Rassegna stampa - Ordine degli Avvocati di Trani

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Rassegna stampa - Ordine degli Avvocati di Trani
ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA
Ufficio stampa
Rassegna
stampa
22 settembre 2006
Responsabile :
Claudio Rao (tel. 06/32.21.805 – e-mail:[email protected])
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ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA
SOMMARIO
Pag. 3 CONGRESSO FORENSE: Scontro continuo Avvocati-Governo (il sole 24 ore)
Pag. 4 CONGRESSO FORENSE: Lo sbarco dei duemila per correggere il futuro
(diritto e giustizia)
Pag. 6 CONGRESSO FORENSE: Avvocatura e governo ai ferri corti (italia oggi)
Pag. 8 CONGRESSO FORENSE: Relazione del presidente dell’Oua Avv. Michelina
Grillo – Presidente Organismo Unitario Avvocatura (diritto e giustizia)
Pag.13 CONGRESSO FORENSE: “Dare nuovo valore all’ Avvocatura”
di Guido Alpa – Presidente Consiglio Nazionale Forense (diritto e giustizia)
Pag.32 CONGRESSO FORENSE: Gli Avvocati lottano per il loro futuro
di Alessandro Cassiani – Presidente Ordine Avvocati di Roma (diritto e giustizia)
Pag.34 CONGRESSO FORENSE: Una sospensione tira l'altra e gli avvocati puntano
alla Bersani (diritto e giustizia)
Pag.36 CONGRESSO FORENSE: Organismo unitario avvocatura italiana
Documento approvato dall’Assemblea del 15-17 settembre 2006
(diritto e giustizia)
Pag.39 CONGRESSO FORENSE: Associazione italiana giovani avvocati
Lettera aperta al ministro per lo Sviluppo Economico, On. le Pierluigi Bersani
Inviata dal presidente dell’Aiga Valter Militi il 15 settembre 2006
(diritto e giustizia)
Pag.41 AVVOCATI: Le magnifiche sorti (progressive) del praticante in Spagna,
Francia e Inghilterra (diritto e giustizia)
Pag.42 AVVOCATI: Analisi in merito alla posizione e al trattamento dei praticanti e dei
giovani avvocati nel Regno Unito (Avv. Alessandro Magliari) (diritto e giustizia)
Pag.57 UNIVERSITA’:Mussi rispolvera il 3+2 (italia oggi)
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ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA
IL SOLE 24 ORE
Il Congresso forense. La categoria contesta le novità che sono state introdotte con il decreto Bersani
Scontro continuo Avvocati-Governo
Li Gotti: scelte imposte dalla Ue – Alpa: solo la deontologia aiuta i cittadini
Roma – settembre si conferma il mese dello scontento dell’avvocatura. Che anche ieri, nella giornata di apertura
della seconda sessione del ventottesimo Congresso nazionale forense, è stata protagonista di un duro faccia a
faccia con il Governo. E se il ministro della Giustizia Clemente Mastella, non è intervenuto, ad attirare gli strali
della platea riunita al Palazzo dei congressi dell’Eur è stato il segretario Luigi Li Gotti. Al centro delle
contestazioni, ancora una volta e nel mezzo di un’astensione dalle udienze destinata a durare fino a domani, ci
sono le norme del decreto legge Bersani; norme che per gli avvocati compromettono il futuro stesso della
professione. Allora il grido di dolore, ma anche di protesta, che arriva da un’avvocatura mortificata, come
ha tenuto a sottolineare il presidente dell’Oua, Michelina Grillo, ha investito un Li Gotti che ha diviso il
suo intervento in due parti. La prima dedicata a un riassunto del piano del Governo sul fronte delle
politiche, della Giustizia. Con qualche anticipazione (come la promessa accolta con estremo scetticismo, di
estendere in due anni il processo telematico a tutti i tribunali oppure, sul versante penale, di anticipare progetti di
riforma più ampi con leggi tampone) ma anche con una certa meticolosità. I guai sono arrivati con la seconda
parte, nella quale Li Gotti, più volte interrotto, ha provato a rivendicare l’inevitabilità dell’intervento del
Governo, soprattutto per quanto riguarda le tariffe. A imporlo, nella ricostruzione di Li Gotti, è l’Europa. In vista
c’è una pronuncia della Corte di giustizia che non si prevede favorevole alla conservazione dei minimi e una
procedura di infrazione già avviata. Per il sottosegretario, poi, lo stesso Governo Berlusconi, a marzo, nella sua
risposta alla Commissione Ue aveva riconosciuto che il sistema tariffario appariva ormai privo di effettività e la
prestazione forense si basava ormai sulla libera contrattazione.
Compatta la risposta degli avvocati, dai quali già in apertura del Congresso era arrivata la richiesta di
sospensione delle norme come segno di apertura da parte dell’Esecutivo e per avviare una riforma complessiva
dell’intera professione forense. Per Guido Alpa, presidente del Cnf, è tutto da dimostrare, per esempio, che la
liberalizzazione delle tariffe metterà il cliente in una posizione di forza contrattuale tale da riuscire ad ottenere
una riduzione del costo delle prestazioni. E allora un argine a vantaggio dei cittadini può arrivare solo da un
codice deontologico che punisce l’avvocato che approfitta dell’ignoranza del cliente e inquadra la pubblicità in
un quadro di regole e limiti precisi. E Grillo ha poi messo nel mirino <<un progetto compiuto tendente alla
compressione della tutela giurisdizionale dei provati cittadini>> a tutto vantaggio dei poteri forti, che fa
perno anche sulla contestuale riduzione, sempre decisa dal Dl Bersani, di 350 milioni in tre anni per il
comparto giustizia. Grillo ha poi chiamato a un fronte comune gli operatori della giustizia invocando una
sponda da parte della magistratura <<che pure ha avuto un’ampia voce in capitolo sulla riforma
dell’ordinamento giudiziario>>. Dal presidente della Cassa forense, Maurizio de Tilla, sono arrivati proclami
di guerra che si concretizzeranno nella giornata di protesta organizzata dal Cup per il 12 ottobre. De Tilla ha
parlato di una situazione <<insanabile>> se non si arriva a uno stop del Dl, unico viatico per la riforma delle
professione.
Ma ieri non è stata solo la giornata dei falchi. A volare c’è stata anche qualche colomba e si sono ascoltate parole
di autocritica.Walter Militi, presidente Aiga, ha messo in evidenza la necessità di un esame di coscienza
dell’avvocatura sulla propria incapacità di proposta politica. Ettore Randazzo, leader dell Camere penali, ha
rilanciato l’esigenza di un’unità rispettosa delle specificità. E Luigi Scotti, sottosegretario alla Giustizia, a
margine del Congresso, ha sottolineato come un possibile confronto sull’applicazione delle tariffe potrebbe
passare per le prestazioni obbligatorie, mentre sul fronte del riordino delle professioni, ha preannunciato
l’intenzione del Governo di presentare un Ddl quadro, individuato come lo strumento più idoneo per fornire la
cornice a un intervento efficace. Giovanni Negri
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DIRITTO E GIUSTIZIA
Congresso: lo sbarco dei duemila per riscrivere il futuro
Una pagina della storia dell’Avvocatura sarà riscritta a Roma, da duemila avvocati che lottano insieme
per gettare le basi del loro futuro, per difendere sé stessi ma soprattutto per tutelare i cittadini. E con
questo appello all’unità che oggi più che mai è indispensabile, ieri il presidente del Consiglio
dell’Ordine di Roma, Alessandro Cassiani ha dato nella capitale il via alla seconda parte del XXVIII
Congresso nazionale forense (la prima si era tenuta a ottobre dello scorso anno a Milano). Di fronte
all’autorevole parterre - erano presenti a Palazzo dei Congressi, il presidente della commissione
Giustizia del Senato, Cesare Salvi, i sottosegretari alla Giustizia Luigi Scotti e Luigi Ligotti, gli
onorevoli Michele Vietti e Maria Grazia Siliquini - il presidente Cassiani ha puntato sul significato del
Congresso stesso che è “la migliore risposta a coloro che pensano che l’Avvocatura sia al termine”.
(Quanto al rapporto tra Avvocatura e politica si veda in proposito l’articolo a lato)
Del resto, ha continuato Cassiani (la sua relazione è qui leggibile nei documenti correlati), “i politici
non possono non comprendere che le strada intrapresa conduce allo svilimento della professione”, ma
soprattutto viene pregiudicato il diritto di difesa tutelato dall’articolo 24 della Costituzione.
La “giusta” concorrenza ha continuato il presidente dell’Ordine di Roma è quella che si combatte
dimostrando le proprie capacità nelle aule dei Tribunali o nei propri studi.
Tuttavia, una cosa è certa secondo Cassiani, “l’Albo degli avvocati non può diventare una sorte di
rifugio per chiunque abbia una laurea”.
Gli avvocati, tuttavia, ha spiegato il presidente dell’Ordine capitolino intendono sì rispedire al mittente
quanto è stato fatto alle loro spalle senza nessuna concertazione ma anche proporre una riforma
dell’ordinamento professionale. I legali, del resto, non vogliono ergere delle barriere nei confronti dei
giovani ma vogliono collaborare affinché siano sempre più specializzati. La selezione, infatti, ha detto
ancora Cassiani deve iniziare a livello universitario e deve continuare anche nei corsi di
specializzazione, altrimenti il rischio è che diventino uno strumento che affranca soltanto da un anno
pratica. Bisogna puntare sulla qualità e sulla specializzazione due elementi di cui dovrebbero tenere
conto anche gli Albi.
Quanto alla pubblicità il presidente dell’Ordine romano non ha dubbi: non costituisce un veicolo di
aiuto per i più giovani ma un’arma nelle mani dei più ricchi, del resto, l’informazione commerciale
rappresenta un costo che solo gli studi più grandi possono sostenere.
“Auspico – ha aggiunto ancora Cassiani – una più equa distribuzione della rappresentanza a livello
distrettuale, perché non è possibile che ci sia un solo rappresentante del Lazio in seno al Consiglio
nazionale forense”. È necessario anche ridiscutere l’attività disciplinare che deve essere sempre più
caratterizzata, ha sottolineato il presidente dell’Ordine di Roma, da terzietà e indipendenza.
Rassicurazioni sono arrivate anche da Mariapia Garavaglia, vicesindaco di Roma, che è sicura che la
battaglia dell’Avvocatura a tutela della cittadino non sarà vana, piuttosto, l’apertura sulla qualità e sulla
specializzazione verrà accolta dalla classe dirigente.
Malgrado la disponibilità espressa dal presidente della commissione Giustizia di Palazzo Madama,
Cesare Salvi, quello che i legali a Palazzo dei Congressi proprio non si aspettavano era l’intervento del
sottosegretario di Via Arenula Luigi Ligotti, avvocato, che ha difeso le scelte del Governo giudicando
irrazionali le reazioni dell’Avvocatura. La platea, però, non è rimasta a guardare e ha indirizzato forti
critiche contro le esternazioni di Ligotti che ha “ripreso” il presidente della Cassa forense Maurizio De
Tilla che nei suoi articoli ha citato a difesa dell’Avvocatura solo la sentenza Arduino della Corte di
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giustizia nella causa C-35/99 ma non anche la procedura di infrazione avviata dalla Commissione
europea nei confronti dell’Italia per violazione degli articoli 43 e 49 del Trattato istitutivo della
Comunità europea. A finire nel mirino della Commissione, ha aggiunto il sottosegretario alla Giustizia,
sono state proprie le norme modificate dal decreto Visco-Bersani che riguardano l’obbligatorietà delle
tariffe penali e il divieto di informazione pubblicitaria. Per cui, ha concluso Ligotti, “spero che ai
problemi posti ci siano delle risposte”.
Cassiani, tuttavia, ha ricordato a Ligotti che “l’irrazionalità è figlia della disperazione”.
Della necessità di “dare un nuovo volto all’Avvocatura” ha parlato ieri nella sua relazione il presidente
del Consiglio nazionale forense, Guido Alpa, che ha sottolineato ancora una volta l’esigenza non più
procastinabile di riformare l’esame di abilitazione. “Un intervento - si legge nella relazione – che
consenta agli Ordini di verificare l’effettivo esercizio della professione da parte degli iscritti, che
riformi il procedimento disciplinare, che introduca forme e modi di aggregazione degli avvocati senza
intaccare il principio di autonomia e indipendenza”. E “Non dunque l’ingresso a soci di capitale, non
subordinazione con contratto di lavoro dipendente dell’avvocato ad altro avvocato, non commistioni
con altre professioni, se non quella consentite dalla interdisciplinarietà compatibile con la professione
forense”.
Il presidente dell’Organismo unitario dell’Avvocatura, Michelina Grillo (la sua relazione è qui
leggibile nei documenti correlati) non ha dubbi sul valore del di questo Congresso che “deve
costituire luogo e tempo della sintesi del malessere dell’Avvocatura, ma anche luogo e tempo per
l’elaborazione compiuta e consapevole del suo progetto di modernizzazione”. E ha continuato “È
necessario che l’Avvocatura concluda questo Congresso con un pacchetto di iniziative forti,
articolate e condivise, in grado di manifestare all’opinione pubblica, e far comprendere al
Governo ed alle forze politiche tutte che non intende piegarsi alle logiche liquidatorie in atto”.
Il leader dell’Oua dimostrando la propria soddisfazione per la partecipazione delle Associazioni
forensi e in particolare dell’Unione delle camere penali italiani ha auspicato che “L’Avvocatura
sappia ritrovare, proprio nel momento più delicato della sua storia recente, la capacità di
ascoltarsi e la forza di farsi ascoltare”.
Della difesa della professione ha parlato anche il presidente dell’Associazione nazionale giovani
Avvocati, Valter Militi che ha detto senza mezzi termini che “difendere la professione significa
governare il cambiamento, altrimenti sarà il cambiamento a governarci, e non è detto che alla fine siano
le libere associazioni a subirne le conseguenze più devastanti”.
Quanto all’unità dei legali, ha messo in guardia Militi, “è un valore nel momento in cui rappresenta una
dimostrazione di forza ma è sintomo di grave debolezza se determinata dalla paura, e l’Avvocatura non
può più avere paura”.
Ettore Randazzo, presidente dell’Unione camere penali italiane, è intervenuto ieri a Roma per spiegare
perché l’Ucpi non partecipa di fatto al Congresso nazionale forense, del resto, il nodo da sciogliere resta
il problema della commistione dell’Organismo unitario dell’Avvocatura.
Randazzo, tuttavia, ha deciso comunque di prendere la parola per criticare le scelte della classe
dirigente ma anche per ringraziare il Consiglio nazionale forense e gli Ordini che hanno iniziato un
percorso per trovare un’unità all’interno dell’Avvocatura e si augura che gli avvocati siano in grado di
risolvere non solo le problematiche esterne ma anche quelle interne.
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ITALIA OGGI
Il ministro Mastella ha declinato l'invito al congresso forense. Silenzio dallo Sviluppo economico
Avvocatura e governo ai ferri corti
Legali pronti alla guerra se non verrà sospeso il dl Bersani
Tra avvocatura e governo è ormai corto circuito. E i legali sono pronti a ingaggiare un braccio di ferro
alimentato a forza di proteste, se l'esecutivo almeno non sospenderà le vituperate norme di
liberalizzazione per discutere su una riforma delle professioni che non sacrifichi a logiche
´esclusivamente mercantilistiche' i principi di indipendenza e autonomia della professione. Il motivo
storico della tensione è noto: il dl Bersani. Ma a questo se ne sono aggiunti altri. Da ultimo la decisione
del ministro della giustizia Clemente Mastella che ha declinato l'invito a intervenire al 28° congresso
forense che si è aperto ieri a Roma (anche se ha delegato a intervenire il sottosegretario Luigi Li Gotti e
in sala era presenta anche Luigi Scotti) e anche il silenzio del ministro dello sviluppo Pierluigi Bersani .
´Bersani si è mosso acriticamente sul percorso indicato dalla massima organizzazione di rappresentanza
delle imprese', è andata giù dura la presidente dell'Organismo unitario dell'avvocatura, Michelina
Grillo. Quanto a Mastella ´il suo predecessore Castelli ha avuto più coraggio'. Sulla scelta di Mastella,
hanno riferito al ministero, ha inciso la circostanza che i legali sono in astensione per tutta la settimana,
ma da politico di lungo corso il guardasigilli avrà soppesato il rischio del clima da stadio. Che si è
puntualmente verificato. Alla platea non è piaciuto infatti l'intervento di Li Gotti (Idv) che se non ha
difeso il decreto Bersani ha spiegato le ragioni alla sua base. ´Non c'è solo la sentenza Arduino (che ha
difeso le tariffe forense, ndr), ma anche le procedura di infrazione della commissione europea che
impongono, secondo la legge italiana (n. 11/2005), di adeguare la normativa italiana', ha sottolineato Li
Gotti, invitando la platea a ´non fare prevalere l'urlo al dialogo concreto sui fatti'. Scotti non è
intervenuto ma a margine ha rassicurato che le legge quadro sulle professioni arriverà presto e che con
calma si potrà lavorare nel merito per eliminarne gli eccessi. ´Sulle tariffe per esempio, si potranno
reintrodurre i minimi per le attività obbligatorie' E per adesso l'avvocatura si sente accerchiata. ´È un
vero imbroglio far credere ai cittadini che la liberalizzazione sia per loro un vantaggio', ha insistito il
presidente dell'ordine di Roma Sandro Cassiani. Irremovibile il presidente della cassa forense Maurizio
De Tilla: ´Non ci sono i presupposti perché l'avvocatura abbandoni una linea durissima. Vedremo cosa
succederà con la Finanziaria'. Decisa la Grillo a interpretare l'atteggiamento del governo come una
forma di pregiudizio ideologico nei confronti dei liberi professionisti, il suo un attacco proterbio: ´Basta
scorrere i documenti ufficiali di Confindustria per comprendere che per Bersani lo sviluppo dei servizi
professionali passa attraverso l'abbattimento delle barriere alla concorrenza in funzione mercantilistica'.
Più pacato il presidente del Consiglio nazionale forense, Guido Alpa, che ha manifestato
preoccupazione ´perché con il governo è mancato il dialogo'. Per Alpa l'argomento comunitario non
può esser speso a senso unico e comunque l'avvocatura italiana non è disposta a rinunciare ai principi
cardine di autonomia, indipendenza, decoro e qualificazione e alla centralità dell'ordine. Fissati questi
limiti una proposta di mediazione con il governo ci potrà essere: abolizione dei minimi tariffari
sull'attività stragiudiziale, società multidisciplinari senza socio di capitale, patto di quota lite
escludendo alcune materie sensibili, pubblicità controllata preventivamente dagli ordini. ´Bisogna
portare avanti contemporaneamente le legge quadro e quella specifica forense', è la richiesta di Alpa.
Più disponibilità al dialogo gli avvocati hanno ottenuto dai parlamentari di entrambi gli schieramenti
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intervenuti ieri: Cesare Salvi (Ds), Michele Vietti (Udc), Maria Grazie Siliquini (An). La sfida del
congresso però è tutta interna all'avvocatura: dopo anni tutte le componenti, istituzionali e associative
sono presenti ai lavori (ieri sono intervenuti i presidenti di Aiga, Ucpi, Camere civili, Anf). L'obiettivo
unitario è quello di uscire dal congresso con una mozione con una unica proposta di riforma di legge
professionale, che sappia guardare anche al futuro, non eluda i temi sul tappeto, senza arroccarsi su
posizioni indifendibili.
Cup. Intanto, sempre in tema di professioni, gli ordini rafforzano il loro ruolo sul territorio. Il Comitato
unitario delle professioni nazionale, guidato dall'architetto Raffaele Sirica, ed i Cup territoriali delle
province e regioni italiane, riuniti il 20 settembre a Roma, hanno approvato una forma stabile di
raccordo. Sul modello della conferenza Stato regioni, le professioni hanno approvato i principi
regolamentari di una conferenza permanente Cup Nazionale-Cup territoriali con compiti di
informazione, di consultazione, di studio e di raccordo sui problemi di interesse generale tra i vari
livelli dei Cup, nella piena autonomia dei diversi compiti demandati agli enti che ne fanno parte. Piena
soddisfazione è stata espressa dai rappresentanti dei Cup territoriali e dal presidente del Cup nazionale,
Raffaele sirica, per questo nuovo strumento che consolida la via del dialogo e della partecipazione dei
professionisti all'attività normativa ed amministrativa dello stato e delle regioni. Con questa nuova
iniziativa le azioni dei vari ordini sul territorio avranno uno strumento in più. Soprattutto in un
momento di forte mobilitazione a seguito del decreto sulle liberalizzazioni voluto da Bersani.
(riproduzione riservata) Claudia Morelli
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XXVVIII Congresso nazionale forense – II sessione
Roma 21 – 24 settembre 2006
Relazione del presidente dell’Oua Avv. Michelina Grillo – Presidente Organismo Unitario Avvocatura
Questo Congresso si apre in un momento del tutto particolare per l’Avvocatura italiana: un momento in cui
l’assetto ordinamentale della professione ed il suo concreto esercizio sono oggetto di interventi tanto discussi
quanto discutibili, che compromettono la libertà, l’autonomia e l’indipendenza dell’avvocato, tramite qualificato
per la tutela dei diritti, custode geloso e responsabile dell’altrui diritto di difesa.
Quando il Comitato Organizzatore del XXVIII Congresso Forense decise all’unanimità di prevedere la divisione
in due sessioni, aprendo i propri lavori a Milano e chiudendoli a Roma, al di là delle ragioni manifeste o meno
che avevano indotto ogni componente del Comitato medesimo ad aderire a tale scelta, su una ragione ci
trovammo tutti d’accordo essendo, purtroppo ed ancora una volta, buoni profeti: concordammo sulla necessità di
permanere in assemblea congressuale durante la fase di passaggio dalla XIV alla XV legislatura.
Il Congresso, infatti, si sarebbe aperto al termine della passata legislatura e concluso subito dopo l’avvio
dell’attuale, con Parlamento e Governo appena insediati.
La stessa lucidità e lungimiranza, malauguratamente, è poi mancata dopo Milano quando, per ragioni che restano
tanto oscure quanto non più rilevanti nella contingenza che ci affligge, si crearono le condizioni perché non fosse
celebrata questa sessione conclusiva del congresso nel mese di giugno, fino a rischiare di non celebrarlo del tutto.
Assenza di lucidità e lungimiranza, sento di doverlo chiarire subito, che forse non ci avrebbe salvato dalla
illegittimità e volgarità degli attacchi rivolti alla nostra categoria, come dimostrano modalità, termini e
giustificazioni dei provvedimenti adottati e la grossolana soddisfazione espressa sul punto da quei soggetti
economici (o economicamente interessati) che hanno contrattato col Governo la svendita della giurisdizione nel
nostro Paese, ma che certamente avrebbe impedito di farci riconoscere e percepire come una categoria lacerata al
suo interno da piccole gelosie di primi attori, ed in quanto tale vulnerabile e facilmente aggredibile.
Questo Congresso è diverso da ogni altro che lo ha preceduto. Al termine di un mandato, peraltro
eccezionalmente lungo come questo, è consuetudine che il Presidente dell’Organismo politico rassegni al
Congresso l’attività svolta in ottemperanza al mandato ricevuto ed agli impegni assunti all’atto
dell’insediamento. Non temo di apparire pletorica affermando che per qualità, quantità ed autorevolezza di
interventi, nonché per l’attenzione dedicata alle esigenze delle realtà ordinistiche, alle associazioni forensi, anche
specialistiche, ed ai singoli iscritti agli Albi territoriali, l’Organismo Unitario che ho avuto l’onore e l’onere di
presiedere chiude questo mandato con un bilancio non soltanto positivo, ma anche degno di nota. Ma questo non
è tempo né di ricordi – che chi vorrà potrà comunque “rinfrescare” leggendo le rassegne in distribuzione
sull’attività del mandato - né di autocompiacimenti.
La scelta dell’Organismo Unitario, di rinunciare in Congresso alle relazioni dei propri componenti, privilegiando
spazi di autentico dibattito, oltre a suggerire per il futuro nuove strade per una moderna organizzazione e
gestione di un congresso politico quale è e deve essere il Congresso dell’Avvocatura, era una necessità
irrinunciabile oggi che la base dell’Avvocatura ci chiede con veemenza analisi compiute, indirizzi chiari e
determinazioni conseguenti alle recenti novità legislative.
In questa assise congressuale è proprio la voce degli avvocati italiani, dei singoli delegati di ogni foro, che deve
risuonare alta e forte, non solo per manifestare una giusta e legittima protesta e denunciare i gravi squilibri ed i
vuoti che le recenti normative hanno determinato, ma anche per contribuire concretamente alla formulazione
finale di quelle proposte qualificate di cui l’avvocatura da anni è stata politicamente capace di essere portatrice,
ancorché il più delle volte colpevolmente inascoltata.
Nel mese di luglio, a Governo appena insediato, i professionisti italiani ed alcune altre categorie di lavoratori
autonomi, sono stati destinatari di una decretazione d’urgenza, voluta dal Presidente del Consiglio e dal Ministro
per lo Sviluppo Economico, che per finalità, modalità, contenuti ed atteggiamenti successivi, costituisce uno
degli attacchi più violenti, sguaiati e preoccupanti mai rivolto - dall’unità d’Italia ad oggi - ad una categoria di
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lavoratori (quali anche noi siamo) e di liberi pensatori.
Per essere più espliciti, il Governo, in violazione delle stesse norme ordinamentali, che pongono le professioni
liberali sotto la competenza e vigilanza del Ministro di Giustizia, neppure preventivamente informato,
contravvenendo ad ogni regola di democrazia che prevede la concertazione con le parti sociali interessate,
ricercando per contro il consenso interessato di altre categorie produttive organizzate, principali destinatarie dei
benefici di tale normazione – in violazione in questo caso anche delle norme in materia di concorrenza e di
affidamento della clientela - agendo in via abrogativa senza preoccuparsi dei vuoti normativi determinati,
introducendo norme finanziarie e tributarie che, di fatto, inserite nel corpo di questo provvedimento, il Governo,
ripeto, ha descritto, in una norma di legge, l’odierno professionista come un soggetto senza scrupoli che,
illecitamente e frodando il fisco, trae le sue fonti di reddito dalle vessazioni di consumatori e utenti, incidendo
negativamente sulle possibilità di sviluppo economico del Paese.
Un soggetto, una categoria, tanto più pericolosa in quanto politicamente incontrollabile, dalla quale questo
Governo afferma che il Paese debba essere difeso, ma che in realtà si vuole ridurre al silenzio, quale voce libera,
naturalmente antagonista del potere in favore della difesa del singolo, limitandone gli spazi di movimento e
riducendone le aspettative economiche, in vista di un prossimo, auspicabile, smembramento.
Ciò in una con la riduzione degli ambiti della giurisdizione, con l’assenza di volontà politica finalizzata alla
ripresa di efficacia e di efficienza della macchina giudiziaria e con la sistematica, costante compressione e
svilimento, dentro e fuori il processo, della difesa tecnica.
Questo, purtroppo, è il disegno che appare nelle dichiarazioni contenute e ricavabili dal Dl Bersani e da ulteriori
iniziative legislative già note o prannunciate.
Anche il metodo è indice di protervia e di inflessibile, ostinata determinazione.
E’ appena il caso di ricordare che il Dl Bersani è stato “varato” di notte, mentre gli Italiani erano distratti dal
positivo risultato di una delle partite della Nazionale ai Mondiali di calcio, ed è stato convertito in legge in tempi
record, chiedendo al Parlamento il terzo voto di fiducia in dieci giorni, in un procedere convulso, quanto
determinato, che ha mortificato lo stesso parere espresso dalla Commissione Giustizia del Senato, contenente
emendamenti al decreto che, soprattutto per la professione forense, venivano proposti al fine di evitare di
incorrere in innumerevoli e fondate censure di incostituzionalità, di cui il famigerato decreto è costellato e
caratterizzato.
È appena il caso, poi, di soffermarsi sulla circostanza che nello stesso provvedimento sia stata prevista una
riduzione degli stanziamenti per il comparto Giustizia pari a 350 milioni di euro in tre anni a partire da quello in
corso, con buona pace dei progetti di ammodernamento della macchina giudiziaria, di introduzione di
innovazioni tecnologiche, di miglioramento degli standard di vita nei penitenziari (infatti immediatamente risolto
con un provvedimento di indulto che, permanendo tale filosofia, potrebbe non essere l’unico nei progetti di
questo Governo).
Anche tali misure appaiono confermare l’esistenza di un progetto compiuto, tendente alla compressione della
tutela giurisdizionale dei privati cittadini a beneficio di organismi conciliativi di diretta promanazione o posti
sotto il controllo dei potentati economici, che ottengono in tal modo la garanzia di “non restare vittime” di
un’applicazione della legge terza e neutrale rispetto ai destinatari della stessa.
Mai come in questo contesto si può affermare che un avvocato debole, e quindi una difesa debole, piace ai poteri
forti.
Con un colpo di mano, che parifica il prologo della legge ad un messaggio di pubblicità ingannevole,
apparentemente dettato a tutela del cittadino consumatore, e quindi del singolo persona fisica, il Governo ha
evidentemente voluto per un verso favorire la concentrazione di potere e l’accaparramento di clientela nella
gestione di attività fino ad oggi caratterizzate dalla libera iniziativa anche dei singoli, per altro incidere in modo
grave sull’efficacia della giurisdizione a beneficio di una categoria di organismi economici che si preparano ad
assumere al contempo la veste di gestori dei “servizi legali”, quella di parti della contesa economica ed infine di
giudici della contesa medesima (favorita dall’ulteriore disegno di legge in materia di cd. class actions).
La dettatura delle linee guida del decreto Bersani da parte dei poteri forti confindustriali (basti leggere le
indicazioni di obiettivo contenute nei documenti ufficiali dell’Assemblea di Vicenza dell’aprile 2006), quanto
all’abbattimento dei pretesi vincoli allo sviluppo rappresentati da tariffe, divieto di pubblicità e di costituzione di
società multiprofessionali con l’ingresso di capitale esterno, dimostra come ci si sia ben guardati dal privilegiare
la qualità delle prestazioni rispetto ad un livellamento al ribasso dettato da mere esigenze di carattere economico
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: l’obiettivo di fissare limiti minimi alla qualità delle prestazioni professionali è stato infatti definito come non
praticabile e non opportuno, in quegli stessi studi già citati, in quanto configgente con la volontà di abbattere i
prezzi delle prestazioni stesse ad ogni costo.
Non può tacersi poi il malcelato ed incondizionato favore per l’ingresso di soci terzi capitalisti negli studi
professionali, che risponde alla altrettanto precisa esigenza di consentire di esercitare un surrettizio “controllo”
su rilevanti settori dell’attività giurisdizionale e non, da parte di un capitale che ha l’aspettativa di essere
remunerativamente investito nel settore dei servizi professionali, i quali, come attestano recenti e meno recenti
elaborazioni Istat – l’ultima delle quali del corrente mese di settembre – mostrano un trend assolutamente
positivo ed in crescita percentuale di tutto rilievo.
Ultima, ma non meno preoccupante prospettiva, è data dalla possibilità di vedere dichiarata incostituzionale la
norma – risultato di indimenticate, compatte e forti battaglie dell’intera avvocatura – che all’attualità prevede
l’incompatibilità tra l’attività lavorativa part-time e l’iscrizione all’Albo professionale.
L’Organismo Unitario rivendica con orgoglio le azioni intraprese – oggi purtroppo compiute in assoluta ed
incomprensibile solitudine - a difesa della vigente normativa in materia.
Il Ministro del welfare ha, infatti, preannunciato l’esigenza di adottare in tempi rapidi misure di flessibilità e di
mobilità nel settore del pubblico impiego, necessitando così nuovi sbocchi occupazionali per tutti coloro che,
inevitabilmente, dovranno rinunciare alla sicurezza sin qui garantita da impieghi sicuri e remunerativi. Non può
sfuggire l’effetto deflagrante ed incontrollabile che ne conseguirebbe, peggiore perfino della totale abolizione –
pure adombrata – degli esami di abilitazione.
È per tutti tali nobili motivi, più sopra elencati, che da parte del Governo si è ritenuto di poter liberamente
provocare un vulnus profondo nel tessuto della nostra Nazione, moltiplicando le tensioni sociali, mortificando la
dignità di oltre tre milioni di lavoratori autonomi, che per la gran parte svolgono la loro attività in modo ancora
“artigianale”, il cui sviluppo così certamente non potrà essere favorito? Lavoratori che mai nulla hanno chiesto
allo stato, neppure nei momenti di difficoltà, pur garantendo il lavoro di un numero almeno pari di dipendenti,
oltre l’indotto.
Si tratta, per parlare soltanto dell’Avvocatura, di una categoria di oltre 170.000 iscritti che, con tutti i limiti
causati dall’assenza di una riforma realmente ammodernatrice, chiesta da decenni e mai ottenuta - piaccia o meno
- ha garantito l’esercizio della funzione giurisdizionale in questo Paese, colmando quotidianamente e
silenziosamente le innumerevoli lacune del sistema giudiziario e della sua organizzazione, frutto di un atavico
disinteresse di tutti i Governi – passati e presenti - per il buon funzionamento della giustizia.
Una mortificazione ancora più grande per i cittadini, retrocessi da questa legge al rango di consumatori, i cui
diritti vengono massificati e la cui tutela viene compressa per favorire i contraenti più forti, con il sostegno
“morale” di talune, sedicenti, associazioni di consumatori - studi legali organizzati da soggetti terzi - cui il
Governo assicura, ove funzionali a tale disegno, cospicue contribuzioni – sotto forma di convenzioni - per un
ammontare complessivo di oltre 30 milioni di euro l’anno, somme che giocano, com’è di tutta evidenza, un ruolo
non indifferente nello sviluppo di tali studi in concorrenza con quelli dei liberi professionisti!!
Questi i fatti, così come tra i fatti va ascritta l’incredibile propaganda ed il controllo mediatici esercitati sulle
reazioni al decreto, utilizzando tutti i canali informativi riferibili al Governo o ai poteri economici che oggi ne
condividono l’azione.
Ne è ultimo e illuminante esempio l’ultima puntata del talk show “Ballarò”, che per la parte in cui avrebbe
dovuto occuparsi approfonditamente del decreto Bersani, compiendo un opportuno dovere informativo nei
confronti del cittadino sui pro e i contro delle norme ivi contenute e sulle ragioni della protesta dei professionisti
e degli avvocati italiani, ha invece ritenuto di “ospitare” l’unica rappresentante di categoria in uno studio attiguo
a quello della trasmissione, concedendole pochi minuti e soltanto due brevi “spot”, per non creare al Ministro
Bersani gli imbarazzi che sarebbero derivati da un vero e serrato contraddittorio. Prova ne sia che le poche
domande formulate non hanno trovato alcuna risposta, ma hanno comunque determinato un visibile disagio,
malcelato da un atteggiamento sarcastico e noncurante, che ha imposto un richiamo espresso al rispetto dovuto
ad ogni categoria.
A contorno, si è dovuto registrare – nella stampa come negli altri media - persino l’uso spregiudicato di sigle e
personaggi, del tutto disarticolati dalla categorie, non rappresentativi neppure di minoranze organizzate di essa
(come l’ANPA), che non soltanto hanno partecipato in qualità di utili servitori alle fasi preliminari del progetto,
ma sono state financo utilizzate per evidenziare divergenze di posizioni all’interno dell’Avvocatura che invece, è
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questa è forse la vera sorpresa per Bersani e le sue quinte colonne interne alla categoria, sul tema è apparsa
compatta e reattiva al di là di ogni previsione.
Una ferma risposta non può attendere.
Nulla può giustificare o fornire comodi alibi a chi ha sferrato tale proditorio attacco ai professionisti, ai lavoratori
autonomi e comunque all’Avvocatura.
Questo Congresso, quindi, deve costituire luogo e tempo della sintesi del malessere dell’avvocatura, ma anche
luogo e tempo per l’elaborazione compiuta e consapevole del suo progetto di modernizzazione.
Fondamentale in tal senso è comprendere se abbiamo un progetto di modernizzazione condiviso; ma, ancor
prima, è necessario capire se davvero sentiamo di appartenere, così come siamo soliti ripetere, ad un corpus
unico che, per quanto composito e diversificato al suo interno, è omogeneo quanto ai valori che costituiscono i
capisaldi della professione forense, primi fra tutti l’autonomia e l’indipendenza da ogni altro potere e/o
condizionamento, oltre che il sentire l’avvocato quale principale mediatore tra le istanze ed i bisogni di tutela
dell’individuo, lo Stato o comunque la P.A. ed il sistema costituzionale di tutela giurisdizionale.
Proprio il sistema giudiziario, nell’ultimo decennio, è stato progressivamente messo in crisi, inizialmente
privandolo delle necessarie risorse economiche ed umane, mentre si intensificavano le riforme processuali a
costo zero, e da ultimo, sia nella passata legislatura sia, ancora più brutalmente, all’inizio dell’attuale,
propagandando illusori rimedi contro “la lunghezza dei processi”: provvedimenti che moltiplicano le occasioni di
erosione della giurisdizione e contestualmente tendono non più – come anche il lessico prescelto denuncia –
all’esercizio della giustizia, ma alla risoluzione di controversie in forma sempre più seriale e massificata che, in
nome della celerità della composizione delle crisi, funzionale al sistema socio-economico, non esita a sacrificare
i diritti dei singoli, procedendo nei fatti alla più ampia e occulta riforma costituzionale mai registrata nella storia
del Paese.
Con buona pace di tutte le procedure di infrazione avviate nei confronti dello Stato Italiano dal Consiglio
d’Europa e dall’Unione Europea, che piuttosto sembrano costituire un alibi dietro il quale il Governo pensa di
nascondersi non tanto per ridurre i tempi eccessivi di durata del processo, ma per eliminare il processo.
Lo dimostrano le improvvide, sintomatiche recenti dichiarazioni del Ministro Mastella, sull’ipotesi di
eliminazione del giudizio di appello civile, a conferma peraltro dell’assoluta ignoranza del Ministro circa il fatto
che i giudizi d’appello non sarebbero di per sé di lunga durata, ma lo divengono – ahimè - per l’attuale
disorganizzazione delle Corti d’appello, che produce ormai quasi ovunque il differimento della vera udienza di
trattazione a non prima di tre anni.
Ma se il quadro descritto è ormai chiaro alla quasi generalità dell’Avvocatura, più difficile è comprendere quale
direzione la stessa voglia intraprendere.
Dichiaro subito che non intendo unirmi al coro di coloro che ritengono che ogni determinazione debba essere
preceduta da una lunga auto-flagellazione, così come non intendo al tempo stesso occultare le nostre
responsabilità ed i nostri limiti.
Essi sono sotto gli occhi di tutti, e primariamente sotto i nostri: questa categoria, come ogni altra in questo nostro
Stato, ha risentito di uno sviluppo sociale che per troppi decenni ha disconosciuto l’esigenza di una selezione
basata sul merito e soffre di ampie sacche di mediocrità come qualunque altra espressione professionale, così
come risente il limite di un Paese che non si è mai preoccupato di formare una classe politica e dirigente
preparata e nel quale ogni attività, anche quelle caratterizzate da rilevanza sociale, viene interpretata e gestita più
con riferimento ai risvolti economici ed ai livelli occupazionali che alle finalità che tale attività deve perseguire.
Queste, in sintesi, le questioni, da tempo evidenziate nelle produzioni ed elaborazioni dell’organismo politico,
che prima o poi sarà necessario affrontare e risolvere e rispetto al quale l’Italia registra un notevole ritardo.
Su queste questioni l’Avvocatura italiana deve essere capace di un colpo d’ala, e di impostare la propria
iniziativa politica per i mesi a venire, uscendo con forza dall’angolo nel quale si ritiene di averla relegata,
prigioniera unicamente di una riflessione tutta dispiegata al proprio interno sull’assetto ordinamentale.
È necessario che l’Avvocatura concluda questo Congresso con un pacchetto di iniziative forti, articolate e
condivise, in grado di manifestare all’opinione pubblica, e far comprendere al Governo ed alle forze politiche
tutte che non intende piegarsi alle logiche liquidatorie in atto.
Occorre altresì pervenire alla formulazione di una Carta dell’Avvocatura italiana, che chiarisca, senza possibilità
di equivoci e fraintendimenti, i principi fondamentali della riforma delle professioni e della riforma
dell’ordinamento forense, sui quali non è possibile mediazione alcuna, nella consapevolezza piena della dignità e
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dell’orgoglio della nobile e delicata funzione difensiva che è chiamata a svolgere e dell’importanza che nel Paese
sia preservata, a tutela di tutti gli individui, la primazia della giurisdizione.
È perciò indispensabile che i rappresentanti dell’avvocatura, qui riuniti nella massima e più autorevole assise,
sappiano tradurre le legittime aspettative di una classe forense esasperata ed indignata oltre ogni dire, in un
progetto politico che veda la convinta partecipazione ed adesione di tutti.
Da questo Congresso non è consentito ad alcuno offrire altri regali a chi ha dimostrato di considerarci non
interlocutori necessari in un civile dibattito sociale e politico e soggetti ineliminabili della giurisdizione, ma
nemici politici ed avversari.
L’avvocatura sappia ritrovare, proprio nel momento più delicato della sua storia recente, la capacità di ascoltarsi
e la forza di farsi ascoltare.
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XXVVIII Congresso nazionale forense – II sessione
Roma 21 – 24 settembre 2006
“Dare nuovo valore all’ Avvocatura”
di Guido Alpa – Presidente Consiglio Nazionale Forense
1. - Premessa.
A mia memoria, ma anche nella memoria restituita dagli annali dell’ Avvocatura, credo che questa sia la prima volta che un
congresso forense si celebri contestualmente alla astensione dal lavoro, proclamata nei giorni dal 18 al 23 settembre.
La coincidenza non è casuale: è una manifestazione del disagio in cui è stata costretta l’ Avvocatura dalle recenti
innovazioni legislative che hanno, in modo erratico e senza consultazioni, modificato, repentinamente, alcuni capisaldi della
nostra disciplina. Ma si tratta di due iniziative che si svolgono su piani diversi: la seconda è volta a sollecitare un’attenzione
all’esterno; la prima è la riflessione interna sullo stato attuale e sul futuro dell’ Avvocatura italiana nell’ambito della
disciplina delle professioni intellettuali.
E pertanto, delusi, aggrediti ma non rassegnati gli Avvocati italiani hanno risposto all’appello del Consiglio Nazionale
forense, degli Ordini e delle altre componenti dell’ Avvocatura per celebrare nella Capitale la sessione finale del XXVIII
Congresso forense.
È un congresso che si è voluto totalitario perché tutti gli Avvocati con tutte le loro forme espressive e rappresentative
potessero concorrere a ragionare , a progettare, a discutere tra loro e con gli interlocutori esterni alla categoria il ruolo dell’
Avvocatura e i capisaldi di una professione che deve comunque essere rispettata e sostenuta. Se il Congresso di fosse
concluso a giugno ci saremmo trovati a ridosso di una svolta – che confidiamo temporanea – rispetto alla quale si sarebbe
dovuto riconvocare in via d’urgenza un’altra assise. Siamo qui riuniti per testimoniare e per costruire, per correggere e per
integrare , per cogliere i segni del cambiamento ma anche – come ci eravamo proposti a Milano – per governarloi[i].
A novembre, la sessione milanese si era conclusa con molte attese. Avevamo dimostrato al Governo e al Parlamento allora
in carica, alle istituzioni, alla società civile, che l’ Avvocatura era pronta a sostenere con impegno, con fatica ma anche con
abnegazione il proprio ruolo nel sistema di amministrazione della giustizia; ma si aspettava – non quale premio, o quale
ricompensa , ma quale atto doveroso di collaborazione e di sostegno – un intervento sostanzioso di riforma .
Non è stato così, né possiamo immaginare con esattezza come si chiuderà questa partita. Non abbiamo rinunciato a
governare il cambiamento, perché – la nostra storia ce lo insegna - l’ Avvocatura sopravvive nonostante tutto: nonostante le
promesse mancate, nonostante le aggressioni subìte, nonostante il gratuito dileggio a cui tradizionalmente è fatta segnoii[ii],
nonostante l’ingratitudine di cui è circondata.
Ecco perché ho scelto – in modo non causale – di riprendere, quale titolo della mia introduzione, le stesse parole
che comparivano nel programma elettorale condiviso dalla coalizione di forze politiche che ha poi assunto le attuali
responsabilità di governo e che avevano suscitato il legittimo affidamento di noi avvocati: «dare nuovo valore
all’avvocatura»iii[iii]. Se avessimo scritto noi quel testo non l’avremmo di molto cambiato. Quel testo ci riconosce un ruolo
insopprimibile: «La professione forense partecipa attivamente all’ esercizio della giurisdizione, concorre in maniera decisiva
all’efficacia ed efficienza del servizio giustizia, svolge un’essenziale funzione di tutela dei diritti individuali e collettivi e
contribuisce a realizzare il sistema costituzionale delle garanzie».
Quello stesso testo ci riconosce «la competenza in via esclusiva del patrocinio, della rappresentanza e dell’assistenza innanzi
all’autorità giudiziaria o ad altra autorità che emetta un giudizio destinato a produrre effetti giuridici»; rafforza «la natura e
la democraticità degli ordini»;
ribadisce «il principio dell’autonomia e libertà dell’avvocatura»; eleva la qualità del sistema dell’accesso, basato sulla
frequenza di scuole forensi e di specializzazione per le professioni legali , sul tirocinio e su un esame di stato finale; con
l’obbligo della formazione professionale permanente e «le modalità di verifica da parte degli ordini professionali»; conferma
un sistema di tariffe che siano ad «un tempo garanzia per il cittadino, tutela della dignità della professione, incentivi alla
soluzione rapida (giudiziale e stragiudiziale) del contenzioso» e prevede «una partecipazione attiva dell’ avvocatura a tutte
le forme di risoluzione delle controversie alternative alla giurisdizione, di arbitrato e di conciliazione non giudiziale delle
controversie».
I valori , il ruolo e i diritti che oggi rivendichiamo avevano trovato una condivisione nei progetti di disciplina delle
professioni che si sono succeduti o e oggi sono stati presentati dalle diverse parti politiche: essi costituiscono un patrimonio
comune che non si può cancellare con un tratto di penna. È nei contenuti, oltre che nel metodo, che abbiamo contestato la
svolta repentina, inconsueta e inattesa che ha sollevato la protesta ed esacerbato gli animi. Né è corretto accusarci di non
avere accettato negoziazioni, che però sarebbero partite da posizioni tali da mettere in gioco l’essenza della professione
forense. Ogni cambiamento, se opportuno, deve muovere da una premessa indefettibile: la salvaguardia dell’indipendenza,
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dell’autonomia, della dignità e del decoro della nostra professione.
Molti, anche all’interno dell’ Avvocatura, ritengono che non si debba rivangare il passato, e si debba invece guardare solo al
futuro, pensare a come l’ Avvocatura si debba rinnovare, accettando nuovi modelli e mettendo da parte privilegi,
arroccamenti, chiusure corporative. È un’immagine non realistica e ingrata di una professione che in tutti gli ordinamenti è
qualificata in termini di garanzia dello Stato di dirittoiv[iv].
Non sarebbe serio voltare pagina senza capire , né sarebbe serio abbandonare ogni valutazione critica; sarebbe ancor meno
serio chinare il capo senza far sentire ancora la nostra voce. Una voce consapevole e pacata, che non metta a repentaglio la
nostra immagine e nello stesso tempo faccia valere il suo peso. Le attestazioni di solidarietà che abbiamo ricevuto dal
CCBE, dalle rappresentanze straniere dell’ Avvocatura, dalle altre componenti professionali ci confermano nel nostro
intento. E le vicende analoghe che hanno investito i nostri Colleghi europei – gli avvocati del Belgio che tramite la Cour
d’Arbitrage hanno sollevato la questione di violazione delle regole comunitarie determinata dalla disciplina
dell’antiriciclaggiov[v], gli avvocati tedeschi che hanno contestato l’abolizione della riserva di consulenza legale, gli
avvocati inglesi che hanno contestato la “riforma Clementi”vi[vi]– dimostrano che il vento che oggi spira in Europa non può
travolgere e distruggere senza costruire : consapevolezza, ragionamento, meditazione, consultazionevii[vii] sono i cardini di
ogni riforma in una società che si dice e vuole essere democratica e moderna.
Anche le sentenze della Corte di Giustizia depositate proprio l’altro ieri – sollevano perplessità: non riguardano le tariffe, ma
il diritto dell’avvocato straniero di essere iscritto, con il suo titolo, all’albo senza doversi sottoporre all’esame della lingua
del Paese ospitanteviii[viii] , e il diritto dell’avvocato straniero, che riceva il diniego di iscrizione all’albo, di non essere
giudicato né in primo grado né in appello , da organi composti in maggioranza da avvocati del Paese ospitante ix[ix] .
Approfondiremo nei prossimi giorni gli effetti di questi dicta.
2. - Due modelli di concepire le professioni liberali e in particolare la professione forense.
Nello scenario delle professioni liberali due sono gli indirizzi che si contrappongono e configgono tra loro ormai da più di
venti anni e che si riflettono, con particolare evidenza , nel mondo dell’ Avvocatura .
Vi è un indirizzo che si autodenomina “liberista” e solo per questo pretende di avere per sé il futuro, al fine di rinnovare e
sviluppare le strutture dell’economia , renderle competitive in Europa e promuovere forme giuridiche delle professioni che
si adeguino a questi scopi e non costituiscano barriere od ostacoli a questi disegni.
Questo indirizzo sfrutta l’immagine, l’angoscia del nuovo, i timori dell’era presente (un’era di sfide globali che suscitano
infinite inquietudini, che pare essersi quasi interamente affidata alla “scienza triste”, per l’appunto all’economia, per
risolvere i problemi della caduta dei valori, della scomparsa delle classi sociali, della rinascita della povertà). È un indirizzo ,
un modo di pensare, una concezione della vita sociale e della vita politica nel quale convergono i sostenitori della
concorrenza e della competizione senza valori e senza limiti, i sostenitori del rapporto diretto tra il cittadino e lo Stato senza
rilievo delle comunità intermedie, i sostenitori di quella “società degli individui” , la società composta da monadi prive di
protezione, di cui Norbert Elias ha messo in evidenza tutte le contraddizioni e i pericolix[x]. In questo contesto tutto ciò che
è diritto, regola, contesto normativo è considerato dal punto di vista esclusivamente funzionale e come mera sovrastruttura.
E, ovviamente, coloro che rappresentano il mondo del diritto sono dipinti con le medesime caratteristiche, funzionali al
mercato e considerati mera appendice ( eventuale e non desiderata) nella soluzione dei conflittixi[xi].
Questo indirizzo alligna ovunque: alla Direzione Generale della Concorrenza di Bruxellesxii[xii] come nelle aule del nostro
Parlamento, nelle stanze dei Governi, nelle Universitàxiii[xiii] e nelle istituzioni, riceve il sostegno dei sindacatixiv[xiv] e
di associazioni di consumatorixv[xv], è promosso dalle associazioni delle professioni non regolamentate e trova consensi
finanche in alcune limitate frange dell’Avvocatura che pensano agli Ordini come inutili fardelli o, peggio, come scomodi
watchdogs di cui ci si deve liberare senza tanti riguardi.
E vi è un indirizzo che non si definisce conservatore ma piuttosto e realisticamente “difensore dei valori fondanti dell’
Avvocatura” nel senso dei valori costituzionali , valori che hanno consentito la trasmissione della nostra cultura giuridica,
antica e prestigiosa, che hanno consentito di adattare il nostro sistema alle nuove esigenze economiche senza traumi o
rivoluzioni copernicane, che non ha registrato reazioni negative della maggior parte delle imprese e neppure della maggior
parte delle associazioni di consumatori, e che lungi dall’essere corporativo, si affida ad un controllo diffuso della
deontologia, alla preminenza della qualità della prestazione, alla commisurazione dignitosa e sufficiente della attività
prestata, alla distinzione degli interessi del professionista da quelli del cliente, all’affermazione del prestigio come unico ed
esaustivo mezzo di rappresentazione di sé, del proprio studio, e della propria competenza.xvi[xvi] Questo indirizzo ha dalla
sua parte il Parlamento europeo, la cui Risoluzione del 23 marzo scorso è un autentico manifesto. L’ho acclusa al testo della
relazione per due ragioni concorrenti: perché nessuna istituzione ha rappresentato e difeso i valori delle professioni
intellettuali e in particolare di coloro che svolgono attività di natura legale meglio del Parlamento europeo, e perché quel
testo può essere assunto a vessillo delle nostre aspettative . Aspettative o diritti ? Oggi gli Avvocati sono costretti a
difendere i propri diritti e a non occuparsi soltanto dei diritti dei propri clienti. Ma quando gli Avvocati difendono i propri
diritti difendono al contempo il loro ruolo in una società che vogliono libera , democratica, efficiente ma non asservita al
mercato.
Questi due indirizzi, che compongono altrettanti modelli di disciplina delle professioni e quindi della stessa professione
forense, sono variamente sparsi in Europa, a dimostrazione che possono convivere sistemi diversi e che l’organizzazione
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delle professioni non incide sulla opportunità o meno di uniformare il diritto sostanziale e il diritto processuale di ogni Paese
in un unico , uniforme e compatto modello professionale .
D’altra parte, al mercato interessano di più le regole che governano la circolazione dei beni e dei servizi o risolvono i
conflitti piuttosto che il modo nel quale si appresta l’assistenza legale: se il contratto è scritto da un solicitor o da un avocat,
se attore o convenuto sono difesi da un barrister in parrucca o da un avvocato in toga poco importa per la funzionalità del
sistema della giustizia.
Se mai, e al contrario, proprio l’unificazione delle regole di diritto sostanziale – in particolare del diritto contrattuale e delle
regole di diritto processuale – potrebbero essere funzionali a quell’unità dei mercati internazionali che viene assunta a
ragione della libertà di circolazione dei servizi legali dall’indirizzo che si autodefinisce liberista.
E qui riscontriamo una prima, enorme contraddizione: proprio l’indirizzo che vuole travolgere le caratteristiche nazionali
delle professioni si oppone alle iniziative di uniformazione delle regole del diritto sostanziale e del diritto processuale. Anzi,
esalta la diversità degli ordinamenti e la competizione delle regole.
Non è solo questa la contraddizione che vive l’indirizzo che si autodefinisce liberista; ve ne sono altre e ben peggiori.
L’assalto alla organizzazione delle professioni liberali mediante la critica del sistema degli Ordini, e, correlativamente,
mediante la segnalazione della inopportunità del sistema tariffario, delle limitazioni alla pubblicità e delle altre “restrizioni
concorrenziali” si trova nelle argomentazioni di quanti fanno uso della storia per raggiungere il loro obiettivo, cioè
rimuovere tutte le supposte sovrastrutture che si oppongono alla libera circolazione dei servizi. Certamente è documentato
che gli ordini sono nati come ordinamenti giuridici privati in risposta alle esigenze di mercato e a difesa degli interessi del
gruppo di appartenenza e che successivamente sono stati inglobati nell’ordinamento generale e sussunti nella disciplina
pubblicistica, attraverso la trasformazione dei gruppi sociali in enti pubblici indipendenti e autonomi sotto la sorveglianza
dello Stato. Ma proprio per questo, avendo mutato ruolo, natura e funzioni, non si può – se non aprioristicamente - ritenere
che sotto la veste dell’interesse pubblico essi perseguano la tutela di interessi privati. La filosofia dell’indirizzo che si
autodefinisce liberista è tutta qui: pretende di appiattire la prospettiva e i dati storici, perché dalle corporazioni medievali
sono trascorsi almeno otto secoli, e la disciplina delle professioni è ora informata a valori e principi contenuti nella
Costituzione, nella Carta di Nizza, nelle leggi professionali, nel codice deontologico. Questi valori sono tutti orientati a
privilegiare l’interesse pubblico, ed è proprio per questo che si può parlare di responsabilità sociale del professionista, di
personalità della prestazione, di responsabilità di mezzi e non di risultato, e così via. È quanto abbiamo sostenuto al
Congresso di Palermo e abbiamo ribadito in ogni occasione di incontro istituzionale.
La Commissione europea ha preso di mira le professioni, e in particolare l’ Avvocatura.
Più volte negli ultimi anni la Commissione europea ha insistito presso il Governo italiano perché giustificasse la
compatibilità della disciplina forense con i dettami del diritto comunitario. Ed il CNF anche in questa occasione ha fatto la
sua parte, producendo autorevoli pareri, scritti difensivi, dichiarazioni portate alla conoscenza del pubblico, per spiegare ai
suoi interlocutori, nazionali e comunitari, che il sistema tariffario ha una sua logica paritaria, di trasparenza e di congruità,
che la pubblicità effettuata senza limiti crea confusione e dequalificazione, che l’inquinamento di soci professionisti e soci di
mero capitale implica l’esercizio di professioni rilevanti per l’interesse pubblico da parte di chi non ne avrebbe titolo.
Inutile ripercorrere in questa sede tutta le iniziative che il CNF ha promosso per contestare il fondamento logico e fattuale
della Comunicazione sulla concorrenza nei servizi professionali [COM (2004) 83] e per valutare criticamente il seguito di
quella Comunicazione [ COM (2005) 405].
A ben vedere, i due pilastri sui quali poggia l’indirizzo che si autodefinisce liberista – il diritto comunitario e la tutela dei
consumatori – sono così fragili da dimostrare che loro natura è astratta, ideologica, inconsistente.
I fatti e i documenti parlano per noi.
3. - La “posizione comune” sulla disciplina dei servizi.
Proprio il 17 luglio scorso la disciplina dei servizi ha ricevuto il crisma della “posizione comune” del Consiglio e
del Parlamento europei. Una analisi accurata di questo testo meriterebbe molto spazio, che in questa sede non posso
utilizzare. Ma , dandone una lettura funzionale all’occasione, cioè al dibattito sulla disciplina attuale delle professioni, sui
progetti di riforma e sullo stato della professione forense, se ne possono ricavare principi significativi, utili a sostenere le
nostre ragioni piuttosto che a demolirle.
Quantunque non tutte le richieste degli esponenti delle professioni siano state accolte, i risultati a cui è pervenuto l’iter
formativo sono comunque apprezzabili, se si considera che il testo distingue tra la prestazione di “servizi” di natura
professionale rispetto a quella di servizi d’impresa, che pone in evidenza le peculiarità delle singole professioni, che
sottolinea gli interessi pubblici o essenziali che le professioni tutelano. Restano in ogni caso salve, oltre alla direttiva sulle
qualifiche professionali (2005/36) le due direttive sulla libertà di stabilimento e sulla libertà di esercizio dell’attività forense
già approvate dalla Comunità (77/249; 98/5), che prevalgono, per le materie che trattano, su quanto disposto dalla direttiva,
in ragione della loro specificità.
Dal punto di vista dell’ Avvocatura la “posizione comune” offre inoltre interessanti spunti di riflessione.
Essa fa riferimento infatti alla possibilità da parte dei legislatori nazionali di prevedere tariffe per particolari servizi.
In altri termini, la conservazione o la introduzione di tariffe non è vista, nella direttiva, come una limitazione tour court alla
libera circolazione dei servizi o come una barriera al mercato unico. Recita infatti il considerando n.77 che «la valutazione
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della compatibilità delle tariffe obbligatorie minime e/o massime con la libertà di stabilimento riguarda soltanto le tariffe
specificamente imposte dalle autorità competenti per la prestazione di determinati servizi e non, ad esempio, le norme
generali in materia di determinazione dei prezzi» (come accade per la locazione di immobili). Resta quindi lo spazio affidato
alle “autorità competenti” per stabilire quali prestazioni possono essere assoggettate a tariffe minime e/o massime.
Al n. 88 si precisa che «la disposizione sulla libera prestazione di servizi non dovrebbe applicarsi nei casi in cui, in
conformità del diritto comunitario, un’attività sia riservata in uno Stato membro ad una professione specifica, ad esempio
qualora sia previsto l’esercizio esclusivo della consulenza giuridica da parte degli avvocati». Ebbene, questa precisazione
conferma quanto da tempo l’Avvocatura italiana va sostenendo e cioè che di per sé la riserva di attività a determinate
professioni non è in contrasto con la disciplina comunitaria – sia essa rivolta a tutelare la concorrenza sia essa rivolta a
tutelare la libera prestazione o circolazione di servizi – e che proprio la consulenza legale, assunta nel considerando come
esempio paradigmatico, è affidata alla libera valutazione dei legislatori nazionali. Tenendo conto delle iniziative già assunte
a questo proposito da qualche Paese comunitario (come il Portogallo) sulla disciplina antiriciclaggio e i requisiti prescritti
dalla seconda e dalla terza direttiva in materia, la precisazione del n. 88 costituisce un buon argomento da spendere presso le
Autorità legislative e amministrative del nostro Paese perché riconsiderino l’idea di ridefinire ambiti e modalità di
espletamento della consulenza legale.
Un’altra precisazione importante proviene dal “considerando” n. 90. «Le relazioni contrattuali – recita il testo – tra il
prestatore e il cliente nonché tra il datore di lavoro e il dipendente non sono soggette alla presente direttiva. La legge
applicabile alle obbligazioni contrattuali ed extracontrattuali del prestatore è determinata dalle norme di diritto
internazionale privato». Ogni parola contenuta in questo frammento della “posizione comune” deve essere decodificata. Ed
infatti, le “relazioni contrattuali”xvii[xvii] non sono oggetto della direttiva e pertanto le regole concernenti il mandato
professionale, il contratto d’opera intellettuale richiesto al professionista (e specificamente all’avvocato) non è assoggettato
ad armonizzazione, e ciascun ordinamento statuale può disciplinarlo liberamente. Allo stesso modo, vista l’autolimitazione
che la direttiva si dà, le regole della direttiva non dovrebbero invadere una sfera che, attualmente, è materia dei modelli
normativi nazionali. La seconda parte della formula sembra confermare che in caso di determinazione della legge
applicabile si deve fare riferimento alle obbligazioni del prestatore, cioè, nel nostro caso, del professionista. Ebbene, se così
fosse, il contratto tra l’avvocato e il cliente non solo è sottratto alla disciplina comunitaria, ma anche per la legge applicabile
si applicano i criteri di determinazione previsti per la prestazione caratteristica, che è per l’appunto quella del
professionista, e nel nostro caso, dell’avvocato.
Queste osservazioni portano ad una conclusione rilevante: le regole previste dalla direttiva non possono che riguardare il
modo nel quale i soggetti a cui essa si rivolge prestano il servizio, ma non il contenuto del contratto con cui prestano il
servizio.
Vi è ancora un considerando che occorre evidenziare: al n. 101 la “posizione comune” stabilisce che «è necessario ed è
nell’interesse dei destinatari, in particolare dei consumatori, assicurare che i prestatori abbiano la possibilità di fornire
servizi multidisciplinari e che le restrizioni a questo riguardo siano limitate a quanto necessario per assicurare l’imparzialità
nonché l’indipendenza e l’integrità delle professioni regolamentate. Ciò lascia impregiudicati le restrizioni o i divieti relativi
all’esercizio di particolari attività intesi ad assicurare l’indipendenza nei casi in cui uno Stato membro affida ad un prestatore
un particolare compito (…) e non dovrebbe incidere sull'applicazione delle norme in materia di concorrenza».
Come è noto, molto si è discusso in ordine alla possibilità da parte degli avvocati di costituire società multidisciplinari: la
“posizione comune” parla innanzitutto di servizi multidisciplinari, i quali possono essere offerti al cliente da più
professionisti di diverse discipline non necessariamente vincolati tra loro in modo permanente o sotto uno schermo
societario; ma ciò che più colpisce è che il testo si preoccupa di salvaguardare le restrizioni o i divieti che sono dettati per
singole professioni sulla base dei valori di imparzialità, indipendenza, integrità. In altri termini, non vi sono indirizzi
cogenti che impongano di spazzare via i valori sui quali si fonda la nostra professione.
La “posizione comune” si sofferma a lungo sui codici di condotta. Ed anche qui si rinvengono precisazioni che investono
direttamente la nostra situazione. Al n. 113 si incoraggia la redazione di codici di condotta comunitari, sollecitazione che
certamente non è rivolta all’ Avvocatura, atteso che da anni il CCBE ha predisposto un codice di condotta forense. In
particolare si sottolinea la necessità di promuovere la qualità dei servizi «tenendo conto delle caratteristiche specifiche di
ciascuna professione». Programma che il CNF da tempo ha messo in cantiere, predisponendo una bozza di regolamento per
accreditare gli avvocati quanto all’aggiornamento professionale. Si aggiunge ancora che «i codici di condotta devono
rispettare il diritto comunitario e in particolare il diritto della concorrenza. Essi non dovrebbero essere incompatibili con le
norme di deontologia professionale giuridicamente vincolanti negli Stati membri». Ora, la deontologia professionale per gli
avvocati è prevista dalla legge fondamentale del 1933, e, in attesa di una riforma organica delle professioni, questa
disciplina deve essere coordinata con la legge 248/06. Le regole della concorrenza debbono quindi essere contemperate con
quelle della deontologia professionale. Ma, come si aggiunge nel considerando n. 115, i codici di condotta comunitari non
ostano a che i legislatori nazionali prevedano regole più rigorose. Si lascia spazio ai modelli nazionali per elevare il livello
etico della prestazione professionale, proprio perché si fa riferimento a ordini (e associazioni professionali).
La “posizione comune” tratta con particolare riguardo le professioni regolamentate anche in materia di pubblicità
commerciale: il considerando n.114 prevede sì la inclusione di regole nei codici di condotta ma fa salve due limitazioni con
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cui la libertà di utilizzare la pubblicità deve coniugarsi: la natura specifica di ogni professione e l’ esigenza di garantire
l’indipendenza, l’imparzialità e il segreto professionale. In altri termini, proprio i valori che presiedono, nel codice
deontologico forense, alle limitazioni in tema di “informazione pubblicitaria”.
L’articolato della “posizione comune” riprende punto per punto queste linee.
Ulteriori considerazioni si possono fare però su alcune disposizioni che, tenendo conto della nuova disciplina delle
professioni introdotta dalla legge 248/06 e del codice deontologico forense, illustrano la situazione comunitaria, a cui si
dovrebbe ispirare il legislatore italiano.
Quanto alle informazioni da dare al cliente il testo è molto preciso. Si tratta di un modo di offrire un servizio
qualitativamente accettabile, peraltro già attualmente offerto dalla categoria forense o che non implicherebbe alcun costo
offrire in modo più dettagliato. .
Prevede infatti l’articolo 22 che i prestatori di servizi devono mettere a disposizione dei clienti diversi dati, che, stante la
generalità dei servizi di cui si occupa la direttiva, possono essere così selezionati per quanto riguarda direttamente gli
avvocati:
«a) il nome del prestatore, il suo status e forma giuridica, l’indirizzo postale al quale il prestatore è stabilito e tutti i dati
necessari per entrare rapidamente in contatto e comunicare con il prestatore direttamente e, se del caso, per via elettronica;
(…) d) ove il prestatore eserciti un’attività soggetta all’IVA, il numero di identificazione (…); e) per quanto riguarda le
professioni regolamentate, gli ordini professionali o gli organismi affini presso i quali il prestatore è iscritto, la qualifica
professionale e lo Stato membro nel quale è stata acquisita; f) le eventuali clausole e condizioni generali applicate dal
prestatore; g) l'esistenza di eventuali clausole contrattuali utilizzate dal prestatore relative alla legge applicabile al contratto
e/o alla giurisdizione competente; i) il prezzo del servizio, laddove esso è predefinito dal prestatore per un determinato tipo
di servizio».
Gli Stati membri curano che queste informazioni siano comunicate di propria iniziativa da parte del prestatore,
siano facilmente accessibili al destinatario, risultino dai documenti informativi utilizzati dal prestatore.
Quanto al prezzo della prestazione, non si prevede l’obbligo di esplicitarlo, a meno che esso non sia predefinito dal
prestatore (e questa è ovviamente una sua scelta); nel caso non sia indicato, occorre indicare il metodo del calcolo per
consentire al cliente di verificarlo, oppure fornire al cliente un preventivo.
Le professioni regolamentate debbono fornire un riferimento alle regole professionali vigenti, al codice di condotta
e all’Ordine di iscrizione.
Inutile sottolineare che è maggiormente conforme alla direttiva un sistema tariffario piuttosto che un sistema
fondato sulla libera negoziazione del compenso. Le tariffe consentono un controllo agevole e spedito sulla formazione del
prezzo e sulla rispondenza del corrispettivo all’ oggetto e alla qualità della prestazione fornita.
La “posizione comune” non prevede l’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile, ma, in caso essa sussista (in
quanto obbligatoria) il professionista deve comunicarlo al cliente. L’assicurazione è uno strumento di tutela del
professionista e del cliente, e per questo il CNF ne suggerisce l’adozione.
Quanto alla pubblicità, cioè alle comunicazioni commerciali emananti dalle professioni regolamentate, l’ articolo
24 della direttiva prevede che «gli Stati membri sopprimono tutti i divieti totali» ma le comunicazioni debbono ottemperare
alle regole professionali, in conformità del diritto comunitario, riguardanti, in particolare – ad ancora una volta –
«l’indipendenza, la dignità e l’integrità della professione nonché il segreto professionale, nel rispetto della specificità di
ciascuna professione».
Inutile dire che il testo attuale del nostro codice deontologico, fondandosi sulla qualità, l’aggiornamento
obbligatorio, l’informazione del cliente non richiede radicali innovazioni, ma alcuni adeguamenti e corrette interpretazioni.
Sarebbe segno di una malintesa cognizione del diritto comunitario ritenerlo in contrasto con la disciplina vigente e con il
progetto di direttiva sui servizi.
4. - La tutela del consumatore.
L’indirizzo che si autodefinisce liberista insiste sull’esigenza di tutela dell’interesse pubblico identificato con
l’interesse dei consumatori. È questo lo scopo enunciato dal Dl 223/06, come convertito nella legge 248/06.
Esso reca nel titolo una dizione riassuntiva così formulata: «Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il
contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione
fiscale».
All’articolo 1 queste misure sono presentate, oltre che in un quadro di riferimenti costituzionali, come dettate
dall’«improcrastinabile esigenza di rafforzare la libertà di scelta del cittadino consumatore e la promozione di assetti di
mercato maggiormente concorrenziali, anche al fine di favorire il rilancio dell'economia e dell'occupazione, attraverso la
liberalizzazione di attività imprenditoriali e la creazione di nuovi posti di lavoro». Sempre l’articolo 1 dispone che queste
misure sono «adottate ai sensi degli articoli 3, 11, 41 e 117, commi primo e secondo, della Costituzione, con particolare
riferimento alle materie di competenza statale della tutela della concorrenza, dell'ordinamento civile e della determinazione
dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali». E sono «necessarie ed urgenti per garantire il
rispetto degli articoli 43, 49, 81, 82 e 86 del Trattato istitutivo della Comunità europea ed assicurare l'osservanza delle
raccomandazioni e dei pareri della Commissione europea, dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato e delle
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Autorità di regolazione e vigilanza di settore».
L’articolo 1 dovrebbe svolgere la funzione di “preambolo” e di orientamento esegetico dell’interprete, costretto ad aggirarsi
tra regole, brandelli di regole, principi, modifiche a testi unici, e tante altre espressioni del potere normativo riguardanti
settori tra loro assai distanti, privi di una logica di coordinamento e di un quadro organico d’insieme.
L’articolo 1 è però utilizzato dai fautori del “decreto” a sostegno delle regole che hanno modificato la disciplina
delle professioni, in particolare attraverso l’articolo 2.
Essi effettuano così una triplice manipolazione interpretativa incarnata testualmente nelle formule della disposizione:
contrappongono gli interessi dei professionisti a quelli dei consumatori, dànno l’impressione che il decreto attui regole
costituzionali e quindi sia esente da mende di incostituzionalità, dànno l’impressione che il decreto ponga in linea
l’ordinamento interno con il Trattato CEE, richiamandone alcune disposizioni, e cercano così di dimostrare che con questo
decreto l’ordinamento italiano si mette al passo con il diritto comunitario, perché il decreto sopprimerebbe regole obsolete in
contrasto con la disciplina comunitaria dei servizi e della concorrenza.
Quanto ai richiami costituzionali, è appena il caso di segnalare che la disciplina delle professioni non è contenuta
nell’articolo 41 Costituzione,ma, trattandosi di lavoro autonomo, è contenuta negli articoli 35 ss. Allo stesso modo,gli
articoli 43, 49,81,82,86 del Trattato CEE riguardano servizi e concorrenza, ma queste disposizioni debbono essere rilette
alla luce della Carta di Nizza e del Trattato costituzionale.
Ma quali sarebbero i vantaggi dei consumatori in questo settore?
I vantaggi sono enunciati con tono perentorio da un documento che accompagna , a mo’ di commento, il lettore
nell’interpretazione del testo, un documento di cui si fanno scudo i fautori del decretoxviii[xviii].
L’abolizione della obbligatorietà delle tariffe è presentata con queste parole: «Per i servizi professionali arrivano parcelle
‘negoziabili’ tra le parti e legate al risultato della prestazione. Con una norma del decreto legge si abrogano le disposizioni
normative e regolamentari che prevedono l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime e il divieto di pattuire compensi
parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti. In seguito alle modifiche introdotte dal Parlamento si è precisato
che il compenso professionale degli avvocati negoziato con gli utenti deve essere espresso in un accordo scritto».
Precisiamo, innanzitutto, che le tariffe continuano a costituire il parametro di riferimento per il giudice nella liquidazione del
compenso dell’avvocato nei casi indicati dallo stesso articolo 2, secondo comma.
I compensi parametrati ai risultati ottenuti erano oggetto di possibili negoziazioni tra avvocato e cliente, sempre che non
portassero al “patto di quota lite” o ad una sproporzionata retribuzione dell’avvocato. Il decreto riscrive l’articolo 2233 Cc e
sembra ammettere il patto di quota lite, se concluso in forma scritta. Ma sottrarre al cliente una percentuale dei risultati della
controversia significa tutelarlo? Appropriarsi dei diritti del cliente è lecito, eticamente e giuridicamente? È questa una
equazione ragionevole? Negoziare la qualità della prestazione è un obiettivo che reca vantaggi al consumatore?
Il decreto vorrebbe promettere (secondo i suoi fautori) la «riduzione delle parcelle» e una «maggiore efficienza nelle
prestazioni offerte». Anche qui c’è una equazione che non torna: se il compenso è negoziato, e non si applicano le tariffe –
che pure rendono paritetico e trasparente il rapporto economico dell’avvocato con il cliente – il cliente sarà automaticamente
in una posizione di forza contrattuale tale da riuscire ad ottenere una riduzione del dovuto? E la maggiore efficienza nelle
prestazioni si dovrà alla negoziazione?
Per effetto della nuova normativa – si legge sempre nel documento dei fautori del decreto - <I liberi professionisti
possono far conoscere agli utenti i servizi offerti attraverso la pubblicità informativa. Ora, ad esempio, anche sulle riviste
informative di pubblica utilità si può ‘selezionarÈ il professionista più adatto e conveniente alle proprie esigenze .Con una
norma del decreto legge si abroga il divieto di pubblicizzare i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del
servizio offerto e il prezzo delle prestazioni>.
Per quanto riguarda i servizi legali, già ora il codice deontologico consente l’informazione sui titoli acquisiti effettivamente (
e non su quelli inventati dal professionista) ; ma quali prezzi potranno essere esibiti? Ogni questione ha una storia a sé,
profili giuridici specifici da studiare e approfondire, ogni difesa ha la sua logica e i suoi tempi, e l’avvocato non può predire
il futuro perché – a differenza degli altri professionisti – il risultato della sua attività è mediato dal giudice. Allora si tutelano
davvero i consumatori perché ora essi si possono affidare a messaggi pubblicitari (di cui conosciamo tutti la dubbia
affidabilità) per scegliere il proprio difensore?
La risposta che ci dànno i fautori del decreto appare un po’ ingenua, se non mistificante: «L’utente avrà maggiori
informazioni a sua disposizione e quindi più possibilità di comparazione e di scelta» (come se la soluzione di un problema
giuridico potesse porsi sullo stesso piano di un servizio informatico, di trasporto o di telefonia).
E si aggiunge: «Il consumatore avrà anche più capacità [sic !] contrattuale». Il consumatore maggiorenne non interdetto ha
certamente “capacità contrattuale”. Forse, qui si voleva dire “potere” contrattuale, inteso in senso economico-sociologico.
Ma, come sopra si è osservato, solo le grandi società, le banche, le assicurazioni, hanno un potere contrattuale che può
prevalere su quello del singolo avvocato. Proprio per questo il codice civile proibisce il patto di quota lite, e il codice
deontologico ancora oggi sanziona l’avvocato che profitta dell’ ignoranza del cliente.
I vantaggi che si vorrebbero assicurare al consumatore , sul lato delle professioni, non finiscono qui. Si dice ancora:
«L’utente potrà rivolgersi a societa’ multidisciplinari (formate da architetti, avvocati, notai, commercialisti ecc…) Con una
norma del decreto legge si abroga il divieto di fornire all’utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di
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società di persone o associazioni tra professionisti, fermo restando che il medesimo professionista non può partecipare a più
di una società e che la specifica prestazione deve essere resa da uno o più professionisti previamente indicati, sotto la propria
personale responsabilità». Ma non si dice che il divieto aveva la funzione di prevenire i conflitti d’interesse, di assicurare
all’avvocato ( e quindi al cliente) l’indipendenza da partners che potrebbero preferire il perseguimento dell’interesse della
società rispetto a quello del cliente, la possibilità da parte dell’avvocato di scegliere – nell’interesse del cliente – il
professionista di altra materia che di volta in volta riteneva più appropriato. Ora, sollecitando i professionisti ad associarsi
anche in “società multidisciplinari” tutti questi vantaggi andranno persi, certamente in danno del cliente. E poi non è detto
che la rimozione del divieto si traduca in una rincorsa alle associazioni …
Del tutto non consequenziale rispetto al significato oggettivo del provvedimento è poi la considerazione secondo la
quale «Si apre la possibilità di creare studi italiani più competitivi a livello internazionale», come se già oggi non vi fossero
studi di questo livello o come se vi fossero divieti a costituirli, o come se non si sapesse che gli studi internazionali che
operano in Italia si avvalgono di avvocati italiani. Gli avvocati italiani che volessero espandersi all’estero sono ostacolati da
fattori oggettivi: dalla lingua italiana, che gli stranieri non conoscono, dal diritto italiano, che gli stranieri non apprezzano,
perché scritto in una lingua che non comprendono, dall’ambiente in cui operano, perché il Paese, il sistema-giustizia, il
sistema politico che abbiamo sono a torto o a ragione oggetto di criticaxix[xix].
Non sono certo questi i “vantaggi” che si meritavano i consumatori. Non è certo introducendo misure che favoriscono
l’accaparramento di clientela e l’offerta di prestazioni professionali sottocosto che si tutelano i diritti dei consumatori. Non
sono certo questi i diritti per l’affermazione dei quali abbiamo combattuto come giuristi e come difensori, i diritti sui quali
abbiamo costruito un sistema di informazione, di protezione e di tutela giudiziale, uno status che abbiamo teorizzato ,
accreditato e codificato. Né ci saremmo aspettati che – mettendosi il berretto frigio – il legislatore avrebbe riconosciuto un
“cittadino-consumatore” e disconosciuto il “cittadino-professionista”!
Non mi soffermerò sui profili di incostituzionalità della disciplina attuale, perché essi sono stati ampiamente e
persuasivamente declinati nelle opinioni che autorevoli studiosi della materia hanno espresso , senza avere registrato
confutazioni o critiche.
5. - I principi-quadro in materia di professioni.
Vorrei invece ricollegarmi al testo con cui si era chiusa la XIV legislatura – il D.Lgs 30/2006 – con cui si sono dettati i
principi- quadro in materia di professioni, diretti a delimitare i confini della legislazione concorrente tra Stato e Regioni in
questo ambito.
Il decreto riconosce l’esercizio della professione quale «espressione del principio di libertà di iniziativa economica», da
svolgere sì in conformità alla disciplina statale della concorrenza, ma tenendo conto delle «deroghe consentite dal diritto
comunitario a tutela di interessi pubblici costituzionalmente garantiti», e della «riserva di attività professionale, delle tariffe
e dei corrispettivi professionali, nonché della pubblicità professionale». Il decreto precisa che «la regolazione delle attività
professionali si svolge nel rispetto dei principi di buona fede, dell’affidamento del pubblico e della clientela, della
correttezza, della tutela degli interessi pubblici, dell’ampliamento e della specializzazione dell’offerta dei servizi,
dell’autonomia e responsabilità del professionista».
Il decreto si conclude con una norma di rinvio, che fa salvi i principi «riguardanti specificamente le singole professioni».
È questo il quadro di principi da cui si deve partire, considerando che l’esercizio delle professioni liberali è oggetto di lavoro
autonomo. Più volte abbiamo insistito sulla tutela costituzionale dell’Avvocatura, sul riconoscimento che alle libere
professioni, distinte dall’attività d’impresa, è dato nella Carta di Nizza, che enuncia i principi costituzionali sui quali si regge
l’Unione europea, in ogni occasione abbiamo rivendicato la specificità della professione forense, che non può essere né
appiattita né sconvolta da interventi legislativi erratici, sommari, asistematici e punitivi. “Scrostare” la disciplina delle
professioni significa non tanto rimuovere privilegi e immunità corporative ma al contrario porsi in contrasto con i valori
dell’ Unione europea e con le linee direttrici dei principi costituzionali del nostro Paese.
6. - I progetti di riforma della disciplina delle professioni.
La riforma della disciplina delle professioni – sulla quale ha dovuto concentrarsi la seconda sessione del nostro Congresso,
come si dirà in modo compiuto e dettagliato anche nello spazio riservato all’intervento del Consiglio Nazionale Forense –
non può che articolarsi su di un duplice livello: inquadrati i principi del diritto comunitario, rettamente inteso, e i principi
costituzionali, riservata allo Stato la potestà legislativa in materia, salvi i poteri di sostegno finanziario che le Regioni sono
titolate ad esercitare – i principi generali debbono lasciare spazio alle peculiarità delle singole professioni. L’Avvocatura,
come si è tante volte ripetuto e come ha statuito la Corte costituzionale, ha una funzione essenziale irrinunciabile,
indefettibile, insopprimibile. Dal punto di vista della tecnica legislativa, un sistema normativo così complesso non può che
affidarsi ad una legge di delega, a cui seguano singoli decreti delegati che tengano conto delle specificità professionali.
Le professioni liberali “regolamentate” trovano negli Ordini la loro essenza: è questo un connotato che si riscontra in ogni
modello normativo europeo; anche in Inghilterra i barristers debbono essere iscritti al Bar Council, e i solicitors sono
ascritti alla Law Society.
Ampliare il numero degli Ordini o costituire “associazioni professionali” è una scelta, politica e di opportunità, che non si
può considerare dirimente. Gli Ordini non possono essere soppressi, le associazioni possono essere istituite liberamente.Ma
non possiamo neppure accettare che gli Ordini siano conservati ma “svuotati di fatto” delle loro funzioni. Almeno quattro
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limiti mi sembrano necessari perché il sistema possa reggere su salde fondamenta.
Il primo limite è dato da una scelta di campo: se non si intende istituire nuovi ordini, le associazioni professionali siano
riservate alle nuove professioni. Appare evidente che il sistema duale non può prevedere modelli normativi identici,
altrimenti vi saranno due fattispecie normative riguardanti il medesimo oggetto. Questo non significa ovviamente che alle
professioni nuove o emergenti non si voglia riconoscere dignità e utilità; anzi, la istituzione delle associazioni professionali
darà maggiori garanzie di controllo e qualità dell’attività professionale. Come emergeva già dai primi progetti degli anni
Novanta, le associazioni professionali dovrebbero conservare la loro natura privatistica. In ogni caso, se ad esse si volesse
riconoscere natura pubblicistica, l’iscrizione obbligatoria del professionista non potrebbe che comportare la scelta di uno, ed
uno soltanto, degli organismi istituzionali, salve le eccezioni già ora consentite.
Il secondo limite è dato dalla necessità di distinguere e di non sovrapporre gli ambiti dell’esercizio professionale. Ogni
Ordine ed ogni associazione debbono mantenersi entro i confini tipici della professione tutelata, con la salvaguardia delle
riserve dettate dall’interesse pubblico.
Il terzo limite è dato dalla impossibilità di scelta della iscrizione ad una associazione professionale da parte di chi, per il tipo
di titolo acquisito, è tenuto, se vuole svolgere la sua professione, ad iscriversi ad un Ordine . Si è di recente sostenuto che <
il principio di liberalizzazione (…) dovrebbe riguardare la possibilità per una persona in possesso dei requisiti formativi e di
abilitazione relativi a determinati ambiti di conoscenze professionali (…) di iscriversi liberamente a un organismo
ordinistico fra quelli definiti per legge come in grado di qualificare le sue competenze e il suo sviluppo
professionale>xx[xx]. Per quanto riguarda l’avvocato, la sua iscrizione all’ Albo e la sua soggezione all’ Ordine sono
garanzie di tutela dell’interesse pubblico, attesa la rilevanza costituzionale e sociale della sua professione. L’ avvocato che
non si iscrive all’ Albo o si cancella dall’ Albo, per iscriversi ad una associazione professionale diversa svolge una
professione diversa. E se mantiene il suo titolo si espone, dall’esterno, al rischio che il cliente che si rivolgesse a questo
professionista o allo studio costituito con professionisti iscritti ad altre associazioni , avrebbe l’aspettativa di trovare un
difensore dei propri diritti, non potendo invece fruirne, perché solo chi è abilitato con il suo titolo a patrocinare dinanzi alle
Corti può dare queste garanzie e questo tipo di “servizio”.
Ma non è solo l’affidamento pubblico che ne verrebbe a soffrire. Gli Ordini, non soppressi, ma svuotati a beneficio delle
associazioni, finirebbero per avere un ruolo marginale, in un sistema che invece ne postula l’esistenza, l’efficienza,
l’autorevolezza. L’avvocato che si cancella dall’ Albo si sottrae alla disciplina deontologica forense, si sottrae agli obblighi
contributivi, si “mescola” con altri professionisti perdendo la sua identità tipica.
Il quarto limite è dato dal fatto che – salvo l’intervento dell’ Autorità giudiziaria e le competenze del Ministero della
Giustizia - gli Ordini sono enti pubblici non economici a cui la costante interpretazione costituzionale ha conservato
autonomia e competenze di ambito nazionalexxi[xxi]. Nessuna autorità, all’infuori dell’ A.G.O. e del Ministro della
Giustizia, possono interferire nell’esistenza e nella vita dell’ Ordine.
7. - Qualità e “riserve” nel c.d. sistema duale.
Puntare sulla qualità, sulla formazione continua, sulla certificazione, sull’applicazione dei codici deontologici sono tutti
obiettivi che l’ Avvocatura si è data e sta mettendo in pratica, persuasa che sia questa la via più efficace, anche se
impegnativa e meno “mediatica”, per tutelare la collettività: sia i consumatori, che possono beneficiare così di una
prestazione di qualità, competente e aggiornata, sia i professionisti stessi, che sono incentivati ad aggiornare e affinare le
proprie competenze per garantire standards professionali sempre più elevati. Migliorare la preparazione culturale e pratica
già nell’ambito della formazione universitaria, nell’ambito del tirocinio e delle Scuole professionali, imporre l’
aggiornamento continuo, l’assicurazione della responsabilità civile, migliorare il procedimento disciplinare, dissociare la
fase istruttoria da quella giudicante, eventualmente collocandola a livello distrettuale, riformare il regime delle
impugnazioni, istituire un sistema di crediti e curare il rilascio di diplomi di specializzazione, curare corsi formativi, di
aggiornamento, di ausilio a tutti gli avvocati e ai tutors delle Scuole è stata ed è la preoccupazione costante del CNF, che ha
svolto queste i iniziative sia direttamente, sia attraverso il suo Centro di formazione, sia attraverso la Fondazione
dell’Avvocatura e, nell’immediato futuro, anche mediante la Scuola Superiore dell’ Avvocatura.
Vorrei però insistere, e rendere ancora più esplicito il discorso sul c.d. sistema duale e sui pericoli che si annidano in
proposte, peraltro precedentemente mai affacciatesi all’orizzonte, che potrebbero sconvolgere il sistema delle professioni.
Nel nostro Paese, le difficoltà di procedere ad una riforma delle professioni hanno di fatto impedito, negli ultimi decenni, al
sistema professionale “ordinistico” di accompagnare pienamente lo sviluppo delle tecnologie, delle conoscenze, delle
emergenti professionalità. Decine di disegni di legge di riconoscimento di professioni hanno intasato nelle ultime legislature
i lavori parlamentari, di fatto senza alcun esito.
Di qui il nascere e l’affermarsi di forme alternative di “organizzazione professionale”, quali le libere associazioni, che hanno
riempito tale vuoto e si propongono oggi come soggetto autonomo nel dibattito tecnico-politico sulla riforma delle libere
professioni. A tale proposito, è innegabile che in settori totalmente privi di rappresentanza professionale) le associazioni
rappresentano un prezioso strumento di “gestione e controllo” dell’intero comparto. Ma è anche innegabile che, in comparti
dove esistono professioni regolamentate, tali associazioni hanno ben altre caratteristiche e ben altre finalità.
Infatti, il legislatore riconosce un settore professionale come meritevole di tutela - tanto da istituire specifici Ordini
professionali – quando:
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si è in presenza di una grave asimmetria informativa (difficoltà o impossibilità da parte del cittadino nel giudicare
caratteristiche, qualità e garanzie di una specifica prestazione)
si possono verificare danni gravi ed irreversibili a carico della collettività in caso di prestazione non adeguata agli
standards professionali
In questi casi la legge ha istituito specifici enti pubblici associativi a garanzia del cittadino (gli Ordini professionali)
demandando loro il compito di accertare le capacità tecnico professionali degli iscritti, di vigilare sul modo in cui si
rapportano con il cliente, di curarne la formazione e l’aggiornamento.
Corollario di tale disciplina legislativa non è – (evidentemente) tranne alcune eccezioni, come il patrocinio legale per gli
avvocati – il divieto di esercitare la professione da parte di soggetti non iscritti negli Ordini, quanto il fatto che il cittadino
che si rivolge ad un professionista per certe prestazioni possa contare su queste garanzie e su questi controlli. Corollario
dell’Ordine non è di per se l’esclusiva, bensì il plusvalore rappresentato dal fatto che quella prestazione possa essere svolta
da un soggetto che spende un titolo professionale e che è soggetto ad una deontologia, ad un procedimento disciplinare, ad
una vigilanza pubblica sul proprio operato, in quanto membro di un ordinamento sezionale dotato dei crismi della giuridicità
(dove si rinvengono plurisoggettività, normazione, autorità).
Posto il pieno rispetto per la libertà di associazione (articolo 18 Costituzione), nulla vieta che si affermi – come qualcuno fa
sempre più spesso - la legittimità di forme associative alternative agli Ordini anche se non soprattutto in settori in cui la
legge prevede la presenza di uno o più Ordini professionali. Il punto non è quello di consentire o meno tale associazioni,
senz’altro legittime sotto il profilo giuridico. E nulla vieta che queste associazioni rilascino attestati circa il fatto di essere
iscritto, o di avere seguito dei corsi.
Il punto è il riconoscimento pubblico delle associazioni, come presupposto di una valenza in qualche modo generale
(pubblica, appunto) di tali attestati. La vera posta in gioco è la possibilità per tali associazioni di reclamare per sé uno status
“più che privato”, che conferisca loro una veste pseudopubblica che dia valore agli attestati rilasciati. La vera posta in gioco
è la “fede pubblica”. Ciò che occorre proteggere è l’affidamento del cittadino-utente: la clientela non particolarmente
informata può non distinguere tra un iscritto ad un ordine, che ha sostenuto un esame di Stato, ed è membro di un
ordinamento sezionale che lo assoggetta ad un codice deontologico, ad un procedimento disciplinare attivabile anche dal
pubblico ministero, ad un obbligo di aggiornamento e formazione, ed un iscritto ad “un’associazione professionale”, che
nulla di tutto ciò comporta.
Il legislatore non può non sapere che il riconoscimento pubblico che tali associazioni reclamano è strumentale al rilascio di
attestati dotati di un quid pluris rispetto a qualsiasi attestato che una libera associazione privata può rilasciare, per di più
senza i costi della vigilanza ministeriale.
È evidente che in questi casi l’errore è dato da una eccessiva generalizzazione. Invece di postulare un eventuale
riconoscimento (secondo criteri molto seri e procedure controllate) di associazioni di soggetti che esercitano attività
professionali o paraprofessionali non comprese in settori già regolamentati, si chiede di riconoscere “tout-court”
associazioni che sono spesso lo sbocco di quanti, per motivi diversi, non sono riusciti ad entrare in un Albo professionale e
ciò nonostante pretendono di esercitare al di fuori di questo le stesse attività e le stesse funzioni, motivando tale richiesta con
presunte “regole di mercato”.
Pertanto se da un lato non si può negare che gli Ordini professionali necessitino di una riforma) non può essere consentito a
soggetti privi della necessaria professionalità (per definizione e loro stessa ammissione, dato che non riescono ad essere
ammessi nell’Ordine professionale corrispondente) di esercitare attività in settori ed in materie per le quali l’ordinamento ha
previsto regole e requisiti specifici. E per legge non si intende solo le diverse leggi ordinistiche, ma la stessa Costituzione,
che all’articolo 33 prevede l’obbligo del superamento di un esame di stato per esercitare attività professionali.
Per tali motivi, appare da un lato necessario che il legislatore presti attenzione alle problematiche delle cosiddette
“associazioni non riconosciute”, dall’altro è indispensabile evitare fughe in avanti e soluzioni parziali, magari sotto la spinta
di presunte esigenze di mercato.
Su questo versante, dunque, vi è l’assoluta necessità che l’eventuale riconoscimento delle associazioni delle “nuove
professioni” riguardi appunto attività nuove, e non spezzoni di attività già proprie di professionisti iscritti in albi, senza
sovrapposizioni che non potrebbero che danneggiare la trasparenza del mercato.
I tentativi di ottenere questo improprio riconoscimento sono stati numerosi. L’ultimo è di poco più di un anno fa: con il
decreto competitività (Dl 35/2005), approvato definitivamente nel maggio del 2005: l’emendamento approvato nottetempo
dalla Commissione Bilancio del Senato, ha cancellato le parole “regolamentate e tipiche” dalla formulazione originaria,
sostituendole con la parola “riservate”, accompagnato da una sorta di “pentimento in extremis”, e cioè da un Ordine del
giorno, assolutamente insufficiente, che impegnava il Governo a mantenere, durante la discussione in Aula, la parola
“regolamentate” nel testo dell’articolo 2, comma 8 del decreto legge, così come emendato dalla Commissione bilancio del
Senato.
Non è evidentemente sufficiente la menzione delle attività riservate, anzi questa è probabilmente superflua, ove si consideri
che è del tutto ovvio che non possano riconoscersi associazioni relative ad attività professionali riservate ad iscritti in albi.
A fronte di queste argomentazioni il maxiemendamento fu ritirato, con lo stralcio del comma 8 dell’articolo 2 del Dl
35/2005.
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È insomma necessario che una corretta distinzione tra ordini e associazioni contempli criteri che consentano il
riconoscimento di associazioni relative ad attività che non sono “caratterizzanti”, “tipiche” o meglio qualificanti di
professioni già regolamentate dalla legge. Potranno dunque riconoscersi solo associazioni di soggetti che svolgono altre e
diverse attività, non sovrapponibili a quelle degli iscritti agli Ordini.
Insomma, si impone l’esigenza di una netta distinzione tra le due anime del sistema professionale, proprio a tutela
dell’affidamento della clientela, che è il fondamentale interesse pubblico di rango costituzionale sotteso alla disciplina delle
professioni, come anche di recente, con la sentenza 405/2005 la Corte costituzionale ha ribadito.
Il “cittadino cliente” ha diritto ad un mercato professionale trasparente e chiaro. Associazioni “parapubbliche” non possono
che danneggiare questo diritto, se insistono su ambiti di attività già propri degli iscritti negli albi. xxii[xxii]
L’alternativa è ampliare l’area delle riserve, a cominciare dalla consulenza legale , per la quale l’ Avvocatura in molte
occasioni, e da ultimo al XXVII Congresso nazionale , ha proposto l’introduzione di una disciplina appropriata, che sia
diretta alla prevenzione delle liti e ne assicuri un qualificato espletamento.
8. - Per una riforma urgente dell’ ordinamento forense.
Ma tutto ciò non basta. L’Avvocatura ha bisogno di un intervento urgente che riformi l’esame di abilitazione, che consenta
agli Ordini di verificare l’effettivo esercizio della professione da parte degli iscritti, che riformi il procedimento disciplinare,
che introduca forme e modi di aggregazione degli avvocati senza intaccare il principio di autonomia e indipendenza. Non
dunque l’ingresso a soci di capitale, non subordinazione con contratto di lavoro dipendente dell’avvocato ad altro avvocato,
non commistioni con altre professioni, se non quelle consentite dalla interdisciplinarietà compatibile con la professione
forense.
Nella giornata di domani, secondo la scansione dei temi congressuali che è stata decisa all’unanimità da tutte le componenti
dell’ Avvocatura, il CNF discuterà le linee fondamentali della riforma urgente che l’ Avvocatura attende ormai da
anni.xxiii[xxiii]
Le due linee di riforma – il quadro generale delle professioni, le regole speciali dell’ Avvocatura – possono coordinarsi
senza allungare i tempi. D’altra parte, lo si è già fatto: in via generale, per il riordino del sistema elettorale e la composizione
degli organi di ordini professionali con il Dpr 169/05, da cui sono stati esclusi tuttavia gli Ordini forensi; in via particolare,
per due categorie professionali di grande rilievo: i commercialisti e i ragionieri, con la legge 34/2005; i notai, con la legge
34/2005, il D.Lgs 249/06 e la legge 166/06.
9. - Il ruolo dei giovani e le prospettive dell’Avvocatura.
Quando si parla dei giovani – studenti, praticanti, avvocati – sorge innanzitutto il problema della legittimazione a
trattare l’argomento e a prospettare regole che potrebbero incidere sul loro futuro da parte di chi ormai ha una carriera e un
tratto di vita alle spalle. È evidente che il futuro dei giovani si deve costruire insieme con loro ed è altrettanto evidente che
non vi possono essere conflitti d’interesse, perché chi si trova a poter proporre iniziative e progetti o addirittura a dover
decidere su di loro non può che esprimersi per loro, cioè a loro favore.
Anche quest’anno già i primi dati raccolti dagli esami di orientamento per l’iscrizione alle Università indicano che
la Facoltà di Giurisprudenza costituisce ancora uno dei percorsi formativi più ambiti, nonostante la connessione tra il titolo
conseguito e gli sbocchi lavorativi restino incerti e assolutamente insoddisfacenti. Il modello di corso di laurea magistrale
(1+4) che sottolinea la professionalità e quindi si pone come lo strumento ideale per avviarsi alle professioni legali è parso al
CNF ancora debole, nella convinzione che solo se si consente agli studenti di acquisire una formazione qualitativa di
eccellenza curvata sulle esigenze delle professioni legali già negli anni universitari è possibile procedere ad una selezione
accurata e non casuale degli aspiranti all’esercizio dell’ Avvocatura.
La qualità fa premio anche nell’accesso alle Scuole, e nel periodo del tirocinio, che deve essere effettivamente formativo e
non solo un mezzo di lavoro ancillare o di parcheggio in attesa di migliori occupazioni. Sì che accanto alla formazione
teorica e pratica occorre una gratificazione economica proporzionata all’attività effettivamente svolta e al contributo offerto.
Occorre ripensare ai sussidi economici per le categorie meno abbienti, perché, al di là delle tradizioni familiari sulle quali si
è costruita gran parte dell’esperienza forense che costituisce il vanto della nostra professione, la trasmissione del sapere
possa raggiungere ancor più facilmente chi, essendo meritevole, si trova a disagio per la difficoltà di uscire dal suo milieu
sociale o di fare ingresso in uno studio professionale. Borse di studio, mutui agevolati, stages, e ogni altro modo per
garantire pari opportunità costituiscono oggi proposte che il CNF promuove con convinzione.
Nel marzo scorso abbiamo organizzato il primo congresso di aggiornamento forense, a cui si sono iscritti gratuitamente più
di 1.400 avvocati. In luglio abbiamo varato, primo ordine in Europa, un corso a Londra per gli Avvocati italiani, di inglese
giuridico e di diritto contrattuale e bancario. È stato seguito, con entusiastici risultati, da 130 giovani avvocati provenienti da
tutti distretti , ed ha consentito a loro non solo di apprendere nozioni e tecniche, ma anche di capire un diverso sistema e di
avviare utili contatti con gli studi locali.
Ben diverso è il discorso sull’accesso alla pubblicità diversa da quella informativa: le risorse economiche dei giovani e
destinate ai giovani debbono essere indirizzate alla formazione e qualificazione professionale, alla organizzazione degli
studi, della biblioteca e degli altri mezzi di informazione, alla rete informatica, piuttosto che non essere disperse nei tentativi
di accaparramento di clientela.
10. - L’allineamento degli Avvocati italiani alle professioni forensi degli altri Paesi d’ Europa.
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Un leit motiv usato frequentemente ad colorandum per giustificare la c.d. liberalizzazione della professione forense è che il
sistema esistente fino alla introduzione della legge 248/06 impedirebbe agli studi italiani di conquistare quote sul mercato
professionale estero e invece agli studi stranieri di stabilirsi agevolmente in Italia conquistando larghe fasce di mercato.
Tante volte si è cercato di chiarire il problema, ma la disattenzione, l’inconsapevolezza o forse l’intenzionale sordità
impediscono alle argomentazioni razionali di fare breccia in questo muro di ostinata opacità. Gli studi stranieri che
preoccupano molti sono tali solo per la sede principale, ma sono composti da avvocati italiani, che hanno una formazione e
un curriculum che consente loro di seguire affari internazionali, sofisticate operazioni societarie o finanziarie.
Vi sono molti modi, come sopra dicevo, di esercitare la professione. La nostra è una professione diffusa, e quindi è
impensabile ridurre i 180.000 avvocati italiani a 180 studi di 1000 avvocati ciascuno, oppure a 1800 studi di 100 avvocati
ciascuno. Le aggregazioni possono avvenire in via verticale, secondo la dislocazione geografica, in via orizzontale a seconda
dei diversi settori di competenza, anche temporaneamente, per partecipare a gare promosse da grandi società, Ministeri, altre
istituzioni. Ma la realtà italiana è costituita dall’ Avvocatura che si occupa della fascia media e piccola delle questioni, che
coniuga l’attività giudiziale con quella stragiudiziale, e rifiuta quindi la distinzione tra “avvocati d’affari” e “avvocati di
toga”, e pure la parcellizzazione delle competenze. Quando si parla di “responsabilità sociale” dell’avvocato e della
rilevanza degli Ordini di piccole dimensioni si vuol alludere anche a questo: al ruolo che l’avvocato, diffuso capillarmente
su tutto il territorio svolge a vantaggio della collettività, con il suo consiglio, con la difesa dei diritti, con la costruzione ed
elaborazione di operazioni economiche. È impensabile riprodurre il modello dei grandi studi professionali a tutti i livelli
della professione forense e in ogni ubicazione geografica.
Ma è anche impensabile dividere formalmente gli avvocati in due categorie, a seconda della loro appartenenza a “grandi
studi” o a realtà professionali di più modeste dimensioni e far dipendere dalla loro affiliazione all’una o all’altra categoria le
regole giuridiche e di etica che gli avvocati – in quanto tali – debbono osservare. Non vi può essere uno statuto della
pubblicità informativa a maglie larghe per i primi e uno a maglie strette per i secondi, una regola allentata per i conflitti
d’interesse destinata ai primi e regole più rigorose destinate ai secondi. Questo è non, come qualcuno ha voluto scrivere, il
riflesso di una concezione “medievale e corporativa” della professione, ma piuttosto una conseguenza logica della
applicazione – seria – di regole eticamente apprezzabili.
Quanto poi all’acquisizione di porzioni di mercati esteri, ciò spetta alla capacità, all’inventiva, all’esperienza , a tanti fattori
imponderabili che non si possono certo semplicisticamente riferire alla mancata liberalizzazione o al ritardo nella
liberalizzazione dei servizi professionali nel nostro Paese. Tutti sanno che Londra è la piazza finanziaria più rilevante del
mondo, che a Londra si compiono le operazioni finanziarie più grosse, complesse, sofisticate, che modelli contrattuali,
tecniche comportamentali etc. sono il complesso di un’esperienza di cui gli studi inglesi sono portatori , ma soprattutto, che
il modello giuridico di common law , per ragioni varie che non è il caso di ribadire in questa sede, è uno dei modelli vincenti
nel mondo intero e che il modello giuridico italiano per ragioni di lingua, di complessità, di lentezza nella amministrazione
della giustizia , e per l’inaffidabilità e debolezza politica del nostro Paese (così come viene rappresentato all’estero) è un
modello debole, anzi, recessivo.
Per queste ragioni il CNF, ormai da molti anni, come risulta dalle sue pubblicazioni e dalle innumerevoli iniziative
promosse, diffonde la conoscenza e la pratica del diritto comparato, del diritto comunitario, del diritto privato europeo. Si
batte per un “codice civile europeo”, consapevole che nella competizione degli ordinamenti quello italiano è cedevole, per
non dire soccombente, mentre, in un codice civile in cui tutti gli avvocati d’Europa possono condensare la loro cultura e la
loro esperienza, gli avvocati italiani aumentano notevolmente le loro chances, possono far valere la loro abilità , lottando ad
armi pari.
Se si dovesse dare prove di questi assunti, basterebbe considerare il credito goduto dai nostri Colleghi che curano il diritto
comunitario e il diritto internazionale, pubblico, privato e processuale: essi certamente non sono penalizzati dalla loro
nazionalità per mietere i successi che mietono dinanzi alla Corte del Lussemburgo e alla Corte di Strasburgo. E si pensi
all’arbitrato internazionale, agli arbitrati istituzionali in cui le Istituzioni arbitrali scelgono arbitri italiani senza
discriminazioni dovute alla nazionalità. Insomma, quando l’avvocato italiano è in grado di lottare ad armi pari, non gli fa
certo velo la sua nazionalità.
D’altra parte, tutti gli avvocati italiani sono orami tenuti a conoscere le basi e a cooperare per la realizzazione integrale dello
spazio giudiziario europeoxxiv[xxiv], oltre che per la creazione di un diritto sostanziale civile, penale e amministrativo di
livello e con contenuti “europei”.
11. -La partecipazione degli Avvocati italiani all’edificazione dell’ Avvocatura europea.
Distratti dalle diatribe interne e dalle innovazioni legislative inattese abbiamo cercato di non perdere la possibilità
di seguire compiutamente ciò che si agita in ambito europeo . I temi sul tappeto sono molti e assai ilevanti: non solo la
disciplina della concorrenza e dei servizi, non solo la disciplina antiriciclaggio, la deontologia, il training, l’accesso alle
giurisdizioni superiori, l’assicurazione, i giuristi d’impresa, ma anche il diritto processuale, il diritto contrattuale, il diritto
penale, la responsabilità sociale delle imprese, l’informazione tecnologica, l’assistenza giudiziaria dei meno abbienti, i diritti
umani, il diritto societario, il diritto di famiglia, le politiche dell’ Avvocatura nei Paesi dell’ Europa Centrale e dell’
Estxxv[xxv].
E sono sempre più incalzanti i problemi della globalizzazione dei mercati e dell’apertura dei mercati d’Oriente. Il
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modello di codice civile italiano è stato utilizzato, insieme con gli altri principali modelli di civil e common law, in Cina per
la redazione del nuovo codice civile. Così non è stato per la redazione dei codici civili degli ex-Paesi socialisti, perché i
giuristi italiani non hanno avuto quel supporto istituzionale e politico che gli avvocati americani e inglesi, francesi e
tedeschi, e persino olandesi, in collaborazione con studi professionali , imprenditori e investitori hanno ricevuto per poter
esportare insieme con le regole anche la loro esperienza e competenza professionale.
Anche questo è uno scenario che si apre , una prospettiva da cogliere con intelligenza e intraprendenza.
Ma tutte queste occasioni, fino ad ora mancate, ma in parte recuperabili, richiedono una strategia comune , interna e
compartecipata con l’imprenditoria e con gli enti privati e pubblici, con le iniziative diplomatiche e con le strategie
economiche complessive del Paese. Per fare tutto ciò dobbiamo partire da una base solida e operare in un clima disteso. Il
nostro lavoro richiede serenità ed attenzione, ora messe a repentaglio dalla conflittualità che deve essere ricomposta al più
presto con la collaborazione di tutti.
Il nostro passato è stato fulgido, il nostro futuro non può essere incerto: non ne soffrirebbe solo la nostra categoria, ne
sarebbe vulnerata l’intera collettività.
APPENDICI
1
Risoluzione del Parlamento europeo sulle professioni legali e l'interesse generale nel funzionamento dei sistemi
giuridici
Testi approvati dal Parlamento
Giovedì 23 marzo 2006 - Bruxelles
Il Parlamento europeo ,
– visti i principi di base delle Nazioni Unite del 7 settembre 1990 sul ruolo degli avvocati,
– vista la raccomandazione del Consiglio d'Europa Rec (2000) 21 del 25 ottobre del 2000 sulla libertà d'esercizio
della professione di avvocato,
– vista la sua risoluzione del 18 gennaio 1994 sulla professione di notaio nelle Comunità ,
– vista la sua risoluzione del 5 aprile 2001 sulle tabelle degli onorari e le tariffe obbligatorie per talune libere
professioni, in particolare per gli avvocati e sulla particolarità del ruolo e della posizione delle libere professioni nella
società moderna ,
– vista la sua risoluzione del 16 dicembre 2003 sulle regolamentazioni di mercato e norme di concorrenza per le
libere professioni,
– vista la direttiva 77/249/CEE del Consiglio, del 22 marzo 1977, intesa a facilitare l'esercizio effettivo della libera
prestazione di servizi da parte degli avvocati(4),
– vista la direttiva 98/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998, volta a facilitare l'esercizio
permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica ,
– vista la direttiva 2003/8/CE del Consiglio, del 27 gennaio 2003, intesa a migliorare l'accesso alla giustizia nelle
controversie transfrontaliere attraverso la definizione di norme minime comuni relative al patrocinio a spese dello
Stato in tali controversie,
– vista la direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, relativa al
riconoscimento delle qualifiche professionali,
– vista la sua posizione del 16 febbraio 2006 sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sui
servizi del mercato interno,
– vista la comunicazione della Commissione "I servizi professionali - proseguire la riforma" del 5 settembre 2005
(COM(2005)0405),
– vista la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee sul diritto comunitario della concorrenza e
sulla libera prestazione di servizi, con specifico riferimento alle disposizioni nazionali riguardanti gli onorari minimi
nel settore giuridico;
– visto l'articolo 108, paragrafo 5, del suo regolamento,
A. considerando che la Corte di giustizia delle Comunità europee ha riconosciuto :
-
l'indipendenza, l'assenza di conflitti di interesse e il segreto/confidenzialità professionale quali valori
fondamentali nella professione legale che rappresentano considerazioni di pubblico interesse,
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-
la necessità di regolamenti a protezione di questi valori fondamentali per l'esercizio corretto della professione
legale, nonostante gli inerenti effetti restrittivi sulla concorrenza che ne potrebbero risultare,
-
che lo scopo del principio della libera prestazione di servizi applicato alle professioni giuridiche è quello di
promuovere l'apertura dei mercati nazionali mediante la possibilità offerta ai prestatari di servizi e ai loro clienti
di beneficiare pienamente del mercato interno della Comunità,
B. considerando che qualsiasi riforma delle professioni legali ha conseguenze importanti che vanno al di là delle
norme della concorrenza incidendo nel campo della libertà, della sicurezza e della giustizia e in modo più ampio, sulla
protezione dello stato di diritto nell'Unione europea,
C. considerando che i principi di base delle Nazioni Unite sul ruolo degli avvocati del 7 settembre 1990 stabiliscono
che:
-
gli avvocati hanno diritto a costituire e ad essere membri di associazioni professionali in rappresentanza dei loro
interessi, a promuovere l'educazione continua e la formazione professionale e a proteggere la loro integrità
professionale. L'organismo esecutivo delle organizzazioni professionali è eletto dai suoi membri e esercita le
sue funzioni senza interferenze esterne;
-
le associazioni professionali di avvocati hanno un ruolo vitale nel promuovere il rispetto dell'etica e delle norme
professionali, nel proteggere i suoi membri da procedimenti, interferenze e limitazioni ingiuste, fornendo servizi
legali a tutti coloro che lo necessitano e cooperando con istituzioni governative e di altro tipo ai fini della
giustizia e dell'interesse pubblico;
-
processi disciplinari contro gli avvocati sono celebrati di fronte a commissioni disciplinari imparziali create
dalla professione legale, di fronte ad autorità statutaria indipendente o un tribunale e sono soggetti a revisione
giurisdizionale indipendente;
D. considerando che la protezione adeguata dei diritti umani e delle libertà fondamentali cui ha diritto ogni persona,
nel campo economico, sociale, culturale, civile e politico, richiede che ogni persona abbia effettivo accesso ai servizi
legali forniti da una professione legale indipendente,
E. considerando che gli obblighi dei professionisti legali di mantenere l'indipendenza, evitare conflitti di interesse e
rispettare la riservatezza del cliente sono messi particolarmente in pericolo qualora siano autorizzati ad esercitare la
professione in organizzazioni che consentono a persone che non sono professionisti legali di esercitare o condividere
il controllo dell'andamento dell'organizzazione mediante investimenti di capitale o altro, oppure nel caso di
partenariati multidisciplinari con professionisti che non sono vincolati da obblighi professionali equivalenti,
F. considerando che la concorrenza dei prezzi non regolamentata tra i professionisti legali, che conduce a una
riduzione della qualità del servizio prestato, va a detrimento dei consumatori,
G. considerando che il mercato dei servizi legali è caratterizzato dall'asimmetria dell'informazione tra avvocati e
consumatori, tra cui le piccole e medie imprese, in quanto questi ultimi non dispongono dei criteri necessari per
valutare la qualità dei servizi prestati,
H. considerando che l'importanza di una condotta etica, del mantenimento della confidenzialità con i clienti e di un
alto livello di conoscenza specialistica necessita l'organizzazione di sistemi di autoregolamentazione, quali quelli oggi
governati da organismi e ordini della professione legale,
I. considerando che i notai di diritto civile sono nominati dagli Stati membri quali pubblici ufficiali il cui compito
include la redazione di documenti ufficiali di valore speciale a fini probatori e di immediata esecuzione,
J. considerando che i notai di diritto civile svolgono lavoro di ampia investigazione e esame a nome dello Stato in
questioni legate alla protezione legale non giurisdizionale, particolarmente in relazione con il diritto societario - in
base al diritto comunitario in alcuni casi - e una parte del loro lavoro è soggetta al controllo disciplinare dello Stato
membro competente, comparabile a quello che si applica ai giudici e ai funzionari pubblici,
K. considerando che la delega parziale dell'autorità dello Stato è un elemento originale inerente all'esercizio della
professione di notariato di diritto civile, e che si esercita attualmente su base regolare e rappresenta una parte
importate delle attività del notaio di diritto civile,
1. riconosce pienamente la funzione cruciale esercitata dalle professioni legali in una società democratica, al fine di
garantire il rispetto dei diritti fondamentali, lo stato di diritto e la sicurezza nell'applicazione della legge, sia quando
gli avvocati rappresentano e difendono i clienti in tribunale che quando danno parere legale ai loro clienti;
2. ribadisce le dichiarazioni fatte nelle proprie risoluzioni del 18 gennaio 1994 e del 5 aprile 2001 e la sua posizione
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del 16 dicembre 2003;
3. evidenzia le alte qualificazioni richieste per accedere alla professione legale, il bisogno di proteggere tali
qualificazioni che caratterizza le professioni legali, nell'interesse dei cittadini europei e il bisogno di creare una
relazione specifica basata sulla fiducia tra i membri delle professioni legali e i loro clienti;
4. ribadisce l'importanza delle norme necessarie ad assicurare l'indipendenza, la competenza, l'integrità e la
responsabilità dei membri delle professioni legali, con lo scopo di garantire la qualità dei loro servizi, a beneficio dei
loro clienti e della società in generale, e per salvaguardare l'interesse pubblico;
5. accoglie con favore il fatto che la Commissione riconosca che le riforme sono eseguite in maniera più efficace a
livello nazionale e che le autorità degli Stati membri, specialmente gli organismi legislativi, sono nella posizione
migliore per definire le norme che si applicano alle professioni legali;
6. fa notare che la Corte di giustizia ha concesso ai legislatori nazionali e alle associazioni ed organismi professionali
un margine di discrezionalità nella decisione delle misure appropriate e necessarie a protezione dell'esercizio congruo
delle professioni legali negli Stati membri;
7. nota che qualunque tipo di attività di un organismo professionale deve essere considerata separatamente, in
maniera che le norme sulla concorrenza si applichino all'associazione soltanto quando agisce esclusivamente
nell'interesse dei suoi membri e non quando agisce nell'interesse generale;
8. ricorda alla Commissione che le finalità della regolamentazione dei servizi legali sono la protezione dell'interesse
pubblico, la garanzia del diritto di difesa e l'accesso alla giustizia, e la sicurezza nell'applicazione della legge e che per
queste ragioni non può essere conforme ai desideri del cliente;
9. incoraggia gli organismi professionali, le organizzazioni e le associazioni delle professioni legali a istituire un
codice di condotta a livello europeo, con norme relative all'organizzazione, alle qualificazioni, alle etiche
professionali, al controllo, alla trasparenza e alla comunicazione, per garantire che il consumatore finale dei servizi
legali disponga delle garanzie necessarie in relazione all'integrità e all'esperienza e per garantire la sana
amministrazione della giustizia;
10. invita la Commissione a tenere conto del ruolo specifico delle professioni legali in una società governata dallo
Stato di diritto e ad effettuare un'analisi esaustiva del modo in cui operano i mercati di servizi legali nel momento in
cui la Commissione propone il principio "minore regolamentazione, regolamentazione migliore";
11. invita la Commissione ad applicare le norme sulla concorrenza - ove opportuno, nel rispetto della giurisprudenza
della Corte di giustizia;
12. considera che gli interessi pubblici che prevalgono sui principi della concorrenza dell'Unione europea si trovano
nel sistema legale dello Stato membro in cui le norme sono adottate o producono i loro effetti, mentre non esiste un
criterio d'interesse pubblico della UE, comunque lo si voglia definire;
13. invita la Commissione a non applicare le norme sulla concorrenza dell'Unione europea in materie che, nel quadro
costituzionale dell'UE, sono lasciate alla competenza degli Stati membri, quali l'accesso alla giustizia, che include
questioni quali le tabelle degli onorari che i tribunali applicano per pagare gli onorari agli avvocati;
14. sottolinea che i preesistenti ostacoli alla libertà di stabilimento e alla libertà di fornire servizi per le professioni
legali sono stati in teoria efficacemente rimossi dalle direttive 1977/249/CEE, 98/5/CE e 2005/36/CE; rileva
comunque che la verifica sarà realizzata fra due anni e attende con interesse questa approfondita valutazione;
15. ritiene che le tabelle degli onorari o altre tariffe obbligatorie per avvocati e professionisti legali, anche per
prestazioni stragiudiziali, non violino gli articoli 10 e 81 del trattato, purché la loro adozione sia giustificata dal
perseguimento di un legittimo interesse pubblico e gli Stati membri controllino attivamente l'intervento di operatori
privati nel processo decisionale;
16. considera che l'articolo 49 del trattato e le direttive 2005/36/CE e 77/249/CEE regolano il principio del paese di
destinazione da applicarsi alle tabelle degli onorari e alle tabelle obbligatorie per gli avvocati e altri operatori delle
professioni legali;
17. considera che l'articolo 45 del trattato deve essere applicato pienamente alla professione di notaio di diritto civile
in quanto tale;
18. invita la Commissione a considerare con attenzione i principi e le preoccupazioni espresse in questa risoluzione
nell'analisi delle norme che regolano l'esercizio delle professioni legali negli Stati membri;
19. incoraggia le organizzazioni professionali a continuare a sviluppare le proprie attività nel settore del patrocinio
giuridico, al fine di garantire che ognuno abbia il diritto ad ottenere consulenza e assistenza legali;
20. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione alla Commissione
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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
APPELLO DELL’AVVOCATURA
AL CAPO DELLO STATO
A S.E. il Presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano
Palazzo del Quirinale
Roma
Illustre Presidente,
sul sito web del Governo è stato pubblicato il riassunto del provvedimento che nella seduta di ieri il Consiglio dei Ministri
ha deliberato di introdurre nelle forme del decreto-legge . Il decreto recherebbe “nuove norme sulla concorrenza e i diritti
dei consumatori” . A quanto si può apprendere dal riassunto di un testo che non è stato neppure pubblicato nella sua versione
integrale:
saranno abolite le tariffe delle prestazioni professionali degli avvocati
saranno consentiti accordi con i clienti rivolti a premiare il risultato della prestazione
saranno rimossi i limiti alla pubblicità commerciale previsti nel codice deontologico forense
saranno introdotte altre disposizioni in contrasto con la disciplina attuale della professione forense, che la Corte
costituzionale, anche in sentenze recentissime, ha considerato non solo conforme al dettato della Carta repubblicana ma
presidio del diritto di difesa dei cittadini.
L’annunciato decreto-legge si pone in contrasto con l’articolo 24 della Costituzione e con l’articolo 15 della Carta dei diritti
fondamentali dell’ Unione europea. Il decreto penalizza gravemente gli avvocati e i cittadini, di cui si dice dovrebbe tutelare
gli interessi. Esso è parte spuria di un disegno organico di riforma delle professioni che avrebbe dovuto essere discusso e
concertato secondo le prassi democratiche, e comunque contraddice il programma di governo sulla amministrazione della
giustizia. La soppressione delle tariffe forensi avrà l’effetto di aumentare i costi di accesso ai tribunali e di favorire le
disuguaglianze, a dispetto della funzione istituzionale dell’ Avvocatura , da sempre presidio dello Stato di diritto. La
soppressione dei limiti alla pubblicità avrà inoltre l’ effetto di consegnare l’ Avvocatura al mercato, a dispetto della dignità e
della competenza. Il danno arrecato al Paese dal decreto-legge sarà dunque irreparabile.
L’ Avvocatura non ha altri rimedi se non rivolgersi a Lei perché non apponga la Sua firma al decreto, in modo da
consentirne emendamenti prima che esso entri in vigore. Ove non si ponesse mano alle modifiche più opportune volte a
prevenire l’evidente incostituzionalità del provvedimento, l’ Avvocatura sarà costretta a rivolgersi alla Corte di Strasburgo
perché siano difesi i diritti fondamentali dei cittadini italiani pregiudicati da misure asseritamente liberalizzanti ma in realtà
portatrici di disuguaglianza sociale.
A questo appello, dettato da evidenti ragioni d’urgenza, seguirà una nota in cui Le sottoporremo considerazioni più
dettagliate di ordine tecnico a sostegno del Suo auspicato intervento.
Confidando nella Sua benevola e attenta valutazione , Le porgiamo molti deferenti ossequi,
Guido Alpa
Roma, 1 luglio 2006
3
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
COMUNICATO STAMPA
Il Consiglio Nazionale forense,
preso atto degli emendamenti presentati dal Governo al testo del Dl 4 luglio 2006,n. 223,
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rilevato che essi se possibile peggiorano il trattamento giuridico delle professioni e in particolare della professione forense;
rilevato altresì che anche per gli emendamenti proposti non vi è stata una puntuale consultazione del CNF e delle altre
componenti dell’ Avvocatura;
richiamate le proprie delibere, circolari e precisazioni, nonché i reiterati inviti a tutte le Istituzioni competenti perché si
adoperassero al fine di emendare dal testo ogni profilo non corrispondente ai valori della dignità, della indipendenza e della
competenza dell’ avvocato;
rinnova l’invito al Parlamento:
- a stralciare , nella legge di conversione, il testo dell’articolo2 , anche in considerazione della Risoluzione del Parlamento
europeo assunta il 23 marzo 2006 , dell’imminente deposito delle pronunce della Corte di Giustizia delle Comunità europee
riguardanti la disciplina delle tariffe, dell’approvazione della direttiva sulla libertà di circolazione dei servizi;
- in considerazione di ciò a mantenere in vita il sistema tariffario attuale e il divieto del patto di quota-lite in attesa degli
adempimenti sopra indicati e della riforma organica della professione forense ;
- a rinviare la disciplina della pubblicità informativa ai codici deontologici ;
- a conservare l’autonomia deontologica delle professioni e in particolare il potere normativo in questo settore riconosciuto
al CNF sia dalla Corte costituzionale sia dalla Corte Suprema di Cassazione;
- ad escludere per gli avvocati la partecipazione a società diverse da quelle già previste dalla legge in forma di STP ad essi
esclusivamente dedicata;
- ad avviare quanto prima il processo di riforma della disciplina delle professioni, e in primis la riforma della professione
forense.
Confida nella attenzione delle Camere sugli effetti economici e sociali prodotti dal testo del decreto e dagli emendamenti ad
esso proposti , che ricadranno in danno dei consumatori, e pure in danno alla amministrazione della giustizia, alla quale il
CNF e tutte le componenti dell’Avvocatura intendono continuare ad apportare il proprio fattivo e solerte contributo.
4
Per la storia dell’ Avvocatura in Italia
Atti del primo Congresso giuridico italiano
Roma, 25 novembre-8 dicembre 1872
(Edizioni Il Mulino, Bologna, 2006, tomi II).
1. La Collana dedicata alla storia dell’ Avvocatura si arricchisce con questi tomi di un documento eccezionale, la
riproduzione degli Atti del primo Congresso Giuridico Italiano tenuto a Roma nel 1872. Si tratta di un documento
eccezionale per molti motivi. In primo luogo, perché per la prima volta, dall’ Unità d’ Italia , completata con l’annessione
dello Stato della Chiesa, l’ Avvocatura italiana celebrava la sua prima corale assise. In secondo luogo, perché l’ Avvocatura
riaffermava il suo ruolo istituzionale nella costruzione dell’ Unità. In terzo luogo, perché i contenuti del Congresso non
erano autoreferenziali, in quanto l’ Avvocatura si faceva carico dei problemi del Paese, piuttosto che tutelare i propri
privilegi. Ciascuno di questi aspetti assumeva allora – ed assume oggi, a distanza di centotrentaquattro anni – un significato
simbolico, oltre che un significato pratico.
Gli Avvocati italiani provenivano dai diversi Stati preunitari. In questa Collana si sono già pubblicati - e sono in
corso di pubblicazione, o sono stati progettati – volumi che riflettono lo stato dell’ Avvocatura in una Italia divisa
politicamente e per tradizioni locali. La cultura giuridica era però in larga parte unitaria: variavano le leggi locali, ma era
unitaria la cultura, cioè la terminologia, i concetti, le forme, il ragionamento e le argomentazioni. Si trattava di una cultura
teorica e pratica, e proprio dalla prassi – delle memorie, dei pareri, degli atti difensivi, dei manuali , delle traduzioni di
contributi stranieri – si era formata una sorta di koiné che agevolava i contatti e gli scambi tra Avvocati appartenenti agli
Stati indipendenti, e alle province ancora sotto la dominazione straniera. Questa koiné era alimentata dalla lingua italiana,
dal diritto romano come tramandato dai grandi giuristi di epoca medievale e rinascimentale, dalle opere dell’ ingegno degli
Avvocati che applicavano la tradizione alla soluzione delle questioni concrete. Per la prima volta al Congresso giuridico tutti
parlavano non solo la stessa lingua, ma si apprestavano a praticare le stesse regole, di diritto sostanziale e di diritto
processuale.
Il significato simbolico è collegato anche al fatto che , a differenza di altre professioni, l’ Avvocatura ha sempre manifestato
un vincolo di appartenenza, che proviene da molti fattori. L’essere l’ Avvocatura , in ogni Paese dell’ Occidente, uno dei
cardini dello Stato di diritto, ed essere anche il corpo che tutela i diritti, sia in via processuale, sia in via stragiudiziale.
L’essere l’ Avvocatura il mezzo con cui si promuove il diritto, in quanto l’ Avvocato apprende e trasmette, ma soprattutto
praticamente e culturalmente assolve un ruolo propulsivo nella edificazione dell’ordinamento giuridico. Chiamare a raccolta
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gli Avvocati italiani significava dare un segnale, all’ Avvocatura, alle istituzioni del Paese, ai cittadini che l’Avvocatura era
presente, intendeva collaborare alla determinazione delle sorti del Paese, intendeva progettare, insieme con le altre
istituzioni, una macchina della giustizia che premiasse i diritti e gli interessi emergenti dalla società civile . L’ Avvocatura si
proponeva come valvola di mediazione e trasmissione tra quei diritti e quegli interessi e gli interlocutori deputati a
governarli: il Parlamento, l’ Esecutivo e, soprattutto, la Magistratura. La noblesse de robe finiva così per perdere l’orpello di
classe, in cui era stata incastonata nell’ Ancien Régime, si immergeva nella società civile, si faceva portatrice delle sue
istanze. Ma si dava nel contempo delle regole, di organizzazione e di natura deontologica, affidate agli Ordini forensi. Il
ruolo istituzionale e quindi politico degli Ordini - ricordato al Congresso di Bari per il CXXX anniversario della loro
istituzione – si fondava su valori indelebili, l’indipendenza e l’autonomia, la correttezza e la professionalità. La continuità
nell’osservanza di questi valori è la prova , storica e morale, che l’ Avvocatura italiana non è venuta meno alla sua promessa
iniziale.
2.
Questi tomi sono un documento storico raro, perché – salve le copie eventualmente presenti negli archivi degli
Ordini forensi – l’unico esemplare reperibile è custodito presso la Biblioteca Nazionale. Da quell’esemplare, attraverso una
complessa opera di riproduzione di cui siamo grati alla Casa editrice, si sono tratte le copie ora messe a disposizione degli
Ordini, delle componenti associative forensi, dei singoli Avvocati , degli studiosi di storia e di quanti, volendo comprendere
il significato autentico delle premesse dei molteplici ruoli assolti oggi dagli Avvocati, desiderino collocare nel tempo le
origini dell’Avvocatura nazionale.
La riproduzione è completa e fedele: gli Atti riportano nella successione cronologica con cui furono consegnate le
“tesi” e le relative discussioni. Il Congresso fu preparato da un comitato, in allora il “circolo legale di Roma”, alla fine del
1871 , da una Commissione , e dal Comitato promotore in cui compaiono i più bei nomi dei giuristi del tempo, avvocati e
professori universitari, spesso membri della Camera dei Deputati o del Senato del Regno.
Il Congresso , a cui si era assegnato un regolamento provvisorio, prevedeva la discussione di sette tesi: la prima
riguardava la pena di morte e la pena a vita, tema allora particolarmente avvertito; la seconda si preoccupava della brevità
del processo penale ( preoccupazione divenuta cronica); la terza, la istituzione dei giurati; la quarta alcune riforme del
processo civile ( problema cruciale ancor oggi) all’insegna del proposito di scegliere le regole che “garantiscono con minor
fastidio e spesa i diritti dei litiganti”; la quinta era dedicata all ’esercizio della professione e ala sua rappresentanza, alla
revisione delle tariffe giudiziarie e i diritti fiscali ( tema oggi vivissimo, sia per la richiesta disciplina della professione
forense sia per i problemi di diritto comunitario che riguardano i servizi legali); la sesta i conflitti di giurisdizione ( ancor
oggi aperti, soprattutto a seguito della ridefinizione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo); la settima, le
riforme dell’ordinamento giudiziario italiano ( anche queste, oggi, discusse, sia per il testo approvato di recente, sia per i
regolamenti attuativi).
Le tesi sono illustrate – nella prima parte dell’opera – attraverso le relazioni conclusive. La seconda parte riproduce
la discussione: ed è straordinariamente interessante seguire, pagina per pagina, non solo le fini analisi e le argomentazioni
proposte dagli intervenuti, notare il loro elevato livello culturale, la preoccupazione di combinare tradizione e modernità, ma
anche la cura con cui ciascuno di preoccupa di difendere il bene comune, ben lungi dal rivendicare privilegi, agevolazioni,
attenzioni particolari. L’ Avvocatura dell’ inizio del nuovo Stato avvertiva un alto senso di responsabilità, e si allontanava da
ogni logica corporativa che poteva averla contrassegnata nei secoli precedenti.
3.
La messe dei temi, degli argomenti, delle osservazioni – quasi un mondo che si apre ricevendo luce in tutte le sue
articolazioni dalla pagina stampata e finalmente accessibile – è ricchissima. I toni spesso sono accesi, perché la nostra è una
professione vigile, reattiva, critica. M ciò che spira da ogni intervento è la consapevolezza di portare alla commissione e poi
alla platea un contributo costruttivo.
Soprattutto, è una corale dimostrazione che l’ Avvocatura aveva ben presenti i problemi sociali, ben presenti i
problemi dell’ammodernamento del sistema giuridico, ben presenti i problemi concreti della amministrazione della giustizia.
Da quel momento nasceva l’impegno a riconvocarsi, periodicamente, con nuove regole, democratiche e rappresentative,
all’insegna dell’ unità.
Può apparire sconfortante che molte questioni ancor oggi siano sul tappeto ( con altre forme, ma presentando la
medesima sostanza) , che gli auspici emersi dal Primo Congresso giuridico non si siano tutti realizzati. Ma questa è la Storia,
che avanza con i suoi progressi e i suoi regressi, con i suoi ideali e con le sue cadute, con le sue promesse e con le sue
smentite.
Agli Avvocati italiani, agli Ordini, alle variegate componenti associative forensi, la pubblicazione di questi tomi
deve allora suonare come un monito e dare una speranza. Il monito è che solo l’unità di intenti, il coordinamento delle
iniziative e dei programmi può consentire all’ Avvocatura di esprimere tutte le sue potenzialità e di continuare a rivestire il
ruolo essenziale che la Storia le ha consegnato. La speranza – avvertita in primis dal Consiglio Nazionale Forense , che ha
avviato le ricerche sulla storia dell’ Avvocatura – è che nell’ unità si continui a tener fede ai valori originari, per non
demeritare rispetto all’impegno, alla levatura, alla responsabilità che i nostri Padri ci hanno additato con gli Atti del loro
Primo Congresso.
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Alpa, Relazione di apertura del XXVIII Congresso nazionale forense: «Amministrare la Giustizia: gli Avvocati per
governare il cambiamento», in Rass.forense, 2006, I,1.
xxvi[ii] Garzoni, La piazza universale di tutte le professioni del mondo, Venezia, 1585 (alla voce «Avvocati»), rist.
Olschki,Firenze, 1996.
xxvii[iii] “Fabbrica del programma”, p. 53.
xxviii[iv] Luzzati, La politica della legalità.Il ruolo del giurista nell’età contemporanea, Bologna, 2005; Hazard e Dondi,
Etiche della professione legale, Bologna, 2005; Malinvaud, Introduction à l’étude du droit, Parigi, 2006, p. 378 ss.;
Cranston, How Law Works.The Machinery and Impact of Civil Justice, Oxford, 2006; Zuckerman (ed.), Civil Justice in
Crisis: Comparative Perspectives of Civil Procedure, N.Y., 1999.
xxix[v] Sul punto v. Colavitti, Segreto professionale e diritto di difesa , tra obblighi “antiriciclaggio” e tradizioni
costituzionali (note in margine al giudizio promosso dinanzi alla Corte di Giustizia dalla Cour d’Arbitrage belga,
relativamente alla direttiva 2001/97/CE, in Rass.forense, 2006,I, p. 127 ss.
xxx[vi] The Law Society, Draft Legal Services Bill-Joint Committee consideration.Supplementary submission from the Law
Society, 19 June 2006, a proposito del Draft Legal Services Bill elaborato dal Department for Constitutional Affairs del
24.5.2006, voleggeI, Report, Londra, 25.7.2006
xxxi[vii] V. già la Comunicazione [COM (2001) 0130 def.] che espone la Relazione intermedia della Commissione al
Consiglio europeo di Stoccolma-Migliorare e semplificare l’ambiente regolamentare.
xxxii[viii] Commissione c. Granducato del Lussemburgo, causa C-193/05
xxxiii[ix] Graham J.Wilson c. Ordre des avocats du barreau de Luxemburg, causa C-506/04
xxxiv[x] Elias, La società degli individui, Bologna, 1990
xxxv[xi] In questo senso Dezalay, I mercanti del diritto, Milano, 1997; e, criticamente, nella vastissima letteratura, v. da
ultimo Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale, Diritti civili ed economici in crisi, Milano, 2006; Ferrarese, Diritto
sconfinato.Iniziativa giuridica e spazi nel mondo globale, Roma-Bari, 2006Bauman, Vita liquida, Roma-Bari, 2006, p. 84
ss.
xxxvi[xii] V. i material raccolti nella Parte Quinta della Rass.forense, 2006, p. 667 ss.
xxxvii[xiii] Come dimostra il dibattito avviato sulle riviste :ad es., Mercato, concorrenza, regole, Rivista di diritto privato ,
Contratto e impresa, e così via, negli anni 2005 e 2006.
xxxviii[xiv] V. Labitalia.Il lavoro adesso, notizia pubblegge da ADNKronos, il 28.3.2006
xxxix[xv] V. ad es. Altroconsumo, n.183 , giugno 2005; Comunicato stampa del 5.7.2006
xl[xvi] È la linea da sempre seguita dal CNF:da ultimo v. Codici deontologici e autonomia privata, Milano, 2006
xli[xvii] Per l’ appunto nel testo inglese si parla di contractual relations .
xlii[xviii] Ministero dello Sviluppo Economico, Cittadino consumatore.Nuove norme sulla concorrenza e i diritti dei
consumatori ( nel sito web).
xliii[xix] A cominciare dai rapporti della Banca mondiale degli investimenti: in materia v. i saggi raccolti dall’ Association
H.Capitant, Les droits de tradition civiliste en question.A’ propos des Rappoorts Doing Business de la Banque Mondiale,
Parigi, 2006
xliv[xx] Intervento del Ministro Guardasigilli su Il Sole 24 Ore (Associazioni e Ordini garanti della formazione,
16.9.2006,p.23).
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xlv[xxi] V. Corte Costituzione, sentenza n.405 del 2005
xlvi[xxii] Nei diversi progetti presentati nel corso della XIV legislatura ed ora all’inizio della XV si incontrano diverse
formulazioni, ma tutte sono orientate a distinguere nettamente gli ambiti di materie distinti , riservati, tipici, qualificanti o, se
si vuole “attratti” alla sfera di competenza delle professioni riservate. La competenza delle Associazioni professionali vale
dunque “per esclusione”.
xlvii[xxiii] V. le Relazioni predisposte dai Consiglieri del CNF e previste nel programma congressuale nel seguente ordine:
avv. Agostino Equizzi, Federico Italia, Pierluigi Tirale, Alessandro Bonzo,Giorgio Orsoni , Giuseppe Bassu, Nicola Bianchi
, Ubaldo Perfetti, Francesco Morgese,con l’intervento dell’avv. Pietro Ruggeri, coordinatore del Centro di formazione; e v.
le Relazioni scritte degli avv. Consiglieri C.Vermiglio, Aldo Loiodice, Alarico Mariani Marini, Carlo Martuccelli, Antonio
De Michele (in collaborazione con Massimo Melica) , Eugenio Cricrì, Lucio Del Paggio, Bruno Grimaldi.
xlviii[xxiv] V. per tutti Carbone (S.M.), Lo spazio giudiziario europeo in materia civile e commerciale.Da Bruxelles I al
regolamento CE n. 805/2004, V ed. in collegge Con Amalfitano e Tuo, Torino, 2006; Micklitz, The Politics of Judicial
Cooperation in the EU, Cambridge, 2005
xlix[xxv] Per una rassegna di queste problematiche rinvio ai lavori della Commissione del CNF coordinata dall’avv.
C.Vermiglio in collaborazione con gli avv. Monticelli, Stillo e Traversa.
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XXVVIII Congresso nazionale forense – II sessione
Roma 21 – 24 settembre 2006
Gli Avvocati lottano per il loro futuro
di Alessandro Cassini – Presidente Ordine Avvocati di Roma
Dal 21 al 24 settembre migliaia di Avvocati si incontreranno a Roma per partecipare al XXVIII
Congresso Nazionale Forense. Si tratterà di un evento di straordinaria importanza nel quale verranno
avanzate proposte per un nuovo assetto dell’Ordinamento Professionale e si cercherà di convincere il
Governo a recedere dalla inaccettabile linea finora seguita. Più in particolare, gli Avvocati
riaffermeranno princìpi che da sempre costituiscono il fondamento della loro deontologia e che sono
stati messi a repentaglio dalla c.d. riforma Bersani. Liberalizzare la pubblicità e abolire i minimi
tariffari significa infatti incidere profondamente sulla possibilità di continuare ad improntare i rapporti
tra gli Avvocati e con i clienti a lealtà e correttezza. Gli Avvocati, con grande fermezza e utilizzando
argomenti inconfutabili, hanno intenzione di far capire ai politici e ai Cittadini, che la scelta del
professionista forense deve essere affidata ad un giudizio sulle sue effettive capacità e non piuttosto alla
pubblicità, a volte ingannevole, che egli può farsi per attirare i favori della clientela. Ugualmente,
tenteranno di far comprendere a tutti l’importanza che hanno i parametri tariffari precostituiti per legge
quale garanzia per i Cittadini e limite invalicabile nelle convenzioni tra Professionisti ed Enti oppure
Istituzioni. Essi non si limiteranno a criticare il Governo e a chiedere che receda da quanto ha già
deciso. Di fronte al pericolo che sopravvengano mali peggiori, quali l’abolizione dei Consigli
dell’Ordine o addirittura degli esami di Avvocato, opporranno un netto rifiuto e proporranno soluzioni
aderenti ai veri interessi dei Cittadini e alla situazione nella quale versa attualmente la Categoria. E
daranno vita a un dibattito serrato con il quale spiegheranno il significato di quanto è scolpito nella
prima pagina del programma congressuale e cioè: “Gli Avvocati lottano per il loro futuro”. Sono certo
che alla fine gli interlocutori capiranno. Tale mia convinzione si fonda sulla ovvia considerazione che il
rimedio all’aumento esponenziale del numero degli iscritti non può essere costituito da una
indiscriminata “apertura dei cancelli” a chiunque sia munito di una laurea in Giurisprudenza. Ed inoltre,
che logica elementare e buonsenso impongono di ritenere più aderente alle reali ed attuali esigenze una
riforma che imponga un rigoroso controllo della pratica professionale e sbarramenti universitari e
postuniversitari intesi a limitare il numero di coloro ai quali sarà consentito partecipare all’esame di
Avvocato. Al termine del confronto, che durerà qualche giorno e vedrà la partecipazione di tutte le
componenti dell’Avvocatura e di migliaia di Avvocati provenienti da tutta Italia, politici e
rappresentanti dei consumatori saranno costretti ad ammettere che è necessario ridurre
progressivamente il numero degli iscritti e che l’Avvocato del futuro dovrà essere altamente
specializzato, avere grande professionalità e, soprattutto, sacrosanto rispetto dei limiti tariffari e, in
genere, di tutte le regole deontologiche. Conseguentemente, dovranno riconoscere l’importanza
fondamentale e irrinunciabile dei Consigli dell’Ordine quali Organismi preposti al controllo sul rispetto
di questi valori oltreché alla tutela dei Cittadini di fronte al pericolo di eventuali abusi da parte di
professionisti senza scrupoli. Il dibattito congressuale, che vedrà l’impegno di varie commissioni e, fra
l’altro, una tavola rotonda sul futuro dei Consigli dell’Ordine, metterà a confronto due filosofie che si
fronteggiano e fra le quali è tempo di scegliere:
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- quella, secondo la quale l’Avvocato esercita un’attività imprenditoriale e in quanto tale è libero di far
leva sulla pubblicità e sull’offerta di prezzi sempre più bassi;
- l’altra, secondo la quale il Cittadino ha il diritto di aspirare ad avere un legale preparato, selezionato,
obbligato a dimostrare con i fatti le proprie capacità e ad attenersi a tariffe previste dalla legge.
Al termine, capiremo se gli attuali Governanti intendono oppur no rispettare quel diritto di difesa che
l’art. 24 della Costituzione continua a considerare come “inviolabile”. È infatti evidente che l’immagine
di un Avvocato svilito perché equiparato a un qualunque commerciante inciderebbe irrimediabilmente
sull’effettivo esercizio di tale diritto. Continuo a sperare però che la ragione prevalga sulle spinte
demagogiche che hanno finora determinato le scelte del Governo. La forza degli argomenti è
irresistibile. Anche perché potenziata da oltre 170.000 Avvocati graniticamente uniti nel sostenerli! Il
Consiglio dell’Ordine di Roma sarà in prima fila: non soltanto in quanto ospitante, ma soprattutto in
quanto pronto a dare un prezioso contributo con proposte elaborate da tempo. Quella che amo definire
“l’Assemblea delle Assemblee” eviterà inutili passerelle all’eterna ricerca di un Organismo
rappresentativo e affronterà, sia pure con imperdonabile ritardo, i veri problemi che riguardano il
futuro, anzi la stessa sopravvivenza della Categoria.
A tutti, auguro un proficuo lavoro coronato dal raggiungimento di quei traguardi che costituiscono
l’obiettivo comune.
Ai Consiglieri Conte, Testa, Fasciotti e Gianzi e al personale del Consiglio che insieme a me
organizzano lo storico evento, un grazie di cuore.
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DIRITTO E GIUSTIZIA
Una sospensione tira l'altra e gli avvocati puntano alla Bersani
Sospendere il decreto Bersani e sedersi attorno ad un tavolo per riaprire il dialogo sulle riforme.
Gli avvocati non cedono, ieri alla presentazione della seconda sessione del XXVIII Congresso
nazionale forense, i rappresentanti della categoria hanno mostrato un fronte più che mai unito contro il
provvedimento che viene considerato «gravemente lesivo di principi costituzionali come il diritto di
difesa». Il presidente del Consiglio dell’Ordine di Roma (organizzatore dell’evento)Alessandro
Cassiani, il presidente del Consiglio nazionale forense Guido Alpa, il presidente dell’Organismo
unitario dell’avvocatura Michelina Grillo e il presidente della Cassa forense Maurizio De Tilla
presentando i lavori hanno duramente criticato l’esecutivo di Centrosinistra per le modalità con le quali
il decreto è stato presentato, discusso e approvato.
«Il decreto Bersani va cancellato o sospeso» ha detto il presidente della Cassa forense Maurizio De
Tilla, appena tornato da un viaggio istituzionale in Cina. «Il Congresso dovrà prendere iniziative forti –
ha continuato De Tilla - si potrà parlare di una riforma della professione solo dopo la sospensione del
decreto; se l’esecutivo persevererà nel suo atteggiamento di chiusura ci sarà uno scontro durissimo». Il
presidente della Cassa forense ha quindi richiamato la categoria a stringersi a corte «sostenendo e
ringraziando l’Oua per la battaglia che sta portando avanti» perchè chi non lo farà non avrà capito la
gravità del momento. Se non ci sarà un’inversione di tendenza si aprirà per il presidente della Cassa una
stagione di grandi iniziative fatte di «scioperi bianchi e manifestazioni di piazza».
«Se ci si muove per sospendere una riforma dell’Ordinamento giudiziario – ha aggiunto Michelina
Grillo - ritenuta dai magistrati lesiva della loro autonomia e indipendenza non vedo perché non si possa
sostenere di sospendere questo provvedimento che è lesivo dell’autonomia degli avvocati. A differenza
dei magistrati però, noi veniamo trattati con sarcasmo».
I rapporti si sono inaspriti poi con l’iniziativa annunciata martedì sera dal ministro per lo Sviluppo
Pierluigi Bersani di interpellare l’Antitrust sulla circolare del Cnf riguardante le modalità per la
pubblicità degli avvocati. «Abbiamo cercato di dare un’interpretazione alla legge – ha ribattuto ieri
Alpa – e la circolare non ha valore vincolante, ma ritengo che non si possa parlare di pubblicità
veritiera se prima non si attuano le specializzazioni». Alpa e tutta l’avvocatura vorrebbero inoltre capire
le strategie dell’esecutivo: «non c’è una linea unitaria all’interno del governo così come non c’è
sintonia tra governo e Parlamento». Se ci fosse stato un dialogo costruttivo, probabilmente il presidente
del Cnf Alpa, avrebbe potuto illustrato i motivi per i quali non si può pensare ad una disciplina identica
per tutti gli avvocati dei paesi europei, dal momento che, ad esempio, esiste una tradizione latina ed una
anglosassone. Oppure avrebbe spiegato perché prima di parlare di pubblicità bisognerebbe parlare di
specializzazione dell’avvocato. «Abbiamo ripreso il cammino delle riforme – ha detto ieri Alpa – con le
audizioni presso il ministero della Giustizia, durante le quali abbiamo precisato che l’avvocatura è
pronta alle modifiche necessarie per l’ammodernamento del mercato, salvaguardando però i quattro
principi fondamentali che sono alla base della professione e cioè l’indipendenza, l’autonomia il decoro
e la qualificazione. L’avvocatura è il cardine dello stato di diritto e quindi della tutela dei cittadini».
La battaglia dell’avvocato italiano non è una battaglia di retroguardia, ha aggiunto il presidente
dell’Oua Michelina Grillo, ma è una battaglia contro un provvedimento che anziché puntare alla
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vera liberalizzazione «ha tagliato fondi alla giustizia, perché questo è stato fatto con l’articolo 21
del decreto Bersani». Contro una legge che ha indebolito i valori costituzionali portando ad una
deriva della giurisdizione, Grillo ha invitato l’avvocatura deve avere «un colpo d’ala, uscire
dall’angolo dove la vogliono relegare».
All’unitarietà dimostrata dai vertici della categoria però si contrappone l’Anpa, l’associazione dei
giovani legali italiani, che non solo ha deciso di non partecipare al Congresso ma ha definito
«comico e farsesco il tentativo dell’Oua di ovviare alla mancanza dell’associazione dei giovani
avvocati» citando la presenza dell’Aiga (Associazione italiana giovani avvocati). Una associazione,
secondo l’Anpa «presieduta da avvocati cassazionisti». «Noi conosciamo la reale
rappresentatività delle associazioni – ha ribattuto ieri Grillo – e sappiamo anche che i giovani
avvocati sono preoccupati». L’Aiga, da parte sua ha inviato al ministro una lettera con la quale
esprime tutta la delusione per i contenuti del provvedimento, invitandolo al confronto pubblico in
occasione della prima conferenza nazionale sulla tutela dei giovani professionisti (la lettera è
integralmente leggibile tra i documenti correlati).
A tutti, ma soprattutto al Governo, Michelina Grillo ha quindi rivolto un invito: «Chi ha la
ricetta giusta per normalizzare la categoria venga a discutere con l’avvocatura».
Durante il primo giorno di lavori, comunque, il presidente del Cnf Guido Alpa ha incassato la
solidarietà del presidente della commissione Giustizia del Senato Cesare Salvi per essere stato oggetto
di attacchi solo per aver difeso l’autonomia dell’avvocatura. Salvi ha inoltre sottoscritto la cautela dello
stesso Alpa nell’importare in Italia modelli stranieri: «Si corre il rischio – ha detto Salvi – della
mercatizzazione di tutto con l’effetto di ottenere la prevalenza del più forte, del più ricco e del più furbo
e non prevalenza del diritto». Non solo, per Salvi «lo stesso problema di indipendenza e autonomia che
si pone per la magistratura si ripropone allo stesso modo per l’avvocatura». Dichiarazioni, quelle di
Salvi, che avvalorano più di una tesi di Alpa: da quella dell’importazione dei modelli stranieri alla
diversità di vedute all’interno della maggioranza. Solo il sottosegretario Luigi Li Gotti, pur
appartenendo alla categoria ha incassato non pochi fischi dell’assemblea, e parlando di tariffe ha
ricordato la procedura di infrazione avviata nei confronti dell’Italia per violazione del Trattato europeo:
«Se non vogliamo parlare di queste cose, se non ci vogliamo confrontare con le leggi esistenti e con gli
obblighi, non affrontiamo il problema e mettiamo la testa sotto la sabbia». L’apertura al confronto c’è,
ha risposto Alpa ma appunto, proprio in tema di tariffe, prima di prendere iniziative legislative «sarebbe
stato più opportuno aspettare le pronunce dell’Europa». (p.a.)
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ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA
Organismo unitario avvocatura italiana
Documento approvato dall’Assemblea del 15-17 settembre 2006
L’Assemblea dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana, riunita in Anzio nei giorni 15/17 settembre 2006,
uditi
i contenuti della relazione politica svolta dal Presidente, in merito all’intervenuta conversione in Legge del c.d. Decreto
Bersani, alle iniziative di mobilitazione e di protesta attuate ed in corso da parte dell’Avvocatura e di tutte le professioni, all’
oramai prossimo svolgimento della seconda sessione del XXVIII Congresso Nazionale Forense,
preso atto
della linea politica indicata per l’azione a svolgersi nell’ambito del Congresso Forense, e più in generale in tema di politica
delle professioni e della Giustizia,
approva
la relazione del Presidente e le iniziative tutte poste in essere dal Presidente e dalla Giunta a tutela e salvaguardia dei
principi fondamentali della professione forense e del diritto di difesa di cui essa è custode e tutrice, per espresso dettato
costituzionale;
rivendica
a merito della ferma e costruttiva azione politica condotta dall’Organismo Unitario dell’Avvocatura, in una costante e
quotidiana dialettica con le forze politiche di ambo gli schieramenti, i risultati positivi ottenuti, ancorchè obiettivamente
modesti e del tutto insufficienti a fornire adeguate risposte ai motivati rilievi, puntualmente esposti nelle note critiche
tempestivamente diffuse dalla Giunta, e del tutto alieni dall’accoglimento delle proposte formulate, anche con riferimento
agli aspetti fiscali, pure contenuti nel censurato provvedimento;
esprime altresì le seguenti considerazioni
La valutazione negativa che l’Avvocatura ha inteso mantenere nei confronti dell’intervento normativo di cui al decreto legge
cd. Bersani anche dopo la sua conversione con alcune modifiche al testo originario, trae il suo fondamento dalla
considerazione che le limitate, seppur apprezzabili, revisioni operate dalla legge di conversione non cancellano affatto il
giudizio di contrarietà al metodo ed al merito della nuova normativa.
Ciò, non solo per la parte che più direttamente riguarda la professione forense - abolizione dei divieti di pubblicità, del patto
di quota lite e della obbligatorietà del sistema tariffario -, per la quale appare comunque giustificato, contro ogni
demonizzante e comunque falsa accusa di corporativismo, difendere i legittimi interessi ed i diritti degli avvocati e dei
professionisti in generale che ne sono stati, per l’effetto, gravemente compromessi; ma anche e soprattutto, per l’incidenza
che la nuova legge ha sulla giurisdizione e quindi sul concreto esercizio della domanda di giustizia, che, secondo la
previsione dell’articolo 24 della Costituzione che la prevede e la garantisce, si declina a mezzo della difesa tecnica e perciò
con l’ineliminabile apporto degli avvocati.
Una incidenza tesa ad ulteriormente limitare ed in qualche caso ad annullare la capacità di risposta giurisdizionale all’istanza
di giustizia, di cui sono indice:
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- la riduzione dei fondi statali destinati al comparto giustizia;
- la eliminazione dell’anticipazione a mezzo di Poste Italiane SpA dei costi di giustizia tra cui gli emolumenti dei Giudici di
Pace e i compensi per i difensori d’ufficio e dei non abbienti e per i consulenti tecnici di ufficio;
- la tracciabilità dei compensi professionali che, sulla scorta del fumus persecutionis di chi ha individuato nel professionista
un potenziale evasore “a prescindere”, ha notevolmente aggravato gli incombenti amministrativi degli studi e la gestione dei
rapporti con il cliente.
L’Avvocatura italiana, peraltro, malgrado ogni accusa che le è stata strumentalmente rivolta, non ha mai inteso – come
attesta tutta la sua storia - protestare solo a difesa dei suoi pur legittimi diritti, ma anche e soprattutto, quale garante
costituzionale del diritto di difesa, a tutela della giurisdizione.
A chi si è vantato di avere tenuto volutamente nascosto il testo del decreto, nottetempo portato all’approvazione del
governo; a chi si è appropriato all’interno della stessa compagine governativa di competenze proprie di altri dicasteri, i cui
titolari non hanno né conosciuto né partecipato alla stesura di quello stesso testo supinamente accettandolo; a chi, dopo
avere vantato nel proprio programma elettorale il metodo della concertazione, ha rifiutato il dialogo o anche solo l’ascolto,
prima, durante e dopo la lavorazione legislativa della novella; a tutti costoro l’Avvocatura italiana risponde di avere da
tempo compreso che la prospettiva perseguita non è limitata ai ristretti ambiti della legge 248/06.
Appare chiaro, infatti, che la filosofia dell’iniziativa è orientata e finalizzata a sferrare un forte ed inusitato attacco ad una
intera parte del tessuto socioeconomico del nostro paese, di cui le professioni e la piccola e media imprenditoria – aggredita
nella stessa logica di sfavore fiscale - sono la nervatura sociale, in una malcelata e financo dichiarata volontà di favorire
alcune parti sociali a danno di altre, quasi in una rivisitata forma di lotta di classe da terzo millennio.
Il tutto con l’aggravante di avere usato termini falsificanti, di asserita liberalizzazione e di tutela delle classi sociali più
deboli per introdurre, invece, politiche di affidamento ad oligopoli dei servizi professionali, con il risultato finale non solo di
aumento dei loro costi, ma anche di controllo dirigistico in danno della indipendenza ed autonomia dei soggetti sociali
professionali ed imprenditoriali.
È questa la ragione per cui gli avvocati non si sentono e non sono soli in questa battaglia di libertà, di presidio delle libertà
concrete in cui si esplica la vita di chi non vuole essere un mero mercante delle proprie conoscenze e professionalità, di chi,
pur vantando la propria qualità di lavoratore – e precisamente di lavoratore della conoscenza - ne ascrive la dignità anche
alla capacità di non essere coartato in alcun modo nella declinazione sociale di tale sapienza professionale.
Gli avvocati hanno, poi, la convinzione e l’ambizione di essere l’avanguardia della lotta che tutte le professioni hanno con
fermezza intrapreso a tutela di sé e dei propri beneficiati, e cioè dei cittadini che fruiscono dei loro servizi.
Tanto con la ferma consapevolezza che le forme dell’esercizio professionale pur debbano adeguarsi alle mutate esigenze
della società aperta e globalizzata e che, altresì, debbano aggiornarsi gli ordinamenti che presiedono al concreto esercizio
della professione.
Consapevolezza che per anni ha portato l’avvocatura, durante legislature di diverso colore politico, a richiedere, sollecitare
ed attendere invano una riforma delle professioni, che appare oggi più che mai essere l’unica modalità di intervento capace
di dare una risposta organica e di sistema a tali esigenze di modernizzazione cui non ci si intende sottrarre e che da tempo si
rivendica.
Non si pretende, ovviamente, né di dettare, in modo autoreferenziale, la riforma delle professioni, né di costringere altri alla
concertazione, ma solo di affermare come imprescindibile il colloquio preventivo che sappia far conoscere al legislatore la
realtà da normare e valorizzare l’apporto di contributi e di esperienza che tale colloquio consente, nell’ottica non già di
prevaricare ma di comprendere le effettive esigenze e peculiarità delle categorie oggetto di intervento.
Non può essere accettata, quindi, né ora né in futuro, una modalità di intervento che privilegi “blitz” notturni ad un corretto e
fisiologico, dialettico e costruttivo rapporto con le forze economicosociali, e tra esse con le professioni e con l’Avvocatura.
E non va sottaciuto che qualsiasi intervento riformatore che non incida realmente ed in modo efficace e determinante sulla
soluzione dei problemi che affliggono la giustizia suona oggi come una tragica farsa.
Che cosa, infatti, ha a che fare con le sbandierate concorrenza e liberalizzazione il deciso taglio delle risorse economiche
destinate al funzionamento della giustizia?
Che cosa ha a che fare con la concorrenza e la liberalizzazione l’aumento indiscriminato del contributo di iscrizione a ruolo
per le controversie amministrative, se non si interviene poi per modificare la natura ormai esclusivamente cautelare della
giustizia amministrativa e per evitare che il giudizio di merito intervenga dopo anni ed anni dal fatto?
E perché questo governo, sensibile a suo dire alle aspettative sociali, ha in tal modo colpito senza alcuna distinzione sia il
cittadino costretto a difendersi da un torto subito da un ente pubblico che la grossa impresa, estromessa magari da un appalto
milionario?
Che cosa ha a che fare con la concorrenza e la liberalizzazione l’attuale perdurante impossibilità per i giovani avvocati di
ottenere il compenso della loro attività professionale per le difese officiose svolte in conseguenza del blocco dei pagamenti
tramite anticipazione delle Poste?
Quella giovane avvocatura i cui interessi questa compagine governativa e il decreto Bersani pur dicono di voler favorire.
La verità è che a distanza di quasi cinque mesi dal varo della nuova legislatura questa maggioranza non ha, in modo serio,
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messo mano a nessuna delle iniziative in materia di giustizia esposte nel programma elettorale, né, a voler seguire le
dichiarazioni del ministro, sembra che tale intenzione vi sia.
Ed è a dir poco provocatorio sentire il ministro affermare :
- che il problema delle inammissibili lungaggini della giustizia civile si risolve intervenendo sul sistema delle impugnazioni,
riducendole contro ogni ragionevolezza;
- che in Italia si fanno troppe cause con un costo insopportabile;
- che insostenibile è il costo delle difese di ufficio;
- che occorre prevedere il modo ed il sistema di ovviarvi ipotizzando la creazione di appositi uffici (questo sempre e si fa per
dire per favorire i giovani avvocati);
- che gli ordini professionali vanno di fatto sostituiti “da un organismo pubblico a composizione interministeriale e costituto
presso il ministero della Giustizia”.
E se questo è lo stato dell’arte, se si continua cioè a ritenere che per la giustizia le risorse economiche dello Stato devono
necessariamente essere e restare limitate, se si continua a restare in attesa di conoscere quanta parte del contributo unificato
di iscrizione a ruolo va alla Giustizia e quanta parte, invece, alla fiscalità generale dello Stato, se si continua ad ingannare
l’opinione pubblica attribuendo all’avvocatura inesistenti responsabilità nella oramai cronica crisi della giustizia, se nessuna
seria iniziativa si intravede nella direzione di una drastica ed urgente inversione di rotta, se tutto questo è vero, l’avvocatura
italiana ha validissimi motivi, oltre ed a prescindere da quelli scaturenti dal decreto Bersani, per protestare e gridare la
propria indignazione.
L’avvocatura italiana, che da tempo si è volontariamente prestata in opera di sostituzione e surrogazione nell’esercizio della
giurisdizione, con i giudici onorari di Tribunale ed i giudici onorari aggregati, opera tanto preziosa quanto misconosciuta, e
che, in ossequio alla sua rilevanza costituzionale, si è adoperata e si adopera nella gestione delle difese di ufficio e nel
patrocinio dei non abbienti – rilevanti funzioni di tutela e garanzia e di indubbia rilevanza sociale -, è stanca di essere per
contro pregiudizialmente additata come categoria che, vessando “il cittadino consumatore”, evade le tasse. E soprattutto è
stanca di assistere alla catastrofe giudiziaria italiana.
E l’avvocatura italiana è stanca anche di essere oggetto di “indecenti” ed abusate accuse, come quella fatta propria anche da
autorevoli rappresentanti della odierna maggioranza, secondo i quali “la lite più pende, più rende”, con la conseguenza che
l’avvocato italiano avrebbe motivo per far durare le cause all’infinito e, quindi e paradossalmente, sarebbe – esso e solo responsabile della irragionevole durata dei processi, delle innumerevoli condanne subite dallo Stato in Europa, dello stato di
perenne indagine, prossima al vero e proprio “commissariamento”, disposta dagli organi comunitari sul malfunzionamento
del sistema giustizia italiano, che di fatto non consente più il corretto esplicarsi di tale fondamentale funzione dello Stato di
diritto.
In altri termini, è questo il momento in cui non è più possibile continuare a sopportare senza far nulla e, quindi, vi sono tutti
i motivi per proseguire l’agitazione e la mobilitazione in atto, anche attraverso l’adozione di diversificate forme di protesta
oltre all’astensione dalle udienze, mezzo estremo cui si è dovuto far ricorso, e tra esse la ferma richiesta, in ogni foro, a che
sia rispettata rigidamente la legge: ad esempio pretendere ossequio rigoroso di tutte le norme che disciplinano il processo
(dalla presenza ed assistenza del Cancelliere nelle udienze, al divieto dello svolgimento di attività giurisdizionale da parte di
soggetti diversi da quelli previsti dalla legge e dalla Costituzione, ad ogni altra forma di gratuita supplenza anche di carattere
materiale).
In aggiunta a ciò ci si propone di valutare l’opportunità – oggi consentita proprio dalle avversate disposizioni del decreto
Bersani – di attuare una volta al mese, quantomeno finchè permarrà l’attuale stato delle cose, una “giornata dell’avvocatura
per la tutela dei diritti”, nella quale fornire consulenza gratuita ai cittadini, adeguatamente pubblicizzata, diffondendo
nell’occasione un documento che succintamente e chiaramente evidenzi l’interesse primario dell’utente a sostenere in prima
persona le ragioni della protesta.
Resta ferma, in ogni caso, la volontà dell’Oua di attuare, a tutela e salvaguardia degli avvocati italiani, dei diritti e valori,
anche di rilevanza costituzionale, di cui sono custodi, e di principi irrinunciabili, salvaguardati anche a livello europeo, tutte
le iniziative ritenute opportune in ogni sede giurisdizionale, sia nazionale che comunitaria.
L’Avvocatura, quindi, a fronte di visioni riduttive e limitanti, scarsamente rispettose del dettato costituzionale, riafferma il
proprio ruolo di garante professionale e necessario per la tutela dei diritti, per l’esercizio della difesa e per la composizione
dei contrasti in un ambito di civile, dialettica e corretta convivenza.
La seconda sessione del XXVIII Congresso Nazionale Forense – cui significativamente parteciperanno tutte le componenti
dell’Avvocatura - rappresenterà nei prossimi giorni l’occasione per offrire agli interlocutori ed all’opinione pubblica
elementi reali di analisi e di riflessione, unitamente a proposte concrete di intervento, sia nel settore delle professioni e
dell’ordinamento forense, che in tema di Giustizia in generale, al fine di evitare che i cittadini siano più a lungo e
volutamente indotti, contro i propri interessi, a valutare negativamente ed a svilire le ragioni dell’avvocatura italiana.
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Associazione italiana giovani avvocati
Lettera aperta al ministro per lo Sviluppo Economico, On. le Pierluigi Bersani.
Inviata dal presidente dell’Aiga Valter Militi il 15 settembre 2006
Illustre Sig. Ministro,
nei mesi che hanno preceduto le elezioni del nove aprile, tutte le forze politiche impegnate nella
competizione elettorale si sono rivolte con insistenza ai giovani, facendosi interpreti di una
questione giovanile da tempo irrisolta.
Grande è stata la delusione alla lettura delle disposizioni contenute nel decreto che porta il Suo
nome, strumentalmente presentate come misure introdotte anche in nome dei giovani professionisti,
le cui aspirazioni sarebbero frustrate dalla esistenza di tutta una serie di restrizioni alla concorrenza.
Al contrario “gli abnormi numeri dell’avvocatura italiana (quasi 160.000 avvocati) ci dicono che il
problema non è affatto, come per altre professioni, quello di una maggiore apertura alla
concorrenza, ma di come garantire l’indipendenza, la professionalità e la responsabilità di
professionisti così decisivi per la tutela di diritti primari dei cittadini”: parole tratte dal programma
dei Ds, sottoscrivibili in toto, con la “piccola” precisazione che il trend numerico è in continua
crescita e già oggi gli avvocati raggiungono il numero di 175.000!
La sconfessione di un programma di governo, unitamente alla mancanza di concertazione, ha fatto
sì che il percorso di conversione in legge del decreto da Ella fortemente voluto sia stato
caratterizzato dalla netta opposizione delle categorie maggiormente interessate dalla riforma, le
quali hanno vissuto l’iniziativa del Governo come un atto vessatorio nei loro confronti.
Non sono mancate, all’interno delle suddette categorie, voci in controtendenza poiché è normale
che, nella dialettica democratica, certe scelte legislative possano essere condivise da alcuni e
criticate da altri. Purtroppo, é altrettanto normale che espressioni favorevoli al provvedimento siano
state decisamente condizionate da un mero interesse di bottega, tanto economico quanto di effimera
visibilità politico-mediatica.
Alla luce di queste ovvie considerazioni, non appare democratica la rappresentazione in termini
dispregiativi, da parte delle forze politiche di maggioranza e della quasi totalità dei mezzi di
informazione, delle organizzazioni maggiormente rappresentative che hanno inteso manifestare il
proprio motivato dissenso, quasi fossero la zavorra dell’economia italiana della quale questo Paese
deve disfarsi per potere confidare in una ripresa del ciclo produttivo.
Peraltro, non si è trattato di un disagio strumentale espresso da categorie che non godevano di
solidarietà tra i deputati della stessa maggioranza: se così fosse, non sarebbe stato necessario
blindare la riforma chiedendo al Parlamento un voto di fiducia che azzerava il parere della
Commissione Giustizia del Senato della Repubblica.
Nonostante tutto, il decreto è divenuto legge e con le nuove norme i professionisti italiani si stanno
misurando già da alcune settimane.
È logico, quindi, che possano sorgere questioni applicative, a legislazione vigente, con il
conseguente intervento interpretativo del Consiglio Nazionale Forense, organo istituzionalmente
deputato alla vigilanza sulla Deontologia Professionale.
Se l’iniziativa del Consiglio Nazionale Forense sia legittima o meno non sta a noi dirlo, certo è, che
Ella, reagendo in modo quasi infastidito, ha confermato nei più il sospetto che la riforma abbia un
profondo radicamento ideologico sotto le mentite spoglie del messaggio generazionale, rilanciato
nella recentissima intervista al Sole 24 Ore attraverso la precisazione che dalla circolare del Cnf
avrebbe preso le distanze la associazione dei giovani avvocati.
Ma quale associazione? Non l’Associazione Italiana Giovani Avvocati che, forte della
rappresentanza di 12.000 iscritti in tutto il territorio nazionale, non si è espressa né a favore né
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contro la suddetta circolare ma, semmai, in questi mesi ha criticato costruttivamente una riforma
che, incidendo su alcuni limitati aspetti del lavoro intellettuale, è stata varata anche in nome
dell’interesse dei giovani senza neppure ascoltarli.
E duole constatare che questo metodo sembra esserLe particolarmente caro se Ella, continuando ad
evocare i giovani avvocati, con la storica e maggiormente rappresentativa associazione dei Giovani
Avvocati non dialoga solo perché potrebbe pensarla diversamente.
Naturalmente, coerenti con le regole democratiche, siamo pronti al pubblico confronto di idee in
occasione della 1° Conferenza Nazionale sulla Tutela dei Giovani Professionisti, significativamente
intitolata “La primavera delle professioni: immaginare per competere insieme”, che stiamo
organizzando insieme ai Giovani Dottori Commercialisti per il 20 e 21 Ottobre a Bergamo, ove Ella
sarà graditissimo ed ascoltato ospite. Siamo infatti consapevoli che la maggiore centralità dei servizi
nel sistema economico del nostro paese ha avviato un profondo processo di trasformazione dei ceti
intellettuali, favorendo l’affermazione di nuove professionalità ed influendo sulle modalità di
svolgimento delle attività tradizionali. Come Giovani, siamo interessati a guardare in avanti, e,
quindi, prima di altri, ad immaginare il nostro futuro.
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DIRITTO E GIUSTIZIA
Le magnifiche sorti (progressive) del praticante in Spagna, Francia e Inghilterra
Qual è la situazione del praticante avvocato in Francia, oppure in Gran Bretagna, regno del diritto
anglosassone ed infine in Spagna, paese più vicino al nostro diritto latino?
In occasione della manifestazione «Avvocati in festa», organizzata dal Consiglio dell’Ordine di
Bologna, un movimento spontaneo di giovani avvocati e praticanti di questo Foro ha avanzato una serie
di domande che hanno portato anche alla proposta di un contratto-tipo tra i titolari degli studi legali e i
giovani avvocati e praticanti. Questo studio è stato messo nero su bianco (integralmente leggibile tra i
documenti correlati) e suddiviso in tre parti dove la prima presenta le tre diverse realtà europee, la
seconda illustra la possibilità di configurare un contratto-tipo tra avvocato e avvocato collaboratore di
Studio nonché tra avvocato e praticante abilitato al patrocinio (suggerendo le conseguenti modifiche da
apportare all’ordinamento professionale) ed infine la terza dove vengono riportate le bozze di possibili
contratti tra le avvocato e praticante.
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Analisi in merito alla posizione e al trattamento dei praticanti e dei giovani avvocati nel Regno Unito
(Avv. Alessandro Magliari)
Nel Regno Unito, nonostante le spinte verso una liberalizzazione del mercato dei servizi legali proveniente dagli ambienti
comunitari, l’opinione pubblica e le stesse istituzioni non hanno mai espresso particolari critiche all’impostazione
consegnata alla tradizione, né è stato rilevato dalle statistiche che l’attuale situazione, contraddistinta da retaggi del passato,
abbia creato vincoli o ostacoli alla concorrenza nel settore o alla affermazione degli stessi professionisti.
Vediamo in dettaglio come è la situazione nei diversi ordinamenti dello stato.
1. Inghilterra
Due sono le figure principali: A) soiicitor (circa 60.000) e B) barrister (circa 6.000), le cui funzioni sono diverse come
altresi la formazione professionale.
1.1 Solicitor
‘Funzioni: svolge varie funzioni giuridiche e giudiziarie, come (i) quella del notaio (responsabile delle formalità di
trasferimento di immobili e delle successioni), pur se non svolge le funzioni di pubblico ufficiale, (ii) quella di avvocato (di
norma esercita il suo patrocinio presso le Corti inferiori, le c.d. County Courts, tribunali regionali di prima istanza, e le
Magistrates Courts, Corti in cui si giudicano le controversie minori in materie penali, ma dal 1990 se in possesso di apposita
autorizzazione, possono patrocinare anche innanzi a Corti superiori) e (iii) quella di consulente giuridico.
Formazione divisa in più fasi: a) teorica, b) professionale, c) pratica.
Supervisori di tale formazione, la Law Society, il Lord Chancellor’s Department, il Ministero della Giustizia.
a. teorica: (Academic Stage of Training) formazione di tipo universitario che prevede la laurea in giurisprudenza o altra di
livello equivalente, per la quale, ai fini della equiparazione, è fondamentale lo studio di materie giuridiche. In tal caso,
l’aspirante soficitor può ottenere l’equivalente della laurea in giurisprudenza seguendo un corso annuale (full-time) o
biennale (part-time) e, a conclusione dello stesso, sostenere il Common Professional Examination (CPE), che permette di
accedere sia alla professione del solicitor che alla professione di barrister, o iscriversi a un corso di legge post-laurea. Tali
corsi perseguono il fine di fornire agli studenti un insegnamento relativo a materie, quali trasferimenti immobiliari,
successioni, contabilità, diritto societario, diritto del lavoro, diritto dei consumatori, procedura civile e procedura penale,
considerate fondamentali dalla Law Society al fine del superamento dello stadio accademico.
Vocational Stage of Training: fase teorica ulteriore a cui si accede solo dopo aver ottenuto dalla Law Society, un certificato
che attesti la conclusione e il buon esito dello stadio accademico.
b. professionale (The Legai Practise Course LPC): Ali’ LPC si accede dopo aver ricevuto un certificato di iscrizione, il
Certificate of student Enrolment, sempre dalla Law Society.
Ha durata di un anno (full-time) o di due-tre anni (part-time).
È tenuto da 27 istituti controllati dalla Society con disponibilità di 8.000 posti circa.
Il corso abbina insegnamenti teorici a esercitazioni pratiche (redazioni di documenti), nonché colloqui e consulenze.
c. pratica (Training Contract): ultimo passo al fine di divenire membro della categoria del solicitor. Ha durata di due anni
(full-time) quattro (part-time) da compiersi presso lo studio di un solicitor o di uno studio associato (autorizzati dalla Law
Society).
Il tirocinante, che deve essere ricompensato con un minimo salariale che non deve scendere al di sotto della somma stabilita
dalla Law Society, è obbligato a frequentare un ulteriore corso, il Professional Skilis Course (PSC) che ha ad oggetto i
seguenti insegnamenti.
1) Financial e Business Skilis; 2) Advocacy e Communication Skilis; 3) Ethics e Client Responsabilities.
Formazione permanente: obbligatoria per tutti i solicitors ed è corrispondente a venti ore di corso, ogni anno organizzata dal
College of Law.
Per avvocati stranieri, lo stesso College ogni anno organizza, per soli venti posti e con finanziamento di borse di studio da
parte del British Councii, una formazione in diritto inglese della durata di sei mesi.
Costo della formazione: gli studenti universitari sono assistiti da borse di studio; tali sovvenzioni sono discrezionali per il
corso relativo a studi ulteriori. Molti studi, però si fanno carico della formazione dei propri praticanti.
1.2 Barrister
Funzioni: è patrocinante innanzi alle Corti Superiori; non ha contatto diretto con il cliente, se non tramite il solicitor che si
occupa della pratica legale; è, inoltre, consulente giuridico e giudiziario.
Formazione divisa in più fasi: a) teorica, b) professionale, c) pratica.
a. teorica: identica a quella del solicitor; i diplomi di laurea e del CPE consentono l’ammissione al Council of Legai
Education (CLE), unico centro di formazione per Barrister.
Gli allievi - barristers devono iscriversi ad un Inn (i quattro collegi in cui sono organizzate le Chambers, gli
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studi degli avvocati), al fine di poter proseguire la formazione, seguendo il Vocational Stage.
b. professionale: si può completare tale seconda fase, che precede la chiamata al Bar, in due modi: coi Bar Vocational
Course (BVC) o coi Bar Examination. Il BVC, scelto dallo studente che intende esercitare la pratica professionale come
membro del Bar d’Inghilterra e del Galles, consiste in un corso di preparazione all’esercizio della professione legale, teso a
fornire la conoscenza e le tecniche idonee ad affrontare lo stadio successivo del pupiliage, attraverso insegnamenti teorici
cui sono abbinati esercizi pratici (redazione di documenti, incontri e colloqui coi clienti, etc ... ).
Il corso è tenuto dalla Inn of Court School of Law a Londra e, dal 1997, anche da altri istituti presenti in altre parti del paese.
Abolita, dal 1989, la formula dell’esame conclusivo, gli studenti affrontano prove scritte e orali durante l’arco della durata
del corso.
Il Bar Examination, strada prescelta da coloro che vogliono qualificarsi per la chiamata al Bar, ma non intendono esercitare
la professione come membri del Bar d’Inghilterra e del Galles, si compone di sei prove scritte di cui quattro obbligatorie e
due scelte da una lista di sette prove facoltative. Tale esame può essere sostenuto quattro volte al massimo.
Ammissione al Bar: va preceduta dall’intervento da parte dello studente a un certo numero di dining terms, ossia periodi di
tre settimane durante i quali gli studenti partecipano a delle cene insieme ai barrister nelle sale degli Inns.
L’ammissione ha luogo in determinati giorni dell’anno fissati da ciascuna Inns of Court per i propri studenti; si tratta di una
cerimonia solenne (Cali Day), durante la quale i componenti del corpo deputato al governo dell’inns proclamano barrister gli
studenti che hanno concluso l’iter formativo previsto, attraverso la consegna di un diploma.
c. pratica: denominata Pupiliage, è della durata di dodici mesi. Nei primi sei mesi di tirocinio non pratico, il pupil lavora
sotto la supervisione di un dominus, nei successivi sei mesi di tirocinio pratico, lo stesso può patrocinare in autonomia e
percepire i relativi compensi. Il pupil ha, in tale periodo, l’obbligo, al fine del rilascio di un documento che attesti l’avvenuto
pupiilage e abiliti all’esercizio della professione, di seguire altri due Corsi: l’Advocacy training course e l’Acivice to
Counsel course. Tenaney: ultimo passo dopo il pupillage. Tenant è quel pupil che riesce ad ottenere una occupazione
permanente come barrister, il che è, però, molto difficile, vista la grande competizione e il limitato numero delle Chambers.
Chi fallisca ai primo tentativo può iniziare un terzo semestre di pupillage, nella speranza di riuscire a conclusione di questo.
2. Irlanda del Nord
Un centro studi presso la Quenn University di Belfast si occupa della preparazione di 70 solicitors e 20 barrister, previo
esame di ammissione.
3. Scozia
Conseguito il batchelor of law degree, l’aspirante deve conseguire il Legai Pratice, stage della durata di un anno presso una
delle 5 università del paese, finanziate solo in parte dalla Law Society of Scotiand. La frequenza di tale corso è
indispensabile per l’ammissione all’Ordine degli Advocates.
Successivamente, occorre un periodo di pratica presso lo studio di un solicitor o sotto la vigilanza di un solicitor presso un
ente pubblico.
4. Irlanda
Formazione professionale: dura 3 anni, durante i quali il praticante lavora presso un solicitor, per almeno otto ore al giorno
dietro compenso di un minimo salariale inter- professionale.
a. 3 mesi di pratica presso lo studio di un avvocato;
b. 5 mesi di frequenza ai corsi organizzati dai Consigli dell’Ordine;
e. 18 mesi come praticante presso lo studio di un avvocato;
d. 6 settimane di frequenza ad altro corso organizzato dagli stessi Consigli.
Terminata la formazione, l’aspirante può chiedere l’iscrizione all’Albo degli Avvocati, senza bisogno di alcun esame.
Analisi dell’esperienza francese in merito alla posizione e al trattamento dei praticanti e dei giovani avvocati
(Dott. Fabio Montalto)
1. Considerazioni introduttive
La spinosa problematica della formazione e defl’accesso alla professione forense rappresenta a tutt’oggi nel nostro paese
una ferita aperta, un terreno accidentato ricco di insidie, di contraddizioni e di disparità che arrecano, soprattutto a chi,
giovane aspirante ad indossare la toga, molteplici pregiudizi, provocando un costante senso di sfiducia e disorientamento
nell’approccio alla professione.
L’attuale stato delle cose, considerato mai definitivo e appagante, ha generato e genera un dibattito assai vivace, senza
peraltro aver sortito movimenti di riforma soddisfacenti, idonei a riordinare la materia secondo canoni improntati alla
chiarezza e ad un effettivo arricchimento formativo e professionale di praticanti e neoavvocati.
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Neppure l’Europa è riuscita a produrre, per il momento, un ordinamento professionale forense comunitario e non vi sono in
questa direzione nè Regolamenti nè Direttive, se si esclude il Regolamento n. 2137/85 sul G.E.I.E. e le tre direttive tese a
facilitare: (i) l’esercizio effettivo transfrontaliero della libera prestazione di servizi da parte degli avvocati n. 77/249/CEE,
attuata in Italia con Legge n. 31/1982; (ii) il mutuo riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanciscono
formazioni professionali della durata minima di tre anni (n. 89/48/CEE, attuata in Italia con D.Lgs. n. 11511992), non
riguardante la sola professione di avvocato; (iii) il diritto di stabilimento degli avvocati (n. 98/05/CEE del 16.2.1998).
Nel nostro paese, il regime di esercizio professionale concernente il range anagrafico ricompreso tra i 25 e 35 anni circa si
svolge in un contesto organizzativo di studi strettamente gerarchizzati, separato dalla possibilità di acquisizione di
contitolarità o partecipazione associativa. Quindi, è possibile che un giovane avvocato permanga a lungo all’interno di uno
studio senza alcuna prospettiva concreta di progressione interna e con un basso potere contrattuale legato alla propria
posizione economica.
Tale meccanismo frustra non solo le aspettative di retribuzione del giovane professionista, ma anche una adeguata
acquisizione dell’intero ventaglio delle capacità professionali, non individuabili semplicemente nello svolgimento delle
mansioni essenziali assegnate dall’alto, ma pure in una sempre crescente preparazione, nonché nelle attitudini relazionali (ad
es. nei confronti dei clienti) ed organizzative, limitate dalla eccessiva piramidalizzazione degli studi legali.
Posto che pare sin troppo audace pensare all’associazione professionale del neo-avvocato appena entrato a far parte di uno
studio legale per conferirgli maggiori garanzie, è pur lecito interrogarsi circa l’opportunità che tali rapporti trovino una pur
minima regolamentazione, cercando di affrancarsi dalla conseguenza fondamentale che la subordinazione tout-court provoca
ad oggi, cioè un rapporto di lavoro precario e nella sostanza di tipo para-impiegatizio.
2. L’esperienza francese
2.1 Il sistema universitario
Rebus sic stantibus, sembra allora interessante introdurre nel dibattito elementi provenienti da ordinamenti esteri, per
analizzarli ai fini di una proposta di riforma dell’ordinamento attualmente in vigore in Italia.
L’esperienza francese costituisce un modello degno di attenzione a partire dal sistema universitario, fino a giungere alla
collocazione delle nuove leve di avvocati.
H sistema universitario francese è strutturato in quattro anni, ma suddiviso in tre tappe fondamentali: (i) il D.E.U.G. che si
compone dei primi due anni di università, la cui frequenza è obbligatoria; (ii) la Licence, il terzo anno di università,
completato il quale si può ottenere un diploma intermedio, simile per molti versi alla nostra laurea breve; (iii) la maitrise,
che costituisce la chiusura del quadriennio degli studi.
Fin qui le differenze non sarebbero rilevanti se non si considerasse che molti corsi universitari, quantomeno quelli relativi
agli esami più importanti, sono sottoposti al regime del contróle continu, attraverso i travaux dirigés (lavori gestiti) dal
docente. In pratica, si tratta di lezioni a frequenza obbligatoria in cui viene regolarmente testata la preparazione degli
studenti attraverso interrogazioni a sorpresa o con test scritti stabiliti dal docente. Il risultato è chiaramente quello di un
apprendimento continuo e più organico della materia da parte degli allievi, non relegato alle ultime due settimane di studio
matto e disperatissimo.
2.2 Formazione e accesso alla professione
Per quanto attiene l’accesso alla professione d’avvocato, esso è disciplinato dalle disposizioni contenute negli articoli 11 e
seguenti della legge 1130/71, modificata dalla legge 1259/90 e dalle disposizioni del Dl 1197/91.
La Legge prevede che nessuno può accedere alla professione se non vengono rispettate alcune condizioni.
Condizioni relative alla nazionalità:
essere cittadino francese, di uno stato membro o facente parte dell’accordo sullo spazio economico europeo o anche di uno
stato non appartenente a tali comunità o a tale spazio economico, che consenta ai francesi di esercitare, sotto le stesse
condizioni, l’attività professionale che l’interessato si propone di esercitare in Francia, o avere la qualità di rifugiato o di
apolide riconosciuta dall’apposito ufficio francese.
Condizioni di competenza:
la Legge rende obbligatorio il conseguimento del diploma di maitrise in giurisprudenza, ma tuttavia prevede dei titoli
equivalenti al diploma, come ad es. il dottorato in diritto, diplomi di studi superiori di scienze giuridiche ed altri titoli
onorari, nonché delle dispense dal conseguimento del diploma per chi è membro del Consiglio di stato o magistrato della
Corte dei conti, professore universitario di discipline giuridiche ecc..
Sono previste inoltre condizioni di moralità e incompatibilità.
2.3 La formazione si articola in tre fasi
Il giovane in possesso di diploma o titoli equivalenti deve chiedere l’ammissione ad uno dei centri regionali di formazione
professionale per avvocati (CRFPA), previo esame scritto e orale. Tali centri sono creati presso ciascuna Corte d’Appello e
gestiti da un Consiglio di amministrazione composto in maggioranza da avvocati. Ognuno di questi centri è Istituto di diritto
pubblico con personalità giuridica ed ha compiti molteplici, come quello di partecipare alla redazione del certificato di
attitudine per la professione di avvocato, di assicurare la formazione professionale dell’avvocato, di controllare le condizioni
di svolgimento della pratica, di assicurare la formazione permanente degli avvocati e il conseguimento dei certificati di
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specializzazione. L’esame di accesso al centro è denominato PRE-CAPA, comporta prove scritte e orali ed è organizzato
dalle Università; non ci si può presentare a tale esame per più di tre volte. La prova orale verte su materie concernenti la
tutela delle libertà e dei diritti fondamentali.
Una volta ammesso, il candidato riceve dal centro una formazione teorico-pratica per un periodo di circa 12 mesi, composto
da una formazione di base di circa 500 ore, comprensive dello studio della deontologia professionale (80 ore), delle tecniche
processuali (60 ore), della comunicazione orale (40 ore), di una lingua straniera (40ore). per un minimo do di 360 ore.
Per coloro che non sono in possesso di un diploma di studi superiori o specializzati è previsto un periodo di formazione
complementare che consta di un minimo di 300 ore.
Alla fine della formazione cosi ricevuta, l’allievo deve superare il c.d. certificato di attitudine alla professione di avvocato
(CAPA). Dopo ciò, dietro presentazione delridonea documentazione, egli potrà richiedere l’iscrizione al Consiglio
dell’ordine, verrà iscritto in una lista di stage composta dai Consiglio dell’ordine e dovrà prestare giuramento davanti alla
Corte D’Appello. Questa nuova pratica dura due anni e il CRFPA si assicura che il candidato partecipi ai lavori, agli usi e
alla pratica della professione e frequenti le udienze. La pratica può essere compiuta anche presso lo studio di un notaio, di un
avvocato straniero o di un revisore dei conti presso la Corte d’Appello, un Tribunale o un’Amministrazione pubblica. Lo
stagiaire, iscritto nella lista della pratica, può compiere tutti gli atti della professione e, alla fine del suo stage, il CRFPA gli
consegna il certificato di fine pratica.
3. Inserimento nel mondo del lavoro
Viene da guardare alla recente esperienza francese in materia e alla implementazione, favorita tra l’altro dall’ampiezza dei
poteri regolamentari del Conseil National des Barreaux, di figure professionali del tutto innovative, quali l’avocat
collaborateur e l’avocat salarié.
Il primo è inserito in uno studio legale, senza vincolo di subordinazione, con l’obbligo di prestare una parte del proprio
impegno professionale a favore dello studio stesso. Egli riceve una quota prefissata dei compensi relativi alle pratiche
trattate e ha diritto a sviluppare una propria clientela, senza l’obbligo di concorrere, per un periodo iniziale, alle spese di
gestione dello studio.
li secondo, in realtà, versa ad ogni effetto in regime di subordinazione, è tenuto a prestare la propria attività in esclusiva a
favore dello studio stesso e non ha facoltà di sviluppare clientela propria. Ma, nonostante il regime di stretta subordinazione
che non lo distinguerebbe in nulla dalla sostanza del regime professionale italiano, a tale rapporto si applicano oltre che un
contratto collettivo nazionale, che definisce in dettaglio il trattamento economico e normativo, e le disposizioni generali in
tema di rapporto di lavoro subordinato, con le garanzie connesse.
Lo sguardo all’esperienza transalpina non vuole chiaramente connotarsi né di intenti meramente comparatistici, né vuole
rifarsi al cliché tutto italiano di guardare all’erba del vicino reputandola immancabilmente più verde, ma mi chiedo una cosa:
certamente, il recepimento di figure professionali simili necessita di una riflessione profonda, poiché comporterebbe una
seria rivisitazione di principi sedimentati nel tempo, ma un problema come quello di un dignitoso inserimento dei giovani
nella classe forense, agitato da molto e, in concreto, da molto esistente e strisciante, non ha fino ad ora prodotto significativi
mutamenti di rotta. Gli unici tentativi, forse, più gattopardeschi che non altro, hanno mirato ad una riforma dell’esame di
stato senza sopperire davvero alle mancanze del sistema. i problemi esaminati sono ancora sul tappeto con la stessa urgenza
di prima ed il recente decreto Bersani diventato bersaglio di violenti proteste subito dopo la sua emanazione, ha ritoccato
solo alcuni aspetti marginali della questione qui dibattuta, non apportando le ormai ineludibili riforme strutturali, che forse
renderebbero davvero competitivo un settore inflazionato e professionalmente stressato, ai limiti della sostenibilità.
È necessario un filtro all’entrata indiscriminata negli albi di svariate migliaia di neo-avvocati ogni anno, tant’è che dalla
riforma entrata in vigore nel 1994, l’aumento degli iscritti è stato vertiginoso: dai 60.000 pre-riforma ai 170.000 circa attuali,
di cui molte decine di migliaia non iscritti alla Cassa nazionale forense. Il forte senso di precarietà che domina in questi anni
ha investito anche l’ambito della professione d’avvocato, tanto da spingere vere moltitudini di candidati a sostenere l’esame
più per conseguire un titolo da spendere che per fare l’avvocato. La speranza è quella che al più presto questa tendenza si
inverta rivalutando il concetto della figura dell’avvocato e del mondo forense.
Analisi dell’esperienza spagnola in merito alla posizione e al trattamento dei praticanti e dei giovani avvocati
(Dott. Nicolò Tabanelli)
1. Considerazioni introduttive: la professione forense e le sfide in ambito europeo
‘‘Le leggi son, ma chi pon mano ad esse? Con questo antico brocardo ben si potrebbe riassumere la marea montante che
riguarda i temi più dibattuti del momento ed in particolare quelli che riguardano l’accesso alla professione forense e
conseguentemente la formazione professionale dell’avvocato.
Le recenti novità legislative contenute nel cosiddetto “Decreto Bersani” hanno infatti rinfocolato le polemiche
sull’impellente necessità di riformare la legge che regola l’ordinamento forense; la professione si trova infatti davanti a sfide
nuove conseguenti al rapido mutamento sociale ed economico, allo sviluppo del processo di integrazione europea e alle
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riforme istituzionali e degli ordinamenti giuridici sostanziali e processuali.
Portare come ordine professionale il proprio contributo significa, non solo cercare di garantire all’avvocatura quel salto di
qualità che le consenta di poter svolgere il ruolo fondamentale nella vita di un paese democratico che è affidato agli avvocati
per il controllo della legalità, ma anche evitare che la politica si appropri “manu militari” di spazi di autonomia
contribuendo al discredito degli ordini professionali attraverso una disinformazione tanto pervicace e tanto dannosa.
È naturale come in questo contesto l’esigenza primaria sia rappresentata da una seria e condivisa riforma sull’accesso alla
Professione forense, la quale garantisca primariamente il rispetto di criteri uniformi nella selezione dei candidati, unito ad
una seria selezione dei partecipanti che abbia come fine ultimativo quello di assicurare un livello più elevato della classe
forense nonché una migliore possibilità per gli utenti di usufruire del servizio di giustizia ed una più profonda collaborazione
con gli organi giurisdizionali.
Le richieste che provengono dall’Europa su di un adeguato sistema di preparazione e di selezione degli aspiranti avvocati
rendono pertanto utile una ricognizione sulle regole che governano la materia in alcuni paesi dell’Unione europea, per
coglierne le eventuali differenze e prendere, nel caso, le loro esperienze come modello.
Il modello del quale ci accingiamo a occuparci in questa sede è quello della Spagna, caratterizzato, senza ombra di dubbio,
da peculiarità che meritano un’attenta analisi.
2. L’accesso alla professione forense nell’esperienza spagnola
Diventare “abogado” in Spagna? Quante volte abbiamo sentito questa frase! Negli ultimi tempi sembra infatti la strada
scelta da motti giovani italiani laureati in legge per aggirare l’ostacolo dell’esame di Stato in patria. In Spagna infatti
l’accesso alla professione legale è molto più semplice: il neolaureato si iscrive all’ordine e può esercitare senza dover
sostenere un praticantato né un esame di abilitazione.
Andando ad analizzare in maniera più approfondita la disciplina dell’accesso alla professione nel paese iberico ciò che salta
agli occhi è come la situazione non sia certo delle più rosee: provando a riassumere in una frase la questione, potremmo dire
che in Spagna nulla è obbligatorio!
Per diventare “abogado” occorre (semplicemente, ci permettiamo di poter affermare):
- avere la nazionalità spagnola o di uno Stato membro dell’Unione europea o dell’accordo sullo spazio
economico europeo del 2 maggio 1992;
- essere maggiorenne e non oggetto di cause per incapacità; - essere titolare di laurea in giurisprudenza o di un titolo
straniero a questa omologato conformemente
alle norme in vigore;
- essere iscritto ad un ordine di avvocati, che è quello del domicilio professionale unico o principale, per
esercitare sull’intero territorio nazionale.
Ciò significa che in Spagna il neolaureato si iscrive immediatamente all’Ordine, essendo sufficiente il diploma di laurea e la
domiciliazione presso uno studio legale, e che il giorno dopo può difendere davanti a tutte le curie.
Bisogna rilevare il fatto che i maggiori ordini professionali organizzano corsi della durata di due anni, completamente
gratuiti e della durata di due anni, al fine di tentare di innalzare quanto meno il livello di conoscenze giuridiche per coloro
che si apprestano ad esercitare una professione delicata e “piena di insidie” come quella del legale.
La conseguenza logica della situazione testé descritta è infatti un sovraffollamento della professione e, ciò che è peggio, un
livello qualitativo professionale molto basso.
3. La “governance” dell’avvocatura spagnola
La funzione degli avvocati in Spagna è regolata dall’articolo 436 della legge organica sul potere giudiziario e dall’articolo 8
dello “Estatuto General de al Abogacia EspanoW, statuto generale della professione d’avvocato in Spagna, approvato con
decreto reale 658/2001, del 22 giugno 2001 e comprende:
- la direzione e la difesa delle parti in qualsiasi procedura giudiziaria, civile, penale, di contenzioso
amministrativo, di lavoro, militare e inoltre dinanzi ad organi amministrativi, associazioni, organismi ufficiali e professionali
ed enti pubblici di qualsiasi genere;
- dinanzi ad un ente o ad una persona privata, qualora lo esigano i suoi servizi;
- l’informazione e la consulenza giuridica;
- la rappresentazione del cliente quando non sia riservata per legge ad altre professioni.
In Spagna, si contano circa 110.000 avvocati, ma la cifra non è precisa ove si consideri che sono iscritti all’Albo anche
avvocati che non esercitano la professione.
Per quanto attiene all’organizzazione interna dell’Avvocatura spagnola, esistono 83 Collegi, con la possibilità però di
crearne del nuovi presso ciascuna provincia. Gli Organi di ogni Collegio sono: la Giunta Generale e la Giunta di Governo.
L’iscrizione ad un collegio ha carattere obbligatorio e deve precedere l’inizio dell’esercizio della professione forense; ogni
collegio poi si finanzia con i contributi versati annualmente da ciascun avvocato, unite alle entrate per il rilascio dei
certificati.
Per quanto concerne l’organizzazione ai più alti livelli, a livello centrale troviamo il Consiglio Nazionale dell’Avvocatura
spagnola, che rappresenta l’organismo coordinatore, esecutore e rappresentativo dei collegi degli avvocati; esso si compone
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del Presidente, di un Assemblea formata dai Presidenti degli 83 collegi e di un Plenario, ossia l’Assemblea integrata con altri
rappresentanti di collegi Provinciali, in relazione alla grandezza di ciascuno di essi. Tali rappresentanti sono eletti da ogni
Collegio.
Il Consiglio Nazionale ed i collegi sono dotati di piena capacità ed autonomia ed hanno personalità giuridica di diritto
pubblico.
Per quanto attiene al controllo del corretto esercizio della professione di avvocato, si deve rammentare come quella di
avvocato in Spagna sia una professione libera ed indipendente che presta un servizio alla società, non dipendente da nessun
ente pubblico e che si esercita in regime di concorrenza libera e leale (articolo 1
dello statuto generale della professione di avvocato in Spagna).
Gli avvocati sono perciò tenuti a rispettare:
- le norme legali e statutarie;
- le norme e gli usi della deontologia professionale della professione di avvocato.
Gli organismi che sorvegliano che la professione di avvocato sia esercitata correttamente, nei loro ambiti territoriali
rispettivi, sono appunto gli organismi che abbiamo citato poc’anzi:
- a livello nazionale, il “Consejo General de la Abogacia Espanota”; - a livello di regioni autonome i consigli degli ordini
degli avvocati delle regioni autonome;
- a livello provinciale, gli ordini degli avvocati di ogni provincia o località in cui esista un ordine degli avvocati.
Per quanto attiene alla remunerazione dei servizi prestati dagli avvocati, gli onorari professionali sono corrisposti in base ai
servizi prestati, secondo una remunerazione fissa periodica oppure oraria. In ogni caso è vietata la quota litis in senso stretto,
vale a dire l’accordo tra avvocato e cliente, che precede la conclusione della causa e in virtù del quale quest’ultimo si
impegna a pagare soltanto una percentuale del ricavato della causa, che si tratti di una somma di denaro o di qualsiasi altro
vantaggio, bene o valore che il cliente possa ottenere dalla causa.
L’importo può essere liberamente stabilito tra cliente e avvocato, sempre nel rispetto delle norme deontologiche e della
concorrenza leale. In caso di disaccordo tra cliente ed avvocato in merito agli onorari, è prevista una procedura
contraddittoria sottoposta alla decisione dello stesso giudice adito per causa.
Salvo accordo esplicito in senso contrario, o condanna al risarcimento delle spese processuali, per stabilire gli onorari si può
tener conto della tabella indicativa dell’ordine degli avvocati della provincia dove si effettua l’intervento, che sarà applicata
conformemente alle norme, agli usi e ai costumi dell’ordine suddetto (articolo 44 dello statuto generale della professione di
avvocato in Spagna).
Chi non abbia risorse economiche sufficienti per pagare i servizi degli avvocati e dei “procuradores” può rivolgersi a
professionisti che saranno remunerati dallo Stato.
4. Il progetto di riforma dell’avvocatura spagnola: un’opportunità tra luci ed ombre
Dunque, assonanze con il modello italiano, soprattutto per quanto attiene alla “governance” dell’organismo dell’avvocatura,
ma anche profondissime differenze, in particolare per quanto attiene alle modalità di accesso alla professione forense. E se i
problemi di dequalificazione professionale e precariato intellettuale
dei giovani avvocati sono più o meno speculari, non è certo il caso di dire “mai comune mezzo gaudio”, in quanto la
completa assenza di un qualunque filtro per l’accesso alla professione rende la situazione
spagnola addirittura meno rosea di quella italiana.
Questi i motivi per cui, ormai da tempo, i vertici dell’avvocatura spagnola stanno sottolineando l’esigenza di una pratica ed
un esame di abilitazione corrispondenti allo standard europeo.
Il Ministero della Giustizia spagnolo, a tal proposito, sta ultimando le redazione di un disegno di legge che
1 disciplinerà l’accesso alle professione di “abogado”.
L’accesso sarà subordinato al superamento di un esame nazionale di abilitazione o alla frequenza
obbligatoria con esito positivo di non meglio definiti corsi di formazione professionale.
La Commissione esaminatrice prevista dal disegno di legge sarà formata da 6 persone:
- un giudice;
- un rappresentante dell’organo di autogoverno della magistratura;
- un rappresentante del ministero della giustizia;
- un professore titolare;
- un rappresentante delle Autonomie locali;
- due avvocati.
I requisiti per essere ammessi alla prova saranno:
- nazionalità spagnola o di altro stato membro;
- disporre di un titolo di “licenciado en Derecho” o di un titolo di laurea in giurisprudenza con validità in
Spagna;
- certificazione di “aptitud profòsiona”;
- essere iscritto presso un Ordine degli avvocati in Spagna.
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E Al momento attuale, pare che la situazione di stallo venutasi a creare per i contrasti tra il Ministero di Grazia e Giustizia e
il Ministero dell’Educazione in merito a chi dei due debba regolare l’accesso alla professione si sia sbloccata e l’entrata in
vigore della legge è prevista per il 2008, ai fine di escludere dall’ambito di applicazione della stessa gli studenti che iniziano
ora gli studi quinquennali per il conseguimento del titolo di “licenciado en Derecho”.
E Coloro che già esercitano le citate attività professionali al momento dell’entrata in vigore della legge saranno dispensati
dalla prova.
Fin qui il contenuto annunciato della riforma, tutto il resto (contenuti della prova, corsi di formazione professionali
accreditati, operatività della commissione esaminatrice) verrà definito successivamente mediante la promulgazione di un
regolamento attuativo.
E cosi anche lo Spagna ha avvertito la necessità di una riforma del proprio ordinamento professionale forense, in particolare
per quanto attiene alla fase di formazione e di accesso alla professione.
Per chiudere questo contributo, che vuole essere solamente un rapido sguardo d’insieme ad una realtà cosi contigua alla
nostra e che attraverso un sofferto percorso sta tentando di adeguare le sue normative a quelle dei paesi europei,
auspichiamo che la riforma spagnola non ripeta errori ben noti a noi italiani, anteponendo la selezione alla formazione, o
sottovalutando le implicazioni pratiche che comporta garantire una prova selettiva equa.
Possibilitàdi configurare un contratto-tipo tra avvocato dominus e giovane avvocato, nonché tra avvocato dominus e
praticante abilitato al patrocinio (con riferimenti a possibili modifiche da apportare all’ordinamento professionale)
(Dott.ssa Giada Gasparini).
1. Premessa
Con una recente sentenza, la Cassazione (Sezione lavoro, 2904/06, depositata il 10 febbraio 2006) ha definito contratto di
lavoro subordinato il lavoro svolto dal praticante all’interno dello studio professionale dopo aver conseguito il certificato di
compiuta pratica da parte del competente Ordine. Tale sentenza ha suscitato un certo scalpore, probabilmente perché, per la
prima volta, si regolarizza il rapporto del praticante.
Le caratteristiche del ruolo del giovane avvocato e del praticante abilitato al patrocinio all’interno degli studi, tuttavia, non
sono pienamente assimilabili a questo tipo di rapporto, ma semmai, al contratto di formazione. I contratti di formazione
tuttavia, per loro natura, sono a breve termine.
Sarebbe perciò opportuno definire una forma di contratto-tipo ad hoc per la regolamentazione del rapporto del praticante
abilitato e del giovane avvocato con il suo dominus.
2. Occupazione e precariato nella libera professione
L’Avvocatura italiana ha conosciuto nel nostro Paese periodi di vero fulgore con lusinghiere attestazioni di stima ed ambiti
riconoscimenti per l’impegno profuso nella Società civile, attestazioni e riconoscimenti derivanti dall’alto grado di
competenza che tutta la categoria ha sempre voluto e potuto esprimere.
L’attività forense tuttavia, da qualche tempo è principalmente rivolta a sostenere continui e penosi esami, a dimostrare sulla
carta cose ovvie se non banali, a rintracciare pratiche sperdute nei meandri della inefficienza, ad offrire prestazioni
professionali al più basso costo possibile per il committente, sia esso pubblico o privato. L’attività professionale vera, quella
dell’ingegno, sarà, perdurando questo stato di cose, sempre più svilita, e ciò andrà a detrimento dell’intera collettività.
Il patrimonio culturale e di professionalità di molti Avvocati, da anni sulla breccia, titolari di stimati studi, rischia cosi di
andare inevitabilmente disperso occupando forze creative e propositive al più basso livello, con danni incalcolabili per la
stessa collettività, che potrebbe presto conoscere una nuova categoria di
lavoratori in mobilità: i “disoccupati o i sotto occupati dell’inegno”.
Il neo avvocato ed il neo laureato che dopo un anno abbia finalmente conseguito l’abilitazione hanno di fronte uno scenario
che diventa sempre più fosco. Se pur già avviati, sono ancora, infatti, in attesa di un’occupazione stabile, un futuro sereno ed
appagante ai limiti della sopravvivenza economica, che costituisce e costituirà un ostacolo insormontabile alle giuste e
sacrosante aspettative di chi ha impiegato i migliori anni della propria vita ad elevare il livello culturale e ad acquisire una
specifica ed impegnativa formazione professionale.
Inoltre, ai Colleghi italiani si stanno negli ultimi anni affiancando in modo sempre più penetrante, in un già di per sé
abbastanza affollato mercato, i Colleghi degli altri Paesi Europei che offrono servizi, con strutture più snelle e concorrenziali
delle nostre, utilizzando all’occorrenza le nostre stesse leggi nazionali che di fatto consentono un’applicazione
unidirezionale del principio della libera circolazione, dall’Europa all’Italia, ma quasi mai, e comunque raramente,
all’inverso.
Ai giovani lavoratori, liberi professionisti in cerca di occupazione, non basta certamente la solidarietà dei Colleghi più
anziani e la disponibilità, peraltro temporanea, per attività spesso da “garzone di bottega”. Piuttosto, ai giovani dovrebbe
essere rivolto un invito a costruire insieme ai Colleghi più esperti, una vera e propria categoria che sappia affrontare, nel
breve e nel concreto, i problemi e formulare un progetto per risolverli, consci degli effetti che derivano da un’assenza
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prolungata ed ingiustificata di progetti concreti.
Il precariato tra i neolaureati è purtroppo uno stato ormai sempre più diffuso e in crescita, a cui bisogna porre un rimedio
concreto che favorisca una crescita ed uno sviluppo dell’attività professionale in una direzione opposta. In questo
particolarissimo momento, di fronte ai numerosi mutamenti in essere che questa generazione sta vivendo, il Paese ed il
Governo attendono proposte e progetti concreti a favore dello sviluppo e dell’occupazione, non solo operaia ed impiegatizia,
ma anche e prima di tutto di chi opera
prevalentemente tramite prestazioni intellettuali.
Si pensi ad esempio ad eventuali contributi fiscali e/o previdenziali per favorire la competitività e l’occupazione dei giovani
all’interno dei grandi Studi, dando l’opportunità ai Colleghi con più esperienza di “formarli” ed assumerli stabilmente
all’interno delle loro realtà tramite la previsione di un contratto-tipo e riferimento ai CCNL.
3. Il giovane avvocato: libero professionista o dipendente?
Il giovane lavoratore si ritrova a lavorare sottopagato senza alcun tipo di diritto, pur essendo regolarmente e stabilmente
inserito all’interno di un contesto lavorativo, situazione che di solito presuppone l’esistenza di un regolare contratto a tutela
del rapporto.
Per porre rimedio a tale condizione, basterebbe invitare il legislatore a colmare il vuoto normativo in materia,
predisponendo, previa consultazione della categoria, un contratto-tipo per praticanti abilitati al patrocinio e giovani avvocati.
Contratto tipo che andrebbe definito ad hoc in quanto, sebbene la recente sentenza riferendosi al caso specifico, definisca il
rapporto come rapporto di lavoro subordinato, non sembrerebbe corretto, a prima vista, definirlo tale, date le caratteristiche
di autonomia del collaboratore. Sussistono, infatti, ovvie problematiche circa l’effettivo contrasto oggettivo tra la figura del
libero professionista e quella del lavoratore subordinato.
D’altronde, date le numerose recenti modifiche in tema di diritto del lavoro, si potrebbe pensare all’introduzione di una
nuova forma contrattuale, per l’appunto, ad hoc, come già si è provveduto per altri casi, configurando, ad esempio, un
contratto a causa mista formazione-lavoro.
4. Distinzioni contratto-tipo tra dominus e giovane avvocato e tra dominus e praticante abilitato
Ovviamente, si deve adeguare il contratto-tipo a seconda che il contraente sia un giovane avvocato o un praticante abilitato
(la normativa attribuisce solo limitate competenze al praticante abilitato).
Il praticante abilitato viene definito colui (i) che, compiuto un anno di pratica, presenta domanda al Consiglio dell’Ordine di
appartenenza per ottenere l’abilitazione al patrocinio per un periodo non superiore a 6 anni, come previsto dall’articolo 10,
legge 242/42, e (ii) che può esercitare l’attività professionale nelle cause di competenza del giudice di pace e dinanzi al
Tribunale in composizione monocratica limitatamente, come previsto dall’articolo 8, lpf, modificato da ultimo dalla legge
144/00:
- negli affari civili, alle cause, anche relative a beni immobili, di valore non superiore a lire cinquanta milioni, nonché azioni
possessorie, denunce di danno temuto e di nuova opera e altre cause relative a rapporti di locazione, comodato o affitto
d’azienda;
negli affari penali, alle cause per i reati previsti dall’articolo 550 Cpp, e cioè in sostanza per i reati per i quali la legge
stabilisce una pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, anche congiunta a una pena pecuniaria, nonché per
una serie specifica di reati (violenza o minaccia ad un pubblico ufficiale prevista dall’articolo 336, comma 1 Cp; resistenza a
un pubblico ufficile prevista dall’articolo 337 Cp; oltraggio a un magistrato in udienza aggravato a norma dell’articolo 334,
comma 2 Cp; oltraggio a un magistrato in udienza aggravato a norma dell’articolo 343, comma 2 Cp; violazione dei sigilli
aggravata a norma dell’articolo 349, comma 2 Cp; rissa aggravata a norma dell’articolo 588, comma 2 Cp, con esclusione
delle ipotesi in cui nella rissa taluno sia rimasto ucciso o abbia riportato lesioni gravi o gravissime; furto aggravato a norma
dell’articolo 625 Cp; ricettazione prevista dall’articolo 648 Cp).
L’attività del praticante abilitato può inoltre essere svolta solo nel distretto di appartenenza e previa prestazione del
giuramento.
‘Mentre, per quanto riguarda le competenze del giovane avvocato, si fa presente che, ai sensi della modifica alla lpf
avvenuta ex lege 27/1997, è stato soppresso l’albo dei procuratori ed imposta l’iscrizione d’ufficio dei procuratori all’Albo
degli avvocati, di conseguenza, il praticante, che abbia superato le prove richieste per l’esame di abilitazione alla professione
di avvocato e previa prestazione del giuramento, viene automaticamente iscritto all’Albo degli Avvocati presso il Consiglio
dell’Ordine nell’ambito del Tribunale nella cui circoscrizione è fissata la residenza o il domicilio. Ciò comporta il diritto ad
esercitare l’attività professionale senza alcuna limitazione in tutto il territorio della Repubblica.
Inoltre, il contratto-tipo dovrebbe necessariamente rispettare le norme dell’Ordinamento Forense, previste dal Rdl 1578/33,
convertito in legge 36/1934 e successive modifiche, recante la legge professionale forense, (c.d. lpf), e le norme
Deontologiche, cosi come approvate dal Consiglio Nazionale Forense nella delibera datata 17 aprile 1997, successivamente
nella seduta 16 ottobre 1999, poi nella seduta del 26 ottobre 2002, nonché, da ultimo, nella seduta del 27 gennaio 2006.
Infine, le norme Deontologiche dovranno essere modificate a seguito della conversione in legge del c.d. decreto Bersani.
5. Proposte
Entrando nel merito, considerato che è in corso una revisione e razionalizzazione dei rapporti di lavoro con contenuto
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formativo in conformità anche con le direttive dell’Unione Europea, si dovrebbe riconoscere come prioritaria, tra le altre,
anche la proposta concreta di un contratto-tipo per l’inquadramento dei giovani professionisti all’interno dei grandi Studi,
tesa a sviluppare il settore e la capacità competitiva dello stesso a livello nazionale ed internazionale concentrandosi
particolarmente sui seguenti punti:
periodo di prova: stabilendone la durata massima in giorni/mesi, durante i quali sia reciproco il
diritto di risolvere il rapporto senza preavviso, con la corresponsione di tutti gli istituti contrattuali, compreso il trattamento
di fine rapporto con criteri di maturazione previsti dai CCNL;
trattamento economico: costituendo le retribuzioni a seconda degli eventuali livelli di appartenenza. In ogni caso la
retribuzione non dovrebbe essere inferiore a euro 800,00/1.000,00 mensili. Inserimento di un necessario collegamento
all’articolo 25 del cdf;
obblighi del datore di lavoro: a prevedere di impartire o far impartire nel proprio studio, ai giovani avvocati/praticanti
abilitati alle proprie dipendenze, l’insegnamento necessario perché possano conseguire la qualifica per la quale sono assunti;
e accordare (senza operare trattenute sulla retribuzione) i permessi occorrenti per la frequenza obbligatoria a corsi di
aggiornamento professionale formativo, e accordare permessi retribuiti necessari per certificazioni, relativi ad abilitazioni in
settori specifici nella misura massima di ore annue ...;
doveri del giovane avvocato/praticante abilitato: a seguire le istruzioni del datore di lavoro o di un eventuale tutor per la
sua formazione e seguire col massimo impegno gli insegnamenti che gli vengono impartiti; prestare la sua opera con la
massima diligenza; frequentare con assiduità e diligenza i corsi obbligatori di insegnamento formativo; osservare le norme
disciplinari generali previste dal contratto tra le parti contraenti e le norme contenute negli eventuali regolamenti interni di
studio, purché questi ultimi non siano in contrasto con le norme contrattuali e di legge;
trattamento normativo: il giovano avvocato/praticante abilitato ha diritto, durante il periodo di prova, allo stesso
trattamento normativo previsto dai rispettivi CCNL per i lavoratori della qualifica per la quale è assunto. Nel rapporto a
tempo parziale di durata non inferiore al .... per cento della prestazione;
trattamento malattia e infortunio: in caso di malattia, verrà corrisposta una indennità pari al 100 per cento della
retribuzione giornaliera per i primi ... giorni; pari al 25 per cento della retribuzione giornaliera per i giorni dal quarto al
ventesimo; pari al 33 per cento per i giorni dal ventunesimo al centottantesimo. In caso di infortunio sul lavoro,
corresponsione di una indennità pari al 100 per cento della retribuzione giornaliera per i primi ... giorni; pari al 60 per cento
della retribuzione giornaliera per i giorni dal ... al ... ;
congedi parentali: per la sostituzione dei lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto e per l’intero periodo
della loro assenza, il datore di lavoro potrà assumere con contratto a tempo determinato. In caso di necessità organizzative,
la lavoratrice/lavoratore potrà essere affiancato dalla sostituto/a per un periodo non superiore a giorni ._ sia prima
dell’assenza che al momento del rientro. In caso di sostituzione di lavoratrice/lavoratore di cui sia programmala l’assenza
derivante da una o più aspettative e/o congedi, oltre alla possibilità di affiancamento come indicato, il contratto potrà essere
prorogato fino alla scadenza del diritto della lavoratrice/lavoratore sostituita/o di poter usufruire dei permessi
giornalieri/orari previsti per l’allattamento; orario di lavoro: la durata dell’orario di lavoro è fissata in 40 ore settimanali.
Eventuale previsione di un approfondimento per definire la distribuzione dell’orario settimanale in considerazione
dell’estrema viabilità delle esigenze dei professionisti; assistenza sanitaria: il giovane avvocato/praticante abilitato sarà
iscritto all’apposita cassa dei dipendenti degli studi professionali se prevista; Cassa di Previdenza Forense: prevedere
contribuzioni al 50% a carico del dominus, e rimanente 50% a carico del giovane avvocato/praticante abilitato al patrocinio
con tariffa di iscrizione agevolata per i primi quattro anni; diritti concernenti la libera professione del giovane avvocato: il
giovane avvocato gode, se pur legato dal contratto al dominus di studio, di tutti i diritti previsti per la categoria, quali ad
esempio il diritto al voto degli organi direttivi del consiglio dell’Ordine di appartenenza.
6. Modifiche all’ordinamento professionale
In riferimento all’articolo 3 della lpf (legge 36/1934): “ ... é infine incompatibile con ogni altro impiego retribuito che non
abbia carattere scientifico o letterario.” occorrerà effettuare le necessarie modifiche del caso per rendere compatibile il
contratto-tipo con lo svolgimento della libera professione.
Possibilità di configurare un contratto tipo per praticanti e giovani avvocati che non ricada nel lavoro dipendente e
che sia compatibile con l’autonomia del professionista
(Avv. Valentina Montanari)
Al fine di valutare se la configurazione dell’attività professionale dei praticanti e dei giovani avvocati secondo forme
contrattuali accostabili al lavoro subordinato o parasubordinato sia compatibile con l’autonomia che caratterizza l’esercizio
della professione legale, occorre innanzitutto prendere le mosse dal dato normativo attualmente riscontrabile.
1. Il contesto normativo: incompatibilità dell’esercizio della professione legale con il lavoro dipendente
L’esercizio della professione di avvocato è, ai sensi dell’articolo 3 della legge Professionale (Rdl 1578/33), incompatibile
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con lo svolgimento di qualunque forma di lavoro dipendente, presso enti pubblici o privati, fatta eccezione solo per l’ipotesi
in cui l’attività dipendente abbia carattere scientifico o letterario, nonché per l’esercizio della professione da parte di
avvocati che siano membri degli uffici legati di enti pubblici, i quali peraltro sono iscritti negli appositi elenchi speciali
annessi agli albi degli avvocati.
La ratio della sopra ricordata incompatibilità risiede nell’esigenza di tutelare l’indipendenza, l’autonomia di giudizio e di
iniziativa degli esercenti la professione legale, assicurando la libertà di determinazione degli stessi. Dette caratteristiche
della professione legale, essenziali al ruolo, svolto dagli avvocati, di collaborazione all’esercizio del diritto costituzionale
alla difesa, sono state storicamente ritenute incompatibili con quegli aspetti caratteristici del lavoro subordinato che sono,
viceversa, lo svolgimento di specifiche mansioni sotto il controllo e la direzione del datore di lavoro, l’osservanza di un
determinato orario di lavoro e la percezione di una retribuzione fissa mensile, e ciò a fronte di uno stabile inserimento del
prestatore di lavoro nell’ambito di un’organizzazione di impresa.
2. Il ruolo dei giovani avvocati e dei praticanti nella realtà concreta degli studi legali
2.1 Descrizione
D’altra parte, non può farsi a meno di prendere atto dell’esistenza di realtà pratiche oggettivamente confliggenti con tale
prospettazione generale, realtà che costituiscono anche l’occasione della presente relazione.
Sono, infatti, sempre più diffusi, anche in un contesto, quale è quello italiano, generalmente caratterizzato da studi legali di
piccole dimensioni, gli studi che presentano un’organizzazione unitaria complessa, nell’ambito della quale le attività dei
singoli professionisti risultano coordinate al fine di offrire i servizi legali richiesti dai clienti. Si tratta evidentemente di un
modello organizzativo all’interno del quale appare superata la tradizionale concezione secondo la quale gli esercenti la
professione legale potrebbero si avvalersi di u n’organizzazione di mezzi e di persone nell’ambito dello svolgimento della
propria attività professionale, purché però tale organizzazione conservasse una funzione meramente accessoria all’attività
principale, che rimarrebbe quella intellettuale del (singolo) professionista. Viceversa, in tali strutture più articolate, basate
sulla presenza di più soci e di un numero elevato di giovani avvocati, questi ultimi prestano la propria opera intellettuale,
essenziale, e non certo accessoria, all’attività legale dello studio, in relazione a pratiche ed a clienti afferenti allo studio in
quanto tale, e precedentemente procacciati non dai singoli giovani avvocati medesimi, bensì dai senior partners dello studio;
proprio in conseguenza di tale organizzazione dell’attività legale, si pone un problema di compatibilità della posizione dei
giovani avvocati con la tradizionale autonomia del professionista legale, in quanto i giovani avvocati si trovano in una
posizione di sostanziale dipendenza, innanzitutto economica, nei confronti della struttura di studio, dal cui funzionamento
dipende la possibilità per gli stessi di veder affluire lavoro da svolgere, con la conseguente possibilità di percepire un
compenso che ne consenta il sostentamento. Peraltro, al di fuori del profilo strettamente economico, anche il contenuto degli
incarichi professionali svolti da tali avvocati risulta almeno parzialmente predeterminato dai titolari di studio che di volta in
volta affidano gli incarichi medesimi, con la conseguenza che viene meno un ulteriore aspetto dell’autonomia professionale,
quello attinente alla autodeterminazione da parte del singolo avvocato della gestione del rapporto con il proprio cliente e
delle migliori modalità di svolgimento dell’incarico professionale.
Nel contesto descritto, pare dunque crearsi quel rapporto di corrispettività tra prestazione della propria opera (intellettuale) e
retribuzione che si pone quale fondamento di un rapporto di lavoro subordinato, come riconosciuto anche dalla Suprema
Corte nella nota sentenza 2904/06 in relazione alla posizione all’interno di uno studio professionale di consulenti del lavoro
di una praticante che aveva ultimato il biennio della pratica, come attestato dal Consiglio Provinciale Albo Consulenti del
Lavoro. In via del tutto analoga, nel contesto degli studi legali, la configurazione di un rapporto contrattuale tra il giovane
avvocato (o il praticante, quantomeno trascorso il primo anno di pratica), da una parte, e lo studio nel quale lo stesso è
inserito, dall’altra, che tenga conto di tale profilo di subordinazione sembra rendersi necessaria sulla base di una realtà
oggettiva già esistente in numerosi studi.
In relazione ad una simile configurazione contrattuale, affine al rapporto di lavoro subordinato, pare porsi un duplice
problema, (i) di incidenza sulla struttura stessa degli studi legali nel contesto dei quali tali rapporti in senso lato “di impiego”
si inseriscano, e (ii) di compatibilità con l’autonomia ed indipendenza del singolo avvocato, come già accennato.
2.2 Incidenza sulla struttura organizzativa degli studi legali
Esaminare brevemente il primo dei profili indicati pare utile a porre in luce con maggior chiarezza anche gli aspetti più
rilevanti della seconda problematica.
In relazione al profilo organizzativo degli studi legali ipoteticamente caratterizzati dalla presenza di rapporti di lavoro in
senso lato subordinato, si potrebbe perfino giungere a chiedersi provocatoriamente se il titolare di un tale studio legale, che
si avvalga di rapporti di tipo subordinato quali elementi strutturali essenziali alla prestazione dei servizi offerti dallo studio
stesso, non diventi imprenditore a tutti gli effetti, ciò che avrebbe una portata rivoluzionaria rispetto alla visione tradizionale
dell’attività libero professionale in particolare legale. Benché infatti si stia diffondendo sotto alcuni profili una concezione
dell’attività legale come “servizio”, oltre alla consolidata nozione dell’attività legale come attività di impresa ai fini del
diritto comunitario della concorrenza, detta concezione dell’attività legale è ancora molto lontana dal comune sentire e dalla
concreta organizzazione degli studi legali (quantomeno della maggior parte di essi, se non di tutti).
Anche a prescindere da tale provocatoria estremizzazione, si può comunque rilevare che uno studio legale nel quale i
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giovani avvocati fossero inquadrati a tutti gli effetti come dipendenti non potrebbe prescindere dalla presenza di un
“comitato” centralizzato il quale provvedesse alla distribuzione del lavoro relativo alle diverse pratiche esistenti presso lo
studio tra tutti i professionisti, cosi da assicurare che ciascuno di essi potesse disporre di un quantitativo di lavoro sufficiente
ad accumulare annualmente un determinato “monteore” di lavoro, idoneo come tale a giustificare la percezione di un
determinato compenso. La previsione di una retribuzione fissa mensile costituirebbe dunque il riflesso dell’inquadramento
del singolo avvocato all’interno di u n’organizzazione del lavoro finalizzata alla prestazione di un servizio legale configurato
secondo le indicazioni e la direzione del/ del titolare/i dello studio stesso, quali “procacciatori” e responsabili ultimi delle
pratiche dello studio. Ma è altrettanto evidente che in un tale contesto il ruolo del singolo avvocato, inquadrato come
dipendente, perderebbe qualunque connotazione di partecipazione fattiva all’attività dello studio, sia sotto un profilo
promozionale, e pertanto di procacciamento dei clienti, sia anche sotto il profilo “direttivo”, riducendosi all’esecuzione di
incarichi assegnati in funzione di u n’organizzazione eteronoma. Ciò, tra l’altro, presenterebbe notevoli problemi in
relazione alla tipologia di incentivi configurabili, meramente economici o piuttosto tesi a promuovere l’autonomia del
singolo fino a consentirgli di affrancarsi da tale stato di mero lavoratore subordinato.
2.3 Il ruolo del giovane avvocato tra autonomia e lavoro dipendente: una proposta per conservare l’autonomia del
professionista legale
Ciò detto in relazione alla struttura organizzativa-tipo di uno studio che prevedesse la presenza di avvocati-lavoratori
subordinati, appare subito evidente come, ove si presti attenzione alle caratteristiche dell’attività legale libero professionale,
immediatamente ci si ponga il problema di come un giovane avvocato, inizialmente inquadrato come lavoratore dipendente,
possa poi affrancarsi da questa posizione, raggiungendo invece quella di associato dello studio. E, del resto, gli stessi studi
internazionali, comprendenti diverse centinaia, se non migliaia, di avvocati, inclusi numerosi lavoratori dipendenti,
prevedono pur sempre la presenza di un numero ridotto di partners, che tali divengono dopo aver acquisito una connotazione
di indispensabilità all’interno dello studio, sia nell’ambito della gestione di clienti portati da altri, sia a seguito di un proprio
apporto di nuovi clienti.
Pare evidente, dunque, che, nel configurare un rapporto di impiego che si adatti alla peculiarità della professione legale e nel
contempo garantisca ai giovani avvocati (ed ai praticanti, pur tenendo conto delle ulteriori specificità che li caratterizzano) le
necessarie garanzie soprattutto in relazione al corrispettivo, è
opportuno innanzitutto salvaguardare proprio quegli spazi di autonomia che possono consentire all’avvocato “subordinato”
di affrancarsi da quella condizione acquisendo piuttosto quella di associato dello studio. La salvaguardia di questi “spazi” e
di queste caratteristiche della professione legale, pur in presenza della necessaria tutela economica, può dunque
rappresentare la chiave per la compatibilità di una configurazione del lavoro del giovane avvocato come lavoro in senso lato
“dipendente” con l’autonomia che pur tuttavia deve sempre caratterizzare la professione legale. La configurazione
dell’attività del giovane avvocato come attività “dipendente” può forse porsi essenzialmente in un’ottica di tutela sotto il
profilo economico, mirando a garantire una retribuzione proporzionata alla quantità di lavoro prestata sulle diverse pratiche
(ciò che, per inciso, sembra essere significativamente facilitato dall’utilizzo di meccanismi di tariffazione oraria, tanto
all’interno dello studio quanto, per maggiore trasparenza e se concordato con i clienti, anche all’esterno). Ma occorrerà
salvaguardare, in sede di definizione di un modello contrattuale di riferimento. quegli stessi spazi di autonomia e di libera
iniziativa del giovane avvocato che. ove dallo stesso adeguatamente sfruttati, gli consentono di concorrere fattivamente
all’attività di studio sotto i suoi molteplici profili e cosi di rendersi indispensabile all’interno dello studio. In mancanza della
salvaguardia di tali aspetti. si finirebbe infatti per sacrificare alle tutele garantite dalla previsione di forme di lavoro
subordinato aspetti essenziali e qualificanti della professione legale. Si potrà comunque conservare l’autonomia dell’attività
dell’avvocato ove la sua retribuzione, fatto salvo un minimo garantito, sia comunque calcolata in proporzione all’attività
dallo stesso effettivamente svolta, restando la distribuzione del lavoro all’interno dello studio affidata ad un naturale
meccanismo di cooperazione e, al tempo stesso, competizione tra i professionisti, sulla base delle rispettive competenze ed
iniziative, seppure con un limitato intervento regolatore centralizzato (eventuale) che eviti situazioni gravi di mancato
utilizzo delle risorse umane presenti all’interno dello studio. li giovane avvocato “dipendente” potrebbe inoltre, ove non
assoggettato ad un vincolo di esclusiva nei confronti dello studio presso il quale opera, bensì libero di (ed al tempo stesso
tenuto a) svolgere autonoma attività promozionale e di reperimento di clienti, concorrere anche all’espansione della clientela
dello studio, ovvero comunque acquisire propri clienti; ciò gli consentirebbe anche di migliorare la propria posizione
contrattuale interna allo studio in vista della costituzione di un rapporto di tipo associativo. In questo contesto il giovane
avvocato sarebbe anche incoraggiato a variare le proprie esperienze professionali e, nel contempo, a sviluppare propri
peculiari settori di competenza specifica, cosicché risulterebbe incentivata anche quella formazione che pure deve in
permanenza caratterizzare l’attività professionale legale. Pare dunque che un modello contrattuale che tenga conto del sopra
indicati elementi possa evitare che il rapporto di “impiego», in senso lato, del giovane avvocato ricada nel lavoro
dipendente, risultando invece rispettata la peculiare autonomia della professione legale. Tale autonomia dovrebbe essere
conservata anche in sede di gestione delle singole pratiche, ove si pensasse, a titolo esemplificativo, ad una sorta di
collaborazione a progetto caratterizzata da spazi di indipendenza gestionale particolarmente ampi. La gestione delle singole
pratiche di volta in volta affidate al giovane avvocato potrebbe infatti essere sostanzialmente assimilata alla realizzazione di
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“progetti” (ovvero di singole parti di un unico progetto più articolato), nel contesto dei quali la retribuzione potrebbe
agevolmente essere commisurata alla quantità e qualità del lavoro effettivamente svolto.
2.4 La posizione del praticante
Vale la pena poi rilevare alcune peculiarità in relazione alla posizione dei praticanti. Il minor grado di autonomia nella
gestione delle pratiche, cosi come la predominante rilevanza dell’elemento formativo, suggeriscono la necessità che il
modello contrattuale di riferimento miri innanzitutto a garantire al praticante l’effettività e la proficuità della formazione che
il dominus è tenuto a fornirgli; detto modello contrattuale dovrà inoltre prevedere un compenso minimo, dovuto in ragione
dell’impegno prestato dal praticante in studio, anche a prescindere da una valutazione rigorosamente quantitativa della
“produzione” professionale effettivamente realizzata dal praticante, valutazione che in tale fase formativa risulterebbe
almeno in parte inappropriata. In relazione all’attività svolta dal praticante pare dunque che si possa più agevolmente fare
riferimento al modello del contratto di apprendistato, senza che ciò pregiudichi le caratteristiche, eminentemente formative,
della posizione professionale del praticante medesimo. Detto contratto consentirebbe comunque di salvaguardare quel
profilo fondamentale, anche a norma dell’articolo 26 del Codice Deontologico, che è la necessaria retribuzione del lavoro
dei praticanti.
Possibilità di configurare un contratto tipo per i praticante e i giovani avvocati che sia assoggettabile, quanto al
compensi, alla contribuzione alla cassa
(Dott. Paolo Rendina)
1. L’attuale assetto normativo ed evoluzione storica
La Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense venne istituita nel 1952 come Ente di Diritto pubblico con lo scopo
di assicurare trattamenti di previdenza e forme di assistenza a favore degli iscritti e dei loro aventi diritto, in pratica a favore
degli avvocati che esercitano la professione con carattere di continuità e dei loro superstiti.
Divenuta Fondazione di diritto privato a seguito dell’emanazione del D.Lgs 509/94 e del successivo decreto interministeriale
del 28 settembre 1995, la Cassa ha da sempre perseguito, quale primario obiettivo, non solo quello di garantire, in attuazione
dell’articolo 38 Costituzione, un adeguato e congruo trattamento previdenziale ma anche di erogare forme di assistenza per
malattia, inabilità nonché maternità e indigenza.
Ma non solo. Merita infatti particolare attenzione la facoltà rimessa alla Cassa di gestire forme di previdenza integrativa
nell’ambito della normativa vigente. Servizio ora reso finalmente possibile a seguito della delibera, varata il 17 marzo 2006
dal Comitato dei Delegati della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, con la quale si è pervenuti anche ad
alcuni interventi parametrici e strutturali della previdenza forense.
In particolare, il Comitato dei delegati della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense ha recentemente approvato
l’innalzamento delle aliquote a carico degli iscritti dal 10% al 12% del contributo soggettivo a partire dal 2009 e l’aumento
dal 2% al 4% del contributo integrativo a partire dal 2007.
Sempre dal 2007, la liquidazione dei supplementi di prestazione sarà calcolata su base contributiva, ma solo per chi andrà in
pensione dal l’ gennaio 2007, mentre sarà considerato l’intero arco della vita lavorativa nel calcolo retributivo della
prestazione (con l’esclusione dei peggiori cinque anni).
Tale mini riforma non ha però sacrificato le agevolazioni già previste per i giovani fino a 35 anni, per i quali, nei primi tre
anni di iscrizione alla Cassa resta la riduzione a metà del contributo soggettivo minimo e l’eliminazione del contributo
integrativo minimo.
Una riforma ritenuta necessaria e per il raggiungimento della quale si è assistito ad anni di durissime battaglie, anche e
soprattutto politiche, certamente cristallizzate nella difficoltà di riuscire a conciliare le varie esigenze, anche generazionali,
che da sempre si contrappongo in materia previdenziale.
Un vero e proprio “scontro” generazionale il cui superamento, alla luce di recenti ricerche, sarebbe in grado, anche a breve
periodo, di apportare significativi vantaggi agli iscritti già in età pensionabile nonché sgravi fiscali e, comunque, una minor
pressione nelle tasche dei giovani iscritti alla Cassa.
In tal senso, merita pertanto un cenno particolare il principio sancito dall’articolo 35 della legge delega 243/04 in materia di
previdenza complementare dei professionisti, in quanto può considerarsi un punto di arrivo per una migliore tutela
previdenziale costituzionalmente garantita ed un nuovo strumento parallelo e funzionale per la stessa Cassa di previdenza.
Per concludere questa breve ma doverosa panoramica sull’attuale assetto normativo e sulle recenti innovazioni apportate al
sistema di previdenza forense, va precisato che la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, ad oggi, conta un
numero di circa 112.000 avvocati iscritti, di cui circa il 43% ha meno di 40 anni di età, con circa 47.000 iscritti all’Albo, ma
non alla Cassa, che contribuiscono solo in termini di contributo integrativo (2%). Da questi numeri, non può che emergere
un dato significativo. Il numero di iscritti è in aumento, ma il potere contributivo sembra essere inversamente proporzionale
creando una sorta di pericoloso paradosso per cui i giovani non contribuiscono a sufficienza per garantire una congrua
previdenza ai colleghi in età pensionabile. D’altro canto gli stessi giovani, iscrivendosi tardivamente e comunque
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apportando inizialmente contributi minimi, rischieranno di non vedere nemmeno quel minimo, oggi almeno garantito, per le
proprie spese assistenziali e previdenziali.
2. I diversi regimi contributivi e l’iscrizione alla Cassa
Per poter verificare se vi sia o meno una possibilità di configurare un contratto tipo per i praticanti e i giovani avvocati che
sia assoggettabile, quanto ai compensi, alla contribuzione alla Cassa, è necessario innanzitutto fare un breve cenno sul
sistema contributivo oggi vigente nonché sulle modalità di iscrizione alla Cassa dei vari soggetti interessati.
L’attuale sistema contributivo prevede che gli iscritti versino un contributo c.d. soggettivo e un contributo c.d. integrativo i
quali rappresentano la fonte primaria di finanziamento delle prestazioni previdenziali erogate dalla Cassa Forense.
In particolare, il contributo soggettivo di cui all’articolo 10 della Legge 576/1980 viene versato in proporzione (ora ancora
pari al 10% e dal 2009 innalzato al 12%) al reddito netto dichiarato dall’iscritto ai fini Irpef entro un tetto annualmente
rivalutabile, associato ad un 3% (4% dal 2009) del reddito dichiarato oltre il tetto.
Il successivo articolo 11 disciplina invece la misura dovuta a titolo di contributo c.d. integrativo il quale è da versarsi nella
misura del 4% in proporzione al volume di affari Iva dichiarato, di natura professionale.
In quest’ottica si inserisce, grazie all’emanazione del D.Lgs 151/01, il contributo di maternità dovuto da tutti gli iscritti alla
Cassa secondo le stesse modalità previste per la riscossione dei contributi minimi (soggettivo ed integrativo). Detto
contributo, applicato per la prima volta nel 1993, è finalizzato alla copertura dell’indennità di maternità erogata in favore
delle professioniste iscritte alla Cassa (D.Lgs 151/01, come modificato dalla legge 289/03).
Fatta questa premessa, doverosa per ragioni di metodo espositivo, è necessario verificare quali sono i requisiti e gli
adempimenti necessari per l’iscrizione alla Cassa Forense, tanto per i giovani praticanti non abilitati, quanto per quelli
iscritti allo speciale albo dei praticanti abilitati ed, infine, per i giovani avvocati infra quarantenni:
2.1 Il praticante non abilitato
Il regolamento parla chiaro. I praticanti senza abilitazione al patrocinio non possono iscriversi alla Cassa di Previdenza non
avendo, pertanto, alcun obbligo nei confronti della stessa. In particolare, il neo-laureato che si iscrive all’albo dei praticanti
non deve trasmettere alla Cassa la comunicazione obbligatoria (modello 5) di cui all’articolo 17 della legge 586/80 né, tanto
meno, applicare il 2% sui corrispettivi rientranti nel volume di affari IVA. Questo comporta ovviamente che tale categoria
non possa cosi ricevere alcun tipo di assistenza (tanto per infortuni sul lavoro, quanto previdenziale) nonostante il proprio
proficuo ed assiduo lavoro all’interno di uno studio legale.
2.2 Il praticante abilitato e l’iscrizione facoltativa alla Cassa
Anche per i praticanti c.d. abilitati ma non iscritti alla Cassa non esistono obblighi contributivi, sennonché per gli stessi
sussiste è la possibilità di trasmettere domanda di iscrizione alla Cassa per l’anno in corso o con effetto retroattivo, a
decorrere dal primo anno di iscrizione nel registro dei praticanti con abilitazione al patrocinio o da uno degli anni successivi
al primo.
Il praticante abilitato può fruire della riduzione alla metà del contributo soggettivo minimo per i primi tre anni di iscrizione
alla Cassa, se si iscrivono alla stessa, per la prima volta, con decorrenza anteriore al compimento del 350 anno di età.
I praticanti abilitati al patrocinio devono trasmettere alla Cassa, entro il 30 settembre di ciascun anno, la comunicazione
obbligatoria (modello 5) di cui all’ articolo 17 della legge 586/80, indicando il reddito professionale Irpef netto, denunciato
con il modello Unico, relativamente all’anno solare anteriore alla presentazione della dichiarazione al Fisco, nonché il
volume di affari Iva relativo al medesimo anno.
L’obbligo di invio della comunicazione obbligatoria permane a carico dei praticanti abilitati al patrocinio iscritti alla Cassa
nell’anno solare anteriore a quello di trasmissione del modello 5 e nessuna deroga può essere ammessa rispetto a tale
adempimento.
La normativa, poi, obbliga l’iscritto al pagamento del contributo minimo soggettivo ma in misura ridotta al 50%,
limitatamente ai primi tre anni di iscrizione alla Cassa, qualora la stessa decorra da data anteriore al compimento del 30mo
anno di etá.
Ulteriore adempimento previsto è che il neoiscritto effettui il versamento del 10% sul reddito professionale Irpef netto fino
al tetto massimo (stabilito dal Comitato dei delegati), nonché il 3% sulla parte di reddito eccedente il tetto, di cui sopra, in
un’unica soluzione, entro il 31 luglio di ciascun anno oppure in due rate, di pari importo, di cui la prima, entro il 31 luglio e,
la seconda, entro il 31 dicembre del medesimo anno.
Infine, anche il praticante abilitato dovrà applicare il 2% sull’effettivo volume di affari IVA (detratto l’importo del
contributo integrativo già assoggettato ad IVA - legge 85/1995), essendo esonerati dal pagamento del contributo integrativo
minimo.
Infine permane l’obbligo per tutti gli iscritti di versare il contributo di maternità.
2.3 Il giovane avvocato non iscritto alla Cassa
Diversa invece è la posizione del giovane avvocato che non si sia mai iscritto alla Cassa, ma che si sia già iscritto all’Albo.
Per questa categoria è comunque previsto che vengano versati i contributi e, comunque, inviata alla Cassa, entro il 30
settembre di ciascun anno, la comunicazione obbligatoria (modello 5) di cui all’articolo 17 della legge 576/80, indicando il
reddito professionale Irpef netto, denunciato con modello Unico, relativamente all’anno solare anteriore alla presentazione
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della dichiarazione al Fisco, nonché il volume di affari Iva relativo al medesimo anno;
I giovani avvocati dovranno comunque applicare il 2% sui corrispettivi rientranti nel volume di affari Iva (detratto l’importo
del contributo integrativo già assoggettato ad Iva - legge 85/1995) in un’unica soluzione, entro il 31 luglio di ciascun anno
oppure in due rate, di pari importo, di cui la prima, entro il 31 luglio e la seconda, entro il 31 dicembre del medesimo anno.
L’iscrizione diventa invece obbligatoria qualora i giovani avvocati abbiano raggiunto o superato, nell’anno anteriore a
quello di invio del modello 5, i livelli minimi di reddito professionale Irpef netto e/o di volume di affari Iva, stabiliti dal
Comitato dei delegati ai fini della dimostrazione della continuità dell’esercizio professionale.
2.4 Il giovane avvocato già iscritto alla Cassa
Anche al giovane avvocato neo-iscritto vengono offerti indubbi vantaggi: infatti, è stata accordata – e recentemente
confermata – l’esclusione dal pagamento del contributo minimo integrativo per i primi tre anni di iscrizione alla Cassa,
sempre che siano coincidenti con l’iscrizione all’Albo. Per tale periodo, come recita l’ultimo provvedimento di riforma, il
contributo integrativo resterà infatti dovuto solo in misura corrispondente al volume d’affari effettivamente dichiarato.
Come si può notare, solo l’iscrizione alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense (che può avvenire anche
molti anni dopo l’effettivo inserimento in uno Studio Legale) può assicurare al professionista una congrua forma di
assistenza assicurativa e/o previdenziale lasciando pertanto il praticante non iscritto (o eventualmente il giovane avvocato
ancora non iscritto) in una sorta di limbo sicuramente in contrasto con l’articolo 38 Costituzionale che cementifica tutt’altro
principio: ovvero il principio solidaristico e assistenziale connesso a quella libertà dal bisogno cui fa riferimento l’articolo 3
comma 2 della Costituzione.
3. Problematiche e proposte per una nuova assistenza previdenziale
Per parlare di proposte è comunque necessario fare alcune ulteriori precisazioni.
a) L’attuale posizione di chi non è iscritto alla Cassa fa si che, diversamente dalla posizione di ogni altro lavoratore
impiegato nel settore pubblico o privato, lo stesso venga a mancare qualsiasi forma di assistenza assicurativa e/o
previdenziale (es. incidenti sul lavoro, infortunio in itinere, maternità, malattia ... ). Non è un problema di poco conto se si
considera che un neolaureato in legge, nella migliore delle ipotesi, potrà comunque accedere ad una forma di assistenza e
previdenza solo ed esclusivamente al momento dell’iscrizione nello speciale albo dei praticanti abilitati (e, pertanto, non
prima di un anno dall’iscrizione all’Albo dei praticanti) e comunque solo potendo contare su un certo volume d’affari che
possa permettergli il regolare versamento dei contributi.
b) L’attuale regime di contribuzione (soggettivo + integrativo) non risulta sufficiente affinché ciascun individuo possa
finanziare la riserva necessaria alla copertura del trattamento previdenziale e assistenziale a lui destinato. Da alcune stime,
infatti, risulta che l’attuale regime copre circa il 57% di quello che percepirà in media un avvocato trentenne che si iscrive
oggi alla Cassa con l’ipotesi che il suo reddito medio evolverà in misura pari a quella osservata per le generazioni che lo
hanno preceduto.
c) In Italia, si era creata una forbice preoccupante fra il gettito contributivo e la spesa pensionistica, con conseguente
andamento declinante dell’indice di copertura a fronte di un aumento, graduale ma costante, della spesa previdenziale.
Secondo gli analisti, un consistente aumento degli iscritti ha certamente contribuito alla diminuzione di tale forbice.
Vi è da dire però che sul tavolo delle questioni vi è anche, e soprattutto, il problema relativo all’accesso della professione.
Cosa fare? Se da un lato, infatti, si adottasse un principio di maggiore rigidità nell’accesso alla professione ciò
determinerebbe inevitabilmente (soprattutto in un sistema a ripartizione) una ulteriore contrazione del gettito, destinata a
destabilizzare esponenzialmente il sistema. D’altro canto, la soluzione della liberalizzazione della professione non
servirebbe a nulla se non si adottassero contromosse efficaci e, in ogni caso, utili al gettito contributivo.
d) Oggi, la Cassa Nazionale di previdenza ed assistenza Forense ha di fatto la possibilità di erogare pensioni complementari
calcolate con il metodo di capitalizzazione individuale, in forza del Dl 252/05 e dei regolamenti attuativi. Il disegno di legge,
dopo aver riaffermato l’autonomia della nostra Cassa Forense, prevede (articolo 351bis) che gli enti di diritto privato di cui
ai D.Lgs 509/94 e 103/96, tra i quali vi è, com’è noto, anche la nostra Cassa Forense, possono, con l’obbligo della gestione
separata, istituire sia direttamente sia secondo le disposizioni di cui al comma 1, lettera A e B, forme pensionistiche
complementari.
A fronte di queste ulteriori precisazioni, si potrebbero avanzare alcune proposte per assoggettare un eventuale contratto con i
Praticanti alla contribuzione alla Cassa.
3.1 Praticanti non abilitati e pensione complementare
1 giovani neolaureati che intendano collaborare all’interno di uno Studio Legale potrebbero venire assimilati, dal punto di
vista squisitamente previdenziale, a veri e propri lavoratori parasubordinati potendo usufruire dei servizi assistenziali e
previdenziali offerti da un apposito Fondo pensione dedicato.
Attualmente l’INPS prevede, per il lavoratori parasubordinati, diverse tipologie di contributo, ossia un contributo per
professionisti e collaboratori, da corrispondere in misura diversa a seconda dei casi.
Nel caso di specie, potrebbe essere invece previsto il pagamento di una quota fissa da corrispondere, ad opera del dominus,
annualmente o, in alternativa, entro il 16 del mese successivo a quello di pagamento dell’eventuale compenso concordato
con lo Studio e in misura percentuale allo stesso.
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Questo meccanismo potrebbe essere realizzato grazie alla possibilità rimessa alla Cassa di gestione delle pensioni
complementari, mediante una sorta di pensione complementare dedicata ai Praticanti (abilitati e non) ed ai giovani avvocati
non iscritti.
Da ciò potrebbero derivarne alcuni indubbi vantaggi.
- Per i praticanti: i quali potrebbero godere di tutela assistenziale e previdenziale sino alla loro
iscrizione all’Albo dei praticanti, maturando cosi da subito gli anni contributivi.
- Per il dominus: per il quale potrebbero prevedersi alcuni sgravi fiscali quali, a titolo meramente
esemplificativo, la possibilità di detrazione dal proprio reddito professionale Irpef netto quanto versato a titolo di
contribuzione integrativa a favore del praticante.
Per la stessa Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense: la quale potrebbe garantirsi, da subito, un maggior
gettito contributivo.
3.2 Praticanti abilitati e giovani avvocati
Il sistema contributivo sopra delineato potrebbe inoltre coesistere con l’eventuale iscrizione del praticante nell’Albo
Speciale dei praticanti abilitati al patrocinio, nonché con l’eventuale iscrizione del praticante direttamente nell’Albo degli
Avvocati.
In effetti, in entrambi i casi il versamento di contributi complementari non osterebbe comunque al pagamento dei contributi
dovuti nel caso di iscrizione facoltativa alla Cassa che rimarrebbero, con le agevolazioni ancora oggi previste, a carico del
singolo professionista.
Nel caso invece di obbligo di iscrizione per aver raggiunto o superato, nell’anno anteriore a quello di invio del modello 5, i
livelli minimi di reddito professionale Irpef netto e/o di volume di affari Iva, il neo iscritto potrebbe comunque avvalersi,
dell’istituto della ricongiunzione, cosi come disciplinato dalla Legge n. 4511990 o, in alternativa, proseguire contribuendo
anche alla Cassa.
L’eventuale contratto potrebbe infatti prevedere, nel solo caso di ricongiunzione a seguito di iscrizione obbligatoria ad opera
del solo praticante abilitato, che dall’aliquota versata dal dominus, quale contributo previdenziale sulle parcelle su cui il
praticante ha effettivamente prestato la propria opera, possa essere trattenuta una percentuale da destinarsi alla contribuzione
previdenziale del praticante come se si trattasse di una sorta di ritenuta d’acconto previdenziale.
4. Conclusioni
Al termine di questa breve relazione, credo che la possibilità di configurare un contratto tipo per i praticanti e i giovani
avvocati che sia assoggettabile, quanto ai compensi, alla contribuzione alla Cassa, sia non solo possibile, ma anche attuabile
in termini relativamente brevi.
Non vi è dubbio che lo scontro generazionale si è più volte confrontato sul famigerato articolo 26 del nostro Codice
Deontologico laddove, da un lato veniva rivendicato quel contributo minimo ritenuto dovuto per le prestazioni offerte
all’interno della struttura dello Studio mentre, dall’altro, veniva ovviamente osteggiato, con non poco livore, un certo
disinteresse ad ogni imposizione in tal senso.
Ma un piccolo significativo traguardo per i “contendenti” potrebbe proprio essere rappresentato dalla possibilità, anche per i
giovani neo-laureati maggiormente sensibilizzati sul tema previdenziale, di inserirsi nel mondo del lavoro potendo, da
subito, assicurarsi quella forma di assistenza assicurativa e/o previdenziale che, purtroppo, è venuta a mancare per troppe
generazioni.
Un provvedimento questo che potrebbe, fra l’altro, arginare quel mai costume oggi rappresentato dalla pratica fittizia di
molti giovani. Esso infatti potrebbe garantire, mediante l’applicazione di contratti studiati ad hoc - contratti che prevedano,
allo stesso tempo, sgravi fiscali per il dominus e tutela previdenziale - una pratica effettiva all’interno di quegli Studi che
intendano crescere e formare i futuri giovani avvocati.
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ITALIA OGGI
Il ministero licenzia le nuove classi di laurea triennali e magistrali. La riforma già dal 2007/2008.
Università, Mussi rispolvera il 3+2
Atenei più autonomi. E paletti per l'attivazione di nuovi corsi
Il governo rispolvera la ´sua' riforma dell'università. E dà una bella lucidata alla Berlinguer-Zecchino, la legge
che prevede il triennio di base e un biennio di specializzazione. Il centro-sinistra, quindi, più che dare attuazione
al percorso a Y (1+2+2), cavallo di battaglia dell'ex sottosegretario Mariagrazia Siliquini nella passata
legislatura, ha deciso di migliorare il 3+2 rafforzando il collegamento università-lavoro e risolvere quei problemi
nati in questi ultimi anni. In linea con quanto anticipato dal sottosegretario all'università Luciano Modica (si veda
ItaliaOggi del 26 maggio 2006), il Miur ha così licenziato i due provvedimenti sulle classi di laurea e di laurea
magistrale ai sensi del dm n. 270/2004 e relativi allegati e li ha trasmessi al Cun (Consiglio universitario
nazionale), alla Crui (Conferenza dei rettori) al Cnsu (Consiglio nazionale studenti universitari) con nota prot. n.
GAB/7861.8.1 del 12 settembre 2006. Fra le novità ci sono i paletti alla proliferazione di corsi triennali e i limiti
alla parcellizzazione degli esami. Oltre che il riconoscimento di una maggiore autonomia agli atenei. La riforma
partirà già dal prossimo anno accademico 2007/2008, ma ci sarà comunque tempo fino al 2009/2010.
I nuovi corsi. Sono 43 le nuove classi di laurea triennali e 94 quelle quinquennali. E dall'anno accademico
2010/2011 cancelleranno definitivamente quelle previste dal decreto ministeriale 4 agosto 2000. Per evitare la
proliferazione di corsi, il decreto, per i nuovi ordinamenti, detta criteri precisi circa l'attivazione. Che potrà
avvenire esclusivamente nel caso in cui gli insegnamenti corrispondenti ad almeno 90 crediti per le lauree di tre
anni e 60 per le lauree magistrali siano tenuti da professori o ricercatori inquadrati nei relativi settori scientificodisciplinari e di ruolo presso l'ateneo. Nessun professore potrà essere conteggiato più di due volte.
Atenei più autonomi. Per ogni corso di laurea i regolamenti didattici determineranno autonomamente i crediti da
assegnare a ciascuna attività formativa. Gli ordinamenti dovranno assicurare agli studenti una solida
preparazione sia nelle discipline di base sia in quelle caratterizzanti, garantendo loro la possibilità di un
approfondimento critico di argomenti anche evitando la dispersione del loro impegno su un numero eccessivo di
discipline, di insegnamenti e relativi moduli. Questo, nelle intenzioni del ministero, permetterà agli atenei di
mettersi in competizione fra di loro e di costruire percorsi accademici in grado di attirare più studenti.
Raccordo università-lavoro. Nel definire gli ordinamenti didattici, le università dovranno specificare gli obiettivi
formativi in termini di risultati di apprendimento attesi e dovranno individuare gli sbocchi professionali con
riferimento alle attività classificate dell'Istat in modo da permettere un miglior raccordo fra l'università e il
lavoro. Per gli studenti che vorranno trasferirsi è assicurato il riconoscimento del maggior numero di crediti già
maturati. Ci sarà anche la possibilità per l'ateneo di ingresso di ricorrere a colloqui per la verifica delle
conoscenze possedute. La quota di esami che potrà essere riconosciuta non potrà comunque essere inferiore al
50% di quelli maturati. Tale limite non si applica nel caso gli studenti provengano da un'università telematica.
Non solo. Al termine degli studi le università rilasceranno un certificato che riporterà le principali indicazioni
relative al curriculum specifico seguito dallo studente per conseguire il titolo.
Esami limitati. Quanto al vecchio problema dell'eccessiva parcellizzazione degli esami, il ministero guidato da
Fabio Mussi ha inteso risolvere il problema fissando in 20 per i corsi triennali e in 12 per le lauree magistrali il
massimo degli esami e delle verifiche di profitto, anche favorendo prove di esame integrate per più insegnamenti
o moduli coordinati. Lo studente, quindi, si potrà confrontare con più docenti e per più materie insieme. Ancora,
gli atenei potranno riconoscere e far diventare crediti formativi anche le conoscenze e le abilità professionali
certificate. Il numero massimo di crediti riconoscibili, però, per ogni corso di laurea non potrà comunque essere
superiore a 60 per le triennali e 40 per le magistrali. (riproduzione riservata)
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