Echi dal Rinascimento tra bronzi e gin tonic

Transcript

Echi dal Rinascimento tra bronzi e gin tonic
Codice cliente: 2075783
Corriere della Sera Giovedì 25 Aprile 2013
39
italia: 51495654565752
GLI INEDITI A NEW YORK
Le 9 lettere di Salinger
all’ammiratrice canadese:
«Guerra e Pace? Furbo»
Riaffiorano nove lettere inedite dello scrittore
americano J. D. Salinger (1919-2010, nella foto), dal
tono vivace. La breve corrispondenza, che copre il
periodo dal 1941 al ’43, è stata acquistata dalla
Morgan Library and Museum di New York, che già
possiede altri manoscritti dell’autore famoso per la sua
vita di autorecluso. Nell’estate del 1941 l’autore del
Giovane Holden — riferisce il «New York Times», che ha
potuto visionare il carteggio in anteprima — iniziò uno
scambio epistolare con Marjorie Sheard, canadese, 22
anni, residente a Toronto, che era rimasta estasiata
dai primi racconti pubblicati da Salinger su «Esquire»
e «Collier’s». Aspirante scrittrice lei stessa, Sheard gli
chiese consigli e lui la incoraggiò, ritenendo che la
giovane avesse talento, tanto da suggerirle una serie di
piccole riviste a cui affidare i suoi lavori. Salinger non
Cultura
mancò neppure di indicare le sue letture di quel
momento, come Anna Karenina, definito «non buono», e
Guerra e pace, un libro «molto furbo», invitandola a
leggere Il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald.
Marjorie Sheard, che oggi ha 95 anni, ha conservato
gelosamente le nove lettere in una scatola da scarpe
dentro a un armadio. La nipote ora ha deciso di
venderle alla Morgan Library.
il Classico
Tradimento, menzogne, vendette: fermi restando i temi
che animano l’Otello di Shakespeare, bisogna ammettere
che la tragedia si presta a continue riletture, anche alla
luce delle nuove interpretazioni della (presunta) vita del
Bardo. Come fa Carlo Pagetti che traduce e cura la recente
edizione, nei Tascabili di Einaudi (pagine 354, e 9).
Vintage Luoghi classici antichi e moderni: le opere di Brunelleschi e Ghiberti a Firenze, i Festival di Cannes, il Grand Hotel di Heidelberg
Andrea del Castagno,
«Regina Tomiri», 1448-9
Galleria degli Uffizi
Echi dal Rinascimento
tra bronzi e gin tonic
I marmi medicei come specchio del mondo
poi vennero realismo televisivo e «Dolce vita»
di ALBERTO ARBASINO
«L
a primavera del Rinascimento»
si intitola
questa così bella e facile
mostra fiorentina in Palazzo Strozzi. Con Donatello,
praticamente protagonista, accanto al Brunelleschi. Ma «L’invenzione del Rinascimento», con
Pietro Bembo, si trova a Padova, dove gli
«squarcioneschi» in una celebrata pagina di Roberto Longhi erano «resi come folli dal boato
delle fonderie dove ribolliva l’altare di Donatello per il Santo». E «vengono a nutrire un amore
forsennato per la magia del materiale scultorio». Cioè, quella tecnica pittorica che per Mantegna e Tura e Crivelli si rifà ad aspetti ed effetti
bronzei o marmorei.
Tecniche
Gli artisti nutrivano un amore
forsennato per la magia
del materiale scultorio
come scriveva Roberto Longhi
Come siamo lontani da quella Milano cinquecentesca dove analoghi boati e fetori tormentavano gli abitanti nei pressi delle fonderie di Leone e Pompeo Leoni, che lavoravano full time
per l’Escuriale di Filippo II, in quel palazzo degli Omenoni poi sede esclusiva del Clubino.
Agli inizi del Quattrocento, gli artisti fiorentini
venivano da Settignano o Maiano o Panicale o
Fiesole, però (di Banco o di Duccio) si fondavano parecchio sul gusto per i marmi antichi nelle collezioni poi medicee.
Si impara en passant che il famoso giglio fiorentino fu accordato nel 1464 da Luigi XI di
Francia a Piero il Gottoso de’ Medici. Si ammirano le solenni e sontuose processioni degli Umiliati, Battuti, Scarsi, Scalzi. E le tantissime Madonne col Bambino in terracotta dipinta e dorata che pare legno o stucco. Sfarzosi contenitori
di sacre reliquie. Le diverse teste bronzee di cavalli, chiamate espertamente «protomi», sia antiche o antichissime e sia quella colossale del
Donatello «padovano», donata da Lorenzo de’
Medici a un potente Carafa dignitario aragonese: un regalo davvero spropositato, anche solo
considerando il peso del metallo.
A monte, precedenti insigni quali Giotto, Masolino, Masaccio. E scultori come Arnolfo di
Cambio, Tino di Camaino, i Pisano e le loro botteghe. Proprio all’alba, nel 1401, i mirabili rilievi
del Brunelleschi e del Ghiberti col Sacrificio di
Isacco per una porta bronzea del Battistero fiorentino. Lignei, invece, i modelli brunelleschiani e del Sangallo per la Cupola o per questo medesimo Palazzo Strozzi. E nei bassorilievi marmorei, la squisita tecnica dello «stiacciato».
***
Quanti cari antichi ricordi, a causa dei tanti
classici moderni che continuano a riapparire.
Con La Locanda degli Annegati di Georges Simenon (Adelphi), al di là delle facili assonanze
con gli Angariati o i Battuti, insieme a qualche
Addolorata o Annunziata, riecco la memoria
dell’autore medesimo, sempre in coppia con
Henry Miller come Gianni e Pinotto dal barbiere, ai tempi della Dolce vita, al Festival di Cannes, con calze rosa o arancione… E sullo sfondo, Fellini e Rossellini, di due Mastroianni, Cha-
gall, Tzara, Thorez, Leiris, la vedova Léger…
«Mi piace molto la televisione, — diceva. —
Ingrandisce talmente tutto, che ammazza subito i falsi valori, e mette in luce solo ciò che è
vero. Tutti, attori, politici, scrittori, si spogliano
immediatamente di tutto il finto e il voluto, e
appaiono nel loro aspetto più autentico. Anche
più crudelmente di quanto si aspettino».
***
E Kingsley Amis (Lucky Jim, ora presso Dalai
editore), nel pub sotto casa, a Londra. «Angry
young men addirittura furibondi in una mediocre società divisa più che mai in caste, ove chi è
privo di fonetica "giusta" si trova chiuso l’accesso ai posti al "top". Ma la frustrazione giovanile
piccolo-borghese di massa non esercita influssi
nella formazione di nuove correnti politiche. E
invece trova forma ed espressione in opere teatrali e letterarie di testimonianza, costume, e
gran successo: spie di prim’ordine per spiegare
gli insuccessi dei gruppi giovanili più irrequieti. Attorno al vuoto lasciato dai marxismi del
Trenta nella vita culturale britannica».
«Mio padre è impiegato, sono cresciuto in
una modesta casa periferica, come borsista a
una grossa scuola di Londra, e sempre come
borsista ho studiato in uno dei collegi meno
pretenziosi di Oxford: fra insegnanti, bibliotecari, giornalisti impiegatizi, scienziati dell’industria, preti di varie confessioni, assistenti sociali… Appartamenti di due stanze con dischi di
Mozart e jazz, mogli vestite sportive e pettinate
con coda di cavallo, bottiglie di vino cheap, manifesti di corrida e Flamenco, testi di geologia o
diritto pubblico, volumi di A. J. Ayer… Ma non
più Cause romantiche e decadenti che si chiamavano Spagna o fascismo o Messico, con manzanilla, cucaracha, corrida, scialli neri su muri
calcinati, tute macchiate d’olio su camion sventolanti bandierine rosse da murales di Diego Rivera…
***
Addio a Berlino ha una storia complicata,
perché fu composto appunto là nei primi anni
Trenta, ma si rimescolò presto con Mr. Norris
Palazzo Strozzi
«La Primavera del
Rinascimento» è
aperta a Palazzo
Strozzi sino al 18
agosto. La mostra
ha anche didascalie
in cinese. Infatti,
sta per nascere la
Fondazione Palazzo
Strozzi Cina per
valorizzare il
turismo cinese.
Sarà un’istituzione
realizzata
dall’Associazione
Partners Palazzo
Strozzi (Apps) con
il supporto del
ministero per gli
Affari Civili della
Repubblica
Popolare Cinese.
cambia treno che aveva gli stessi personaggi e
venne pubblicato su una rivista diretta dall’insigne e cordiale John Lehmann, spesso a Roma
dove stava all’Hotel Victoria e soleva chiedere al
barman una «fine à l’eau». Era altresì fratello
della romanziera Rosamond Lehmann e dell’attrice Beatrix, indimenticabile negli Aspern Papers di Henry James. Analogamente, si diceva,
della già famosa Luisa Baccara, incontrandola
sempre più povera a Venezia: «Siede su un baule di lettere dell’Imaginifico, che forse non esistono». John era però un pilastro nell’azienda
editoriale di Leonard e Virginia Woolf.
Ora il romanzo «a blocchi» di Christopher
Isherwood ritorna per Adelphi, ma io ne ho ancora una copia edita da Longanesi a Roma nella
primavera 1944, non so come e perché. E poi,
naturalmente, varie edizioni seguenti. Intanto,
l’assunto basico «Sono una macchina fotografica» è stato usato da «I am a Camera» di John
van Druten con Julie Harris. E in seguito, il grandioso musical Cabaret, di Ebb e Kander, con eccelso protagonista Joel Grey, subì la sventura
dell’abbandono precoce di Lotte Lenya, perfetta Frau Schneider. Qui si verificarono anche imbarazzanti coincidenze con Breakfast at Tiffany’s di Truman Capote, giacché le ovvie confidenze fra lo scrittore gay e la ragazza «easy»
Novità Uscirà a settembre «El héroe discreto», ambientato in Perù
Padre contro figli: il nuovo Vargas Llosa
di IDA BOZZI
D
opo quindici anni lo scrittore Mario Vargas Llosa (nella foto), premio Nobel per la Letteratura
nel 2010, torna ad ambientare un romanzo in
Perù. Uscirà il 12 settembre e avrà infatti come sfondo
le «sue» città peruviane di Piura e di Lima, il suo nuovo libro El héroe discreto, come ha annunciato ieri a
Madrid lo stesso Nobel, che oggi vive a Londra. Il suo
ultimo romanzo uscito in Italia è Il sogno del Celta, edito da Einaudi nel 2011. L’occasione per l’annuncio è
stata la presentazione dello spettacolo La Chunga, tratto dalla sua novella Los fantasmas engendrados por el
deseo y la frustracion (I fantasmi allevati da desiderio
e frustrazione), che sarà al Teatro Español della capitale spagnola da oggi fino al 16 giugno (con la regia di
Joan Olle e con l’attrice Aitana Sanchez Gijon), primo
di una serie di spettacoli tratti dai lavori di Vargas Llosa in programma nel teatro madrileno.
E se la pièce ha come argomento il machismo, e vede protagonista la Chuenga, una donna energica che
vince al gioco una ragazza messa in palio dal rude Josefino («Il machismo — ha dichiarato Vargas Llosa — è
un problema molto radicato in America Latina, anche
se presente in buona parte del mondo»), il nuovo romanzo proporrà invece uno sguardo sul Perù d’oggi,
con più di un gradito ritorno per i lettori. Non solo per
l’ambientazione peruviana (che non appariva da I quaderni di don Rigoberto, Einaudi), ma anche perché tra
i protagonisti torneranno alcuni
dei personaggi più noti di Vargas
Llosa, come Lituma (apparso ne Il
caporale Lituma sulle Ande) e don
Rigoberto. La trama del romanzo,
che sarà edito da Alfaguara e uscirà
in contemporanea in Spagna e in
America Latina, seguirà le vicende
di Felícito Yanaqué, di Piura, e di
Ismael Carrera, un uomo d’affari di
Lima che ordisce una vendetta contro i figli che lo vorrebbero morto. «Penso che i temi dell’opera teatrale e
del romanzo — ha illustrato Vargas Llosa — si tocchino. Hanno a che vedere con l'individuo, circondato da
un groviglio sociale in cui incontra a volte opportunità, a volte un'enorme frustrazione».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
per forza sulla scena si caricano di idilli sexy
non consumati chissà perché. (Altro che le gelosie vendicative dei maschiacci contro le «ex»; o
le confidenze invasive «da sorella a sorella» coi
travestiti).
***
«Ho cominciato uno sforzo molto serio di
imparare il portoghese» e «Ieri ho ricominciato il mio romanzo», scrive Isherwood alla sua
mamma nel 1936 nel Diario di Sintra, con Auden e Isherwood, uscito adesso dal fiorentino
Barbès. Trent’anni dopo, a Santa Monica: «Dura un’intera giornata. Comincia in modo indeterminato, frammentario, col risveglio. Con le
prime attività, si precisa il carattere del personaggio. Ma non è una giornata decisiva, è un
giorno qualunque... E con la notte e col sonno,
tutto si disintegra nuovamente. C’è anche la
possibilità che muoia nella notte, impaurito e
solo, di una trombosi alle coronarie. Come una
nave silurata. Ma non si sa cosa avviene. È un
romanzo tutto di possibilità, non di realtà determinate»... Stava scrivendo Un uomo solo, e ne
parlava così.
***
«Un topo e un’elefantessa vanno a sposarsi.
Come mai? A questo punto, dobbiamo, arrossisce lei». «Una matrona suburbana, mai visto un
elefante, né una proboscide, ne trova uno orrendo che le devasta l’orto. E con quella enorme
coda, le strappa i cavoli! E dove se li mette!».
«Ecco un batuffolo verde, di ramo in ramo. Un
elefantino? Macché, uno scoiattolo con un paltoncino di loden». W. H. Auden snocciola le
sue storielle sugli elefanti, pacatamente, fra un
gin-and-tonic e le parole incrociate del «Times», nella taverna del Grand Hotel di Heidelberg, dove tutto è ligneo e spesso.
Con Stephen Spender, a un ristorante londinese. Deve rispondere in italiano a Giorgio Morandi, che gli sta dipingendo un quadro, ma da
ritirare solo se gli piace, a opera finita. A New
York, parlandogli, chi avrebbe potuto immaginare che quei soldi per la sua rivista «Encouter» venivano dalla Cia o dall’Fbi? Mah.
A Spoleto, «Where’s Luchino?» gracchiava Elsa Maxwell (Ho sposato il mondo, ed. Elliot),
fra il disinteresse degli astanti, che la trovavano
«out».
***
A Montecitorio, prima dei telefonini, tanti
anni fa. La rabbia dei professionisti con uffici
avviatissimi in provincia, trovandosi «peones»
senza possibilità di interventi fattivi, solo con
un dito per le ennesime votazioni «con procedimento elettronico», tante volte ripetuto dalla
presidente Nilde Iotti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA