Le Case della Salute. Innovazione e buone pratiche

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Le Case della Salute. Innovazione e buone pratiche
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Le Case della Salute
N. 211 - 2016
Le Case della Salute.
Innovazione e buone
pratiche
Gavino Maciocco1, Antonio Brambilla2
Medico, docente Politica sanitaria nell’Università di Firenze
Medico, direzione generale cura della persona, salute e welfare della Regione Emilia-Romagna
1
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Abstract
Sin dalla sua istituzione, il Servizio sanitario nazionale si è tradizionalmente organizzato e ha investito quasi esclusivamente
nel settore delle malattie acute, secondo il paradigma dell’attesa e del modello biomedico di sanità: il sistema, i professionisti sanitari, si mobilitano cioè soltanto in occasione della manifestazione di un evento acuto o comunque a fronte di una
richiesta del cittadino. Oggi, a fronte dello scenario epidemiologico mutato, le organizzazioni sanitarie – per rispondere
adeguatamente ai bisogni di salute della popolazione – devono riorientare il proprio approccio alle malattie croniche secondo il paradigma della sanità d’iniziativa: il bisogno di salute deve essere riconosciuto prima dell’insorgere della malattia
o del suo aggravamento.
La sanità d’iniziativa si caratterizza per:
• la presenza di un team multiprofessionale (medici di
famiglia, infermieri, specialisti ecc.) in grado di svolgere un lavoro collaborativo e integrato in funzione
dei bisogni del paziente;
• una forte attenzione ai bisogni di salute della comunità, anche rispetto ai determinanti della salute (compresi quelli cosiddetti “distali”, ovvero quelli socioeconomici, che sono alla base delle crescenti disuguaglianze nella salute);
• la continuità delle cure attraverso un sistema facilmente accessibile alla persona e integrato tra i diversi livelli di assistenza, fondato sui richiami proattivi e programmati delle persone;
• l’enfasi sulla promozione della salute rivolta a tutta la
popolazione e sulle strategie di prevenzione mirate
più specificamente alle persone a maggior rischio.
Per ridisegnare il sistema sanitario sulla base di questi
elementi, è stato adottato a livello internazionale il modello concettuale del Chronic Care Model, elaborato da Ed
H. Wagner, direttore del MacColl Center for Health Care
Innovation.
Il Chronic Care Model si fonda sulla capacità di differenziare, riconoscendoli, i bisogni della popolazione in
relazione alla condizione clinica e di salute (stratificazione per gravità) delle persone, mettendo in atto differenti
strategie assistenziali a seconda della gravità. La stratificazione è rappresentata efficacemente da una piramide.
Il Chronic Care Model è stato adottato dall’Organizzazione mondiale della sanità e largamente introdotto nelle
strategie d’intervento dei sistemi sanitari di diversi Paesi,
dal Canada all’Olanda, dalla Germania al Regno Unito,
Italia compresa, che ha recentemente approvato il Piano
nazionale della cronicità (Accordo Stato-Regioni del 15
settembre 2016).
Un modello innovativo che richiede tempo per realizzarsi
compiutamente, ma nella cui roadmap di avvicinamento
trovano posto due fondamentali condizioni: a) un team
multiprofessionale e multidisciplinare in condizione di
fornire, da una parte, prestazioni cliniche di qualità e,
dall’altra, una vasta gamma di interventi preventivi e di
promozione della salute in una prospettiva di medicina
proattiva; b) la presenza di strutture edilizie e di infrastrutture tecnologiche (informatiche e diagnostiche) che
possano supportare adeguatamente team numericamente consistenti e che rappresentino per la popolazione un
punto di riferimento concreto, riconoscibile, accogliente,
facilmente accessibile, affidabile per tutti i servizi sanitari
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e sociali del territorio. Strutture di questo genere hanno
avuto una denominazione – Case della salute – a partire
dal 2006.
Fu in quell’anno infatti – con il secondo governo Prodi –
che il Ministro della sanità, Livia Turco, indicò nelle Case
della salute un obiettivo strategico per realizzare “l’integrazione tra sanitario e sociale, in un quadro di sviluppo
delle cure primarie a livello nazionale”.
Nel luglio 2007 il Ministero della salute emanò un decreto
per attuare la “Sperimentazione del modello assistenziale
Case della Salute” (con un fondo di 10 milioni di euro).
Al decreto era allegato un documento che conteneva la
definizione della struttura: «La Casa della Salute, struttura
polivalente in grado di erogare in uno stesso spazio fisico
l’insieme delle prestazioni sociosanitarie, favorendo, attraverso la contiguità spaziale dei servizi e degli operatori,
l’unitarietà e l’integrazione dei livelli essenziali delle prestazioni sociosanitarie, deve rappresentare la struttura di riferimento per l’erogazione dell’insieme delle cure primarie».
Tra l’elenco delle caratteristiche della struttura al primo posto si leggeva: “All’interno della struttura devono trovare
collocazione gli studi dei medici di medicina generale e
deve essere garantita la continuità assistenziale 7 giorni su
7 e per le 24 ore attraverso il lavoro in team con i medici di
continuità assistenziale e di emergenza territoriale”.
Da allora, diverse Regioni si sono impegnate nella realizzazione di Case della Salute, ma solo in due di esse il
progetto ha superato la fase della sperimentazione ed è
divenuto parte integrante e concreta della programmazione sanitaria regionale: l’Emilia- Romagna e la Toscana.
L’esperienza della Regione Emilia-Romagna
La realizzazione delle Case della Salute in Emilia-Romagna si colloca all’interno e in continuità di un più ampio
percorso di innovazione avviato col Piano sanitario regionale 1999-2001, per promuovere l’integrazione tra servizi sanitari e sociali, storicamente “a canne d’organo”,
facilitando così l’accesso ai servizi da parte della popolazione e migliorando la presa in carico e la continuità
dell’assistenza. Nell’anno 2000 sono stati istituiti i Nuclei
di cure primarie (NCP) forme organizzative per l’erogazione dell’assistenza primaria alla popolazione di riferimento, composti da pediatri di libera scelta, medici di
medicina generale, infermieri, ostetriche, medici specialisti (prevalentemente a sostegno dei percorsi assistenziali
per la cronicità) e assistenti sociali. I NCP hanno rappresentato un’opportunità per favorire la collaborazione tra
medicina convenzionata (in primis i medici di medicina
generale) ed i professionisti delle Aziende sanitarie (in
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primis gli infermieri ed i medici specialisti) e dei Comuni
(gli assistenti sociali). A 10 anni dall’avvio dei Nuclei di
cure primarie, la Giunta regionale dell’Emilia-Romagna
ha approvato le prime indicazioni sulle Case della Salute
(Deliberazione n. 291 del 8 febbraio 2010), compiendo
una ulteriore evoluzione rispetto ai NCP. Le Case della Salute intendono qualificarsi come strutture facilmente riconoscibili e raggiungibili dalla popolazione di riferimento,
dove trovare risposta alla maggioranza dei bisogni di salute (di natura episodica e cronica) attraverso la garanzia
dell’accesso e dell’erogazione dell’assistenza sanitaria,
sociosanitaria e socio-assistenziale in integrazione con i
professionisti dell’ambito sociale, e con la partecipazione
della comunità locale (es. pazienti, caregiver, associazioni di pazienti e di volontariato).
Dal 2011 ad oggi il numero di Case della Salute è raddoppiato, 42 nel 2011 e 84 nel 2016 (ottobre), rappresentando il punto di riferimento per il 43% dei 4 milioni
e 500 mila abitanti dell’Emilia-Romagna e per il 60% dei
334 Comuni. Alle 84 Case della Salute funzionanti, se ne
aggiungono 38 programmate per i prossimi anni.
La maggioranza delle Case della Salute sono state realizzate come riqualificazione di strutture esistenti, sanitarie
(es. sede di attività distrettuali, sede della medicina di
gruppo, Poliambulatorio, piccolo Ospedale) e anche non
sanitarie (ex-scuola o ex-teatro). L’investimento economico
sostenuto per la sola riqualificazione edilizia ammonta
a circa 70 milioni di euro, provenienti da diverse fonti
finanziarie (statali, regionali, Aziende sanitarie, Comuni).
La programmazione delle Case della Salute nei territori
locali viene condivisa tra Azienda sanitaria / Distretto e
sindaci. Ogni Casa della Salute presenta una sua specifica complessità assistenziale, in funzione dei bisogni della
popolazione a cui si riferisce e delle caratteristiche del
territorio. Le Case della Salute possono avere un livelli di
complessità definibile come “basso”, riferito al 40% delle
Case della Salute, e “medio/alto”, riferito al 60%. Il livello “basso” comprende l’assistenza di pediatri di libera
scelta (PLS) / medici di medicina generale (MMG), l’assistenza infermieristica (ambulatorio prestazionale e ambulatorio per la gestione della cronicità in integrazione con
MMG e medico specialista); l’assistenza specialistica a
supporto dei percorsi per la cronicità; l’assistenza ostetrica e l’assistenza sociale. Il livello “medio/alto” comprende, in aggiunta alle tipologie di assistenza garantite
dal livello “basso”, tutte le funzioni e le attività tipiche
dell’assistenza distrettuale (es. funzioni amministrative di
accesso, valutazione del bisogno, sanità pubblica, Consultorio familiare, salute mentale, assistenza specialistica
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ambulatoriale). Nell’edificio che ospita le Case della Salute di “media/alta” complessità assistenziale possono
essere, inoltre, presenti l’Ospedale di comunità e/o strutture residenziali e semi-residenziali per diversi target di
utenza (es. anziani, disabili).
Nell’ambito distrettuale le Case della Salute ed i Nuclei di
cure primarie (NCP) si configurano come una rete simile
al modello Hub&Spoke dell’assistenza ospedaliera, in cui
le Case della Salute a “media\alta” complessità rappresentano l’Hub di quelle a bassa complessità (Spoke) e dei
NCP non ancora inseriti nelle Case della Salute. Questa
rete garantisce l’attuazione dei principi di prossimità ed
equità dell’accesso e della presa in carico.
A distanza di 6 anni dalle prime indicazioni sulle Case
della Salute stanno per essere approvate dalla Giunta regionale le nuove, che sistematizzano le “buone prassi”
maturate in questi anni nei singoli territori e le proposte
emerse dal confronto e dalla discussione con tutti i soggetti coinvolti a livello locale e regionale. Le principali
direttrici di sviluppo delle Case della Salute saranno il
rafforzamento della partecipazione della comunità locale
(pazienti, caregiver, associazioni di pazienti e di volontariato, fino ai singoli cittadini), dell’integrazione e del
coordinamento delle attività della Casa della Salute, e
della medicina d’iniziativa. In particolare, le nuove indicazioni regionali individuano per le Case della Salute a
“media/alta” complessità assistenziale un coordinamento, organizzativo e clinico-assistenziale. Il coordinamento
organizzativo è garantito da un responsabile, preferibilmente un coordinatore infermieristico e tecnico, e un board, composto da tutti gli attori coinvolti nella Casa della
Salute. Il coordinamento clinico-assistenziale è garantito
da referenti che hanno il compito di presidiare le funzioni
di governo clinico delle diverse aree integrate di intervento della Casa della Salute (es. medici di medicina generale, medici specialisti, infermieri, assistenti sociali). Queste
sono organizzate per livelli di intensità assistenziale: prevenzione e promozione della salute; popolazione con bisogni occasionali-episodici; benessere riproduttivo, cure
perinatali, infanzia e giovani generazioni; prevenzione e
presa in carico della cronicità; non autosufficienza; rete
cure palliative. Le attività di ogni area sono realizzate attraverso l’integrazione delle competenze dei Dipartimenti
delle Aziende sanitarie (territoriali e ospedalieri) e dei
Comuni.
Le Case della Salute rappresentano una nuova soluzione organizzativa per affrontare il mutato contesto demografico,
epidemiologico e socio-economico, che richiede, tuttavia,
un profondo cambiamento culturale delle organizzazioni
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sanitarie e sociali, dei professionisti, e della popolazione
stessa, ancora legata ad un modello “ospedalocentrico”.
Ad oggi politici, professionisti e cittadini valutano positivamente l’esperienza delle Case della Salute, fattore determinante per garantirne il successivo sviluppo.
L’esperienza della Regione Toscana
Il primo atto formale della Regione Toscana sulle Case
della Salute avviene quando nel febbraio 2008, dopo
il relativo finanziamento statale introdotto nella legge finanziaria 2007 (ripreso dal D.M. attuativo del 10 luglio
2007 e dall’ Accordo Stato Regioni del 1 agosto 2007),
la Giunta regionale approva i progetti pilota per la sperimentazione del “modello assistenziale Case della Salute”
in alcune Asl della Regione1.
Nel 2015 con delibera della Giunta regionale2 vengono
emanate le Linee d’indirizzo regionali sulle Case della
Salute, contenenti gli standard e i requisiti delle differenti
tipologie di strutture.
Nel 2015 è stata condotta una rilevazione delle Case
della Salute in Toscana per monitorare l’espansione ed i
cambiamenti dell’implementazione di tale modello nelle
cure primarie ed approfondire così le sue prerogative, in
particolare dal punto di vista dell’integrazione multi-professionale, della governance e della collaborazione con
altri servizi aziendali3. La mappatura mette in evidenza la
presenza di 46 Case della Salute (qualche altra è stata
aperta successivamente). Se una prima esperienza di Casa
della Salute è presente in Toscana dal 2006 (La Rosa, Asl
5 Pisa), ed altre quattro vengono aperte negli anni 20082009, il fenomeno comincia a consolidarsi dopo il 2010 e
raggiunge un’elevata rilevanza in questi ultimi anni (oltre il
50% delle Case della Salute attualmente presenti sono state aperte nel 2013 e 2014). Solo l’Asl 4 Prato non ha Case
della Salute attive, anche se il loro numero all’interno delle
Aziende e la loro distribuzione tra le zone-distretto è molto
diversificata. Le Case della Salute risultano concentrate in
territori/città di medie o piccole dimensioni, mentre non
sono ancora presenti nella grandi città. Ciò avvalora la tesi
secondo cui tali Presidi funzionano probabilmente meglio
in alcune tipologie di territori o comunque in condizioni
strutturali particolari. Si osserva una grande variabilità in
termini di ampiezza, che si riflette anche nel numero e nel
DGRT N. 139 del 25/02/2008
DGRT N. 117 del 16/02/2015
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Bonciani M., Barsanti S. (2015) “La Case della Salute in Regione
Toscana: servizi, organizzazione ed esperienza di medici e assistiti.
Anno 2015” In corso di pubblicazione
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tipo di servizi presenti (ad esempio Case della Salute di
grandi dimensioni includono anche Centri diurni e/o RSA).
Tale eterogeneità è dovuta anche al fatto che, in alcuni
casi, le sedi utilizzate da alcune Case della Salute sono
all’interno di Presidi distrettuali o ospedalieri già esistenti e
riorientati ad altra funzione. In larga maggioranza le Case
della Salute sono ubicate in strutture di proprietà dell’AUSL
o di altro ente pubblico.
Le Case della Salute sono aperte mediamente 12 ore al
giorno dal lunedì al venerdì e l’orario minimo di apertura
è di 7 ore. Senza considerare il servizio di continuità assistenziale, solo poche Case della Salute riportano di stare
aperte h24 per 7 giorni alla settimana e sono quelle che
inglobano servizi come RSA o Punto di primo soccorso,
altrimenti la metà delle strutture sono aperte soltanto alcune ore il sabato mattina.
In tutte le Case della Salute (con la sola eccezione di una)
sono presenti MMG, per oltre 300 MMG (mediamente
6-7 MMG per Casa della Salute), la cui maggioranza ha
il proprio ambulatorio prevalente all’interno della Casa
della Salute. Minore invece la partecipazione dei PLS,
presenti in 26 Case della Salute, per un totale di 33 PLS
coinvolti. Considerando il totale dei MMG e dei PLS che
operano in Case della Salute, la popolazione afferente
alle Case della Salute è rispettivamente di circa 372.000
e 24.500 assistiti, con un bacino medio di utenza per
Casa della Salute di circa 8.300 adulti e 1.000 bambini.
Gli infermieri e gli specialisti sono gli altri operatori sanitari maggiormente presenti nelle Case della Salute:
mediamente ogni Casa della Salute ha 9 infermieri e 9
specialisti, per un totale di oltre 400 operatori di ciascuno dei due gruppi professionali, diversificati però notevolmente dall’orario di presenza individuale all’interno
delle strutture. L’ambulatorio infermieristico è presente in
44 Case della Salute e la sanità di iniziativa viene svolta
in tutte le strutture, prevalentemente con percorsi relativi al
diabete mellito ed allo scompenso cardiaco. Gli ambulatori specialistici sono presenti in 42 Case della Salute, ed
altre 2 ne prevedono l’attivazione. Le specialità prevalenti
sono la cardiologia (in 30 Case della Salute), l’ostetriciaginecologia (in 23 Case della Salute), l’oculistica (in 23
Case della Salute), la dermatologia (in 23 Case della Salute) e l’ortopedia (in 19 Case della Salute).
Il servizio di assistenza sociale è presente in 40 Case
della Salute e gli uffici amministrativi in 38; si osserva
dunque che quasi tutte le Case della Salute toscane soddisfano il criterio di composizione minima di un’équipe
multidisciplinare, con MMG, infermieri, amministrativi,
specialisti ed operatori sociali.
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Il Centro unico prenotazioni (CUP) è inserito in quasi tutte
le Case della Salute (43 strutture e le altre 3 lo prevedono) ed anche il punto prelievi è ampiamente diffuso (40
Case della Salute). Il servizio di continuità assistenziale è
invece presente in poco più della metà delle Case della
Salute (26), ma in altre 15 è prevista la sua attivazione.
La diagnostica di primo livello (principalmente ecografie, radiologia convenzionale, spirometria ed ECG) è
presente in 29 Case della Salute ed il servizio di telemedicina solo in 13 strutture (e circa altrettante prevedono
di attivarlo).
Presenti attività di prevenzione (vaccinazioni e screening
della cervice uterina) in circa la metà delle Case della Salute, ed ancor meno diffusa l’attività di promozione della
salute rivolta alla comunità di riferimento.
Da migliorare invece il consolidamento di percorsi volti
alla continuità assistenziale sia all’interno delle Case della Salute che con altri servizi aziendali. Solo poco più della metà delle Case della Salute, infatti, riferisce l’esistenza
di agende dedicate per la specialistica che i MMG possono utilizzare per i propri assistiti, ma nella maggioranza
dei casi solo per quelli coinvolti nei moduli della sanità di
iniziativa. Limitata anche la collaborazione con l’esterno:
poco più di una Casa della Salute su tre ha rapporti con
gli ambulatori specialistici interni e con il servizio sociale
del Comune o di altro ente, mentre non esistono collaborazioni con i reparti ospedalieri e il Pronto Soccorso in
oltre il 50% delle Case della Salute.
Anche l’integrazione professionale è un aspetto che deve
essere rafforzato: si osserva una più diffusa abitudine a
svolgere incontri periodici di tipo organizzativo, rispetto a quelli di tipo clinico, che, se svolti, risultano esserlo
in base all’esigenza di discutere e confrontarsi su casi
o situazioni complesse piuttosto che ad una previa programmazione periodica. I professionisti che hanno ormai
un’abitudine consolidata ad incontrarsi sono i MMG e
gli infermieri, mentre i MMG e quelli della continuità assistenziale svolgono meno frequentemente incontri, sia di
tipo organizzativo che clinico.
Le Case della Salute hanno una discreta dotazione tecnologica, in termini di postazioni informatiche e connessioni
(rete LAN e collegamento alla rete aziendale), ma non
è ancora omogeneamente diffuso l’utilizzo di software
gestionali al loro interno, ad eccezione dei programmi
relativi al CUP, alla gestione dell’anagrafe assistiti ed il
sistema gestionale per MMG/PLS. L’aspetto più critico
riguarda la mancanza di cartelle informatizzate, con 8
Case della Salute che non utilizzano tale strumento tecnologico per la condivisione dei dati dei pazienti, che
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costituisce invece un elemento facilitante l’integrazione
professionale.
La condivisione dei dati nelle Case della Salute da parte
dei MMG e degli infermieri è generalmente diffusa, forse
anche in relazione alle varie attività della sanità di iniziativa, mentre è più limitato l’accesso ai dati da parte di altri
professionisti sociosanitari, degli specialisti, dei PLS e dei
medici di continuità assistenziale.
Sono ancora poche, infine, le Case della Salute in To-
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scana che si sono dotate di sistema di governance e di
strumenti di programmazione e controllo (identificazione
di figure di coordinamento, definizione di programmi e
obiettivi, budget, valutazione e reportistica).
Bibliografia
Brambilla A, Maciocco G, Le Case della Salute. Innovazione e
buone pratiche, Carocci Faber, Roma 2016.