Senza fiducia, la vita in società è impossibile

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Senza fiducia, la vita in società è impossibile
“Senza fiducia, la vita in società è impossibile”
intervista a Emile Poulat, a cura di Didier Pourquery
in “Le Monde” del 19 novembre 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)
Emile Poulat è un intellettuale riservato, l'archetipo del professore e ricercatore esigente. Ha più di
90 anni questo grande storico delle religioni e sociologo apprezzato, professore alla Ecole des
Hautes Etudes en sciences sociales, ricercatore al CNRS, senza aver mai avuto un magistero
mediatico. Geloso della sua libertà, non è un uomo di potere. Con un'opera complessa, originale ed
esigente, è stato piuttosto, secondo l'espressione della storica Valentine Zuber, un “risvegliatore di
coscienze”, in particolare sul problema del lungo conflitto tra la cultura cattolica tradizionale e la
cultura laica moderna, sua grande specialità. Da alcuni anni, si interessa del posto che occupa la
fiducia nelle nostre società contemporanee.
La fiducia [in francese confiance], o piuttosto la sfiducia, è diventata in questi ultimi tempi
un'ossessione di molti “decisori”. Cominciamo dalla parola. Che cosa rappresenta?
È una parola ricca. La fiducia, ci dice il dizionario, è il fatto di credere. C'è una chiara vicinanza tra
fiducia e credenza. Fiducia negli altri, fiducia nel mio vicino... Si vede apparire, in questo, l'idea di
fede, in un senso non religioso. La fede era il legame che univa il sovrano ai suoi feudatari. La fede
coniugale è anch'essa un rapporto interpersonale. In latino, fides ha dato fede, fedeltà e affidabilità.
Ma è anche vicina alla parola fedus, che rinvia al trattato, al patto, alla convenzione, come anche
alle idee di federare e federazione. Queste parole di ambito politico hanno una radice nella fiducia
pubblica, potremmo dire. Nel primo termine dell'idea di fiducia: la credenza [in francese croyance],
sono rinviato a “credo”, ma anche a credito (sia nel senso di stima, considerazione [in francese
crédit], sia nel senso di diritto ad una prestazione di carattere patrimoniale [in francese créance]).
C'è un'ambiguità interessante attorno a créance. In francese antico indicava la credenza, ma è anche
un debito in opposizione a credito.
Credito, creditore: siamo nell'ambito della fiducia. Vorrei ricordare che la Caisse des dépôts et
consignations, fondata nel 1816, aveva, per statuto, per missione, di essere “guardiana del credito
pubblico”. Un tempo si usava il termine “fede pubblica”. Non c'è società senza quella fede. È sulla
fede che si fonda una società, perché si sa che ci si può sostenere gli uni gli altri.
Nell'articolazione stessa della parola con-fiance, ci sono già i concetti di “essere insieme”
(con-) e di “fidarsi” (-fidere), non è vero?
In effetti è un patto, un legame sociale; la fiducia si basa sulla reciprocità. Ma c'è anche l'idea di una
sensazione di sicurezza, di certezza.
Come vede questo doppio significato?
Per me, la fiducia è un valore primario e originario. Si potrebbe anche dire primordiale e originale...
Valore primario, perché nulla si fa senza la fiducia. Infatti, quando scompare, è la crisi.
Aggiungiamo immediatamente che esistono diverse forme di fiducia, è una distinzione abbastanza
sottile, talvolta. Lo si può osservare in tutti gli ambiti, ma prendiamo l'economia. Dopo la prima
guerra mondiale, la crisi di fiducia nel franco porta, nel 1925, al passaggio dal franco-oro al franco
Poincaré: è la svalutazione, la perdita di valore legata alla perdita di fiducia. La crisi scoppia in
seguito. Oggi, invece, siamo all'interno in una sorta di svalutazione dolce che prosegue in maniera
indolore. La moneta perde valore man mano, col passaggio al nuovo franco, poi al franco, poi
all'euro.
In che cosa è un valore originario?
Si riduce spesso la fiducia alla sua dimensione strettamente interpersonale; invece essa supera di
molto l'ambito psicologico. La fiducia è originaria perché è quella che, prima di tutto, fa sì che,
quando ci si alza al mattino, si sa che la terra sta continuando a girare, che non scomparirà
brutalmente, che non crollerà. Ci si alza, si avanza sapendo che non si è minacciati da una
glaciazione improvvisa o da un riscaldamento brutale... L'umanità si è sviluppata sul pianeta con la
fiducia che “durerà ancora per molto tempo”. Un po' come il neonato è in uno stato di fiducia tra le
braccia della madre.
Lei dice che nulla si fa senza la fiducia. Che cosa intende?
Un giorno mi è apparsa evidente questa convinzione: che le persone hanno un bisogno innato di
fiducia. In questa prospettiva, non si definisce la fiducia, essa si impone a noi. Si sa semplicemente
che se non c'è, si entra immediatamente in crisi, in conflitto, nel corpo a corpo. È originaria, perché
è alla base di tutto. L'evidenza del bisogno innato di fiducia ha dato a molte persone attorno a me la
voglia di andare oltre, di esplorare questo ambito. Ora, quando vado a convegni dove di parla di
“ricostruire la fiducia”, il 2 e il 3 dicembre, mi trovo nella posizione di chi è stupito. Ho buttato lì
una affermazione e tutti la riprendono e la sviluppano, ciascuno a modo proprio...
Più seriamente, quando dico che nulla è possibile senza la fiducia, penso anche a situazioni molto
concrete. Ad esempio, se mettete la lotta di classe come base di ogni vita in società, allontanate la
fiducia. Entrate in un'altra logica. Guardate i negoziati tra organismi di lavoratori dipendenti e
padronato: se non c'è un minimo di fiducia, se non si riesce a stabilirla, non si arriva a nulla. In ogni
negoziato di questo tipo, la fiducia impiega tempo a stabilirsi ed è sempre fragile.
In tutti i casi?
Sì, come tutte le cose di valore, la fiducia è fragile.
Parliamo ora di quelle che lei chiama le patologie della fiducia. Può darcene qualche esempio?
L'ambito politico è ricco di esempio. Si trovano innanzitutto dei personaggi che non lavorano
affatto sulla fiducia, vivono nella lotta, nello scontro. Jean-François Copé per me è uno di quelli, se
vogliamo citare un nome, non lavora sulla fiducia. In generale, la presidenza di Nicolas Sarkozy
non è stata caratterizzata dalla fiducia. Si era nell'apparenza, nell'azione brutale e permanente, nella
provocazione, nello spirito di parte. Nicolas Sarkozy sparava a vista. Con l'elezione di François
Hollande, abbiamo vissuto un momento eccezionale – ma breve –, il ritorno del consenso condiviso.
Un'esperienza di fiducia, un tentativo.
Hollande ha lavorato sulla fiducia, voleva eliminare i conflitti fondamentali che avevamo
conosciuto con Nicolas Sarkozy. Oggi, la crisi di fiducia viene da una speranza delusa. Hollande
aveva suscitato molte speranze. Non le ha soddisfatte – d'altronde non poteva probabilmente
soddisfarle –, quindi c'è una forte diffidenza. È semplice.
Una campagna elettorale è un momento in cui il candidato cerca l'assenso degli elettori, è
normale, no?
È complicato, in una campagna, tutto è impegnato, tutto è mescolato. Compreso il fatto che bisogna
sedurre l'elettore e che l'elettore ama farsi sedurre, pur non lasciandosi abbindolare.
Che cosa pensa dell'aumento di sfiducia verso i politici?
La politica oggi è percepita come l'attività dei politicanti. I cittadini si dicono: questo non ci
riguarda direttamente. I francesi sono abbastanza ignoranti in economia, capiscono un po' di più di
politica, eppure il problema della fiducia si pone più nell'ambito economico che politico.
Disoccupazione, reddito insufficiente, fiscalità vissuta come eccessiva...
L'economia si basa dunque sulla fiducia, ma che ne è di un'economia fondata sull'euro?
Innanzitutto, bisogna sottolineare che l'economia è un ambito particolarmente estraneo ai nostri
contemporanei – benché non vi sfuggano. Ciò detto, la fiducia, lo sappiamo, è il credito. E la fiducia
fondamentale è quella nella moneta. Passiamo il nostro tempo, come dicevo, ad adattare la nostra
moneta al ribasso.
L'euro pone il problema di molti soci in un'operazione di fiducia. Da quasi un secolo, siamo in una
cultura di svalutazione dolce. Quando avevamo il franco, eravamo solo noi ad averlo, accettavamo
la sua perdita di valore. Ora che siamo nell'euro, ora che siamo in tanti, non l'ammettiamo.
Diffidiamo degli altri soci. Accettiamo la svalutazione nostra, ma non se siamo in gruppo. Abbiamo
piuttosto fiducia in noi e poca o nulla fiducia negli altri.
Si dice spesso che i francesi mancano di fiducia in se stessi...
Non bisogna confondere la fiducia in se stessi e la fiducia nella situazione in cui si è per agire. Certi
individui non hanno fiducia in se stessi, ma pensano comunque che ce la faranno. Si tratta di due
piani diversi: la valutazione della situazione da una parte e l'energia posta per dominarla, dall'altra.
Un'altra patologia della fiducia è quella nei media. Che cosa ne pensa lo storico?
Innanzitutto, “i media” è un concetto vago. E poi quando si pensa alla leggerezza dei media di
prima della seconda guerra mondiale, il giornale Le Gaulois, ad esempio... Si dava loro meno
fiducia che a certi media di oggi. Parlare di ciò che non va, è la base della visione dei media. I
giornali si preoccupano poco di ciò che va bene... Ciò che va bene è considerato “la normalità”,
mentre spesso presuppone uno sforzo particolare. Quali giornali si interessano dei senzatetto, delle
persone che si preoccupano di tale situazione inaccettabile? Da quel punto di vista, i media
chiudono gli occhi su tutta una parte della realtà sociale. La grande novità del nostro tempo, è la
moltiplicazione dei media e delle fonti di informazione che si fanno concorrenza.
In definitiva, che cosa suscita la fiducia, oggi?
Guardi la fiducia che suscita papa Francesco. È la notizia più inattesa della nostra società. Come se
finalmente la fiducia che si pone in lui fosse un rifugio. Perché a lui non si richiede alcuna cauzione.
Dipende dal suo stile, dal suo modo di esprimersi? In parte sì, ne sono convinto.
Perché?
Quando si parla tra tecnici, ci si dice sempre che l'altro ha torto. Mentre quando parla papa
Francesco, viene ascoltato. Non si è nello stesso ambito di fiducia. Dal papa, non ci si aspetta nulla
di concreto; nel suo caso, è la fiducia che si consolida senza un contenuto preciso. Semplicemente
perché c'è un bisogno di fiducia. Il bisogno fondamentale, originario, di cui parlavo.