Sintesi dello studio “Sprechi alimentari di carne, verdure e pane

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Sintesi dello studio “Sprechi alimentari di carne, verdure e pane
Sintesi dello studio “Sprechi alimentari di carne, verdure e pane – stime e approcci risolutivi per
la Svizzera”1
Ottobre 2014
In Svizzera, ogni anno, un terzo di tutti gli alimenti prodotti per il consumo umano, ossia circa 2
milioni di tonnellate di cibo, va perso. Approssimativamente, una metà di questo sperpero è
imputabile a vari passaggi lungo la catena del valore, mentre dell’altra metà sono responsabili i
consumatori finali, ovvero le famiglie. Lo spreco alimentare non è solo inaccettabile dal punto di
vista morale, ma costituisce anche un inutile consumo di risorse preziose come terra, acqua ed
energia. Ed è anche un aggravio sul piano finanziario: in un anno, in media, ogni famiglia svizzera
getta via inutilmente alimenti per un valore di 500 - 1000 franchi.
Lo studio di cui proponiamo una sintesi analizza la catena del valore di tre gruppi di prodotti
tradizionalmente importanti in Svizzera: (1) frumento panificabile (che in sostanza
rappresenta il pane), (2) carne (di suino, bovino, pollame e ovino) e (3) verdura (verdura fresca:
pomodori, lattuga e broccoli / verdura destinata all’immagazzinamento: cipolle / patate). Poiché i
dati a disposizione sulle perdite di singoli alimenti in Svizzera sono piuttosto lacunosi – eccezion
fatta per il frumento panificabile –, lo studio si è basato su dati affidabili rilevati in Gran Bretagna,
opportunamente convertiti per essere applicabili alla realtà elvetica. La confrontabilità tra i due
Paesi può considerarsi assodata in quanto lo spreco alimentare ammonta in entrambi a circa un
terzo della quantità totale di cibo a disposizione; inoltre, Gran Bretagna e Svizzera sono affini
anche dal punto di vista economico e culturale, pertanto si può legittimamente partire dal
presupposto che le abitudini di consumo siano simili.
Nel complesso, va persa quasi la metà (43%) del frumento panificabile. Gli sprechi più
significativi hanno luogo durante la lavorazione e presso le famiglie. Tra le cause principali, il
declassamento a frumento da foraggio del cereale in eccesso rispetto alla domanda, il mancato
utilizzo della crusca, la sovrapproduzione nelle panetterie e il pane gettato via dai consumatori
finali. Vi sono diverse misure che possono contribuire a ridurre le perdite: un esempio è dato
dall’innovativo riutilizzo della crusca nella filiera alimentare, sotto forma di prodotti integrali o di
integratori. Presso le panetterie e i punti vendita è importante adottare un approccio che agisca su
vari fronti: dalla formazione dei collaboratori, alle misure aziendali, all’utilizzo del pane raffermo
(prezzo ribassato il giorno successivo, consegna a istituzioni sociali, trasformazione in pangrattato).
Non da ultimo, sarebbe utile che le famiglie pianificassero con maggiore consapevolezza i propri
acquisti, in modo da limitare gli avanzi, e imparassero a conservare correttamente il pane e a
riutilizzarlo in modo creativo anziché gettarlo via quando è raffermo.
Anche per quanto concerne la carne le perdite più massicce si concentrano nelle fasi di
trasformazione e presso le famiglie. Tuttavia, a livello generale, gli sprechi di questo alimento sono
più contenuti (19%) rispetto a quelli di frumento panificabile; probabilmente i consumatori sono
maggiormente attenti a non gettare via i prodotti a base di carne perché essi hanno un prezzo
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«Lebensmittelverluste bei Fleisch, Gemüse und Brot - Schätzungen und Handlungsansätze für die Schweiz», disponibile in versione integrale solo in
lingua tedesca.
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piuttosto elevato. Le cause principali delle perdite registrate lungo la catena del valore risiedono
nel mancato utilizzo di prodotti secondari commestibili quali frattaglie, zampe di suini o tessuti
adiposi. Esistono varie possibilità e diversi metodi per contenere gli sprechi di carne: l’esportazione
di sottoprodotti commestibili, ad esempio, potrebbe essere un modo per ridurre le perdite e nel
contempo conquistare nuovi mercati. Anche lo sviluppo di prodotti innovativi, come la salsiccia o i
salumi a base di carne di pollo, costituisce un potenziale altrettanto interessante. Il ruolo dei
consumatori è importante in questo contesto: solo se esiste una domanda in tal senso, sussistono i
presupposti per sviluppare e offrire nuovi prodotti realizzati con alimenti che altrimenti verrebbero
gettati via. In generale, il ritorno a una cultura in cui si consuma ogni singola parte di un animale
macellato – parola chiave: “non si butta via niente” – contribuirebbe in maniera decisiva a
contenere gli sprechi di carne.
Fra tutti i tipi di verdura esaminati, gli sprechi più consistenti si registrano sempre agli stessi
livelli della catena del valore – durante la produzione e nelle famiglie – ma l’entità delle perdite
varia a seconda dell’ortaggio. Nella verdura fresca (pomodori, lattuga, broccoli) e nella verdura
destinata all’immagazzinamento gli sprechi evitabili corrispondono rispettivamente al 34% e
al 40%, mentre per quanto concerne le patate2 va perso lungo la catena del valore ben il 66% del
raccolto: praticamente più di metà delle patate coltivate non viene consumata, ma è utilizzata come
cibo per animali o materia prima per produrre energia (ad es. biogas, combustibile). Una delle
cause all’origine delle perdite consistenti nell’ambito della produzione è la cernita basata su criteri
qualitativi: i vegetali di forma anomala, ritenuti esteticamente impresentabili, o quelli troppo
maturi vengono scartati. Gli sprechi che si registrano nelle nostre case sono imputabili alle stesse
motivazioni individuate per il pane e la carne: carente pianificazione degli acquisti, cattiva
conservazione ed eccessiva attenzione all’aspetto estetico. Soprattutto su quest’ultimo fattore si
potrebbe lavorare molto per contenere gli inutili sprechi di verdure: se si ridimensionassero le
pretese dei consumatori e si migliorasse la commercializzazione dei prodotti di aspetto inusuale
attraverso opportuni canali (quali la vendita diretta o un mercato espressamente dedicato agli
ortaggi di seconda scelta nell’ambito della grande distribuzione), si riuscirebbe a ridurre
sensibilmente le perdite.
Come illustra il rapporto, le entità e le ragioni alla base degli sprechi variano a seconda degli
alimenti. Nel caso delle verdure, le perdite principali si verificano già a livello della produzione,
mentre per quanto riguarda la carne esse si registrano nella fase di trasformazione. Un aspetto però
è comune a tutti i prodotti: il ruolo decisivo giocato dai consumatori. Il teatro di molti sprechi
alimentari sono infatti le nostre case.
Al fine di quantificare con precisione anche per la Svizzera le perdite che si verificano ai vari livelli
della catena del valore e introdurre provvedimenti efficaci contro il food waste, è necessario
procedere anzitutto a una rilevazione sistematica e trasparente dei dati. Solo dopo aver
delineato una panoramica circostanziata sarà possibile individuare approcci concreti per ridurre ed
evitare gli sprechi.
Per contenere in modo efficace e duraturo le perdite – che si tratti di carne, pane o verdura – è
fondamentale una collaborazione a livello dell’intero settore alimentare. Non di rado le
singole aziende hanno già introdotto valide misure di ottimizzazione al loro interno. Per i
dettaglianti, ad esempio, gli alimenti gettati via rappresentano una perdita immediata sul piano
finanziario, pertanto è naturale che essi esercitino un controllo attento su questo aspetto. Le
ottimizzazioni, tuttavia, si limitano sostanzialmente a contrastare gli sprechi all’interno
La patata, nel settore commerciale, non rientra fra le verdure, ma nel contesto dello studio svolto è risultato opportuno classificarla in questa categoria di
alimenti.
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dell’azienda in questione, quindi a un livello preciso della catena del valore. Raramente ci si
adopera per lavorare sulle perdite causate indirettamente ad altri livelli, ad esempio dalle
prescrizioni normative o dalla mancata abitudine al consumo di determinati prodotti secondari.
Spesso lo spreco alimentare è un problema trasversale che va affrontato congiuntamente, in
un’ottica di stretta collaborazione, da tutti gli attori che operano lungo la filiera alimentare.
Una dimostrazione del fatto che le cooperazioni a livello settoriale possono davvero raggiungere
risultati soddisfacenti è data dal Courtauld Commitment nel Regno Unito. Su impulso del
governo britannico, diverse aziende si sono impegnate volontariamente a offrire il proprio
contributo per ridurre la produzione di rifiuti. L’iniziativa è coordinata da un’organizzazione
neutrale (Waste & Resources Action Programme – WRAP) che invita tutti gli attori operanti lungo
la catena del valore di un determinato alimento a incontrarsi e stabilire obiettivi e misure comuni
per ridurre le perdite. L’iniziativa va nella direzione giusta: lo dimostrano non solo i dati di
comprovata validità raccolti sullo spreco alimentare, ma anche e soprattutto il fatto che tra il 2005
e il 2012 sia stato possibile ridurre di circa 2,9 milioni di tonnellate la mole di rifiuti prodotti
(prevalentemente alimenti sprecati, ma anche imballaggi). Nel 2013 è stata lanciata la prima
iniziativa di categoria contro lo spreco alimentare sul territorio svizzero: l’associazione United
Against Waste, che conta oltre 30 aderenti, si propone di abbattere in un’ottica di lungo termine
lo spreco alimentare lungo l’intera catena del valore della ristorazione. Per raggiungere il proprio
obiettivo, United Against Waste affronta il problema in maniera graduale, finora attraverso
l’attuazione di diversi progetti volti tra l’altro alla raccolta di dati nei comparti della gastronomia e
della panificazione e all’integrazione nei corsi di perfezionamento di metodi per contenere gli
sprechi alimentari.
Oltre alla cooperazione intersettoriale, anche l’innovazione svolge un ruolo importante. Si tratta
di individuare soluzioni che consentano di valorizzare e reintegrare nella filiera quei sottoprodotti
alimentari che attualmente non hanno sbocchi sul mercato e vengono scartati. È quanto sta
avvenendo, ad esempio, con la crusca, riscoperta e proposta ai consumatori sotto forma di
integratore alimentare, o con lo sviluppo di nuovi prodotti quali salsicce di pollo confezionate con
carne di galline ovaiole che in precedenza nessuno consumava.
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