavoratori e ad allargare la partecipazione al mercato del lavoro delle categorie a rischio di esclusione sociale; - l’introduzione di forme di “flessibilità regolata e contrattata con il sindacato”, nel tentativo di conciliare le esigenze delle imprese, anche sul piano della competitività internazionale, con le irrinunciabili istanze di tutela e di valorizzazione del lavoro; - la realizzazione di un sistema efficiente di servizi per l’impiego, pubblici e privati, autorizzati e accreditati, che, in rete tra loro, agevolino l’incontro tra coloro che cercano e coloro che offrono lavoro66; - l’affermazione di un maggior ruolo delle organizzazioni di tutela e di rappresentanza, in funzione della gestione di attività utili alle cd. “politiche dell’occupabilità”67. 2. D. lgs. n. 276/2003: inquadramento. “Con la riforma Biagi la tutela del lavoro è lasciata assai più all’imprenditore che non, come avveniva in passato, alla norma, compiendo cioè una duplica scommessa: una sugli imprenditori e una sull’aumento di potere contrattuale dei lavoratori.”68 66 “Avvicinare la domanda e l’offerta di lavoro è una delle scelte di fondo a cui si ispira il Libro Bianco”, ibidem. Così, la relazione di accompagnamento al decreto di attuazione della legge delega n° 30/2003. 68 Così P. A. REBAUDENGO. 67 59 A partire dal Pacchetto Treu del 1997 le recenti riforme del mercato del lavoro, hanno contribuito a contenere e governare quelle insidiose forme di flessibilità non normata e sindacalmente non tutelata che, nel confronto comparato, fanno del diritto italiano – che pure rimane sulla carta uno dei più rigidi69 - uno dei più in effettivi e deregolamentati70 sul piano della prassi applicativa. E’ quanto testimoniano le impressionati stime del lavoro nero e irregolare che, con circa 4 milioni di lavoratori non dichiarati, fanno registrare tassi due/tre volte superiori alla media degli altri Paesi71. Era infatti diffusa la percezione che il lavoro intermittente – in genere – costituisse una modalità di esternalizzazione delle prestazioni di lavoro difficilmente gestibile, in quanto complessa,poco chiara e oltretutto, nell’ipotesi di comportamenti illeciti, sanzionata penalmente. Parallelamente, le prassi operative aziendali inducevano gli operatori giuridici d’impresa ad evitare la difficile disamina delle ipotesi lecite/illecite di ricorso al lavoro esterno, optando per altre procedure ritenute più sicure – quali l’attivazione di rapporti a tempo determinato ovvero la cessione di ramo d’azienda. E, nelle ipotesi in cui comunque si fosse optato per l’introduzione in azienda di lavoratori esterni, era particolarmente diffusa – come alternativa all’acquisizione di lavoro temporaneo – la ricerca di maggiori agevolazioni derivanti dal coinvolgimento di soci lavoratori in forza 69 Per un confronto comparato, M. TIRABOSCHI “Lavoro temporaneo e somministrazione di manodopera. Contributo allo studio della fattispecie lavoro intermittente tramite agenzia”, Giappichelli, 1999, Torino. 70 “Le esternalizzazioni dopo la riforma Biagi. Somministrazione, appalto, distacco e trasformazione d’azienda”, a cura di M. TIRABOSCHI, Collana Adapt – Fondazione “Marco Biagi”, 2006. 71 ISTAT, “La misura dell’occupazione non regolare nelle stime di contabilità nazionale: un’analisi a livello nazionale, regionale e retrospettiva a partire dal 1980”, Roma, 2004. 60 presso cooperative di servizi in considerazione degli sgravi economico – normativi sino ad anni recenti ancora in larga misura fruiti da tali società72. Con l’adozione del d. lgs. n. 276/2003 troviamo la piena conferma, rispetto alla legislazione previgente di un rigoroso regime autorizzatorio. Contestualmente però viene eliminato il vincolo dell’oggetto sociale esclusivo e viene considerevolmente ampliato il mercato della somministrazione del lavoro, non solo con riferimento alle condizioni di ricorso all’istituto ma anche attraverso l’introduzione, seppure solo in ipotesi tassativamente individuate dalla legge o dalla contrattazione collettiva, della somministrazione a tempo indeterminato – lo staff leasing. Novità principali della riforma del lavoro sono da individuarsi: • nell’avvio di una stagione riformista che anticipa la tutela tradizionale in materia di lavoro nello status del lavoratore – protezione sul rapporto di lavoro degli insiders – a quello della persona che cerca lavoro – tutela sul mercato degli outsiders; • nel venire meno della sostanziale diffidenza verso l’istituto della somministrazione di lavoro, con il preciso obiettivo di una sua più larga diffusione viene infatti meno il generale divieto di interposizione di manodopera, previsto dalla l. n. 1369/196073. Dal nuovo assetto normativo scaturisce allora il divieto di ogni forma di interposizione che non sia attuata dai soggetti e nei limiti previsti per la somministrazione di manodopera: ciò che prima era atipico e vietato, ora 72 Tra le disposizioni più recenti che hanno ridotto tali agevolazioni si consideri in particolare la l. n. 142/2001 (da ultimo modificata dalla l. n. 30/2003). 73 Con riferimento alla portata dell’abrogazione della l. n. 1369/1960 si veda M. TIRABOSCHI “Esternalizzazioni del lavoro e valorizzazione del capitale umano: due modelli inconciliabili?” e M. DEL CONTE “Rimodulazione degli assetti produttivi tra libertà di organizzazione dell’impresa e tutela dei lavoratori”, in ”Le esternalizzazioni dopo la riforma Biagi”, a cura di M. TIRABOSCHI. 61 diviene tipico e ammesso, ma solo a certe condizioni ritenute indispensabili dal legislatore74 Ciò sul presupposto che una maggiore capacità operativa delle agenzie per il lavoro ed un allargamento della loro offerta possa costituire un fattore di impulso ad un più efficiente mercato del lavoro75. Non va infatti dimenticato che il legislatore del 1997 aveva circondato il lavoro tramite agenzia di una serie di cautele volte ad assicurarne il carattere eccezionale ed effimero rispetto al tipo paradigmatico del lavoro subordinato, rigidamente bilaterale, a tempo pieno e a tempo indeterminato. All’opposto il legislatore del 2003, prevedendo da un lato la causale aperta per la somministrazione a tempo determinato76 e dall’altro, la possibilità di radicamento a tempo indeterminato nell’impresa di intere porzioni di manodopera fornite dall’agenzia, ha di fatto riconosciuto la piena cittadinanza di questa tipologia contrattuale. • introduzione del contratto di somministrazione a tempo indeterminato: essa segna la fine dell’interinalità quale requisito pregnante del lavoro in affitto – si può conseguentemente ritenere che il lavoro stabile somministrato rappresenti l’alternativa di segno centripeto alle operazioni di esternalizzazione77. In tal modo la somministrazione di manodopera a tempo indeterminato può costituire una valida alternativa alla più radicale scelta della cessione di ramo d’azienda con la successiva riacquisizione della funzione ceduta mediante contratto di appalto. 74 L’espressione è utilizzata da L. ZAPPALA’ “Verso un nuovo assetto dei rapporti interposi tori. Prime riflessioni sulla “tipizzazione” del contratto di somministrazione di lavoro”, in DRI, 2004. 75 Cfr. la chiave di lettura che propone M. TIRABOSCHI, “Il decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276: alcune premesse e un percorso di lettura”, in M. TIRABOSCHI (a cura di), “la riforma Biagi del mercato del lavoro. Prime interpretazioni e proposte di lettura del d. lgs. 10 settembre 2003, n. 276. Il diritto transitorio e i tempi della riforma”, Collana Adapt – Fondazione “Marco Biagi”, Giuffrè, Milano, 2004. 76 Rappresentata dalle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore. 77 Così M. TIRABOSCHI, “Le esternalizzazioni dopo la riforma Biagi. Somministrazione, appalto, distacco e trasformazione d’azienda”. 62 3. Il lavoro tra interposizione ed esternalizzazione: nuove frontiere dell’outsourcing. “Do what you do best, make it better and outsource the rest.”78 La contestualizzazione è un processo del pensiero di segno opposto rispetto allo straniamento: ciò che nel primo caso può costituire un valore, nel secondo può finire con l’integrare un disvalore. Affinché l’analisi condotta dallo scrivente abbia gli strumenti sufficienti per codificare e commentare le importanti novità introdotte dalla legge 30/2003, è necessario citare la cornice macroeconomica all’interno della quale si svolge nascita, vita ed estinzione della somministrazione di lavoro. Il fenomeno al quale riferirci è l’esternalizzazione o outsourcing79. L’outsourcing è un fenomeno che sta coinvolgendo le imprese su scala mondiale e l’Italia da questo punto di vista è di gran lunga il fanalino di coda80. 78 Tom PETERS cit. L’utilizzo di questo termine va attribuito per la prima volta a Ronald COASE che in “The nature of the firm”, 1937 - il celebre saggio sulla natura dell’impresa – ne indagò in maniera pionieristica i meccanismi che presiedono alle scelte organizzative. In questa prospettiva la convenienza per una gestione dei fattori produttivi in base a meccanismi “gerarchici” risiede nei costi del ricorso al mercato, definiti da Coase “costi di transizione”. Tuttavia le complesse attività di ricerca del contraente, negoziazione ed esecuzione del contratto possono dar luogo a costi (di transazione) di entità notevole. Ecco allora che può risultare più conveniente ricorrere, in alternativa alle relazioni di mercato, a rapporti che consentono all’imprenditore di governare, con un’unica relazione negoziale tutti gli eventi successivi necessari per procacciarsi i fattori di produzione, come ad esempio, i rapporti di lavoro subordinato. L’intuizione di Coase si spinse ben oltre, fornendo una spiegazione delle dimensioni dell’impresa in base al confronto tra costi di transazione (che conseguono appunto all’acquisto del bene direttamente sul mercato) e i costi di gestione dell’attività secondo uno schema gerarchico, detti costi di organizzazione. Di conseguenza le dimensioni dell’impresa saranno tanto più ridotte quanto maggiori saranno i costi di organizzazione interna dei fattori di produzione e quanto minori saranno i costi di transazione dei beni direttamente sul mercato. Esse cresceranno, viceversa, con l’aumentare dei costi di transazione e con la diminuzione dei costi di gestione interna delle risorse. 80 Così S. VICARI “L’outsourcing come strategia per la competitività”, in “I processi di esternalizzazione. Opportunità e vincoli giuridici”, a cura di R. DE LUCA TAMAJO, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2002. 79 63 Fino alla II Guerra Mondiale la tendenza più forte delle imprese era quella di integrare il più possibile – di svolgere cioè internamente il maggior numero di funzioni. Subito dopo il secondo conflitto mondiale e fino agli anni ’60 e ’70 in Europa e nel nostro Paese si è presto diffusa la tendenza al ricorso di fornitura esterna e di subfornitura. Verso la fine degli anni’80 si è iniziato a parlare di cooperazione tra imprese secondo logiche diverse e si è diffuso il termine outsourcing: concentrare cioè le proprie risorse, energie, personale più preparato e qualificato, abilità ed attenzioni sulle attività chiave e delegare completamente tutto il resto. Questa pratica può però definirsi “superata” da un’altra – di derivazione diretta della prima: il vantaggio competitivo basato sul know how spinge a scoprire nuova conoscenza disponibile, per reperire la quale è quanto mai necessario organizzare una rete attraverso cui questa conoscenza può essere scambiata. L’outsourcing si è evoluta nell’impresa a rete. Le imprese della rete sono un sistema di molecole “allo stesso livello”: tuttavia, quando ci sono aziende che si organizzano secondo questa modalità i profitti non si distribuiscono uniformemente nella rete e non vanno neanche all’impresa che ha preso l’iniziativa. Il valore viene invece generato e poi raccolto da chi ha la maggiore competenza nel coordinare il flusso dei processi: nell’impresa a rete è fondamentale il presidio dei meccanismi di coordinamento. Quindi la core competence non è tanto saper fare una certa attività del processo produttivo, ma diventa il saper coordinare le attività degli altri: la core competence diventa la gestione della rete.81 In quest’ottica outsourcing è soprattutto partnership e riguarda, nello specifico quattro fasi: 81 Ibidem. 64 1) definizione dell’architettura di gestione: determinazione dei partner, delle modalità con cui viene gestita la relazione con i partner e dei processi che devono essere svolti. L’outsourcing non è infatti un’opportunità solo per ousourcer82, ma anche per chi vuole svolgere il ruolo di outsourcee83: ci sono infatti imprese che in molti mercati hanno costruito il proprio successo nella capacità di essere uno tra i migliori partner possibili per chi vuole esternalizzare delle attività. Si tratta di imprese che hanno saputo legare la propria crescita alle migliori organizzazioni presenti sul mercato – proprio perché si sono presentate come i migliori candidati a gestire in outsourcing processi che altri hanno esternalizzato. 2) stima di tutti i costi e delle performance possibili nelle varie fasi del processo di outsourcing; 3) attenta selezione dei fornitori; 4) negoziazione, che di solito è la fase in cui tutto il processo precedente viene definito. La diffusione di pratiche di decentramento produttivo può trovare una spiegazione come reazione delle imprese alla crescita dei costi di gestione interna delle risorse produttive, tra i quali un ruolo di primo paino è giocato dal costo dell’utilizzo di lavoro subordinato84. La gestione dei fattori produttivi mediante l’instaurazione di rapporti gerarchici – rapporti di lavoro subordinato – verrebbe sostituita dall’affidamento della medesima attività ad un altro soggetto esterno all’impresa – 82 Si tratta dell’impresa o del soggetto giuridico che cerca partner commerciali, secondo una precisa idea di “rete” di strategie, collaborazioni e cooperazioni. 83 A prima vista sembrerebbe essere il soggetto giuridico che “subisce” il rapporto di collaborazione, nel senso che viene scelto dall’outsourcer. In realtà il suo è un ruolo da protagonista: “l’outsourcing è infatti anche un modo per sottrarre le migliori risorse alla concorrenza. Se esiste un’impresa eccellente su una fase del processo di produzione, di logistica, di marketing, etc., riuscire ad avere un rapporto con questa impresa significa sottrarre questa opportunità alla concorrenza” – S. VICARI, “L’outsourcing come strategia per la competitività”, in R. DE LUCA TAMAJO “i processi di esternalizzazione”. 84 Così L. CORAZZA “L’outsourcing negli Stati Uniti d’America. Spunti di comparazione alla luce dell’analisi economica del diritto” in “I processi di esternalizzazione. Opportunità e vincoli giuridici”, a cura di R. DE LUCA TAMAJO. 65 ricorrendo ad una diretta operazione di mercato tutte le volte che i costi organizzativi della prima soluzione superino i costi transattivi della seconda85. L’impresa sarebbe indotta allora ad articolare il processo produttivo su di una serie di contratti commerciali, preferendo questa soluzione alla più costosa gestione di un rapporto di lavoro subordinato, in proporzione all’accrescere dei costi di organizzazione rispetto ai costi di transazione86. Si registra quindi la tendenza a contrapporre un nucleo di dipendenti a cui sono affidate le funzioni essenziali all’attività imprenditoriale, attinenti al “cuore” dell’impresa, al personale che si colloca alla “periferia” di queste, addetto alle attività accessorie dell’impresa.87 Nel cuore dell’impresa prevalgono pertanto relazioni di lavoro a tempo indeterminato mentre nella periferia – e quindi man mano che ci si allontana dal nucleo centrale - si strutturano relazioni che si avvicinano a rapporti di mercato.88 L’impresa scompone il processo produttivo in diverse fasi e conserva al suo interno solamente alcuni circoscritti spezzoni di attività che consentono all’impresa di essere super specializzata e conseguentemente, più competitiva sul mercato. Esempio: emblematico è il settore automobilistico, dove le sedi decentrate in Brasile di grandi industrie come Chrysler e General Motors fungono da meri assemblatori di prodotti che risultano forniti dall’esterno 85 Si veda in proposito, nota 22 Spiega l’attuale diffusione di forme di decentramento produttivo in base alla lettura di Coase e dunque al rapporto tra costi di transazione e costi di organizzazione P. ICHINO “Il diritto del lavoro e i confini dell’impresa, Dir. La. Rel. Ind.”, 1999. 87 La dinamica core/periphery costituisce un topos delle descrizioni dei modelli organizzativi del personale. Cfr. per tutti R. S. BELOUS “the contingent economy: the growth of the temporary, part time and subcontracted workforce”, National Planning Association, Washington D.C., 1989. 88 Si è parlato in proposito di “informalization” delle relazioni periferiche dell’impresa: B. HARRISON, “Learn and mean: the changing landscape.” 86 66 (outsourced) da parte di imprese indipendenti, in tutto e per tutto afferenti al sistema economico e giuridico brasiliano89. Ancora, le più recenti tendenze delle imprese statunitensi90 mostrano come l’outsourcing riguardi sempre più attività assai prossime al cuore della gestione aziendale, come tutte quelle attività che afferiscono alla programmazione strategica e di mercato91. E’ in notevole aumento l’outsourcing di servizi di gestione delle risorse umane92, di servizi finanziari93, del costumer service94 e si parla di appaltare all’esterno vere e proprie attività manageriali, come il business process. Esempio: la Nike si rifornisce, per quanto riguarda il prodotto industriale, da imprese collocate nel sud est asiatico e conserva al suo interno solamente le attività di progettazione, dopo aver esternalizzato anche le funzioni di marketing e pubblicità.95 Il tutto s’inserisce in un più ampio contesto caratterizzato dalla progressiva “dematerializzazione” del patrimonio economico dell’impresa: la crescente importanza dei beni immateriali quali innanzitutto i diritti di proprietà 89 L’esempio è riportato da P. CAPPELLI “market – Mediated Employment: the historical context”, in “The new relationship. Human capital in the American Corporation”, Margaret M. Blair and Thomas A. Kochan Editors, Washington DC, 2000. 90 Al contesto economico – giuridico nordamericano sono riconducibili le prime sistemazioni teoriche delle strategie di outsourcing ed è indubbiamente di matrice nordamericana la “culla” culturale dell’analisi economica del diritto, cfr. R. COOTER, U. MATTEI, P. G. MONATERI, R. PARDOLESI, T. ULEN, “Il mercato delle regole”, Il Mulino, Bologna, 1999. 91 Così L. CORAZZA “L’outsourcing negli Stati Uniti d’America. Spunti di comparazione alla luce dell’analisi economica del diritto” in “I processi di esternalizzazione. Opportunità e vincoli giuridici”, a cura di R. DE LUCA TAMAJO. 92 Che ora costituisce il 9% del complesso dei servizi dato in outsourcing negli USA, dati dell’Outsourcing Index 2000. 93 Ora al 7%, stimato al 10% per il 2001, dati dell’Outsourcing Index 2000. 94 Ora al 7%, stimato al 11% per il 2001, dati dell’Outsourcing Index 2000. 95 J.B. QUINN, “intelligent Enterprise: a knowledge and service based paradigm for industry”, Free Press, New York, 1992. 67 intellettuale, cui si affiancano beni di più impercettibile consistenza, come il know how, incide infatti significativamente sull’articolazione dell’impresa in una serie di contratti commerciali. Tale processo di “smaterializzazione” riguarda anche la figura del datore di lavoro, che diventa duplice e si dissocia: tra il datore di lavoro (appaltatore) e il titolare dell’impresa a beneficio della quale viene svolta l’attività (committente). Sotto un profilo squisitamente giuridico tale frammentazione si esprime nella disgregazione delle relazioni sindacali all’interno dell’impresa96, con rilevanti conseguenze sull’assetto delle tutele del lavoro subordinato97. E’ proprio sul terreno della codatorialità che si muove la disciplina giuridica del rapporto di lavoro esternalizzato – un rapporto di lavoro che risponde all’esigenza economica dell’impresa committente di acquisire il bene prodotto da un terzo ad un costo minore (rispetto all’ipotesi in cui l’avesse prodotto essa stessa) e al contempo di trasferire sull’impresa appaltatrice o fornitrice i rischi economici legati alla fluttuazione del mercato98 e del più generale rischio d’impresa. E’ infine il caso di chiosare che il fenomeno fin ora descritto integra una fattispecie di esternalizzazione virtuosa il cui fine attiene alla congiunta genuina convenienza economica e specializzazione; mentre all’estremo opposto si collocano le ipotesi che designano una catena di subappalti i cui ultimi anelli affondano nel lavoro sommerso o pericoloso ovvero perseguono la delega a terzi di mere operazioni “smagrimento” aziendale. Quali che siano le ragioni che giustificano il ricorso all’esternalizzazione, va preso atto che si tratta di un fenomeno strutturale con cui la nostra materia dovrà fare i 96 Il fenomeno s’inserisce nell’inarrestabile processo di de sindacalizzazione che sta interessando le relazioni industriali statunitensi, come quelle di molti altri paesi industrializzati. Sul declino dell’attività sindacale negli USA cfr. la ricostruzione storica di W.B. GOULD, “A Primer on American Labor Law”, MIT Press, Cambridge Mass. 1993. 97 Per una rassegna degli effetti prodotti dall’outsourcing sulle tecniche di tutela del lavoro subordinato, cfr. C. BECKER, “Labor law outside the employment relation”, Texas law review, 1996, pp. 1527-1562. 98 Così R. DEL PUNTA, “Mercato e gerarchia? Il disagio del diritto del lavoro nell’era delle esternalizzazioni, Diritto del mercato del lavoro”, 2000, 49. 68 conti ancora a lungo99, ad onta delle difficoltà indubbiamente connesse alla frantumazione del potere direttivo. 4. Somministrazione di lavoro. “Le rigidità nell’utilizzo della forza – lavoro introdotte dalla l. n. 1369/1960 non trovano pari nella legislazione degli altri paesi. [..] pratiche di outsourcing, ampiamente diffuse in altri contesti ( Stati Uniti e Gran Bretagna) sono in Italia tuttora vietate100”. Dalla nuova Rilevazione Continua delle Forze Lavoro dell’Istat101 emerge che i lavoratori somministrati sono oggi circa 157000, pari allo 0,7 per cento dell’occupazione complessiva all’1 per cento di quella dipendente. Tale dato è di gran lunga inferiore a quello degli altri Paesi europei, dove il lavoro temporaneo/somministrato è decollato diverso tempo prima che non in Italia. La bassa incidenza di questa formula contrattuale nel nostro Paese è dovuta a diversi fattori, tra cui: - la presenza di una pluralità di formule contrattuali concorrenti, che risultano essere per una teoria di motivi, maggiormente appetibili; - la brevità delle missioni, che rende il dato “volatile”. 99 Ibidem. Così Marco Biagi, nelle bozze preparatorie al Libro Bianco del 2001. 101 Vedi le rilevazioni trimestrali dell’Istat sulle forze lavoro in boll. Adapt, 2004 e 2005. 100 69 A fronte di tale situazione, il primo dato che emerge dal d. lgs. 276/2003 è l’intento del legislatore di estendere massimamente l’utilizzabilità del modello della somministrazione di manodopera, nell’ambito del più generale potenziamento delle tipologie di lavoro flessibile. Nel corso degli anni, in effetti, da più parti è stata segnalata l’opportunità di operare nel mercato del lavoro mediante un decentramento produttivo sempre più avanzato, come accade nel modello, sempre più diffuso, dell’outsourcing. In effetti, è possibile individuare alcuni indubbi vantaggi derivanti dal decentramento produttivo, in ciascuna delle sue forme, e in particolare dalla “somministrazione generalizzata”102, così come si configura nel d.lgs.276/2003: il processo di esternalizzazione – decentramento – flessibilizzazione frantumazione dell’attività produttiva garantisce, in un’ottica di economia aziendale: • il contenimento dei costi della forza – lavoro; • una maggiore elasticità della struttura dell’impresa consente di rispondere più agevolmente alle mutevoli esigenze del mercato, senza subire gli effetti paralizzanti di una legislazione troppo rigida; • il datore di lavoro che si serve delle prestazioni dei lavoratori “somministrati” usufruisce delle prestazioni lavorative di cui necessita, senza assumere su di sé le responsabilità datoriali specifiche nei confronti dei prestatori di lavoro. Proprio in considerazione di questi indubbi vantaggi per il sistema imprenditoriale, la riforma ha inteso introdurre la nuova somministrazione di manodopera, in luogo del (vecchio, per quanto anch’esso di recente introduzione 102 P. RAUSEI, “Somministrazione di lavoro, appalto di servizi e distacco” in Dir. prat. lav. 33/2003. 70 nel nostro ordinamento) lavoro temporaneo, nel convincimento, peraltro, che la liceità allargata dell’istituto potesse agevolare le occasioni di incontro tra aziende e lavoratori e, quindi, incidere profondamente sulle dinamiche del mercato del lavoro. Il punto di partenza della legge delega e, di conseguenza, momento d’avvio del decreto delegato d’attuazione, è stata l’abrogazione espressa degli artt.1 – 11 della legge 24 giugno 1997 n. 96, che erano dedicati alla disciplina del lavoro interinale, nonché della legge 23 ottobre 1960 n. 1369, che sanciva il divieto di rapporti interpositori, vietando l’appalto di mere prestazioni di lavoro103. Il d. lgs. 276/2003 supera il modello “centro – periferia”, rispetto al quale la fornitura di lavoro era appunto vista come forma di lavoro precaria e marginale e, come tale, da ammettere in casi eccezionali: la somministrazione diventa ora motore centrale dei processi di esternalizzazione/internalizzazione del lavoro nell’ottica della specializzazione produttiva e dell’organizzazione del lavoro a rete propria della nuova economia104. La somministrazione di lavoro non può dunque più essere semplicisticamente equiparata ad un’ipotesi di lavoro a tempo determinato. Essa piuttosto rappresenta nell’impianto legislativo in commento una fattispecie di specializzazione organizzativa e gestionale che opera sì sul versante della flessibilità occupazionale ma anche e soprattutto sulla modernizzazione dell’apparato produttivo mediante modelli d’integrazione contrattuale tra imprese coordinate da operatori polifunzionali e altamente qualificati – le nuove agenzie del lavoro105. 103 Per un riepilogo della vicenda dottrinale e giurisprudenziale che ha preceduto questa abrogazione, si veda L. CALCATERRA “L’approccio al decentramento produttivo. Una retrospettiva e qualche riflessione”, in Mass. Giur. Lav., 2003. 104 Così M. TIRABOSCHI, “Le esternalizzazioni dopo la riforma Biagi. Somministrazione, appalto, distacco e trasformazione d’azienda”. 105 Questo profilo è analizzato diffusamente in S. SPATTINI, M. TIRABOSCHI, “Le agenzie per il lavoro: tipologie, requisiti giuridico – finanziari e procedure di autorizzazione”, in P. OLIVELLI, M. TIRABOSCHI (a cura di). 71 Il decreto attuativo della riforma, infatti, ripropone le tre fattispecie già indicate nella l. 1369/1960106: troviamo, così: - la “somministrazione di lavoro” (artt.20 – 26) - ossia il regolare e lecito contratto di somministrazione di manodopera che l’utilizzatore conclude con la cd. agenzia di somministrazione, obbligandosi, contestualmente, in solido per il pagamento delle retribuzioni e dei contributi dei lavoratori “somministrati”; - l’appalto di servizi (at 29), vale a dire l’ipotesi del contratto d’appalto stipulato con un appaltatore che possiede una propria organizzazione di mezzi ben articolata e che, sostanzialmente, si assume il rischio dell’esito del servizio reso; - la somministrazione irregolare, illecita e fraudolenta (art 18, 27 e 28), cioè la “vecchia” interposizione illecita di manodopera, strutturata secondo il nuovo modello della “somministrazione” e graduata a seconda dei livelli di gravità: “irregolare”, quando le condizioni e i limiti contrattuali previsti dalla legge non sono rispettati; “illecita”, quando la somministrazione è posta in essere da soggetti non autorizzati; “fraudolenta”, quando la somministrazione illecita è realizzata in frode alla legge o ai contratti collettivi. Si ritiene opportuno, tuttavia, sottolineare che l’abrogazione dell’art 1 della l.1369/60 e dell’art 27 della l.264/1949 non è destinata a generare la completa liberalizzazione dell’”affitto” di manodopera, poiché è stata accompagnata da una serie di disposizioni che, come vedremo, pretendono di assicurare, nell’ottica della tutela del mercato del lavoro e dei rapporti di lavoro, che la somministrazione 106 “Da un’attenta disamina dell’intero processo normativo che ha portato alla definizione della nuova tipologia contrattuale della somministrazione emerge con sufficiente chiarezza che il vecchio assetto non è stato poi così stravolto: fornitura autorizzata, fornitura non autorizzata e appalto di servizi genuino o meno continuano a rispondere sempre ai medesimi archetipi”, così B. SANNINO “Lo “Statuto giuridico” del lavoratore nel rapporto di lavoro: il principio di parità di trattamento economico e normativo e la disciplina applicabile”, in “Le esternalizzazioni dopo la riforma Biagi”, a cura di M. TIRABOSCHI. 72 rimanga un’attività rigorosamente regolamentata, ossia esercitabile soltanto dai soggetti appositamente abilitati, entro i limiti fissati dalle fonti normative107. Quindi, ex art. 20 d. lgs 276/2003: “Il contratto di somministrazione può essere concluso da ogni soggetto, di seguito denominato utilizzatore, che si rivolga ad altro soggetto, di seguito denominato somministratore, a ciò autorizzato. per tutta la durata della somministrazione, i lavoratori svolgono la propria attività nell’interesse nonché sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore.” Il nuovo schema della somministrazione108 di lavoro ripercorre quello della “vecchia” interposizione - ribaltando in positivo ciò che prima veniva sanzionato in negativo: anziché imporre divieti, pone una serie di diritti e di doveri, disciplinandone, rispettivamente, l’esercizio e l’adempimento. In particolare la somministrazione di lavoro presuppone il sorgere di un’obbligazione negoziale complessa funzionale ad una ripartizione contrattuale dei rischi, dei poteri, degli obblighi e delle responsabilità connesse all’utilizzo di forza – lavoro dipendente109: ripartizione che per un verso, è rigorosamente predeterminata dal legislatore attraverso una serie di limiti inderogabili alla autonomia privata110, per altro verso, nel silenzio della legge viene concordata dalle parti stesse fermo restando il limite della parità di trattamento tra lavoratori 107 L. CARAVITA, “Somministrazione di lavoro e appalto” in Dir. prat. lav. 2003. Nel decreto in commento “il contratto di somministrazione è l’unica fattispecie ‘nominata’, avente come oggetto la fornitura di lavoro subordinato altrui e come causa il più classico dei nessi sinallagmatici: prestazione lavorativa in somministrazione versus corrispettivo”, così L. ZAPPALA’, op. cit.. 109 A tale ricostruzione giuridica corrisponde del resto – parallelamente alla crisi della figura unitaria di datore di lavoro – l’evoluzione del concetto stesso di impresa definita ora non più semplicemente come proprietà di strumenti e capitali ma come “luogo di ripartizione dei rischi” cfr. E. RULLANI, “Dai gruppi alle reti: le istituzioni dell’anomalia”, in P. ZANELLI (a cura di ), “Gruppi di imprese e nuove regole”, Milano, 1991. 110 Imputazione dell’obbligo di sicurezza, adempimenti retributivi, contributivi e previdenziali, esercizio del potere direttivo e del potere disciplinare, assunzione della responsabilità civile per il fatto del lavoratore. 108 73 temporanei e lavoratori stabili dell’impresa utilizzatrice111 e il rispetto dei principi generali dell’ordinamento in tema di ordine pubblico economico. La struttura del rapporto di somministrazione si configura, dunque, quale rapporto giuridico tripartito, fondato su una interrelazione trilaterale di distinte sfere giuridiche, in una fattispecie negoziale complessa che involge due posizioni contrattuali differenziate: da un lato, troviamo il contratto di somministrazione stipulato tra “somministratore” e “utilizzatore”- e, dall’altro lato, un contratto di lavoro subordinato che lega il “somministratore” al lavoratore. Rispetto quindi ai tradizionali rapporti di lavoro subordinato, nella somministrazione di lavoro la posizione giuridica complessiva del lavoratore rimane sostanzialmente impregiudicata, limitandosi il prestatore a svolgere “la propria attività nell’interesse nonché sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore”112; mentre la posizione giuridica del datore di lavoro, pur rimanendo anch’essa immutata se considerata nella sua globalità, risulta distribuita tra due diversi soggetti: l’agenzia di somministrazione e l’impresa utilizzatrice – dando luogo appunto ad una dualità di datori di lavoro rispetto ad un rapporto obbligatorio unitario. In altre parole, con la somministrazione di lavoro si realizza una duplicazione del creditore della prestazione lavorativa: ciò che consente di accostare la fornitura di prestazioni di lavoro altrui allo schema del c.d. contratto bimembre caratterizzato dalla circostanza che “la posizione giuridica di uno dei contraenti è scomposta ed è distribuita tra due soggetti”113. Il contratto di somministrazione può essere concluso in due forme distinte: 111 Al pari della l. n. 196/1997 il d. lgs. N. 276/2003 nulla dispone, per esempio, in tema di malattia, gravidanza, puerperio, infortunio, impossibilità sopravvenuta, caso fortuito e in generale altri eventi che possono dar luogo all’interruzione della missione. In questi casi sarà allora il regolamento negoziale individuale o, più plausibilmente, la contrattazione collettiva, a disporre, nei limiti della parità di trattamento, circa la distribuzione dei rischi e delle relative responsabilità. 112 Art. 20, co. 2 del d. lgs. n. 276/2003. 113 Cfr. F. MESSINEO, “Il contratto in genere”, in A. CICU, F. MESSINEO (diretto da), “trattato di diritto civile e commerciale”, Giuffrè, Milano, vol. XXI, tomo I, 1968. 74 • a tempo determinato, cioè a termine, e in tal caso i lavoratori vengono assegnati all’utilizzatore per un tempo predeterminato e definito ab initio nel contratto; • a tempo indeterminato (staff leasing) e in tal caso i lavoratori vengono assegnati all’utilizzatore senza limiti temporali predefiniti114, restando a disposizione dell’agenzia di somministrazione nei periodi durante i quali non siano assegnati ad alcuna impresa utilizzatrice115. 5. Contratto di somministrazione. Il decreto legislativo n. 276/2003 dedica l’intero articolo 21116 alla disciplina dei presupposti di forma e contenuto del contratto di somministrazione di lavoro117, regolando al contempo, anche se per relationem, parte dei contenuti del contratto di lavoro “collegato” all’accordo tra somministratore ed utilizzatore118. Art. 21, co.1: “Il contratto di somministrazione di manodopera e' stipulato in forma scritta e contiene i seguenti elementi: a) gli estremi dell'autorizzazione rilasciata al somministratore; b) il numero dei lavoratori da somministrare; c) i casi e le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo di cui ai commi 3 e 4 dell'articolo 20; 114 Tuttavia le Pubbliche Amministrazioni possono ricorrere alla somministrazione di lavoro soltanto per prestazioni a termine (art 86, co. 9, d. lgs.276/2003). 115 Si ricordi che, ai sensi dell’art 86, comma 7° del D.lgs. 276/2003, per le agenzie di somministrazione valgono, ai fini della comunicazione delle assunzioni effettuate ai centri per l’impiego, le regole già dettate per le imprese di lavoro temporaneo dall’art 4 bis, co. 4 del D.lgs. 181/2000, come modificato dall’art 6, co. 1 del D.lgs. 297/2002. 116 La norma citata è stata di recente novellata dall’art. 5 del “Decreto legislativo recante disposizione modificative e correttive del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276”, 6 ottobre 2004, in GU, 11 ottobre 2004, n. 239 – definitivamente approvato dal Consiglio dei Ministri il 3 ottobre 2004. 117 In merito cfr. G. NICOLINI, “La somministrazione di lavoro: profili generali”, in L. GALANTINO (a cura di) “la riforma del mercato del lavoro”, Giappichelli, Torino 2004; E. VITIELLO, “I nuovi rapporti di lavoro”, Cedam, Padova, 2004. 118 Art. 21, co. 3, decreto legislativo n. 276/2003. 75 d) l'indicazione della presenza di eventuali rischi per l'integrità e la salute del lavoratore e delle misure di prevenzione adottate; e) la data di inizio e la durata prevista del contratto di somministrazione; f) le mansioni alle quali saranno adibiti i lavoratori e il loro inquadramento; g) il luogo, l'orario e il trattamento economico e normativo delle prestazioni lavorative; h) assunzione da parte del somministratore della obbligazione del pagamento diretto al lavoratore del trattamento economico, nonché del versamento dei contributi previdenziali; i) assunzione dell'obbligo dell'utilizzatore di rimborsare al somministratore gli oneri retributivi e previdenziali da questa effettivamente sostenuti in favore dei prestatori di lavoro; j) assunzione dell'obbligo dell'utilizzatore di comunicare al somministratore i trattamenti retributivi applicabili ai lavoratori comparabili; k) assunzione da parte dell'utilizzatore, in caso di inadempimento del somministratore, dell'obbligo del pagamento diretto al lavoratore del trattamento economico nonche' del versamento dei contributi previdenziali, fatto salvo il diritto di rivalsa verso il somministratore.” In entrambe le sue espressioni il contratto di somministrazione - a tempo determinato o indeterminato -, deve essere stipulato in forma scritta119: il 119 Art. 21, co. 4: “In mancanza di forma scritta, con indicazione degli elementi di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del comma 1, il contratto di somministrazione e' nullo e i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell'utilizzatore.” 76 formalismo richiesto deve intendersi ad substantiam, sanzionando la sua mancanza con la piena nullità dell’accordo120. Se, dunque, unici presupposti per la piena operatività del co. 4 art. 21, del decreto legislativo n. 276/2003, possono reputarsi la sussistenza di un accordo non scritto tra somministratore e utilizzatore e la possibilità di identificare i lavoratori destinati a “soddisfare” tale accordo, vi è da chiedersi quali debbano essere i presupposti minimi per ritenere che un accordo del genere si sia effettivamente concluso. Rispettando i principi civilistici fondamentali, vi sarebbe allora contratto di somministrazione di lavoro tra le parti (ancorché nullo per mancanza di forma) quando la loro volontà – effettiva e non viziata – si sia espressa in maniera coincidente, definendone gli elementi essenziali, eccetto la forma.121 Rispetto alla precedente e corrispondente disciplina contenuta nella legge n. 196/1997, l’elenco riportato prevede due nuove voci. La prima riguarda l’indicazione dei presupposti giustificativi del contratto di somministrazione che s’intende concludere – cioè i casi in cui è consentita la somministrazione di lavoro a tempo indeterminato122; la seconda richiede che il contratto di somministrazione identifichino e descrivano i rischi derivanti dallo svolgimento delle mansioni previste ed incidenti sull’integrità e sulla salute dei lavoratori, oltre alle relative misure di protezione, lettera d)123. 120 Per una completa definizione dei principi sanzionatori previsti in materia di somministrazione di lavoro dal d. lgs. n. 276/2003, si veda C. BIZZARRO, G. BOCCHIERI, “il nuovo regime sanzionatorio in materia di somministrazione, appalti, distacco” in Glav, 2004. 121 Non si rivengono infatti presupposti per ritenere l’accordo in questione appartenente alla categoria dei contratti reali, per cui la sua esecuzione sarebbe elemento essenziale a consentirne l’esistenza. Di tale categoria non fa parte il contratto di somministrazione regolato dagli artt. 1599 e ss. c. c., né del resto, tale prerogativa ci pare resa esplicita o, quantomeno, ricavabile per interpretazione dalle norme del d. lgs. n. 276/2003. 122 Art. 20, co. 3 decreto legislativo n. 276/2003. 123 Per una trattazione dei risvolti relativi alla sicurezza dei lavoratori in somministrazione, cfr. S. BIANCHI, “La tutela della salute e sicurezza del lavoratore”, in questa parte, Sez. (C). 77 Sulla materia è di recente intervenuto un provvedimento correttivo124 che ha escluso l’applicabilità della sanzione del co. 4 art. 21, decreto legislativo n. 276/2003, in caso di assenza nel contratto degli elementi previsti dalle lettere da d) a e): non più dunque nullità dell’accordo e “automatica” considerazione dei lavoratori alle dipendenze dell’utilizzatore, secondo quanto previsto dall’originario testo del decreto legislativo del 2003125. Nella versione novellata, la mancanza di una qualsiasi delle indicazioni previste dal comma 1 citato o la violazione del successivo comma 2, comporta per le parti stipulanti l’applicazione di una sanzione a carattere pecuniario compresa tra 150 e 1.250 euro126, cui si aggiunge – ma solo in caso di carenza di uno degli elementi riferiti alle lettere da a) a e), la facoltà per il lavoratore coinvolto di agire giudizialmente e richiedere il riconoscimento di un rapporto alle dirette dipendenze dell’utilizzatore “con effetto dall’inizio della somministrazione.”127 Del fatto quindi che i lavoratori siano i più diretti – e più direttamente - interessati a che vengano rispettati i requisiti di forma e di contenuto del contratto di somministrazione, si trova conferma nell’art 21, comma 3: “le informazioni di cui al comma 1, nonché la data di inizio e la durata prevedibile dell'attività lavorativa presso l'utilizzatore, devono essere comunicate per iscritto al prestatore di lavoro da parte del somministratore all'atto della stipulazione del contratto di lavoro ovvero all'atto dell'invio presso l'utilizzatore.” 124 Cfr la nota 1. M. SOLDERA, “Il contratto di somministrazione: requisiti di forma e contenuto”, in “Le esternalizzazioni dopo la riforma Biagi. Somministrazione, appalto, distacco e trasformazione d’azienda”, a cura di M. TIRABOSCHI. 126 Art. 18, co. 3, decreto legislativo n. 276/2003, come modificato dall’articolo 4, decreto legislative 6 ottobre 2004, n. 251. 127 Arti. 27, co. 4 d. lgs. 276/2003. 125 78 Un’ultima precisazione, con riguardo, ancora, al contenuto del contratto, è indicata dall’art 21, co. 2 del D.lgs.276/2003: “nell’indicare gli elementi di cui al comma 1°, le parti devono recepire le indicazioni contenute nei contratti collettivi”. Il legislatore si spinge fino ad imporre ai contraenti - agenzia di somministrazione e impresa utilizzatrice - di recepire, nei singoli e diversi ambiti, tutte le indicazioni contenute nei contratti collettivi applicati (o applicabili). Se da un lato, dunque, appare l’intenzione del legislatore di estendere al massimo il campo di operatività del nuovo istituto, dall’altro è altrettanto chiaro che lo stesso legislatore si premuri di sollecitare i soggetti potenzialmente interessati a dotarsi di tutti i requisiti soggettivi (di natura economico – finanziaria) che diano garanzia della capacità delle parti di sopportare gli oneri sociali e retributivi derivanti dal contratto di somministrazione. 6. Somministrazione a tempo determinato. La somministrazione a tempo determinato può dirsi l’erede diretta del “vecchio” lavoro interinale o temporaneo; l’art 20, co. 3 del D.lgs.276/2003 la presenta come prima tipologia di somministrazione di lavoro, ammessa in via generale, senza eccessive limitazioni. Il comma 4° dello stesso articolo dispone, infatti, che: “la somministrazione di lavoro a tempo determinato è ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore”. 79 E’ auto-evidente il parallelismo con la nuova disciplina del lavoro a termine, stabilita dal D.lgs.6 settembre 2001, n°368128: l’art. 20 co. 3 la norma richiama infatti con identità terminologica l’art 1 del D.lgs.368/2001, laddove prevede, appunto, che: “è consentita l’apposizione di un termine al contratto di lavoro subordinato per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo.” Si osserva che da tale “accostamento” tra le due fattispecie (somministrazione di lavoro a tempo determinato e lavoro a termine) deriva l’obbligo per l’imprenditore, che intenda ricorrere alla somministrazione di manodopera, di motivare puntualmente il contratto in fieri, sulla base delle effettive esigenze ricollegabili alle necessità, strutturali o funzionali, della propria azienda. In merito alle differenti ragioni di carattere “sostitutivo” che consentano il ricorso legittimo alla somministrazione di manodopera a tempo determinato, la disciplina del D.lgs.276/2003 sembra aprire un varco generalizzato - proprio come nel nuovo contratto a termine - a tutte le ipotesi di sostituzione materialmente possibile di uno o più lavoratori in forza all’impresa; tali ipotesi sono, invero, numerose: - sostituzione del lavoratore in tutti i casi in cui l’assente ha diritto alla conservazione del posto; - sostituzione (naturalmente temporanea) di un dipendente inviato temporaneamente presso altra sede; 128 In Dir. prat. lav. 2001, n° 40. 80 - sostituzione di un lavoratore temporaneamente non idoneo a svolgere le mansioni a lui precedentemente affidate (anche se provvisoriamente destinato ad altro incarico); - cd. “sostituzione a cascata”: assunzione di un lavoratore da destinare ad una sede estera per un periodo di predeterminato; (il sostituto non ricopre necessariamente il posto dell’assente); - sostituzione dei volontari e cooperanti in servizio civile collocati in aspettativa senza assegni; - sostituzione di lavoratori tossicodipendenti a tempo indeterminato che accedano ai programmi terapeutici di riabilitazione; e così via. L’unico divieto espressamente contemplato dalla legge in materia di sostituzioni riguarda la sostituzione di lavoratori che esercitino il diritto di sciopero: il D.lgs.276/2003 si pone così sulla stessa lunghezza d’onda della previgente disciplina del lavoro temporaneo, sanzionando come illecito il ricorso alla somministrazione di manodopera per far fronte all’assenza di lavoratori scioperanti. E’ possibile inoltre cogliere un altro parallelismo con la normativa dettata per il rapporto di lavoro a termine, circa la fissazione di limiti predefiniti per l’utilizzazione di questa tipologia di somministrazione129; l’art 20, comma 4°, nell’ultima parte, afferma che “la individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione della somministrazione a tempo determinato è affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati 129 “Proprio la possibilità di riscontrare più di un punto di contatto tra le due fattispecie, ha indotto ad affermare che la somministrazione a tempo determinato si ponga quasi in alternativa all’assunzione a termine di personale”, L. CARAVITA, “Somministrazione di lavoro e appalto”. 81 comparativamente più rappresentativi, in conformità alla disciplina di cui all’art 10 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n°368”. Come già avviene per i contratti a termine, sono esenti da limitazioni quantitative i contratti di somministrazione conclusi nella fase di avvio di nuove attività; per sostituire lavoratori assenti; per stagionalità; per intensificazione dell’attività lavorativa in certi periodi dell’anno; per l’esecuzione di un’opera o di un servizio definiti o predeterminati nel tempo, aventi carattere straordinario o occasionale; a conclusione di un periodo di tirocinio o di stage, al fine di agevolare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, ovvero per lavoratori di età superiore a 55 anni. Infine, ancora una volta il legislatore ha voluto riconoscere alla contrattazione collettiva un ruolo – guida nell’applicazione operativa dei singoli istituti, neonati o riformati: sarà, dunque, onere dei contratti collettivi nazionali predeterminare i limiti quantitativi del ricorso alla somministrazione a termine, sia pure in modo non uniforme fra i singoli settori di negoziazione. 7. Somministrazione a tempo indeterminato. Art. 20, co. 3 d. lgs. n. 276/2003: “Il contratto di somministrazione di lavoro può essere concluso a termine o a tempo indeterminato. La somministrazione di lavoro a tempo indeterminato e' ammessa: a) per servizi di consulenza e assistenza nel settore informatico, compresa la progettazione e manutenzione di reti intranet e extranet, siti 82 internet, sistemi informatici, sviluppo di software applicativo, caricamento dati; b) per servizi di pulizia, custodia, portineria; c) per servizi, da e per lo stabilimento, di trasporto di persone e di trasporto e movimentazione di macchinari e merci; d) per la gestione di biblioteche, parchi, musei, archivi, magazzini, nonche' servizi di economato; e) per attività di consulenza direzionale, assistenza alla certificazione, programmazione delle risorse, sviluppo organizzativo e cambiamento, gestione del personale, ricerca e selezione del personale; f) per attività di marketing, analisi di mercato, organizzazione della funzione commerciale; g) per la gestione di call-center, nonché per l'avvio di nuove iniziative imprenditoriali nelle aree Obiettivo 1 di cui al regolamento (CE) n. 1260/1999 del Consiglio, del 21 giugno 1999, recante disposizioni generali sui Fondi strutturali; h) per costruzioni edilizie all'interno degli stabilimenti, per installazioni o smontaggio di impianti e macchinari, per particolari attività produttive, con specifico riferimento all'edilizia e alla cantieristica navale, le quali richiedano più fasi successive di lavorazione, l'impiego di manodopera diversa per specializzazione da quella normalmente impiegata nell'impresa; i) in tutti gli altri casi previsti dai contratti collettivi di lavoro nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative. 83 La somministrazione di mere prestazioni di lavoro è resa ora possibile anche a tempo indeterminato; è questa è la maggiore novità introdotta dal D.lgs.276/2003. Tuttavia, il legislatore con la debita cautela, ha imposto dei limiti tassativi: la tipizzazione legislativa di alcuni casi di ricorso alla somministrazione a tempo indeterminato consente al lavoratore di eseguire determinate prestazioni, a favore di altro datore di lavoro, all’interno di un preciso quadro regolativo130. Del resto, anche la disciplina del contratto di somministrazione a tempo determinato si connota per una certa tutela del lavoratore, laddove stabilisce che esso “è ammesso a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”131. Anche con riguardo alla somministrazione a tempo indeterminato - come già a suo tempo con riguardo al lavoro temporaneo nella l. 196/97 - il legislatore rinvia alla contrattazione collettiva per la individuazione di ulteriori ipotesi: alle organizzazioni sindacali dei lavoratori e degli imprenditori la legge riconosce una precisa responsabilità sociale e politica di selezionare altre attività, in aggiunta a quelle già individuate dalla legge stessa, nell’ambito delle quali, secondo i differenti settori negoziali, sia possibile stipulare il contratto di somministrazione a tempo indeterminato. Tale capacità legislativa viene riconosciuta oltre che alle sedi di contrattazione di primo livello (nazionale), anche a quelle di livello territoriale, il che rivela, probabilmente, l’intento del legislatore di avvicinare il 130 In questo senso M. TIRABOSCHI, “Esternalizzazioni del lavoro e valorizzazione del capitale umano: due modelli inconciliabili?”, il quale spiega che il d. lgs. 276/2003, nel tentativo di strutturare e regolarizzare prestazioni di lavoro che sono svolte senza garanzie sostanziali e in forme discutibili, tipizza una serie di ragioni che consentono ex lege il ricorso alla somministrazione a tempo determinato. Di avviso contrario V. SPEZIALE “il contratto commerciale di somministrazione di lavoro” in DRI, 2004 – secondo cui il nuovo istituto sembra essere modulato soprattutto sulle esigenze delle imprese e non sembra favorire i tassi di occupazione o la qualità e stabilità dell’occupazione. 131 P. DE VITA “Contratto di somministrazione e contratto di lavoro”, in “Le esternalizzazioni dopo la riforma Biagi”, a cura di M. TIRABOSCHI. 84 più possibile alla concreta realtà storica economico – sociale il nuovo istituto della somministrazione. E’ opportuno notare come l’art 20 in commento contempli una serie di servizi e di attività endoaziendali – caratterizzate cioè dall’aver luogo in strutture o con mezzi messi a disposizione dall’utilizzatore, attività e servizi che, nel recente passato, avevano posto i maggiori problemi interpretativi ai fini dell’applicazione della l.1369/60132. 8. Intreccio tra staff leasing e contratto di lavoro a tempo indeterminato. Da una rapida lettura dei primi due commi dell’articolo 22 del decreto legislativo n. 276/2003 sembra quasi che esista una “correlazione tipologica necessaria” tra il contratto commerciale di somministrazione e il contratto di lavoro subordinato133. Il comma 1 dell’art. 22 disciplina i rapporti di lavoro relativi alla somministrazione a tempo indeterminato (staff leasing) mediante un generico rinvio alla disciplina generale dei rapporti di lavoro di cui al codice civile e alle leggi speciali: sembra pertanto affermarsi la regola per cui nello staf leasing il lavoratore può essere assunto a tempo indeterminato o a termine con qualunque tipologia contrattuale, anche contenuta in leggi speciali134. 132 P. RAUSEI, “Somministrazione di lavoro, appalto di servizi e distacco”, CCNL 24 Luglio 2008, Circ. Min. Welfare 9 aprile 2009, n. 13, IV Edizione. 133 L’espressione viene utilizzata da P. CHIECO: l’Autore opera un confronto con la disciplina contenuta nella l. n. 196/1997 e, dopo aver analizzato puntualmente la disciplina contenuta nei tre commi dell’art. 22, perviene ad una conclusione negativa circa la sussistenza di questa correlazione tipologica necessaria. Nel senso di una tendenziale, ma non necessaria, simmetria tra le due discipline del contratto commerciale a termine e del contratto di lavoro subordinato a termine si esprime O. BONARDI “La nuova disciplina della somministrazione di lavoro”, in G. GHEZZI “Il lavoro tra progresso e mercificazione”, Ediesse, Roma, 2004. 134 P. CHIECO osserva come la disposizione di cui all’art. 22, co. 1, rinvii alla disciplina generale di cui al codice civile e alle leggi speciali, omettendo, dunque, lo specifico riferimento al rapporto di lavoro subordinato. Sarebbe così da includere anche il 85 La conseguenza di questa disposizione è che soltanto nella somministrazione a tempo indeterminato sia possibile fare ricorso ad un contratto individuale di lavoro subordinato, che sia previsto e disciplinato dalle leggi speciali; mentre non sarebbe possibile far ricorso alle tipologie contrattuali previste nelle leggi speciali nel caso di contratto stipulato tra agenzia e utilizzatore a tempo determinato135. Anche dalla lettura di questo dato normativo è possibile ricavare un intento di tutela del lavoratore, laddove, a fronte di una assunzione già a tempo determinato - e che quindi già costituisce una “deroga” al normale rapporto di lavoro a tempo intedeterminato – impedisce che si possa ricorrere a tipologie contrattuali “speciali”, che potrebbero esser motivo di “sottoprotezione” per il lavoratore136. 9. Soggetti della somministrazione. 9.1 Agenzie di somministrazione di lavoro. Le agenzie di somministrazione di lavoro137, si distinguono in due categorie: 1) le agenzie di somministrazione di lavoro di tipo generalista – autorizzate allo svolgimento della somministrazione di lavoro a tempo determinato e indeterminato. Ciò significa che tali agenzie sono autorizzate a somministrare: contratto di lavoro autonomo, di cui all’art. 2222 c.c.. tuttavia la fornitura di lavoro che connota il contratto di somministrazione si caratterizza per il fatto che i lavoratori si pongono sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore. Se ne deduce, dunque, la limitazione al solo rapporto di lavoro subordinato. 135 Nel senso dell’irragionevolezza di questa parte della norma che ammette la possibilità di ricorso alle tipologie contrattuali speciali solo qualora il contratto commerciale sia a tempo indeterminato, si esprime P. CHIECO, il quale precisa che solo l’espressa previsione contenuta nell’art. 46 lett. c) del decreto, consente al contratto part-time di essere ammesso in riferimento ad un contratto di somministrazione a termine. 136 P. DE VITA “Contratto di somministrazione e contratto di lavoro”, in “Le esternalizzazioni dopo la riforma Biagi”, a cura di M. TIRABOSCHI. 137 Sono così definite dall’art. 4, d. lgs. n. 276/2003. 86 • lavoro a tempo determinato sulla base di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’impresa utilizzatrice138 – senza vincoli di mansione o di attività svolta dall’impresa utilizzatrice; • lavoro a tempo indeterminato per tutte le attività per cui il d. lgs. n. 276/2003 ammette tale somministrazione e in particolare: a) per servizi di consulenza e assistenza nel settore informatico, compresa la progettazione e manutenzione di reti intranet e extranet, siti internet, sistemi informatici, sviluppo di software applicativo, caricamento dati; b) per servizi di pulizia, custodia, portineria; c) per servizi, da e per lo stabilimento, di trasporto di persone e di trasporto e movimentazione di macchinari e merci; d) per la gestione di biblioteche, parchi, musei, archivi, magazzini, nonche' servizi di economato; e) per attività di consulenza direzionale, assistenza alla certificazione, programmazione delle risorse, sviluppo organizzativo e cambiamento, gestione del personale, ricerca e selezione del personale; f) per attività di marketing, analisi di mercato, organizzazione della funzione commerciale; g) per la gestione di call-center, nonche' per l'avvio di nuove iniziative imprenditoriali nelle aree Obiettivo 1 di cui al regolamento (CE) n. 1260/1999 del Consiglio, del 21 giugno 1999, recante disposizioni generali sui Fondi strutturali; h) per costruzioni edilizie all'interno degli stabilimenti, per installazioni o smontaggio di impianti e macchinari, per particolari attività produttive, con 138 Ai sensi dell’art. 20, co. 4, d. lgs. n. 276/3003. 87 specifico riferimento all'edilizia e alla cantieristica navale, le quali richiedano più fasi successive di lavorazione, l'impiego di manodopera diversa per specializzazione da quella normalmente impiegata nell'impresa; i) in tutti gli altri casi previsti dai contratti collettivi di lavoro nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative. 2) le agenzie di somministrazione di lavoro di tipo specialista – abilitate mediante autorizzazione a somministrare soltanto lavoro a tempo indeterminato per una delle attività previste dall’articolo 20, co. 3 (lettere da a) a h) ). L’esclusività è relativa all’autorizzazione, nel senso che l’autorizzazione a svolgere attività di somministrazione a tempo indeterminato è relativa ad una delle attività di cui al co. 3, art. 20139. Non si esclude quindi che l’agenzia possa chiedere più autorizzazioni per somministrare lavoro a tempo indeterminato, ciascuna riferita ad una singola attività per la quale è consentito il ricorso alla fattispecie. Il lavoro tramite agenzia, spesso chiamato “lavoro temporaneo” o lavoro tramite agenzia140, è caratterizzato dal rapporto trilaterale tra l’agenzia di lavoro, l’impresa utilizzatrice e il lavoratore. L’agenzia assume l’obbligo di provvedere ai servizi di selezione di lavoratori competenti – ove possibile, provvedendo anche alla loro formazione – e li invia in missione presso l’impresa utilizzatrice. L’agenzia provvede anche al pagamento dei lavoratori, alla trattenuta dei contributi previdenziali e alla deduzione delle tasse dai loro stipendi, conformemente alle norme di legge. Mentre l’agenzia 139 S. SPATTINI “Le agenzie di somministrazione di lavoro: profili giuridici”, in “Le esternalizzazioni dopo la riforma Biagi”, a cura di M. TIRABOSCHI. 140 L’espressione “lavoro temporaneo” è usata più spesso di “lavoro tramite agenzia”, inter alia dalle istituzioni europee. Tuttavia, questa locuzione pone l’accento sul carattere della temporaneità anche se il lavoro tramite agenzia basato sul contratto a tempo indeterminato sarebbe un modello di regolamentazione socialmente più desiderabile. 88 spesso è un datore di lavoro “formale”, lo scopo di questa relazione di lavoro è quella di concedere all’impresa o ad alcune imprese utilizzatrici la possibilità di dirigere il lavoro per lo svolgimento del quale viene richiesta la prestazione del lavoratore. Il lavoratore è obbligato in questo modo a lavorare sotto le direttive di un’impresa utilizzatrice invece che dell’agenzia141. Pertanto l’agenzia stipula un doppio contratto, contemporaneamente: un contratto commerciale di somministrazione con l’utilizzatore della forza lavoro; e un contratto di lavoro subordinato – che può essere a termine o meno – con il lavoratore, che si dirà quindi “somministrato”. E in maniera del tutto analoga a quanto avveniva nell’ambito del lavoro interinale, tra agenzia di somministrazione e lavoratore intercorre un rapporto giuridico in forza del quale il prestatore di lavoro s’impegna a svolgere la propria attività lavorativa a vantaggio di un altro soggetto, a cui non rimane peraltro legato da alcun vincolo contrattuale. Ecco configurarsi la dissociazione tra datore di lavoro di diritto (agenzia di somministrazione) che assume il lavoratore e datore di lavoro (utilizzatore), che è l’effettivo beneficiario della prestazione lavorativa142. Il legislatore ha escluso che tale deviazione dal modello tipico e prevalente di lavoro subordinato sia così radicale da rendere necessaria la creazione di un nuovo tipo contrattuale, tanto è vero che tale modello è stato ricondotto ai principi generali di cui al codice civile e alle leggi speciali. Così, nel contratto tra agenzia di somministrazione e lavoratore somministrato la prestazione lavorativa s’inserisce all’interno di un’organizzazione produttiva che non fa capo al soggetto che stipula il contratto bensì ad un soggetto terzo (utilizzatore). Peraltro l’utilizzatore, anche 141 D. SCHIEK “Lavoro tramite agenzia: dalla emarginazione all’accettazione?” in “Le esternalizzazioni dopo la riforma Biagi”, a cura di M. TIRABOSCHI. 142 E. CASSANETI, L. FAILLA “Potere direttivo e potere disciplinare”, in “Le esternalizzazioni dopo la riforma Biagi”, a cura di M. TIRABOSCHI. 89 se non è parte dell’accordo contrattuale, resta comunque parte di una più ampia fattispecie negoziale che interviene tra contratto di fornitura di lavoro e contratto di lavoro. Quali sono i vantaggi del lavoro tramite agenzia? Ricorrendo al lavoro tramite agenzia il datore di lavoro (utilizzatore) evita o riduce in maniera significativa le spese relative alla ricerca del personale sul mercato. Inoltre, quando – e succede molto spesso – il lavoro tramite agenzia è necessario solo temporaneamente, l’impresa utilizzatrice evita anche i costi di transazione legati al licenziamento o all’adempimento dei vincoli di legge sul contratto a termine. Intanto, il lavoratore può acquisire una vasta esperienza lavorativa143 e può avvalersene senza dover affrontare i costi relativi al frequente cambiamento del posto di lavoro. Per altro verso, le agenzie possono offrire l’opportunità di entrare in un rapporto di lavoro intermittente adattabile alle situazioni personali che richiedono un alto livello di flessibilità144. Infine, l’agenzia ottiene il suo profitto dalle condizioni di impiego del lavoratore – che in media sono meno favorevoli di quelle degli altri lavoratori. Infatti tali lavoratori sono innanzitutto pagati di meno rispetto ai loro colleghi alle dirette dipendenze dell’utilizzatore con missioni comparabili145. Purtroppo per molti lavoratori il lavoro tramite agenzia costituisce l’unica alternativa possibile: questa diventa sempre più una via per trovare accesso ad un mercato del lavoro sempre più chiuso attraverso una mera riduzione del costo del lavoro. 143 Vedi D. STORRIE “Temporary agency work in the European Union”, European foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, Dublin, 2002. 144 Questo aspetto è menzionato nelle interviste con i lavoratori tramite agenzia della Danimarca, vedi D. STORRIE, op. cit.. 145 Ibidem. 90 Potremmo quindi concludere che i maggiori vantaggi – economici e retributivi – sono spesso distribuiti tra l’agenzia e l’impresa utilizzatrice, senza estenderli al lavoratore146. Nella qualificazione formale e sostanziale del ruolo delle agenzie, non possiamo non citare inoltre l’art. 13 “Misure di incentivazione del raccordo pubblico e privato”, che recita: “Al fine di garantire l'inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori svantaggiati, attraverso politiche attive e di workfare, alle agenzie autorizzate alla somministrazione di lavoro e' consentito: a) operare in deroga al regime generale della somministrazione di lavoro, ai sensi del comma 2 dell'articolo 23, ma solo in presenza di un piano individuale di inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro, con interventi formativi idonei e il coinvolgimento di un tutore con adeguate competenze e professionalità, e a fronte della assunzione del lavoratore, da parte delle agenzie autorizzate alla somministrazione, con contratto di durata non inferiore a sei mesi; b) determinare altresì, per un periodo massimo di dodici mesi e solo in caso di contratti di durata non inferiore a nove mesi, il trattamento retributivo del lavoratore, detraendo dal compenso dovuto quanto eventualmente percepito dal lavoratore medesimo a titolo di indennità di mobilità, indennità di disoccupazione ordinaria o speciale, o altra 146 Per offrire uno spunto comparato di riflessione sull’argomento, nella legislazione europea “è assai sorprendente la misura in cui i vantaggi per i lavoratori sono lasciati a discrezione degli Stati membri o delle parti sociali. I Paesi membri non sono obbligati a provvedere alla rappresentanza collettiva dei lavoratori temporanei nelle società utilizzatrici; e di fronte alla possibilità delle parti sociali di rinunciare al principio di parità di trattamento non si pongono delle condizioni”, D. SCHIEK, “Lavoro tramite agenzia: dalla emarginazione all’accettazione?” in “Le esternalizzazioni dopo la riforma Biagi”, a cura di M. TIRABOSCHI. 91 indennità o sussidio la cui corresponsione e' collegata allo stato di disoccupazione o inoccupazione, e detraendo dai contributi dovuti per l'attività lavorativa l'ammontare dei contributi figurativi nel caso di trattamenti di mobilità e di indennità di disoccupazione ordinaria o speciale.” Accanto al ruolo proprio delle agenzie di somministrazione di lavoro, il d. lgs. n. 276/2003, attraverso l’articolo 13, ha attribuito loro la funzione di gestione e attuazione di particolari politiche attive del lavoro: attraverso la somministrazione di lavoro tali agenzie possono così assumere un ruolo attivo nel reinserimento dei lavoratori svantaggiati nel mercato del lavoro. Mediante infatti la presa in carico147 del soggetto svantaggiato e garantita dalla definizione di un piano individuale di inserimento e dalla individuazione di un tutore con adeguate competenze professionali – con la funzione di accompagnamento del lavoratore durante il suo percorso di riqualificazione e reinserimento al lavoro – le agenzie di somministrazione possono assumere tali lavoratori “svantaggiati” in deroga al principio di parità di trattamento, in particolare, retributivo. 9.2 Autorizzazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Le agenzie di somministrazione – analogamente a tutte le altre agenzie per il lavoro – possono operare sul mercato del lavoro soltanto se in possesso 147 Sul concetto della presa in carico, si L. DEGAN, P. TIRABOSCHI, “Le forme sperimentali di raccordo tra pubblico e privato: l’articolo 13 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276”, in M. TIRABOSCHI (a cura di) “La riforma Biagi del mercato del lavoro”, Giuffrè, Milano, 2004. 92 dell’apposita autorizzazione rilasciata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali148. Tale autorizzazione costituisce una barriera all’ingresso al mercato del lavoro e assolve alla funzione di un controllo preventivo sugli operatori che eserciteranno l’attività di somministrazione, attraverso appunto severi requisiti che devono esser soddisfatti per ottenere l’autorizzazione. Questo controllo preventivo risponde principalmente all’esigenza di tutela dei diritti dei lavoratori, in particolare garantendo la solvibilità dell’impresa e al contempo la professionalità degli operatori149. La procedura per il rilascio dell’autorizzazione - unica per tutte le tipologie di attività oggetto di autorizzazione – è definita dall’art. 4 del d. lgs. n. 276/2003150: contestualmente alla presentazione della domanda di autorizzazione, l’agenzia di somministrazione deve presentare domanda di iscrizione all’Albo delle agenzie, istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali151. Esso si articola in cinque sezioni: una per ogni tipologia di agenzia. A seguito dell’ottenimento dell’autorizzazione, nella sezione I vengono iscritte le agenzie di somministrazione di lavoro di tipo generalista, mentre nella sezione II le agenzie di somministrazione di lavoro di tipo specialista. In particolare, il d. lgs. n. 276/2003, art. 4, nonché il decreto ministeriale 23 dicembre 2003, stabiliscono inoltre che le agenzie iscritte alla sezione I dell’Albo vengono automaticamente iscritte nelle sezioni III, IV e V: in altre parole le agenzie di somministrazione di tipo generalista sono automaticamente autorizzate 148 A differenza di altre attività che possono esser oggetto anche di autorizzazione regionale, l’attività di somministrazione può essere esclusivamente autorizzata a livello nazionale. 149 S. SPATTINI “Le agenzie di somministrazione di lavoro: profili giuridici”, in “Le esternalizzazioni dopo la riforma Biagi”, a cura di M. TIRABOSCHI. 150 E specificata dal decreto ministeriale 23 dicembre 2003. 151 Come già l’albo di cui all’art 2 co. 1 della l.196/97. 93 a svolgere l’attività di intermediazione, ricerca e selezioni del personale e di ricollocazione professionale152. Con riferimento all’autorizzazione, rilevante è la specificazione – ex art. 10 del decreto ministeriale 23 dicembre 2003 – del divieto di transazione commerciale, previsto dall’art. 4, co. 7 d. lgs. 276/2003: viene quindi esplicitato il divieto di concessione o trasferimento a terzi, anche a titolo gratuito, dell’autorizzazione, nonché il ricorso a contratti di natura commerciale per cedere anche parte dell’attività oggetto dell’autorizzazione. Inoltre la circola ministeriale 24 giugno 2004, n. 25 specifica che non è neppure prevista la possibilità di affidare a terzi anche parte dell’attività – per esempio la ricerca e selezione di candidati, gestione delle banche dati, raccolta di curricula – ma nemmeno la stipula dei contratti153. Il rilascio dell’autorizzazione da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali è subordinato dunque alla verifica della sussistenza dei requisiti giuridici e finanziari definiti dall’art 5 del decreto in commento, posti a tutela del lavoratore con lo scopo prioritario di garantire affidabilità, professionalità e solvibilità delle agenzie. Accanto ai requisiti finanziari – particolarmente elevati – richiesti alle agenzie di somministrazione di lavoro – a garanzia dei crediti di terzi – gli altri requisiti riguardano in particolare, l’oggetto sociale, le competenze professionali, l’idoneità dei locali e l’obbligo di interconnessione alla borsa continua nazionale del lavoro. In riferimento a tali requisiti la novità principale si riscontra tutta via in relazione all’oggetto sociale delle agenzie di somministrazione: a differenza del passato non 152 Sul ruolo e le funzioni nel mercato del lavoro delle agenzie di somministrazione di lavoro di tipo generalista, cfr. G. BOCCHIERI “Le agenzie di somministrazione di lavoro”, in P. OLIVELLI, M. TIRABOSCHI (a cura di) “Il diritto del mercato del lavoro dopo la riforma Biagi”, Giuffrè, Milano, 2005. 153 Per un approfondimento del divieto di esternalizzazione delle attività delle agenzie per il lavoro e in particolare delle agenzie di somministrazione di lavoro, formulato anche sulla base del parere del Consiglio di Stato del 29 settembre 1999, cfr. S. SPATTINI, M. TIRABOSCHI, “Le agenzie per il lavoro, tipologie, requisiti giuridico – finanziari e procedure di autorizzazione”, in P. OLIVELLI, M. TIRABOSCHI (a cura di), op. cit.. 94 è più previsto che l’attività oggetto di autorizzazione – nel caso di specie la somministrazione – debba essere oggetto sociale esclusivo dell’agenzia, anche se rimane la previsione che essa debba essere oggetto sociale prevalente154 per le agenzie di somministrazione di tipo generalista, mentre per le agenzie di tipo specialista non è richiesta la prevalenza della somministrazione quale oggetto sociale. Viene quindi meno un vincolo “obsoleto”, che costituiva un ostacolo all’espansione privata in questo settore. Ora, infatti, l’abilitazione all’esercizio dell’attività di somministrazione di lavoro di tutte le attività, ovvero l’iscrizione dell’agenzia nella prima sezione dell’apposito Albo, consentirà automaticamente anche l’esercizio dell’attività d’intermediazione, di ricerca e selezione del personale, di supporto alla ricollocazione professionale; mentre l’iscrizione, nelle rispettive sezioni dell’Albo delle agenzie, così come l’abilitazione allo svolgimento dell’attività d’intermediazione, permetterà lo svolgimento dell’attività di ricerca e selezione del personale e di supporto alla ricollocazione professionale.155 Per quanto concerne l’istituzione della borsa nazionale continua del lavoro – attuata dal decreto legislativo n. 276/2003156 – essa non può che basarsi sulle informazioni (vacancies, curricula) immesse nel sistema dai diretti interessati (datori di lavoro in cerca di personale e lavoratori in cerca di occupazione), ma in 154 La verifica della sussistenza di tale requisito non può avvenire che ex post.Il decreto ministeriale 23 dicembre 2003 art. 6, co. 3, con interpretazione della circolare ministeriale 24 giugno 2004, n. 25, specifica le modalità di calcolo della prevalenza dell’oggetto sociale, su cui si basa la verifica di tale requisito. 155 CARAVITA, “Somministrazione di lavoro e appalto”. 156 Ex art. 15 d. lgs n. 276/2003, è un sistema aperto su base telematica – informatica dedicato all’incontro virtuale reale tra chi è in cerca di lavoro e chi è in grado di offrirlo; la libertà di accesso informative “corrisponde esattamente all’attuazione del combinato disposto degli art. 4 e 120 cost. laddove per garantire effettivamente ed efficacemente il godimento del diritto al lavoro, lo stesso non può venire limitato o vincolato, in forma anche solo latu sensu discriminatoria, nelle diverse parti d’Italia”, così P. RAUSEI “Lo ‘Statuto giuridico’ del lavoratore nel mercato: trasparenza, formazione e tutela per i lavoratori svantaggiati”. 95 particolare sulla condivisione delle informazioni relative a domanda e offerta di lavoro in possesso degli operatori pubblici e privati del mercato, quindi anche delle agenzie per il lavoro. Pertanto, l’obbligo di connessione delle agenzie all’istituto in questione non può esser ottemperato tout court con una generica connessione alla borsa, ma concretamente attraverso l’immissione nel sistema dei dati e informazioni acquisisti dai lavoratori e dai datori di lavoro157. Come già prevedeva la l.196/97 per il lavoro temporaneo, anche il d.lgs. 276/2003 ha articolato il procedimento di rilascio dell’autorizzazione in due fasi: ex art 4, infatti, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali “rilascia entro 60 giorni dalla richiesta e previo accertamento della sussistenza dei requisiti giuridici e finanziari” previsti, un’autorizzazione provvisoria all’esercizio dell’attività, provvedendo contestualmente all’iscrizione dell’agenzia richiedente nell’apposito Albo; decorsi due anni, su richiesta della stessa agenzia ed entro 90 giorni, il Ministero è chiamato a rilasciare l’autorizzazione “a tempo indeterminato”, subordinatamente alla verifica del corretto andamento dell’attività svolta. Una volta ottenuta l’autorizzazione ministeriale, l’agenzia può accedere all’iscrizione nell’Albo. 9.3 Utilizzatore. Rispetto alla previgente disciplina normativa, il ribaltamento in positivo del “vecchio”divieto di interposizione ha comportato la scomparsa del termine “imprenditore”, sostituito dal più generico e, socialmente, forse più esatto, “utilizzatore”. Questo implica che la somministrazione potrà trovare applicazione 157 “La frontiera delle tutele dello statuto giuridico del lavoratore nel mercato viene presidiata dalla borsa continua nazionale del lavoro sotto un duplice profilo: quello dell’informazione capillare e quello della trasparenza del sistema degli operatori e delle stesse informazioni dagli stessi raccolte e trasmesse”, P. RAUSEI, cit. 96 nel contesto di organizzazioni produttive, commerciali o di servizio dove, appunto, le prestazioni di lavoro somministrate si trovano perfettamente inserite nell’ambito di una struttura organizzativa, intesa in senso unitario. Tale “struttura organizzativa” in genere e, forse, nella maggior parte dei casi, sarà un’impresa, ma potrà anche concretamente assumere vesti differenti, ossia operare nel mercato secondo modalità e avvalendosi di mezzi diversi da quelli che usualmente danno vita ad un’impresa. Così il nuovo contratto di somministrazione potrà trovare applicazione anche presso i piccoli imprenditori, ovvero presso i coltivatori diretti, gli artigiani, i piccoli commercianti e tutti coloro che svolgano un’attività professionale o lavorativa, organizzandola specificamente con il proprio lav oro e con quello dei membri della propria famiglia. L’art. 20, co. 1 d. lgs. n. 276/2003 infatti dichiara: “Il contratto di somministrazione di lavoro può essere concluso da ogni soggetto, di seguito denominato utilizzatore, che si rivolga ad altro soggetto, di seguito denominato somministratore, a ciò autorizzato ai sensi delle disposizioni di cui agli articoli 4 e 5”. Quanto agli enti pubblici, l’art. 1, co. 2 afferma poi: “Il presente decreto non trova applicazione per le pubbliche amministrazioni e per il loro personale.” Ad esso va coordinato l’art. 86, co. 9, che stabilisce espressamente che agli enti pubblici: 97 - è consentito il ricorso alla somministrazione a tempo determinato, con applicazione integrale della relativa nuova disciplina; - è invece vietato il ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo indeterminato158: nei loro confronti “la disciplina della somministrazione trova applicazione soltanto per quanto attiene alla somministrazione di lavoro a tempo determinato”159. In definitiva, l’incontro e la combinazione tra contratto commerciale di somministrazione e contratto di lavoro determina un’obbligazione soggettivamente complessa funzionale a una ripartizione contrattuale dei rischi, dei poteri, degli obblighi e delle responsabilità connesse all’utilizzo di forzalavoro etero diretta. Il trasferimento della pretesa giuridica all’adempimento della prestazione lavorativa dal titolare formale del contratto di lavoro all’impresa utilizzatrice rappresenta a ben vedere la funzione tipica del lavoro reso tramite agenzia: con il contratto di lavoro il lavoratore acconsente cioè al trasferimento, disciplinato dal contratto di somministrazione, della pretesa all’adempimento dell’obbligazione lavorativa in capo all’utilizzatore, con conseguente attribuzione a quest’ultimo non solo del potere di direzione e di controllo della prestazione lavorativa, ma prima ancora dell’interesse creditorio all’appropriazione del “risultato” prodotto dal lavoro altrui160. 9.4 Lavoratore somministrato. 158 F. VERBARIO “Il fenomeno delle esternalizzazioni nella Pubblica Amministrazione” e H. BONURA “Somministrazione di lavoro e appalti nella pubblica amministrazione: il quadro normativo”, in “Le esternalizzazioni dopo la riforma Biagi”, a cura di M. TIRABOSCHI. 159 P. ICHINO “La somministrazione di lavoro”. 160 M. TIRABOSCHI, “La responsabilità civile per i danni a terzi”, in “Le esternalizzazioni dopo la riforma Biagi”, a cura di M. TIRABOSCHI. 98 “Il lavoratore necessita di ricevere fin dal momento iniziale del suo approach al lavoro un quadro di tutele ben definito - non solo di natura garantista ma anche di “promozione” e incentivo”. Con la riforma Biagi” nasce la giuridificazione di un sistema di tutele anticipate che coinvolge tanto le autonomie locali (negli organismi preposti al collocamento), quanto il sistema imprenditoriale (nella duplice veste dei soggetti privati e delle agenzie) così come le altre istituzioni pubbliche e private161.” “Il lavoratore è accompagnato da un sistema di tutele sin dal suo inserimento nel mercato del lavoro fino ad arrivare al suo reinserimento qualora ne esca per svariati motivi162.” Esattamente come nella struttura prevista dalla legge n. 196/1997 tra lavoratore somministratore ed utilizzatore non viene sottoscritto alcun contratto, ma il diritto dell’utilizzatore a ricevere le prestazioni lavorative trova origine nel contratto di somministrazione concluso con l’agenzia, nel quale sono tassativamente indicati il numero dei lavoratori richiesti e le mansioni cui dovranno essere adibiti, nonché il trattamento retributivo loro spettante. In capo ad utilizzatore e prestatore di lavoro sorgeranno – per l’effetto dei contratti da loro rispettivamente stipulati con 161 P. RAUSEI “Lo ‘Statuto giuridico’ del lavoratore nel mercato: trasparenza, formazione e tutela per i lavoratori svantaggiati”, in “Le esternalizzazioni dopo la riforma Biagi”, a cura di M. TIRABOSCHI. 162 B. SANNINO “Lo ‘Statuto Giuridico’ del lavoratore nel mercato: trasparenza, formazione e tutela per i lavoratori svantaggiati”. 99 l’agenzia di somministrazione – alcuni degli obblighi e dei diritti tipici del contratto di lavoro subordinato. In particolare, attraverso questi due contratti, a carico del lavoratore somministrato sorge: - l’obbligo di svolgere la propria attività nell’interesse nonché sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore (arti. 20, co. 1 d. lgs. n. 276/2003); - l’obbligo di diligenza: svolgere la prestazione lavorativa in modo diligente e tecnicamente adeguato (art. 2104 c.c.). Ed è ovvio che la diligenza richiesta e dovuta dal lavoratore somministrato sarà misurata sulla perizia esigibile dai lavoratori di medesimo livello ed addetti alle medesime mansioni dipendenti direttamente dall’utilizzatore e sarà valutata in relazione alle esigenze tecnico – produttive dell’utilizzatore. - l’obbligo di fedeltà163 o di non concorrenza e di segreto aziendale di cui all’articolo 2105 c.c: il lavoratore non deve trattare affari per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’utilizzatore né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa dell’utilizzatore o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio. In virtù di tale dissociazione o duplicazione datoriale – ganglio del rapporto triangolare in commento - il lavoratore sarà assoggettato a tali obblighi tanto nei confronti del somministratore quanto nei confronti dell’utilizzatore. La relazione giuridica di cui il lavoratore è realmente parte integrante è il rapporto di lavoro subordinato che lo lega all’agenzia di somministrazione: tale rapporto 163 Deve ritenersi che durante la missione il lavoratore sia tenuto ad osservare il codice disciplinare tenuto dell’utilizzatore – al pari dei dipendenti fissi dello stesso, senza peraltro doversi escludere il rispetto delle norme disciplinari previste dall’agenzia. 100 può svolgersi, come già il contratto di somministrazione, a tempo determinato o indeterminato. In questa seconda ipotesi, il rapporto di lavoro tra l’agenzia e i singoli prestatori di lavoro è soggetto alla disciplina generale dei rapporti di lavoro, così come prevista dalle norme del Codice Civile e dalle leggi speciali in materia di lavoro (art 22, co. 1 D.lgs.276/2003). Quindi, in tal caso, non v’è obbligo alcuno di assunzione a tempo pieno, ad esempio, né è escluso che il somministratore possa avvalersi di taluna delle tipologie contrattuali di assunzione previste dalle norme di disciplina generale del lavoro. Inoltre, in tali fattispecie, “in cui i lavoratori vengano assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato”, i lavoratori stessi “rimangono a disposizione del somministratore per i periodi in cui non svolgono la prestazione lavorativa presso un utilizzatore, salvo che esista una giusta causa o un giustificato motivo di risoluzione del contratto di lavoro.” (art 20, co. 2 d.lgs. 276/2003) Il lavoratore assunto a tempo indeterminato ha diritto a percepire un’indennità mensile di disponibilità, divisibile in quote orarie (art 22, co. 3) corrisposta dal somministratore per i periodi in cui rimane in attesa di assegnazione. La misura dell’indennità è stabilità in base alla contrattazione collettiva di riferimento e con riguardo al tetto minimo inviolabile deciso dal Ministro del welfare, con proprio decreto. Inoltre l’indennità - così commisurata - è proporzionalmente ridotta in caso di assegnazione del lavoratore ad un’attività a tempo parziale, anche presso il somministratore, e viene esclusa dal computo di ogni istituto normativo, di legge o di contratto. 101 Nell’ipotesi, invece, della somministrazione a tempo determinato “il rapporto di lavoro tra somministratore e prestatore di lavoro è soggetto alla disciplina di cui al decreto legislativo 6 settembre 2001, n°368, per quanto compatibile” (art 22, co. 2 D.lgs.276/2003). La stessa norma prevede, poi, che “il termine inizialmente posto al contratto di lavoro può in ogni caso essere prorogato, con il consenso del lavoratore e per atto scritto, nei casi e per la durata prevista dal contratto collettivo applicato dal somministratore”. Prosegue dunque il richiamo espresso alla disciplina del lavoro a termine - sia pure con la deroga relativa alla proroga, con il consueto rinvio alle intese sindacali, le quali, in pratica, sono destinate a definire l’ambito e la portata operativa del richiamo al d.lgs. 368/2001, complessivamente inteso. 9.5 “Statuto giuridico del lavoratore”164. In un contesto teso a promuovere i fenomeni di esternalizzazione una delle principali preoccupazioni del legislatore è stata da sempre quella di fornire una tutela adeguata e completa al prestatore di lavoro. A disposizioni di mero indirizzo oppure imperative165 il legislatore del 2003 ha preferito l’intervento di tipo direzionale, diretto ad una maggiore effettività della tutela del prestatore di lavoro. Così l’art. 9 co. 1 d. lgs. n. 276/2003: “sono vietate comunicazioni, a mezzo stampa, internet, televisione o altri mezzi di informazione, in qualunque forma effettuate, relative ad 164 SANNINO “Lo ‘Statuto Giuridico’ del lavoratore nel mercato: trasparenza, formazione e tutela per i lavoratori svantaggiati”. 165 Cfr. M. TIRABOSCHI “Lavoro temporaneo e somministrazione di manodopera. Contributo allo studio della fattispecie lavoro intermittente tramite agenzia”, Giappichelli, Torino, 1999. 102 attività di ricerca e selezione del personale, ricollocamento professionale, intermediazione o somministrazione effettuate in forma anonima e comunque da soggetti, pubblici o privati, non autorizzati o accreditati all'incontro tra domanda e offerta di lavoro eccezion fatta per quelle comunicazioni che facciano esplicito riferimento ai soggetti in questione, o entità ad essi collegate perche' facenti parte dello stesso gruppo di imprese o in quanto controllati o controllanti, in quanto potenziali datori di lavoro”. E ancora, al co. 2 (art. 9): “in tutte le comunicazioni verso terzi, anche a fini pubblicitari, utilizzanti qualsiasi mezzo di comunicazione, ivi compresa la corrispondenza epistolare ed elettronica, e nelle inserzioni o annunci per la ricerca di personale, le agenzie del lavoro e gli altri soggetti pubblici e privati autorizzati o accreditati devono indicare gli estremi del provvedimento di autorizzazione o di accreditamento al fine di consentire al lavoratore, e a chiunque ne abbia interesse, la corretta e completa identificazione del soggetto stesso.” Il legislatore mira ad eliminare dal mercato quegli operatori illegali che operino in maniera elusiva e tutt’altro che trasparente: non a caso, la violazione dell’articolo 9 del d. lgs. n. 276/2003 costituisce fattispecie autonoma di illecito amministrativo, oltre a comportare la probabile revoca dell’autorizzazione ministeriale. L’art. 10 del decreto poi, aggiunge: 103 “è fatto divieto alle agenzie per il lavoro e agli altri soggetti pubblici e privati autorizzati o accreditati di effettuare qualsivoglia indagine o comunque trattamento di dati ovvero di preselezione di lavoratori, anche con il loro consenso, in base alle convinzioni personali, alla affiliazione sindacale o politica, al credo religioso, al sesso, all'orientamento sessuale, allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, alla età, all'handicap, alla razza, all'origine etnica, al colore, alla ascendenza, all'origine nazionale, al gruppo linguistico, allo stato di salute nonche' ad eventuali controversie con i precedenti datori di lavoro, a meno che non si tratti di caratteristiche che incidono sulle modalità di svolgimento della attività lavorativa o che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell'attività lavorativa. E' altresì fatto divieto di trattare dati personali dei lavoratori che non siano strettamente attinenti alle loro attitudini professionali e al loro inserimento lavorativo166.” Qualora l’agenzia o qualsivoglia intermediario violi i disposti di cui agli articoli richiamati, è punito con una sanzione penale che oltre a prevedere l’ammenda (euro 1.549,00), interviene anche con l’arresto da quindici giorni ad un anno167 E’ inoltre fatto divieto alle agenzie per il lavoro esigere o percepire compensi dal lavoratore168. 166 Le norme in esame tutelano un diritto soggettivo ed assoluto del lavoratore rientrante nell’ambito dei diritti della personalità: perché si possa realizzare nel più efficace e corretto dei modi possibili il libero accesso al mercato del lavoro p fatto divieto agli operatori – sia pubblici che privati – di porre in essere atti che possano tradursi in un restringimento delle concrete possibilità di ogni lavoratore di fruire di tutti i canali di incontro tra domanda e offerta del lavoro. Insieme al d. lgs. n. 276/2003, anche il recente Codice della Privacy, entrato in vigore il 1 gennaio 2004 ha delineato un quadro d’insieme abbastanza preciso, in merito ai divieti ed alle sanzioni sulla raccolta dei dati ai fini della selezione del personale. 167 La contravvenzione in esame è assoggettabile al nuovo potere di prescrizione degli ispettori del lavoro (art. 15 del d. lgs. n. 124/2004). 104 9.6 Formazione. “E’ da una selettiva strategia formativa che gli operatori del mercato dovranno passare per aumentare le opportunità di lavoro e per evitare che quelle già esistenti si riducano ad occasioni dequalificate e dequalificanti.” Inoltre, a carico delle agenzie per il lavoro è posto l’obbligo di versare ad apposito fondo bilaterale un contributo pari al 4% delle retribuzioni erogate ai lavoratori in somministrazione a termine169. Le risorse sono destinate a promuovere percorsi di qualificazione, riqualificazione e orientamento170, oltre a provvedere specifiche misure di carattere previdenziale a favore dei lavoratori forniti dall’agenzia di lavoro. Se il fondo di formazione è operativo per i lavoratori in somministrazione a tempo determinato a far data dall’entrata in vigore della legge n. 196/1997171, la vera novità introdotta dal decreto legislativo n. 276/2003 sta nell’obbligo posto a carico dei soggetti autorizzati alla somministrazione di versare ad analogo fondo un contributo simile a quello su indicato e destinato ai lavoratori a tempo indeterminato172. A garanzia che i fondi vengano effettivamente destinati alle 168 Art. 11 d. lgs. n. 276/2003. G. BOCCHIERI, M. TIRABOSCHI “I fondi per la formazione e la tutela del reddito”, in P. OLIVELLI, M. TIRABOSCHI (a cura di) “Il diritto del mercato del lavoro dopo la riforma Biagi”, Giuffrè, Milano, 2005. 170 Ibidem. 171 Identico contributo era previsto a favore dei lavoratori temporanei assunti a termine. 172 Si tratta di un meccanismo di integrazione del reddito dei lavoratori assunti con contratto di somministrazione a tempo indeterminato in caso di fine lavori che si accompagna all’applicazione dell’art. 3 della l. n. 604/1966. 169 105 attività predisposte si pone il Ministero del lavoro e delle politiche sociali che mantiene la vigilanza sulla gestione degli stessi. E’ evidente che la vera forza riformatrice della legge n. 30/2003 va ricercata proprio nella concreta capacità degli operatori del mercato di intervenire con idonee attività formative finalizzate a valorizzare i lavoratori. Le erogazioni a favore dei fondi per la formazione e l’integrazione al reddito rappresentano infatti uno strumento ineliminabile nell’ottica della riforma del mercato del lavoro173: l’imperativo è aumentare le prospettive di occupazione, assicurando ai lavoratori una fonte di aggiornamento professionale costante che li renda sempre più adatti ad un mercato del lavoro dinamico. Tutto questo, alla luce di un nuovo mercato del lavoro che riconosce agli enti bilaterali un significativo ruolo di primo piano. L’Art. 12 del d. lgs. n. 276/2003 – rubricato “Fondi per la formazione e l’integrazione al reddito” introduce un altro fondo appositamente dedicato ai lavoratori a tempo indeterminato e detta una precisa distinzione rispetto alle finalità cui sono destinate le risorse dei fondi: • nel caso dei lavoratori somministrati a tempo determinato le risorse sono finalizzate a garantire la formazione continua ad una tipologia di lavoratori che, a causa di possibili periodi di inattività, rischierebbero di risultare non “occupabili” per l’intervenuta obsolescenza delle loro competenze professionali; • nell’ipotesi di somministrazione a tempo indeterminato invece le risorse del fondo possono essere utilizzate oltre che per l’inserimento o reinserimento dei lavoratori svantaggiati, anche per verificare l’efficacia della somministrazione in termini di emersione del lavoro irregolare e di contrasto agli appalti illeciti, per la promozione di percorsi si qualificazione e riqualificazione professionale , ma 173 Cfr. C. TIMELLINI, “Fondi per la formazione e l’integrazione al reddito”, in DPL, 2003, n. 42. 106 soprattutto per garantire l’integrazione al reddito dei lavoratori: fungerebbero in tal modo da ammortizzatori sociali174. Il ruolo giocato dalla formazione equivale a quello di vero e proprio fattore coagulante tra occupazione ed intermediazione, capace di perseguire quel principio comunitario di sussidiarietà mirato ad allontanare ogni possibile rischio di “precarizzazione”175. 9.7 Principio della parità di trattamento. Il principio di non discriminazione nel decreto legislativo n. 276/2003 conosce una nuova formulazione tesa alla parità di trattamento “complessivo”176, con ciò guardando non solo al trattamento economico ma anche a quello normativo – relativo all’intero corpus di regole proprie della contrattazione collettiva e aziendale nonché della prassi in uso177. Proprio tale principio di non discriminazione costituisce il punto cardinale attraverso cui contenere le forme di concorrenza tra lavoro stabile e lavoro c.d. “flessibile”. 174 In particolare l’arti. 12 co. 2 recita: “[…] Le risorse sono destinate a: a) iniziative comuni finalizzate a garantire l'integrazione del reddito dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato in caso di fine lavori; b) iniziative comuni finalizzate a verificare l'utilizzo della somministrazione di lavoro e la sua efficacia anche in termini di promozione della emersione del lavoro non regolare e di contrasto agli appalti illeciti; c) iniziative per l'inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro di lavoratori svantaggiati anche in regime di accreditamento con le regioni; d) per la promozione di percorsi di qualificazione e riqualificazione professionale.” 175 Cfr. M. TIRABOSCHI “Lavoro temporaneo e somministrazione di manodopera. Contributo allo studio della fattispecie lavoro intermittente tramite agenzia”, cit.. 176 Art. 23, co. 1 d. lgs. n. 276/2003 dispone: “i lavoratori dipendenti dal somministratore hanno diritto a un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello dei dipendenti di pari livello dell'utilizzatore, a parità di mansioni svolte. […]” 177 Cfr. P. RAUSEI “Somministrazione di lavoro”, Ipsoa, Milano, 2004. 107 Così, i lavoratori assunti dalle agenzie per il lavoro godono di tutti i diritti stabiliti dalla legge 20 maggio 1979 n. 300178: per espressa previsione dell’articolo 24 – commi 2 e 3 – del decreto in commento: “Il prestatore di lavoro ha diritto a esercitare presso l'utilizzatore, per tutta la durata della somministrazione, i diritti di libertà e di attività sindacale nonché a partecipare alle assemblee del personale dipendente delle imprese utilizzatrici.” “Ai prestatori di lavoro che dipendono da uno stesso somministratore e che operano presso diversi utilizzatori compete uno specifico diritto di riunione secondo la normativa vigente e con le modalità specifiche determinate dalla contrattazione collettiva.” I lavoratori esercitano quindi i diritti sindacali sia nei confronti dell’agenzia (in quanto effettivo datore di lavoro) sia nei riguardi dell’utilizzatore 8in quanto datore di lavoro per conto del quale svolgono le loro mansioni)179. Coerentemente, l’art. 24, co. 4 del d. lgs. n. 276/2003 riconosce al sindacato un potere di controllo indiretto sulla modalità di esercizio della somministrazione di lavoro, funzionale al raggiungimento di una maggiore effettività nella fruizione dei diritti sindacali a favore dei somministrati. Unica deroga legislativa al principio di parità di trattamento riguarda i c.d. lavoratori svantaggiati180: se tali fasce di lavoratori vengono assunti dall’agenzia con un contratto di durata pari almeno a sei mesi e purchè venga previsto uno specifico programma individuale di inserimento o reinserimento nel mercato del 178 Cfr. A. LEVI “Somministrazione di lavoro, esercizio dei diritti sindacali e garanzie collettive: prime riflessioni sull’art. 24 del d. lgs. n. 276/2003”, in MGL, 2003, n. 12. 179 I lavoratori somministrati si trovano ad agire in un contesto oggettuale duplice: da una parte il somministratore e dall’altra l’utilizzatore. 180 Cfr. art. 3 Cost. 108 lavoro e sempre in concorso con Regioni, Province ed enti locali, allora le agenzie per il lavoro possono procedere ad assunzioni “agevolate” ai sensi e nei limiti di cui all’articolo 13 del decreto legislativo n. 276/2003181. Il contratto stipulato con questi soggetti deve contenere la previsione di interventi normativi idonei a collocare o ricollocare i lavoratori interessati, nonché il coinvolgimento di un tutor capace di accompagnare alla crescita professionale del lavoratore svantaggiato per il tempo della sua attività lavorativa, così da sviluppare le capacità professionali di questi ed aumentare il grado di effettività circa le sue possibilità di inserimento nel mercato del lavoro182. Rimane quindi indiscussa l’operatività del principio generale della retribuzione proporzionata e sufficiente di cui all’art. 36 Cost., che costituisce il parametro attorno al quale edificare il progetto di inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro del soggetto svantaggiato183. L’art. 13 del decreto legislativo n. 276/2003 si pone l’ambizioso obiettivo di corresponsabilizzare tutti gli operatori del mercato del lavoro nella “presa in carico” dei soggetti a forte rischio di esclusione sociale, con il duplice fine di evitare usi impropri della flessibilità del lavoro e rafforzare la posizione di ogni singolo lavoratore: il legislatore ha così maturato il convincimento che la somministrazione di manodopera possa rappresentare il modello migliore per sperimentare le professionalità più diverse e per garantire al contempo alle fasce deboli di lavoratori un ingresso agevolato nel mercato del lavoro184. 181 Vedi sopra, il ruolo delle Agenzie di somministrazione. Cfr. C. CORBO “Misure di incentivazione del raccordo pubblico e privato nel mercato del lavoro”, in F. CARINCI (coordinato da). 183 In proposito, ciò che il decreto legislativo n. 276/2003 intende perseguire è la “compartecipazione attiva del lavoratore in cerca di occupazione ad un proprio reinserimento o reinserimento lavorativo, non acconsentendo lo Stato ad un prosieguo passivo di assistenza, senza interessamento da parte dell’assistito”, P. RAGUSEI, “Lo Statuto giuridico del lavoratore nel mercato”. 184 B. SANNINO cit. 182 109 9.8 Tutela della salute e sicurezza del lavoratore. Per quanto concerne la tutela del lavoro e del lavoratore185 il d. lgs. n. 276/2003 riprende e conferma i principi comunitari186, riconoscendo così all’impresa utilizzatrice il soggetto giuridico responsabile delle condizioni in cui viene eseguito il lavoro – comprese quelle inerenti alla salute e sicurezza sul posto di lavoro187. E’ l’impresa utilizzatrice a dover garantire al lavoratore somministrato tutti gli obblighi di protezione previsti nei confronti dei propri dipendenti ed è responsabile dell’eventuale violazione. In particolare l’articolo 23, co. 1 del decreto in commento si traduce “in un obbligo dei dirigenti e dei preposti dell’utilizzatore, i quali al fine di tutelare la sicurezza e la salute del lavoratore somministrato, sono tenuti ad osservare tutte le misure di prevenzione e salvaguardia dei luoghi di lavoro, di fornitura dei dispositivi di protezione di consultazione normalmente applicabili ai propri dipendenti”188. In secundis, con riferimento al diritto dei lavoratori somministrati di partecipare all’elezione del RLS (rappresentante dei lavoratori per la sicurezza) dell’utilizzatore - a fronte di pareri contrastanti in dottrina189 - alla luce dell’inequivocabile dettato dell’art. 22 co. 5, pare legittimo riconoscere tale diritto al lavoratore somministrato. L’articolo in questione infatti afferma: 185 Viene confermato il sistema di tutela introdotto dal legislatore con la l. n. 196/1997: un sistema c.d. di tipo “misto”, prevedendo una titolarità concorrente di obblighi in capo all’utilizzatore e al somministratore. 186 Art. 8, direttiva n. 91/383/CE. 187 Art. 20, co. 2 e articolo 22, co. 5 d. lgs. n. 276/2003; circ. Min. lav. n. 224/1998. 188 Linee guida in materia di gestione della prevenzione della salute dei lavoratori interinali Friuli Venezia Giulia approvate dal Consiglio regionale di coordinamento per la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro, 9 maggio 2003. 189 Per un approfondimento sul punto, A. GENTILI (a cura di) “Il lavoro temporaneo” Cedam, Padova, 1999; M. LAI “Salute, sicurezza e lavoro temporaneo”, in DPL, 1998. 110 “in caso di contratto di somministrazione, il prestatore di lavoro non e' computato nell'organico dell'utilizzatore ai fini della applicazione di normative di legge o di contratto collettivo, fatta eccezione per quelle relative alla materia dell'igiene e della sicurezza sul lavoro.” E’ quindi ragionevole constatare che il ruolo del RLS – chiamato a vigilare sull’attuazione delle varie misure di prevenzione degli infortuni e di tutela della salute nei luoghi di lavoro – dovrà esser svolto anche nei confronti dei lavoratori somministrati e conseguentemente dovrà loro essere riconosciuto il diritto di intervenire attivamente nella scelta del soggetto chiamato ad interagire con il datore di lavoro (utilizzatore) ai fini dell’adempimento degli obblighi gravanti su quest’ultimo relativamente all’igiene e alla sicurezza sul posto di lavoro. A conferma di questa tesi va citato l’articolo 3 del decreto legislativo n. 624/1994 che prevede appunto che tra le generali misure di tutela cui è tenuto il datore di lavoro, è compreso anche “il controllo sanitario dei lavoratori in funzione dei rischi specifici”. A tale conclusione è giunto anche il Ministero del lavoro che con circolare 21 novembre 2001 ha concluso che “l’obbligo della sorveglianza sanitaria, preventiva e periodica, rientrando tra gli obblighi di sicurezza prevista dalla normativa vigente, è inequivocabilmente a carico dell’impresa utilizzatrice”190. Pur individuando nell’utilizzatore il soggetto responsabile in materia di igiene e sicurezza sul posto di lavoro191, il legislatore ha riconosciuto al somministratore e all’utilizzatore la possibilità di ripartizione di tali adempimenti: sebbene abbia 190 L’art. 14 del Ccnl delle SFLT /Società di fornitura del lavoro temporaneo) dispone che “la sorveglianza obbligatoria, ove richiesta, resta a carico dell’impresa utilizzatrice”. 191 Con specifico riferimento agli obblighi di cui agli articoli 21 e 22 del decreto legislativo n. 626/1994. 111 attribuito al somministratore la responsabilità di provvedere ad informare il prestatore di lavoro sui rischi connessi all’attività produttiva in generale, nonché a formarlo e addestrarlo all’uso delle attrezzature di lavoro, ha altresì previsto che l’adempimento di tale obbligo sia trasferibile contrattualmente all’utilizzatore – in tal caso ne dovrà esser fatta espressa menzione nel contratto con il lavoratore192. Indipendentemente però dagli accordi contrattuali stipulati, sull’utilizzatore non potrà non gravare la responsabilità di provvedere quantomeno a completare l’attività di formazione e di addestramento con specifico riferimento ai macchinari necessari allo svolgimento dell’attività lavorativa, cui sarà destinato il lavoratore in quanto egli soltanto – in qualità di proprietario di tali mezzi – potrà essere in grado di adempiere all’obbligo di cui sopra che, come prescritto dalla legge, deve essere “specifico”. Infine la professionalità del somministratore nel selezionare candidati in possesso di requisiti tecnico – professionali idonei allo svolgimento della mansione oggetto del contratto di somministrazione, nonché un preciso accordo tra utilizzatore e somministratore per la ripartizione degli obblighi in materia costituiscono condizioni necessarie per la tutela del lavoratore somministrato anche ai fini della prevenzione dei rischi di infortuni sul posto di lavoro193. 10. Poteri datoriali. 10.1 Potere direttivo. 192 Art. 23, co. 5 d. lgs. n. 276/2003. Dal primo rapporto presentato da Ebitemp (OSSERVATORIO – CENTRO STUDI PER IL LAVORO TEMPORANEO (a cura di), “Gli infortuni nel lavoro temporaneo”, marzo 2004) è emerso che gli infortuni subiti dai lavoratori temporanei nel periodo tra il 1 luglio 2002 e il 31 dicembre 2003 sono stati 1.210. Il Documento elaborato dall’Osservatorio – Centro Studi per il lavoro temporaneo costituisce senz’altro una prima interessante rappresentazione degli infortuni denunciati a Ebitemp. 193 112 La disciplina comune applicabile sia ai lavoratori somministrati a tempo determinato che a quelli a tempo indeterminato, che tuttavia si differenzia dalla disciplina tipica del lavoro subordinato, riguarda innanzitutto la ripartizione tra somministratore e utilizzatore dei poteri tipici del datore di lavoro, cioè del potere direttivo di controllo e disciplinare194. Il potere direttivo è quindi attribuito in capo all’utilizzatore, il cui obiettivo è esigere la prestazione lavorativa da parte del lavoratore somministratogli dall’agenzia di somministrazione. Nell’ottenere tale prestazione l’utilizzatore ha il diritto di poter dirigere il lavoratore – sempre alla luce del contratto di lavoro stipulato tra quest’ultimo e l’agenzia. A sostegno di tale impostazione, l’arto. 20 co. 2: “per tutta la durata della somministrazione i lavoratori svolgono la propria attività nell'interesse nonché sotto la direzione e il controllo dell'utilizzatore. Nell'ipotesi in cui i lavoratori vengano assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato essi rimangono a disposizione del somministratore per i periodi in cui non svolgono la prestazione lavorativa presso un utilizzatore, salvo che esista una giusta causa o un giustificato motivo di risoluzione del contratto di lavoro.” Tale prescrizione comporta che, nell’ambito del rapporto di lavoro di somministrazione e del conseguente assoggettamento al potere direttivo dell’utilizzatore, il lavoratore possa anche essere utilizzato per la realizzazione di 194 E. CASSANETI, L. FAILLA “Potere direttivo e potere disciplinare”, in “le esternalizzazioni dopo la riforma Biagi”, a cura di M. TIRABOSCHI. 113 un contratto d’appalto e di distacco - come ha avuto modo recentemente di chiarire il Ministero del lavoro con la circolare n. 7/2005: “l’attribuzione del potere direttivo e di controllo all’utilizzatore e l’ulteriore precisazione che durante la somministrazione il lavoratore esegue la prestazione nell’interesse dell’utilizzatore comporta che il lavoratore in somministrazione possa svolgere la propria prestazione per la realizzazione di un contratto di appalto. Analogamente il lavoratore in somministrazione potrà anche essere inviato in distacco presso un altro utilizzatore. In entrambe le ipotesi tale possibilità è ovviamente subordinata, rispettivamente, alla genuinità dell’appalto e alla sussistenza dei requisiti dell’interesse e della temporaneità relativamente al distacco195.” 10.2 L’esercizio dello ius variandi. Art. 23, co. 6: “nel caso in cui adibisca il lavoratore a mansioni superiori o comunque a mansioni non equivalenti a quelle dedotte in contratto, l'utilizzatore deve darne immediata comunicazione scritta al somministratore consegnandone copia al lavoratore medesimo. Ove non abbia adempiuto all'obbligo di informazione, l'utilizzatore risponde in via esclusiva per le differenze retributive spettanti al lavoratore occupato in mansioni superiori e per l'eventuale risarcimento del danno derivante dalla assegnazione a mansioni inferiori.” 195 Circ. Min. la. N. 7/2005. 114 Il legislatore ha riservato l’esercizio dello ius variandi all’utilizzatore, come logica conseguenza del potere organizzativo sulla prestazione lavorativa oggetto del contratto di somministrazione. Così come previsto dalla normativa relativa al lavoro temporaneo, è rimasto in capo all’utilizzatore l’obbligo di tempestiva comunicazione all’agenzia di somministrazione dell’assegnazione a mansioni superiori ovvero a mansioni non equivalenti. Alcuni commentatori196 ritengono che il legislatore sembrerebbe aver consentito un’ulteriore deroga197 all’articolo 2103 c.c., tenendo indenne il lavoratore degli eventuali danni conseguenti al demansionamento attraverso un sistema risarcitorio di esclusiva natura economica: l’agenzia di somministrazione sarebbe tenuta al risarcimento del danno, a meno che l’utilizzatore non abbia adempiuto all’obbligo di informazione. In tale ipotesi rimarrebbe obbligato in via esclusiva l’utilizzatore, che ha goduto della prestazione del lavoratore. Per quanto concerne l’ipotesi di adibizione a mansioni superiori, la norma è rimasta immutata rispetto a quanto stabilito per il lavoro temporaneo. L’obbligo di comunicazione sussiste perché solo attraverso tale avviso l’agenzia di somministrazione sarà in grado di adeguare il trattamento economico/retributivo del prestatore di lavoro. In caso di mancata comunicazione l’utilizzatore sarà obbligato in via esclusiva e diretta a corrispondere le differenze retributive maturate. 196 S. CIUCCIOVINO “Tutela del prestatore di lavoro, esercizio del potere disciplinare e regime di solidarietà”, in M. T. CARINCI, C. CESTER (a cura di) “Somministrazione, comando, appalto, trasferimento d’azienda”, in F. CARINCI. (coordinato da) “Commentario al D. lgs. 10 settembre 2003, n. 276”, Ipsoa, Milano, 2004, vol II. 197 In deroga all’art. 2103 c.c. è possibile adibire il prestatore di lavoro a mansioni inferiori solo in casi disciplinati espressamente dalla legge: a) nell’ipotesi della lavoratrice in stato di gravidanza (art. 3 l. n. 1204/1971); b) dei lavoratori a rischio per l’esposizione ad agenti chimici, fisici, biologici (art. 8 d. lgs. n. 277/1991); c) in caso di accordi sindacali ai sensi del comma 11 dell’art. 4 l. n. 223/1991. 115 Infine da segnalare l’aspetto relativo all’assegnazione a mansioni equivalenti, per il quale il legislatore non prevede alcun obbligo di comunicazione; l’utilizzatore ben può nell’esercizio del potere direttivo che a lui compete, decidere infatti di mutare le mansioni del prestatore di lavoro a lui inviato. Tuttavia, se come spesso accade, il mutamento di mansioni corrisponde ad un diverso trattamento economico, in base ai principi di correttezza e buona fede, sarà onere dell’utilizzatore informare l’agenzia di somministrazione di lavoro per consentirgli di adeguare il trattamento retributivo. Infine, in caso di differenze retributive, il risarcimento danni dovrà in primo luogo rivolgersi all’utilizzatore e poi, in caso di mancata corresponsione, potrà rivolgersi anche all’agenzia di somministrazione, senza alcun pregiudizio alla piena garanzia di soddisfazione del proprio credito198. 10.3 Potere disciplinare. L’inosservanza degli obblighi di diligenza e fedeltà, nonché delle disposizioni derivanti dalla contrattazione collettiva, può dar luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari, secondo la gravità dell’infrazione199. Art. 23, co. 7: “ai fini dell'esercizio del potere disciplinare, che e' riservato al somministratore, l'utilizzatore comunica al somministratore gli elementi che formeranno oggetto della contestazione ai sensi dell'articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300.” 198 E. CASSANETI, L. FAILLA “Potere direttivo e potere disciplinare”, in “le esternalizzazioni dopo la riforma Biagi”, a cura di M. TIRABOSCHI. 199 Art. 2106 c.c. 116 Rispetto al testo del comma 4 dell’articolo 6 della legge n. 196/1997200 vi è l’esplicitazione che il potere disciplinare è riservato all’agenzia di somministrazione, demandando invece all’utilizzatore il compito di comunicare a quest’ultima gli elementi oggetto di contestazione. Non poteva essere altrimenti: è l’utilizzatore che gestisce il rapporto con il prestatore di lavoro e che ha conoscenza diretta e immediata delle eventuali circostanze/mancanze che possano essere ascritte al lavoratore. Secondo l’opinione di alcuni Autori201 in realtà non si tratterebbe di un obbligo ma soltanto di un “onere di comunicazione”, conditio sine qua non per ottenere un risarcimento dall’agenzia di somministrazione, sempre che da quella mancanza ascrivibile al lavoratore somministrato sia derivato un danno apprezzabile. In tale ipotesi l’agenzia di somministrazione potrà rivalersi nei confronti del lavoratore inadempiente, anche mediante corrispondente riduzione della retribuzione. In ogni caso, una volta ricevuta l’informazione relativa alle eventuali mancanze del lavoratore, l’agenzia rimane l’unico soggetto legittimato a formulare la contestazione dell’addebito nei confronti del lavoratore, nonché a valutare gli elementi eventualmente addotti da quest’ultimo a propria difesa, ed infine a decidere se e quale sanzione adottare. Restano comunque aperte numerose problematiche su cui il legislatore nulla ha statuito, in particolare quanto all’esercizio, nonché sugli effetti di tale esercizio, del potere disciplinare relativamente a quei lavoratori somministrati assunti con contratto a tempo indeterminato202. Ci si riferisce all’adozione di sanzioni 200 (Abrogato) P. ICHINO, op. cit. 202 E. CASSANETI, L. FAILLA “Potere direttivo e potere disciplinare”. 201 117 disciplinari durante il periodo di disponibilità ovvero alla possibilità che contestazioni avvenute in missioni diverse con relative sanzioni adottate in forza di contratti collettivi diversi presso differenti utilizzatori possano, ad esempio, costituire recidiva e così legittimare un licenziamento del lavoratore somministrato. 11. Responsabilità civile per danni a terzi. Nell’ambito della responsabilità per fatto altrui l’articolo 2049 c.c. dispone che: “i padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze cui sono adibiti.203” Quantunque la terminologia utilizzata richiami l’immagine dell’azienda domestica e ipotizzi una fase ancora arcaica dello sviluppo economico204, non c’è dubbio che l’articolo in questione esprima il principio della responsabilità civile del datore di lavoro per il fatto illecito dei propri dipendenti205. Nel sancire – in linea con la previsione, ora abrogata, di cui all’articolo 6, co. 7 della legge n. 196/1997206 - che: 203 Non si deve dimenticare che l’articolo 2049 c.c. riprende una formulazione risalente al Code Napoleon, secondo cui i padroni e i committenti sono responsabili del danno causato dai loro domestici e preposti nelle funzioni per cui sono impiegati (articolo 1384, comma 5 c.c. francese). 204 P. RESCIGNO “Immunità e privilegio”, in P. RESCIGNO “Persona e comunità”, Il Mulino, Bologna, 1966. 205 Cfr. L. SPAGNUOLO VIGORITA, “Responsabilità dell’imprenditore”, in G. D’EUFEMIA et AL. “Il rapporto di lavoro” in L. RIVA SANSEVERINO, G. MAZZONI (diretto da), “Nuovo trattato di diritto del lavoro”, Cedam, Padova, 1971, vol. II. 206 Su cui cfr, per tutti, A. LEVI “Gli obblighi fondamentali dell’impresa utilizzatrice di prestazioni di lavoro temporaneo”, in L. GALANTINO, “Il lavoro temporaneo e i nuovi strumenti di promozione dell’occupazione. Commento alla legge 24 giugno 1997 n. 196” Giuffrè, Milano, 1997. 118 “nel caso di somministrazione di lavoro l’utilizzatore risponde nei confronti dei terzi dei danni a essi arrecati dal prestatore di lavoro nell’esercizio delle sue mansioni” l’articolo 26 del decreto legislativo n. 276/2003 sembrerebbe apportare una deroga alla formula codicistica: è infatti il mero utilizzatore della prestazione lavorativa - e non il datore di lavoro - a rispondere per i danni cagionati a terzi dal lavoratore. Tale formulazione rappresenta il punto di arrivo di un robusto indirizzo giurisprudenziale che da tempo ricollega la responsabilità civile per il fatto illecito del lavoratore non tanto a parametri formali di qualificazione del rapporto di lavoro, ma piuttosto alla particolare relazione che s’instaura tra il lavoratore e l’effettivo fruitore della prestazione lavorativa mediante il c.d. rapporto di preposizione207. Quindi, ai fini della responsabilità civile per il fatto del dipendente va considerato committente “anche chi si avvalga, nell’esecuzione di un determinato lavoro, dell’attività lavorativa di persona che, seppure nominalmente figurante alle dipendenze di altri, debba peraltro rispondere verso di lui (o verso entrambi) del proprio operato, senza che sia necessario accertare (e qualificare) la natura del rapporto intercorrente tra l’effettivo committente e il datore di lavoro solo nominale dell’ausiliario208. 207 In questa prospettiva cfr. con riferimento all’art. 6 co. 7 della l. n. 196/1997, R. ROMEI “Il contratto di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo”, in F. LISO, U. CARABELLI (a cura di) “Il lavoro temporaneo”, F. Angeli, Milano, 1999. 208 In questo senso, ancor prima della legalizzazione della somministrazione di lavoro altrui, cfr. già Cass. 9 agosto 1991 n. 8668, cit. 119 A conferma di ciò, l’art. 20, co. 2209 del decreto legislativo n. 276/2003 ammonisce che, quantunque sia l’agenzia di somministrazione ad assumere i lavoratori: “Per tutta la durata della somministrazione [essi] svolgono la propria attività nell'interesse nonché sotto la direzione e il controllo dell'utilizzatore210.” Perché ci sia dunque responsabilità ex art. 26 d. lgs. n. 276/2003, occorre che si verifichino due presupposti: 1) il fatto illecito del lavoratore: un fatto colposo o doloso211, eccetto il caso in cui sia concorrente un’ipotesi di responsabilità oggettiva212; 2) la circostanza che l’evento sia avvenuto nell’esercizio delle mansioni cui è stato adibito. È sufficiente un semplice rapporto di occasionalità necessaria tra il fatto del preposto e le mansioni a lui affidate, nel senso che tali mansioni abbiano reso possibile o agevolato il comportamento produttivo del danno. “E’ necessario e sufficiente che l’incombenza abbia una qualsiasi relazione, sia pure, marginale, con detto rapporto, di modo che la condotta del commesso possa essere riferita all’ambito delle attività e, quindi, alla sfera giuridica del committente”213. 12. Appalto. 209 Il ruolo sistematico dell’art. 3, co. 2, l. n. 196/1997 sfugge in particolare ad A. LEVI, op. cit., che infatti imputa l’appropriazione del risultato del valore della prestazione lavorativa resa dal lavoratore temporaneo all’impresa fornitrice e non invece all’impresa utilizzatrice. 210 Soluzione, questa, coerente con un risalente indirizzo giurisprudenziale che, nei casi di pluralità di committenti, prevede il trasferimento della responsabilità dal titolare del rapporto all’effettivo utilizzatore solo se “si determina l’uscita del lavoratore dalla sfera d’azione del suo datore di lavoro e il suo inserimento in quella dell’altro imprenditore” – Cfr. A. GALOPPINI, op. cit. 211 Cfr. C. SALVI, op. cit., da ultimo in giurisprudenza cfr. Cass. 8 maggio 2001, n. 6386, in MGCM 2001. 212 In Cass. 6 gennaio 1983 n. 75, in GI. 213 Cass. 21 giugno 1999 n. 6223; Cass. 3 aprile 1991 n. 3442, in RFI, voce Responsabilità civile, 1991, n. 93. 120 Art. 29, co. 1: “Ai fini della applicazione delle norme contenute nel presente titolo, il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell'articolo 1655 del codice civile, si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa.” L’appalto genuino ex art. 1655 c.c. è caratterizzato dall’organizzazione e gestione a proprio rischio dell’appaltatore; figura comprensiva delle ipotesi in cui, nella sostanziale carenza di strutture materiali, “l’organizzazione e la gestione” dell’appaltatore si concentrino o si esauriscano nel coordinamento, direzione e controllo dei dipendenti impegnati nell’appalto – sottoposti pertanto all’esercizio dei poteri datoriali dell’appaltatore. Con la nuova formulazione legale dell’appalto ex d. lgs. n. 27672003 – prevista da tale articolo e sanzionata dagli artt. 27 e 28214 - resta confermata la nozione generale della fattispecie vietata, ovvero il rapporto trilatero in cui, attraverso una convenzione d’interposizione (contratto di appalto, sub appalto, altra forma contrattuale), un soggetto (appaltatore - interposto) dispone che propri dipendenti prestino (come lavoratori non legati da vincolo formale di subordinazione al 214 Con particolare riferimento alle fattispecie della somministrazione irregolare e fraudolenta, cfr. il contributo di C. BIZZARRO “Somministrazione irregolare e somministrazione fraudolenta”, in “le esternalizzazioni dopo la riforma Biagi”, a cura di M. TIRABOSCHI. 121 committente) un’attività consistente in esclusive prestazioni di manodopera. Viene tuttavia meno il rinvio alla presunzione automatica di illiceità del contratto nell’ipotesi di impiego di capitali, macchine, attrezzature del committente, sostituito dal richiamo al criterio dell’”organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore” e dalla valorizzazione, a tal fine, dell’elemento consistente nell’esercizio di un effettivo “potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto215.” La particolare incidenza del criterio costituito dalla verifica dell’effettivo esercizio del potere direttivo, nella qualificazione di una situazione interpositoria vietata216 emerge con forza laddove si consideri anche quanto stabilito dall’articolo 84 d. lgs. n. 276/2003: “il Ministro del lavoro e delle politiche sociali adotta con proprio decreto codici di buone pratiche e indici presuntivi in materia di interposizione illecita e appalto genuino, che tengano conto della rigorosa verifica della reale organizzazione dei mezzi e della assunzione effettiva del rischio tipico di impresa da parte dell'appaltatore217.” L’art. 29 distingue nettamente l’appalto dalla somministrazione, utilizzando come discrimine il concetto di organizzazione dei mezzi: mentre infatti nell’appalto il datore di lavoro è colui che assume i lavoratori, li organizza, esercita nei loro 215 Il rinvio inserito nell’art. 29 co. 1 al “potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto” come criterio non esclusivo ma di particolare rilievo, a cui fare riferimento nella verifica della sussistenza di una situazione interpositoria legittima o illegittima, rappresenta la riproposizione in un atto avente forza di legge, dell’indice giurisprudenziale di identificazione della subordinazione – considerato più importante dalla previdente giurisprudenza di legittimità. 216 Cfr. R. ROMEI, “La distinzione fra interposizione e appalto e le prospettive della certificazione”, cit. 217 “Tali codici e indici presuntivi recepiscono, ove esistano, le indicazioni contenute negli accordi interconfederali o di categoria stipulati da associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale” – art. 84, co. 2, 2° periodo. 122 confronti il potere direttivo218; nella somministrazione il datore di lavoro (società di somministrazione) si limita ad assumere i lavoratori senza però esercitare nei loro confronti alcun potere organizzativo, che invece, per effetto del collegamento negoziale che intercorre con il contratto di somministrazione, è dislocato presso l’impresa utilizzatrice. 12.1 Contratto di appalto, requisiti. Veniamo quindi ad analizzare i requisiti necessari del contratto di appalto, così come esplicitato dal decreto legislativo n. 276/2003: • oggetto dell’appalto consiste in un obbligo “fare” - diversamente dalla somministrazione che si configura come un obbligo “dare”, dato che il somministratore fornisce solo la forza lavoro da lui assunta ad un terzo che ne utilizza le prestazioni, adattandole al proprio sistema organizzativo; • l’organizzazione dei mezzi219 è l’elemento fondamentale della fattispecie legale e si svolge in relazione all’opera ed al servizio dedotti nel contratto. Al riguardo, un primo terreno di verifica concerne i c.d. processi di “smaterializzazione”220 che mettono a dura prova l’elaborazione giurisprudenziale – che per lungo tempo ha empiricamente imperniato il distinguo tra appalto lecito o illecito ai sensi dell’art. 1 della l. n. 1369/1960, esclusivamente sulla consistenza e sullo spessore degli elementi materiali apportati dall’appaltatore. In effetti fin 218 Il potere direttivo è uno dei mezzi che l’appaltatore – datore di lavoro utilizza per eseguire l’opera o il servizio oggetto dell’appalto. 219 Il Ministero del lavoro con nota 29 novembre 2007 n.15749 e con l’interpello 20 febbraio 2009 n.16 ha chiarito che l’ aspetto essenziale va individuato nell’assunzione a proprio rischio da parte dell’appaltatore che deve esporsi all’eventuale risultato negativo dell’attività se il servizio non è portato a compimento. Il Ministero precisa che la gestione “a proprio rischio” “va oltre il significato economico ma riveste un significato di tipo giuridico nel senso che l’assunzione del rischio nell’esecuzione del rapporto contrattuale è a carico delle parti per quello che ciascuna vi impegna direttamente”. 220 R. DE LUCA TAMAJO “Le esternalizzazioni tra cessione di ramo d’azienda e rapporti di fornitura”, in “Processi di esternalizzazione. Opportunità e vincoli giuridici”, a cura di R. DE LUCA TAMAJO, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2002. 123 quando caratteristica indefettibile dell’iniziativa imprenditoriale era – o si riteneva essere – l’impiego di significativi elementi materiali quali impianti, mezzi e materiali e a questi occorreva guardare per identificare luminosamente una genuina organizzazione imprenditoriale, rispetto ad attività meramente interpositorie221. Il quid pluris o il valore aggiunto alla mera fornitura di lavoratori si rinveniva nell’apparato strumentale dell’appaltatore, ritenendosi che in assenza di questo, non si potesse parlare di un’autonoma impresa dell’appaltatore. Tuttavia l’efficienza scriminante degli strumenti di produzione di tipo materiale si appanna man mano che l’innovazione informatica e l’evoluzione organizzativa consentono il fiorire di nuove realtà produttive caratterizzate da scarsa – o addirittura nulla – pregnanza dei profili strutturali e dalla prevalenza di beni immateriali o di momenti puramente organizzativi della manodopera. La crescente importanza dei beni immateriali in particolare - quali, innanzitutto, i diritti di proprietà intellettuale, cui si affiancano beni di più impercettibile consistenza, come il know how - incidono in maniera sempre più significativa sull’articolazione dell’impresa nella gestione di una serie di contratti commerciali222. Di conseguenza, la progressiva erosione della gestione interna delle attività imprenditoriali, cui viene preferito l’outsourcing, va di pari passo con la crescita del valore economico del patrimonio immateriale di cui l’impresa è dotata223. 221 Cfr. R. ROMEI “Cessione di ramo d’azienda”. Ciò risulta percepibile soprattutto nel settore industriale – manifatturiero, dove ad un successo incentrato sull’accumulazione di beni capitali si va sostituendo un successo incentrato sulla sofisticata elaborazione di progetti, in cui è il bene immateriale che rende l’impresa competitiva. Le fabbriche manifatturiere si trasformano così in studi di progettazione, che appaltano all’esterno la vera e propria “produzione industriale del bene, rinunciando così alla proprietà e alla gestione degli impianti produttivi, con evidenti effetti sull’assetto patrimoniale dell’impresa. Un impareggiabile affresco dell’attuale “de materializzazione” dell’economia è tratteggiato da J. RIFKIN, “La rivoluzione della New economy”, Mondadori, Milano, 2000. 223 Esempi tipici di questa trasformazione si presentano nel settore informatico, dove la produzione della macchina (hardware) è solitamente affidata ad un appaltatore, mentre è sull’insieme di capitali immateriali che si concentra l’azienda 222 124 Escludere a priori tali realtà imprenditoriali “smaterializzate” dall’ambito degli appalti leciti sarebbe palesemente iniquo e frutto di un mancato aggiornamento interpretativo dell’art. 1 della legge del 1960224. Sulla base di simili rilievi, già le Sezioni Unite della Corte di cassazione225 e poi la dottrina226 hanno rilevato che il quid pluris rispetto alla fornitura di manodopera – che ex art. 1 rende legittimo l’appalto – è sempre più frequentemente costituito da soli apporti materiali, quali uno specifico know – how, “appropriate capacità, conoscenze, reti di relazioni, servizi di formazione e aggiornamento professionale, tali che senza di essi la prestazione del singolo dipendente avrebbe minor valore produttivo intrinseco per l’impresa appaltante227. Alla luce del decreto legislativo n. 276/2003 – che ha il pregio di aver recepito gli orientamenti dottrinari e giurisprudenziali sviluppatisi negli anni precedenti - ben può essere dunque considerato genuino anche l’appalto mediante il quale venga fornito un bene o un servizio realizzato mediante l’amalgama e il coordinamento della sola manodopera e di beni immateriali. Del resto la liceità di un appalto che comporti l’utilizzo di mezzi modesti e marginali rispetto all’impiego dei dipendenti già trovava conferma nell’art. 3 della l. n. 1369/1960228. Del resto, in tale direzione si muove anche il Codice Civile, con gli artt. 1655 (che tipizza l’appalto) e 2082 (che definisce l’impresa), che non postulano committente. Allo stato attuale, seppure si delineino nuove tendenze rispetto ai settori interessati dalle pratiche di esternalizzazione, l’outsourcing di servizi informatici costituisce ancora la frontiera di maggiore diffusione dell’esternalizzazione di attività imprenditoriali – ricoprendo da solo, nell’anno 2000, il 20% della spesa annuale per l’affidamento all’esterno di segmenti del processo produttivo. (Cfr i dati dell’Outsourcing Index 2000). 224 R. DE LUCA TAMAJO, “Le esternalizzazioni tra cessione di ramo d’azienda e rapporti di fornitura”, cit. 225 Cfr. Cass. 1990, n. 10183. 226 A partire da O. MAZZOTTA (a cura di), “Nuove tecnologie e rapporti fra imprese”, Giuffrè, Milano, 1990. 227 Così, P. ICHINO, “Il lavoro interinale”, Giuffrè, Milano, 1990. 228 AL’art. 3 della l. n. 1369/1960 ricomprendeva tra gli appalti leciti alcune fattispecie richiedenti un esile apporto strumentale 8facchinaggio, pulizia, manutenzione ordinaria degli impianti, esazione, lettura di contatori). Per questa tipologia di appalti, definiti “a scarsa intensità organizzativa”, si veda M. T. CARINCI “La fornitura di lavoro altrui: interposizione, comando, lavoro temporaneo, lavoro negli appalti”, Giuffrè, 2000; cit. p. 125 e ss. 125 un’indispensabile “componente” materiale, né la compresenza coordinata di tutti i fattori produttivi; essendo sufficiente l’esercizio di un’organizzazione con gestione a rischio, sostanzialmente e in via di principio affiancata dalla necessità di un supporto oggettivo e formale229. In definitiva, più precisamente, ciò che trasforma l’apporto di manodopera in appalto lecito – c.d. genuino – è non tanto e non solo l’”organizzazione dei mezzi”, quanto piuttosto la complessiva organizzazione della prestazione lavorativa, nonché l’”assunzione del rischio d’impresa”230. E’ evidente inoltre che non si avrà appalto qualora vi sia una mancanza dell’effettivo esercizio del potere direttivo da parte dell’appaltatore. Il lavoratore “appaltato” opera sostanzialmente nella sfera direzionale del committente, il quale esercita nei suoi confronti tutti i poteri riconosciuti al datore di lavoro - direttivo, gerarchico e disciplinare - in un vero rapporto lavorativo di tipo subordinato231. • L’appaltatore dev’essere un imprenditore - o un organizzazione imprenditoriale - e come su di lui grava il rischio della realizzazione dell’opera o del servizio pattuito ricorrendo ad una propria organizzazione di mezzi esercitando pertanto in via esclusiva il potere direttivo e organizzativo sul personale impiegato. Appaltatore e committente sono legati dalla responsabilità solidale verso il lavoratore: la coobbligazione solidale del committente può esser fatta valere – dal lavoratore o dall’istituto previdenziale – soltanto entro il termine di un anno dalla cessazione dell’appalto. L’imposizione di questo termine di decadenza si pone in sostanziale continuità con quella dettata dall’art. 4 della 229 R. DE LUCA TAMAJO cit. Con riferimento alla nozione di appalto di cui all’art. 29 del d. lgs. n. 276/2003, cfr. il contributo di R. ROMEI “La distinzione fra interposizione e appalto e le prospettive di certificazione”, cit. 231 Resta inteso che non vi è ingerenza direttiva se il committente si limita a dare indicazioni necessarie al fine di un coordinamento delle diverse attività in campo. 230 126 legge n. 1396/1960 in riferimento alla posizione dei lavoratori utilizzati in un appalto “interno”.232 Quindi si richiede che i lavori appaltati siano svolti da impresa vera e propria, sia sotto il profilo tecnico, sia sotto l’aspetto strettamente economico ed organizzativo. La qualifica di imprenditore non deriva tanto dall’effettiva sussistenza di attrezzature e capitali ma piuttosto dalla presenza di professionalità e continuità, secondo la nozione fornitaci dall’art. 2555 c.c. L’appalto (d’opera) sarà genuino purché vi sia assunzione del rischio di impresa, anche quando l’imprenditore appaltatore non disponga di specifici mezzi ovvero si avvalga di mezzi dell’appaltante, purché il servizio o l’opera in oggetto siano tali da caratterizzarsi per una prevalente necessità di lavoro intellettuale o personale dei lavoratori impiegati nell’appalto. L’interpello 22 ottobre 2009 segnala che nelle ipotesi di utilizzo di mezzi di proprietà dell’appaltante è necessario verificare la sussistenza di una “adeguata regolazione economica dell’utilizzo da parte dell’appaltatore di tali mezzi, oltre che la congrua imputazione del costo di somministrazione di energia, gas, a carico delle imprese appaltatrici, determinato anche in via forfettaria.” In conclusione, la prestazione cui è obbligato l’appaltatore comprende sia l’attività produttiva, sia il risultato del lavoro. Tuttavia, l’attività produttiva è in una posizione di subordinazione funzionale rispetto al risultato del lavoro, essendo dedotta nel contratto come mezzo al fine, per conseguire il risultato promesso. Riassumendo: 232 P. ICHINO, “La somministrazione e appalto”. 127 SOMMINISTRAZIONE APPALTO Il datore di lavoro formale esercita Il datore di lavoro formale è il solo il potere disciplinare, ma reale datore di lavoro in quello direttivo è demandato quanto esercita i poteri dello all’utilizzatore stesso nei confronti del lavoratore Il datore di lavoro formale non Il datore formale conferisce e organizza i mezzi strumentali organizza mezzi strumentali all’esecuzione del servizio all’esecuzione dell’opera Il rischio del risultato è a carico Il rischio del risultato finale dell’utilizzatore del lavoro è a carico dell’appaltante 12.2 Procedure di certificazione. 128 L’articolo 84 del d. lgs. n. 276/2003 è rilevante non solo perché, letto in combinato disposto con l’articolo 29, conferma il contenuto precettivo di quest’ultimo, ma ance in sé e per sé considerato. La disposizione si rivolge infatti ai soggetti che saranno incaricati delle procedure di certificazione utilizzabili anche per convalidare i contratti di appalto. E’ interessante notare come il comma 1 di tale disposizione estenda le procedure di certificazione anche all’appalto sulla base di indici di comportamento elaborati in sede amministrativa, che tengano conto della rigorosa verifica della reale organizzazione dei mezzi e dell’assunzione effettiva del rischio d’impresa da parte del soggetto appaltante. Com’è stato notato233 nel caso di contratto di appalto c’è una rilevante novità rispetto alle ordinarie procedure di certificazione circa la natura autonoma o subordinata del rapporto di lavoro. La possibilità infatti che la certificazione del contratto d’appalto possa avvenire non solo al momento della sua costituzione ma anche nella fase di attuazione del relativo programma negoziale – e cioè durante la sua esecuzione – rende molto più appetibile la procedura di certificazione, oltre che aumentare la sua efficacia come strumento di diminuzione del contenzioso. Come insegna infatti l’esperienza del contenzioso in materia di lavoro subordinato, la maggior parte delle controversie non si radica al momento della costituzione del rapporto – e cioè al momento della conclusione del contratto – ma in un secondo momento, lamentando il lavoratore uno scostamento della fase esecutiva rispetto al programma negoziale concordato in tale contratto. D’altro canto il legislatore non chiarisce, in questo caso di specie, quali siano i rapporti tra l’atto di certificazione ed altre procedure che, sia pure con efficacia 233 L. NOGLER “Procedure di certificazione”, in M. PEDRAZZOLI (coordinato da), op. cit. 129 diversa, possono essere intervenute nella fase che separa la conclusione del contratto di appalto da quella del momento in cui cade la certificazione. Ad esempio, se pare certo che la certificazione non possa travolgere l’efficacia di un accertamento giudiziale, è dubbio quale sarebbe la sorte di un accertamento proveniente da un’autorità amministrativa234. 12.3 Nuove tecniche di tutela. Come noto, la legge n. 1369/1960 prevedeva in caso di c.d. appalti interni e cioè da “eseguirsi all’interno delle aziende”, il diritto per i lavoratori impiegati nell’appalto ad un trattamento non inferiore a quello cui avevano diritto i dipendenti del committente. A tale strumentazione si affiancava poi il meccanismo di protezione ex art. 1676 c.c. in virtù del quale i lavoratori impiegati dall’appaltatore per l’esecuzione del contratto di appalto avevano azione diretta nei confronti del committente per conseguire quanto loro dovuto, fino però a concorrenza del debito che il committente aveva nei confronti dell’appaltatore al tempo in cui la domanda veniva proposta. Il decreto interviene su entrambi gli aspetti, ampliando il raggio della responsabilità solidale, ma al tempo stesso, abrogando il principio della parità di trattamento tra dipendenti dell’appaltatore e dipendenti del committente. E’ quindi indubbio che la scomparsa della regola della parità di trattamento determinerà una maggiore convenienza degli appalti rispetto alla somministrazione, dove invece il principio di parità di trattamento continua a trovare una rigida applicazione. Va pertanto segnalato l’effetto che una siffatta previsione ha sul neonato istituto della 234 R. ROMEI “La distinzione fra interposizione e appalto e le prospettive della certificazione”, in “Le esternalizzazionI dopo la riforma Biagi”, a cura di M. TIRABOSCHI. 130 somministrazione a tempo indeterminato, non essendo certo d’incentivo alla sua definizione – essendo il ricorso all’appalto indubbiamente più conveniente da un punto di vista economico. Così nella somministrazione di lavoro la tutela si appunta anche sul rapporto commerciale che intercorre tra l’imprenditore e l’impresa di somministrazione, conformando imperativamente il contenuto del contratto commerciale di somministrazione che altrimenti dovrebbe ritenersi completamente assoggettato alla volontà delle parti235. Nell’appalto invece la tutela si concreta in un rafforzamento delle ipotesi in cui si prevede una responsabilità solidale a carico del datore di lavoro - imprenditore236: il decreto prevede infatti una responsabilità solidale del committente per tutti i trattamenti retributivi e contributivi dovuti ai dipendenti dell’appaltatore. Ci si trova dinanzi ad una tecnica di tutela che spiega i propri effetti solo indirettamente, agendo sulla scelta della società appaltatrice da parte del committente: la possibilità che quest’ultimo si trovi ad esser chiamato a rispondere per i crediti contributivi e retributivi dei lavoratori dell’impresa appaltatrice - responsabilità che può assumere anche contenuti fortemente gravosi – può indurre il committente a scegliere partner contrattuali affidabili non solo dal punto di vista dell’esecuzione del contratto di appalto ma anche sotto il profilo del rispetto dei trattamenti minimi imposti dalla legge o dal contratto collettivo237. Inoltre, con scelta opportuna il decreto n. 251/2004 ha riformato l’articolo 29 del decreto del 2003, abrogando la distinzione tra appalto di opere e appalto di servizi ed unificando entrambi ai fini della responsabilità solidale del committente – 235 V. SPEZIALE “Somministrazione di lavoro”, in E. GRAGNOLI, A. PERULLI (a cura di), “la riforma del mercato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali”, Cedam, Padova, 2004. 236 Si veda anche L. CORAZZA “”Contractual Integration” e rapporti di lavoro”, CEDAM, 2004, cit. 237 R. ROMEI, cit. 131 rispetto alla quale però il decreto del 2004 fa salva la “diversa previsione dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati da associazioni comparativamente più rappresentative”238. 12.4 Rapporto di lavoro. Il decreto legislativo n. 251/2004 ha aggiunto all’articolo 29 del d. lgs 276/2003 due commi, il primo dei quali – il 3 bis – stabilisce che in caso di violazione di quanto disposto dal comma 1, il lavoratore può chiedere mediante ricorso giudiziale ex art. 414 c.p.c. la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze del soggetto che ne ha utilizzato la prestazione239. La previsione legislativa dettata dall’art. 29 introduce una rilevante novità rispetto al sistema sanzionatorio delineato nell’ambito della legge .n 1369/1960 in quanto la sussunzione formale nell’ambito del contratto di appalto di fattispecie che non rispondono ai requisiti di genuinità ex co. 1, comporta unicamente l’insorgere della facoltà del lavoratore dipendente dall’appaltatore di attivare un procedimento finalizzato al riconoscimento – ope judicis – di un rapporto di lavoro subordinato con l’effettivo utilizzatore della prestazione. Potrebbe ritenersi che, in questo modo, l’ordinamento passi dalla sanzione della nullità del contratto di lavoro – per effetto del quale si determina un’illecita interposizione – a quella dell’annullamento, che sotto un profilo strettamente pratico comporterebbe che solo il lavoratore – e non anche invece altri soggetti astrattamente interessati – 238 “Si tratta di una norma che dunque solo valore suppletivo rispetto alle formulazioni della contrattazione collettiva, che, peraltro è libera di modulare e dimensionare tale obbligo a sua completa discrezione”, R. ROMEI, cit. 239 Si veda anche C. BIZZARRO “Somministrazione irregolare e somministrazione fraudolenta”, cit. 132 potrebbero determinare, con l’azione giudiziaria ex articolo 414. C.pc., l’emersione dell’effettivo rapporto di lavoro costituitosi di fatto con l’appaltante. La pronuncia di riconoscimento del rapporto di lavoro sussistente con l’utilizzatore può essere emessa senza che sia necessaria la partecipazione dell’appaltatore al giudizio: il ricorso infatti può essere notificato anche solo all’utilizzatore. Viene così escluso – a seguito di un deciso e quanto mai opportuno recepimento dei più recenti approdi giurisprudenziali240 - il litisconsorzio passivo necessario tra utilizzatore e appaltatore. Altre forme di esternalizzazione. 13. Trasferimento d’azienda. Art. 2112 c. c.: “ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d'azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l'usufrutto o l'affitto di azienda”241. 240 Si veda in proposito Cass. Sez. Un., 22 ottobre 2002 n. 14897, in AC, 2003, n. 2, 147. La nuova versione dell’art. 2112 c.c. si uniforma alla nozione accolta a livello europeo, recependo un concetto de materializzato di azienda. 241 133 La via maestra delle esternalizzazioni è il trasferimento di una porzione d’azienda242. Ciò comporta l’applicazione dell’articolo 2112 c.c. che ha l’effetto principale di rendere insensibili alla vicenda traslativa i rapporti di lavoro in essere con il cedente, continuando essi con il cessionario, a termini invariati. La dottrina non ha mancato di rilevare come alla tutela della stabilità del lavoro questa norma abbia finito con l’associare una possibilità per l’impresa di espellere quote di personale senza i costi di un licenziamento collettivo e senza la necessitò di acquisire il consenso dei lavoratori243; a tale riguardo è stata evocata una sorta di eterogenesi dei fini dell’articolo 2112 c.c., che da norma posta a presidio della stabilità del lavoro a fronte dei trasferimenti totali o parziali dell’azienda, avrebbe via via assunto la fondamentale finalità di favorire proprio quei trasferimenti, in virtù della cessione ex lege dei contratti di lavoro in capo al cessionario244. E’ bene rilevare peraltro, che il nuovo testo dell’art. 2112 c.c. non si applica a qualsiasi ipotesi di mutamento nella titolarità di una semplice attività intesa come mera somma delle prestazioni di un certo numero di lavoratori, dovendo invece trattarsi di un’attività economica organizzata, laddove è proprio il requisito dell’organizzazione che connota la sussistenza dell’azienda o del ramo d’azienda. Più precisamente un gruppo di lavoratori stabilmente destinati ad un compito comune può costituire un’attività economica organizzata ex art. 2112 c.c. laddove le loro prestazioni lavorative – complessivamente impiegate – si connotano per essere tra loro funzionalmente collegate, sicché il fatto di essere appunto collegate 242 M. DEL CONTE “Rimodulazione degli assetti produttivi tra libertà di organizzazione dell’impresa e tutele dei lavoratori”, in “Le esternalizzazioni dopo la riforma Biagi”, a cura di M. TIRABOSCHI. 243 Tanto da provocare in dottrina l’ipotesi interpretativa in base alla quale dovrebbe essere richiesto ai lavorator il consenso al trasferimento dei contratti di lavoro in capo al cessionario: cfr. F. SCARPELLI, “Trasferimento di azienda ed esternalizzazioni. Le opinioni di Mariella Magnani e di Franco Scarpelli”, in DLRI, 1999. 244 Cfr. C. ZOLI “Contratto e rapporto tra potere e autonomia nelle recenti riforme del diritto del lavoro”, relazione alle giornate di studio Aidlass, Padova, 21 e 22 maggio 2004. 134 aggiunge un quid pluris al valore intrinseco delle singole prestazioni individualmente considerate. Altro aspetto innovativo di questa riformulazione consiste nella previsione che tale attività economica o l’articolazione funzionalmente autonoma trasferita devono essere “preesistenti al trasferimento” e “conservare nel trasferimento la propria identità”. Ne consegue che non può farsi rientrare nel campo di applicazione dell’art. 2112 c.c. l’ipotesi in cui siano cedute attività tra loro eterogenee che siano soltanto potenzialmente suscettibili di essere organizzate per un fine produttivo, ma non siano state, prima della cessione, unitariamente utilizzate come tali dal cedente. Ne consegue anche che l’eventuale ramo d’azienda trasferito – che deve già essere compiutamente delimitato ed autonomo presso il cedente – si deve conservare tale durante il trasferimento, senza cioè alterazioni p smembramenti che ne possano alterare la precedente configurazione, ossia la sua unità economico – funzionale. È indubbio inoltre che – ai sensi dell’art. 2112 – dopo il trasferimento il ramo possa essere modificato dal cessionario per inserirlo nella propria organizzazione, non sussistendo ovviamente alcun vincolo di immutabilità del ramo ceduto245. Ancora, occorre sottolineare che ad integrare il trasferimento d’azienda non è sufficiente la mera successione cronologica di più soggetti nella conduzione dell’azienda, ma occorre una successione giuridica – in virtù della quale si attui un trapasso dell’azienda da un soggetto ad un altro, cioè appunto, un mutamento di 245 S. CIUCCIOVINO “La disciplina del trasferimento d’azienda dopo il d.lgs. 18/2001”, in “I processi di esternalizzazione”, a cura di R. DE LUCA TAMAJO. 135 titolarità 246della stessa. A ragione di ciò si può escludere che la cessione del pacchetto azionario configuri un trasferimento d’azienda247. Analogamente si può escludere che la successione nell’appalto rientri nella nozione di trasferimento accolta dall’art. 2112: quando un nuovo appaltatore subentra al precedente nella gestione di un appalto non si assiste alla successione nella medesima attività economica organizzata, mentre si è in presenza di un mero avvicendamento cronologico tra due imprenditori che svolgeranno l’attività oggetto di appalto a titolo originario con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio248. Per quanto riguarda le novità introdotte in punto di disciplina del rapporto di lavoro dei lavoratori coinvolti nel trasferimento, l’innovazione più rilevante riguarda la successione dei contratti collettivi applicabili al personale passato alle dipendenze del cessionario: il nuovo terzo comma dell’art. 2112 c.c. specifica che “l’effetto di sostituzione si produce esclusivamente tra contratti collettivi del medesimo livello”. Il contratto collettivo, sia esso nazionale, territoriale o aziendale del cessionario, potrà sostituirsi soltanto ad altra fonte collettiva di pari livello del cedente. Infine, significative modifiche si registrano anche con riguardo alla decorrenza dei termini per effettuare l’informazione sindacale. Mentre la precedente formulazione si limitava a stabilire: “quando s’intenda effettuare […] un trasferimento d’azienda […] l’alienante e l’acquirente devono darne comunicazione per iscritto almeno venticinque giorni prima”, il nuovo testo aggiunge a tale previsione l’importante specificazione che i venticinque giorni si 246 Ibidem L’alienazione delle azioni non implica infatti alcun trasferimento del complesso aziendale, atteso che varia solamente l’assetto azionario interno alla società, ma non si verifica un mutamento soggettivo del datore di lavoro. 248 Ex art. 1655 c.c. 247 136 computano a ritroso dal momento in cui “sia perfezionato l’atto da cui deriva il trasferimento o che sia raggiunta un’intesa vincolante tra le parti, se precedente.249” 13.1 Ramo d’azienda. L’ultimo intervento del legislatore sull’articolo 2112 ha riguardato in particolar modo l’aspetto relativo al trasferimento di parte – c.d. “ramo” - dell’azienda, definita al 5° comma come: “articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento” e precisa che si tratta di una nozione specializzata e funzionalizzata “ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo”. Questa peculiare attenzione del legislatore ha fatto parlare di una nozione “giuslavoristica” di azienda e di ramo d’azienda, predisposta in funzione dei particolari interessi tutelati dallo stesso articolo 2112 c.c. e, dunque, distinta dalle nozioni civilistiche o giuscommercialistiche dell’azienda250. Muovendo da queste premesse è possibile spiegare perché il legislatore del 2003 non abbia posto al centro della fattispecie una precisa definizione di ramo d’azienda. 249 Emerge con chiarezza dalla novella legislativa che l’informazione e il confronto sindacale debbano svolgersi tempestivamente quando cedente e cessionario hanno maturato la decisione di trasferire l’azienda e tale decisione trova apposito e puntuale riscontro in un atto giuridico vincolante che impegna reciprocamente le parti, ancorché i contorni dell’operazione economica non siano stati già tutti compiutamente definiti. 250 Cfr. A. MARESCA “L’oggetto del trasferimento: azienda e ramo d’azienda”, in AA. VV. “Trasferimento di ramo d’azienda e rapporto di lavoro”. 137 La novità più rilevante sembra essere quella legata al venire meno di una sorta di presunzione di illegittimità – implicitamente contenuta nel testo del 2001 – del trasferimento di una parte di azienda costituita bensì precedentemente, ma a ridosso della sua cessione251. Secondo la disciplina legale precedente infatti l’ipotetica relazione tra la costituzione del ramo d’azienda ed il suo conseguente trasferimento avrebbe fatto scattare l’ipotesi vietata di contestualità delle due operazioni. Il nuovo testo dell’art. 2112 al contrario consente e quindi favorisce la separazione da parte del cedente di un segmento funzionalmente autonomo dell’attività d’impresa, proprio in vista della sua commercializzazione. Si può affermare che l’attività traslata si caratterizzi senza il necessario apporto di un apparato strumentale ma per un amalgama organizzativo idoneo a trasformare i singoli lavoratori addetti in un insieme capace di sviluppare un’autonoma iniziativa imprenditoriale al fine della produzione di un bene o un servizio252. Decisiva, al fine di delineare il ramo d’azienda oggetto della disciplina ex art. 2112 c.c. è l’organizzazione dei mezzi di produzione, più che il loro spesso re o la loro pluralità e tale organizzazione può anche investire soltanto beni immateriali (come l’avviamento, la clientela, il know how, etc) o forza lavoro, poiché anche il solo coordinamento di questi ultimi può integrare l’esercizio di un’attività imprenditoriale253. Al contempo la norma novellata impone un preciso onere in capo al cedente e al cessionario: identificare, esplicitandola in ogni suo preciso dettaglio in cosa 251 M. DEL CONTE, cit. Così S. CIUCCIOVINO, in senso contrario G. SANTORO PASSARELLI, op. cit., secondo cui non è possibile “dissolvere nello svolgimento della mera attività economica il requisito dell’organizzazione che […] non può esaurirsi nel mero coordinamento di una serie di rapporti di lavoro determinato dal loro collegamento funzionale alla realizzazione dell’attività principale o accessoria”. 253 Sul punto C .CESTER, op. cit. nonché R. DEL PUNTA, “Mercato o gerarchia? Il disagio del diritto del lavoro nell’era delle esternalizzazioni, Diritto del mercato del lavoro”. 252 138 consista l’articolazione funzionalmente autonoma dell’attività economica organizzata che s’intende trasferire254. Il nuovo onere di esplicitazione del bene trasferito posto in capo a cedente e cessionario dovrebbe consentire un più approfondito controllo, sia in sede di confronto sindacale, sia eventualmente, in sede giudiziale. L’allargarsi dello spettro di informazioni sulle caratteristiche del bene ceduto e la possibilità di verifica incrociata fra le comunicazioni di avvio e l’informazione al momento del trasferimento costituiscono elementi di maggior garanzia per i lavoratori sulla trasparenza e la correttezza dell’operazione. 13.2 Riacquisizione delle funzioni mediante contratto di appalto. Nel decreto legislativo n. 276/2003 viene tipizzato un collegamento negoziale tra il contratto di trasferimento di parte d’azienda e il conseguente contratto di appalto che garantisce la riacquisizione della funzione svolta dal ramo di azienda trasferito al fine di costituire un particolare regime di responsabilità solidale255. Ci si riferisce a quanto disposto dall’art. 32 d. lgs. n. 276/2003, ultimo comma: “all'articolo 2112 del codice civile e' aggiunto, in fine, il seguente comma: «Nel caso in cui l'alienante stipuli con l'acquirente un contratto di appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo d'azienda oggetto di cessione, tra appaltante e appaltatore opera un regime di solidarietà di cui all'articolo 1676».” 254 Cfr. S. LIEBMAN “La disciplina collettiva applicabile ai lavoratori trasferiti”, in AA. VV. “Trasferimento di ramo d’azienda e rapporto di lavoro”. 255 E’ noto che il collegamento contrattuale può risultare legislativamente fissato ed è quindi tipico, come accade nella disciplina della sublocazione contenuta nell’art. 1595 c.c., ma può anche essere atipico, in quanto espressione dell’autonomia contrattuale indicata nell’art. 1322 c.c.. il collegamento negoziale tuttavia, non comporta necessariamente un condizionamento reciproco, ben potendo accadere che uno soltanto dei contratti sia subordinato all’altro e non anche viceversa. Cfr. in questi termini, Cass. 28 giugno 2001, n. 8844, in GI, 2002 e, nello stesso senso, Cass. 9 settembre 1998 n. 8910, GI, 1999. 139 Tale regime di solidarietà obbliga in solido committente e appaltatore di un’opera o servizio, entro il limite di un anno dalla cessazione dell’appalto a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti256, salvo diverse previsioni dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative. Si tratta di una profonda novità rispetto al passato: per la prima volta infatti viene riconosciuta a livello normativo la fattispecie complessa di cessione di un segmento dell’azienda al fine di riacquisirne, mediante appalto, l’utilità d’impresa. Viene così sperimentata una tecnica di tutela innovativa che, pur non influendo sulla libertà organizzativa dell’impresa, ne stimola una condotta virtuosa sia sotto il profilo dell’efficienza di sistema che sotto il profilo della salvaguardia delle garanzie per i lavoratori. Pertanto, in primis, la garanzia patrimoniale per i crediti dei lavoratori trasferiti insieme al ramo d’azienda si estende al committente, che è, nella maggior parte dei casi, il soggetto economicamente più dotato. In secundis vengono scoraggiate le operazioni di esternalizzazione “a perdere”, realizzate cioè al dissimulato fine di liberarsi di un segmento improduttivo dell’impresa, senza dover sostenere i costi materiali e “sindacali” di una procedura di mobilità. Se infatti l’appalto venisse affidato ad un’inconsistente impresa costituita ad hoc dallo stesso cedente, ovvero da altra impresa autonoma e già operante, ma comunque incapace di resistere sul mercato per mancanze di risorse finanziarie o professionali, il committente finirebbe con il sopportare il pesante 256 Si veda, punto 15 “nuove tecniche di tutela” (in materia di appalto). 140 onere dei crediti dei lavoratori e, in tal caso, a nulla varrebbe un’eventuale garanzia in manleva offerta dall’appaltatore insolvente. 14. Distacco “Che il distacco si possa inserire nel quadro generale delle esternalizzazioni è affermazione vera e inverosimile allo stesso tempo. Vera perché è indubbio che, tecnicamente, portare fuori dall’azienda un lavoratore affinché soddisfi un interesse del suo datore di lavoro significa esternalizzare una frazione produttiva dell’impresa; inverosimile perché nei fatti, la rimodulazione dell’organizzazione produttiva non può passare attraverso lo strumento del distacco: dalla lettura dell’art. 30 d. lgs. n. 276/2003 emerge un istituto di applicazione tendenzialmente residuale, utile a soddisfare esigenze contingenti e temporanee e relativo ad attività particolari.257” L’istituto del distacco ha trovato una sua compiuta disciplina legale nell’ambito dei rapporti di lavoro privatistici258 soltanto di recente. Il distacco è infatti ora 257 M. DEL CONTE “Rimodulazione degli assetti produttivi tra libertà di organizzazione dell’impresa e tutele dei lavoratori”, in “Le esternalizzazioni dopo la riforma Biagi”, a cura di M. TIRABOSCHI. 258 Come noto il distacco e il comando – termini che nel rapporto di lavoro privato sono sinonimi e spesso costituiscono un’endiadi (così P. ICHINO, “Il contratto di lavoro”) – sono invece istituti esplicitamente regolamentati, con una disciplina parzialmente difforme da quella di cui all’art. 30 del d. lgs. n. 27672003, nel pubblico impiego (artt. 56 – 57, T.U. n. 3/1957). 141 definito e regolato all’articolo 30 del decreto legislativo 10 settembre 2003 n. 276, di attuazione dell’articolo 1 co. 2, lettera m), n. 3 della legge 14 febbraio 2003, che non trova applicazione ai rapporti di lavoro nell’ambito della Pubblica Amministrazione259. L’art. 30 recita: “l'ipotesi del distacco si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l'esecuzione di una determinata attività lavorativa. In caso di distacco il datore di lavoro rimane responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore. Il distacco che comporti un mutamento di mansioni deve avvenire con il consenso del lavoratore interessato. Quando comporti un trasferimento a una unità produttiva sita a più di 50 km da quella in cui il lavoratore e' adibito, il distacco può avvenire soltanto per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive.” Il distacco si realizza legittimamente allorché un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di un altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa. L’operatività dell’istituto viene ora a collocarsi in contesto normativo che sì 259 Sull’esclusione del settore pubblico dal campo d’applicazione della riforma Biagi del mercato del lavoro cfr. l’art. 1 co. 2 e l’art. 86 co. 8 del d. lgs. n. 276/2003. In dottrina cfr, per tutti, S. MAINARDI, R. SALOMONE, “L’esclusione dell’impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni”, in F. CARINCI (coordinato da), “Commentario al d. lgs. 10 settembre 2003 n. 276”, Ipsoa, Milano, 2004. 142 registra l’abrogazione espressa della legge n. 1369/1960 ma che tuttavia non dispone il venir meno del divieto di interposizione nei rapporti di lavoro, stante il regime delle autorizzazioni260. Per chiarire il nuovo quadro legale tracciato dall’art. 30 del d. lgs. n. 276/2003 è peraltro opportuno ripercorrere brevemente il nesso esistente con gli altri due istituti disciplinati dal Titolo III dello stesso decreto: la somministrazione di lavoro e l’appalto. Sotto il profilo funzionale si tratta in tutti e tre i casi di strumenti di organizzazione dell’attività produttiva secondo una logica di esternalizzazione del lavoro. Si distinguono però sotto il profilo della struttura: la somministrazione e il distacco infatti - diversamente dall’appalto genuino - integrano un’ipotesi di interposizione nei rapporti di lavoro, dato che un soggetto è formalmente titolare del rapporto di lavoro e un altro ne utilizza di fatto la prestazione lavorativa. A loro volta poi, somministrazione e distacco si differenziano tra di loro in ragione dell’interesse del datore di lavoro interposto261. Infatti, mentre nella somministrazione di lavoro l’interesse è tipico e consiste nel corrispettivo per la fornitura di manodopera, nel distacco invece l’interesse che legittima l’istituto coincide con un interesse produttivo e organizzativo del datore di lavoro distaccante262 che non può in nessun caso concretizzarsi nell’interesse a percepire 260 Non solo il divieto d’interposizione nei rapporti di lavoro rimane confermato, ma viene coerentemente sostenuto, sul piano dell’effettività e della congruità rispetto al tipo di beni lesi, da un robusto apparato sanzionatorio della somministrazione irregolare e della somministrazione fraudolenta di lavoro altrui; cfr. P. PENNESI “Interposizione nelle prestazioni di lavoro, abrogazione della l. n. 1369/1960 e contenzioso in atto” e S. CAROTTI “Il nuovo regime sanzionatorio in materia d’intermediazione e interposizione nei rapporti di lavoro”, entrambi in P. OLIVELLI, M. TIRABOSCHI (a cura di), “Il diritto del mercato del lavoro dopo la riforma Biagi”, Giuffrè, Milano, 2005. 261 In questo senso, S. MAGRINI, cit. 262 Come anche specificato dalla circolare Min. lav. n. 3/2004, “ciò che differenzia il distacco dalla somministrazione è solo l’interesse del distaccante. Mentre il somministratore realizza il solo interesse produttivo della somministrazione a fini di lucro, il distaccante soddisfa un interesse produttivo diversamente qualificato, come l’interesse al buon andamento della società controllata o partecipata”. 143 un mero corrispettivo, ovvero a eludere le nuove disposizioni in materia di somministrazione di lavoro263. Più precisamente, condizione di liceità della somministrazione è che il prestatore di lavoro svolga la sua prestazione di lavoro a soddisfacimento dell’interesse dell’utilizzatore. Il diverso interesse del datore di lavoro nel distacco comporta inoltre che la prestazione del lavoratore sia resa in esecuzione dell’unico rapporto di lavoro con il distaccante. L’atto di assegnazione temporanea ad un altro datore di lavoro costituisce pertanto esercizio del potere direttivo e organizzativo del distaccante: non è quindi necessario il consenso del lavoratore264.265 Il comune dato dell’interposizione comporta per altro verso che la fattispecie del distacco e quella della somministrazione possano essere assimilate nella fase dell’esecuzione della prestazione legittimando, così, il ricorso all’analogia per quanto attiene ai profili della regolamentazione dei rapporti fra le parti. Non solo, ove il distacco intervenga in assenza dei requisiti di legittimità individuati dall’articolo 30 del decreto legislativo n. 276/2003, il lavoratore può agire nei confronti del datore di lavoro per chiedere la costituzione del rapporto di lavoro con l’utilizzatore266, così come accade in ogni altra ipotesi di somministrazione irregolare267. Ulteriormente diversa è l’ipotesi dell’appalto; in questo caso viene esternalizzata una fase dell’attività imprenditoriale e il vantaggio che l’appaltante trae dalla 263 C. BIZZARRO, M. TIRABOSCHI “La disciplina del distacco nel decreto legislativo n. 276/2003”, in “Le esternalizzazioni dopo la riforma Biagi”, a cura di M. TIRABOSCHI. 264 Ma contra sulla necessità del consenso del lavoratore S. MAGRINI, op. cit. 265 Nella somministrazione, di contro, il lavoratore che stipula il contratto con l’agenzia di somministrazione presta necessariamente il proprio consenso a rendere la prestazione presso un soggetto terzo nell’interesse del quale tale prestazione dovrà essere eseguita, cfr. CASSANETI, L. FAILLA “Potere direttivo e potere disciplinare”. 266 Cfr. il comma 4 – bis dell’art. 30, d. lgs. n. 276/2003, introdotto dall’art. 7 del d. lgs. n. 251/2004. 267 Amplius sul punto C. BIZZARRO, “Somministrazione irregolare e somministrazione fraudolenta”, cit. 144 forza lavoro altrui è indiretto: è l’appaltatore che, a proprio rischio e tramite la propria organizzazione d’impresa, realizza il risultato oggetto dell’appalto – avvalendosi anche dell’elemento produttivo dato dalla propria forza lavoro268. Proprio il confronto tra appalto e distacco consente di chiarire la differenza che ricorre in dottrina allorquando si distingue il distacco proprio dal c.d. distacco improprio269. Nell’ipotesi di distacco improprio, ad esempio nell’ambito di un appalto di servizi eseguito presso il committente, quest’ultimo non esercita alcun potere tipico del rapporto di lavoro subordinato sui lavoratori dipendenti dell’appaltatore e, in particolare, non esercita il potere direttivo. L’articolo 29 co. 1 del d. lgs. n. 276/2003, nel precisare i criteri per la distinzione tra appalto genuino e interposizione vietata contempla espressamente – nel senso di escludere la legittimità dell’appalto – l’esercizio da parte del committente del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei dipendenti dell’appaltatore270. Di contro, nel distacco proprio, in funzione della realizzazione dell’interesse datoriale che lo legittima, il distaccante delega al distaccata rio l’esercizio dei poteri tipici del datore di lavoro e cioè il potere organizzativo e quello direttivo, rimanendo tuttavia in capo al datore di lavoro distaccante il diritto di richiamare il lavoratore in qualsiasi momento ovvero di risolvere, ove ne sussistano i presupposti, il contratto di lavoro con il lavoratore distaccato271. 268 Sull’appalto e i criteri distintivi rispetto all’interposizione cfr. R. ROMEI “La distinzione tra interposizione e appalto e le prospettive della certificazione”. 269 Tale distinzione è riconducibile all’elaborazione di S. MAGRINI, op. cit. 270 Sembra opportuno osservare che tale criterio acquista un’importante valenza sistematica, perché si affianca a quello tradizionale riguardante la proprietà dei mezzi di produzione quale indice del progressivo mutamento del concetto d’impresa come caratterizzata non tanto dalla proprietà dei mezzi di produzione quanto dall’organizzazione. Per l’approfondimento di questo aspetto si rinvia a M. TIRABOSCHI “Somministrazione di lavoro, appalto di servizi, distacco”, op. cit. 271 Cfr. Cass. n. 10771/2001, cit. 145 14.1 Interesse del distaccante. Secondo la circolare n. 3/2004 il requisito dell’interesse del distaccante è così descritto: “il distacco può essere legittimato da qualsiasi interesse produttivo del distaccante che non coincida con quello della mera somministrazione”. La stessa circolare precisa inoltre che l’interesse deve perdurare per tutto il tempo del distacco in funzione dell’interesse che il distacco mira a soddisfare. La giurisprudenza di legittimità ha qualificato tale interesse come specifico272, rilevante, concreto e persistente273, mentre la dottrina lo ha qualificato come diretto e non fraudolento274. Coerentemente sembra disporre lo stesso articolo 30 co. 1, ove prevede che l’attività lavorativa sia determinata: tale determinazione permette infatti di valutare la sussistenza in concreto dell’interesse ed è coerente con la disposizione di cui al comma 3 del medesimo articolo 30, ove si stabilisce che il lavoratore debba manifestare il proprio consenso nel caso si verifichi un mutamento di mansioni in seguito al distacco: evidentemente tale consenso presuppone l’individuazione dell’attività lavorativa richiesta. 14.2 Temporaneità del distacco. Al requisito dell’interesse si aggiunge quello della temporaneità del distacco che, individuato già dalla giurisprudenza275, è stato recepito dall’articolo 30 del d. lgs. n. 276/2003: la natura temporanea del distacco diventa un nuovo elemento 272 Cass. n. 7743/2000, cit. Cfr. Cass. n. 5907/1993, cit. 274 Cfr. A. PIZZOFERRATO, “Prestito di lavoro”, cit. 275 Cfr. Cass. n. 14458/2000, cit.; Cass. n. 7743/2000, cit.; Cass. n. 7762/1996 cit. 273 146 scriminante rispetto alla somministrazione. Temporaneità, in questo senso, non è sinonimo di brevità ma, più semplicemente di non definitività276 . La giurisprudenza ha coerentemente aggiunto che la dimensione temporale è connessa all’interesse di modo che la durata del distacco non deve necessariamente essere predeterminata, rimanendo necessario che l’interesse perduri per tutto il tempo del distacco277.278. 14.3 Consenso del lavoratore. Il consenso del lavoratore non è un elemento costitutivo della fattispecie in esame, ex art. 30 d. lgs. n. 276/2003279: infatti se il distacco si configura come legittimo esercizio, da aprte del datore di lavoro del proprio potere organizzativo, il consenso del lavoratore non è richiesto, stante il dovere di obbedienza ex articolo 2104 c.c.280. Come noto, il potere del datore di lavoro di modificare unilateralmente le modalità di esecuzione della prestazione è sottoposto ai limiti di cui all’art. 2103 c.c.. L’art. 30 co. 3 prevede però la disciplina del mutamento delle mansioni nell’ipotesi del distacco, nonché quella riguardante il mutamento del luogo di esecuzione della prestazione. La norma in esame prevede che qualora il distacco comporti un mutamento di mansioni è necessario il consenso del lavoratore. In tal senso si muove anche la circolare interpretativa del Ministero n. 3/2004 che dice: “il consenso del lavoratore vale a ratificare l’equivalenza delle mansioni laddove 276 Cass. n. 14458/2000, cit. Cfr. Cass. n. 7328/1992, cit. 278 Come ha peraltro, anche ribadito la circolare n. 3/2004. 279 Cfr. Cass. 14458/2000, cit. e Cass. n. 5907/1993, cit. 280 Cass. n. 14458/2000, cit. 277 147 il mutamento di esse, pur non comportando un demansionamento, implichi una riduzione e/o specializzazione dell’attività effettivamente svolta, inerente al patrimonio professionale del lavoratore stesso.” Con riferimento alla nozione di equivalenza si è osservato ch’essa costituisce lo strumento affinché si raggiunga lo scopo di tutela perseguito dalla norma: evitare una lesione della professionalità del lavoratore281. E più specificatamente, l’equivalenza in senso professionale non deve valutarsi “con riferimento ai livelli professionali astrattamente individuati dalla contrattazione collettiva, ma piuttosto con riferimento al concreto contenuto della prestazione di lavoro282. In questo senso, la nozione di equivalenza comporta che possono essere attribuite al lavoratore mansioni coerenti con la capacità professionale dedotta nel contratto con la conseguenza che il limite al mutamento di mansioni diviene più rigoroso con l’aumentare del livello di qualificazione o specializzazione283. Non è, di contro, considerata esplicitamente l’ipotesi in cui durante il distacco il lavoratore consegua una qualifica superiore: la giurisprudenza ha riconosciuto tale possibilità laddove le mansioni svolte a favore del terzo fossero omogenee rispetto a quelle precedentemente svolte a favore del datore di lavoro284. E in questo senso depone anche l’esplicita previsione di cui all’articolo 23 co. 6 del d. lgs. n. 276/2003 in materia di somministrazione: l’utilizzatore ha l’obbligo di dare immediata comunicazione scritta al somministratore nel caso in cui adibisca il lavoratore a mansioni superiori o comunque mansioni non equivalenti. 281 In questo senso l’ampia argomentazione di M. BROLLO, op. cit. Cfr. M. BIAGI, M. TIRABOSCHI “Istituzioni di diritto del lavoro” Giuffrè, Milano, 2004, nonché Cass. 15 febbraio 2003 n. 2328, in MGC, 2003. 283 P. ICHINO “Il contratto di lavoro”, Giuffrè, Milano, 2003. 284 Cfr. Cass. 20 giugno 1990 n. 6181, in MGL, 1990. 282 148 14.4 Fattispecie a confronto: distacco e trasferimento. Il distacco ove legittimo, è per definizione temporaneo; non solo, esso comporta che l’unità produttiva cui il lavoratore è adibito sia estranea all’organizzazione del datore di lavoro. Conseguentemente la giurisprudenza ha escluso che la disciplina del trasferimento sia immediatamente applicabile alla fattispecie in esame285. Si può però concludere citando l’art. 30 del d. lgs. n. 276/2003 che permette eccezionalmente l’applicazione del trasferimento al distacco nelle ipotesi – nella pratica più frequenti – in cui quest’ultimo comporti uno spostamento della sede di lavoro, ove si svolge la prestazione del lavoratore distaccato, di più di 50 km rispetto a quella originaria. 15. Il nuovo regime sanzionatorio dopo il decreto legislativo n. 251/2004. Una delle novità più rilevanti introdotte nel decreto legislativo n. 276/2003 dal testo del decreto legislativo 6 ottobre 2004 n. 251 è stata la rimodulazione del sistema sanzionatorio286 operata attraverso la pressoché integrale riscrittura dell’articolo 18 del primo decreto attuativo della legge 14 febbraio 2003 n. 30, dedicato ad una fondamentale tutela sanzionatoria, di tipo penale ed amministrativo, del lavoratore sul mercato del lavoro, con particolare riferimento 285 Cfr. Cass. n. 132571988, cit. secondo cui “il comando non postula perché possa essere disposto, l’esistenza delle condizioni di cui all’art. 2103 c.c.; e ciò anche in considerazione della diversa situazione oggettiva disciplinata dalla suddetta norma, ossia lo spostamento del lavoratore da un’unità all’altra della stessa azienda e non presso un’azienda con soggettività diversa. Conseguentemente il criterio in essa contenuto, se pure utilizzabile in qualche caso, non è assumibile a governo del diverso istituto in questione che interessa soggetti giuridici con propria autonomia”. 286 Per un primo interessante contributo all’analisi del sistema sanzionatorio ridefinito dal decreto correttivo, cfr. C. BIZZARRO, G. BOCCHIERI, “Il nuovo regime sanzionatorio in materia di somministrazione, appalti, distacco”, in “La riforma Biagi. Il decreto correttivo”, in GLav, 2004. 149 all’attività delle agenzie per il lavoro di somministrazione (generaliste e specialiste) e al lavoro somministrato. 16. Somministrazione abusiva “La somministrazione abusiva (in uno con l’utilizzazione illecita) altro non è se non la vecchia interposizione illecita di manodopera287, vale a dire l’affitto di mere prestazioni di lavoro da parte di un soggetto non autorizzato.288” Il d. lgs. n. 251/2004 ha contribuito in maniera chiara a delineare i contorni normativi delle ipotesi di reato che vengono integrate dall’esercizio abusivo della somministrazione di lavoro e dall’utilizzazione illecita dei lavoratori abusivamente somministrati289. Dovrà quindi discutersi di due distinte figure di reato: • il reato di somministrazione abusiva, commesso dal somministratore che senza autorizzazione esercita le attività di somministrazione di lavoro a termine o tempo indeterminato290; 287 P. RAUSEI “Il nuovo regime sanzionatorio alla luce del decreto legislativo n. 251/2004”. Tanto deve ritenersi valida tale ricostruzione che lo stesso testo del decreto attuativo fa espresso richiamo alla nozione di interposizione illecita con riferimento alle nuove ipotesi di somministrazione e di appalto già all’art. 18 co. 6 e assai più chiaramente nell’art. 84 dove figura perfino in rubrica, con ciò confermando la piena permanenza dell’illiceità della condotta interpositoria non autorizzata e fittiziamente celata in un appalto irregolare. 289 Sia consentito il rinvio per un approfondimento sull’impatto normativo complessivo del d. lgs. n. 251/2004 a P. RAUSEI “Le novità del correttivo alla Riforma del lavoro”, in DPL, 2004 n. 43, inserto. 290 Art. 18, co. 1 d. lgs. n. 276/2003. 288 150 • il reato di utilizzazione illecita, commesso dall’utilizzatore che ricorre alla somministratore di prestatori di lavoro da parte di soggetto non autorizzato e li occupa nella propria attività lavorativa291. Per come sono strutturati, i due reati non possono non configurarsi simultaneamente, divendendo riconducibili alle formule unitarie del “reato composto”, ovvero di una fattispecie di reato plurisoggettivo eventuale proprio292. Nella scala ideale di gravità crescente delle ipotesi di somministrazione in violazione delle disposizione vigenti, al grado più basso si colloca la somministrazione irregolare, che viene sanzionata in capo al somministratore e all’utilizzatore con una sanzione amministrativa e non penale – seppure affiancata da importanti riflessi civilistici293; all’estremo opposto troviamo invece la somministrazione fraudolenta294 che consiste in un illecito penale. Il reato di somministrazione abusiva - solo parzialmente, analogo alla vecchia “interposizione illecita di manodopera”295 – è un reato proprio del somministratore al quale fa da pendant il reato di utilizzazione illecita; ma le due fattispecie permangono in ogni caso distinte, sia pure in un’ottica unitaria di ricomposizione fra le due violazioni. La somministrazione abusiva si configura come reato: - contravvenzionale296: la contravvenzione de qua si presenta come reato di azione che necessita di una condotta attiva, non essendo sufficiente a realizzarlo una mera partecipazione omissiva da parte del soggetto agente; 291 Art. 18, co. 2 d. lgs. n. 276/2003. Su questi punti si veda A. CADOPPI, P. VENEZIANI, “Elementi di diritto penale. Parte generale”, Cedam, Padova, 2002. 293 Sugli effetti dell’art. 27 co. 1 del d. lgs. n. 276/2003 e più in generale sulla somministrazione irregolare v. C. BIZZARRO, “Somministrazione irregolare e somministrazione fraudolenta”. 294 Quanto agli effetti della somministrazione fraudolenta (art. 28, d. lgs. n. 276/2003), che non è stata toccata dal d. lgs. n. 251/2004, si veda ancora BIZZARRO, “Somministrazione irregolare e somministrazione fraudolenta”, cit. 295 L’analogia con la vecchia normativa era più evidente rima dell’intervento correttivo dell’art. 4 d. lgs. n. 251/2004. 296 Esattamente come la vecchia interposizione illecita di manodopera. 292 151 - a struttura unitaria; - istantaneo con effetti permanenti297. Sotto altro profilo ci troviamo di fronte ad una contravvenzione di pericolo, in quanto la realizzazione concreta del fatto di reato non abbisogna in nessun modo di una “prova di danno” per essere accertata sussistente: né lo Stato, né i lavoratori – che nel caso di specie sono i soggetti tutelati (e quindi le persone offese dal reato) hanno la necessità di dare prova o dimostrazione di qualsivoglia danno subito, essendo sufficiente la somministrazione abusiva di lavoratori, presso un qualsiasi utilizzatore, per sé sola considerata, a determinare la reazione punitiva dell’ordinamento in ragione dell’antigiuridicità del comportamento attivo di chi senza rispettare i criteri legali, ha fornito mere prestazioni di manodopera298. Elementi tipici della fattispecie in esame sono: 1) contratto di somministrazione di lavoro, sia pure non formalizzato in un documento scritto, proposto ad un qualsiasi utilizzatore, pubblico o privato, da un soggetto comunque non autorizzato - perché non costituito in forma di agenzia per il lavoro ovvero non autorizzato come tale, o anche perché pur essendo un’agenzia, non risulta iscritto alla sezione dell’Alno nazionale che rende possibile e lecita la fornitura di manodopera; 2) partecipazione psicologica del somministratore alla fattispecie illecita realizzata, sotto il profilo almeno della condotta colposa; 3) da ultimo, il reato di somministrazione abusiva potrà considerarsi integrato con la verifica dell’effettiva utilizzazione delle prestazioni lavorative dei lavoratori oggetto del contratto di somministrazione, illecitamente occupati e impiegati 297 Secondo la dottrina prevalente; nello stesso senso anche S. VERGARI “L’apparato sanzionatorio della riforma del lavoro”, in L. FIORILLO, A. PERULLI (coordinato da) Il nuovo diritto del lavoro, Rapporto individuale e processo del lavoro, volume II, Giappichelli, 2012. 298 Si veda sul punto P. ICHINO “Commento agli articoli 20 – 28”, in L. MONTUSCHI, F. LISO, M. PEDRAZZOLI et AL., op. cit. 152 nell’attività lavorativa interessata dall’operazione o in altra pure diversa a favore e nell’interesse dell’utilizzatore. Ciò che il legislatore viene a vietare non è soltanto lo sfruttamento della manodopera abusivamente somministrare per essere illecitamente utilizzata, ma già, in un momento antecedente – in senso logico e cronologico – la mera sottoscrizione del contratto di somministrazione, in ogni caso, il raggiungimento di un accordo negoziale in tal senso tra il somministratore non autorizzato e l’utilizzatore, vale a dire semplicemente l’aver concretato una fattispecie lavoristica, resa lecitamente condizionatamente dal sistema normativo del lavoro, fuori dagli schemi legalmente previsti e obbligati299. Soggetto attivo del reato è in primis l’agenzia di somministrazione che esercita l’attività di fornitura di manodopera a tempo determinato o indeterminato e, a tal fine, stipula contratti priva della necessaria autorizzazione ministeriale e della conseguente iscrizione all’Albo delle agenzie per il lavoro, nella sezione deputata. Non è quindi la mera negoziazione fra somministratore e utilizzatore, ma l’effettivo utilizzo dei lavoratori somministrati a dar luogo alla concreta punibilità del reato in oggetto300. 301 L’elemento oggettivo del reato è dunque integrato dall’attivazione di un contratto di somministrazione di lavoro da parte di soggetti non iscritti regolarmente all’Albo delle agenzie per il lavoro. 299 Per una sintesi sulla disciplina previgente, con riguardo al punto specifico, si rinvii a P. RAUSEI “Appalto di manodopera”, in DPL, 2002 N. 30, inserto. 300 Analogamente argomenta anche S. VERGARI “L’apparato sanzionatorio nella riforma del mercato del lavoro. 301 Secondo infatti il dato normativo “l’esercizio non autorizzato” dell’attività della somministrazione si concretizza sempre e solo se e quando i prestatori di lavoro oggetto di somministrazione vengono ad essere effettivamente impiegati dall’utlilizzatore”. 153 Per quanto concerne la pena prevista dall’articolo 18, si tratta di una pena proporzionale impropria, ovvero di una pena a proporzionalità progressiva302, dove rilevano due elementi distinti: la base sanzionatoria stabilita in misura fissa predeterminata dal legislatore e il coefficiente moltiplicatore che varia secondo le concrete circostanze di fatto verificatesi nella fattispecie sottoposta ad accertamento303. L’inciso finale del novellato articolo 18 co. 1 del d. lgs. n. 276/2003 impone di riferire la sanzione penale accessoria della confisca del mezzo di trasporto eventualmente utilizzato a tutte le attività richiamate dalla norma sanzionatoria, compresa quella di somministrazione abusiva304 16.1 Somministrazione abusiva aggravata. La lettera dell’articolo 18 co. 1 del d. lgs. n. 276/2003 a seguito dlel’intervento legislativo del 2004, prevede con assoluta chiarezza che nel caso in cui la somministrazione abusiva avvenga con sfruttamento di minori, la pena risulti notevolmente aggravata: l’ammenda viene aumentata fino al sestuplo (300 euro per ciascun lavorator e per ciascuna giornata) e si applica congiuntamente alla 302 Si tratta di una tecnica sanzionatoria di largo impiego nell’ambito del diritto penale del lavoro, cfr. M. ROMANO “Commentario sistematico del codice penale”, Giuffrè, Milano, 1995; T. PADOVANI “Diritto penale del lavoro. Profili generali”, Giuffrè, Milano, 1990. 303 La presenza di una pluralità di soggetti passivi e il riferimento al singolo rapporto di lavoro depongono come meri dati di individuazione della concreta fattispecie illecita che, peraltro, nasce da un’identica e unitaria fonte negoziale illecita, così come unica è la sanzione criminale, commisurata, solo quanto a gravità, al numero di unità di personale sfruttato e al tempo dell’impiego. Cfr. sia pure con riferimento alla medesima struttura della pena di cui all’rt. 2 della l. n. 1369/1960: T. PADOVANI “Diritto penale del lavoro. Profili generali” e “Reati contro l’attività lavorativa”, in Enc. Dir., 1987, vol. XXXVIII. 304 Il precedente storico immediato di tale disposizione, seppure con riferimento al “sequestro” e non alla confisca, si rinviene nel corpo dell’abrogato art. 27, co. 1 della l. n. 264/1949, nonché nell’art. 20 co. 1 del d.l. n. 7/1970, convertito in l. n. 83/1970. Nel primo caso il legislatore colpiva l’esercizio abusivo della mediazione nell’avviamento al lavoro, nel secondo caso si sanzionava la medesima attività nello specifico settore dell’agricoltura: in entrambe le ipotesi in aggiunta alla pena dell’ammenda, come oggi è nel d. lgs. n. 276/2003, si prevedeva il sequestro del mezzo di trasporto se adoperato al fine illecito. 154 pena detentiva dell’arresto fino a 18 mesi: si tratta di una vera e propria circostanza aggravante305, che colpisce il somministratore che invii al lavoro presso l’utilizzatore i bambini o i miniori che non hanno compiuto i 15 anni di età e comunque che non hanno concluso il periodo di istruzione obbligatoria. Analogamente su può parlare di “sfruttamento” di minori anche per quanto riguarda l’adibizione al lavoro degli adolescenti – il minore tra i 15 e i 18 anni di età che ha concluso l’obbligo scolastico – nelle mansioni, nei processi e nei lavori espressamente valutati e considerato dall’articolo 6 della legge n. 977/1967306. Sul punto, conclusivamente, valga il rilievo circa l’opportunità sostanziale, non colta dal legislatore della riforma, in un’ottica di proporzionalità della pena costituzionalmente orientata (articolo 27 Cost.), di prevedere una pena diversificata per il reato aggravato di somministrazione abusiva e per quello di utilizzazione illecita rispetto all’intermediazione abusiva aggravata, dovendosi considerare la maggiore gravità del comportamento del soggetto che somministra e utilizza un minore sfruttandone l’attività lavorativa al di fuori delle ipotesi previste dalla legge, rispetto a chi – analogamente pur da censurare – effettua attività abusiva di intermediazione nei confronti di minori o avvalendosi degli stessi contra legem307. 16.2 Utilizzazione illecita. 305 Parla di “reato complesso in senso stretto” in virtù dell’introduzione dell’aggravante di cui nel testo M. MANTOVANI “Commento agli articoli 18 e 19”, in P. RAUSEI (a cura di) “Illeciti e sanzioni. Manuale operativo del diritto sanzionatorio del lavoro”, II edizione, Ipsoa, 2007, Trento. 306 Sul punto, cfr. P. RAUSEI “Lavoro e previdenza: sistema sanzionatorio”, in DPL – Oro, 2003. 307 P. RAUSEI “Il nuovo regime sanzionatorio alla luce del decreto legislativo n. 251/2004.”, in “Le esternalizzazioni dopo la riforma Biagi”, a cura di M. TIRABOSCHI. 155 Allo stesso modo del somministratore, si rende “correo”, quale concorrente diretto necessario dell’unitaria figura del reato composto di “interposizione illecita di manodopera” – nelle nuove forme della somministrazione abusiva di lavoratori illecitamente utilizzati – l’utilizzatore che ricorre appunto, alla somministrazione di mere prestazioni di lavoro da parte di un soggetto (pseudo agenzia) non autorizzato all’esercizio di siffatta attività. Sotto un profilo soggettivo, ci troviamo quindi davanti - ancora oggi come già durante la vigenza della l. n. 1369/1960 - ad un reato plurisoggettivo proprio: se da una parte il somministratore opera senza essere preventivamente munito della prescritta apposita autorizzazione rilasciata dal Ministero del welfare, dall’altra, il datore di lavoro che utilizza i lavoratori in base alla somministrazione abusiva, risponde quantomeno della negligenza, imperizia o imprudenza, caratterizzate dalla mancata valutazione degli elementi contenuti nel contratto, che, secondo l’impostazione garantista del d. lgs. n. 276/2003, dev’essere redatto in forma scritta. Proprio la forma scritta del negozio di somministrazione infatti consente all’utilizzatore di verificare primariamente la sussistenza in capo al somministratore dei requisiti autorizzatori di legge e quindi la sussistenza dell’autorizzazione ministeriale in caso di validità. La struttura della fattispecie legale in esame integra – parallelamente alla somministrazione abusiva - un reato: - di azione, alla cui realizzazione concorre la condotta attiva dell’utilizzatore che occupa concretamente i lavoratori abusivamente somministrati; - a struttura unitaria; - di pericolo, si realizza con la mera esecuzione delle prestazioni lavorative da parte dei lavoratori già coinvolti nel reato di somministrazione abusiva. 156 Anche sotto il profilo degli elementi costitutivi del reato, l’utilizzazione illecita ricalca quelli della somministrazione abusiva, salvo che per quanto concerne gli effetti: la prima infatti diversamente dalla seconda costituisce un’ipotesi di reato permanente. Nel presupposto di aver partecipato al reato del somministratore abusivo, l’utilizzatore realizza il reato (suo proprio) di utilizzazione illecita fin dal primo momento in cui si avvale dei lavoratori al di fuori degli schemi legali previsti, ma lo perpetua costantemente nel susseguirsi dei giorni di lavoro effettivo i cui utilizza gli stessi308. Infine anche nel reato di utilizzazione illecita è opportunamente prevista l’aggravante dello sfruttamento dei minori. 16.3 Utilizzatore pubblico. In deroga a quanto previsto dall’articolo 1 co. 2 del d. lgs. n. 276/2003, l’articolo 86 co. 9 estende espressamente alle pubbliche amministrazioni la disciplina della somministrazione di lavoro a tempo determinato: ora qualsiasi pubblica amministrazione ovvero uno qualunque dei soggetti di natura pubblicistica cui fa riferimento l’art. 1 co. 2 del d. lgs. 20 marzo 2001 n. 165, senza eccezione alcuna, sarà assoggettato alle pene stabilite dall’articolo 18 co. 2 e, in caso di somministrazione fraudolenta - a prescindere da qualsivoglia valutazione nel merito dell’attività lavorativa concretamente svolta dai lavoratori abusivamente o fraudolentemente somministrati. 308 Si ripropone quindi per il reato di utilizzazione illecita la ricostruzione teorica già avanzata dalla dottrina in merito alla vecchia interposizione illecita di manodopera, essendo vietato non tanto la mera negoziazione – stipulazione del contratto illecito di somministrazione con la pseudo agenzia (abusiva9, quanto piuttosto il perpetuarsi della situazione di sfruttamento della manodopera. 157 Ovviamente, dato l’odierno sistema penalistico che attribuisce la responsabilità penale diretta al soggetto (persona fisica) che personalmente agisce e compie il reato (societas delinquere non potest309), le pene andranno a colpire il dirigente pubblico o il responsabile del servizio o dell’unità operativa che abbia concretamente posto in essere la contravvenzione accertata310. 17. Somministrazione fraudolenta. La somministrazione fraudolenta – di cui all’art. 28 del d. lgs. n. 276/2003311 rappresenta il massimo grado di illiceità di abuso nel ricorso e nell’espletazione della somministrazione di lavoratori. Come nell’interposizione illecita da pseudo – appalto e da pseudo – distacco, si tratta di una contravvenzione unitaria che vede nel somministratore e nell’utilizzatore due soggetti attivi dell’unica fattispecie di reato e rappresenta conseguentemente un vero e proprio reato plurisoggettivo proprio - in cui le due parti del contratto commerciale di somministrazione di lavoro rispondono penalmente di una specifica condotta posta al di fuori degli schemi tipici di liceità. Inoltre mentre il reato di somministrazione abusiva è compiuto esclusivamente dal soggetto che esercita la somministrazione senza essere preventivamente autorizzato dal Ministero del welfare nelle forme previste e senza la necessaria iscrizione alla relativa sezione dell’albo nazionale delle agenzie per il lavoro, nel reato di somministrazione fraudolenta soggetto attivo può anche essere la stessa 309 In merito all’analisi di tale brocardo latino, si rinvia a P. RAUSEI “Persone giuridiche e responsabilità penale”, in Il Mondo Giudiziario, 1997. 310 In tal senso anche C. ZOLI, che allude all’eventuale responsabilità per danno erariale del funzionario o dirigente. Analogamente accadrà per quanto attiene alle sanzioni amministrative stabilite per la somministrazione irregolare dall’art. 18 co. 3. 311 Per un primo esame della norma si rinvia a P. RAUSEI “Profili sanzionatori: penale, amministrativo, previdenziale”, in P. RAUSEI “Illeciti e sanzioni. Il diritto sanzionatorio del lavoro, aggiornato ad ottobre 2008”, III edizione, Ipsoa, 2008, Trento. 158 agenzia di somministrazione perfettamente regolare, autorizzata e iscritta all’Albo312.313 Quanto all’elemento della colpevolezza, occorre chiosare che il grado di rimproverabilità della condotta in commento non è più quello della colpa – come nel reato composto di somministrazione abusiva/utilizzazione illecita – in quanto il legislatore prevede una consapevolezza dolosa psicologicamente orientata da parte dei due responsabili: utilizzatore e somministratore314. Non a caso l’art. 28 d. lgs. n. 276/2003 definisce somministrazione fraudolenta quella che “è posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al lavoratore”. Rileva pertanto una fattispecie penale di dolo specifico315 nella quale importa non solo l’intenzionalità del reato ma anche la specifica finalità dello stesso, alla luce di un’intesa tra utilizzatore e somministratore – o quantomeno secondo un’effettiva consapevolezza riguardo all’utilizzo illecito di manodopera (c.d. consilium fraudis), appositamente finalizzato all’elusione del sistema normativo di protezione configurato in dettagliate tutele legali o contrattuali316. Come anche la somministrazione abusiva, anche la somministrazione fraudolenta si caratterizza come reato di pericolo. 312 Parla invece di applicazione “meno probabile” della sanzione aggiuntiva F. SCARPELLI, sulla scorta di una scriminante della finalità elusiva nel rispetto della disciplina dettata dal d. lgs. n. 276/2003. 313 Si ha somministrazione fraudolenta, allora, anche in presenza di una somministrazione in sé e per sé perfettamente lecita e regolare, perché attuata con soggetto legalmente autorizzato e iscritto all’Albo delle agenzie per il lavoro, ma eseguita e realizzata in piena elusione di legge o di norme contrattuali. 314 Si tratta dunque di un’ipotesi di contravvenzione eccezionalmente dolosa, ai sensi dell’art. 43 co. 2 c.p. 315 Di “reato a dolo specifico a tutti gli effetti” parla anche C. PERINI, op. cit. pur rilevando l’eccentricità della “espressione inconsueta” utilizzata dal legislatore per introdurre la fattispecie penalistica 8”con la specifica finalità di”). 316 Così anche F. BASENGHI, op. loc. ult. cit. 159 Quanto poi al profilo sanzionatorio, la pena qui non si sostituisce a quella prevista per la somministrazione abusiva/utilizzazione illecita tout court ma piuttosto di aggiunge ad essa317, aggravandone l’esito sanzionatorio. Inoltre si segnala la concreta possibilità per il personale ispettivo delle Direzioni provinciali del lavoro di procedere ad impartire una prescrizione con la quale l’utilizzatore fraudolento non è chiamato solo a cessare l’utilizzazione dei lavoratori somministrati, ma a provvedere all’immediata regolarizzazione dei lavoratori fraudolentemente occupati, assumendoli a tutti gli effetti di legge alle proprie dipendenza. Così l’accordo negoziale fra somministratore e utilizzatore che abbiano operato in frode alla legge è radicalmente nullo per illiceità della causa negotii318, con la naturale estensione della previsione contenuta nell’art. 21 co. 4 del d. lgs. n. 276/2003, secondo cui quando il contratto di somministrazione è nulla, “i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore”. La frode della somministrazione regolare o abusiva che il legislatore intende punire infatti, seppure legata alla tutela del lavoratore somministrato319, si estende a tutti i profili di protezione che le disposizioni legali e contrattuali gli riconoscono: retributivo, assicurativo, previdenziale e normativo. La formulazione della norma peraltro pare affidare alla somministrazione fraudolenta un ruolo nuovo e di assoluto rispetto al panorama sanzionatorio delle diverse fenomenologie esternalizzanti, giacché di somministrazione fraudolenta – 317 Contrario alla cumulabilità delle due ipotesi criminose richiamate è P. CHIECO “Somministrazione, comando, appalto. Le nuove forme di prestazione di lavoro a favore del terzo”, in Working paper, C.S.D.L.E. “M. D’Antona”, 2004. 318 Artt. 1344 e 1418, co. 2 c.c. 319 Per uno specifico approfondimenti, si rinvia a F. SCARPELLI, op. cit. 160 ex art. 28 d. lgs. n. 276/2003 – potrà anche parlarsi quando al fine di eludere tutti o alcuni dei diritti inderogabili dei lavoratori, si realizzano ipotesi di appalto (articolo 29) o di distacco (articolo 30), che configurano in realtà un’illecita interposizione di manodopera320. 18. Somministrazione “irregolare”. Per quanto attiene ai profili di sanzionabilità in sede amministrativa - ex art. 18 co. 3 del d. lgs. n. 276/2003 – le ipotesi di illecito amministrativo prese in considerazione interessano contestualmente quali corresponsabili personali e diretti, sia il somministratore che l’utilizzatore: la sanzione pecuniaria amministrativa infatti colpisce entrambi i soggetti per le violazioni di carattere formale che attengono alla stipula di un contratto di somministrazione irregolare. I due contraenti saranno così esposti ad un’esazione congiunta con importo variabile da 250 a 1250 euro in caso di violazione delle disposizioni di cui ai commi 3, 4 e 5 dell’art. 20 e dei commi 1 e 2 dell’art. 21; mentre si applica solo al somministratore nell’ipotesi di violazione di cui all’art. 21, co. 3. A seguito dell’intervento del decreto legislativo n. 251/2004, le fattispecie di illecito amministrativo sono321: 1) la conclusione del contratto di somministrazione di lavoro al di fuori dei casi in cui lo stesso è espressamente e tassativamente ammesso – art. 20, co. 3. In tal caso, da un lato si colloca l’esercizio abusivo – perché non autorizzato – dell’attività di somministrazione e parallelamente, il ricorso ad un’utilizzazione 320 In questo senso anche F. SCARPELLI, op. cit.; P. CHIECO, op. cit. Riguardo alle fattispecie in elenco, mentre nel previgente sistema operava ben è vero una sanzione penale, ma soltanto in capo alla società fornitrice, nel nuovo sistema sanzionatorio la violazione amministrativa trova in entrambi gli autori dell’operazione commerciale – lavoristica i soggetti responsabili da assoggettare a specifica sanzione. 321 161 illecita dei lavoratori somministrati abusivamente (sanzione penale ex art. 18, commi 1 e 2). Dall’altro si pone invece la somministrazione posta in essere da un soggetto comunque regolarmente autorizzato, ma in un caso diverso da quelli astrattamente previsti dalla norma e comunque non riconducibile ad essi (sanzione amministrativa ex arti. 18, co. 3). 2) la stipula di un contratto di somministrazione a tempo determinato senza indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che lo legittimano (art. 20, co. 4): anche in questo caso l’illecito amministrativo si affianca a quello penale, ma non ne determina in alcun modo i confini. 3) la conclusione di un contratto di somministrazione nei casi in cui esso è tassativamente vietato dalla legge: in caso di sostituzione di lavoratori che - esercitano il diritto di sciopero; - sono somministrati presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi o in cui sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell’orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale – riguardo a lavoratori adibiti alle stesse mansioni; - sono somministrati senza previa effettuazione della valutazione dei rischi (art. 20, co. 5). 4) la stipulazione di un contratto di somministrazione di lavoro senza forma scritta. 5) la conclusione del contratto di somministrazione avviene senza il necessario adeguamento e il contestuale recepimento relativo alle indicazioni contenute nei contratti collettivi (art. 21, co. 2). 162 6) l’omessa comunicazione scritta – da parte del somministratore - al lavoratore di tutte le informazioni relative al contratto, compresa la data d’inizio e la durata prevedibile dell’attività lavorativa presso l’utilizzatore, all’atto della stipula del contratto di lavoro ovvero all’atto dell’invio presso l’azienda utilizzatrice, prima dell’effettivo inizio della prestazione lavorativa. Quanto all’applicabilità dell’istituto della diffida – di cui all’art. 13 del d. lgs. n. 251/2004 – occorre segnalare che lo stesso risulta operativo con riferimento ai soli illeciti amministrativi accertati, le cui inadempienze risultino “comunque sanabili”322. Nelle ipotesi trattate dall’art. 18 co. 3 pertanto la diffida potrà operare con riferimento alla violazione dell’obbligo di inserire nel contratto scritto di somministrazione il contenuto di cui all’articolo 21, co. 1, lettere f) – k) del decreto legislativo n. 276/2003, in quanto in tali casi la tutela sostanziale dei lavoratori è senza dubbio recuperabile. Analogamente, nelle ipotesi in cui il contratto di somministrazione debba esser integrato con le indicazioni contenute nella contrattazione collettiva (articolo 21, co. 2) ovvero nei casi di omessa consegna della comunicazione di somministrazione al lavoratore (articolo 21, co. 3). Il datore di lavoro “diffidato” che provveda ad integrare il contenuto contrattuale ovvero a consegnare la prescritta comunicazione, nel termine assegnato dal personale ispettivo delle Direzioni provinciali del lavoro, si vedrà ammesso al pagamento di una sanzione “ridottissima”, ai sensi dell’articolo 13, co. 2 del decreto legislativo n. 124/2004, pari al minimo edittale, vale a dire ad euro 250, con contestuale estinzione del procedimento sanzionatorio. 322 Sul concetto di “comunque sanabili”, si veda P. RAUSEI “Dalla diffida accertativa ai ricorsi regionali”, in P. PENNESI, E. MASSI, P. RAUSEI, op. cit., XXVIII SS. 163 19. Nuova interposizione di manodopera. Altro momento essenziale di opportuna modifica all’impianto sanzionatorio di tipo penale introdotto originariamente dall’art. 18 del decreto legislativo n. 276/2003 è offerto dall’inserimento all’interno dello stesso articolo del nuovo comma 5-bis (articolo 4, co. 5 d. lgs. n. 251/2004) secondo cui: “nei casi di appalto privo dei requisiti di cui all’articolo 29, comma 1 e di distacco privo dei requisiti di cui all’articolo 30, comma 1, l’utilizzatore e il somministratore sono puniti con la pena dell’ammenda di euro 50 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione. Se vi è sfruttamento dei minori, la pena è dell’arresto fino a diciotto mesi e l’ammenda è aumentata fino al sestuplo.” In entrambi i casi ci troviamo di fronte non ad una “nuova incriminazione”, ma piuttosto ad una fattispecie che “riformula” e chiarisce i contenuti della norma penale cui precedentemente veniva assegnata una valenza omnibus con riguardo a tutte le ipotesi di illecita interposizione (somministrazione) di mere prestazioni di lavoro323. Non è stata qui introdotta una nuova figura di reato prima inesistente, ma piuttosto la previsione normativa già sussistente all’interno dell’ordinamento lavoristico è stata meglio delineata nel rispetto del principio di tassatività e determinatezza della norma penale324. 19.1 Pseudo appalto 323 Su questi profili cfr. G. FIANDACA, E. MUSCO “Diritto penale. Parte generale”, Zanichelli, 2013. Per un approfondimento sui fondamenti dell’assunto esposto nel testo, si veda nella dottrina penalistica T. PADOVANI “Tipicità e successione di leggi penali”, cit. 324 164 Ai sensi dell’art. 18, comma 5 bis del decreto legislativo n. 276/2003 l’appaltatore e il committente che abbiano posto in essere – in esecuzione di un fittizio contratto di appalto di opere o di servizi – una mera fornitura o somministrazione di lavoratori da parte del secondo al primo, sono entrambi soggetti alla pena, proporzionale e progressiva, dell’ammenda pari a 50 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di disoccupazione. Qui, a differenza che nelle due contravvenzioni distinte della somministrazione abusiva e dell’utilizzazione illecita, il reato contravvenzionale è unico e rappresenta, dunque, sotto un profilo soggettivo un vero e proprio reato plurisoggettivo proprio, in cui entrambi i soggetti datoriali rispondono di una condotta attiva, che consiste nella realizzazione di un appalto al di fuori degli schemi legali precostituiti, nel quale, di fatto, si è fittiziamente celata una vera e propria somministrazione abusiva di mere prestazioni di lavoro (interposizione illecita). Il reato di interposizione illecita da pseudo – appalto di perfeziona per la sussistenza dei seguenti elementi tipici: • contratto di appalto non genuino: il contratto di appalto, di opere o di servizi, corrisponde in realtà all’esecuzione di mere prestazioni di lavoro da parte dei lavoratori impiegati dallo pseudo - appaltatore e realmente etero diretti dallo pseudo - committente325; mancano cioè i requisiti legali che rendono perfettamente lecito ed operativo l’appalto (articolo 29, co. 1)326; 325 Peraltro, sotto un profilo oggettivo, infine, le condotte risultanti dall’accordo negoziale in cui si concerta la pattuizione relativa al contratto di appalto non genuino e quindi illecito 8art. 84, co. 2) finiscono per coincidere nell’avere il committente fittizio utilizzato illecitamente una somministrazione di lavoro e all’avere lo pseudo – appaltatore fornito manodopera senza munirsi dell’autorizzazione ministeriale richiesta dalla normativa. 326 Sul piano pratico l’assenza dei requisiti di cui all’art. 29, co. 1, andrà accertata dal personale ispettivo delle Direzioni provinciali del lavoro, a partire dalla verifica dell’esistenza in capo all’appaltatore delle caratteristiche tipiche di impresa, per 165 • partecipazione psicologica dello pseudo – committente e dello pseudo – appaltatore alla fattispecie illecita realizzata: entrambi sono corresponsabili almeno sotto il profilo di una condotta colposa, perché hanno stipulato un contratto di appalto fittizio, illecito o comunque non genuino, non usando della normale diligenza, prudenza e perizia richieste dall’ordinamento giuridico; • effettiva e concreta utilizzazione delle prestazioni lavorative dei lavoratori: il personale fittiziamente impegnato in un appalto è stato concretamente, illecitamente impiegato in un’attività lavorativa di tipo subordinato alle dirette e immediate dipendenze dello pseudo committente. Anche in questa ipotesi di reato è prevista l’aggravante dello sfruttamento di minori327. Quanto agli effetti del reato, l’interposizione illecita da pseudo appalto costituisce un’ipotesi di reato permanente, giacchè committente e appaltatore partecipano con le rispettive condotte alla realizzazione del fatto illecito fin dal primo momento in cui i lavoratori vengono di fatto utilizzati al di fuori degli schemi legali dell’appalto quali veri e propri dipendenti dell’appaltante, ma poi il reato si perpetua in forma permanente nel susseguirsi dei giorni di occupazione, in cui gli stessi prestano attività lavorativa sotto le direttive dello pseudo committente328. Utilizzatore e somministratore sono ammessi al pagamento di un quarto dell’ammenda per lavoratore e per giornata di occupazione se provvedono a regolarizzare, ex post, la fattispecie realizzata illecitamente; ma tale regolarizzazione non potrà che consistere nella cessazione immediata dell’appalto, in quanto l’art. 29, co. 3 – bis pone per le ipotesi di somministrazione irregolare, poi constatare la congruenza dell’eventuale mero esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori impiegati, a fronte della natura e delle esigenze dell’opera o del servizio oggetto dell’appalto stesso. 327 Si veda quanto previsto in caso di somministrazione abusiva e fraudolenta di manodopera. 328 Cfr. Cass. Pen. N. 25726/2004, cit., sia pure resa con riferimento al testo originario dell’art. 18 del d. lgs. n. 27672003. 166 in capo ai lavoratori interessati dallo pseudo appalto, la facoltà di adire il giudice per la costituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze dello pseudo committente, datore di lavoro effettivo. 19.2 Distacco illecito. La somministrazione di lavoro non professionale - alias il distacco – laddove priva dei requisiti della temporaneità e dell’interesse del distaccante, doveva comunque qualificarsi giuridicamente come somministrazione abusiva/utilizzazione illecita, ancor prima dell’intervento correttivo del decreto legislativo n. 251/2004329. Peraltro le differenze tra distacco e interposizione illecita si possono agevolmente individuare alla luce della valutazione strutturale della fattispecie che sebbene, in entrambi i casi, si basi su un rapporto trilaterale (imprenditore distaccante, lavoratore distaccato, imprenditore distaccata rio), presenta alcune peculiarità: • il distacco è temporaneo e si fonda sull’interesse del distaccante, mentre l’interposizione ha carattere di definitività e si basa sull’interesse (prevalente o esclusivo) dello pseudo distaccatario. • il rapporto di lavoro rimane regolarmente sussistente tra l’impresa distaccante e il proprio dipendente, mentre nell’interposizione di manodopera il prestatore è soggetto al potere direttivo, disciplinare, organizzativo e gerarchico del distaccata rio – interponente; • l’impresa distaccante resta il datore di lavoro effettivo, su cui grava l’obbligo di farsi carico di qualsiasi modificazione intervenga nel rapporto durante il distacco in tema retributivo, previdenziale, assicurativo, di sicurezza, contrariamente a 329 In tal senso M. P. MONACO “il distacco del lavoratore, commento all’articolo 30”, in M. T. CARINCI, C. CESTER (a cura di) op. cit. 167 quanto accade in occasione di un’interposizione, sia pure celata nelle forme di un distacco; • non c’è alcun vincolo lavorativo espresso di natura subordinata fra impresa distaccata ria e lavoratore, sebbene quest’ultimo venga collocato e inserito nell’organizzazione aziendale con uno specifico profilo; nell’organizzazione del distaccata rio il lavoratore distaccato mantiene una posizione esterna, sia pure sotto l’aspetto della provenienza e dell’atipicità; di contro, in caso d’interposizione egli risulta perfettamente e stabilmente inserito nella realtà aziendale330. Il reato di interposizione illecita da distacco illecito ripete identicamente lo schema dello pseudo appalto, quale reato di azione e di pericolo, a struttura unitaria, posto in essere da entrambi i soggetti datoriali. La contravvenzione si connota inoltre secondo i noti elementi tipici: - distacco illecito; - partecipazione psicologica dello pseudo distaccante e dello pseudo distaccata rio alla fattispecie illecita; - effettiva utilizzazione delle prestazioni lavorative dei lavoratori distaccati. Come nelle altre fattispecie di interposizione illecita di manodopera, anche in questo caso opera l’aggravante di sfruttamento di minori. Infine, ferma restando l’applicabilità dlel’oblazione 8articolo 162 c.p.), analogamente allo pseudo appalto, qui la prescrizione obbligatoria opera esclusivamente nelle forme della cessazione immediata del distacco illecito stante la disposizione contenuta nell’art. 30, co. 4 bis del d. lgs. n. 276/2003 – introdotto dall’articolo 7 del decreto legislativo n. 251/2004, secondo cui il lavoratore 330 Cfr. per una dettagliata disamina sugli aspetti evidenziati nel testo F. SCARPELLI “Commento all’art. 30” in E. GRAGNOLI, A. PERULLI ( a cura di), op. cit. 168 distaccato illecitamente può rivolgersi al giudice per domandare la costituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore (pseudo distaccatario). 169 Capitolo IV Somministrazione e appalto nella “Riforma Fornero”, L. 28.6.2012, n. 92 («Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita»), come modificata con l. 7.8.2012, n. 134, conversione “Decreto Sviluppo”. 1. Cenni – 1.1 Il Contratto “dominante” - 1.2 Le novità della Riforma - 2. (A)causalità della somministrazione di lavoro - 2.1 Esclusione della causale nei casi previsti dal d. lgs. n. 24/2012 - 3. Durata del contratto di somministrazione 3.1 Successione contrattuale e obbligo di intervallo - 4. Limiti quantitativi e ipotesi vietate - 5. Perdita e sospensione dello stato di disoccupazione - 6. Borsa continua nazionale del lavoro - 6.1 Banca dati INPS - 7. La responsabilità solidale negli appalti dopo la riforma del 2012. 1. Cenni. Tra gli obiettivi originari della “riforma Fornero”, ricordiamo: - creazione di un mercato del lavoro dinamico ed “inclusivo”; - lotta al precariato ed alla flessibilità “cattiva” in cambio di maggiore flessibilità in uscita; - revisione di alcune tipologie contrattuali e rilancio del contratto di apprendistato; - ampliamento della flessibilità “in uscita” attraverso la revisione delle 170 disposizioni dell’art. 18 L. n. 300/1970 sul presupposto che una volta “aumentata” la flessibilità in uscita le aziende avrebbero assunto a tempo indeterminato con maggiore ampiezza; - revisione degli ammortizzatori sociali e del mercato del lavoro (Aspi) con sostegno al reddito ed alla rioccupazione. Tra le disposizioni della Riforma Fornero volte ad incrementare la c.d. flessibilità in entrata, la più significativa è senza dubbio la liberalizzazione del primo contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, così come del primo contratto di somministrazione di manodopera, tra le stesse parti. Rendendo la disciplina italiana più in linea con la Direttiva Comunitaria n. 1999/70, che sanziona solo gli abusi derivanti dalla indiscriminata successione di contratti a termine, il Legislatore guarda oggi favorevolmente al primo contratto, condivisibilmente percepito come utile strumento di flessibilità. 1.1 Il contratto «dominante». Innanzitutto, la Riforma interviene sul comma 1 dell’art. 1 del d. lgs. n. 368/2001, disponendo che «il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro». Questa previsione, priva di immediata efficacia precettiva, è utile nell’ottica del Legislatore per rendere esplicite le finalità delle modifiche in esame, orientando altresì l’interprete ad una lettura restrittiva delle fattispecie che derogano alla suddetta «forma comune di rapporto» esplicitando così l’intento di rendere il 171 lavoro subordinato a tempo indeterminato quale tipo contrattuale «dominante» nel panorama giuslavoristico italiano. 1.2 Le novità della Riforma. La principale novità è senza dubbio quella relativa alla libera stipulazione del “primo rapporto a tempo determinato”, di durata non superiore a 12 mesi, concluso per lo svolgimento di “qualunque tipo di mansione”, “sia nella forma del contratto a termine, sia nel caso di prima missione di un lavoratore nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato”. La norma sconta purtroppo un dato letterale non soddisfacente, dimentico della natura trilatera del contratto di somministrazione e del fatto che, da un punto di vista formale, tra utilizzatore e lavoratore non intercorre alcun rapporto di lavoro - men che meno a termine. Su questo presupposto, la norma non chiarisce se la acausalità debba intendersi riferita al contratto c.d. commerciale – che intercorre tra utilizzatore e somministratore - o al contratto di lavoro – che s’instaura tra somministratore e lavoratore -, rischiando in tal modo di creare non pochi problemi applicativi. Tuttavia, nel nuovo contesto normativo, sembra ipotizzabile una significativa riduzione delle ipotesi in cui gli imprenditori ricorreranno alle agenzie di somministrazione, vista la possibilità di assumere direttamente – ed ora senza rischi – la manodopera che temporaneamente gli necessita. Altre ipotesi di acausalità, infine, possono essere introdotte dalla contrattazione collettiva al ricorrere di determinate situazioni. Il “nuovo” contratto acausale, che si affianca – ed in teoria non sostituisce – il vecchio contratto a termine, non potrà essere prorogato. Potrà tuttavia proseguire 172 oltre la scadenza originariamente fissata per un periodo massimo di 30 - laddove la durata iniziale era inferiore a 6 mesi - o 50 giorni - se la durata iniziale era invece superiore a 6 mesi -, ferme la maggiorazioni retributive previste dall’art. 5, comma 1, del d. lgs. n. 368/2001. Di tale prosecuzione - questa costituisce la novità - il datore di lavoro dovrà dare comunicazione al Centro per l’Impiego “entro la scadenza del termine inizialmente fissato”, indicandone altresì la relativa durata. Vengono infine modificati, sempre in ottica antifrodatoria, i termini per procedere alla riassunzione a termine del lavoratore, oggi pari a 60 giorni – mentre prima erano 10 - dalla scadenza per i contratti di durata inferiore a 6 mesi ed a 90 giorni prima erano 20 - dalla scadenza per i contratti di durata pari o superiore a 6 mesi. La sottoscrizione di contratti a termine, a partire dal 2013, costa al datore di lavoro una maggiorazione - fatte salve alcune eccezioni - dell’1,4%, rispetto al costo del lavoro subordinato a tempo indeterminato, che verrà parzialmente “restituito” in ipotesi di conversione del contratto. Per bilanciare tale maggiorazione e pur mantenendo inalterata la struttura e la finalità del fondo bilaterale per la formazione dei lavoratori somministrati, la riforma Fornero ne ha ridotto il contributo obbligatorio331 corrisposto dalle Agenzie per l’impiego dal 4% al 2,6% (art. 2, co. 39, legge n. 92/2012). La Riforma interviene infine anche sulla tempistica relativa all’impugnazione del termine apposto al contratto di lavoro subordinato. Viene infatti portato a 120 giorni il periodo concesso per l’impugnazione stragiudiziale, con una riduzione a 180 giorni del termine per depositare il ricorso - mentre in precedenza erano rispettivamente 60 e 270 giorni. Anche quest’ultima modifica, che 331 Previsto dall’art. 12 del d. lgs. n. 276/2003, confermando il c.d. contributo per la formazione introdotto dall’art. 5 della legge 196/1997. 173 complessivamente riduce il periodo di “incertezza” sulla volontà del lavoratore e sulla natura del rapporto, appare condivisibile in quanto – senza pregiudizio ad un celere accertamento – concede un maggior tempo di riflessione al dipendente, talvolta ingannato con promesse di riassunzione (il caso più frequente era quello dei contratti terminati a giugno, con promessa di riassunzione a settembre finita l’estate) che, una volta inadempiute, lo lasciavano di fatto privo di alcuna tutela. 2. (A)causalità della somministrazione di lavoro. Il lavoro a tempo determinato per la somministrazione della manodopera «è ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore» (art. 20, comma 4, d. lgs. n. 276/2003); l’indicazione di queste esigenze, comunemente definita come «causale», è una fase essenziale per la validità del contratto. Nella prima parte di applicazione della legge 30/2003 - legge Biagi relativamente alla norma che subordina l’utilizzabilità del contratto di somministrazione di lavoro a termine alla sussistenza delle causale, ha evidenziato che la somministrazione di lavoro, può essere affetta da problemi giudiziari quando la causale stessa è scritta in maniera generica anche se in misura inferiore alle altre forme di lavoro flessibile. La giurisprudenza, con un approccio molto rigoroso e poco attento alle differenze tra la somministrazione di lavoro e il contratto a termine, ha in sostanza applicato alla prima gli orientamenti giurisprudenziali formatisi sul secondo, con la conseguenza che i contratti di somministrazione di lavoro che presentano una 174 causale generica spesso vengono invalidati in giudizio, e il rapporto di lavoro si converte in un ordinario rapporto a tempo indeterminato con l’utilizzatore. Questo approccio presta il fianco a molte critiche, in quanto la somministrazione di lavoro e il contratto a termine sono fattispecie diverse, talmente diverse che trovano la propria rispettiva disciplina a livello comunitario all’interno di direttive distinte; la stessa giurisprudenza, seppure in misura minoritaria, ha preso atto del problema, iniziando nel 2011 a leggere in maniera diversa la questione. La l. n. 92/2012 ha quindi introdotto, analogamente a quanto previsto per il contratto a tempo determinato, un’ulteriore ipotesi di acausalità332, consentendo il ricorso alla somministrazione a termine nell’ipotesi di primo rapporto di lavoro, senza l’obbligo di specificare nel contratto le ragioni giustificatrici. Il legislatore ha mostrato, quindi, di accogliere l’equiparazione tra contratto a termine e contratto di somministrazione di lavoro a tempo determinato allorché ha esteso ad entrambi la possibilità di un primo contratto acausale, stabilendo poi che entrambi concorrono al compimento del tetto dei 36 mesi per l’acquisizione del diritto del lavoratore ad essere assunto a tempo indeterminato333. In particolare, con decorrenza a seguito delle modifiche apportate dall'art. 4 del d. lgs. 2.3.2012, n. 24 - che ha recepito la direttiva europea n. 104/2008 -, a quanto previsto dall'art. 20 comma 5 ter e 5 quater del d. lgs. n. 276/2003, non occorre l'indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, qualora il contratto di somministrazione preveda l'utilizzo: 332 “Ulteriore”, rispetto a quanto non avesse già previsto il d. lgs. n. 276/2003, relativamente ai lavoratori disoccupati o “svantaggiati”, rispetto ai quali emergeva con forza il ruolo polifunzionale delle Agenzie per l’impiego, quali enti in grado di promuovere quanto più possibile il reinserimento nel mercato del lavoro. 333 Tuttavia, R. ROMEI evidenzia che, dalla disamina del contesto comunitario e nazionale, “non mancano elementi per una loro differenziazione”, cit. “La somministrazione di lavoro dopo le recenti riforme”, in “Diritto delle relazioni industriali” n. 4/2012, Adapt - Centro Studi Marco Biagi, Giuffrè. 175 a) di soggetti disoccupati percettori dell'indennità ordinaria di disoccupazione non agricola con requisiti normali o ridotti, da almeno sei mesi; b) di soggetti percettori di ammortizzatori sociali, anche in deroga, da almeno 6 mesi334; c) di lavoratori definiti "svantaggiati" o "molto svantaggiati" ai sensi dei numeri 18) e 19) dell'articolo 2 del regolamento (CE) n. 800/2008 della Commissione, del 6.8.2008. Con decreto di natura non regolamentare del Ministero del lavoro si provvede all'individuazione dei lavoratori di cui alle lettere a), b) ed e) del n. 18) dell'articolo 2 del suddetto regolamento (CE) n. 800/2008. d) le disposizioni in materia di indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo non operano nelle ulteriori ipotesi individuate dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative dei lavoratori e dei datori di lavoro. Successivamente al raggiungimento del limite dei 36 mesi previsto per la successione di contratti a termine con lo stesso lavoratore e per le stesse mansioni, il datore di lavoro può utilizzare ugualmente il medesimo lavoratore con contratto di somministrazione a tempo determinato335. L'impresa utilizzatrice può occupare con contratto di somministrazione lo stesso lavoratore dipendente in precedenza assunto con contratto a termine senza dover osservare il cosiddetto “periodo di stacco” (Min. lav., risposta a quesito – back - office 17 ottobre 2012). Per tutta la durata della missione presso un utilizzatore, e ferma restando l'integrale applicabilità delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sul 334 Questa ipotesi si aggiunge, senza eliminarla, a quella già prevista nella Legge n. 191/2009, che riconosceva la facoltà di non indicare la causale nei casi di impiego di lavoratori assunti dalle liste di mobilità. 335 Min Lav., 32/2012. 176 lavoro di cui al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, i lavoratori dipendenti dal somministratore hanno diritto a condizioni di base di lavoro e d'occupazione complessivamente non inferiori a quelle dei dipendenti di pari livello dell'utilizzatore, a parità di mansioni svolte – ex art. 23, co. 1, d. lgs. 10.9.2003, n. 276, come modificato dall'art. 9, co. 6, del D.L. 28.06.2013, n. 76, conv. in L. 9.8.2013, n. 99). Con decorrenza 18.7.2012, è stata abrogata la disposizione secondo cui la parità di trattamento - quanto alle condizioni di base e di occupazione - non trovava applicazione con riferimento ai contratti di somministrazione conclusi da soggetti privati autorizzati nell'ambito di specifici programmi di formazione, inserimento e riqualificazione professionale erogati, a favore dei lavoratori svantaggiati, in concorso con Regioni, Province ed enti locali (art. 1, co. 10, l. 28.6.2012, n. 92). 2.1 Esclusione della causale nei casi previsti dal d. lgs. n. 24/2012. Il legislatore, con il già ricordato d. lgs. n. 24/2012 (che ha dato attuazione alla direttiva 2008/104/Ce) ha previsto alcune specifiche ipotesi nelle quali non deve essere indicata la causale nel contratto di somministrazione di lavoro. Il decreto del ministero del lavoro ha individuato336 tre ipotesi nelle quali non è necessario indicare le cd. causali di ricorso al contratto di somministrazione di lavoro. La prima ipotesi, lavoratori che non hanno retribuzione o lavoro regolare da almeno sei mesi, si affianca e non abroga quella già prevista nella legge finanziaria per il 2010, che riconosce la facoltà di non indicare la causale (o di 177 utilizzare lo staff leasing fuori dai settori di legge), in casi di impiego di lavoratori assunti dalle liste di mobilità. La legge contiene una definizione ampia di ammortizzatori sociali e quindi possono rientrare dentro di essa tutti i sistemi di sostegno del reddito previsti dall’ordinamento, sia precedente che successivi al licenziamento. La seconda situazione riguarda il caso in cui siano utilizzati lavoratori definibili come «svantaggiati» o «molto svantaggiati» ai sensi del regolamento Ce n. 800/2008337. Le categorie rientranti in queste definizioni sono molto numerose. Rientra tra i lavoratori « svantaggiati» chi non ha un impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi, chi non possiede un diploma di scuola media superiore o professionale, i lavoratori che hanno superato i 50 anni di età, gli adulti che vivono soli con una o più persone a carico 338, i lavoratori occupati in professioni o settori caratterizzati da un tasso di disparità uomo-donna che supera almeno del 25% la disparità media uomo-donna in tutti i settori economici dello Stato membro interessato e, infine, le persone appartenenti a una minoranza linguistica. 337 Secondo il Regolamento CE n. 800/2008, ““Lavoratore svantaggiato" è chiunque rientri in una delle seguenti categorie: a) chi non ha un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi; b) chi non possiede un diploma di scuola media superiore o professionale; c) lavoratori che hanno superato i 50 anni di età; d) adulti che vivono soli con una o più persone a carico; e) lavoratori occupati in professioni o settori caratterizzati da un tasso di disparità uomo-donna che supera almeno del 25% la disparità media uomo-donna in tutti i settori economici dello Stato membro interessato se il lavoratore interessato appartiene al genere sottorappresentato; f) membri di una minoranza nazionale all'interno di uno Stato membro che hanno necessità di consolidare le proprie esperienze in termini di conoscenze linguistiche, di formazione professionale o di lavoro, per migliorare le prospettive di accesso a un'occupazione stabile; "lavoratore molto svantaggiato" è il lavoratore senza lavoro da almeno 24 mesi” 338 Tale situazione deve risultare da un certificato contenente lo stato di famiglia ovvero da una dichiarazione sostitutiva. 178 Sono invece considerati come lavoratori «molto svantaggiati» tutte le persone prive di lavoro da almeno 24 mesi. La terza situazione in cui scompare la causale è rimessa alle parti sociali, che possono definire mediante contratti collettivi di qualsiasi livello (nazionale, territoriale oppure aziendale) i casi nei quali non è necessario indicare le ragioni di ricorso alla somministrazione di lavoro. L’unica condizione che deve essere rispettata in questa ipotesi è che gli accordi collettivi devono essere firmati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative. La riforma Fornero (sovrapponendosi al d. lgs n. 24/2012) riconosce, infatti, alla contrattazione collettiva il potere di individuare, in luogo dell’ipotesi dalla legge di cui si è detto, specifici casi in relazione ai quali è possibile prevedere che non operi il requisito della causale. Secondo la legge, i contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale possono prevedere, in via diretta, a livello interconfederale o di categoria ovvero in via delegata ai livelli decentrati, un sistema alternativo a quello appena descritto. I contratti collettivi possono escludere il requisito della causale quando l’inserimento lavorativo avvenga nel contesto di un processo organizzativo che sia occasionato: «dall’avvio di una nuova attività; dal lancio di un prodotto o di un servizio innovativo; all’implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico; dalla fase supplementare di un significativo progetto di 179 ricerca e sviluppo; dal rinnovo o dalla proroga di una commessa consistente» (articolo 5, comma 3, decreto legislativo n. 368/2001, nella nuova formulazione introdotta dalla lettera h), articolo 1, comma 9, legge n. 92/2012). La contrattazione collettiva dovrà, tuttavia, rispettare una precisa limitazione di carattere quantitativo: i contratti in cui è consentito omettere l’indicazione della causale non potranno esorbitare dal limite complessivo del 6% del totale dei lavoratori occupati nell’ambito dell’unità produttiva. Questa delega ha poco senso, per la somministrazione di lavoro, in quanto i contratti collettivi erano stati già ampiamente delegati dal decreto legislativo n. 24/2012 ad intervenire sulla causale. Tuttavia alla contrattazione collettiva, negli ultimi anni, è stata conferito il potere di intervenire sulla causale da molte norme: la legge n. 191/2009, la n. 148/2011, il d. lgs. n. 24/2012 e da ultima la legge n. 92/2012 ( legge Fornero). Come spesso accade le norme emanate non tengono conto di quelle precedenti che regolano la stessa materi ed il risultato finale è che i contratti collettivi trovano la propria legittimazione a intervenire sulla materia da fonti diverse, sulla base di condizioni altrettanto diverse. Il quadro normativo finale risulta alquanto disordinato ed a volte contraddittorio Un intervento normativo sarebbe auspicabile e molto semplice: preso atto che la causale ha fallito nel suo scopo (non serve a prevenire gli abusi, crea solo contenzioso senza aggiungere tutele), sarebbe sufficiente, con un tratto di penna, cancellare l’obbligo di redigere la causale per tutte le situazioni (invece che pur una lunga e complica lista di casi). 180 Questo non vorrebbe essere sarebbe una liberalizzazione selvaggia della somministrazione, in quanto i limiti di durata e quelli quantitativi già svolgono un efficace attività di contenimento dell’istituto entro livelli sostenibili; quello che verrebbe meno, sarebbe tutto il contenzioso sulla causale, che intasa i Tribunali, fa lavorare gli avvocati, ma non rafforza le prospettive di carriera delle persone, e contribuisce alla grande confusione che regna nel nostro mercato del lavoro. 3. Durata del contratto di somministrazione. La legge non prevede una durata massima per il contratto commerciale di somministrazione a termine, limitandosi a richiedere l’indicazione, nel testo contrattuale, della “durata prevista” della missione e rendendo quindi possibile rinnovi o proroghe rispetto alla durata iniziale, purché sussistano effettivamente le esigenze indicate. Peraltro, una durata eccessiva della somministrazione a termine potrebbe porsi in conflitto con l’essenza dell’istituto, ossia con la funzione di soddisfare esigenze temporanee e non strutturali dell’impresa utilizzatrice (per le quali è appunto prevista la specifica fattispecie dello staff leasing). Ciò premesso, il CCNL per la categoria delle agenzie di somministrazione all’art. 43 prevede che quando, in forza di un unico contratto di lavoro subordinato a tempo determinato con la stessa agenzia, il lavoratore esegua le stesse mansioni in favore dello stesso utilizzatore, il contratto di lavoro con l’agenzia verrà trasformato a tempo determinato se viene superata la soglia di 36 mesi di durata (limite portato a 42 mesi se, nel corso del rapporto, cambia l’utilizzatore). Tale limite, pur applicandosi al contratto tra agenzia e lavoratore, potrebbe condizionare dunque anche la durata del contratto “commerciale” di 181 somministrazione – disincentivando le agenzie a portare avanti il contratto con l’utilizzatore dopo il raggiungimento della soglia dei 36 mesi. Altro limite, sempre indiretto, della durata del contratto tra somministratore e utilizzatore è rappresentato dalla disciplina in tema di rapporto di lavoro a tempo determinato, secondo cui la durata del contratto di lavoro a termine non può superare il limite di 36 mesi, comprensivi di proroghe e rinnovi, se ha per oggetto lo svolgimento di mansioni equivalenti. Sul punto è da ultimo intervenuta la riforma Fornero che, pur senza modificare la disciplina appena descritta, ha previsto che per il raggiungimento della soglia dei 36 mesi si deve tener conto anche dei periodi di missione aventi a oggetto mansioni equivalenti nell’ambito della somministrazione di lavoro a tempo determinato (art. 5, co. 4, d. lgs. n. 368/2001). In tal caso dunque, se le missioni si inseriscono all’interno di uno o più periodi di lavoro a termine svolti dal lavoratore in favore dello stesso oggetto – in alcuni casi nella veste di utilizzatore e in altri, di datore di lavoro – quest’ultimo dovrà fare , in concreto, attenzione a non superare il limite complessivo dei 36 mesi a pena di conversione del rapporto con il lavoratore a tempo indeterminato339. Inoltre il limite in questione sembra applicarsi solo se tra il lavoratore e l’utilizzatore sia intercorso nel predetto arco temporale, almeno un periodo di lavoro a termine, mentre il limite è escluso (e, di conseguenza, il rapporto non si converte anche se viene superato il periodo di 36 mesi) se tra il lavoratore e l’utilizzatore sono intercorsi solo rapporti di somministrazione. Al riguardo è intervenuta la Circolare del Ministero del Lavoro n. 18 del 18 luglio 339 Per approfondimenti dottrinali, M. T. CARINCI “Utilizzazione e acquisizione indiretta al lavoro”, Giappichelli, 2010; A. FAILLA “La somministrazione di lavoro. Differenze con il contratto a termine e l’appalto di servizi”, Giuffrè, 2012, L. FALASCA “Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio”, Il sole 24 ore, 2012 e infine P. ICHINO “Sub artt. 2029”, in M. PEDRAZZOLI (a cura di) “Il nuovo mercato del lavoro, Commentario al d. lgs. 10 settembre 2003, n. 276”, Zanichelli, 2004. 182 2012 che ha chiarito che il periodo massimo dei 36 mesi rappresenta un limite alla stipulazione dei contratti a tempo determinato e non al ricorso di somministrazione di lavoro, con la conseguenza che, raggiunto il limite, il datore di lavoro potrà comunque ricorrere alla somministrazione a tempo determinato anche successivamente al periodo dei 36 mesi. 3.1 Successione contrattuale e obbligo di intervallo. Un dubbio sorto in materia è relativo all’applicabilità alla somministrazione della disciplina prevista per i contratti di lavoro a tempo determinato, che vieta di stipulare un nuovo contratto a termine prima che sia trascorso un certo periodo di tempo dopo la scadenza del contratto precedente, a pena di conversione a tempo indeterminato del rapporto340. In assenza di chiare indicazioni legislative, va segnalato che l’orientamento maggioritario della dottrina venutosi a creare sull’argomento tende a escludere l’applicazione della suddetta disciplina al caso della successione di contratti di somministrazione. Tale orientamento si riferisce al caso di successione di due contratti di somministrazione. Anche il caso in cui il contratto di somministrazione intervenga dopo la conclusione di un contratto a termine stipulato direttamente tra il soggetto che si propone come utilizzatore e il lavoratore dovrebbe essere somministrato non è regolato da una norma espressa che imponga l’obbligo di applicare un intervallo minimo tra i due contratti. 340 L’art. 5, co. 3 del d. lgs. n. 368/2001, come modificato dalla riforma Fornero prevede oggi un intervallo minimo di 60 giorni, se il contratto precedente ha avuto una durata non superiore a 6 mesi e di 90 giorni in caso di durata superiore a 6 mesi). 183 Più chiara sembra invece essere la legge con riferimento ai contratti di lavoro conclusi tra agenzia e lavoratore, in quanto l’art. 22 co. 2 del d. lgs. n. 276/2003 esclude espressamente l’applicazione verso tali rapporti delle “disposizioni di cui al’art. 5 commi 3 e seguenti”, del d. lgs. n. 368/2001, che sono proprio i commi che prevedono la regola dell’intervallo minimo. 4. Limiti quantitativi e ipotesi vietate. L’art. 20, co. 4 del d. lgs. n. 276/2003 detta una disciplina di “limiti quantitativi” al ricorso alla somministrazione a tempo determinato, la cui individuazione è rimessa alla contrattazione collettiva341. Ne deriva che da tali limiti quantitativi sono esclusi i contratti di somministrazione a termine: a) stipulati nella fase di avvio di nuove attività per i periodi definiti dai contratti collettivi con riferimento ad aree geografiche e/o comparti merceologici; b) stipulati per ragioni di carattere sostitutivo; c) stipulati nel caso di lavori stagionali; d) stipulati per specifici spettacoli ovvero specifici programmi radiofonici o televisivi; e) che prevedono l’utilizzo di lavoratori di età superiore a 55 anni. A tali ipotesi la riforma Fornero ha introdotto da ultimo un ulteriore divieto, stabilendo che non è possibile assumere apprendisti mediante il ricorso alla somministrazione a tempo determinato – art. 2, co. 3 del d. lgs. n. 167/2011. In senso completamente opposto si è mosso il legislatore con riguardo alla 341 Si tratta delle c.d. clausole di contingentamento. 184 somministrazione a tempo indeterminato: in particolare, a seguito della riforma Fornero, l’art. 46 bis del d. l. n. 83/2012 (c.d. Decreto Sviluppo) – convertito con modificazioni nella legge n. 134/2012, ha aggiunto all’art. 20, co. 3 del d. lgs. n. 276/2003 la lettera i- ter) che prevede che la somministrazione a tempo indeterminato possa essere legittimamente stipulata “in tutti i settori produttivi, in caso di utilizzo da parte del somministratore di uno o più lavoratori assunti con contratto di apprendistato”. Tale norma, ispirata alla ratio di promozione dell’apprendistato introduce dunque un’ulteriore ipotesi soggettiva di somministrazione a tempo indeterminato ma, a differenza delle altre, completamente sganciata da una tipologia specifica di attività. Riassumendo: Contratto di somministrazione a tempo determinato. Causale Acausale - Ragioni di carattere tecnico, produttivo, - Prima missione di un lavoratore organizzativo e sostitutivo, anche se riferibili (massimo 12 mesi); all’ordinaria attività dell’utilizzatore; - Utilizzo di lavoratori in mobilità - Ipotesi individuale dei contratti assunti a termine per un periodo collettivi nazionali, territoriali e aziendali non superiore a 12 mesi ai sensi stipulati dalle organizzazioni sindacali dell’art. 8, comma 2, L. 223/1991; comparativamente più rappresentative. - Disoccupati percettori dell’indennità ordinaria di 185 disoccupazione da almeno 6 mesi; - Percettori di ammortizzatori sociale da almeno 6 mesi; - Lavoratori “svantaggiati” o “molto svantaggiati” ai sensi dei numeri 18) e 19) dell’art. 2, Reg. (CE) n. 800/2008; - Ipotesi individuate dai contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative. Contratto di somministrazione a tempo indeterminato. Ipotesi legate a requisiti oggettivi - Servizi di consulenza e assistenza nel Ipotesi legate a requisiti soggettivi - Utilizzo di lavoratori in mobilità assunti settore informatico, compresa la a termine per un periodo non superiore a progettazione e manutenzione di reti 12 mesi ai sensi dell’art. 8, comma 2, L. intranet e extranet, siti internet, sistemi 223/1991; informatici, sviluppo di software - Utilizzo da parte del somministratore di applicativo, caricamento dati; apprendisti. - Servizi di pulizia, custodia e portineria; - Servizi, da e per lo stabilimento, di trasporto di persone e di trasporto e 186 movimentazione di macchinari e merci; - Gestione di biblioteche, parchi, musei, archivi, magazzini, nonché servizi di economato; - Attività di consulenza direzionale, assistenza alla certificazione, programmazione delle risorse, sviluppo organizzativo e cambiamento, gestione del personale, ricerca e selezione del personale - Attività di marketing, analisi di mercato, organizzazione della funzione commerciale; - Gestione di call center, nonché per l’avvio di nuove iniziative imprenditoriali nelle aree Obbiettivo 1 di cui al regolamento (CE) n. 1260/1999 del Consiglio, del 21 Giugno 1999, recante disposizioni generali sui Fondi strutturali; - Costruzioni edilizie all’interno degli stabilimenti, per installazioni o smontaggio di impianti e macchinari, per particolari attività produttive, con specifico riferimento all’edilizia e alla cantieristica navale, le quali richiedano più fasi successive di lavorazione, l’impiego di manodopera per specializzazione da quella normalmente impiegata dall’impresa; 187 - In tutti i settori produttivi, pubblici e privati, per L’esecuzione di servizi di cura e assistenza alla persona e di sostegno alla famiglia; - Tutti gli altri casi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni comparativamente più rappresentative. 5. Perdita e sospensione dello stato di disoccupazione. La riforma Fornero rende più rigoroso il regime di perdita dello stato di disoccupazione. A tal fine, viene abrogata la lett. a, art. 4, co. 1, d. lgs. 181/2000, per cui non è più possibile per un beneficiario conservare lo stato di disoccupazione, anche se svolge un’attività lavorativa tale da assicurare un reddito annuale non superiore al reddito minimo personale escluso da imposizione. si prevede, inoltre, la perdita dello stato di disoccupazione in caso di rifiuto di una offerta di lavoro congrua sia a tempo indeterminato sia a tempo determinato, indipendentemente dalla durata del contrato, mentre nella legislazione vigente la durata di un contratto di lavoro subordinato, che consente la sospensione dello stato di disoccupazione, viene ridotta da 8 a 6 mesi. La legge inoltre cancella la distinzione tra adulti e giovani - per i quali la durata era di 4 mesi, e quindi ora beneficiano di un periodo maggiore - con riferimento alla durata del contratto per la sospensione dello stato di disoccupazione. Ancora, la legge n. 92/2012 ribadisce che il soggetto che percepisce un 188 trattamento collegato allo stato di disoccupazione o inoccupazione lo perde, in caso rifiuti di partecipare - o partecipi in maniera incompleta - senza giustificato motivo a una iniziativa di politica attiva, oppure rifiuti di una offerta di un lavoro inquadrato in un livello retributivo non inferiore al 20% rispetto all’importo lordo della indennità cui ha diritto. La legge prevede che i servizi competenti debbano comunicare dall’Inps gli eventi che determinano la decadenza dal trattamento. Infine, l’art. 4, co. 47, legge n. 92/2012 abroga il co. 10, art. 19, d. l. 29.11.2008, n. 185, che prevede una dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro o a un percorso di riqualificazione professionale da rilasciare all’INPS da parte di tutti i beneficiari di un trattamento di sostegno al reddito. 6. Borsa continua nazionale del lavoro. La Borsa continua nazionale del lavoro consiste in una rete telematica finalizzata ad agevolare l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro. L’idea di costruire un sistema informatico a supporto dell’incontro tra domanda ed offerta di lavoro trova il proprio immediato precedente nel Sistema informativo lavoro, previsto dall’art. 11 d. lgs. n. 469/1997. Questo sistema avrebbe dovuto mettere in rete i Centri per l’impiego, le strutture di orientamento e formazione professionale ed i soggetti privati, per assicurare su tutto il territorio la rapida circolazione delle informazioni sui posti di lavoro vacanti e sulla disponibilità di manodopera. Con l’idea della Borsa continua nazionale del lavoro il legislatore – con l’art. 15 d. lgs. n. 276/2003 - tenta di riprendere questo progetto, introducendo alcuni correttivi, individuati proprio in relazione all’esperienza pregressa, che dovrebbero consentire finalmente la 189 nascita di un sistema di collegamenti informatici tra tutti gli operatori del mercato del lavoro ed i fruitori dei servizi. L’innovazione principale che caratterizza la Borsa rispetto al SIL consiste nell’estensione ai datori di lavoro ed ai lavoratori della possibilità di accesso diretto al sistema informativo, sia per la consultazione, sia per l’immissione delle informazioni. Secondo il disegno perseguito dal legislatore, tale sistema dovrebbe essere alimentato non solo dalle informazioni immesse dagli operatori professionali, pubblici o privati, ma anche da quelle immesse individualmente dai datori di lavoro e dai lavoratori. Il sistema viene infatti costruito come un servizio cui ciascun cittadino ha diritto di accedere per proporre le proprie candidature e per poter consultare le offerte di lavoro. Una caratteristica peculiare della Borsa consiste nell’obbligo per tutti i soggetti pubblici e privati autorizzati o accreditati di conferire i dati informativi acquisiti sulla domanda ed offerta di manodopera. La legge n. 92/2012 prova ad individuare delle sedi di raccordo in cui far convergere i diversi attori del sistema italiano chiamato a gestire le politiche del lavoro. Si tratta di un sistema che, già sulla carta, mostra delle lacune, in quanto è stato costruito in maniera illogica e irrazionale: i servizi per l’impiego e le politiche attive sono gestiti da regioni e province, e seguono indirizzi slegati da una sede centrale in grado di definire le priorità. Il ministero del lavoro cerca faticosamente di recuperare quelle competenze che gli sono state tolte da un regionalismo spinto, mediante l’azione di Italia lavoro, ma fatica ad ottenere risultati concreti. invece, il sistema che eroga gli ammortizzatosi sociali si regge sul INPS, ente gestito centralmente a livello nazionale. Il risultato è sotto gli occhi di tutti; le gambe del sistema non dialogano, e il legislatore cerca da anni di 190 trovare degli strumenti in grado di far entrare dentro lo stesso percorso sia le misure di politica attiva che quelle di politica passiva. 6.1 Banca dati INPS. Principale strumento che viene identificato per raggiungere questo obiettivo è una banca dati che dovrebbe essere costituita, entro il 30.6.2013, dall’INPS, per poi essere messa a disposizione dei servizi competenti. Questa banca dati dovrebbe contenere i dati individuali dei beneficiari di ammortizzatori sociali, con indicazione dei dati anagrafici, di residenza e domicilio, dei dati essenziali relativi al tipo di ammortizzatore sociale di cui beneficia. Scambio di informazioni. La legge n. 92/2012, oltre alla costituzione della banca dati, si preoccupa di stimolare lo scambio di informazioni tra i soggetti del sistema, al fine di agevolare la programmazione e la gestione delle misure di politica attiva e degli ammortizzatori sociali. Per dare concretezza a tali finalità, la legge pone a carico delle regioni e delle province l’obbligo di mettere a disposizione dell’INPS, del Ministero del lavoro e in particolare della borsa continua nazionale del lavoro, le informazioni relative allo stato di disoccupazione e alla sua durata, nonché i dati necessari per l’individuazione degli incentivi all’assunzione. lo scopo di questa disposizione è di estendere la conoscenza delle informazioni sulla situazione individuale dei lavori, dal punto di vista dell’applicabilità di eventuali incentivi all’assunzione, anche ai datori di lavoro, i quali non hanno accesso alla banca dati INPS. 7. La responsabilità solidale negli appalti dopo la riforma del 2012. 191 L’attenzione del legislatore per le ipotesi di dissociazione imprenditoriale e, in particolare, per il tema degli appalti, è dimostrato dall’incessante processo riformatore che, dal 2003 ad oggi, ha investito la materia con i recenti provvedimenti legislativi di giugno (l. n. 92) e di agosto (l. n. 134342) 2012. Nel corso delle legislature è emersa la volontà di rafforzare la protezione dei lavoratori coinvolti nei fenomeni di decentramento produttivo, responsabilizzando in primis il datore di lavoro e attribuendo un ruolo di garanzia al coobbligato in via solidale. La norma fondamentale in materia è l’art. 29, comma 2343, del d.lgs. n. 276 del 2003 che, attualmente, dispone quanto segue: “salvo diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore che possono individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti, in caso committente imprenditore solido con l’appaltatore, di appalto o di datore di nonché opere o di servizi, il lavoro è obbligato in con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi 342 La l. n. 134/2012 ha convertito il d. l. n. 83/2012. La responsabilità solidale in materia di appalti ex art. 29, comma 2, trova applicazione anche con riferimento ai lavoratori autonomi? La norma utilizza la locuzione “lavoratori” senza distinguere tra le fattispecie dì lavoro subordinato o autonomo. Sembrerebbe ragionevole interpretare la disposizione in senso garantista nei confronti di ciascuna tipologia di lavoratori coinvolti nell’esecuzione dell’appalto. Su tale orientamento sono invece state espresse riserve da parte del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro che ritiene preferibile l’interpretazione secondo cui la disciplina è riferibile esclusivamente ai lavoratori subordinati. 343 192 obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell'inadempimento”. Con l’art. 29 oltre a integrare la nozione civilistica di appalto (art. 1655 c.c.), ai fini della distinzione dalla somministrazione di lavoro e per ricondurre nell’area delle esternalizzazioni legittime anche gli appalti labour intensive (c. 1344), il legislatore ha imperniato il regime delle garanzie sulla tecnica della responsabilità solidale che diventa “il paradigma generale per tutelare il lavoratore coinvolto nelle operazioni di decentramento produttivo345”. In tal modo l’art. 20, co. 2 del d. lgs. n. 276/2003, introducendo una sorta di garanzia intermedia tra quella prevista dall’art. 1676 c.c.346 e quella contenuta nell’ormai abrogato art. 3 l. n. 1369/1960 ha fondato una responsabilità solidale tra committente e appaltatore, limitata dal punto di vista della tipologia di appalto (solo appalto di servizi), dell’oggetto (trattamenti retributivi e contributivi previdenziali) e del tempo (entro un anno dalla cessazione dell’appalto)347. Il committente imprenditore o datore di lavoro è convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all’appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori. Il committente imprenditore o datore di lavoro può eccepire, nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore medesimo e degli eventuali subappaltatori. In tal caso il giudice 344 Sulla nozione di appalto ex art. 29 d. lgs.n. 276/2003 prima delle modifiche introdotte nel 2004, cfr. P. CHIECO, 2004, M.T. CARINCI 2004a e M. T. CARINCI, 2004b; P. ICHINO, 2004, F. SCARPELLI, 2004. 345 CORAZZA, 2009, 13. 346 Nella dottrina giuslavoristica, cfr. M. T. CARINCI, 2000, 474 ss., L. CORAZZA, 1997, spec. 79 – 81. 347 Tale termine di decadenza è stato considerato pacificamente applicabile sia ai lavoratori (creditori dei trattamenti retributivi), sia agli enti previdenziali, che come si è sostenuto (cfr. M. T. CARINCI, 2004b, 201), sono i creditori dei contributi. Tuttavia una discutibile pronuncia della Suprema Corte, relativa al regime di solidarietà previsto ormai dall’abrogato art. 4 l. n. 1369/1960, ha riferito il termine decadenziale esclusivamente “ai diritti suscettibili di essere fatti valere direttamente dal lavoratore”, non potendosi applicare ai diritti scaturenti dal rapporto di lavoro di un “soggetto terzo, quale l’ente previdenziale”, così Cass. 17.01.2007, n. 966 RGL, 2007 II, 544. 193 accerta la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, ma l’azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committente imprenditore o datore di lavoro solo dopo l’infruttuosa escussione del patrimonio dell'appaltatore e degli eventuali subappaltatori. Il committente che ha eseguito il pagamento può esercitare l’azione di regresso nei confronti del coobbligato “secondo le regole generali”. Il c.d. decreto semplificazioni – all’art. 21 del d.l. n. 5 del 2012, convertito con modificazioni dalla l. n. 35 del 2012 -, ha circoscritto con maggior precisione la solidarietà del committente, prevedendo che essa: opera soltanto con riferimento al periodo di esecuzione dell’appalto; comprende anche le quote di trattamento di fine rapporto maturate nel predetto periodo; non riguarda le sanzioni civili per omissione contributiva, di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento. In sede di conversione del detto decreto legge è stata introdotta la possibilità per il committente di eccepire il beneficio di preventiva escussione. La Riforma Fornero, legge n. 92/2012, infine, è intervenuta ad imporre il litisconsorzio necessario di tutta la filiera dell’appalto: i lavoratori e gli enti previdenziali dovranno convenire in giudizio per i crediti di propria competenza nei confronti del “committente […] unitamente all’appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori”. Il c.d. “beneficium excussionis”348 a favore del committente è stato confermato ed esteso anche ai rapporti di quest’ultimo con i subappaltatori, da eccepirsi nella prima difesa, e quindi nella memoria difensiva di costituzione. 348 V. PASQUARELLA, “La responsabilità solidale negli appalti”, in “Flessibilità e tutele nel mercato del lavoro. Commentario della legge 28 giugno 2012 n. 92”, a cura di P. CHIECO, Cacucci editore, 2013. 194 Infine, l’ultimo capoverso dell’articolo 29, prevede la possibilità, da parte del committente, di richiedere la restituzione di quanto pagato attraverso l’azione di regresso. La disciplina in discorso non si applica qualora “il committente sia una persona fisica che non esercita attività di impresa o professionale”. Il decreto sviluppo (art. 13 ter del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, come inserito dall’allegato alla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 134), infine, ha sostanzialmente reintrodotto, sotto il profilo fiscale, il meccanismo di controllo a catena previsto in passato dalla c.d. legge Bersani (art. 35, commi 28 – 34, del d.l. n. 223 del 2006 convertito dalla l. n. 248 del 2006 ed entrato in vigore soltanto in minima parte a fronte della abrogazione parziale intervenuta ad opera del d.l. n. 97 del 2008). Ogni imprenditore della filiera è tenuto a controllare il precedente anello della catena: l’appaltatore risponde in solido con il subappaltatore, nei limiti dell’ammontare del corrispettivo dovuto, del versamento all’erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e del versamento dell’imposta sul valore aggiunto dovuta dal subappaltatore all’erario in relazione alle prestazioni effettuate nell’ambito del rapporto di subappalto. La responsabilità solidale viene meno soltanto se l’appaltatore verifica, acquisendo la documentazione prima del versamento del corrispettivo, che gli accennati adempimenti, scaduti alla data del versamento, siano stati correttamente eseguiti dal subappaltatore. L’attestazione dell’avvenuto adempimento degli obblighi di cui al primo periodo può essere rilasciata anche attraverso un’asseverazione dei Caf Imprese o dei professionisti 195 abilitati (commercialisti, consulenti del lavoro). L’appaltatore può sospendere il pagamento del corrispettivo fino all’esibizione della predetta documentazione da parte del subappaltatore; il committente, a sua volta, provvede al pagamento del corrispettivo dovuto all’appaltatore previa esibizione da parte di quest’ultimo della documentazione attestante che gli adempimenti di cui al punto precedente, scaduti alla data del pagamento del corrispettivo, sono stati correttamente eseguiti dall’appaltatore e dagli eventuali subappaltatori. Il committente può sospendere il pagamento del corrispettivo fino all’esibizione della predetta documentazione da parte dell’appaltatore. L’inosservanza delle modalità di pagamento previste a carico del committente è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000,00 a euro 200.000,00 se gli adempimenti in commento non sono stati correttamente eseguiti dall’appaltatore e dal subappaltatore; sono escluse le stazioni appaltanti dei contratti pubblici. Infine, l’Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 40/e dell’8 ottobre 2012 ha fornito le seguenti direttive sul descritto meccanismo di controllo a catena: - si applica soltanto ai contratti di appalto stipulati a far data dal 12 agosto 2012; - la certificazione circa la correttezza degli adempimenti deve essere richiesta solamente in relazione ai pagamenti effettuati a far data dall’11 ottobre 2012 (trattandosi di adempimenti tributari, in forza dello Statuto del contribuente essi si considerano esigibili soltanto dopo 60 giorni dalla data di entrata in vigore della norma); - l’attestazione dell’avvenuto adempimento può essere assolta non solo a mezzo delle asseverazioni prestate dai Caf imprese e dai professionisti abilitati, ma anche attraverso un’apposita dichiarazione 196 sostitutiva resa dall’appaltatore/subappaltatore (cosa questa, peraltro, non prevista dalla lettera della legge). Infine la l. n. 92 introduce una specificazione di rilievo, riconoscendo alle parti sociali la possibilità di prevedere modalità di controllo e certificazione documentale (degli obblighi retributivi, contributivi e assicurativi) tali da garantire la regolarità complessiva dell’appalto. Tale soluzione legislativa si allinea alla prospettiva di sperimentazione europea349 e la sua adeguatezza potrà esser valutata solo dopo l’effettivo intervento delle parti sociali350. Senza dubbio, la novella legislativa del 2012 attribuisce alla contrattazione collettiva un ruolo importante nel “governo del decentramento produttivo”351, consentendo ad essa di giungere all’elaborazione di un sistema di controlli idoneo a prevenire le irregolarità attraverso un monitoraggio certificato degli adempimenti retributivi e contributivi dell’appaltatore. E’ altrettanto indubbio che, nel riconoscere la facoltà di deroga alle parti sociali, il legislatore implicitamente “autorizza” un alleggerimento per via contrattuale della posizione del committente, garantendo maggiore certezza a questo soggetto352, che non sempre è a conoscenza dei comportamenti attuati dai subappaltatori, con i quali ha solo rapporti indiretti; di conseguenza, a fronte di un effettivo esercizio di tale facoltà nel senso anzidetto, si riapre la possibilità di ridurre, per via collettiva, le garanzie 349 Secondo GAMBERINI, VENTURI, il legislatore del 2012 sembra essersi ispirato al sistema di due diligence – di matrice anglosassone, basato sull’individuazione, ad opera delle parti sociali, di comportamenti e documenti di rilievo sostanziale idonei a evidenziare il comportamento diligente del soggetto obbligato in solido, il quale, se esegue quanto predefinito, è esonerato da responsabilità per eventuali comportamenti illegittimi e/o scorretti di altri soggetti con cui ha intrattenuto rapporti contrattuali. Si tratta di un sistema alternativo alla responsabilità solidale negli appalti, di attuale sperimentazione anche presso la Commissione Europea 8cfr. la proposta di direttiva 212/0061 (COD) del 21.03.2012, del Parlamento europeo e del Consiglio). 350 TOSI, 2012, parla di “ampiezza e genericità della formulazione” della norma giustificate dalla circostanza che i contratti collettivi possono esonerare il committente tout court dalla responsabilità solidale, non solo rispetto a quanto risulti dalla documentazione ufficiale dell’appaltatore o subappaltatore, ma anche “con riguardo a quanto effettivamente dovuto”. 351 Così LUNARDON. 352 PASQUARELLA, “La responsabilità solidale negli appalti”. 197 poste dall’art. 29, co. 2 a tutela della posizione creditoria dei lavoratori impegnati nell’appalto, anche se tale eventualità appare alquanto remota e limitata alle ipotesi di “intese sindacali di garanzia”353. 353 MAGNANI ritiene che è difficile prefigurare casi in cui si possa attuare una riduzione del regime di solidarietà, salvo forse il caso in cui l’appalto segue una cessione d’azienda e “tutta l’operazione avvenga nel quadro di intese sindacali “di garanzia””. 198 Conclusioni. “Plurimae leges, corruptissima republica”. Tacito Publio Cornelio Tacito non proveniva da una famiglia aristocratica; l’estrazione sociale e il luogo di nascita sono ignoti. A 20 anni circa sposò la figlia tredicenne di Giulio Agricola e all’età di 60 divenne governatore della provincia d’Asia. Tacito è stato uno storico romano distintosi per le forti prese di posizione nei confronti dell’impero romano e del suo espansionismo cleptomane, belligerante, esorbitante. Proprio nell’opera letteraria “Agricola” egli definisce i romani come: “raptores orbis, postquam cuncta vastantibus defuere terrae, et mare scrutantur: si locuples hostis est, avari, si pauper, ambitiosi, quos non Oriens non Occidens satiaverit: soli omnium opes atque inopiam pari adfectu concupiscunt. Auferre, trucidare, rapere, falsis nominibus imperium, atque, ubi solitudinem faciunt, pacem appellant”.354 Nonostante egli abbia sempre denunciato la corruzione dei costumi romani e la dissociazione tra morale e gestione del potere, è lo storico che ha ripensato i canoni dell’analisi storiografica affermando: 354 In traduzione: “rapinatori del mondo, i Romani, dopo aver tutto devastato, non avendo più terre da saccheggiare, vanno a frugare anche il mare; avidi se il nemico è ricco; smaniosi di dominio se è povero; tali da non esser saziati né dall’Oriente, né dall’Occidente, sono gli unici che bramano con pari veemenza di possedere tutto, ricchezze e miseria. Rubare, massacrare, rapinare, questo essi, con falso nome, chiamano impero e là dove hanno fatto il deserto, dicono d’aver portato la pace”. 199 “ Consilium mihi tradere, sine ira ”Il mio proposito è riferire, senza et studio, quorum causas procul ostilità e parzialità, dalle cui cause habeo. “ sono lontano. “ Analogamente, l’autore di questa ricerca proverà a tirare le fila di questa lunga dissertazione, sine ira et studio, con lo stesso coraggio e amore per la verità dello storico romano. La somministrazione e l’appalto sono due fattispecie legali e commerciali caratterizzate dall’interposizione di un soggetto terzo tra datore di lavoro e lavoratore: un secondo datore di lavoro – l’utilizzatore – che condivide con il primo un regime solidale di responsabilità rispetto al lavoratore. Tale regime solidale ha l’obiettivo primario di garantire una tutela rafforzata al lavoratore, per ristorare la sua posizione lavorativa di doppia soggezione al potere disciplinare dell’uno – agenzia di somministrazione o soggetto appaltatore - e al potere direttivo dell’altro – utilizzatore o appaltante. Così il lavoratore, in caso veda defraudata la sua sfera di diritti e interessi sul lavoro, può agire direttamente contro il suo datore originario – l’agenzia o il soggetto appaltante – per chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Perché dunque l’ordinamento giuridico pone a tutela del lavoratore subordinato un instrumentum così potente? Perché, probabilmente, il legislatore è ben cosciente dello svantaggio che il lavoratore deve vivere a confronto con la doppia figura datoriale – che peraltro, nell’ambito delle espressioni più spregiudicate di esternalizzazione e outsourcing – non è individuabile con facilità. 200 È anche nel prevedere questa soluzione che – a modesto parere di chi scrive - la riforma Biagi – il decreto legislativo n. 276/2003 – rappresenta una riforma chiave e al contempo una riforma quadro nell’ambito del diritto del lavoro italiano. Volendo ripercorre il fil rouge della storia della legislazione nazionale in merito ai due istituti di somministrazione e appalto, come fattispecie esternalizzatorie, viene in primis in evidenza l’ancestrale atteggiamento di diffidenza del legislatore nei loro confronti. Dapprima la legge sul collocamento pubblico – la legge n. 264/1949, nota anche come “legge Fanfani” – poi la legge n. 1369/1960, esplicitano apertis verbis il pregiudizio di fondo del legislatore verso le due fattispecie, considerandole foriere di ipotesi di sfruttamento per i lavoratori. Per decenni in Italia hanno di fatto pullulato forme eterogenee di caporalato allo stato brado. Per decenni hanno vissuto, nel folto sottobosco della riprovazione sociale e giuridica una pluralità di forme contrattuali balcaniche ed ostrogote che, privilegiando l’interesse del datore di lavoro al lucro, si traducevano nella quasi totalità delle situazioni, in rapporti di lavoro “violenti” e aggressivi nei confronti delle tutele e dei diritti del lavoratore. Il contemporaneo atteggiamento dei legis – latori è stato per lo più di soggezione nel voler mettere ordine in una materia macchiata dal sangue e dal sudore di tanti lavoratori subordinati e malamente esternalizzati: ciò ha permesso che forme e formule lavorative delle più strane e bizzarre abbiano potuto brulicare e proliferare in un regime di sostanziale anossia legale e giuridica. Solo negli anni ’90 inizia a prodursi un mutamento della linea politica del Parlamento, sulla scorta di quanto detto a gran voce da dottrina e giurisprudenza nel corso di decenni: con il pacchetto Treu del 1997 viene – anche se solo parzialmente – abolito il divieto d’interposizione, pietra miliare della legge del 1960. Una piccola breccia nel grande muro che 201 separava somministrazione e appalto dal terreno della legalità; un muro che viene poi, dopo 6 anni definitivamente abbattuto con coraggio dalla legge Biagi. Il d. lgs. n. 276/2003 ha dato cittadinanza giuridica a tutta una serie di micro formule contrattuali che sono sempre esistite. Riconoscere giuridicamente un determinato rapporto di lavoro significa farlo emergere alla luce del sole e allegare a tale schema legale un catalogo di diritti e doveri a carico del datore e del suo lavoratore dipendente. Stabilire i limiti del ricorso ad una specifica forma contrattuale, chiarire i margini direttivi del datore, fissare un preciso regime di tutele a favore del lavoratore è importante perché per la prima volta il legislatore dismette i panni moralisti e ipocriti di supporter – a tutti i costi – del rapporto di lavoro a tempo indeterminato. In un contesto economico e lavorativo mondiale sempre più magmatico e feroce il “posto fisso” è diventato una chimera, dato che è sempre più conveniente per la classe datoriale stipulare un contratto a tempo determinato. Tra smaterializzazione della produzione e cooptazione della forza lavoro - che se un tempo era il cuore pulsante di tante attività artigianali, oggi diventa un semplice ausilio a macchinari e impianti robotici di ultima generazione – a crescere più di tutti gli altri fattori nel mercato del lavoro è proprio la precarietà, che però ha un costo sociale elevatissimo.355 355 Per affrontare le sfide del presente e del futuro, è utile cercare risposte nel passato, e nel nostro glorioso, ci viene in soccorso la Carta Costituzionale, che all’art. 41 primo comma, dichiara: “l’iniziativa economica privata è libera.” Al secondo e terzo comma precisa però: “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.” 202 Lo Stato italiano, liberale in politica; liberista in economia, pur riconoscendo da una parte la sacrosanta libertà dell’iniziativa privata – che invece durante il fascismo era subordinata all’interesse della Patria – per compensazione, stabilisce che tale libertà non è assoluta ma trova un argine invalicabile nella dignità e nella “libertà di diritto” della persona. Ogni persona è titolare di diritti soggettivi inalienabili e di interessi, come cittadino della Repubblica - mano invisibile che si deve occupare del benessere dei suoi consociati, perché è chiaro che una comunità di consociati dove ognuno ha la possibilità di caricarsi di senso e di un proprio ruolo, sarà una comunità felice e produttiva di valori e di lavori. Probabilmente, la crisi dell’Italia attuale è dovuta proprio alla disperata ricerca della felicità, vessata da costrizioni e oppressioni. L’impossibilità da parte del cittadino di poter svolgere la A nobilitare tali principio, l’art. 35 che ammonisce: “la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori.” Sulla stessa linea l’art. 36, co. 1: “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”; l’art. 37, co. 1 e 2: “la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”; e ancora, l’art. 38, co. 1: “ogni cittadini inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”. Si tratta di tutte opportune specificazioni che i 75 costituenti vollero garantire all’art. 3 laddove prevede che: “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. 203 sua personalità nel modo che ritiene a lui più congeniale produce un sentimento sociale e collettivo di revanche nei confronti di quello Stato che non lo aiuta. Il revancismo è sia di matrice latu sensu “operaia” - nel senso che il lavoratore subordinato si sente sempre più vessato e povero di strumenti di auto tutela verso lo strapotere del datore; sia di matrice datoriale, dato che l’imprenditore, in caso di regolarizzazione dei propri dipendenti, è sottoposto ad un regime di controllo - burocratico, economico, societario - stabile, tracciabile e permanente da parte delle autorità governative a ciò preposte. L’intento del decreto legislativo n. 276/2003 era appunto limitare la supponenza di negrieri di ogni risma, cercando di riconoscere a quegli schiavi, il viso di uomini. Certo, l’impianto legislativo non è privo di lacune da riempire e campire. Dopo dieci anni tuttavia, la riforma sembra non aver raggiunto il risultato sperato, cioè conciliare virtuosamente la tutela del lavoratore con la moderna flessibilità del mercato del lavoro. Anziché interrogarsi criticamente sui motivi di questa Waterloo del mercato del lavoro italiano, il legislatore ha preferito compiacersi nella propria vanità progenitrice di nuove riforme, nuove leggi, nuovi commi e disposizioni che vanno ad incastonarsi in un intricato reticolo di abrogazioni, modificazioni, sospensioni, rinvii ed estemporanei coordinamenti tra norme. Così ogni successivo governo del Paese, in ossequio alla propria identità politica, ha lasciato una traccia del suo passaggio. Non una firma composta, elegante, vibrante, ma piuttosto una sigla, quasi due iniziali, apposte in calce ad un foglio, con fretta e approssimazione. E’ così che paiono essere la riforma “Fornero” e le rapide modifiche del governo Letta, rispetto al mercato del lavoro nel nostro Paese. 204 Riservando un giudizio di senso compiuto sul Jobs Act di Matteo Renzi – dato che allo stato attuale il testo del decreto è ancora al vaglio delle aule parlamentari -, l’autore di questa tesi osserva come gli ultimi interventi legislativi, a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro, risultano frutto di una sulfurea schizofrenia legislativa, che porta a regolamentare uno stesso ambito della vita sociale – il lavoro – ben tre volte negli ultimi tre anni, con tre governi diversi. L’autore si astiene da considerazioni politiche sulla bontà di ciascun governo – Monti, Letta e Renzi sono governi sostenuti sostanzialmente dalla stessa maggioranza variabile - ma sine ira et studio, non può astenersi dal valutare l’opportunità politica della continua ri-riforma del mondo del lavoro. In tal senso non passa inosservato l’annunciato desiderio del Premier Matteo Renzi di varare un nuovo codice del lavoro. Un’opportunità politica e scelte legislative che sembrano non solo ignorare ma addirittura contra – dire quanto stabilito dalla riforma del 2003. Infatti Fornero, Letta e Renzi – secondo i primi studi dottrinari in merito - hanno abbandonato il percorso inaugurato nel 2003 – un percorso di articolata strutturazione del rapporto di lavoro a tempo determinato, in tutte le sue più poliedriche espressioni – per omologare la somministrazione e l’appalto come quasi semplice rapporto di lavoro subordinato a termine, svuotandone i rispettivi regimi giuridici di peculiarità e specialità. Con l’alibi del “contratto dominante” – cioè il contratto a tempo indeterminato – questi tre governi di fatto glissano sulla questione di un’aderente regolamentazione del lavoro a tempo determinato in Italia, che è a parere di chi scrive, una delle cause dell’arretratezza culturale ed economica del nostro bellissimo Paese. La legge del 2003 era animata da una visione coraggiosa del mondo del lavoro, per la quale, dal welfare bisogna giungere al workfare; dall’assistenzialismo statale e all’interazione tra Stato e lavoratore, cui vengono forniti dall’ordinamento gli strumenti per poter essere 205 soggetto attivo del mondo del lavoro, senza dover subire la propria condizione, ma anzi, imponendola in un rapporto di lavoro compiuto. Un’imponente riforma quadro che avrebbe avuto bisogno di ulteriori importanti specificazioni, aggiornamenti, rimodulazioni – rispetto ai primi anni di assestamento. E invece, neanche il tempo sufficiente affinché gli operatori, gli studiosi e i tutori del settore si abituassero alle novità della riforma, che a distanza di 9 anni giunge il primo tentativo di controriforma, poi un secondo e infine un terzo. Perché non ha funzionato la legge Biagi? Perché si continua a morire sul luogo di lavoro? Perché il lavoro nero è ancora la spina dorsale dell’Italia, da Nord a Sud? Perché lo Stato non vigila, pur avendo decine, centinaia, migliaia di propaggini ministeriali specializzate: comitati, centri studi e di ricerca, commissioni parlamentari d’inchiesta, garanti, authority, enti parastatali allestiti ad hoc? Perché le omissioni dei controllori non sono oggetto di azioni responsabilità? Perché chi non controlla non paga? Perché, d’altra parte, i sindacati rimangono ognuno nel proprio museo delle cere? E perché manca ogni volta da parte del Governo di turno un serio tavolo permanente di consultazione in merito alla nuova riforma del lavoro da attuare? Perché pensare che il mondo del lavoro debba esser scisso dal contestuale e attiguo mondo geografico e sociale? Basti pensare all’arretratezza del Mezzogiorno – che rappresenta quasi più di metà del Paese e contiene al proprio interno le radici e ancora tanti segreti dell’impero romano, del regno Borbonico e del Regno delle due Sicilie - alla presenza strutturale delle organizzazioni criminali, che sfruttano uomini di ogni sorta e soprattutto in agricoltura, al Nord come al Sud; alla consistenza legale di tali organizzazioni che siedono con propri raffinati ventriloqui 206 finanche nelle Camere, nei Governi, nei Ministeri dell’Economia, nelle Commissioni parlamentari che contano; la pressione fiscale tra le più esose dell’intera Europa; ai costi abnormi della corruzione – denunciati con cadenza eupnoica dalla Corte dei Conti ad ogni inaugurazione di anno giudiziario – che frena lo sviluppo e ruba soldi allo Stato; all’ingegnerizzazione delle tangenti, ormai pròtesi degli appalti pubblici – spesso aggiudicati da imprese il cui obiettivo è diventare matriosche di altre imprese in subappalto di lavoratori subordinati, che ad ogni passaggio datoriale, perdono un pizzico di tutele e di stipendio, finendo con l’essere l’anello più debole e infimo di una catena alimentare di predatori giurassici. Essendo le esternalizzazioni in commento, un aspetto molto delicato del lavoro subordinato a termine, sono la modalità più semplice e veloce per smaltire manodopera a basso costo abbinata a ricchi appalti e commissioni milionarie. E ancora, non passino inosservate: una Pubblica Amministrazione affollata, anacronistica e qualitativamente insufficiente; un sistema formativo – quello delle Università – borbonico, barocco e babilonico, che non solo non prepara adeguatamente all’ingresso nel mondo del lavoro, ma diventa ogni anno più costoso per i suoi fruitori; il mondo del piccolo artigianato – dalle piccole imprese alle imprese familiari: quello, per intenderci, che ha reso grande l’Italia nella storia e nel mondo – scoraggiato, demotivato e svuotato; le difficoltà di inserimento dei giovani nel mondo del lavoro; e dulcis in fundo, il merito, sempre più solo un meraviglioso argomento da convegno e da salotto televisivo. Se gli studiosi e gli operatori del diritto del lavoro da una parte e i legislatori, dall’altra, non avranno il coraggio e la forma mentis adeguata per valutare il mondo e il mercato del lavoro come un singolo colore del più grande affresco sociale di un paese – il nostro, che naviga in acque sempre più inquiete - e cercando di risolvere i problemi anziché decidere di decidere come farlo, a pagarne lo scotto continueranno ad essere i lavoratori. 207 Le ultime modificazioni legislative in materia di lavoro – Fornero e Letta – hanno il pregio di aver clamorosamente mancato il grande confronto con il problema della precarietà del lavoro, ricorrendo a soluzioni che altro non sono che meri spot per quanto ne riguarda il metodo – e sbadati tentativi di aggiornamento del mercato del lavoro, per quanto concerne il merito. Analogamente anche il Jobs Act pare porsi in linea di continuità con gli errori dei due precedenti governi. L’auspicio è che si pongano nuove basi regolamentari e legislative per una rete più stringente di controlli da parte dello Stato e per un impianto sanzionatorio più aggressivo. E che si riprenda il percorso imboccato dal decreto legislativo n. 276/2003. In secundis, il “laissez faire et laissez passer” è un’ottica ottocentesca, superata dalla storia e dal progresso stesso: è giunto il momento di attuare fino in fondo un sistema di workfare all’avanguardia che davvero offra gli strumenti perché ogni cittadino possa svolgere la propria personalità sul proprio luogo di lavoro. Un’ultima provocazione intellettuale per concludere questo percorso di studio. Il lavoro è un dovere. Non a caso i nazisti sull’ingresso del campo di concentramento di Auschwitz, forgiarono la scritta “Arbeit macht frei” - il lavoro rende liberi: il lavoro inteso come dovere morale che solo se assolto, può portare alla libertà etica della persona. I nazisti usarono certamente questa allegoria in maniera impropria, sublimandola a primo comandamento del nazismo imprenditoriale ed economico, partorendo un regime di schiavitù industriale sulla scorta di un’ideologia livida e perversa: un caso unico nella storia dell’uomo. 208 Solo pochi anni dopo in Italia, 75 costituenti – tra i quali Aldo Moro – redigono la Costituzione repubblicana356. Sulla scorta dell’eredità culturale di Aldo Moro357 – cui è intitolata l’Università degli Studi di Bari - sarebbe forse giusto rimodulare il comma 1 dell’art. 1 della Costituzione in: “l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul diritto al lavoro”. In tal modo diverrebbe centrale il ruolo svolto dall’art. 4358 della Costituzione: non solo ne uscirebbe rafforzato, ma i suoi commi andrebbero a specificare in maniera luminosa la nuova portata dell’art. 1. Tutto questo in perfetta armonia con l’art. 3 quando afferma che: “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” Somministrazione e appalto sono stati pensati come piccoli ponti per rendere più agevole l’ingresso nel mondo del lavoro, proprio perché il momento dell’accesso al lavoro è il più delicato e fragile. E da un comodo ingresso nel mondo del lavoro dipende ogni futura opportunità di crescita professionale del lavoratore. Preso atto della sempre più ineluttabile reificazione del lavoro, non è più sufficiente che la nostra Repubblica sia fondata sul lavoro, ma è necessario che essa riscopra l’importanza del diritto al lavoro, che si concretizza in primis in un libero accesso al lavoro – purtroppo oggi sempre più periglioso. 356 Approvata dall'Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947 e promulgata dal capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola il 27 dicembre dello stesso anno, fu pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 298, edizione straordinaria, del 27 dicembre 1947 ed entrò in vigore il 1 gennaio 1948. 357 “Questo Paese non si salverà e la stagione dei diritti e delle libertà, si rivelerà effimera se in Italia, non nascerà un nuovo senso del dovere”, Aldo Moro. 358 Art. 4, 1 co.: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. 209 Il lavoro ha il doppio profilo di diritto e dovere civico ed etico, proprio come l’esercizio di voto. Entrambi rappresentano due dei più alti e liberi esercizi di cittadinanza cosciente, socialità positiva e impegno civile, necessari per sublimare un insieme di individui in una comunità di consociati più ricca, felice e virtuosa. “Dum Romae consulitur, “Mentre a Roma si discute, Saguntum expugnatur. ” Sagunto viene espugnata.“ Tito Livio (“Ab urbe condita libri” XXI) 210 BIBLIOGRAFIA. 211 - A. MARESCA “Il contratto di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo”, Milano, 2010. - A. MURATORIO (a cura di) “Gli appalti – dalla L. n. 1369/1960 al D. Lgs. n. 276/2003”, Università degli Studi di Genova, Facoltà di Giurisprudenza, 2007 - A. CADOPPI, P. VENEZIANI “Elementi di diritto penale. Parte generale”, Cedam, Padova, 2002. - A. CICU, F. MESSINEO (diretto da), “Trattato di diritto civile e commerciale”, Giuffrè, Milano, vol. XXI, tomo I, 1968. - A. FAILLA “La somministrazione di lavoro. Differenze con il contratto a termine e l’appalto di servizi”, Giuffrè, 2012 - A. 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Una specie di strano gemello, calmo come la notte. A Betty: “la speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno ed il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose e il coraggio...per cambiarle." E alla sua casa - dispnoica, generosa, pirandelliana: probabilmente, la segreta opera prima di James Joyce. A Francesco, animus d’infante, saggezza d’anziano, sorriso grande come quello di una madre. A Giuseppe e Daniele, una piccola seconda famiglia, in cui spero di poter sempre dimorare. A Valentina e quella bizzarra settimana a Porto Cesareo, che ha cucito insieme le nostre smorfie e i nostri sorrisi. A Francesco, l’amico di facoltà che avrei sempre voluto incontrare e che porterò sempre con me. Dai cori al prof. Masiello, agli “arrotini” dei prof. Giocoli Nacci e Carella, agli applausi al prof. Veneto. Alla fumosa flemma di Sante, ai racconti incredibili di Michele, allo spirito balcanico di Daniela, tutti amici che avrei voluto conoscere prima, per caso. A Fabrizio, a quella nottata che ricorderò per tutta la vita. Ai miei mentori Maria, Gero, Renzo e Vito. Dulcis in fundo, a Luigi Dello Russo. Ai suoi ruggenti occhi azzurri, che porterò sempre nei miei. 220