Fiat-Chrysler - un`operazione da 20 miliardi di dollari

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Fiat-Chrysler - un`operazione da 20 miliardi di dollari
Corriere della Sera Economia
25 maggio 2013
L'ANTICIPAZIONE DEL «WALL STREET JOURNAL»
«Fiat-Chrysler : un'operazione
da 20 miliardi di dollari»
Il negoziato con i sindacati, la valutazione delle
banche e il possibile percorso per l'integrazione
Un'operazione da 20 miliardi di dollari, poco inferiore quindi ai 23 miliardi di
dollari dello sbarco in Borsa di General Motors nel 2010. A tanto ammonta secondo il Wall Street Journal - la «manovra» dell'amministratore delegato
di Fiat, Sergio Marchionne, per acquistare il controllo del 100% di Chrysler e
quotare la società che nascerà dall'unione con Fiat a Wall Street. Una
transazione «complicata», per la quale Fiat ha contattato Goldman Sachs,
Bank of America, Deutsche Bank e altri istituti per un potenziale
finanziamento.
Marchionne e Fiat puntano a consentire a questa di avere «il totale
controllo della casa automobilistica americana e a quotare i titoli su un listino
americano, una manovra che probabilmente includerà una complicata
reazione a catena che potrebbe significare più di 20 miliardi di dollari di
accordi»: una cifra «quasi quanto grande i 23 miliardi di dollari dello sbarco
in Borsa di General Motors nel 2010» afferma il Wall Street Journal.
L'obiettivo di Marchionne è un'ipo della società Fiat-Chrysler che possa
alimentare il bilancio del Lingotto. «Per centrare l'obiettivo ha bisogno di un
nuovo finanziamento, di acquistare la quota di Chrysler in mano a Uaw e di
rivedere i prestiti e i bond di Chrysler» precisa il Wall Street Journal,
sottolineando che Marchionne sta lavorando da mesi su due elementi del
piano: uno è raccogliere un nuovo finanziamento per Fiat, l'altro è acquistare
il 41,5% di Chrysler. «Marchionne ha detto che Fiat ha abbastanza liquidità
per acquistare la quota Chrysler, che potrebbe costare fra gli 1,75 e i 4,27
miliardi di dollari. Gli analisti non sono d'accordo», perchè ritengono che se
Fiat usasse la liquidità a disposizione per l'acquisto della quota rischierebbe
un downgrade, mette in evidenza il Wall Street Journal.
«Anche se acquistasse il resto di Chrysler, Marchionne si troverebbe ad
avere ancora del lavoro da fare. Nel 2011 Chrysler si è assicurata un prestito
da 2,9 miliardi di dollari per rimborsare il governo americano. I termini del
prestito fissano a 500 milioni di dollari quanto Chrysler può dare a Fiat.
Chrysler ha inoltre 3,2 miliardi di dollari di bond, che hanno requisiti simili,
ma meno stringenti sulla quota di liquidità Chrysler che può essere usata da
Fiat. Per rimuovere o allentare questi freni, Marchionne dovrà far sì che
Chrysler rifinanzi il prestito con nuovi termini». (Ansa)
IL PUNTO SULLA FUSIONE TRA LE DUE SOCIETÀ
Fiat-Chrysler e l'aumento di capitale
La posta in gioco è Wall Street
Il primo step da completare è l'accordo con il
fondo sanitario Veba, che detiene il 41,5% della
società di Auburn Hills
John Elkann e Sergio Marchionne (Imagoeconomica)
MILANO - Sergio Marchionne lo ripete da mesi e a ogni occasione: «Abbiamo
la liquidità sufficiente». È lui stesso, però, ad ammettere che comunque nel
medio termine Fiat-Chrysler di un aumento di capitale avranno bisogno. E
dunque: soltanto "dopo", ossia una volta che Lingotto e Auburn Hills saranno
a tutti gli effetti un'unica società, si chiederanno soldi agli azionisti. Non i
venti miliardi di dollari di cui ha parlato il Wall Street Journal, chiaramente:
come del resto scrive lo stesso quotidiano, quello è il valore (stimato)
dell'intera operazione. Che è già entrata, sì, nella fase calda. Ma che ha ancora
parecchi step da completare. E il primo rimane sempre l'accordo con Veba, il
fondo sanitario del sindacato americano dell'auto United Auto Workers.
Detiene ancora, complessivamente, il 41,5% di Chrysler. Fiat ha una serie di
opzioni, in parte già esercitate, che le consentono di rilevare pacchetti del
3,3% ogni sei mesi. Ma la valutazione di Veba, che giustamente tiene conto
dell'innegabile successo del risanamento del gruppo, è più alta di qualche
miliardo rispetto a quanto concordato all'inizio.
STRATEGIE - Il sindacato chiede 4,2 miliardi di dollari. L'offerta del
Lingotto è ferma a 1,8. C'è parecchia tattica, dietro le due posizioni: è evidente
che Marchionne sa di dover essere lui, ad alzare la posta. E che l'incontro,
probabilmente, avverrà poco oltre il "metà strada" dei 3 miliardi. Prima o
dopo il verdetto del Tribunale del Delawere che dovrà pronunciarsi su
richiesta dei contendenti, e che è atteso tra giugno e luglio, un'intesa
comunque arriverà. In pochi sono disposti a scommettere su un protrarsi del
duello nelle aule di giustizia: Veba ha bisogno di monetizzare le proprie azioni
per "pagare la parcella del dentista" (sintesi efficace delle prestazioni sanitarie
che deve garantire agli iscritti), a Fiat le azioni servono per poter far scattare
la fusione. I contatti con le banche di cui parla il Wall Street Journal sono
dunque in corso da mesi, e da mesi lavorano a questo e soprattutto al
successivo aspetto dell'intero progetto. Ossia l'Ipo. Ossia la quotazione a New
York. Che si riveli o no la maggior operazione dopo quella da 23 miliardi di
General Motors, accenderà in ogni caso ancor di più i riflettori internazionali.
Una società americana che soltanto sei anni fa era fallita diventerà tutt'uno
con la società italiana che l'ha salvata - ma che oggi, a sua volta, causa crisi del
mercato europeo dell'auto da sola non ce la farebbe - sbarcherà in grande stile
sul listino azionario più importante del mondo.
PROSPETTIVE - È a quello, a Wall Street, che Marchionne chiederà i fondi
per crescere ancora quando riterrà che le condizioni saranno favorevoli. Farlo
a Piazza Affari, sempre più asfittica, non garantirebbe le stesse chance né di
finanziamento, né di successo. Col che si capisce perché Milano sarà - se le
andrà bene - Borsa secondaria e niente di più. Così come voleranno all'estero
la sede legale e la residenza fiscale, secondo lo schema già sperimentato con
Fiat Industrial e Cnh (che ha portato la prima in Olanda e porterà la seconda
nel Regno Unito). Qui, in Italia, resteranno il quartier generale per l'Europa e
gli stabilimenti. Purché le condizioni di competitività del sistema, o quanto
meno gli accordi già siglati col sindacato ma sempre contestati dalla Fiom,
consentano a Mirafiori, Grugliasco, Pomigliano, Melfi, Cassino di produrre
per l'estero senza troppe penalizzazione rispetto alla concorrenza. Per ora così
pare. Ma darlo per scontato sarebbe il peggiore degli errori.
Raffaella Polato
22 maggio 2013 (modifica il 23 maggio 2013)
MENTRE MARCHIONNE TRATTA CON IL FONDO VEBA IL TITOLO SALE DEL 27% IN
UN MESE
Fiat-Chrysler, la Borsa corre
e fa i conti alle nozze
Analisti fiduciosi sul futuro, ma peserà la
ripartizione del debito. La scelta tra la sede forte
e più poli sparsi
Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat-Chrysler (Imagoeconomica)
Una cosa è certa, il ruolo di Detroit per la nuova Fiat-Chrysler è destinato ad
essere centrale. E il futuro del Lingotto si giocherà molto sull’equilibrio tra
Torino e gli Usa. Nella capitale americana dell’automobile è concentrato il
know-how più avanzato del settore a livello mondiale. Il mercato americano è
quello trainante per tutti i produttori globali. E il quartier generale negli Stati
Uniti, con quotazione a Wall Street, è preferito dai grandi investitori
istituzionali. Così la pensano gli esperti, sia dell’industria sia della finanza. E
lo sa l’amministratore delegato di Fiat Sergio Marchionne, che già ora passa la
grande maggioranza del suo tempo ad Aurburn Hills, il quartier generale di
Chrysler vicino a Detroit. Il gruppo però ha precisato che il trasferimento
negli States non è all’ordine del giorno.
Per ora le sue priorità sono il lancio dei nuovi modelli sul mercato
americano, dove Chrysler ha messo a segno in aprile il 37mo mese
consecutivo di aumento delle vendite, tornando vicino ai livelli del 2007; e le
trattative con il fondo Veba (Voluntary employee beneficiary association) del
sindacato del settore auto Uaw (United auto workers) sul «prezzo giusto»
delle azioni su cui Fiat ha l’opzione d’acquisto. Veba, che gestisce l’assistenza
sanitaria dei lavoratori e che aveva ricevuto il 55% delle azioni Chrysler
nell’accordo 2009 per l’uscita dell’azienda dalla bancarotta, ha il «dovere
fiduciario» di ottenere il massimo possibile dalla vendita del pacchetto che
ancora possiede (41,5%) a Fiat, che da parte sua ne ha bisogno per procedere
alla fusione fra Torino e Detroit. La disputa è aperta davanti a un giudice del
Delaware, sentenza attesa per luglio: sarà la base per chiudere l’operazione
(vedi tabella).
Le attese e il mercato
Intanto le quotazioni di Fiat alla Borsa di Milano sono in forte rialzo (+27%
nell’ultimo mese, +57% nei sei mesi), con gli investitori più fiduciosi. «Da
almeno un anno sostengo che il valore intrinseco di Fiat è molto superiore alle
sue quotazioni - commenta Richard Hilgert, analista di Morningstar -.
Calcolando la somma delle parti, cioè le auto Fiat più Chrysler, Maserati,
Ferrari, Magneti Marelli, Teksid e Comau, il valore corretto di un’azione Fiat
secondo me è 14 euro, quasi il triplo di oggi (5,3 euro). Gli investitori sono
preoccupati per i debiti, i limiti all’utilizzo dei flussi di liquidità di Chrysler e
l’anemica domanda di auto in Europa, ma non capiscono che i risultati delle
operazioni in Brasile e quelli di Ferrari, Maserati e delle altre aziende del
gruppo superano le perdite dell’auto in Europa; e che l’integrazione fra
Chrysler e Fiat, già oggi positiva, porterà altre sinergie e risparmi.
Gli azionisti che hanno il fegato di sopportare gli alti rischi del
rilancio Fiat-Chrysler e la pazienza di aspettare saranno premiati.
Quanto? Bisogna vedere come sarà ristrutturato il capitale della nuova entità
dopo la fusione, con il rifinanziamento di parte dei debiti». Il mercato
europeo ha dato segni di risveglio il mese scorso, con un aumento delle
vendite dell’1,8%, mentre per Fiat è continuato il calo (-9,8% sul 2012) ed è
quindi sempre più rilevante l’apporto di Chrysler. Ma non è l’unico produttore
a contare sull’America. «Il mercato americano negli ultimi tre anni ha
trainato fatturato e profitti di tutti i produttori mondiali di auto: l’aumento
assoluto (non percentuale) delle vendite nel 2012 infatti è stato maggiore che
in Cina, diventato nel 2009 il Paese numero uno - sottolinea Stefano Aversa,
managing director e co-presidente di AlixPartners -. Il fatturato dell’auto in
America è tornato al 90% dai livelli pre-crisi del 2007, grazie all’andamento
positivo demografico e al rinnovo del parco macchine, che ha un’anzianità
media (dieci anni) superiore a quella europea. Anche per Fiat-Chrysler la
maggior parte del fatturato e soprattutto degli utili continuerà a venire dal
Nord America, con l’Europa e il Sud America al secondo e terzo posto e l'Asia
per ora ininfluente. Ma non credo che il centro di potere della nuova entità
dopo la fusione sarà concentrato a Detroit, mi immagino più poli nel mondo,
secondo una strategia che vedrà molte funzioni e tutte le piattaforme dei
modelli integrate globalmente».
Il quartier generale
Convinto invece che Marchionne sceglierà Detroit per il quartier generale
della nuova Fiat è David Cole, presidente della società di ricerca Auto harvest
presso la University of Michigan: «Mi sorprenderei se non lo facesse, perché
qui c’è la leadership mondiale dell’industria dell’auto. Attorno a Detroit non
solo hanno sede General Motors, Ford e Chrysler, ma hanno i centri
tecnologici le asiatiche Honda, Nissan e Toyota. Microsoft, Intel, Google
hanno un’importante presenta legata al settore ed è qui che operano 350
fornitori e si svolge il 70% della ricerca e sviluppo del settore. Insomma
questo è il centro intellettuale del mondo dell’auto. Avere qui il cervello
permette di interagire con chi conta e di collaborare a progetti comuni
secondo il nuovo modello coo-petition: in una parte del mondo si coopera, in
altre si compete».
Maria Teresa Cometto
24 aprile 2013 |
CAMBIO DI DIREZIONE
Fiat, ipotesi 100% di Chrysler
Secondo il «Wall Street Journal», l'operazione
servirebbe a lanciare l'Ipo negli Usa della nuova
società
Sergio Marchionne (Ansa)
Fiat valuta l'ipotesi di salire al 100% in Chrysler e poi lanciare l'Ipo negli Usa
della nuova società. La notizia è riportata sul quotidiano «Wall Street
Journal»: secondo alcune fonti si tratterebbe di un cambio di direzione da
parte dell'amministratore delegato Sergio Marchionne che aveva detto di
voler evitare la quotazione.
L'OPERAZIONE - L'operazione, con la quale Chrysler tornerebbe in Borsa
per la prima volta dal 2007, consentirebbe al gruppo Fiat-Chrysler di
rafforzare il bilancio. «Non è chiaro se Fiat continuerebbe a essere quotata in
Europa o se Chrysler sarebbe quotata o meno con Fiat, la quotazione
americana è una delle diverse opzioni che Fiat sta considerando ed è possibile
che Marchionne» decida di non seguire questa strada.
IL PREZZO - Marchionne ha più volte ribadito che Fiat è in grado di
acquistare la quota di Chrysler non ancora in suo possesso, e il Lingotto e il
Veba - il fondo che fa capo al Uaw, il sindacato dei metalmeccanici - sono nel
«mezzo di una disputa sul valore della quota» della casa automobilistica
americana. Il risultato della battaglia legale in corso determinerà il prezzo che
Fiat dovrà pagare per l'acquisto della restante quota di Chrysler. «È possibile
che l'azienda non raggiunga un accordo con il sindacato» afferma il «Wall
Street Journal». Chrysler, che ha fatto richiesta della bancarotta assistita nel
2009, non è quotata dal 2007, quando la tedesca Daimler l'aveva venduta a
Cerberus.