sedotta e abbandonata
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sedotta e abbandonata
SEDOTTA E ABBANDONATA Regia: Pietro Germi Anno: 1964 Attori: Stefania Sandrelli è Agnese Ascalone Saro Urzì è Don Vincenzo Ascalone Lando Buzzanca è Antonio Ascalone TRAMA : Si racconta la storia di una bella sedicenne siciliana, Agnese, tirata su con severo rigore da un padre duramente conformista, che viene sedotta dal fidanzato della sorella, Peppino. Lei preferirebbe non dir nulla, e lui anche, ma don Vincenzo, il suo temibile padre, non tarda a scoprire il misfatto e ad esigerne la riparazione immediata. Peppino, però, legato anch’esso ai principi tradizionali dei suoi concittadini, non se la sente di legarsi a una donna che gli ha ceduto e che, perciò, si è completamente s-disonorata ai suoi occhi e così non si piega alle richieste dell’adirato genitore. Questi pensa allora di architettare un delitto d’onore armando la mano al proprio figlio, ma l’impresa, per una spiata della sedotta, va a monte e la faccenda, pur rimanendo segreta, finisce tumultuosamente di fronte al Pretore che non tarda ad incriminare Peppino per Corruzione di minorenne, promettendogli il carcere. Tutte le resistenze del seduttore si sciolgono allora come neve al sole, ma chi resiste, adesso, è Don Vincenzo perché, di fronte all’opinione pubblica, che pensa sempre Peppino fidanzato all’altra figlia, vuol far credere di accettare a fatica questo rovesciamento di posizioni; così, allo scopo di dimostrare a tutti che solo gli eventi gli hanno forzato la mano, impone a Peppino di organizzare un finto rapimento per rendere le nozze assolutamente necessarie. Tutto va come doveva andare, ma al momento di dire al Pretore che è contenta di sposarsi, Agnese scoppia in singhiozzi e la soluzione “felice” di quell’intrigo è ancora rinviata, con l’aggravante che il paese, nel frattempo, scopre la verità e che, con il suo dileggio, riduce don Vincenzo alle soglie dell’infarto. Lui però non è uomo da spaventarsi neanche di fronte alla morte se di mezzo c'è "l'onore"... Germi, dopo aver tentato con Divorzio all’italiana la polemica in chiave di farsa contro il modo con cui la nostra legge valutava e reprimeva il delitto d’onore, appuntò i suoi strali contro quell’altro articolo del codice che, quando interveniva il matrimonio, autorizzava la scarcerazione del responsabile dei reati di rapimento e di corruzione di minorenne. È chiaro che Germi, prendendo di punta (con la collaborazione, per la sceneggiatura, di Luciano Vincenzoni, Age e Scarpelli) quello che era l’articolo 519 del Codice penale, voleva arrivare a dimostrarne l’incongruenza sul piano umano e psicologico e, perciò, l’infondatezza morale. Per portare sullo schermo tutto ciò sceglie di ricorrere ad uno schema narrativo che, pur dando larghissimo spazio alla comicità anche farsesca, non è proprio leggero, gradevole e spensierato come avveniva in Divorzio all’italiana. I personaggi, infatti, i loro caratteri e persino il loro aspetto fisico, le situazioni che li hanno al centro e le soluzioni cui vengono indirizzati sono tutti immersi in un clima caricaturale permeato quasi soltanto di violentissima asprezza e, a volte, di una così spietata ferocia da rilevare negli autori soprattutto antipatia e disprezzo nei loro confronti e mai, invece, un minimo di pietà o di commiserazione. Questa antipatia, se ha permesso a Germi e ai suoi collaboratori di creare delle figure a tutto tondo analizzate con impegno in ogni loro sfumatura, li ha però indotti ad uscire a tal segno fuori dai moduli di una realtà comune che ogni personaggio, anziché apparirci come una persona, ci appare spesso come una maschera e la vicenda, anziché imporsi come una commedia di costume, sconfina, anche oltre i limiti della farsa, nell’ambito del “grottesco” e ciò emerge particolarmente nella scena delirante del dileggio in piazza da parte del paese intero al passaggio degli Ascalone. Anche lo stile obbedisce a questa formula: impetuoso, scattante, a volte addirittura temporalesco, accoglie spesso, però, elementi contraddittori, quali certi sogni e certe fantasticherie di gusto trucemente barocco e in opposizione con il sapore paesano che, comunque, la vicenda vorrebbe conservare. A questo si aggiunga che l’azione, nonostante la voluta frenesia dei suoi tempi narrativi, è qua e là un po’ statica e prolissa e che, specie nella seconda parte, accoglie degli elementi drammatici così numerosi, così insistiti, così diffusi da rischiare di nuocere all’equilibrio del film e alla sua limpidezza. Germi vuole dir tutto, troppo, vuole ad un fatto aggiungere ancora un altro fatto, sperando di ottenere un effetto maggiore e di far capire ulteriormente allo spettatore che, nonostante le ironiche apparenze, si è mirato principalmente alla polemica amara, e se possibile, anche drammatica (tanto è vero che c’è persino un morto). Con questo naturalmente non si vuoi dire che il film sia da prendersi in scarsa considerazione. Al contrario. Quel personaggio di padre tradizionalista ha, anzi, una tale vitalità da ricordare in certi momenti persino Pirandello e quella girandola di fatti ora umoristici ed ora semidrammatici che lo ha al centro convince più di una volta per il colorito e gaio fervore di certe sue trovate farsesche ed insieme per la disinvoltura con cui giunge poi ad equilibrarle alle pagine di più seria ed aspra aspirazione; anche se il divertimento che si ha vedendolo è spesso legato ad un senso vago di fastidio per i pugni allo stomaco che Germi e gli autori, pur fingendo di divertirsi anch'essi, distribuiscono con generosità. Tra i meriti del film sono da citare le interpretazioni, a cominciare da quella di Saro Urzì, per anni uno dei più solidi e pittoreschi caratteristi del nostro cinema, che si impone nel personaggio di don Vincenzo, con un vero talento di attore: concitato, affannoso, esteriore quel tanto che il carattere del personaggio richiedeva, ma anche, all'occorrenza, interiore e raccolto, lacerato e doloroso; in una recitazione quanto mai varia, ricca e controllata. Agnese è la allora giovanissima Stefania Sandrelli che, pur costretta dal suo personaggio ad una espressione quasi costante di chiusa tensione, svela già una felice statura drammatica; Peppino è Aldo Puglisi, un tipico attore dialettale capace però di disegnare compiutamente e senza stonature un personaggio che trascende i limiti del folclore. Gli altri sono Leopoldo Trieste, nella desolata presentazione di un nobile fallito ma dignitoso, Umberto Spadaro meraviglioso cugino avvocato, Lando Buzzanca fratello di Agnese forse un po' troppo sforzato e caricaturale... Di gusto ora malizioso ora polemico le musiche di Carlo Rustichelli che, per sottolineare taluni passaggi dell’azione volutamente tenuti sulla falsariga satirica del western, ha caricaturalmente distorto alcuni temi del film Un dollaro d’onore. Nel complesso una delle tante pagine indimenticabili del cinema italiano.