il FiGlio Di nEttuno

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il FiGlio Di nEttuno
RICK RIORDAN
il figlio di nettuno
traduzione di Loredana Baldinucci e Laura Melosi
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A Becky, che condivide il mio santuario a Nuova Roma.
Nemmeno Era riuscirebbe mai a farmi dimenticare di te.
www.ragazzimondadori.it
Mappa di Kayley LeFaiver, su licenza di Disney – Hyperion Books
© 2011 Rick Riordan
© 2013 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano, per l’edizione italiana
Pubblicato per accordo con Nancy Gallt Literary Agency
Titolo dell’opera originale The Heroes of Olympus: The Son of Neptune
Prima edizione novembre 2013
Stampato presso ELCOGRAF S.p.A.
Stabilimento di Cles (TN)
Printed in Italy
ISBN 978-88-04-63369-3
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I
Percy
Q
uelle donne con i serpenti al posto dei capelli stavano cominciando a stancare Percy.
Sarebbero dovute morire tre giorni prima, quando aveva rovesciato loro addosso una cassa di palle da bowling,
all’ipermercato. Oppure due giorni prima, quando le aveva investite con una macchina della polizia, a Martinez.
Di certo, sarebbero dovute morire quella mattina, quando
aveva mozzato loro la testa, a Tilden Park.
Tuttavia, per quante volte Percy le uccidesse e le guardasse disintegrarsi, quelle continuavano a rinascere, come
dei malefici gomitoli di polvere in formato gigante. Sembravano perfino impossibili da distanziare.
Arrivò in cima alla collina e riprese fiato. Quanto tempo era trascorso da quando le aveva uccise l’ultima volta?
Due ore, forse. Non restavano mai morte per più tempo.
Nel corso degli ultimi giorni, Percy non aveva quasi
chiuso occhio. Aveva mangiato qualsiasi cosa fosse riuscito a rimediare: orsetti di gelatina dei distributori automatici, ciambelle stantie, perfino un burrito in scatola, che
era il suo nuovo record negativo. Aveva i vestiti strappati,
bruciacchiati e sporchi di poltiglia di mostro.
Era ancora vivo soltanto perché neppure le due donne
con i serpenti in testa – gorgoni, così si chiamavano – sem5
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bravano in grado di uccidere lui. I loro artigli non gli penetravano nella pelle; le zanne si spezzavano a ogni tentativo di morso. Ma Percy non avrebbe resistito ancora per
molto. Presto sarebbe crollato per lo sfinimento, e allora,
sebbene fosse così difficile da uccidere, le gorgoni avrebbero trovato il modo di farlo, ne era certo.
Dove scappare?
Perlustrò i dintorni con lo sguardo. In circostanze diverse, si sarebbe goduto il panorama. Alla sua sinistra, colline dorate si spiegavano morbide verso l’entroterra, punteggiate di laghi, boschi e qualche mandria al pascolo. Alla
sua destra, le pianure di Berkeley e Oakland si stendevano verso ovest: un’ampia scacchiera di quartieri, popolati
di diversi milioni di persone che probabilmente non avevano nessuna voglia di farsi sconvolgere la mattinata da
due mostri e un semidio straccione.
Più lontano, a ovest, la baia di San Francisco scintillava
sotto una bruma argentata. Superata quella, un muro di nebbia aveva inghiottito gran parte della città, lasciando scoperte solo le cime dei grattacieli e i piloni del Golden Gate.
Un vago senso di tristezza calò nel petto di Percy. Qualcosa gli diceva che era già stato a San Francisco. Quella
città aveva un qualche legame con Annabeth, l’unica persona del proprio passato che lui riuscisse a ricordare. Era
un ricordo fioco, però, una vera frustrazione. Lupa aveva
promesso che un giorno lui l’avrebbe rivista e che avrebbe recuperato la memoria, se avesse concluso con successo il suo viaggio.
Forse doveva provare ad attraversare la baia?
Un’ipotesi allettante. Percy avvertiva il potere dell’oceano
oltre l’orizzonte. L’acqua lo rivitalizzava sempre. E l’acqua
salata era la migliore. Lo aveva scoperto due giorni prima,
quando aveva strangolato un mostro marino nello Stretto
di Carquinez. Se fosse riuscito a raggiungere la baia, forse avrebbe potuto affrontare un ultimo combattimento.
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Percy
Forse avrebbe potuto perfino far annegare le gorgoni. Ma
la costa distava parecchi chilometri. C’era un’intera città da attraversare.
Percy esitava però per un’altra ragione. Lupa gli aveva
insegnato ad acuire i sensi, a fidarsi dell’istinto che lo aveva guidato verso sud. E il suo radar interiore in quel momento tintinnava a più non posso. La fine del viaggio era
vicina, quasi sotto i suoi piedi. Ma com’era possibile? Non
c’era niente in cima a quell’altura.
Il vento cambiò. Percy colse nell’aria un odore acre di
rettile. A un centinaio di metri lungo il pendio, qualcosa
frusciava in mezzo al bosco: rami che si spezzavano, foglie calpestate, sibili…
Le gorgoni.
Per la milionesima volta, il figlio di Nettuno maledisse
il fiuto dei mostri. Gli avevano sempre detto che riuscivano a sentire il suo odore perché era un semidio, il figlio
mezzosangue di un’antica divinità romana. Percy aveva
provato a rotolarsi nel fango, ad attraversare torrenti, perfino a infilarsi dei bastoncini di deodorante per auto nelle tasche per profumare come una macchina nuova; ma, a
quanto pareva, il tanfo semidivino era difficile da soffocare.
Salì ad affacciarsi sul versante occidentale. Il pendio era
troppo ripido per scendere. C’era uno strapiombo di oltre
una ventina di metri, che terminava sul tetto di un grande palazzo costruito nel fianco stesso dell’altura. Più giù
ancora, ai piedi della collina, spuntava l’autostrada diretta a Berkeley.
Fantastico. Non c’erano altre vie di fuga. Era riuscito a
intrappolarsi da solo.
Percy scrutò il traffico che scorreva verso San Francisco.
Quanto avrebbe voluto trovarsi a bordo di una di quelle
auto… Poi si rese conto che l’autostrada doveva per forza
attraversare la collina. Doveva esserci un tunnel, proprio
sotto i suoi piedi.
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Il suo radar interiore impazzì. Era nel posto giusto, lo
sapeva, solo che era troppo in alto. Doveva andare a controllare quel tunnel. Gli serviva un modo per scendere, e
alla svelta.
Si tolse lo zaino dalle spalle. Era riuscito a procurarsi un
po’ di attrezzatura all’ipermercato: un GPS portatile, del nastro adesivo, un accendino, un barattolo di colla, una bottiglia d’acqua, una stuoia, un coltellino svizzero e un cuscino Tenerotto Panda Soft, pubblicizzato con l’etichetta
visto in tv: in pratica, tutto ciò che un moderno semidio
potesse desiderare, pensò con sarcasmo. Ma non aveva nulla che potesse fungere da paracadute o da slitta.
Gli restavano due opzioni: un tuffo della morte da venticinque metri, oppure combattere. Pessime entrambi.
Percy imprecò e si sfilò qualcosa dalla tasca.
La penna non sembrava un granché, era soltanto una
penna a sfera qualunque, ma, una volta tolto il tappo, si
trasformava in una scintillante spada di bronzo. Il bilanciamento della lama era perfetto. L’elsa di cuoio calzava
nella mano di Percy come se l’avessero concepita apposta
per lui. Lungo la guardia c’era un’incisione, una parola in
greco antico che in qualche modo il ragazzo comprendeva: Anaklusmos. Vortice.
Si era svegliato con la spada in pugno quella prima notte alla Casa del Lupo. Quando era stato… due mesi prima? Di più? Aveva perso il conto. Si era ritrovato nel cortile di una villa distrutta da un incendio, in mezzo a un
bosco, con indosso un paio di pantaloncini, una maglietta
arancione e una collanina di cuoio con delle strane perle
di terracotta. Stringeva Vortice in mano, ma non aveva la
minima idea di come fosse finito lì, e non ricordava quasi
nulla della propria identità. Era scalzo, infreddolito e confuso. E poi erano arrivati i lupi…
Proprio accanto a lui, una voce familiare lo fece trasalire, riportandolo al presente: — Eccoti qua!
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Percy
Percy si allontanò di soprassalto, e per poco non cadde di sotto.
La gorgone era quella che sorrideva sempre: Stanlio.
Okay, non si chiamava veramente Stanlio. Ma, quando
Percy provava a leggere, le parole si incasinavano sempre,
quindi lui aveva pensato di essere dislessico. E la prima
volta che aveva visto la gorgone, camuffata da commessa
dell’ipermercato con tanto di targhetta verde con su scritto: benvenuti! io sono steno, lui aveva letto stanlio.
Indossava ancora il grembiule verde dell’ipermercato sopra un vestito a fiori. A giudicare dal busto, poteva passare per la nonna un po’ in carne di qualcuno; tuttavia al posto delle gambe aveva due zampe da gallina. E agli angoli
della bocca le spuntavano zanne di bronzo, simili a quelle
di un cinghiale. Gli occhi mandavano un bagliore rosso, e
i capelli erano un nido di vipere verdi.
La cosa più orripilante di tutte? Teneva ancora in mano
un grande vassoio d’argento pieno di salsicciotti al formaggio. Il vassoio era scheggiato dopo tutte le volte che
Percy l’aveva uccisa, ma gli stuzzichini omaggio sembravano in forma smagliante. Steno continuava a portarseli
dietro per tutta la California con l’unico scopo di offrirglieli prima di farlo fuori. Percy non aveva idea del perché
lo facesse, ma se avesse mai avuto bisogno di un’armatura, aveva tutte le intenzioni di farsela di salsicciotti al formaggio. Erano indistruttibili.
— Assaggiane uno! — offrì Steno.
Percy la scacciò con un fendente. — Dov’è tua sorella?
— Oh, metti via quella spada — lo rimproverò la gorgone. — Lo sai che nemmeno il bronzo celeste può ammazzarci definitivamente. Prendi un salsicciotto! Sono in offerta speciale questa settimana, e mi dispiacerebbe ucciderti
con lo stomaco vuoto.
— Steno! — La seconda gorgone comparve alla destra di
Percy così all’improvviso che il ragazzo non ebbe il tem9
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po di reagire. Per fortuna era troppo impegnata a rimproverare la sorella per badare a lui. — Ti avevo detto di coglierlo di sorpresa e farlo fuori!
Il sorriso di Steno vacillò. — Ma, Euriale… Non posso
dargli uno stuzzichino, prima?
— No, imbecille! — Euriale si voltò verso Percy e scoprì le zanne.
A parte i capelli, che erano un nido di serpenti corallo anziché di vipere verdi, era tale e quale alla sorella. Il
grembiule dell’ipermercato, il vestito a fiori e perfino le
zanne però erano pieni di bollini adesivi che garantivano
il 50% di sconto. Sulla sua targhetta c’era scritto: Salve! Mi
chiamo “muori, feccia di un semidio!”
— Ci hai costretto a una bella caccia! — esclamò Euriale.
— Ma ora sei in trappola, e noi avremo la nostra vendetta!
— I salsicciotti al formaggio costano solo 2 dollari e
99 — aggiunse Steno per rendersi utile. — Reparto alimentari, terza corsia.
Euriale ringhiò. — Steno, l’ipermercato era solo una finta! Sei entrata troppo nella parte! Ora, metti giù quel ridicolo vassoio e aiutami ad ammazzare questo semidio.
O hai dimenticato che è stato lui a disintegrare Medusa?
Percy fece un passo indietro. Ancora una manciata di
centimetri e sarebbe finito di sotto. — Sentite, signore, ne
abbiamo già parlato. Non me lo ricordo nemmeno di avere ucciso Medusa. Non ricordo niente di niente! Non possiamo fare una tregua e parlare delle offerte speciali?
Steno guardò la sorella facendo il broncio, cosa piuttosto difficile con due zanne di bronzo giganti. — Possiamo?
— No! — Euriale puntò gli occhi rossi in quelli di Percy.
— Non mi importa di quello che ti ricordi, figlio del dio del
mare. Hai l’odore del sangue di Medusa addosso, lo sento.
È debole, sì, è vecchio di diversi anni, ma tu sei stato l’ultimo a sconfiggerla. E lei non è ancora tornata dal Tartaro. Per colpa tua!
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Percy
Questo Percy non riusciva a comprenderlo. Tutta quella faccenda del “morire e ritornare dal Tartaro” gli faceva girare la testa. Certo, la testa gli girava anche all’idea
che una penna a sfera potesse trasformarsi in una spada, o
che i mostri potessero camuffarsi servendosi di una cosa
chiamata Foschia, o che lui, Percy, fosse il figlio di una
decrepita divinità marina incrostata di conchiglie. Però ci
credeva. Anche se gli avevano cancellato la memoria, sapeva di essere un semidio nello stesso modo in cui sapeva
di chiamarsi Percy Jackson. Dalla sua primissima conversazione con Lupa, aveva accettato che quel mondo folle e
pazzesco fatto di divinità e mostri fosse la sua realtà. Una
realtà che faceva piuttosto schifo.
— Che ne dite di dichiararla patta? — propose. — Io non
posso uccidere voi. Voi non potete uccidere me. Se siete le
sorelle di Medusa – quella Medusa che trasformava la gente in pietra – non dovrei essere una statua, ormai?
— Ah, gli eroi! — esclamò Euriale, con disgusto. — Devono tirarlo sempre fuori, proprio come nostra madre! “Perché non sapete trasformare la gente in pietra? Vostra sorella ci riusciva.” Be’, mi dispiace deluderti, ragazzo! Quella
maledizione era di Medusa soltanto. Lei era la più brutta
della famiglia. E ha avuto tutte le fortune!
Steno sembrò ferita. — Mamma diceva che ero io la più
brutta.
— Chiudi il becco! — la fulminò Euriale. — Quanto a
te, Percy Jackson, hai il marchio di Achille, è vero. Questo
ti rende un pochino più difficile da uccidere. Ma non ti
preoccupare. Troveremo il modo.
— Il marchio di chi?
— Di Achille — rispose Steno allegramente. — Oh, lui
era magnifico! Lo avevano immerso nello Stige da piccolo,
e così era invulnerabile, tranne che per un puntino minuscolo sul tallone. È quello che è successo anche a te, mio
caro. Qualcuno deve averti gettato nello Stige, e ora hai
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una pelle d’acciaio. Ma non ti preoccupare. Gli eroi come
te hanno sempre un punto debole. Dobbiamo solo trovarlo, e poi possiamo ucciderti. Non sarebbe fantastico? Prendi un salsicciotto!
Percy si sforzò di ragionare. Non ricordava nessun tuffo nello Stige. Ma, del resto, non ricordava quasi niente di
niente. Non gli sembrava di avere la pelle d’acciaio, però
quell’ipotesi avrebbe spiegato come mai fosse riuscito a
resistere tanto contro le gorgoni.
E, se fosse caduto giù da quel dirupo, sarebbe sopravvissuto? Non voleva rischiare; non senza qualcosa che rallentasse la caduta, magari una slitta, o…
Guardò il grande vassoio di stuzzichini omaggio di Steno.
— Ci stai ripensando? — gli chiese subito la gorgone.
— Molto saggio, mio caro. Ci ho aggiunto anche un po’ del
mio sangue, così avrai una morte rapida e indolore.
Percy si sentì serrare la gola. — Hai aggiunto il tuo sangue ai salsicciotti?
— Solo un po’. — Steno sorrise. — È bastato un graffietto sul braccio, ma sei carino a preoccuparti. Il sangue del
nostro fianco destro è in grado di curare qualunque cosa,
sai… ma il sangue del sinistro è letale…
— Razza di idiota! — strillò Euriale. — Non dovevi dirglielo! Non mangerà mai quei salsicciotti, ora che gli hai
rivelato che sono avvelenati.
Steno era sbigottita. — Dici di no? Ma gli ho detto che
avrà una morte rapida e indolore!
— Ah, lascia perdere! — Le dita di Euriale si trasformarono in artigli. — Lo uccideremo con le cattive… lo infilziamo finché non troviamo il punto debole. Quando avremo sconfitto Percy Jackson, saremo più famose di Medusa!
La nostra padrona ci ricompenserà immensamente.
Percy strinse la presa sulla spada. Doveva calcolare la
mossa alla perfezione: un diversivo, pochi secondi, e via
il vassoio con la mano sinistra, poi…
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“Falle parlare” pensò. — Prima che mi facciate a pezzi,
chi è questa padrona di cui parli?
Euriale fece un verso di scherno. — La divina Gea, naturalmente! Colei che ci ha riportate in vita dall’oblio!
Non vivrai abbastanza per conoscerla di persona, ma i tuoi
amici qui sotto affronteranno presto la sua ira. In questo
stesso istante, le sue armate marciano verso sud. Alla Festa della Fortuna si risveglierà, e i semidei saranno falciati
come… come…
— Come i nostri prezzi all’ipermercato! — suggerì Steno.
Euriale si voltò infuriata verso la sorella.
Percy approfittò subito del varco. Afferrò il vassoio di
Steno, sparpagliando i salsicciotti avvelenati, e menò un
fendente al busto di Euriale, mozzandola in due. Poi sollevò il vassoio, e Steno si trovò di fronte al proprio riflesso.
— Medusa! — strillò la gorgone.
Euriale si era disintegrata, ma stava già cominciando a riformarsi, come un pupazzo di neve mezzo disciolto. — Steno,
razza di stupida! — gorgogliò con la metà del viso che si risollevava dalla polvere. — È solo il tuo riflesso! Attacca!
Percy sbatté il vassoio sulla testa di Steno, mandandola
al tappeto. Poi si mise il vassoio sotto il sedere, pregò in
silenzio il dio romano delle scivolate più stupide del mondo – chiunque fosse – e saltò giù dalla collina.
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II
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l guaio di scivolare lungo un precipizio a diecimila chilometri al secondo sopra un vassoio di stuzzichini? Se a
metà strada ti rendi conto che non è stata una buona idea,
è troppo tardi.
Percy mancò un albero per un pelo, s’impennò sopra un
masso e ruotò di trecentosessanta gradi in aria volando poi
come un missile verso l’autostrada. Quello stupido vassoio
non aveva il servosterzo.
Il semidio udì le gorgoni strillare e intravide i serpenti
corallo di Euriale in cima alla collina, ma non ebbe il tempo di preoccuparsene. Il tetto del palazzo si stagliava minaccioso ai suoi piedi come la prua di una corazzata. Impatto previsto entro dieci, nove, otto…
Percy riuscì a ruotare di lato per evitare di spezzarsi
le gambe, scivolò obliquo per un lungo tratto del tetto e
sfrecciò di nuovo in aria. Il vassoio schizzò da una parte,
lui dall’altra.
Mentre precipitava verso l’autostrada, uno scenario orribile gli attraversò come un lampo la mente: il suo corpo
che si schiantava contro il parabrezza di un suv, e un pendolare infastidito che cercava di toglierlo di mezzo con i
tergicristalli. “Stupido sedicenne caduto dal cielo! Sono
in ritardo!”
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Percy
Miracolosamente, una ventata improvvisa lo spostò di
lato, quel tanto che bastava per mancare l’autostrada e
schiantarsi su una macchia di cespugli. Un atterraggio non
troppo morbido, ma sempre meglio dell’asfalto.
Percy emise un gemito. Avrebbe tanto voluto restarsene lì svenuto in santa pace, ma doveva muoversi. Si rimise in piedi a fatica. Aveva le mani graffiate, però non sembrava esserci nulla di rotto. Aveva ancora il suo zaino. Da
qualche parte lungo la scivolata aveva perso la spada, ma
tanto sapeva che alla fine gli sarebbe ricomparsa in tasca
in versione penna. Era parte della sua magia.
Guardò in su, verso la cima della collina. Impossibile
non individuare le gorgoni, con i serpenti colorati in testa e i grembiuli verdi dell’ipermercato. Stavano scendendo con estrema cautela lungo il precipizio, con più lentezza di Percy, ma con molta più sicurezza; evidentemente
le loro zampe da gallina erano ottime per le arrampicate. Percy calcolò di avere ancora quattro o cinque minuti di vantaggio.
Accanto a lui, un alto recinto di rete metallica separava
l’autostrada da un quartiere di strade curve, villette accoglienti e grandi eucalipti. Il recinto probabilmente serviva
a impedire che qualcuno entrasse in autostrada e facesse
qualche stupidaggine – tipo scivolare su un vassoio di stuzzichini lungo la corsia di sorpasso – ma la rete era piena
di buchi. Percy ci si infilò senza problemi. Forse sarebbe
riuscito a trovare una macchina e a raggiungere l’oceano,
si disse. Non gli piaceva rubare le auto, ma nel corso delle
ultime settimane, in casi estremi, ne aveva “prese in prestito” diverse, inclusa una macchina della polizia. La sua
intenzione era sempre di restituirle, ma non sembravano
durare mai molto.
Scrutò verso est. Proprio come aveva immaginato, a un
centinaio di metri di distanza l’autostrada si infilava in
una galleria ai piedi della collina. I due ingressi del tunnel,
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uno per ogni senso di marcia, lo fissavano come le orbite vuote di un teschio gigantesco. Al centro, al posto del
naso, c’era un muro sporgente di cemento, con una porta
metallica simile all’ingresso di un bunker.
Forse era un tunnel per la manutenzione. Probabilmente era così che lo vedevano i mortali, ammesso che notassero la porta. Ma loro non riuscivano a vedere oltre la Foschia. E Percy sapeva che quella porta era qualcosa di più.
Due ragazzi stavano di guardia all’ingresso. Indossavano una strana accozzaglia di elmi piumati, armi e pezzi
di armatura dell’Antica Roma sopra i jeans e le magliette viola, con scarpe da ginnastica bianche ai piedi. La sentinella di destra sembrava una ragazza, per quanto fosse
difficile stabilirlo, seminascosta com’era dall’armatura.
Quella di sinistra era un ragazzo robusto, con arco e faretra sulla schiena. Entrambi stringevano lunghe lance con
la punta di ferro simili ad arpioni da pesca.
Il radar interiore di Percy impazzì. Dopo tutti i terribili
giorni passati, aveva finalmente raggiunto la meta. L’istinto gli diceva che, se fosse riuscito ad attraversare quella
porta, sarebbe stato al sicuro per la prima volta da quando
i lupi lo avevano inviato a sud.
Allora perché era così terrorizzato?
Sul fianco ripido della collina, le gorgoni stavano atterrando sul tetto del complesso edilizio. Erano a tre minuti
di distanza, forse meno.
Percy era combattuto. Da un lato avrebbe voluto correre verso la porta. Doveva attraversare la linea di mezzeria
dell’autostrada, ma era solo questione di scatto. Sarebbe
arrivato prima delle gorgoni.
Dall’altro avrebbe voluto puntare verso ovest, verso
l’oceano. Lì sarebbe stato più al sicuro. Lì il suo potere era
al massimo. Quelle sentinelle romane sulla porta lo inquietavano. Una vocina interiore gli diceva: “Questo non
è il mio territorio. È pericoloso.”
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Percy
— Hai ragione! — esclamò una voce accanto a lui.
Percy trasalì. All’inizio pensò che Steno fosse riuscita a
coglierlo di nuovo di sorpresa, ma la donna seduta tra i cespugli era perfino più repellente di una gorgone. Sembrava
una vecchia hippie vissuta per gli ultimi quarant’anni sul
ciglio della strada, anni passati a raccogliere stracci e spazzatura. Indossava un abito fatto di stoffe scolorite, coperte sfilacciate e sacchetti di plastica. La zazzera crespa dei
capelli era grigio-brunastra, come una schiuma sporca, ed
era trattenuta da una fascia con il simbolo della pace. La
faccia era piena di chiazze e di verruche. Il suo sorriso era
fatto di tre soli denti.
— Quello non è un tunnel della manutenzione — gli
confidò. — È l’ingresso del campo.
Percy fu scosso da un brivido lungo la schiena. Il campo. Sì, ecco da dove veniva. Da un campo. Forse allora era
a casa. Forse Annabeth era vicina.
Ma c’era qualcosa che non tornava.
Le gorgoni erano ancora sul tetto del palazzo. Poi Steno
lanciò un verso stridulo e indicò nella sua direzione.
La vecchia hippie inarcò le sopracciglia. — Non hai molto tempo, figliolo. Devi fare la tua scelta.
— Lei chi è? — chiese Percy, anche se non era certo di
volerlo sapere. L’ultima cosa che gli serviva era l’ennesimo mortale che si trasformava in mostro.
— Oh, puoi chiamarmi June, come il mese di giugno. —
Gli occhi della donna scintillarono come se avesse fatto
una battuta divertente. — Perché siamo a giugno, non è
vero? Hanno chiamato il mese in mio onore!
— Okay, ehm… devo andare. Stanno arrivando due gorgoni. Non voglio che le facciano del male.
June giunse le mani al petto. — Che caro! Ma questo fa
parte della tua scelta.
— La mia scelta… — Percy lanciò un’occhiata nervosa
alla collina. Le gorgoni si erano tolte i grembiuli verdi, e
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sulle loro schiene erano spuntate piccole ali da pipistrello, che luccicavano come ottone.
Ma da quando avevano pure le ali? Forse però erano solo
decorative, si disse. Forse erano troppo piccole per sollevare una gorgone da terra. Ma poi le due sorelle decollarono
con un balzo e presero a volteggiare verso di lui.
“Fantastico! Ci mancava anche questa.”
— Sì, la tua scelta — disse June, come se non ci fosse
nessuna fretta. — Puoi lasciarmi qui alla mercé delle gorgoni e raggiungere l’oceano. Arriveresti sano e salvo, te lo
garantisco. Le gorgoni saranno felicissime di attaccare me
e di lasciarti andare. E, una volta in mare, i mostri non ti
disturberanno. Potresti cominciare una nuova vita, giungere alla vecchiaia e sfuggire alla grande quantità di dolore e sofferenza che il futuro ha in serbo per te.
Percy non si aspettava un granché dalla seconda opzione.
— Oppure?
— Oppure potresti restare e compiere una buona azione
per una povera vecchia — concluse la donna. — Portami
al campo con te. In braccio.
— In braccio? — Percy sperò che fosse una battuta. Poi
June sollevò le gonne e gli mostrò i piedi rossi e gonfi.
— Non posso andarci da sola — spiegò. — Mi ci devi portare tu… Attraversando l’autostrada, il tunnel e il fiume.
Percy non sapeva di quale fiume stesse parlando, ma
non gli sembrò un’impresa facile. June aveva l’aria di essere piuttosto pesante.
Le gorgoni ormai erano molto vicine, e cominciarono a
planare verso di lui senza fretta, come se sapessero che la
caccia era quasi finita.
Percy guardò la vecchia. — E perché mai dovrei trasportarla al campo?
— Perché è una buona azione! E perché, se non lo farai,
gli dei moriranno, il mondo così come lo conosciamo perirà, e tutti coloro che appartengono alla tua vecchia vita
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Percy
saranno distrutti. Naturalmente tu non li ricorderesti, perciò immagino che non avrà importanza. Saresti al sicuro
sul fondo del mare…
Percy deglutì. Le gorgoni emisero una risata stridula e
iniziarono la discesa.
— Se andrò a questo campo… mi tornerà la memoria?
— Alla fine, sì — rispose June. — Ma dovrai fare un grosso sacrificio! Perderai il marchio di Achille. Proverai dolore, sofferenza e smarrimento oltre ogni limite. Ma forse
avrai la possibilità di salvare i tuoi vecchi amici e la tua
famiglia, e di riavere la tua vita di prima.
Le gorgoni volteggiavano in cerchio sopra di loro. Probabilmente stavano studiando la vecchia, per capire chi fosse la nuova arrivata, prima di colpire.
— E le sentinelle alla porta? — chiese Percy.
June sorrise. — Oh, ti faranno passare, caro. Puoi fidarti di quei due. Allora, che cosa dici? Aiuterai una povera
vecchia indifesa?
Percy dubitava che June fosse indifesa. Nel caso peggiore, si trattava di una trappola. Nel caso migliore, di un
test di qualche tipo.
E Percy odiava i test. Da quando aveva perso la memoria, tutta la sua vita era stata un grande compito in classe pieno di caselle da riempire. Lui era ______________, di
___________. Si sentiva ____________, e se i mostri lo avessero preso, sarebbe stato ______________.
Poi pensò ad Annabeth, l’unica parte della sua vecchia
vita di cui era certo. Doveva assolutamente trovarla.
— Va bene. L’aiuterò — disse, e sollevò la vecchia tra
le braccia.
Era più leggera di quanto si fosse aspettato. Cercò di
ignorare il suo alito e le sue mani callose intorno al collo e attraversò la prima corsia. Un clacson strombazzò.
Qualcuno gli gridò dietro qualcosa che si perse nel vento.
La maggior parte degli automobilisti lo schivò con irrita19
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il figlio di nettuno
zione, come se Berkeley fosse piena di giovani straccioni
che trasportavano vecchie hippie in mezzo all’autostrada.
Un’ombra gli oscurò il passo. Era Steno, che gridò in
tono allegro: — Ma che bravo! Hai trovato una dea da trasportare, eh?
Una dea?
June ridacchiò, esclamando: — Ops! — quando una macchina per poco non li investì.
Da qualche parte alla loro sinistra, Euriale strillò: — Prendili! Due premi sono meglio di uno!
Percy attraversò come un lampo le corsie rimaste, raggiungendo sano e salvo la linea di mezzeria. Vide le gorgoni
che planavano e le auto che sterzavano al loro passaggio. Si
chiese cosa vedessero i mortali attraverso la Foschia: pellicani giganti? Alianti dirottati? Lupa gli aveva detto che
le menti mortali potevano credere a qualunque cosa, purché non fosse la verità.
Percy corse verso la porta sul fianco della collina, con
June che diventava più pesante a ogni passo. Aveva il cuore
a mille e le costole indolenzite.
Una delle sentinelle urlò. Poi incoccò una freccia.
Percy gridò: — Aspetta!
Ma non stava mirando a lui. La freccia volò sopra la sua
testa, e una gorgone emise un gemito di dolore.
La seconda sentinella puntò la lancia; a gesti, incitò
Percy a sbrigarsi.
Cento metri alla porta. Cinquanta.
— Preso! — strillò Euriale.
Percy si voltò a guardarla nell’istante in cui una freccia le si conficcava in fronte. La gorgone cadde nella corsia di sorpasso e fu subito investita da un camion, che la
trascinò via per un centinaio di metri. Il mostro però non
si scompose: si arrampicò sull’abitacolo dell’automezzo,
si staccò la freccia dalla fronte e la lanciò nella direzione
da cui era venuta.
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Percy
Percy raggiunse la porta. — Grazie! — disse alle sentinelle. — Bel colpo.
— Dovrebbe essere morta! — protestò l’arciere.
— Benvenuto nel mio mondo — borbottò Percy.
— Frank — intervenne la ragazza — falli entrare, presto! Quelle sono gorgoni.
— Gorgoni? — La voce dell’arciere si era fatta stridula.
Non si riusciva a capire molto del suo viso, seminascosto
dall’elmo, ma sembrava un tipo molto robusto, con la stazza di un lottatore, sui quattordici o quindici anni. — La
porta riuscirà a trattenerle?
— No, non ci riuscirà. — June ridacchiò. — Coraggio,
Percy Jackson! Attraversiamo il tunnel e il fiume!
— Percy Jackson? — La ragazza aveva la pelle più scura,
con i capelli ricci che spuntavano ai lati dell’elmo. Sembrava più giovane di Frank, forse sui tredici anni. Il fodero
della spada le arrivava quasi alla caviglia. Eppure sembrava lei a comandare. — E va bene, tu sei chiaramente un semidio. Ma lei chi…? — Lanciò un’occhiata a June. — Lascia perdere. Filate dentro. Le trattengo io.
— Hazel, è una pazzia! — protestò il ragazzo.
— Vai! — ordinò lei.
Frank imprecò in un’altra lingua – latino? – e aprì la porta. — Muoviamoci!
Percy lo seguì, barcollando sotto il carico della vecchia,
che stava decisamente diventando pesante. Non sapeva
come avrebbe fatto quella ragazza, Hazel, a trattenere le
gorgoni da sola, ma era troppo stanco per protestare.
Il tunnel era scavato nella roccia massiccia, e aveva le
dimensioni del corridoio di una scuola. All’inizio, sembrava il tipico tunnel di manutenzione, pieno di cavi elettrici e cartelli di pericolo, con scatole di fusibili alle pareti e
lampadine protette da griglie di ferro al soffitto. Man mano
che si addentravano, tuttavia, il pavimento di cemento cedette il passo a un mosaico di piastrelle, mentre le lam21
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padine furono sostituite da torce di canne intrecciate, che
ardevano senza fumo. Più avanti, a poche centinaia di metri, Percy vide un quadrato di luce naturale.
La vecchia ormai pesava più di una pila di sacchi di sabbia, e le braccia di Percy tremavano per lo sforzo. June canticchiava una canzoncina in latino, come una ninnananna, che non lo aiutava affatto a concentrarsi.
Alle loro spalle, le voci delle gorgoni echeggiavano nel
tunnel.
D’un tratto Hazel gridò. Percy fu tentato di scaricare
June e correre in suo soccorso, ma poi tutto il tunnel fu
scosso dal frastuono di una frana. Si udì una sorta di verso stridulo e prolungato, identico a quello che le gorgoni
avevano emesso quando Percy aveva rovesciato loro addosso una cassa di palle da bowling, a Napa.
Il semidio si voltò a guardare: l’estremità occidentale
del tunnel era piena di polvere. — Non dovremmo andare da Hazel?
— Oh, se la caverà… spero — rispose Frank. — È brava
sottoterra. Andiamo avanti! Siamo quasi arrivati.
— Quasi arrivati dove?
June ridacchiò. — Tutte le strade portano lì, figliolo. Dovresti saperlo.
— In prigione?
— A Roma, figliolo — chiarì la vecchia. — Roma.
Percy dubitò di avere sentito bene. Sì, certo, aveva perso
la memoria. E non si sentiva il cervello a posto da quando
si era svegliato alla Casa del Lupo. Ma era piuttosto sicuro che Roma non si trovasse in California.
Continuarono a correre. Il bagliore in fondo al tunnel
si fece più luminoso, e alla fine furono inondati dal sole.
Percy rimase di stucco. Sotto di lui si estendeva il bacino di un’ampia vallata, in cui si alternavano colline dolci, pianure dorate e tratti di foresta. Un piccolo fiume limpido scorreva sinuoso lungo il perimetro, fino a sfociare
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Percy
in un lago al centro, disegnando una sorta di G maiuscola nella valle.
Geograficamente, avrebbero potuto trovarsi ovunque
nel nord della California: querce ed eucalipti, colline dorate e cielo azzurro. E quella grande montagna dell’entroterra – come si chiamava… Monte Diablo? – che si innalzava in lontananza, proprio nel punto giusto.
Ma Percy aveva la sensazione di avere appena varcato
la soglia di un mondo segreto. Al centro della vallata, in
prossimità del lago, si annidava una piccola città di edifici in marmo bianco con i tetti di tegole rosse. Alcuni avevano cupole e portici, altri sembravano grandi residenze
private, con portoni dorati e ampi giardini. Vide che c’era
anche una piazza, costellata di fontane e statue. Un anfiteatro con cinque ordini di colonne scintillava al sole, accanto a una lunga arena ovale simile a un ippodromo.
Dall’altra parte del lago, a sud, un’altra collina era punteggiata di edifici ancora più impressionanti: templi, intuì
Percy. Diversi ponti di pietra attraversavano il fiume lungo
il suo tortuoso percorso nella vallata, mentre a nord una
lunga linea di archi in muratura si stendeva dalle colline
fino in città. Percy pensò a una linea ferroviaria sopraelevata. Poi si rese conto che doveva trattarsi di un acquedotto.
La parte più strana dell’intera vallata però era proprio
sotto di lui. A duecento metri di distanza, sulla riva opposta del fiume, c’era una sorta di accampamento militare. Di forma quadrata, occupava più o meno cinquecento
metri per lato, con terrapieni sormontati da punte affilate lungo tutto il perimetro. All’esterno delle mura correva un fossato asciutto, anch’esso irto di punte. Sui quattro angoli sorgevano torri di guardia in legno, provviste di
sentinelle e di balestre grandi come cannoni. Vessilli viola
pendevano dalle torri. In fondo al campo si aprivano i cancelli, in direzione della città. Un ingresso più piccolo sorgeva invece sul lato più vicino alla riva del fiume. Dentro,
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il forte brulicava di attività: decine di ragazzi andavano e
venivano dagli alloggi militari, trasportavano armi, levigavano armature.
Percy udì il clangore dei martelli di una fucina e sentì
il profumo della carne arrostita sul fuoco. C’era qualcosa
di molto familiare in quel posto, eppure c’era anche qualcosa che non tornava.
— Il Campo Giove — disse Frank. — Saremo al sicuro
una volta arri…
Un’eco di passi alle loro spalle. Hazel irruppe alla luce
del sole, coperta di detriti e con il fiato grosso. Aveva perso
l’elmo, e i riccioli bruni le ricadevano sulle spalle. Sull’armatura campeggiavano i lunghi graffi lasciati dagli artigli delle gorgoni, accanto a un bollino del 50% di sconto.
— Le ho rallentate — annunciò. — Ma saranno qui da un
momento all’altro.
Frank imprecò. — Dobbiamo attraversare il fiume.
June strinse più forte il collo di Percy. — Oh, sì, per favore. Ma non posso bagnarmi il vestito.
Percy si morse la lingua. Se quella donna era una dea,
doveva essere la dea delle hippie puzzolenti, pesanti e inutili. Ma ormai aveva fatto tutta quella strada. Tanto valeva continuare a portarsela appresso.
«… è una buona azione!» aveva detto la donna. «E… se
non lo farai, gli dei moriranno, il mondo così come lo conosciamo perirà, e tutti coloro che appartengono alla tua
vecchia vita saranno distrutti.»
Se quello era un test, non poteva permettersi un’insufficienza, si disse Percy.
Rischiò di inciampare un paio di volte mentre correvano verso il fiume, però Frank e Hazel lo aiutarono a restare
in piedi. Raggiunta la riva, si fermò a riprendere fiato. La
corrente era rapida, ma il fiume non sembrava profondo.
A un tiro di schioppo c’era l’ingresso dell’accampamento.
— Tu vai, Hazel. — Frank incoccò due frecce. — Scor24
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Percy
ta Percy, così le sentinelle non lo colpiranno. Ora tocca a
me fermare i cattivi.
Hazel annuì e si addentrò nel fiume.
Percy stava per imitarla, ma qualcosa lo trattenne. Di
solito amava l’acqua, ma quel fiume sembrava… potente,
e non necessariamente amichevole.
— Il Piccolo Tevere — disse June. — In lui scorre il potere del Tevere originario, il fiume dell’impero. Questa è
la tua ultima occasione per tirarti indietro, figliolo. Il marchio di Achille è una benedizione greca. Non puoi conservarla, se entri in territorio romano. Il Tevere la laverà via.
Percy era troppo esausto per comprendere tutto, ma capì
il succo. — Quindi, se lo attraverso, non avrò più una pelle d’acciaio?
June sorrise. — Allora, cosa scegli? La salvezza, o un futuro pieno di dolore e ricco di possibilità?
Alle loro spalle, stridendo, le gorgoni volarono fuori dal
tunnel. Frank scoccò le sue frecce.
Hazel, già a metà strada nel fiume, strillò: — Percy,
muoviti!
In alto, sulle torri di guardia, si udirono dei corni suonare. Le sentinelle gridarono e puntarono le balestre verso
le gorgoni.
“Annabeth” pensò Percy. E si addentrò con passo deciso
nel fiume. L’acqua era gelida, molto più rapida di quanto
avesse immaginato, ma questo per lui non era un problema. Si sentì invadere da una forza nuova, i sensi all’erta
come per un’iniezione di caffeina. Raggiunse la riva opposta e mise a terra la donna mentre i cancelli del campo si
aprivano. Decine di ragazzi in armatura si riversarono fuori.
Hazel si voltò con un sorriso sollevato. Poi guardò oltre le spalle di Percy, e la sua espressione si mutò in orrore. — Frank!
Il ragazzo era ancora in mezzo al fiume quando le gorgoni lo raggiunsero. Piombarono giù dal cielo e lo afferra25
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rono per le braccia, conficcandogli gli artigli nella carne.
Frank urlò dal dolore.
Le sentinelle gridarono, ma Percy capì che non potevano agire. Rischiavano di colpire e uccidere Frank. Gli altri ragazzi sguainarono le spade e si prepararono a un attacco, ma non sarebbero mai arrivati in tempo.
C’era un unico modo.
Percy spalancò le mani. Si sentì serrare le viscere da
una morsa, e il Tevere fu pronto a obbedire ai suoi ordini.
Il fiume si sollevò. Due vortici si formarono ai fianchi di
Frank, e gigantesche mani fatte di acqua afferrarono le gorgoni, issandole in una micidiale stretta liquida. Le creature mollarono la preda, sorprese.
Percy udì gli altri ragazzi gridare stupiti e farsi indietro,
ma rimase concentrato sul proprio compito. Fece il gesto
di schiacciare qualcosa con i pugni, e le due mani giganti scaraventarono le gorgoni nel Tevere. Le creature sbatterono contro il fondo e si ridussero in polvere. Nuvole
scintillanti della loro essenza tentarono di riformarsi, ma
il fiume le dissipò come un frullatore, e ben presto ogni
residuo dei due mostri si disperse nell’acqua. I vortici svanirono, e la corrente tornò come prima.
Percy era immobile sulla riva, con i vestiti e la pelle fumanti, come se le acque del Tevere lo avessero sottoposto
a un bagno di acido. Si sentiva esposto, nudo… vulnerabile.
Frank invece barcollava in mezzo al fiume, sbigottito
ma sano e salvo. Hazel lo raggiunse e lo aiutò a raggiungere la riva.
Solo allora Percy si rese conto del silenzio che aveva intorno: lo stavano fissando tutti, a occhi spalancati.
Soltanto la vecchia June sembrava impassibile. — Be’,
è stato un viaggio delizioso! — esclamò. — Grazie, Percy
Jackson, per avermi portato al Campo Giove.
Una delle ragazze emise un verso strozzato. — Percy…
Jackson? — Lo disse come se conoscesse quel nome.
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Percy
Percy si concentrò su di lei, sperando di riconoscere un
volto familiare: aveva un ruolo di comando, questo era
chiaro. Indossava un mantello sull’armatura, e il petto era
decorato di medaglie. Aveva più o meno la sua età, con gli
occhi scuri e penetranti e i capelli lunghi e neri. Percy non
riuscì a riconoscerla, ma lei lo guardava come se lo avesse incontrato nei suoi incubi.
June rise, deliziata. — Oh, sì… vi divertirete tanto insieme! — Poi, giusto perché quel giorno non era già stato
abbastanza folle, la vecchia cominciò a risplendere e a cambiare forma. Crebbe fino a diventare una dea scintillante di
luce, alta due metri, vestita con un abito azzurro e una pelle
di capra sulle spalle. Il volto era severo e solenne. In mano
stringeva uno scettro che culminava con un fiore di loto.
I ragazzi del campo si stupirono ancora più di prima, se
mai fosse stato possibile. La ragazza con il mantello si inginocchiò. Gli altri seguirono il suo esempio. Uno si chinò
così in fretta che per poco non si infilzò da solo con la lancia.
Hazel fu la prima a parlare. — Giunone… — Anche lei
e Frank si inginocchiarono.
Percy rimase l’unico in piedi. Sapeva che probabilmente
avrebbe dovuto imitarli ma, dopo essersi caricato la vecchia per tutto quel tempo, non aveva molta voglia di mostrarle tanto rispetto. — Giunone, eh? Se ho passato il tuo
test, posso riavere la mia memoria e la mia vita?
La dea sorrise. — Ogni cosa a suo tempo, Percy Jackson. E a condizione che tu abbia successo qui, al campo.
Oggi te la sei cavata bene, è un buon inizio. Forse c’è ancora speranza per te. — Si voltò verso gli altri. — Romani, vi presento il figlio di Nettuno. È rimasto assopito per
mesi, ma ora si è svegliato. Il suo destino è nelle vostre
mani. La Festa della Fortuna si avvicina in fretta, e la Morte dovrà essere liberata se vorrete avere qualche speranza di vittoria nella battaglia. Non deludetemi! — Giunone scintillò e scomparve.
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Percy guardò Hazel e Frank come a cercare una spiegazione, ma sembravano confusi quanto lui. Frank aveva in
mano due piccole fiasche di terracotta con i tappi di sughero, come le fiale di una pozione. Percy non aveva idea
di dove le avesse prese, ma vide che se le infilava nelle tasche. Frank gli lanciò un’occhiata come a dire: “Ne parliamo dopo.”
La ragazza con il mantello si fece avanti. — Un figlio di
Nettuno, che viene da noi con la benedizione di Giunone — esordì freddamente, studiando con diffidenza il nuovo
arrivato.
Percy non riuscì a scrollarsi di dosso la sensazione che
avrebbe tanto voluto infilzarlo con il pugnale. — Ehm, senti… ho la memoria un po’ sottosopra. Cioè, a dirla tutta,
l’ho proprio persa. Ci conosciamo?
— Io sono Reyna, pretore della Dodicesima Legione. —
La ragazza sembrò esitare. — E… no, non ci conosciamo.
L’ultima parte era una menzogna. Percy glielo lesse negli occhi. Ma capì che se si fosse messo a discutere lì, di
fronte a tutti, lei non lo avrebbe apprezzato.
— Hazel, portalo dentro — continuò Reyna. — Voglio interrogarlo ai Principia. Poi lo manderemo da Ottaviano. Dobbiamo consultare gli auguri prima di decidere
cosa farne.
— In che senso? — replicò Percy.
Reyna strinse l’elsa del pugnale. Non era abituata alle
repliche, era evidente. — Prima di accettare qualcuno al
campo, è nostra consuetudine interrogarlo e leggere gli
auguri. Giunone ha detto che il tuo destino è nelle nostre
mani. Dobbiamo sapere se la dea ti ha condotto da noi
come nuova recluta… — Reyna scrutò Percy come se trovasse l’idea molto dubbia. — Oppure come un nemico da
uccidere — concluse in tono speranzoso.
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