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Il preliminare “abusivo” tra regole di validità e regole di comportamento.
di Renata Russo1
IL FATTO
L’attore conveniva in giudizio il promittente venditore chiedendo l’esecuzione in forma specifica (art. 2932
c.c.) di un contratto preliminare da essi stipulato ed avente ad oggetto l’acquisto di un terreno agricolo sul
quale era stata edificata una casa per civile abitazione oggetto di condono.
Il Tribunale rigettava la domanda attorea di trasferimento coattivo della proprietà dell’immobile,
adducendo la mancata produzione della documentazione attestante l’avvenuto versamento dell’oblazione
relativa al condono edilizio concernente la casa edificata sul terreno. Tale decisione veniva confermata in
Corte d’Appello. La causa giunge così innanzi alla Corte di Cassazione, la quale è tornata a pronunciarsi sul
controverso tema della validità/nullità del preliminare di vendita avente ad oggetto un immobile abusivo.
LA QUAESTIO IURIS E LA TEMATICA DELL’ABUSIVISMO EDILIZIO
La questione relativa alla riferibilità dell’art. 40 L. 47/1985 al contratto preliminare -ed il connesso profilo
della eventuale esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre- è stata diversamente affrontata in
sede di legittimità negli ultimi anni. Per comprendere a fondo l’attuale sistema normativo ed indagare la
ratio sottesa alla norma in esame, è necessario ripercorrere brevemente l’excursus legislativo e
giurisprudenziale intrapreso nel nostro ordinamento2.
Anteriormente alla introduzione di tale disposizione, l’abusivismo edilizio era regolato dalla legge 28
gennaio 1977 n. 10 (c.d. legge Bucalossi) la quale, all’art. 15, stabiliva che gli atti giuridici aventi per
oggetto unità edilizie costruite in assenza di concessione sono nulli ove da essi non risulti che l’acquirente
era a conoscenza della mancanza della concessione. In tale contesto normativo la sanzione della nullità
veniva ricollegata alla mancata conoscenza, da parte dell’acquirente, dell’insussistenza del titolo e, dunque,
ad uno stato di ignoranza soggettiva circa l’abusività del bene.
Con la legge 28 febbraio 1985 n. 47 il legislatore ha abrogato la legge Bucalossi a all’art. 40 co. II, in
sostituzione della pregressa disciplina, ha previsto che gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali, esclusi
quelli di costituzione, modificazione ed estinzione di diritti di garanzia o di servitù, relativi ad edifici o loro
parti, sono nulli e non possono essere rogati se da essi non risultano, per dichiarazione dell'alienante, gli
estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ai sensi
dell'articolo 31 ovvero se agli atti stessi non viene allegata la copia per il richiedente della relativa domanda,
munita degli estremi dell'avvenuta presentazione, ovvero copia autentica di uno degli esemplari della
domanda medesima, munita degli estremi dell'avvenuta presentazione e non siano indicati gli estremi
dell'avvenuto versamento delle prime due rate dell'oblazione di cui al sesto comma dell'articolo 35. […] .
1
Magistrato in tirocinio presso il Tribunale di Napoli.
Per un approfondimento sulla tematica, si veda M.Santise, Coordinate ermeneutiche di diritto civile, II Ed., 2016,
Giappichelli Editore, pp. 519 ss.
2
1
Con tale previsione il Legislatore del 1985 circoscrive in modo volutamente dettagliato3 la sanzione della
nullità ai soli atti tra vivi (facendo in tal modo salvi gli atti mortis causa) aventi ad oggetto diritti reali, in tal
modo escludendo dalla portata della norma i contratti ad effetti obbligatori.
Fin dall’entrata in vigore della disposizione in esame gli interpreti hanno pervicacemente affermato la
natura formale di tale nullità: la stessa può conseguire solamente e direttamente all’assenza della
dichiarazione richiesta dalla legge, non essendo peraltro necessario verificare l’effettiva regolarità
urbanistica del bene. La giurisprudenza ha in particolare affermato “che la norma sanziona la sola
violazione di un obbligo formale imposto al venditore (quello di indicare gli estremi della concessione ad
edificare o della concessione rilasciata in sanatoria), al fine di porre l’acquirente in condizione di conoscere
le condizioni del bene acquistato e di effettuare gli accertamenti sulla regolarità del bene attraverso il
confronto tra la sua consistenza reale e la concessione in sanatoria. Pertanto nessuna invalidità deriva al
contratto dalla difformità della realizzazione edilizia rispetto alla licenza o alla concessione e, in generale,
dal difetto di regolarità sostanziale”4.
Tale ricostruzione strettamente formalistica è stata sottoposta a severe critiche da una parte della dottrina
la quale ha diversamente sostenuto trattarsi di una nullità di carattere sostanziale: invero, oltre alla
necessaria presenza delle suddette dichiarazioni (verifica puramente formale), sarebbe necessario anche il
riscontro della conformità del bene rispetto al titolo abilitativo (verifica sostanziale). Diversamente, ne
discenderebbe una illogica incongruenza, data dalla considerazione che l’atto resterebbe in ogni caso valido
ed efficace pur se il bene realizzato dovesse risultare difforme dalla licenza richiesta per legge.
La tesi della nullità sostanziale sembra trovare conferma nel terzo comma della previsione in esame il quale
contempla una eccezionale sanatoria, concessa solo in caso di immobili che presentino la materiale
sussistenza dei requisiti di regolarità urbanistica: la norma stabilisce infatti che se la mancanza delle
dichiarazioni o dei documenti, rispettivamente da indicarsi o da allegarsi, non sia dipesa dall'insussistenza
della licenza o della concessione o dalla inesistenza della domanda di concessione in sanatoria al tempo in
cui gli atti medesimi sono stati stipulati, ovvero dal fatto che la costruzione sia stata iniziata
successivamente al 1° settembre 1967, essi possono essere confermati anche da una sola delle parti
mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga la menzione omessa o al
quale siano allegate la dichiarazione sostitutiva di atto notorio o la copia della domanda indicate al comma
precedente.
Si tratta, a ben vedere, di una delle eccezionali ipotesi in cui l’ordinamento consente di sanare5 (mediante
conferma anche unilaterale) l’atto nullo, similmente a quanto accade in materia di testamento e donazione
(artt. 590 e 799 c.c ). Orbene, dalla lettura del terzo comma dell’art. 40 emerge come sia possibile sanare
esclusivamente l’atto di trasferimento di immobili che risultino in regola al momento della stipula ma per i
quali vi sia un difetto solo formale, cioè di omessa menzione degli estremi. Ne deriva che la lettera della
legge consente di sanare esclusivamente una nullità di rilievo meramente formale.
Pertanto, appare maggiormente corretto quell’orientamento giurisprudenziale che rinviene all’interno della
previsione in esame due distinte tipologie di nullità :
3
La previsione della precedente legge Bucalossi presentava una portata “totalizzante” poichè faceva genericamente
riferimento ad “atti giuridici” ed inoltre si prestava ad agevoli elusioni attraverso la predisposizione da parte dei
costruttori di clausole attestanti la consapevolezza degli acquirenti circa la regolarità del bene.
4
Cass. Civ., Sez. II, 07.12.2005, n. 26970.
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O come altra dottrina ritiene , “confermare”: cfr. F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, ESI, 2010, pag. 994
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-una nullità testuale e formale, discendente dalla mera omissione della menzione del titolo edilizio, in
rerum natura sussistente, sanabile ex comma terzo art. 40;
-una nullità sostanziale, derivante dalla insussistenza ab origine del titolo, insanabile (c.d. immobile
irrimediabilmente abusivo).
Con riguardo all’ambito di operatività della norma in esame, secondo la visione nata immediatamente
dopo l’introduzione della legge e a lungo seguita, ne sono esclusi i contratti di locazione ed i contratti
preliminari di vendita, producendo questi effetti puramente obbligatori.
Per tale ragione, la giurisprudenza6 ha sempre escluso che il preliminare avente ad oggetto un immobile
abusivo, carente ab origine degli estremi della concessione in sanatoria, fosse nullo, spostando l’indagine
sul piano dell’inadempimento del promittente venditore.
In particolare, gli argomenti posti a basa dell’orientamento tradizionale erano –e sono tutt’ora- molteplici :
1- In primo luogo, si osserva, la previsione di cui all’art. 40 legge 47/1985 ha carattere tassativo e
pertanto non è estendibile analogicamente: essa colpisce con la nullità i soli atti che realizzano
vicende circolatorie e per tale ragione sono esclusi dal suo perimetro i c.d. negozi preparatori che
danno luogo a vicende puramente obbligatorie, quali il contratto preliminare di vendita; si tratta
dunque di una nullità testuale;
2- Ulteriore argomento attiene alla funzione del contratto preliminare. Si osserva che, a ben vedere,
sanzionare con la nullità il preliminare significherebbe frustrare lo scopo tipico di tale strumento
preparatorio che, al contrario, in tale frangente esplica tutto il suo potenziale di “strumento di
gestione delle sopravvenienze” ; presumibilmente, in tale segmento temporale manca ancora
alcuno dei presupposti perché si realizzi l’effetto reale voluto dalle parti e, per tale ragione, le
stesse si obbligano vicendevolmente alla stipula del definitivo, in attesa che sopraggiunga la
concessione in sanatoria. Il contratto preliminare manifesta qui dunque la sua “causa in concreto”:
attendere la sopravvenienza e gestire i rapporti tra le parti, sino all’intervento dell’elemento che
consentirà di realizzare l’effetto circolatorio;
3- la nullità prevista dagli artt. 17 e 40, cit., assolve alla funzione di tutela dell'affidamento del
promissario acquirente, sanzionando specificamente la sola violazione di un obbligo formale,
imposto al venditore al fine di porre l'acquirente di un immobile in condizione di conoscere lo stato
del bene. Si tratta dunque della violazione di una regola di comportamento e non di validità.
Le conseguenze derivanti da tale impostazione erano le seguenti: allorquando non risultasse presentata
l’istanza in sanatoria, il promittente venditore era da considerarsi inadempiente rispetto al programma
negoziale e, conseguentemente, il preliminare di vendita poteva essere risolto per sua colpa. Tale
6
Ex multis, Cass. Civ., 22 novembre 2012, n. 20714 secondo cui se non risulta presentata l’istanza in sanatoria il
promittente venditore è inadempiente e il preliminare di vendita può essere risolto per sua colpa; Cass. Civ. 5 luglio
2013 n. 16876 secondo cui i casi previsti dalla norma sono tassativi e non estendibili per analogia. Nello stesso ordine
di idee la sentenza 19 dicembre 2006 n. 27129 ha affermato che in caso di preliminare di vendita di immobile
costituisce inadempimento di non scarsa importanza, tale da giustificare il recesso dal contratto del promittente
acquirente e la restituzione del doppio della caparra versata, il comportamento del promittente alienante che
prometta in vendita un immobile abusivo per il quale non esiste alcuna possibilità di regolarizzazione. Ancora più
esplicitamente la sentenza 24 marzo 2004 n. 5898 ha affermato che il difetto di regolarità sostanziale del bene sotto
il profilo urbanistico non rileva di per se ai fini della validità dell'atto di trasferimento, trovando rimedio nella
disciplina dell'inadempimento contrattuale.
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omissione non inficiava dunque la validità dell’atto ma, diversamente, ricadeva sul piano del sinallagma
contrattuale, determinandone la risoluzione.
LA DIVERSA POSIZIONE ASSUNTA DALLA CORTE DI CASSAZIONE NEL 2013
In rottura con l’orientamento sino a quel momento unanime, la Corte di Cassazione, con sentenza del 17
ottobre 2013 n. 235917, ha inaugurato la tesi della estensione della nullità al contratto preliminare avente
ad oggetto un immobile abusivo.
Nella stessa si legge che “deve ritenersi nullo, per contrarietà alla legge, il contratto preliminare di vendita
di un immobile irregolare dal punto di vista urbanistico”. Secondo la Corte dall’art. 40, comma 2, della l. n.
47 del 1985, è desumibile il principio generale della nullità (di carattere sostanziale) degli atti di
trasferimento di immobili non in regola con la normativa urbanistica, cui si aggiunte una nullità (di carattere
formale) per gli atti di trasferimento di immobili in regola con la normativa urbanistica o per i quali è in
corso la regolarizzazione, ove tali circostanze non risultino dagli atti stessi.
La conclusione della Corte secondo cui tali contratti siano da considerarsi nulli appare giustificata da
considerazioni sia logiche che basate sulla stessa formulazione dell'art. 40, della legge citata.
Sotto il primo profilo occorre considerare che se lo scopo perseguito dal legislatore era quello di rendere
incommerciabili gli immobili non in regola dal punto di vista urbanistico, a parere della Corte sarebbe del
tutto in contrasto con tale finalità:
-da un lato, la previsione della nullità degli atti di trasferimento di immobili regolari dal punto di vista
urbanistico ma nei quali non sono indicati gli estremi , dunque per motivi meramente formali,
-dall’altro, consentire invece alle parti di stipulare validamente il preliminare diretto al trasferimento di
immobili non regolari, lasciando eventualmente alla parte interessata assumere l'iniziativa sul piano
dell'inadempimento contrattuale. Addirittura si potrebbe prospettare la possibilità per le parti di eludere
consensualmente lo scopo perseguito dal legislatore, stipulando il contratto e poi immediatamente dopo
concludendo una transazione con la quale il compratore rinunzi al diritto a far valere l'inadempimento della
controparte, purgandone l’abusività.
Inoltre afferma la Corte, “non si può non considerare che il legislatore, con la legge n. 47 del 1985 ha inteso
prevedere un regime più severo di quello previsto dall'art. 15 legge 1977 n. 10, il quale prevedeva la nullità
degli atti giuridici aventi per oggetto unità edilizie costruite in assenza di concessione, ove da essi non
risultasse che l'acquirente era a conoscenza della mancata concessione. Tale inasprimento, invece, sarebbe
da escludere ove, per gli atti in questione, all'acquirente dovesse essere riconosciuta la sola tutela prevista
per l'inadempimento”.
Il punto che riveste maggiore rilevanza appare quello in cui la Corte afferma che “per quanto riguarda la
lettera della legge, il fatto che l'art. 40, secondo comma, faccia riferimento agli atti di trasferimento, cioè
agli atti che hanno una efficacia reale immediata, mentre il contratto preliminare abbia efficacia
semplicemente obbligatoria non elimina dal punto di vista logico che non può essere valido il contratto
preliminare il quale abbia ad oggetto la stipulazione di un contratto nullo per contrarietà alla legge”.
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La sentenza è pubblicata su M.Santise, op. cit., p. 519 ss.
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La circostanza che il preliminare produca effetti obbligatori non elimina dunque la sua invalidità perché, a
parere della Corte, va messo a fuoco il suo oggetto : un contratto nullo per contrarietà alla legge (il
definitivo). La Suprema Corte in tale sentenza fa applicazione dei principi in materia di collegamento
negoziale -funzionale e necessario- che lega la sequenza preliminare-definitivo: il preliminare è affetto da
nullità poiché in sé cela già il “germe” della nullità del futuro contratto definitivo. Si tratta del c.d. effetto di
propagazione, in virtù del quale il vizio del definitivo si comunica al preliminare poiché la causa in concreto
del secondo consiste nel realizzare un assetto non consentito dall’ordinamento (il trasferimento del bene
abusivo). Anche se la vicenda non è ancora circolatoria, il contratto preliminare prelude la stessa e pertanto
va colpito - anticipatamente- da nullità.
Conseguentemente, le ricadute applicative di tale orientamento inducono a distinguere, accanto ad una
nullità formale, sanabile, per gli atti per i quali vi sia un difetto puramente formale, una nullità sostanziale
che inficia non solo ogni contratto ad effetti reali , bensì anche il contratto preliminare di vendita poiché, a
parere della Corte, è desumibile il principio generale della nullità (di carattere sostanziale) degli atti di
trasferimento di immobili non in regola con la normativa urbanistica.
CRITICHE MOSSE ALL’ORIENTAMENTO INNOVATIVO E RITORNO AL PASSATO : LA SENTENZA DELLA
CASSAZIONE 2016
La pronuncia della Cassazione del 2013 ha suscitato le critiche della dottrina.
Si è osservato che tale ricostruzione dilata la portata della norma in commento, dilatazione invero non
consentita all’interprete poiché trattasi di norma di carattere tassativo e pertanto in alcun modo
estendibile in via analogica; come emerge, il dettato legislativo fa espresso riferimento agli atti tra vivi
aventi per oggetto diritti reali (nullità c.d. testuale), mostrando in tal modo il Legislatore di circoscrivere la
patologia della invalidità ai soli atti circolatori e di tagliare fuori dalla sua portata qualsivoglia atto di
autonomia privata che generi effetti obbligatori.
La dottrina ha efficacemente osservato che al medesimo risultato (nullità del preliminare) si sarebbe potuto
giungere affermando non la illiceità diretta per contrasto con una norma imperativa, bensì asserendo la
impossibilità giuridica dell’oggetto del contratto preparatorio (ovvero l’assetto realizzabile attraverso il
definitivo), allorquando si verta di immobili rispetto ai quali non è possibile una regolarizzazione futura;
seguendo tale strada, a ben vedere, la Cassazione avrebbe evitato di dilatare una nullità non estendibile.
Tali critiche sono state accolte dalla giurisprudenza più recente che, tornata a pronunciarsi sul punto, ha
palesato la opportunità di ribadire l’orientamento tradizionale, ripudiando la tesi della estensione della
nullità al contratto preliminare.
Con sentenza del 9 maggio 2016, n. 9318, la Suprema Corte ha affermato che in tema di contratto
preliminare privo degli estremi della intervenuta sanatoria, la sanzione della nullità prevista dall’art. 40 L.
47/1985 va riferita esclusivamente ai contratti ad efficacia reale; conseguentemente, l’indicazione degli
estremi della concessione edilizia e della sanatoria non è affatto necessaria ai fini della validità del
contratto preliminare ed i documenti comprovanti la concessione edilizia e la sanatoria ben possono essere
prodotti in sede di pronunzia della sentenza ex art. 2932 c.c.
A sostegno di tale conclusione, la Corte di Cassazione, richiamando il suo precedente orientamento dal
quale “non vi è ragione di discostarsi”, ribadisce che “la sanzione della nullità prevista dall’art. 40 L.
47/1985, con riferimento a vicende negoziali relative ad immobili privi della necessaria concessione
edificatoria, trova applicazione per i soli contratti ad effetti traslativi e non anche con riguardo ai contratti
5
con efficacia obbligatoria, quale il preliminare di vendita, ben potendo essere resa la dichiarazione o
prodotta la documentazione relative alla regolarità della edificazione [..] all’atto della stipulazione del
definitivo contratto traslativo, ovvero in corso di giudizio e prima della pronuncia della sentenza ex art.
2932 c.c, che tiene luogo del contratto”.
In tale pronuncia la Corte ha dunque mostrato di aderire all’orientamento prevalente, ancorato al rispetto
del dato letterale della norma nonché deferente dei principi in materia di nullità. La linea giurisprudenziale
seguita conferma dunque che:
- in caso di nullità formale (assenza meramente formale della indicazione degli estremi della concessione
edilizia e della sanatoria, tuttavia esistente al momento della stipula dell’atto), essa opera esclusivamente
per i contratti definitivi di vendita (e per gli altri contratti traslativi); il preliminare sarà dunque valido e
produttivo dei suoi effetti, ben potendo tali elementi intervenire nelle more della stipula o in sede di
giudizio, sino alla pronuncia della sentenza ex art. 2932 c.c.
- in caso di nullità sostanziale (data dalla insussistenza ab origine del titolo), si aprirà la strada della
risoluzione per inadempimento del contratto preliminare. Difatti, a parere della Corte, non può essere
emanata sentenza di trasferimento coattivo prevista dall’art. 2932 c.c. in assenza della dichiarazione sugli
estremi della concessione edilizia, che costituisce requisito richiesto a pena di nullità ed integra una
condizione dell’azione di cui all’art. 2932 c.c.8
Alla luce di quanto emerge dalla sentenza, è possibile individuare i punti focali attorno ai quali ruota tale
orientamento.
È dato certamente affermare che, in tal modo inteso, il contratto preliminare esplica interamente la sua
funzione -come delineata dalla Suprema Corte sin dal 20069- quale strumento di gestione delle
sopravvenienze: in sede di stipula del preliminare, le parti gettano le basi per realizzare l’assetto di interessi
prodromico a quello che sarà attuato con il futuro definitivo, attendendo il sopraggiungere di quel
presupposto di validità dell’atto traslativo cui esse mirano. Tutto ciò in omaggio alla visione della causa
concretamente intesa.
Con la pronuncia del 2016, dunque, la Corte non anticipa la nullità del definitivo al contratto preliminare, in
tal modo allentando l’osmosi che lega i due negozi; la stessa appare rispettosa del dato testuale,
impedendo la dilatazione della categoria della nullità ed escludendo che un negozio ad effetti obbligatori
possa essere dichiarato invalido; afferma, infine, in modo del tutto corretto, che gli estremi della
concessione edilizia “costituiscono condizione dell’azione ex art. 2932, non potendo tale pronuncia
realizzare un effetto maggiore e diverso da quello possibile alle parti nei limiti della loro autonomia
negoziale” 10.
Appare, ad ogni modo, opportuno attendere ulteriori sviluppi giurisprudenziali al fine di verificare la tenuta
dell’orientamento maggioritario rispetto a taluni -innegabili- pregi che la visione minoritaria presentava:
senza dubbio, dal punto di vista di politica legislativa, essa mirava a fare “terra bruciata” intorno alle
contrattazioni aventi ad oggetto immobili abusivi, anticipando una nullità che il preliminare, invero,
prelude.
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Cass. Civ., Sez. VI, 26 aprile 2016, n. 8489.
Cass. Civ., Sez. Un., 18 maggio 2006, n. 11624
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Cass. Civ., Sez. VI, 26 aprile 2016, n. 8489,
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