5. riunione Area - Associazioni ONG

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5. riunione Area - Associazioni ONG
Riunione preparatoria del Seminario “L’immigrazione che verrà”, tenutasi il
4.12.2014 tra AREA Catania e i rappresentanti delle associazioni coinvolte
nell’accoglienza dei migranti nel distretto di Catania.
Sono presenti le seguenti associazioni:
1. Caritas (Valentina Calì)
2. Centro Astalli (Antonino Fiore)
3. Comunità di Sant’Egidio (Emiliano Abramo, Angela Pascarella, Sebastiano Mignemi)
4. Croce Rossa Italiana (Stefano Principato e Salvatrice Dizzia)
5. Emergency, (Giulia Chiarenza)
6. Medici Senza Frontiere (Ahmad Al Rousan)
7. Pax Christi (Libera): Vincenzo Pezzino
Dal dibattito sono emerse alcune fondamentali aree di problematicità:
a) Carenza di coordinamento nelle fasi di approdo;
b) Mancanza o inadeguatezza delle strutture di primissima accoglienza;
c) Scarsi controlli sulle strutture di prima accoglienza e sulla relativa gestione;
d) Necessità di copertura legale e istituzionale del lavoro svolto dalle associazioni;
e) Necessità di snellezza e qualità delle decisioni degli organismi deputati alla protezione internazionale.
Sul primo punto la Comunità di S. Egidio rileva che sarebbe necessario: a) soprattutto nelle prime 48 ore dallo sbarco dei migranti in uno dei porti del territorio, l’operatività di una
struttura sovraordinata di coordinamento nella gestione dell’accoglienza, magari identificata in una figura istituzionale (una sorta di Authority) che indichi a ciascuna delle forze in
campo (Polizia, Prefettura, Comune, associazioni) il compito da eseguire, per evitare duplicazioni inutili e forme di ‘palleggiamento’ reciproco di responsabilità; b) una più uniforme
distribuzione territoriale nel territorio italiano nell’accoglienza per evitare che quasi tutto il
peso gravi sulla Sicilia.
Al porto di Catania è problematico perfino individuare il molo di attracco e di espletamento
delle prime incombenze; le tende stesse sono carenti. Al porto vi è solo la tenda che protegge il banco degli operatori, non le persone (CRI e S. Egidio).
Ad Augusta, rileva Medici S. Frontiere, vi è invece una buona struttura destinata alla primissima accoglienza dei migranti appena sbarcati, una specie di ”polmone”, che invece a
Catania non c’è.
Occorrerebbe creare dei Centri di Passaggio (c.d. Centri di Transito), tendoni chiusi nei
quali allocare per brevi periodi i migranti appena giunti nel territorio di approdo (S. Egidio).
Emerge il problema del reperimento di luoghi di stabile accoglienza. La procedura
prevede che il singolo si rechi in Questura dove, compilando il modulo c.d. C3, formalizza
la richiesta di asilo e viene foto-segnalato e sottoposto al prelievo delle impronte digitali.
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Detto modulo viene trasmesso alla prefettura che poi comunica la data della convocazione
presso la Commissione. Condizione per la presentazione dell’istanza è la indicazione di un
domicilio nel territorio (perciò dovrà consegnare la dichiarazione di ospitalità da parte
di un soggetto o una struttura ivi presente).
Le c.d. strutture di bassa soglia, come quelle gestite dalla Caritas, sono poche. Si formano
delle liste di attesa per l’accoglienza, ma è difficile soddisfare le richieste di tutti. Perciò i
migranti sviluppano un senso di frustrazione per l’impossibilità di essere accolti.
È qui che si manifestano le carenze logistiche del mostro territorio e lo sfruttamento dello
stato di bisogno dei migranti, costretti a lunghe attese per essere ospitati da strutture di
volontariato o, peggio, vittime di gruppi i quali si fanno pagare per accordare ospitalità agli
stranieri (Valentina Calì per Caritas).
A Catania si verifica infatti che a causa della mancanza di luoghi di alloggio molti migranti,
anche minorenni, i quali non trovano accoglienza nei relativi centri, stazionano nella zona
di Piazza della Repubblica – corso Martiri della Libertà, sotto i portici, dove microorganizzazioni formate da altri stranieri impongono il pagamento di una “prezzo” per permettere di pernottare e stazionare nei relativi spazi (essenzialmente sotto i portici). Si pratica una vera e propria vendita di posti letto (denuncia unanime dei presenti). Anche le case sfitte del centro storico sono occupate da migranti non di rado sulla base di un sistema
di sfruttamento a scopo di lucro da parte di bande che impongono un prezzo agli ospiti.
Il Centro Astalli: parla di “residenza virtuale” con la stipula di contratti fittizi.
Questo complessivo stato di disordine nella gestione dell’accoglienza può essere uno dei
fattori che previene i Paesi dell’Unione Europea dall’accettare la condivisione, con l’Italia,
degli oneri dell’accoglienza e il mutuo riconoscimento delle procedure di asilo (S. Egidio).
Il Centro Astalli ha un’ampia disponibilità di posti per richiedenti asilo presso la “Casa Don
Pino Puglisi” di Catania, ma paradossalmente le autorità a ciò preposte – per es. il Comune, competente a occuparsi dei minori attraverso i Servizi sociali – non procedono ad assegnarli alla loro struttura.
Da gennaio la competenza per i minori passerà alle prefetture.
Sono scarse le strutture per la stabile accoglienza. È più facile trovare posti per adulti che
per minori. Altro problema è la promiscuità tra donne e uomini
Controlli sulla gestione delle strutture di accoglienza: strutture spesso non sono attrezzate dal punto di vista igienico sanitario (v. Pala Spedini: es. non vi sono spazi appartati per effettuare visite mediche né ambienti differenziati per assicurare separazione uomini – donne – bambini – famiglie).
Le associazioni in modo concorde definiscono lo stato dell’arte a Catania con l’espressione
“siamo ancora al primo sbarco, non abbiamo fatto alcun progresso nell’organizzazione rispetto al primo sbarco”.
I migranti come “singoli”, inoltre, hanno difficoltà ad avanzare domanda di riconoscimento
dello status rispetto a quelli che vengono in gruppi numerosi e in massa.
Medici senza frontiere rileva che ad Augusta si è consolidato un buon modulo operativo
per l’assistenza sanitaria ai migranti. Rispetto ai primi sbarchi tutte le altre associazioni rilevano che l’intervento del servizio sanitario della Marina Militare nell’immediatezza
del soccorso in mare ha permesso il superamento delle prime emergenze e migliorato la
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condizione fisica dei migranti nel momento in cui giungono a terra. Ciò ha anche semplificato il compito degli operatori sanitari a terra.
Gravi problemi permangono nella gestione dei migranti che presentano problemi di salute
mentale. È difficile trovare loro una collocazione nel sistema dei CARA o degli SPRAR, che
non hanno reparti attrezzati (MSF).
La Croce Rossa illustra la propria attività di ricomposizione dei legami familiari (Restoring
Family Links) svolta per mandato sancito dalla Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiati. Si tratta di permettere ai componenti di un nucleo familiare di ritrovarsi o comunque di non disperdersi dopo il viaggio in mare e le operazioni di pima identificazione. Questo meccanismo dovrebbe partire già sul molo di approdo e le istituzioni dovrebbero agevolarlo o almeno favorire questo lavoro della CRI. Occorre più attenzione al tema, creando
una fitta rete di comunicazione tra le associazioni presenti a questo tavolo tecnico, unitamente agli enti istituzionali che lavorano per e soprattutto con i migranti.
Il comitato provinciali CRI di Catania, per assolvere compiutamente il proprio mandato di
RFL, sul proprio territorio, necessita delle seguenti autorizzazioni: 1) ad avere copia degli
elenchi predisposti dalla Questura che contengono i nominativi delle persone sbarcate; 2)
a conoscere, la precisa indicazione del luogo dove gli stessi migranti vengono destinati; 3)
ad interloquire con gli enti comunali ed enti non istituzionali che forniscono accoglienza,
anche temporanea, ai migranti; 4) all’accompagnamento dei migranti, mediante auto CRI,
per garantire il trasferimento dei familiari, presso l’ospedale o presso una comunità di accoglienza come sopra individuata)
Tale esigenza è avvertita da tutte le associazioni anche allo scopo di proteggere e
porre i migranti al riparo dall’eventuale contatto con persone dalle quali scappano
(per es. componenti di una tribù che li perseguita, etc.).
Ciò si inquadra nella più generale esigenza di avere una forma di riconoscimento alle
associazioni e di copertura legale all’attività, da queste svolta, di supporto alle istituzioni nella gestione dell’accoglienza (es. sono le stesse istituzioni – prefettura,
Comune, etc. – che spesso sollecitano le associazioni a svolgere compiti sussidiari, come
accompagnare i migranti in ospedale, ospitarli per quanto temporaneamente nelle proprie
strutture: es. Chiesa di Santa Chiara sede di Comunità S. Egidio, etc.).
C’è poi una sproporzione tra l’attenzione (per quanto non ben coordinata) nelle prime 48
ore e il caos e l’abbandono nel momento successivo. Le associazioni convengono al riguardo sul fatto che il secondo livello di accoglienza è problematico dovunque.
Tutte le associazioni (in adesione a spunto dato da CRI) invocano con forza la possibilità di
conseguire l’affidamento in gestione di immobili confiscati alla mafia o comunque alla
criminalità da potere ristrutturare, anche a proprie spese, per essere adibiti a sede operativa delle rispettive associazioni e dunque a strutture di accoglienza.
Disporre di strutture pubbliche, magari affidate alle associazioni, servirebbe a contrastare il
fenomeno crescente della corsa al business dell’accreditamento quale struttura di accoglienza o comunque alla proliferazione di tali centri gestiti da privati non controllati, particolarmente allarmante riguardo ai minori non accompagnati (Pax Christi).
Emergency rileva che a Siracusa ci sono una buona struttura destinata alla prima accoglienza, il centro “Umberto I”, e una rete di tutori legali per minori stranieri non accompagnati di elevata fiducia e messisi a disposizione su base volontaria (gestita
dall’associazione ACCOGLIE-RETE, ideata da Carla Trommino).
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Segnala tuttavia che, a causa dell’allentamento del controllo sui minori e sulle strutture,
anche a Siracusa si verificano abusi, quali la presenza nei centri di accoglienza di minori
già muniti di permesso di soggiorno, che non avrebbero titolo a restarvi.
Sul lavoro delle Commissioni Territoriali, le associazioni condividono l’idea che debba essere accelerato e snellito il loro operato, ma al contempo pongono con forza una questione
di qualità e preparazione professionale dei suoi membri e delle relative decisioni. Rilevano
infatti una certa tendenza a giudizi “di massa”, generici e indifferenziati (per lo più di segno negativo), a scapito della valutazione individualizzata dei singoli casi. Vi è alta percentuale di provvedimenti di diniego. La velocizzazione delle procedure, non accompagnata
dal miglioramento qualitativo, aumenta il rischio di errori e di valutazioni sommarie (C. S.
Egidio).
I migranti durante il tempo occorrente a esitare la pratica trascorrono il tempo senza fare
niente con esiti di frustrazione e mortificazione della loro dignità. L’udienza già viene fissata con notevole lentezza (Centro Astalli).
Quanto alla composizione di tali organismi, si tratta di soggetti “nominati” e non scelti sulla
base di una selezione qualitativa (S. Egidio).
Vi è infine una certa inflazione della figura dei mediatori culturali, spesso non all’altezza del
compito. Vi è stato un periodo nel quale migranti giunti da poco tempo venivano scelti
come mediatori solo in virtù della conoscenza della lingua italiana e di quella straniera. Anche qui occorrerebbe una selezione più oculata.
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