il cambiamento necessario

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il cambiamento necessario
Mondo | Mercati globali
Frenata globale per le quattro ruote:
le scommesse su un mercato ancora imprevedibile
Auto
il cambiamento
necessario
Che cosa ha determinato
il crollo mondiale del settore?
La crisi di prodotto?
Il cedimento del mercato?
Normative penalizzanti?
Probabilmente l'insieme di tutti questi
fattori e molto di più ancora.
Non esistono terapie certe.
Intanto i grandi player stanno
reagendo a colpi di alleanze
di Ugo Bertone
on compri l'auto perché non sei sicuro di
conservare il posto di lavoro? Niente
paura. Se nei dodici mesi successivi
all'acquisto verrai licenziato potrai restituirci
l'auto ed essere completamente rimborsato di
quanto hai versato: non è una fantasia, ma
un'idea del marketing americano della Hyunday,
in collaborazione con un'associazione di dealer
indipendenti. Il messaggio è chiaro: gli incentivi
all'acquisto o le rottamazioni favorite dal denaro
pubblico non bastano più. Per spingere all'acquisto di un'auto nuova occorre restituire fiducia ai
consumatori. Il richiamo funziona: da gennaio
scorso le vendite del gruppo coreano negli Usa
sono cresciute del 14 per cento, mentre tutta la
concorrenza viaggia con il segno meno. Forse, a
favorire il successo, sono stati i dipendenti di
General Motors, sulla cui testa pende la spada di
Damocle del fallimento. E delle tante, tantissime
attività legate alle quattro ruote in un Paese che
sembrava vivere di sola new economy. Basti dire
N
Il settore auto vale
11,9% del Pil italiano
l'
18 OUTLOOK
OUTLOOK 19
Mondo | Mercati globali
L'intervista | Andremo verso auto più essenziali
auro Tedeschini, modenese, direttore di
«Quattroruote». Un passato da giornalista
economico e finanziario, prima di approdare
nella bibbia del settore, una di quelle riviste che
da decenni scandiscono l'evoluzione dei consumi (e dei costumi) del Bel Paese. Il testimone
ideale, perciò, per fotografare lo stato dell'arte
di un settore strategico, ma con un carico emozionale «forte».
Soprattutto in quell'Emilia Valley che si nutre di
motori e di passioni da quasi un secolo. Lo
intercettiamo, a caldo, dopo la visita al salone di
Ginevra. «Qui cambia tutto», commenta, «anche
i saloni. Tutti vogliono risparmiare. Anche a
Ginevra si sono registrate le prime defezioni. Ma
l'incredibile è che il
governo della CataLa logica degli
logna, per attrarre
M
incentivi, senza
una strategia di
cambiamento,
vale come la
morfina per un
malato terminale
espositori al salone di Barcellona, sta varando
una serie di incentivi».
Insomma, il mondo alla rovescia. Non paghi,
anzi vieni pagato per esporre la tua merce.
«È un segnale emblematico della concorrenza
sempre più esasperata e che coinvolge tutti.
Anche il Motor Show di Bologna».
Messa così, sembra una situazione da ultima
spiaggia. Ma non si esagera?
«Non credo affatto che si vada al tramonto del
sistema di trasporto privato: l'automobile ha
una lunga vita davanti a sé. Però, come ha detto
a Ginevra il neo amministratore di Volkswagen,
Martin Winderkorn, la crisi sarà un grande
depuratore: non tutti usciranno vivi dal tunnel. E
tramonterà un certo modo di fare l'auto. Si va
che centinaia di emittenti radiofoniche stanno chiudendo i
battenti di fronte alla prospettiva del taglio della pubblicità
dei big di Detroit.
Le origini della crisi
Può cominciare di qui, da questo esempio di «marketing
estremo» il viaggio nell'avamposto della crisi mondiale dell'industria: l'auto, tradizionale locomotiva dell'economia del
XX secolo. E, per ora, pure di questo travagliato avvio del
XXI secolo. Basti dire che in Italia, per un addetto diretto al
settore, ce ne sono altri sette che dipendono in varia misura
dalle quattro ruote: indotto, elettronica, reti commerciali e
finanziarie, pubblicità, assistenza e così via. Un motore dell'economia che risponde ai nomi di marchi come Fiat, Alfa,
Ferrari o Maserati. Ma non solo. Chi lo sa che, sotto un
brand come Audi, c'è un corpo all'80 per cento costituito da
componenti italiani, per lo più in arrivo dal nord est? Un
settore decisivo per segnare nel bene e nel male la congiuntura, perché da solo vale l'11,9 per cento del Pil italiano. E,
negli anni buoni, bastava l'automotive più la meccanica a
garantire un saldo commerciale attivo di 40 miliardi di euro
al Bel Paese. Ma gli anni buoni, a giudicar dalle cifre, sono
alle spalle. E, a differenza che in passato, questa «non» è una
1
ITALIA: per addetto del settore auto
ce ne sono
nell’indotto
20 OUTLOOK
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verso prodotti più essenziali, senza orpelli, con
una gestione più severa degli spazi e una grande cura per i materiali lungo tutto il ciclo di vita,
dalla produzione allo smaltimento finale.
Passando per il prodotto. Insomma, è un
mondo, quello dell'auto, che si sta ripensando».
Si va verso uno stile più misurato. Viva l'understatement, insomma.
«Diciamo che la tendenza è per macchine più
essenziali: in alcuni casi, ad esempio, ho visto
motori a quattro cilindri montati dove prima
c'era uno da 10-12 cilindri».
Fin qui siamo nella tradizione. Tutto sommato,
non è cambiato molto nel modo delle quattro
ruote negli ultimi anni. Parliamo di prodotti, ma
anche di produttori.
crisi di prodotto, o di un mercato; non è la risultante di una
congiuntura sfavorevole o di
normative penalizzanti, e
nemmeno, almeno per ora, di
barriere commerciali.
La tempesta che ha investito l'auto è tutto questo
assieme. Ma anche qualcosa
di più.
Il crack finanziario
Arivelare la fragilità di questo colosso dai piedi d'argilla è stata, naturalmente, la crisi che ha investito la
finanza, ovvero il polmone che assicura l'ossigeno alle
vendite. In Italia, ad esempio, la compravendita dell'85
per cento delle macchine avviene tramite un finanziamento. La percentuale sale su altri mercati fino al picco
degli Stati Uniti dove si è superato da anni la soglia del
100 per cento. Per analogia a quanto successo con gli
immobili, infatti, i dealer non si limitano a finanziare il
primo acquisto, ma anche, dietro la riconsegna del
primo veicolo, quello successivo di auto più costose. Il
risultato? Milioni di americani hanno ormai debiti per
l'auto superiori al valore del loro parco-macchine. E,
come capita per i mutui immobiliari, cresce la tentazione di restituire la macchina piuttosto che onorare i
debiti. Perché stupirsi, allora, del crollo dei Big di
Detroit? Nel 2008, Gm e Ford hanno venduto il 20 per
A fianco, Mauro
Tedeschini,
modenese, direttore
del mensile
«Quattroruote».
Sotto, a sinistra:
Fritz Henderson,
ceo di Gm.
Il colosso Usa
ha minacciato
di chiudere le
attività europee se
i governi non
interverranno.
E la Germania
sembra pronta
a rispondere
per evitare
il tracollo Opel,
di proprietà GM
«È vero. Ma sono convinto che siamo alla vigilia di una fase di grandi cambiamenti. La "rivoluzione" negli Usa è imminente e inevitabile.
Anche in Giappone potrebbero cambiare presto molte cose. In Europa il quadro è più complesso, ma anche qui, basti pensare a Opel e
Saab o allo sbarco dell'indiana Tata in Jaguar, il
cambiamento è già in atto. E mi aspetto altre
novità».
All'insegna della concentrazione?
«Non è detto: l'irruzione dell'auto elettrica, per
esempio, può cambiare il panorama in maniera profonda. La componente essenziale di
un'auto elettrica è la batteria. E questo può sovvertire classifiche consolidate da tempo sul
piano tecnologico».
Rischiano i grandi player. Ma anche i vecchi
campioni della tradizione. Non è che Modena e
l'Emilia, con le varie Ferrari, Lamborghini o
Maserati, possano andare incontro a brutte sorprese?
«Direi di no, anche se questa crisi sarà dura per
tutti. Ma a vantaggio di Modena c'è la competenza, il know how, la forza dei marchi e tanti
altri fattori di successo consolidati nel tempo,
non ultima l'abitudine a misurarsi con il mercato internazionale».
Dove, però, per un bel po' non crescerà ai ritmi
passati il numero dei ricchi in grado di concedersi un gioiello rosso fiammante.
«Mettiamolo nel conto. Ma alla Ferrari basta
dimezzare le spese di F1 per sostenere una
ragguardevole liquidità».
Già, in un modo dove non è facile, di questi
tempi, vendere una casa automobilistica, se la
Fiat mettesse in vendita il Cavallino rosso troverebbe una fila di compratori. Ma la cosa non è,
sia ben chiaro, all'ordine del giorno.
dizione (assai poco ortodossa) di non smantellare gli
impianti francesi a vantaggio della nuova Europa. La
Germania, prima a muoversi sul fronte degli incentivi alle
vendite, è pronta ad allargare i cordoni della borsa per evitare il tracollo di Opel, di proprietà Gm. Già si è mossa la
Svezia, a favore della Saab finita in amministrazione controllata, e pure la Spagna ha pagato il suo obolo (200 milioni). Inutile soffermarsi sul «pacchetto» di provvedimenti
italiani pari a 750 milioni di euro. Ma, tanto per dare
un'idea dei tanti paradossi di una situazione paradossale,
basti citare quanto detto da Luca di Montezemolo, presidente della Fiat, il 16 febbraio scorso: «Oggi vendiamo più
auto in Germania che in Italia». Effetto degli incentivi
tedeschi ma anche degli annunci e dei rinvii che avevano
in pratica congelato il mercato italiano nei due mesi precedenti. Anche così si può commentare una situazione anomala, dove le «iniezioni» di incentivi e di finanziamenti
fanno premio su ogni altra considerazione.
E quando sarà passata la bufera?
Comunque, nemmeno il più ottimista può illudersi che,
passata la bufera, il mondo torni a correre come prima.
Innanzitutto, c'è un problema strutturale di sovrapproduzione. Oggi, secondo le stime di Sm Worldwide, dagli
impianti in attività in tutto il pianeta possono uscire la bellezza di 94 milioni di veicoli. Peccato che il mercato, anche
secondo le stime più ottimistiche, non ne assorbirà più di
Ratan Naval Tata,
presidente
di Tata Group,
è l’uomo simbolo
della più
importante
azienda
automobilistica
dell’India
cento in meno, Chrysler addirittura il 30. Sia General
Motors che la «fidanzata» americana di Fiat hanno potuto
evitare di chiudere i battenti a fine 2008 solo grazie ai fondi
pubblici. E la patria del liberismo ha scoperto, con grave
ritardo, le sofferenze di tute blu e colletti bianchi.
Oggi la capacità
produttiva
mondiale è di 94
milioni di veicoli.
Ma le stime
dicono che
il mercato non
ne assorbirà più
di 64 milioni
22 OUTLOOK
Tutti sulla stessa barca
Nessuno, però, ha tratto vantaggio dal collasso delle
quattro ruote a stelle e strisce. Nemmeno gli invincibili
giapponesi. La crisi «morde» pure Toyota, la casa più solida e competitiva del pianeta che ha annunciato, all'improvviso, un buco di tre miliardi chiedendo poi soccorso ai
fondi di Stato di Tokyo (due miliardi) proprio per sostenere
il credito a favore delle vendite. E il Sol Levante non si è
fatto pregare: con il nuovo anno fiscale, da aprile, arriveranno altri cinque miliardi di dollari per Honda e Toyota.
Ma l'elenco degli aiuti minaccia di allungarsi ogni giorno di
più. Gli Stati Uniti hanno stanziato finora oltre 42 miliardi di dollari per evitare il tracollo di Detroit, che può contare pure su aiuti da parte del Canada. La Francia si è mossa
con il consueto vigore: sei miliardi di euro di crediti agevolati a vantaggio di Psa e Renault, accompagnati dalla con-
Sopra, Luca di
Montezemolo, presidente
della Fiat. A destra, Sergio
Marchionne, ad del gruppo
di Torino:
il «matrimonio» con la
Chrysler è un primo
tentativo di risposta
«strutturale» al crollo
del settore
Vendite auto 2008 USA
GM e Ford
%
meno
Crysler
%
meno
20
30
64 milioni. Di fronte a una sovracapacità produttiva di
queste dimensioni, non stupisce che cresca, di giorno in
giorno, la lista degli impianti in eccesso, a partire dalle
aree mature, Nord America ed Europa, legate a doppio
filo l'una all'altra, come dimostra l'«effetto domino» della
crisi di Detroit sul vecchio Continente. Fritz Henderson,
ceo di Gm, non ha fatto sconti: in assenza di interventi da
parte dei governi europei interessati, la casa sarà costretta a chiudere le sue attività europee, dalla Opel alla
Vauxhall o alla Saab. È un vero e proprio terremoto:
General Motors occupa 55mila dipendenti diretti in
Europa , cui vanno aggiunti alti 250mila addetti dell'indotto, che operano in dieci stabilimenti sparsi in tutto il
Vecchio Continente. Un viaggio nel'Europa della crisi, a
partire dalla sede di Opel a Bochum fino ad Antwerp in
Belgio, Ellesmere e Luton in Gran Bretagna o la spagnola Saragozza. Senza dimenticare le fabbriche in Svezia o
Polonia. Il suo ultimatum Henderson l'ha giustificato
così: «Noi vogliamo restare in vita, ma non è affatto sicuro che ce la faremo». Probabilmente non sarà un allarme
destinato a restare isolato. Il mese scorso in Europa risultavano a rischio chiusura, secondo l'analisi diAutomotive
News, tra i dieci e i sedici impianti. Ma come dimenticare
che dentro le fabbriche ci sono i lavoratori e che attorno a
loro ruota un sistema complesso, compresi i fornitori? Un
cambiamento troppo rapido rischia di provocare collassi,
piuttosto che rappresentare una terapia. Ma la logica
degli incentivi, senza una strategia di cambiamento, vale
come la morfina per un malato terminale.
L’accoppiata Fiat-Chrysler
L'intervista di Sergio Marchionne, amministratore
delegato del gruppo Fiat) ad Automotive News, concessa
l'8 dicembre scorso (poco più di due settimane prima degli
approcci con la Chrysler) è un primo tentativo di risposta
«strutturale» al malessere diffuso. La premessa logica è lo
stato di crisi generale: secondo le previsioni, anche le più
ottimistiche, le vendite di quest'anno negli Usa supereranno di poco i dieci milioni di unità (10,7 milioni per
l'esattezza), cioè il 20 per cento in meno di un 2008 tutt'altro che esaltante (dati di Goldman Sachs). Di qui l'avvio di
un processo selettivo che, nel giro di 24 mesi, avrebbe
ridotto il numero dei produttori mondiali a non più di sei,
capaci ciascuno di sfornare (e di vendere) almeno 5,5
milioni di vetture. Già in passato sono state avanzate (e
smentite dai fatti) previsioni del genere. Ma stavolta
Marchionne ha fatto seguire i fatti alle parole. Il blitz nella
vecchia America, quando tutti i riflettori erano al contrario concentrati sui mercati emergenti, è senz'altro un
passo in grado di cambiare gli equilibri. E non solo perché
con questo merger, modesto sul piano finanziario, la cop-
L'auto è stata
la locomotiva
dell'economia
del XX secolo.
Ma in futuro?
In Italia l’acquisto
dell’85% delle
vetture avviene
tramite un
finanziamento.
Nel 2009
le vendite sono
previste
in calo del 20%
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Mondo | Mercati globali
pia Fiat-Chrysler, forte di 4,3 milioni di pezzi,
si avvicina al tetto delle 5,5 milioni di vetture.
Altre novità
Non sarà certo l'unica e, probabilmente,
nemmeno la più importante delle novità del
mondo dell'auto nel 2009. E non solo perché
gruppi come Saab od Opel dovranno trovare
una sistemazione, o perché in Germania sta
nascendo una collaborazione, quasi impensabile, tra Bmw e Daimler. Non è difficile immaginare una stagione di M&A, probabilmente
senza grandi flussi di cassa. Perché i denari
sono merce rara e pure quei brand (vedi
Hummer) che fino a ieri venivano contesi a
suon di dollari, oggi non trovano compratori.
Ma al di là delle implicazioni industriali e
finanziarie, l'intervista di Marchionne lanciava altri segnali, utili a capire l'attuale fase di
transizione, distinta da riflessioni simili da
parte degli altri big dell'industria, sia in
Europa sia negli Usa, piuttosto che in
Giappone o in India, terra della Nano, la mini
di Ratan Tata. Il problema è di individuare un
percorso futuro credibile per l'auto, scongiurando il ricorso sistematico all'intervento
pubblico, rimedio a lungo andare suicida e
inefficace, perché poco possono i sostegni
nazionali di fronte a un'industria che ha
assunto, per entità e impegni, dimensioni globali e che si trova di fronte a una crisi mondiale. Guai se le tendenze attuali, particolarmente pericolose in Europa (Francia e Germania
hanno, di fatto, boicottato soluzioni comuni)
innescassero un circolo vizioso.
L'alternativa? È necessario un salto di
qualità sul fronte dell'innovazione: sul piano
dei prodotti, che vanno rivisti e ridisegnati sul
piano della compatibilità ambientale; sul
piano dei processi di progettazione, design e
produzione per assemblare in meno tempo e a
minori costi. Il tutto in attesa di scelte epocali
che non possono non essere condivise: in
materia di motori, di carburanti, di sviluppo
delle infrastrutture e così via. Temi di portata
insostenibile per un singolo produttore, ma
pesanti anche per un singolo Paese, anche
delle dimensioni degli Usa. Se vuol uscire dall'impasse, il mondo dell'auto è «condannato» a
collaborare spostando l'asticella della concorrenza su fattori nuovi. Un modello «Intel insi-
SOSTEGNI GOVERNATIVI
USA
42
5
6
750
200
Giappone
Francia
Italia
Spagna
miliardi di dollari
miliardi di dollari
miliardi di euro
milioni di euro
milioni di euro
de» per dirla nel gergo
degli addetti ai lavori:
per anni, prima che
emergesse la concorrenza di Amd, tutti i pc del
mondo sono stati equipaggiati con l'anima dei
chip di Intel. Ma la concorrenza tra prodotti
dall'anima simile è stata
comunque feroce: questione di scelte di
design, di funzionalità, di potenza, di canali di
vendita, di marketing e di prezzo.
Idee per il futuro
È l'unica strada da battere? Certamente
non l'unica. Anche perché il fascino di una
Ferrari è più forte di tante teorie e di tutti i
chip del mondo. E la forza di quest'industria
che viene da lontano è ancora impressionante. Ma occorre far presto a trovare la quadratura del cerchio, se si vuole tornare a guadagnare e a creare ricchezza. Non è una missione facile, anche perché in questi anni la concorrenza è stata feroce e l'impegno senza
riserve. Ma finora il messaggio era:
«Impegnatevi a produrre "a meno"». Oggi il
gioco si fa più difficile: nei prossimi anni si
venderà di meno (vedi le previsioni del numero due della Chrysler Jim Press che prevede
quattro anni di mercato stagnante). Occorre
dunque sì «produrre meno» ma ai costi che il
mercato è disposto a sopportare (cioè sempre
inferiori), senza però sacrificare il conto economico o il prezzo che le comunità e gli Stati
dovranno pagare sul piano sociale. E, naturalmente, rispettando quei requisiti ambientali che, a parole, tutti vogliono ma di cui ben
pochi sono disposti a pagare il prezzo.