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La vite e i tralci Gesù disse “ Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla.” (Gv 15,1-8) Pentecoste si avvicina con il suo sapore di grano : frutto di Cristo, nasce la Chiesa. Come l’uva sul tralcio trae linfa dalla vite, così la Chiesa esiste, si manifesta, si dona solo nella misura del suo essere innestata al Cristo, proprio come tralcio alla vite. La relazione tra il cristiano e il Signore Gesù non si limita a un astratto credere intellettuale alla sua storicità o alla sua divinità. Cristo non è una verità teorica che uno brandisce come ascia di guerra contro un mondo dove “non c’è più religione ”. Con questo tipo di atteggiamento non si fa altro che continuare il gioco al massacro. Non che il cristiano non debba rendere ragione al mondo del suo credere e della speranza che abita inquieta le sue notti. Anzi bisogna essere sempre pronti, con tutta dolcezza e rispetto a testimoniare la propria fede. Ma è proprio questa testimonianza che si rende possibile solo attraverso un’intima e totale comunione di vita col mistero di Cristo. Parlo di mistero perché in questa comunione, attraverso il susseguirsi dei giorni e degli eventi Cristo si propone, fedele a se stesso, sempre sorprendente e nuovo per noi. C’è una dinamicità di relazione che si può definire “discepolato” dove il termine sta ad indicare un rapporto stretto tra la Parola e l’ascolto. Gesù è Maestro che “parla con autorità”. L’ascolto è obbedienza. Parola questa, in una società ubriaca del mito della libertà individuale e insofferente alla disciplina di se stessi risuona piuttosto strana: eppure non si fa un passo verso la libertà senza la disciplina. Ascoltare la Parola: ma quando tra persone non c’è sintonia, quando si vive in una moltitudine di soli, allora non c’è né uno che parla e nè, molto più spesso, uno che ascolta. “Io sono la vera vite” dice Gesù. Israele era stata cantata dal profeta Isaia come la vigna che Dio aveva piantato con amore perché portasse frutti. Ma fu delusione di acidità. La vera vite, quella che porta frutto di dolcezza, vino di allegria nuziale è Cristo. Ma lo porta attraverso i tralci, attraverso la sua Chiesa, nella concretezza del vivere e testimoniare di ogni suo membro, membro che ha il nome di “discepolo”. Chiamato ad ascoltare la Parola egli deve mettersi in cammino dietro il maestro che dice “Seguimi” e strada facendo, annuncia il Vangelo. Ed è attraverso quel pellegrinare, attraverso il cambiamento degli anni e degli avvenimenti ora felici ora drammatici della vita, che si realizza la storia di un amore sempre più solido e essenziale. Si scopre allora il senso di rimanere: “Rimanete in me come io rimango in voi”. Torna davvero tante volte questo verbo “rimanere” nel Vangelo! È un acconsentire, senza più volgersi indietro, a vivere fino in fondo una storia di vita comune: tra l’uomo e Cristo. Ma come è possibile? Per noi umani, così variabili nei sentimenti e nella volontà questa stabilità è improbabile. Non è cosa che sta nelle nostre possibilità. “ Senza di me non potete fare nulla” dice Gesù, per spazzare via ogni illusione. Senza Cristo, senza questa storia del “rimanere in” c’è solo agitarsi del nulla. Con Lui l’impossibile diventa uva matura. Splendore di Verità è che tutto è Grazia. E nella Grazia il tralcio dona l’esuberante fecondità della Vite. Tutto ruota attorno ad una immagine concreta e ad un verbo: la vite e dei tralci, il verbo «rimanere». Cristo vite, io tralcio: io e lui la stessa cosa! Stessa pianta, stessa vita, unica radice, una sola linfa. Dio è in me, come radice che invia energia verso tutti i rami. Dio è in me per prendersi cura più a fondo di me. In Cristo il vignaiolo si è fatto vite, il seminatore si è fatto seme, il vasaio si è fatto argilla, il Creatore si è fatto creatura. Non solo Dio con noi, ma Dio in noi. Se ci guardiamo attorno, conosciamo tutti delle persone che sembrano mettere gemme, le vedi germogliare e fiorire. E capisci che sono inserite in qualcosa di vivo! Rimanete in me. Una sola condizione; non condizionamento, ma base della mia esistenza: nutrirmi della linfa della mia vite. Non sono parole astratte, sono le parole che usa anche l'amore umano. Rimanere insieme, nonostante tutte le distanze e i lunghi inverni, nonostante tutte le forze che ci trascinano via. Il primo passo è fare memoria che già sei in lui, che lui è già in te. Non devi inventare niente, non devi costruire qualcosa. Solo mantenere quello che già è dato, prenderne coscienza: c'è una energia che scorre in te, proviene da Dio, non viene mai meno, vi puoi sempre attingere, devi solo aprire strade, aprire canali a quella linfa. All'inizio della primavera sui tralci potati affiora una goccia di linfa' che luccica sulla punta del ramo. Mio padre mi portava nella vigna dietro casa e mi diceva: è la vite che va in amore! Quella goccia di linfa mi parla di me e di Dio, dice che c'è un amore che sale dalla radice del mondo e mi attraversa; una vita che viene da Dio e va in amore, in frutti d'amore. Dice a me, piccolo tralcio: «Ho bisogno di te per una vendemmia di sole e di miele». Ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Il dono della potatura... Potare non significa amputare, significa dare vita, qualsiasi contadino lo sa. Rinunciare al superfluo equivale a fiorire. Perché gloria di Dio non è la sofferenza ma il molto frutto. È come se Gesù dicesse: non ho bisogno di sacrifici ma di grappoli buoni; non di penitenze, ma che tu fiorisca. Nessuna vite sofferente porta buon frutto. Prima di tutto devo essere sano e gioioso io. Così Dio mi vuole. Il nome nuovo della morale evangelica è «frutto buono», con dentro il sapore di Dio. Che ha il gusto di tre cose sulla terra: amore coraggio e libertà. Non c'è amore senza libertà, libertà non c'è senza coraggio. E amore libertà e coraggio sono la linfa e i frutti di Dio in noi. Tu, il Risorto, quando abbiamo il semplice desiderio di accogliere il tuo amore, a poco a poco, nel più profondo di noi stessi, una fiamma si accende. Animata dallo Spirito Santo, questa fiamma d’amore può essere a prima vista molto fragile. L’inverosimile è che essa brucia in continuazione. E quando capiamo che tu ci ami, la fiducia della fede diventa il nostro canto.