Lezione 1 - Comune di Cutrofiano

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Lezione 1 - Comune di Cutrofiano
CORSO DI FRORMAZIONE PROFESSIONALE
PER AUSILIARI DI POLIZIA LOCALE – AUSILIARI DEL TRAFFICO
CUTROFIANO, 22 LUGLIO 2013
RELATORE
DOTT.SSA ELISA PIZZOLA
I DELITTI DEI PUBBLICI UFFICIALI
AMMINISTRAZIONE:
I DELITTI DEI PRIVATI CONTRO LA P.A.
CONTRO
LA
PUBBLICA
************
Il concetto di pubblico ufficiale ed incaricato di pubblico servizio
Alcune delle fattispecie di reato la cui commissione determina l’insorgenza della responsabilità
amministrativa delle persone giuridiche ed, in particolare, le diverse figure di corruzione e la
concussione, presuppongono il coinvolgimento di pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio.
Si ritiene pertanto opportuno evidenziare preliminarmente quali sono i criteri dettati dal codice
penale per individuare i soggetti che rivestono la qualifica di pubblici ufficiali e di incaricati di
pubblico servizio.
Ai sensi dell’art. 357, c.1, c.p., è considerato pubblico ufficiale “agli effetti della legge penale” colui
che esercita “una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa”.
Il secondo comma dell’articolo in esame precisa che, agli effetti della legge penale “è pubblica la
funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e
caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione
o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi”.
Dalla lettura della norma in esame si evince che la qualifica di pubblico ufficiale va attribuita, in
linea generale, ai seguenti soggetti:
-soggetti che concorrono a formare o formano la volontà dell’Ente Pubblico o lo
rappresentano all’esterno;
- soggetti che sono muniti di poteri autoritativi (ogni attività svolta nei confronti dei soggetti
che si trovano su un piano non paritetico rispetto all’autorità);
- soggetti che sono muniti di poteri di certificazione (ogni attività di documentazione cui
l’ordinamento assegna efficacia probatoria, quale che ne sia il grado).
A titolo meramente semplificativo riveste la qualifica di pubblico ufficiale: ufficiale giudiziario,
consiglieri comunali, geometra tecnico comunale, insegnanti delle scuole pubbliche.
L’art. 358 c.p. stabilisce che “sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque
titolo, prestano un pubblico servizio.
Il servizio pubblico può essere definito come il complesso di attività disciplinate nelle stesse
modalità della pubblica funzione, ma mancanti dei poteri tipici di quest’ultima, anche attraverso
l’iniziativa di altri enti o di soggetti privati, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni
di ordine e della prestazione di opera meramente materiale”.
Il “servizio”, affinché possa definirsi pubblico, deve essere disciplinato, così come la “pubblica
funzione”, da norme di diritto pubblico, senza la sussistenza, tuttavia, di poteri di natura
certificativa, autorizzativa e deliberativa propri della pubblica funzione.
In virtù di quanto esposto, per indicare se un soggetto rivesta o meno la qualità di “incaricato di un
pubblico servizio”, l’elemento discriminante è rappresentato non dalla natura giuridica assunta o
posseduta dalla persona (fisica o giuridica), ma dalle funzioni attribuite al soggetto, le quali devono
consistere nella cura di interessi pubblici o nel soddisfacimento di bisogni di interesse generale.
Pertanto, nella qualifica pubblicistica di “incaricato di un pubblico servizio” rientrano le guardie
giurate, in virtù di quanto disposto dalla legge.
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Altri esempi di categorie professionali inquadrabili nella qualifica pubblicistica di cui all’art. 358
c.p. sono rappresentati dal conducente di un mezzo di pubblico trasporto, dal dipendente della
società poste italiane, dal dipendente della società erogatrice di energia elettrica o del gas, ecc.
I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione
La Legge 6 novembre 2012, n. 190 recante "Disposizioni per la prevenzione e la repressione della
corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione" è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale
13 novembre 2012, n. 263 dopo aver ottenuto l’approvazione della Camera dei Deputati: secondo
quanto affermato dal Ministro Paola Severino, i numeri raggiunti in Parlamento “evidenziano
l’ampia condivisione del progetto da parte dei soggetti politici che vi hanno contribuito”.
Tale intervento normativo, volto a rafforzare l’efficacia e l’effettività delle misure di contrasto al
fenomeno corruttivo, tiene conto sia delle indicazioni fornite da taluni strumenti sovranazionali di
contrasto alla corruzione già ratificati dal nostro Paese (Convenzione Onu di Merida e la
Convenzione penale sulla corruzione di Strasburgo), sia degli standard internazionali di contrasto ai
fenomeni corruttivi.
Ecco le principali novità:
In materia di corruzione, il principale intervento è costituito dalla sostituzione dell’art. 318 c.p.
(Corruzione per un atto d’ufficio) con la fattispecie di “Corruzione per l’esercizio della funzione”,
punita con la reclusione da 1 a 5 anni. Essa ricomprenderà sia l’ambito applicativo della novellata
disposizione, sia le ipotesi corruttive relative all’esercizio della funzione. Sono altresì previsti
corposi aumenti di pena per il delitto di Corruzione in atti giudiziari ex art. 319-ter c.p. (la cui
cornice edittale passa da 3-8 anni a 4-10 anni per l’ipotesi contemplata dal primo comma, mentre
per la forma aggravata di cui al secondo comma, la pena minima passa da 4 a 5 anni); per la
corruzione propria (la cui pena diviene 4-8 anni rispetto agli attuali 2-5), per il delitto di peculato ex
art. 314 c.p. (ove la pena minima passa da 3 a 4 anni) ed infine, per il reato di Abuso di ufficio di
cui all’art. 323 c.p., (ove dagli attuali 6 mesi-3 anni si passa ad 1-4 anni).
In tema di concussione si è intervenuti andando a precisare le condotte previste dall’attuale art. 317
c.p., in modo anche da calibrarne il diverso disvalore. Si è così limitato l’ambito operativo dell’art.
317 c.p. alla sola ipotesi in cui la condotta concussiva del pubblico ufficiale abbia generato un
effetto di costrizione nei confronti del privato e, in virtù dei suoi poteri autoritativi, abbia
determinato il c.d. metus publicae potestatis. La pena minima, in questo caso, è aumentata dagli
attuali 4 anni a 6, rimanendo invariata la misura massima (12 anni). Le condotte di induzione
invece, sono fatte confluire in una nuova fattispecie denominata “Indebita induzione a dare o
promettere denaro o altra utilità”, disciplinata dall’art. 319-quater c.p.. Soggetti attivi sono sia il
pubblico ufficiale che l’incaricato di pubblico servizio ma la punibilità oltre che per costoro è
prevista anche per il privato che, non essendo costretto ma semplicemente indotto alla promessa o
dazione, mantiene un margine di scelta criminale che giustifica una pur limitata reazione punitiva
(fino a 3 anni).
A completamento del sistema di tutela, all’art. 346-bis c.p. viene introdotto il reato di “traffico di
influenze illecite”. Esso punisce con la reclusione da 1 a 3 anni sia chi si fa dare o promettere
denaro o altra utilità, sia chi versa o promette con riferimento ad un atto contrario ai doveri
dell’ufficio, o all’omissione o al ritardo di un atto dell’ufficio. In questo modo si realizza una tutela
anticipata del buon andamento e dell’imparzialità della p.a., andando a colpire comportamenti
eventualmente prodromici all’accordo corruttivo.
La riforma ha previsto taluni obblighi a carico della pubblica amministrazione. Oltre ad assegnare al
Governo il compito della redazione di un codice etico per i dipendenti pubblici, è stato previsto che
ogni amministrazione debba adottare ed aggiornare annualmente precisi “piani anticorruzione”.
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Spetta al “responsabile della corruzione” (dirigente di prima fascia) predisporre ed attuare al meglio
tali piani, adottando opportune misure organizzative e meccanismi di prevenzione ad hoc.
Nell’ipotesi di commissione del reato di corruzione all’interno dell’amministrazione in cui opera,
questi risponderà per danno erariale e per danno all’immagine della p.a..
Significativa infine la previsione secondo cui coloro che sono stati condannati, anche con sentenza
non passata in giudicato, per reati contro la pubblica amministrazione, non possono far parte di
commissioni giudicatrici, non possono essere assegnati agli uffici che gestiscono risorse finanziarie
e non possono far parte delle commissioni per la scelta del contraente negli appalti pubblici.
A) Pecualto
Il delitto di peculato è previsto all’art. 314 c.p.
La norma stabilisce che “il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, avendo per
ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa
mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni.
Il peculato è un reato proprio, soggetto attivo può essere esclusivamente un pubblico ufficiale o un
incaricato di pubblico servizio, e di natura plurioffensiva perchè l’interesse tutelato coincide sia con
la legalità e l’efficienza dell’attività della pubblica amministrazione che con il suo patrimonio e
quello di terze persone.
La condotta tipica, notevolmente complessa e varia, evidenzia come il reato possa perfezionarsi per
mezzo tanto dell’appropriazione che della distrazione dell’oggetto materiale in danno della pubblica
amministrazione.
Sebbene nell’ipotesi per appropriazione debba intendersi l’attività dell’agente che provvede a
sottrarre denaro o una cosa mobile ponendoli contemporaneamente nella propria o altrui
disponibilità, autorevole dottrina ha espresso nel tempo diverse e numerose definizioni del termine;
relativamente all’elemento psicologico “l’appropriarsi - è stato scritto - significa comportarsi verso
la cosa come se fosse propria, vale a dire compiere sulla cosa stessa atti di disposizione a cui il
possessore non è autorizzato” anche se frequentemente è stata posta l’attenzione “sull’interversione
del possesso” tentando di “esemplificare la condotta criminosa individuandola nella consumazione,
alienazione, ritenzione o distrazione della cosa”.
La perfezione del reato si raggiunge anche nel momento in cui il soggetto attivo non realizzi dalla
propria condotta un indebito profitto poiché il fatto non è imputabile a titolo di dolo specifico dal
momento che l’appropriazione del denaro o di qualsiasi altra cosa mobile va già oltre i limiti
imposti al pubblico ufficiale nell’esercizio del possesso di tali beni.
Il peculato per distrazione si configura allorquando l’oggetto materiale del reato viene destinato
dall’agente ad uno scopo diverso da quello originariamente previsto.
Il criterio distintivo tra le due fattispecie sopra descritte consiste nella destinazione riservata al
denaro o alla cosa mobile altrui; sussiste la distrazione del bene quando tale attività venga esercitata
nell’ambito della pubblica amministrazione ma al fine di conseguire scopi estranei alle proprie
finalità istituzionali mentre supporterà l’ipotesi di reato del peculato per appropriazione la condotta
dell’agente che sottrae alla pubblica amministrazione quanto in suo possesso ponendolo sotto la sua
o altrui disponibilità.
Il secondo comma dell’art. 314 c.p. definisce un’ulteriore ipotesi di reato, il peculato d’uso, che si
configura quale figura autonoma di reato e non come circostanza attenuante.
In questo caso la condotta dell’agente integra una fattispecie che comporta una responsabilità
penale sicuramente inferiore rispetto ai casi precedentemente indicati in quanto finalizzata
esclusivamente all’utilizzo temporaneo della cosa che sarà restituita immediatamente dopo l’uso;
inoltre non potendo rendere l’eadem res ma unicamente il tantundem, è lecito ritenere che il
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peculato d’uso non possa configurarsi con riguardo alle cose di quantità ma esclusivamente a quelle
di specie.
Il delitto di peculato si consuma nel momento e nel luogo in cui l’agente si appropria della cosa di
cui in concreto si tratta.
Nella forma dell’appropriazione il peculato è imputabile a titolo di dolo generico sostanziandosi
nella coscienza e volontà di appropriarsi del bene materiale di proprietà della pubblica
amministrazione che il soggetto ha nel proprio possesso per ragioni derivanti dal proprio ufficioi; al
contrario nella forma della distrazione il dolo è specifico poiché consiste nella piena intenzione di
invertire, per proprio o altrui profitto, l’indirizzo del denaro pubblico.
L’errore del pubblico ufficiale non comporta l’esclusione dell’elemento soggettivo perché la
corretta destinazione del denaro appartenente alla pubblica amministrazione, seppur disposta da una
norma amministrativa, deve ritenersi implicitamente disciplinata anche da quella penale con la
conseguenza che l’attività del reo non si risolve in un errore sul fatto su una legge diversa da quella
penale.
B) Concussione
Secondo l’art. 317 c.p. risponde del reato di concussione “il pubblico ufficiale che, abusando della
sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo,
denaro o altra utilità è punito con la reclusione da sei a dodici anni”.
Risponde del reato di cui all’art. 319 quater – induzione indebita a dare o promettere utilità – “il
pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi
poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è
punito con la reclusione da tre a otto anni”.
Si ha abuso della qualità ogniqualvolta il soggetto si avvale della sua qualità per costringere o
indurre altri a dare o promettere.
L’abuso dei poteri, invece, presuppone la capacità di esercitarli, in quanto rientranti nei limiti della
competenza, e consiste nell’esercizio della potestà di cui il soggetto è investito difformemente dallo
scopo per cui la legge glieli ha conferiti.
Costringere significa usare violenza o minaccia su un soggetto al fine di determinarlo a compiere un
atto positivo o negativo che incide sul suo patrimonio.
La induzione, invece, consiste in una attività dialettica dell’agente che, avvalendosi della sua
autorità e ricorrendo ad argomentazioni di indole varia, fondate su elementi non privi di obiettiva
veridicità, riesce a convincere il soggetto passivo alla dazione o alla promessa.
Per dazione si intende l’effettiva consegna della cosa in modo definitivo e può essere anche
un’utilità p un bene immateriale (es.: si svolge un lavoro a vantaggio del pubblico ufficiale).
Promessa è l’impegno ad eseguire una futura prestazione, comunque assunta.
Indebita è la dazione o la promessa che non è dovuta, per legge o per consuetudine, all’agente in
quanto tale (es.: risponderà di concussione l’agente della forza pubblica il quale, essendo creditore
di una somma di denaro per un contratto di mutuo, induca il debitore a pagargli la somma dovuta
minacciandolo che, in caso contrario, lo arresterà per un ipotetico, inesistente reato).
C) Corruzione
La corruzione consiste in un accordo fra un pubblico funzionario e un privato, in forza del quale il
primo accetta dal secondo, per un atto relativo all’esercizio delle sue attribuzioni, un compenso che
non gli è dovuto.
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Il codice configura due distinte ipotesi di corruzione. La prima, avente ad oggetto un atto d’ufficio,
è generalmente denominata corruzione impropria. È disciplinata dall’art.318 c.p. – corruzione per
l’esercizio della funzione – il quale punisce il pubblico ufficiale che, per l’esercizio delle sue
funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne
accetta la promessa con la reclusione da uno a cinque anni.
La seconda ipotesi di corruzione che ha per oggetto un atto contrario ai doveri d’ufficio e che,
perciò, è più grave, viene detta corruzione propria. Secondo l’art. 319 c.p. – corruzione per un atto
contrario ai doveri d’ufficio – il pubblico ufficiale che, per omettere o ritardare o per aver omesso o
ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o aver compiuto un atto contrario ai doveri
d’ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con
la reclusione da quattro a otto anni.
La corruzione, poi, può essere antecedente o susseguente. La prima si ha quando il fatto illecito si
riferisce ad un atto futuro del funzionario; l’altra, invece, riguarda un atto già compiuto.
L’elemento differenziatore tra la corruzione e la concussione è costituito dal fatto che nella prima
l’iniziativa parte dal privato, mentre nella seconda parte dal pubblico funzionario.
D) Abuso d’ufficio
Ai sensi e per gli effetti dell’art. 323 c.p. (Abuso d’ufficio) : “Salvo che il fatto costituisca un più
grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle
funzioni o del servizio, in violazione delle norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di
astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti,
intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un
danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni”.
Così come si evince chiaramente dalla lettura del predetto articolo, i soggetti attivi del delitto in
oggetto possono essere soltanto il pubblico ufficiale e l’incaricato di un pubblico servizio. Invece, i
soggetti passivi sono la Pubblica Amministrazione ed il privato che dall’abuso abbia a subire un
danno ingiusto. Si osserva, altresì, che il reato di abuso d’ufficio finalizzato ad arrecare ad altri un
danno ingiusto ha natura plurioffensiva, in quanto è idoneo a ledere, oltre all’interesse pubblico al
buon andamento ed alla trasparenza della pubblica amministrazione anche il concorrente interesse
delle persone private a non essere turbate nei propri diritti costituzionalmente garantiti dal
comportamento illegittimo ed ingiusto del pubblico ufficiale.
Il bene giuridico tutelato dalla fattispecie penale incriminatrice, di cui all’art. 323 c.p., è quello
dell’imparzialità, dell’efficienza, del buon andamento e della trasparenza della Pubblica
Amministrazione. Più in particolare, l’efficienza deve essere intesa come la capacità di perseguire i
fini che la legge assegna alla Pubblica Amministrazione in aderenza all’interesse pubblico.
L’imparzialità della Pubblica Amministrazione deve essere intesa come la necessità che venga
rispettata la par condicio fra i cittadini nei confronti della P.A.
Il delitto di abuso d’ufficio si consuma nel tempo e nel luogo in cui si verifica il danno o il
vantaggio patrimoniale; il tentativo è certamente configurabile.
L’elemento oggettivo dell’abuso d’ufficio si riscontra in una condotta che viola norme di legge,
regolamenti ed omette il rispetto dell’obbligo giuridico di astensione in presenza di un interesse
proprio, di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti. Più in particolare, la predetta condotta
illecita deve essere eseguita per procurare a sé o ad altri un vantaggio patrimoniale oppure per
arrecare ad altri un danno ingiusto. In sintesi, il danno deve essere conseguenza di un atto
illegittimo e l’abuso deve presentarsi come contrario all’ordinamento giuridico.
I delitti dei privati contro la pubblica amministrazione
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A) Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale
Secondo l’art. 336 c.p. “chiunque usa violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o ad un incaricato
di pubblico servizio, per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto
dell’ufficio o del servizio è punito con la reclusione da sei mesi a cinque ani”.
La norma tutela l’interesse pubblico al normale funzionamento della P.A. e, allo stesso tempo, la
persona del pubblico ufficiale o dell’incaricato del pubblico servizio da ingiuste aggressioni. Sia la
violenza che la minaccia deve essere finalizzata contro un’azione futura del p.u. Ne deriva che non
è necessario che il p.u. si trovi nell’esercizio delle sue funzioni nel momento in cui il fatto è
commesso.
B) Resistenza a un pubblico ufficiale
Ai sensi dell'articolo 337 del codice penale (Resistenza a un pubblico ufficiale): “Chiunque usa
violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio,
mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza, è
punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni”.
Il legislatore ha inserito questa autonoma fattispecie incriminatrice all'interno del codice penale per
tutelare la libertà di azione dei pubblici poteri nella fase di esecuzione delle decisioni già adottate. A
questo bene-interesse si accompagna quello di garantire la sicurezza e la libertà di azione dei
pubblici funzionari contro le altrui azioni violente.
Chiunque può essere il soggetto attivo del delitto di resistenza ed ecco perché ci troviamo in
presenza di un reato comune. È importante specificare che la resistenza diviene rilevante solo
quando la condotta del privato si estrinseca in una qualsiasi azione intimidatoria o aggressiva,
idonea a condizionare l'esatta volontà del pubblico ufficiale, intralciandone o precludendone l'opera.
Il soggetto passivo del reato deve essere, necessariamente, un pubblico ufficiale oppure un
incaricato di pubblico servizio.
Nel reato di resistenza a pubblico ufficiale l'elemento psicologico consiste nella coscienza e volontà
di precludere al pubblico ufficiale con una condotta minacciosa e violenta l'atto d'ufficio ritenuto
pregiudizievole per i propri interessi. In sostanza, in tale fattispecie delittuosa il dolo specifico si
concreta nel fine di ostacolare l'attività pertinente al pubblico ufficio o servizio in atto, di talché il
comportamento che non risulti tenuto a tale scopo, per quanto eventualmente illecito ad altro titolo,
non integra il delitto in questione. Si tratta di un reato istantaneo che si consuma nel momento in cui
viene realizzata la minaccia o la violenza.
Per integrare tale reato è, altresì, necessaria una condotta materiale attiva che sia idonea ad
impedire, intralciare ed a compromettere, anche solo parzialmente e temporaneamente, la regolarità
del compimento dell'atto d'ufficio o di servizio da parte del pubblico ufficiale o incaricato di
pubblico servizio. Tutto ciò a prescindere dal fatto che l'atto di ufficio possa comunque essere
eseguito dall'aggredito.
La minaccia, di cui parla l'articolo 337 c.p., può essere costituita da qualsiasi mezzo idoneo ad
opporsi all'atto di ufficio (o di servizio) che si sta compiendo ed è integrata anche nel caso che si
manifesti in modo indiretto (cioè all'indirizzo di soggetto diverso dal P.U. o i.p.s.) purché la
pubblica funzione ne risulti impedita o soltanto ostacolata. In sostanza, ciò che conta è che la
minaccia e la resistenza siano idonee a turbare l'esercizio della funzione pubblica.
Ovviamente, anche la semplice minaccia con un arma qualsiasi, dispiegata nei confronti di un
appartenente alle Forze dell'Ordine, configura di per sé il reato di resistenza.
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L'articolo 339, comma 2, codice penale prevede, per il delitto in esame, talune circostanze
aggravanti che si applicano quando la violenza o la minaccia sono commesse:
● da più di cinque persone riunite e mediante uso di armi, anche solo da parte di una di esse;
● da più di dieci persone riunite, in tal caso anche senza uso di armi.
In rapporto al reato di violenza o minaccia a pubblico ufficiale bisogna fare sempre la seguente
considerazione preliminare. Infatti, se la violenza o minaccia precede il compimento dell'atto del
pubblico ufficiale si versa nell'ipotesi delittuosa di cui all'articolo 336 (violenza o minaccia a
pubblico ufficiale); se è, invece, usata durante il compimento dell'atto di ufficio, per impedirlo, si ha
la resistenza ai sensi dell'articolo 337 codice penale.
C) Oltraggio
Il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale era in passato disciplinato dall’art. 341 del c.p., ma come è
noto è stato abrogato ad opera dell’art. 18 l. n. 205/1999.
Di recente, la disposizione relativa all’oltraggio è stata reintrodotta, con talune analogie, ma anche
con non poche differenze, dall’art. 1, comma 8, della legge 15 luglio del 2009, n. 94, recante
“Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”.
La nuova disciplina pur mantenendo identità di rubrica è stata inserita con la nuova numerazione
dell’art. 341-bis.
Si tratta di un reato contro la P.A. dove il soggetto attivo può essere chiunque, ma di solito si tratta
di un cittadino privato che offende un pubblico ufficiale, inoltre, essendo un reato c.d.
plurioffensivo, i soggetti passivi sono sia il p.u. oltraggiato che la P.A. a cui il pubblico ufficiale
appartiene.
Con riferimento al nuovo quadro normativo, bisogna porre l’accento soprattutto alle innovazioni
poste in essere dalla legge 94/2009 al c.d. elemento materiale del reato, di cui sostanzialmente ci
occuperemo.
Infatti, si dispone che l’offesa all’onore ed al prestigio del pubblico ufficiale deve avvenire
cumulativamente e non disgiuntamente come era disciplinato in passato.
Occorre quindi che l’offesa riguardi necessariamente sia le qualità morali del pubblico ufficiale che
la sua dignità, con riferimento alla funzione pubblica esercitata, con la necessaria conseguenza che
non saranno punibili condotte risultanti lesive del solo onore del destinatario, inteso come uomo
comune, senza mettere in discussione anche il prestigio del pubblico ufficiale in relazione al ruolo
che egli svolge all’interno dell’ente di appartenenza.
Per offesa all’onore si faceva riferimento, ai sensi della norma previgente, alle sole qualità morali
del pubblico ufficiale, oggi invece si intende non solo il complesso delle doti morali, ma anche
quelle intellettuali, fisiche, ed altre qualità che concorrono a determinare il prestigio dell’individuo
nell’ambiente in cui vive. Con riferimento al prestigio, si fa riferimento comunemente alla dignità
ed al rispetto di cui la funzione esercitata deve essere circondata.
C’è da sottolineare come con la riforma del 2009, la presenza di più persone sia diventato un
elemento costitutivo del reato, mentre in passato rappresentava una circostanza aggravante speciale,
in particolare si parlava di presenza di una o più persone.
Ciò significa che il reato ai sensi della disciplina vigente, deve essere commesso alla presenza di
almeno due soggetti estranei al fatto, in tale numero non possono computarsi nè il p.u. offeso, nè gli
eventuali complici del reo.
È facile intuire che si vuole escludere che il p.u. sia l’unica fonte prova del fatto, poichè tale delitto
si prestava a facili abusi da parte dei pubblici ufficiali stessi ai danni dei cittadini privati.
Inoltre, è pacifico affermare che il nuovo reato è configurabile a condizione che le più persone
abbiano effettivamente percepito il comportamento oltraggioso, ciò serve ad escludere che il reato
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possa essere integrato mediante comunicazione telegrafica o telefonica, con lo scritto o col disegno,
condizioni che invece in passato integravano l’art. 341.
Con riferimento proprio alla norma abrogata bisogna ricordare brevemente che l’offesa doveva
avvenire alla presenza del p.u., anche se la Giurisprudenza di legittimità riteneva sufficiente che
quest’ultimo fosse ad una distanza tale da poter percepire il comportamento offensivo anche in
maniera solo potenziale.
Assume rilevanza il fatto che l’offesa al p.u. non può avvenire dovunque, come accadeva in
precedenza, ma è necessario che avvenga in luogo pubblico (piazze, vie) o in luogo aperto al
pubblico (cinema, musei). Si evince quindi che il legislatore del 2009, ha notevolmente ridotto la
portata applicativa della nuova fattispecie di reato, così evidenziando la finalità plurioffensiva
dell’illecito e la necessità che risulti leso anche il prestigio della Pubblica Amministrazione.
È possibile affermare che tale reato non si configura qualora l’offesa dovesse avvenire in un luogo
privato oppure in un luogo industriale non aperto al pubblico.
Il quarto ed ultimo elemento costitutivo del reato è il nesso funzionale, infatti, a differenza
dell’abrogato art. 341 del c.p., dove l’offesa doveva essere arrecata al pubblico ufficiale, a causa o
nell’esercizio delle sue funzioni, ossia che vi fosse un nesso di causalità tra l’offesa e la funzione,
l’art. 341-bis invece, prevede che il reato sia configurabile a condizione che l’offesa sia rivolta ad
un p.u. non solo a causa o nell’esercizio delle sue funzioni, ma anche mentre questi compie un atto
d’ufficio, il che sembra ulteriormente restringere l’ambito di applicazione della norma
incriminatrice in commento, con la conseguenza che si verrà a configurare un nesso funzionale di
contestualità.
Appare evidente il tentativo del legislatore di superare quella consolidata Giurisprudenza della
Cassazione, con riferimento ai pubblici ufficiali considerati permanentemente in servizio, anche
quando avevano dismesso la divisa. Infatti, per esemplificare, si considerava commesso contro un
funzionario nell’esercizio delle sue funzioni, l’oltraggio consumato nei confronti di agenti di polizia
giudiziaria o di sicurezza anche non in servizio e quindi anche quando se ne stavano ad esempio
passeggiando per strada, ma comunque, pronti a redarguire, nel caso di specie, qualche malcapitato
padre di famiglia che aveva messo l’auto in sosta vietata.
Secondo la normativa vigente, come prima anticipato, non basta il solo nesso causale, essendo pure
necessario, quello funzionale della contestualità dell’atto dell’ufficio che viene compiuto e l’offesa
che viene arrecata.
All’imputato è data la possibilità di estinguere il reato mediate il risarcimento del danno nei
confronti sia del pubblico ufficiale oltraggiato, sia della Pubblica Amministrazione a cui il p.u.
appartiene, entro il limite del giudizio, evidenziando ancora una volta la portata plurioffensiva di
questo illecito.
L’imputato è tenuto a risarcire sia il danno patrimoniale che non patrimoniale purchè sia suscettibile
di valutazione economica.
Tale condotta per le altre fattispecie criminose, diversamente, può comportare invece l’applicazione
di una possibile circostanza attenuante comune.
D) Traffico di influenze illecite
La Legge 6 novembre 2012, n. 190 (cd “Legge anticorruzione”) ha introdotto nel nostro
ordinamento, all’art. 346-bis c.p., una nuova fattispecie di reato: Traffico di influenze illecite, che
topograficamente segue la fattispecie già contemplata di millantato credito di cui all’art. 346 c.p.
Chiunque sfruttando relazioni esistenti con un p.u o con un incaricato di pubblico servizio,
indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come
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CORSO DI FRORMAZIONE PROFESSIONALE
PER AUSILIARI DI POLIZIA LOCALE – AUSILIARI DEL TRAFFICO
CUTROFIANO, 22 LUGLIO 2013
RELATORE
DOTT.SSA ELISA PIZZOLA
prezzo della propria mediazione illecita verso il p.u. o l’incaricato di pubblico servizio ovvero per
remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio o all’omissione o al
ritardo di un atto del suo ufficio, è punito con la reclusione da uno a tre anni. La stessa pena si
applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altro vantaggio patrimoniale. La pena è
aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro
vantaggio patrimoniale riveste la qualifica di p.u. o di incaricato di un pubblico servizio. Le pene
sono aumentate se i fatti sono commessi in relazione all’esercizio di attività giudiziarie.
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