Il profumo pepato di certi vini è merito di una

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Il profumo pepato di certi vini è merito di una
Verticale: Pojer e Sandri
La magia del pepe
e delle spezie
Il profumo pepato di certi vini è merito di una molecola aromatica
presente in molte uve autoctone. Come quelle che Mario Pojer
usa per il Besler Ross, di cui abbiamo assaggiato dieci annate
I
l nome, rotundone, sembra più adatto a una pubblicità di biscotti che a
identificare una sostanza
naturale che regala aromi
particolari al vino. È, in gergo, un terpene, una biomo-
lecola, in questo caso molto
aromatica, che prende il nome dal cyperus rotundus, o
“zigolo infestante” o anche
“dente di cavallo” o, ancora, “erba pepa”, secondo le
terminologie popolari.
Erba pepa gli si addice perché l’aroma che questa molecola naturale contribuisce
a creare è proprio quello
del pepe nero. Aroma che
si ritrova non solo in questa
pianta strisciante, filifor-
me e tenace (della famiglia
fa parte anche il ben più
nobile papiro) ma anche,
in maniera determinante,
in alcuni vitigni nostrani.
Insomma, per anni ci si è
chiesti da dove cavolo ar- 
marzo 2011 Il mio vino
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Verticale: Pojer e Sandri
rivassero quegli aromi specifici di pepe nero che si
potevano annusare in alcuni
vini. Minerali nel terreno,
combinazione suolo-clima,
uso o abuso di certi legni?
Mah.
Ora si sa, è tutto merito del
rotundone, solo che non è
stato facile da individuare
perché questa molecola, dicono gli scienziati, risulta
“poco volatile”. Se ne sta
lì, acquattata, non vuole
espandersi, volar via, svelarsi facilmente. Questo però ha un vantaggio: la fa
stare lì a lungo, la fa venir
fuori piano piano (tanto che
per anni di lei non se ne è
accorto nessuno, anche con
gli strumenti più sofisticati). Così il profumo del pepe
si sente a lungo, persiste.
A puntare i fari sul rotundone sono stati dei tecnici
australiani dell’Università
di Adelaide. Lo hanno individuato nel syrah, un vitigno e un vino che da loro
vanno per la maggiore. Lo
hanno individuato in dosi
consistenti. Tanto da farne
un motivo di vanto del vitigno o, addirittura, da usarlo
per promuovere il vino (non
avendo molto altro - storia,
tradizione, terroir particolare - per farlo…). “Volete
sentire un vino che profuma decisamente di pepe?
Bevete il Syrah tal dei tali”.
Questo il concetto.
I pepati vitigni
autoctoni
Fulvio Mattivi, uno dei più
prolifici ricercatori del prestigioso Istituto Agrario di
San Michele, poco lontano da Trento, ha cercato di
saperne di più, ma gli australiani hanno un po’ nicchiato, sono stati assai sulle
generali… Insomma, Mattivi si è messo in proprio, ha
tirato fuori esperienza, passione e attrezzi dell’Istituto
Agrario e ha fatto da solo.
Scoprendo che di rotundone ce n’è in abbondanza, e
ben di più che nel syrah, anche in molti vitigni italiani
autoctoni. Il groppello, per
esempio, specie in quello
della trentina Val di Non
(là dove le mele Melinda
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hanno quasi del tutto soppiantato le uve), la negrara,
popolare tra Trentino e Veneto, lo schioppettino, nato in Friuli, e la vespolina,
che si usa ancora nell’alto
Piemonte, spesso unito al
nebbiolo per fare le pregiate
Docg Gemme e Gattinara,
o il Bramaterra, sempre ai
piedi del Monte Rosa. Sono
solo esempi, il rotundone
c’è anche altrove.
Meritevoli di studio non solo i vitigni ben dotati ma
anche i vini che questi possono dare. Così ecco entrare in scena Mario Pojer
che, nell’azienda trentina
che porta il suo cognome e
quello del suo amico-socio
Fiorentino Sandri, produce
da quasi una decina d’anni
il Besler Ross. Besler sta
per Maso Besleri, un tipico,
storico edificio rurale che
si trova in Val di Cembra,
circondato dalle vigne, acquistato alla fine degli anni
‘90 e finito di restaurare nel
2009. Ross, sta per il colore
del vino, rosso.
A dargli vita un insieme
di cinque vitigni, uniti per
uvaggio e per taglio. I due
“superpepati” locali (il
groppello della Val di Non
e la negrara trentina), due,
pepati anche loro, del centro Europa (il franconia e
lo zweigelt, che ha origini
austriache) e uno dal carattere difficile e decisamente
più internazionale (il pinot
nero).
Uniti per uvaggio e per taglio, abbiamo appena detto.
Cosa vuole dire? Che gli
ultimi tre sono vinificati insieme, unendo le uve, visto
che maturano nello stesso
periodo, circa a metà ottobre. E pure gli altri due, i
locali, sono vinificati insieme, anch’essi raccolti ben
maturi nello stesso momento, a fine ottobre, quindi due
settimane dopo. I vini ottenuti da queste due vinificazioni, finito l’affinamento
in legno, vengono poi assemblati. L’unione delle uve
è l’uvaggio, l’unione dei vini è il taglio.
Tutte queste cinque uve diverse crescono intorno al
Maso Besleri su terreni sab-
Le cantine dell'azienda Pojer e Sandri sulla collina di
Faedo, una delle zone più adatte alla vite di tutto il Trentino.
biosi d’origine vulcanica,
a 450 metri d’altezza, così
l’escursione giorno notte
migliora ancora la qualità
degli aromi. I due vitigni
autoctoni non sono innestati su vite americana, i
ceppi sono dunque come
nel periodo pre-fillossera.
Altezza e soprattutto terreno sabbioso in genere sono
capaci da soli di tener lontano il pestifero e vorace
microinsetto. Le loro radici
vanno in profondità anche
per una trentina di metri,
per toglierle ci vorrebbe una
ruspa spaziale.
Il groppello e la negrara,
come detto, sono ultra dotati di rotondone, ma anche
due degli altri tre vitigni
ce l’hanno, il franconia e
lo zweigelt. Così il Besler
Ross è un fuoriclasse in fatto di sentori di pepe e di
toni speziati più in generale. Detto tra noi: il Syrah
australiano, sotto questo
aspetto, gli fa un bel baffo.
“Ho cominciato a fare il
Besler Ross principalmente
per salvaguardare due vitigni trentini già avviati sulla
via dell’estinzione”, ricorda
Mario Pojer. “I due vitigni
da soli però, vista la loro
fatica a maturare bene, davano un prodotto piuttosto
contadino, anzi alpino, da
scarponi grossi, un po’ sgraziato. Così, dopo varie spe-
Le uve autoctone e storiche
del territorio sono garanzia
della grande qualità
rimentazioni, ho pensato di
ufficializzare il loro debutto
in bottiglia unendo altri vitigni, quelli che già da tempo
coltivavo in piccole porzioni
della Val di Cembra, non
originari della regione ma
già ben ambientati in quei
magici terreni di sabbia vulcanica e ciottoli di porfido.
Ne è venuto fuori un vino
semplice, facile e piacevole
da bere, specie con i piatti di
carne saporita. Un rosso che
ancora mi ricorda i tempi
andati e le grandi feste in
campagna. In sostanza un
vino del contadino senza i
difetti del vino del contadino. A colpirmi subito, oltre
alla freschezza, all’acidità,
al buon gusto e alla facilità
di consumo dovuto anche a
un tenore alcolico contenu-
to, 12 gradi, è stato proprio
questo evidente tono pepato.
Poi ho capito perché”.
Campioni negli anni
Per darci prove concrete di
quanto scoperto da Mattivi
e convalidato dal risultato
in bottiglia, Pojer ha impacchettato e spedito alla
nostra redazione tutte le annate del Besler Ross fin qui
prodotto, dal 2000 al 2009.
Quest’ultima annata non in
una bottiglia ufficiale perché è ancora lì, nella cantina
di Faedo, ad affinare. Per
curiosità, quando incontrerete questo vino, dall’annata
2008 in avanti, lo vedrete
in bottiglie da mezzo litro
(prezzo in enoteca intorno
ai 17 euro). Mario, che ha
già sperimentato con il vino
bianco Filji questa “misura”,
la propone così ai ristoratori e agli enotecari, perché
contiene la quantità giusta
di vino che due persone, a
cena, possono bere tranquillamente senza incorrere
nel responso negativo del
palloncino in cui Polizia e
affini ci fanno ogni tanto
soffiare. Una “soluzione”
decisamente gradita dal ristoratore e dal consumatore.
Che si beve finalmente tutto
quel che spende.
Abbiamo così potuto fare
una interessante, ricca e
istruttiva verticale, come si
chiama in gergo l’assaggio
dello stesso vino ma di annate diverse.
Vi facciamo qui una sintesi,
anche perché certe annate
del debutto non si trovano
più in commercio (purtroppo) e parleremmo perciò di
cose introvabili se non, forse, in azienda.
L’a n nat a 2 0 0 0, quel la
dell’esordio, seguita dalla
2001 e dalla 2002, sono state
davvero strepitose. Ancora
dotate di freschezza, dovuta
all’acidità, e mineralità. Sapore ancora pieno, intenso e,
soprattutto, grande intensità
di pepe nero al naso. Tre
annate più o meno, simili, a un così alto livello che
consiglieremo il produttore
di modificare la sua scheda
tecnica, nella quale scrive,
a proposito del Besler Ross:
“da bersi nei 5 anni dalla
vendemmia”. Con questi sono passati 10, 9 e 8 anni e il
Ross è ancora pimpante al
palato e al naso. I vini degli
anni centrali sono risultati
ottimi ma meno ricchi di
aromi speziati di quelli che
li hanno preceduti. Si sono
fatti sentire di più i sentori
fruttati e floreali, (merito
del pinot nero?) cosa niente affatto disdicevole, anzi,
ma che non ha dato al vino
quella evidente particolarità
aromatica che lo aveva contraddistinto all’esordio. Sarà
comunque interessante tenerli in cantina per un po’ e
vedere come si evolvono. È
chiaro che il vino non viene
mai un anno uguale all’altro
anche quando si usa la stessa uva, figuriamoci quando
di uve se ne usano cinque,
diverse, in contemporanea.
Nella terza fase della degustazione, quella rivolta verso le annate più recenti, il
Besler Ross ha riacquistato
le sue doti aromatiche del
debutto, gran sentore di pepe da pizzicorino al naso,
che fa da preludio a un gusto
piacevole, fresco, armonico.
Mai, in nessuna bottiglia,
dalla più vecchia alla più
recente, si sono messi in evidenza certi tannini “rompiballe”, tutto è filato via in
souplesse, come direbbero
in francesi. Uno dei nostri
esperti ha così sintetizzato,
con un po’ di ironia, le tre
fasi: “la fortuna dell’esordiente (riferita alle prime
uscite, ancora oggi super),
il periodo della sperimentazione, la fase del perfezionamento”. Questo vino
(fermentato in tini di legno,
invecchiato per 12 mesi in
fusti di rovere, assemblato
in vasche d’acciaio dove è
rimasto ancora diversi mesi
prima di essere imbottigliato) è un perfetto esempio
di come i vitigni autoctoni quasi dimenticati hanno spesso ancora molto da
dare (specie se ben curati),
di come i nostri predecessori in vigna avevano visto
lungo piantando determinati vitigni in zone adatte, di
come la tecnica di cantina
relativa a uvaggi e tagli è
arte sopraffina e non pratica
di routine, capace di dare
grandi soddisfazioni se la si
conosce a fino in fondo e se
ci si applica con passione. Il
che non è certo poco.
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