Gli obblighi erga omnes tra passato e futuro Paolo Picone *

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Gli obblighi erga omnes tra passato e futuro Paolo Picone *
Gli obblighi erga omnes tra passato e futuro
Paolo Picone *
SOMMARIO: 1. Premessa. – SEZIONE I. CARATTERISTICHE GENERALI DELLE NORME
INTERNAZIONALI PRODUTTIVE DI OBBLIGHI ERGA OMNES. – 2. I principali precedenti
normativi per la formazione di tali norme, e il rilievo delle medesime per l’esistenza
di processi di “verticalizzazione normativa” del potere sugli Stati della Comunità
internazionale. – 3. La versione “forte” e quella “debole” del Progetto di codificazione della Commissione del diritto internazionale sulla responsabilità degli Stati, e
l’incongrua sostituzione nel Progetto definitivo del 2001, per le gravi violazioni nei
confronti della Comunità internazionale, degli obblighi erga omnes da parte delle
norme di jus cogens. – 4. La tendenziale “esigibilità” degli obblighi erga omnes da
parte di tutti gli Stati, e la distinzione tra le ipotesi in cui vi sia o invece manchi del
tutto uno Stato “individualmente” leso. – SEZIONE II. FORMAZIONE E CONTENUTO
DELLE NORME INTERNAZIONALI PRODUTTIVE DI OBBLIGHI ERGA OMNES: DAI
“CRIMINI INTERNAZIONALI” ALLA TUTELA DEI BENI PUBBLICI GLOBALI. – 5. La
scomparsa dei “crimini” dal Progetto finale, e il crescente rilievo degli obblighi erga
omnes per la tutela dei beni pubblici globali. – 6. Il nuovo assetto delle relazioni tra
Stati prodotto dalla ritrovata centralità del Consiglio di sicurezza agli inizi degli anni ’90, e il rilievo attribuibile in prospettiva al principio della solidarietà tra gli Stati.
– SEZIONE III. USO DELLA FORZA E OBBLIGHI ERGA OMNES. – 7. L’influsso, a partire
dagli inizi degli anni ’90, degli obblighi erga omnes sui poteri esercitabili
dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, e la potenziale operatività di quest’ultima
alla stregua di un organo materiale della stessa Comunità internazionale. – 8. I limiti
della prospettiva tradizionale che attribuisce all’ONU (a parte l’ipotesi prevista
dall’art. 51) la gestione in principio esclusiva, sia pur attualmente attraverso le autorizzazioni, delle ipotesi di ricorso alla forza ai sensi del Capitolo VII della Carta. –
9. L’ammissibilità di ipotesi di ricorso unilaterale alla forza da parte degli Stati, ai
sensi del diritto internazionale generale. Il primo modello normativo di riferimento
basato su una sorta di autolimitazione del sistema dell’ONU, derivante
dall’interpretazione estensiva dell’art. 51. – 10. Il secondo modello normativo ricavabile dal Progetto di codificazione sulla responsabilità degli Stati: il caso
dell’attuale intervento contro l’ISIS. – 11. Il carattere non ben definito dell’art. 59
del Progetto e di altre clausole accolte al momento della sua approvazione finale. –
SEZIONE IV. OBBLIGHI ERGA OMNES E GLOBALIZZAZIONE. – 12. La globalizzazione
e i suoi effetti, secondo la dottrina, sulle modalità di esercizio della sovranità da
parte degli Stati: considerazioni critiche e prospettive future. – 13. La “global governance” e l’affermarsi del c.d. “diritto globale”. Il superamento per molti autori
del tradizionale “modello di Westfalia”, e le posizioni a favore di un ordinamento
internazionale verticale “panumano”, basato sul nuovo ruolo spettante
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PAOLO PICONE
all’“umanità” e agli “individui”. Critica della confusione tra “Comunità degli Stati”
e “società civile internazionale”. – 14. La permanenza del modello di Westfalia, sia
pur con le modifiche prodotte dai processi di verticalizzazione normativa derivanti
dall’esistenza e dall’operatività delle norme produttive di obblighi erga omnes. Il ruolo
da attribuire in prospettiva al principio di solidarietà tra gli Stati, e il conseguente tradursi del medesimo nell’esistenza di complessi normativi differenti di obblighi erga
omnes, a seconda dei beni tutelati, della ripartizione tra gli Stati della legittimazione
ad agire o reagire, della definizione e gestione dei fatti illeciti, e così via.
1. Premessa
Questo contributo riprende in forma sintetica, come si conviene ad
ogni relazione introduttiva, alcuni dei più significativi risultati da noi
raggiunti, nell’arco di oltre trent’anni, sul tema oggetto del presente
Convegno. Questi risultati sono assai più estesamente illustrati in un volume che fa da sfondo al Convegno1, ma sono stati su vari punti ulteriormente “attualizzati” da alcune più recenti riflessioni dell’autore2. La
relazione si articola in quattro sezioni, dedicate, rispettivamente, la prima alle principali caratteristiche formali delle norme generali internazionali produttive di obblighi erga omnes; la seconda ai principi internazionali di ordine costituzionale che influiscono sulla loro formazione; la
terza al rapporto intercorrente tra l’uso della forza e la loro attuazione;
la quarta alle loro prospettive future di esistenza e sviluppo al tempo
della globalizzazione. È superfluo sottolineare che noi ci aspettiamo però degli importanti contributi innovativi proprio dalle relazioni dei più
giovani studiosi partecipanti al Convegno.
* Professore Emerito di Diritto Internazionale, Università degli Studi di Roma “La
Sapienza”; Membro ordinario dell’Institut de Droit International; Socio dell’Accademia
Nazionale dei Lincei.
Il lavoro riproduce la relazione introduttiva al Convegno su “Interesse collettivo e
obblighi erga omnes nel diritto internazionale contemporaneo”, tenutosi a Ravenna, il 78 maggio 2015.
1
PICONE, Comunità internazionale e obblighi “erga omnes”, III ed., Napoli, 2013.
Per evitare fastidiose ripetizioni, facciamo presente che d’ora in poi tutti gli scritti citati
senza il nome dell’autore si intendono riferiti a noi. E che i riferimenti nelle note quasi
esclusivamente ai nostri scritti contenuti nel volume hanno il solo scopo di invitare gli
interessati ad approfondimenti ulteriori, e a tener conto, per chi lo voglia, delle citazioni
di opere straniere.
2
V. ad es., da ultimo, Unilateralismo e guerra contro l’ISIS, in Rivista di diritto
internazionale, 2015, p. 5 ss. (ripreso infra, parr. 9 e 10).
5
GLI OBBLIGHI ERGA OMNES TRA PASSATO E FUTURO
SEZIONE
I
–
CARATTERISTICHE
GENERALI
DELLE
NORME
INTERNAZIONALI PRODUTTIVE DI OBBLIGHI ERGA OMNES
2. I principali precedenti normativi per la formazione di tali norme, e il
rilievo delle medesime per l’esistenza di processi di “verticalizzazione
normativa” del potere sugli Stati della Comunità internazionale
Come è noto, i due principali precedenti normativi maturatisi negli
anni ‘70 del secolo scorso, relativamente agli obblighi erga omnes, sono
dati dall’obiter dictum della sentenza della Corte internazionale di giustizia del 1970 nel caso della Barcelona Traction (concernente appunto
la fondamentale distinzione tra obblighi reciproci e obblighi erga
omnes), e l’art. 19 approvato in prima lettura nel 1976 (nel corso dei lavori sulla responsabilità degli Stati) dalla Commissione del diritto internazionale, su proposta del relatore speciale Ago, concernente la distinzione tra delitti e crimini internazionali degli Stati, che indiscutibilmente ricollegava i secondi alle ipotesi di violazioni gravi di obblighi incombenti sugli Stati nei confronti della stessa Comunità internazionale “nel
suo insieme”, e cioè di obblighi erga omnes3. E provvedeva anche ad illustrare, a titolo esemplificativo, alcune tra le più rilevanti categorie di
ipotesi in questione4.
Fin dal primo momento, in un saggio apparso oltre trent’anni fa5,
noi abbiamo ritenuto che le norme produttive di obblighi erga omnes
fossero l’espressione di una regolamentazione almeno in senso lato
“pubblicistica”, da parte della Comunità internazionale, delle funzioni
di produzione, accertamento ed esecuzione delle norme internazionali
3
V. da ultimo, in senso riassuntivo, La distinzione tra norme internazionali di jus
cogens e norme che producono obblighi erga omnes, in Rivista di diritto internazionale,
2008, p. 5 ss., p. 9 ss.
4
Com’è noto, il par. 3 dell’art. 19 si riferiva, a titolo esemplificativo (“inter alia”)
alle ipotesi in cui si verificasse una violazione “grave” di obblighi internazionali di
importanza essenziale per: a) il mantenimento della pace (come nel caso di una
aggressione); b) la salvaguardia del principio di autodeterminazione dei popoli; c) la
salvaguardia dell’essere umano (schiavitù, genocidio, apartheid); e d) la protezione
dell’ambiente.
5
Ci riferiamo a Obblighi reciproci ed obblighi erga omnes degli Stati nel campo della
protezione internazionale dell’ambiente marino dall’inquinamento, 1983, ora in Comunità
internazionale, cit., p. 1 ss.
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PAOLO PICONE
destinate (in alcuni settori della materia) a tutelare beni e/o valori comuni e indivisibili della Comunità stessa. Una tale regolamentazione si
sarebbe poi tradotta più formalmente in dei processi di “verticalizzazione normativa” del potere esercitabile dalla Comunità internazionale,
espressi da ipotesi e fenomeni di gestione, per conto della Comunità
stessa, da parte della generalità degli Stati, operanti collettivamente (o,
come si è soliti dire, uti universi), in un’ottica di dédoublement fonctionnel, delle funzioni normative sopra indicate6.
Questa ricostruzione teneva conto realisticamente del fatto che, per
usare quasi i termini della sentenza della Corte internazionale di giustizia sulla Barcelona Traction, gli obblighi erga omnes erano “dovuti” dagli Stati alla stessa Comunità internazionale, e si configuravano quindi,
per la loro gestione e/o attuazione, come degli obblighi “esigibili” da
tutti gli Stati.
3. La versione “forte” e quella “debole” del Progetto di codificazione della Commissione del diritto internazionale sulla responsabilità degli
Stati, e l’incongrua sostituzione nel Progetto definitivo del 2001, per
le gravi violazioni nei confronti della Comunità internazionale, degli
obblighi erga omnes da parte delle norme di jus cogens
Il Progetto di codificazione della responsabilità degli Stati, elaborato dalla Commissione del diritto internazionale, è rimasto ancorato per
circa trent’anni alla prospettiva complessiva in precedenza indicata (per
quanto concerne la responsabilità degli Stati per la commissione di crimini, intesi quali gravi violazioni di obblighi erga omnes), ma è stato poi
da ultimo, poco prima dell’approvazione finale nel 2001, completamente rielaborato dal nuovo rapporteur Crawford. Quest’ultimo ha (per motivi influenzati anche dalla preoccupazione degli Stati di poter incorrere
in una responsabilità… penale per crimini!) rinunciato sia ai crimini sia
agli obblighi erga omnes, assumendo a punto di riferimento unitario (nel
III Capitolo della seconda parte del testo finale) le “serious breaches” di
6
V. op. ult. cit., p. 25 ss. Questa impostazione ha accompagnato la nostra
produzione scientifica negli anni successivi: v., ad es., da ultimo, Capitalismo finanziario
e nuovi orientamenti dell’ordinamento internazionale, in Diritti umani e diritto
internazionale, 2014, p. 5 ss., p. 25 ss.; Unilateralismo e guerra, cit., p. 10 ss.
GLI OBBLIGHI ERGA OMNES TRA PASSATO E FUTURO
7
obblighi previsti da norme inderogabili (“peremptory norms”) del diritto internazionale generale7.
Questa rivoluzione a nostro avviso banalizzatrice e “minimalista” ha
contrassegnato il passaggio, come abbiamo detto in uno scritto recente,
da una versione “forte” del Progetto (espressa dal Progetto provvisorio
del 1996, sotto la regia del precedente rapporteur Arangio-Ruiz) ad una
invece assai più “debole”, accompagnandosi tuttavia anche a molti altri
problemi8. Posta dinanzi alla nuova impostazione, la dottrina ha infatti
cercato di esorcizzare definitivamente la categoria degli obblighi erga
omnes, sostenendo la sostanziale… coincidenza della medesima con
quella delle norme inderogabili o di jus cogens, previste dall’art. 53 della
Convenzione di Vienna del 1969. Molti autori hanno cominciato anzi a
“discettare” più specificamente sul punto se la prima categoria avesse
una “cerchia” più ampia rispetto alla seconda, o viceversa!9
Tutte queste “esercitazioni teoriche” non hanno molto senso. Le
norme produttive di obblighi erga omnes possono avere, come abbiamo
detto dal primo momento, un carattere inderogabile o, invece, eccezio7
Su questa evoluzione v. ampiamente Obblighi erga omnes e codificazione della
responsabilità degli Stati, 2005, ora in Comunità internazionale, cit., p. 517 ss.
8
V. Unilateralismo e guerra, cit., p. 10 ss., e soprattutto la nota 10. La versione
“forte” del Progetto provvisorio del 1996 si basava in pratica sulle soluzioni seguenti: a)
la distinzione tra crimini e delitti internazionali, ancora rinvenibile nell’art. 19; b) il
riferimento dei crimini alle gravi violazioni di obblighi erga omnes; c) l’esistenza di
sanzioni “aggravate” per i crimini previste dall’art. 52 del Progetto; d) il potenziale
concorso a pari titolo di tutti gli Stati per reagire alle gravi violazioni di obblighi erga
omnes; e) la proposta (del rapporteur Arangio-Ruiz, mai accolta dalla Commissione) di
un meccanismo finale di accertamento dei crimini davanti alla Corte internazionale di
giustizia. Dato il riferimento agli obblighi erga omnes e ai crimini, erano quindi gli Stati
a dover operare uti universi per conto dell’intera Comunità internazionale.
9
La questione del rapporto intercorrente tra norme che pongano obblighi erga
omnes e norme di jus cogens era stata già esaminata da noi nel nostro saggio iniziale del
1983 (v. Obblighi reciproci, in Comunità internazionale, cit., p. 39 ss.), e risolta a favore
della loro necessaria autonomia, in considerazione soprattutto del fatto che le seconde
norme possono limitarsi a tutelare i valori “inderogabili” da esse affermati anche nei soli
rapporti “reciproci” tra gli Stati (v. l’op. ult. cit., p. 40 ss.). La differenza è stata poi
approfondita da noi in vari saggi successivi, da angolazioni non sempre coincidenti (v.
Obblighi erga omnes e codificazione, in Comunità internazionale, cit., p. 545 ss.; La
distinzione, cit., passim, e soprattutto pp. 23 ss., 30 ss.), fino al raggiungimento di una
nostra posizione finale in The Distinction between Jus Cogens and Obligations Erga
Omnes, in The Law of Treaties Beyond the Vienna Convention, ed. by Cannizzaro,
Oxford, 2011, p. 411 ss. (riprodotto in traduzione italiana in Comunità internazionale,
cit., p. 575 ss.).
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PAOLO PICONE
nalmente “derogabile”10, ma è del tutto erroneo confondere il loro contenuto materiale (esigibilità da parte di tutti gli Stati, per far operare
unitariamente la stessa Comunità internazionale) con una qualità solo
eventuale delle medesime (inderogabilità o meno)11. Del resto,
l’inderogabilità può riscontrarsi in tutte le categorie di norme di un ordinamento, come anche quello internazionale, senza che le medesime
vengano per questo a far parte di una “classe” di norme unitaria.
Questa conclusione è suffragata, per riprendere solo un argomento,
dal modo di operare dell’art. 53 della Convenzione di Vienna, che riguarda in principio la sola “invalidità” dei trattati contrastanti, e prevede, in caso di violazione di una norma di jus cogens, l’esclusiva legittimazione degli Stati contraenti per far valere la causa di invalidità in
questione12. Mentre, comunque, per chiudere il discorso, l’autonomia e
centralità anche nel Progetto definitivo sulla responsabilità delle norme
produttive di obblighi erga omnes è ancora oggi chiaramente ricavabile
dal disposto dell’art. 42 lett b) e soprattutto dall’art. 48, par. 1, lett. b), i
quali fanno entrambi riferimento in modo esplicito ad “obligations” degli Stati “owed… to the international community as a whole”, e quindi
ad obblighi erga omnes nel senso tradizionale del termine13. Per cui,
combinando insieme i dati che precedono, noi abbiamo accolto, con riguardo al Progetto definitivo del 2001, la soluzione per cui le gravi violazioni di cui esso parla riguarderebbero le norme produttive di obblighi erga omnes aventi un carattere inderogabile14.
10
V. già Obblighi reciproci, in Comunità internazionale, cit., p. 33 nota 57.
Per fare solo un esempio tratto dal diritto interno, è chiaro che le norme penali
sono certo “inderogabili” dalla contraria volontà dei contraenti o di altri soggetti del
diritto interno, ma producono, se violate, i propri effetti materiali specifici in quanto
norme penali, e non certo in quanto… inderogabili!
12
V. per questo e altri elementi rilevanti ricavabili dall’art. 53 della Convenzione di
Vienna The Distinction between Jus Cogens, cit., p. 413 ss.
13
V. ancora l’op. ult. cit., p. 419 (e, precedentemente, Obblighi erga omnes e
codificazione, in Comunità internazionale, cit., p. 549 ss.).
14
V. ancora The Distinction between Jus Cogens, cit., p. 420 ss.; e adesso
Unilateralismo e guerra, cit., p. 24. Per esigenze di brevità, evitiamo qui di confrontarci
di nuovo criticamente con la tesi, del tutto infondata alla luce della stessa storia della
codificazione, per cui il ruolo centrale attribuito nel Progetto finale alle norme di jus
cogens si giustificherebbe col fatto che la possibile reazione di tutti gli Stati ad una loro
violazione sarebbe il frutto dell’operare di norme secondarie (v. Obblighi erga omnes e
codificazione, in Comunità internazionale, cit., p. 568 ss.; La distinzione, cit., p. 25 ss.); o
di dare ancora una volta esplicitamente conto delle ipotesi in cui proprio nel Progetto
11
GLI OBBLIGHI ERGA OMNES TRA PASSATO E FUTURO
9
4. La tendenziale “esigibilità” degli obblighi erga omnes da parte di tutti
gli Stati, e la distinzione tra le ipotesi in cui vi sia o invece manchi del
tutto uno Stato “individualmente” leso
Le novità introdotte dalle modifiche apportate alla versione finale
del Progetto hanno riguardato anche un altro aspetto, che proprio noi
avevamo fin dal primo momento messo in rilievo. Approfondendo la
questione concernente la generale “esigibilità” degli obblighi erga omnes
da parte di tutti gli Stati, noi avevamo fatto valere come questa prospettiva costituisse una semplice linea di tendenza, data la possibilità di articolare diversamente, in molteplici casi, le situazioni di “legittimazione”
dei vari Stati a reagire. E avevamo provveduto a illustrare ipoteticamente
quattro possibili orientamenti, distinguendo in partenza tra i casi in cui la
violazione di un obbligo erga omnes producesse o meno “la lesione dei
diritti ‘individuali’ di uno o più Stati, singolarmente considerati”15.
Nella storia della codificazione, due degli orientamenti da noi a quel
tempo proposti coincidono sostanzialmente con quelli accolti verso la
fine dei lavori dalla Commissione16. Il primo, ritenuto dal Progetto
provvisorio di Arangio-Ruiz del 1996, affermava (corrispondendo al
quarto orientamento da noi descritto) la possibilità che tutti gli Stati
fossero fin dal primo momento legittimati, in concorso tra loro, a far valere, nei confronti dello Stato offensore, l’insieme delle pretese ricollegabili come reazione alla commissione di un illecito erga omnes. Quello
accolto dal Progetto finale del 2001 (corrispondente per larghi versi alla
terza variante da noi prospettata) privilegia invece l’iniziativa dello Stato
“individualmente” leso, e condiziona esplicitamente, in ordine al risarcimento del danno, la legittimazione a richiederlo da parte dei terzi Stati
solo “in the interest of the injured State or of the beneficiaries of the obligation breached” (secondo il noto disposto dell’art. 48, par. 2, lett. b)).
A nostro avviso, senza poterci diffondere attualmente sulla questione, questo è un punto in cui il Progetto finale ha introdotto una modififinale alcune delle reazioni ammissibili non potrebbero per loro natura ricollegarsi alla
violazione di norme perentorie (v. Il ruolo dello Stato leso nelle reazioni collettive alle
violazioni di obblighi erga omnes, 2012, ora in Comunità internazionale, cit., p. 593 ss.,
pp. 606 e 611).
15
V. già Obblighi reciproci, in Comunità internazionale, cit., p. 82 ss.
16
V. più ampiamente Il ruolo dello Stato leso, in Comunità internazionale, cit., p.
612 ss.
10
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ca per vari aspetti ragionevole. Il problema è tuttavia che, limitandosi
alla sola ipotesi in cui vi sia appunto uno Stato anche “individualmente”
leso, il Progetto finale… dimentica di approfondire e trattare l’altra ipotesi, quella in cui uno Stato individualmente leso manchi invece del tutto, e l’illecito erga omnes colpisca la sola Comunità internazionale “nel
suo insieme”. Quest’ultima ipotesi era chiaramente considerata negli
esempi portati da Ago nel già menzionato art. 19 (eliminato solo nel
2000, e cioè poco prima dell’approvazione finale!), ed era alla base del
nostro saggio del 1983, che riguardava nella parte speciale il trattamento
dei gravi illeciti ambientali commessi da uno Stato in alto mare. Essa si
ripropone anzi sempre nell’ipotesi ormai purtroppo assai frequente in
cui uno Stato commetta dei gravi illeciti erga omnes a danno dei propri
cittadini! A tale parte “mancante” del Progetto abbiamo perciò dedicato recentemente un saggio autonomo che qui non può essere ripreso, e
che riapre il discorso sull’intera questione, nella speranza che possiate
proprio voi continuare a svilupparla in futuro!17
SEZIONE
II
–
INTERNAZIONALI
FORMAZIONE
PRODUTTIVE
E
DI
CONTENUTO
OBBLIGHI
DELLE
ERGA
NORME
OMNES:
DAI
“CRIMINI INTERNAZIONALI” ALLA TUTELA DEI BENI PUBBLICI GLOBALI
5. La scomparsa dei “crimini” dal Progetto finale, e il crescente rilievo
degli obblighi erga omnes per la tutela dei beni pubblici globali
Il fatto che, a parte l’obiter dictum della Barcelona Traction, la “codificazione” più rilevante degli obblighi erga omnes si trovi consegnata nel
già menzionato art. 19 proposto da Ago nel 1976 (e rimasto a base
dell’intero Progetto della Commissione sulla responsabilità degli Stati
fino al 2000), concernente la distinzione tra delitti e crimini internazionali, pur costituendo un dato scientifico di assoluto rilievo, non ha in fin
dei conti reso un gran servigio allo sviluppo delle norme in questione.
Gli obblighi erga omnes, infatti, sono rimasti a lungo per così dire “rinchiusi”, data l’inerenza ai crimini, nel campo delle gravi violazioni di
obblighi erga omnes suscettibili di reazioni aventi una natura sanziona17
V. Le reazioni collettive ad un illecito erga omnes in assenza di uno Stato
individualmente leso, 2013, ora in Comunità internazionale, cit., p. 627 ss.
GLI OBBLIGHI ERGA OMNES TRA PASSATO E FUTURO
11
toria e una coloritura almeno in senso lato “penalistica”. Non è quindi
da questo punto di vista pratico del tutto negativo che la stessa categoria dei crimini sia stata alla fine espunta dal Progetto, lasciando così più
spazio alle assai più estese possibilità di applicazione a fattispecie diverse delle norme in questione (e a definizioni delle eventuali violazioni
delle medesime meno invasive, come quella, da noi privilegiata, di “illeciti erga omnes”).
Questa considerazione trova una conferma nel fatto che lo stesso
Ago aveva, nelle esemplificazioni illustrate nell’art. 19, pur parlando di
crimini, dato grande rilievo nella lett. d) all’ipotesi di gravi illeciti costituiti da una “massive pollution of the atmosphere or of the seas”. E cioè
ad una ipotesi che riguardava la protezione dall’inquinamento
dell’ambiente marino, e quindi di un bene pubblico globale dell’umanità intera18. Tale ipotesi ha non a caso attirato dal primo momento la nostra attenzione, malgrado la sua apparente “marginalità” rispetto
alle altre, così da dedicarvi il saggio da noi scritto nel 1983. In esso, per
incidens, abbiamo avuto la possibilità di approfondire varie questioni
solo indirettamente connesse all’operatività degli obblighi erga omnes in
materia di protezione internazionale dell’ambiente marino dall’inquinamento, come quelle concernenti i regimi a tutela di beni e valori costituenti “patrimonio comune dell’umanità”, e l’istituzione dell’Alta Autorità internazionale dei fondi marini19.
Sembra perciò giunto il momento (e il Convegno in atto può rivelarsi a tal fine utilissimo) di ripercorrere materialmente in tutta la sua ampiezza ed estensione il campo di applicazione degli obblighi erga omnes,
provvedendo ad individuare meglio i settori in cui essi si manifestano, e
18
V. ante, nota 4.
V. Obblighi reciproci, in Comunità internazionale, cit., pp. 57 ss. e 61 ss., con
riguardo rispettivamente al “Common Heritage of Mankind” e alla gestione delle c.d.
“shared natural resources”; e p. 66 ss., per la istituenda Autorità internazionale dei
fondi marini. Nella seconda parte del lavoro, p. 94 ss., dedicata come abbiamo ricordato
alla protezione dell’ambiente marino dall’inquinamento, la prospettiva metodologica
(già anticipata teoricamente nella nota 56 a p. 46) cambia notevolmente rispetto a quella
concernente gli obblighi erga omnes, dato che il discorso viene da noi condotto con
riguardo soprattutto ai poteri funzionali esercitabili uti universi da alcuni Stati (in
particolare, lo Stato costiero e lo Stato del porto) nell’interesse dell’intera Comunità
internazionale (con la possibilità, se inadempienti, di essere “sostituiti” da Stati diversi:
v. esemplificativamente l’ampio excursus teorico a pp. 97 ss., 111 ss.). Sul modello della
“sostituzione”, che non verrà qui ripreso, v. da ultimo anche Le reazioni collettive, in
Comunità internazionale, cit., p. 649 ss.
19
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le peculiarità delle singole norme nelle varie materie rilevanti20. E di approfondire possibilmente anche le questioni (rimaste anch’esse sostanzialmente inevase nell’ambito del Progetto sulla responsabilità degli Stati) concernenti il modo di operare delle norme medesime, quando esse
siano oggetto di violazioni “semplici”, e non di violazioni “gravi” produttive di crimini internazionali, o si configurino in partenza come
norme derogabili, se non addirittura di soft law21.
6. Il nuovo assetto delle relazioni tra Stati prodotto dalla ritrovata centralità del Consiglio di sicurezza agli inizi degli anni ’90, e il rilievo attribuibile in prospettiva al principio della solidarietà tra gli Stati
La comparsa degli obblighi erga omnes negli anni ’70 è, come abbiamo già detto nel nostro saggio del 1983, il frutto di un mutamento
della “fisionomia” normativa dell’ordinamento internazionale, che, da
diritto originariamente della mera coesistenza degli Stati (basato sulle
tradizionali norme produttive di obblighi negativi e/o di astensione a
carico degli Stati stessi, per garantire il rispetto delle reciproche sovranità), si era già trasformato (dopo la costituzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite) in un diritto della cooperazione degli Stati (caratterizzato in vari settori da norme produttive di obblighi e doveri in senso
stretto “positivi”), e si avviava a nostro avviso a diventare (con le innovazioni degli anni ’70 riferibili al nuovo ruolo formalmente assumibile
20
L’ampliarsi della categoria degli obblighi erga omnes è il riflesso dell’esigenza di
proteggere sempre più anche in diritto internazionale i c.d. beni pubblici globali, che
vanno ben al di là dei beni e/o valori di ordine “securitario” tradizionalmente tutelabili
attraverso il regime dei c.d. crimini internazionali, e riguardano ormai aspetti
fondamentali della convivenza tra gli uomini a livello internazionale (dal diritto
all’acqua, al diritto al cibo, dal diritto ai farmaci, all’obbligo di assistenza nelle ipotesi di
catastrofi naturali, e così via). È chiaro che nei secondi casi non vi è generalmente
spazio, in caso di violazioni, per reazioni di tipo coercitivo o addirittura militare. Perciò
la prospettiva accolta nella presentazione della III ed. del volume Comunità
internazionale, alle pp. IX-XI, è oggettivamente un po’ limitata, dato che risente
dell’attenzione da noi dedicata ai lavori della Commissione del diritto internazionale sul
tema della responsabilità degli Stati. E occorrerà attendere che l’intera prospettiva si
sviluppi, al fine di verificare l’esistenza di regimi peculiari di garanzia accolti dal diritto
internazionale per la tutela dei beni più sopra indicati.
21
V. ad es., con riguardo soprattutto all’elemento mai chiarito della “gravità” di una
violazione, Obblighi erga omnes e codificazione, in Comunità internazionale, cit., p. 569 ss.
GLI OBBLIGHI ERGA OMNES TRA PASSATO E FUTURO
13
dalla Comunità internazionale per la gestione degli obblighi erga omnes)
un diritto internazionale definibile come “diritto dell’interdipendenza”22.
È chiaro che, all’epoca indicata, l’ultimo processo si configurava ancora come embrionale. In principio, tuttavia, la paralisi del Consiglio di
sicurezza, l’organo centrale dell’ONU, prodotta dalla Guerra fredda
(paralisi destinata notoriamente a durare nel secolo scorso per oltre
quarant’anni!), induceva a ritenere che la Comunità internazionale sarebbe stata chiamata a gestire in proprio, al posto dell’ONU,
nell’ambito di una nuova costituzione materiale del sistema-mondo
dell’epoca, alcuni momenti ed episodi di verticalizzazione dell’ordinamento internazionale, nel senso più sopra indicato23. Questo si è in alcune ipotesi verificato, accompagnandosi però a un rilancio
dell’Assemblea generale, l’organo dell’ONU maggiormente vicino col
suo funzionamento al modello degli obblighi erga omnes, in quanto
idoneo ad adottare degli atti, nella forma soprattutto di Dichiarazioni di
principi, che, malgrado il loro carattere non vincolante, richiedono a
tutti gli Stati di concorrere alla loro attuazione. Non è quindi un caso
che proprio l’Assemblea generale si sia attivata, nell’epoca che stiamo
considerando (in pratica soprattutto nel decennio a partire dagli anni
’70 del secolo scorso), per “lanciare”, per così dire “a cavallo” tra il diritto internazionale generale e le sue competenze istituzionali all’interno
dell’Organizzazione, la famosa proposta (quella in astratto maggiormente espressiva di valori collettivi e solidali) del c.d. “nuovo ordine economico internazionale”24.
La situazione cambia radicalmente agli inizi degli anni ’90, quando,
dopo la fine della Guerra fredda, il Consiglio di sicurezza si rivitalizza, e
ricomincia ad operare attraverso la prassi delle autorizzazioni dell’uso
della forza agli Stati. Questa nuova situazione rende assai euforica la
larga maggioranza della dottrina, che la celebra riconoscendo piena legittimità anche alle autorizzazioni “implicite”, a quelle “successive”, e
così via. È un dato di fatto comunque che, al di là di queste infantili
22
V. Obblighi reciproci, in Comunità internazionale, cit., p. 25 ss.
V. ante, par. 1 e i riferimenti nella nota 6.
24
V. Ordine economico internazionale, in PICONE E SACERDOTI, Diritto
internazionale dell’economia, Milano, 1982, p. 155 ss.; e, da una prospettiva più
generale, Diritto internazionale dell’economia e costituzione economica dell’ordinamento
internazionale, ora in Comunità internazionale, cit., p. 127 ss., pp. 145 ss., 158 ss.
23
14
PAOLO PICONE
manipolazioni, la ritrovata centralità del Consiglio ridimensiona immediatamente ogni tentativo di ricorrere in via di “supplenza” al diritto internazionale generale. Questa è la fase in cui matura perciò il declino
della versione “forte” del Progetto di codificazione della responsabilità
sostenuta fino al 1996 da Arangio-Ruiz, e si prepara la rivoluzione “minimalista” accolta alla fine (nel 2001) da Crawford25.
Come che sia, ai fini che ci interessano, malgrado il ripetersi anche
nel secolo attuale di nuovi episodi di “supplenza”, come vedremo, del
sistema di sicurezza dell’ONU, da parte del regime della codificazione
della responsabilità degli Stati per gravi violazioni di obblighi erga
omnes (fino all’episodio ancora in atto della guerra contro l’ISIS), gli
obblighi erga omnes cominciano ad “autonomizzarsi” sempre più dal
sistema della responsabilità degli Stati, e ricevono maggiore attenzione e
rilievo in quanto norme primarie, destinate soprattutto alla tutela dei
beni pubblici globali della Comunità internazionale. In tale prospettiva,
la dottrina si è recentemente concentrata sulla ricerca del principio
normativo che ispirerebbe la formazione delle norme in questione, e lo
rinviene per lo più in quello della solidarietà tra gli Stati26. A tale conclusione si può in linea di massima aderire, ma a patto di non rinvenire
in quest’ultimo un principio generale ben definito e già formato del diritto internazionale (da “incardinare” meccanicamente nel sistema delle
fonti), ma un semplice principio strutturale delle relazioni tra gli Stati,
appartenente alla costituzione materiale dell’ordinamento internazionale, e idoneo a trasfondersi, in condizioni geopolitiche favorevoli, in tanti
25
V. ampiamente Unilateralismo e guerra, cit., p. 12.
Si tratta di un principio invocato varie volte anche in passato dalla dottrina
internazionalistica: v. per tutti SCHEUNER, Solidarität unter den Nationen als Grundsatz
in der gegenwärtigen internationalen Gemeinschaft, in Recht im Dienste des Friedens,
Festschrift für E. Menzel zum 65. Geburtstag, Berlin, 1975, p. 251 ss., soprattutto p. 274
ss. Ma è negli ultimi tempi che la letteratura soprattutto straniera in materia si è
largamente sviluppata: v. ad es., citando alla rinfusa, per vari contributi rilevanti,
HESTERMEYER et al. (eds), Coexistence, Cooperation and Solidarity. Liber Amicorum
Rüdiger Wolfrum, 2 voll., Leiden-Boston, 2012; RIETER, DE WAELE (eds), Evolving
Principles of International Law. Studies in Honour of Karel C. Wellens, Leiden-Boston
(entrambi recensiti da HILPOLD, Solidarität als Prinzip des Staatengemeinschaftsrechts, in
Archiv des Völkerrechts, 2013, p. 239 ss.); e ancora WOLFRUM, KOJIMA (eds), Solidarity:
A Structural Principle of International Law, Heidelberg, 2009; BENEDEK et al., The
Common Interest in International Law, Cambridge, 2014.
26
GLI OBBLIGHI ERGA OMNES TRA PASSATO E FUTURO
15
regimi normativi diversi di cooperazione interstatale27. E proprio
quest’ultima del resto la ricostruzione del principio di solidarietà offerta
recentemente, con riguardo al sistema costituzionale italiano, da un autorevole giurista che vede in esso non una nozione “chiusa”, ma la fonte
di un insieme di doveri, “in continuo mutamento sotto l’impulso di diversi fattori”, e idonea a fornire la “base legale per una ristrutturazione
continua del sistema socio-istituzionale”28.
SEZIONE III – USO DELLA FORZA E OBBLIGHI ERGA OMNES
7. L’influsso, a partire dagli inizi degli anni ’90, degli obblighi erga
omnes sui poteri esercitabili dall’Organizzazione delle Nazioni Unite,
e la potenziale operatività di quest’ultima alla stregua di un organo
materiale della stessa Comunità internazionale
Il diffondersi degli obblighi erga omnes (e il loro rilievo, insieme ai
crimini, nell’ambito del Progetto di codificazione della responsabilità
degli Stati) ha prodotto, dopo la ripresa di attività del Consiglio di sicurezza agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso, delle profonde modifiche nel modo di operare dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, non
compatibili con alcuna interpretazione estensiva dello Statuto. Tali modifiche, da noi analizzate in uno scritto crediamo noto della metà degli
anni ’9029, riguardavano, relativamente soprattutto all’attività del Consiglio di sicurezza: a) l’interpretazione sempre più ampia e discrezionale,
da parte del medesimo, della nozione di minaccia alla pace ai sensi
dell’art. 39; b) la prassi delle autorizzazioni, volta spesso a coprire delle
deleghe in bianco per interventi sostanzialmente unilaterali degli Stati;
27
V. anche HESTERMEYER, Reality or Aspiration? Solidarity in International
Environmental and Trade Law, in Coexistence, Cooperation and Solidarity, cit., vol. I, p.
45 ss.; e, sul rapporto tra beni comuni internazionali e obblighi erga omnes, VIDMAR,
Protecting the Community Interest in a State Centric Legal System: The UN Charter and
Certain Norms of Special Standing, in BENEDEK et al., The Common Interest, cit., p. 109
ss., p. 110 ss.
28
Ci riferiamo al recente volume di RODOTÀ, Solidarietà. Un’utopia necessaria,
Roma-Bari, 2014 (e pp. 42 e 102 per i passi da noi virgolettati).
29
Interventi delle Nazioni Unite e obblighi erga omnes, ora in Comunità
internazionale, cit., p. 207 ss.
16
PAOLO PICONE
c) l’assunzione di poteri nuovi, non previsti dallo Statuto, per lo svolgimento di funzioni di carattere ad esempio giurisdizionale30.
Queste modifiche erano, per i motivi ampiamente sviluppati nel
saggio indicato, l’espressione per noi dell’influsso degli obblighi erga
omnes sul sistema dell’ONU (e quindi dell’influenza esercitata dalla
nuova Costituzione del sistema-mondo su quella meramente “istituzionale” prodotta dalla nascita di tale Organizzazione), influsso che si esercita ancora oggi con riguardo alle tre situazioni indicate, ma anche ad
altre che si sono venute affermando in seguito (si pensi al crescente rilievo dell’attività del Consiglio di sicurezza come base del formarsi di
norme internazionali generali di carattere istantaneo).
L’esame da noi condotto ci induceva a ritenere che, in seguito agli
indicati sviluppi, l’Organizzazione delle Nazioni Unite facesse ormai registrare due diversi livelli di esistenza e di funzionamento: essa operava
infatti non solo, nella maggior parte dei casi, come una tradizionale organizzazione internazionale (secondo le forme e le modalità previste dallo Statuto), ma anche, in determinate ipotesi, come un organo materiale
della stessa Comunità internazionale, suscettibile di aprirsi alle sollecitazioni degli Stati operanti uti universi, al fine di garantire un ulteriore livello di valutazione e/o di attuazione degli interventi da essi effettuabili,
ai sensi dello stesso diritto internazionale generale, per la tutela di determinati obblighi erga omnes31.
Questa situazione continua, a nostro avviso, a riproporsi in certi casi
anche al momento attuale, sia pure con modalità che non è certo possibile approfondire in questa sede. Ci conforta comunque a sostegno della nostra tesi l’opinione espressa recentemente da un giurista assai “tradizionalista” come Conforti, per cui, nei casi di esercizio da parte del
Consiglio di sicurezza dei poteri extra-istituzionali conferitigli “dagli
Stati nella veste di gestori degli interessi generali”, l’ONU agirebbe,
come noi abbiamo sempre detto, come un organo “materiale” della
Comunità internazionale32.
30
V. l’op. ult. cit., p. 235 ss.
V. ancora l’op. ult. cit., p. 248 ss.
32
V. CONFORTI, Diritto internazionale, VIII ed., Napoli, 2010, p. 421.
31
GLI OBBLIGHI ERGA OMNES TRA PASSATO E FUTURO
17
8. I limiti della prospettiva tradizionale che attribuisce all’ONU (a parte
l’ipotesi prevista dall’art. 51) la gestione in principio esclusiva, sia pur
attualmente attraverso le autorizzazioni, delle ipotesi di ricorso alla
forza ai sensi del Capitolo VII della Carta
Se le norme produttive di obblighi erga omnes possono influire sul
contenuto materiale dei poteri esercitabili dal Consiglio di sicurezza
dell’ONU, si ritiene invece che quest’ultimo conservi, come è noto, la
gestione in principio esclusiva (con l’eccezione dell’art. 51), delle ipotesi
di ricorso alla forza (oggi attraverso le autorizzazioni), previste dal Capitolo VII della Carta.
Molti internazionalisti, soprattutto in Italia, ritengono pertanto che,
in assenza di una autorizzazione da parte del Consiglio di sicurezza, le
misure unilaterali adottate da uno o più Stati con uso della forza, magari
per reagire ad un grave illecito erga omnes idoneo a pregiudicare alcuni
valori e/o beni essenziali dell’intera Comunità internazionale (torniamo
adesso per la discussione della questione in esame alla categoria dei gravi illeciti erga omnes presa inizialmente in considerazione), sarebbero
sempre del tutto vietate, e, se assunte, chiaramente illecite.
Questa posizione “di principio” si scontra con dei dati di comune
esperienza, su cui occorre riflettere. Da una parte, infatti, le ipotesi di
“blocco” del Consiglio sono assai frequenti: quaranta anni di seguito nel
secolo scorso al tempo della Guerra fredda, e vari episodi nel periodo
successivo alla fine della medesima, a partire dalla “guerra” del Kosovo
(seguita dagli interventi unilaterali in Afghanistan, Iraq, ecc.). Dall’altra,
queste situazioni di “blocco” non possono essere supinamente accettate,
dato che rischiano di lasciare il mondo indifeso anche dinanzi a situazioni estreme, quali quelle prodotte da violazioni su larga scala dei diritti umani (da un genocidio, al dilagare dei fenomeni di terrorismo), nei
cui confronti la coscienza universale è oggi chiaramente assai sensibile.
Si moltiplicano pertanto i tentativi di ovviare al problema attraverso
modifiche del potere di veto dei membri permanenti, destinate però per
la loro debolezza a restare inattuate33: e basta qui ricordare la dottrina
33
La dottrina non si rende conto, con la fiducia acritica e illimitata che ripone nel
Consiglio di sicurezza, del carattere addirittura “feudale” dei privilegi di cui godono i
cinque membri permanenti all’interno e all’esterno del medesimo: v. il fondamentale
scritto di EITEL, The UN-Oligarchs and Their Privileges, in Coexistence, Cooperation and
Solidarity, cit., vol. II, p. 1439 ss. V. anche, in un contesto più ampio, i
18
PAOLO PICONE
della “responsibility to protect” (che non può funzionare per sua stessa
ammissione nei confronti dei Supergrandi!, e viene ormai da tutti invocata prima ancora… di aver dimostrato di poter produrre degli effetti
giuridici veri e propri)34, o la recente proposta della Francia, nel settembre dell’anno passato, di un codice di condotta per eliminare l’uso del
diritto di veto nel caso di risoluzioni del Consiglio relative a situazioni
“d’atrocités de masse”!35
Noi abbiamo invece valorizzato dal primo momento altri elementi,
dati dalla natura delle norme produttive di obblighi erga omnes quali
norme destinate a tutelare beni e valori dell’intera Comunità internazionale, e dal rilievo che per la loro attuazione va accordato allo stesso diritto internazionale generale.
9. L’ammissibilità di ipotesi di ricorso unilaterale alla forza da parte degli Stati, ai sensi del diritto internazionale generale. Il primo modello
normativo di riferimento basato su una sorta di autolimitazione del sistema dell’ONU, derivante dall’interpretazione estensiva dell’art. 51
La prospettiva da noi privilegiata richiederebbe un lungo discorso,
impossibile in questa sede. Assai sinteticamente, per riprendere il nucleo principale della nostra posizione, noi abbiamo provveduto, già in
alcuni studi assai risalenti, a relativizzare il rilievo dell’art. 2, par. 4, della
Carta dell’ONU (che impegna notoriamente i Membri dell’Organizzazione ad astenersi dall’uso o dalla minaccia della forza), escludendo
che esso potesse essere considerato come una norma espressiva dello
stesso diritto internazionale generale; o che fosse dotato, all’interno dello stesso sistema dell’ONU, di un ambito di applicazione tendenzialmente generale. In ordine al primo aspetto, le principali conferme alla
nostra tesi si ritrovano nella stessa prassi, ma anche in varie correnti
dottrinarie assai note, soprattutto nella dottrina statunitense, che escludono l’operatività dell’art. 2, par. 4, nel caso di paralisi del Consiglio di
“mercanteggiamenti” legati all’attribuzione e all’esercizio del potere di voto in
VREELAND, DREHER, The Political Economy of the United Nations Security Council:
Money and Influence, Cambridge, 2014.
34
V. Le reazioni collettive, in Comunità internazionale, cit., p. 660 ss.
35
V. Unilateralismo e guerra, cit., p. 6.
GLI OBBLIGHI ERGA OMNES TRA PASSATO E FUTURO
19
sicurezza36. In ordine al secondo, valgono invece le incongruenze che la
posizione più tradizionalmente accolta dalla dottrina finirebbe col produrre, con riguardo alla ricostruzione del rapporto intercorrente nella
Carta dell’ONU tra l’art. 2, par. 4, l’art. 39, e l’art. 5137. Ma su tali questioni non possiamo che rinviare i lettori alle analisi assai più approfondite da noi già condotte in vari scritti precedenti.
In questa sede, una volta escluso comunque che dall’art. 2, par. 4,
insieme alle altre disposizioni collegate, possa farsi derivare un monopolio assoluto dell’uso della forza da parte del Consiglio di sicurezza
dell’ONU, noi ci limitiamo attualmente ad esaminare, con le necessarie
semplificazioni, quali siano a nostro avviso i due modelli normativi
principali di riferimento per ripartire, con riguardo all’uso della forza, le
competenze tra l’ONU e il sistema di attuazione degli obblighi erga
omnes, relativamente all’ipotesi (che è quella che solleva maggiori problemi in pratica) di inoperatività del Consiglio di sicurezza.
Il primo modello, quello da noi utilizzato tradizionalmente negli
scritti meno recenti, tende a ricavare dallo stesso sistema dell’ONU una
36
V. Interventi delle Nazioni Unite, in Comunità internazionale, cit., p. 223 ss.; e,
più recentemente, La “guerra del Kosovo” e il diritto internazionale generale, 2000,
ibidem, p. 321 ss., p. 338 ss.
È significativo che anche alcuni autori, che danno in principio all’art. 2, par. 4,
della Carta dell’ONU il rilievo da noi criticato, finiscano poi senza accorgersene con
l’entrare in contraddizione con se stessi. Questo è il caso ad esempio di chi sostiene da
epoca ormai risalente (andando ben al di là della dottrina statunitense cui alludiamo nel
testo) la tesi assai stravagante per cui, in caso di paralisi del Consiglio di sicurezza, una
eventuale guerra non potrebbe essere “valutata giuridicamente”, non essendo “né lecita
né illecita”, ma solo… “indifferente” (v. CONFORTI, Diritto internazionale, VIII ed.,
Napoli, 2010, p. 386 ss.; e anche più estesamente le considerazioni espresse nel
commento al Progetto di Reisman sull’intervento umanitario alla Sessione di Santiago
del 2007, in Annuaire de l’Institut de droit international, vol. 72, p. 267 ss., p. 270).
37
V. ancora i due lavori in ultimo citati, loc. cit. In ordine al rapporto intercorrente
tra le tre disposizioni indicate, noi abbiamo sempre sostenuto la sostanziale autonomia
delle ipotesi da esse previste, dato che al divieto assoluto di uso o minaccia della forza,
sancito solo in via di principio dall’art. 2, par. 4, fa riscontro un potere coercitivo di
intervento dell’Organizzazione nei soli casi (evidentemente i più gravi) previsti dall’art.
39, mentre l’art. 51 ruota in un’orbita libera e autonoma, prevedendo (con l’autotutela
collettiva in risposta ad un’aggressione) la possibilità di reazioni unilaterali collettive
degli Stati con riguardo almeno letteralmente all’unica ipotesi di crimine internazionale
nota al tempo dell’istituzione dell’Organizzazione. La Carta è quindi ben lontana,
contrariamente a quanto comunemente si ritiene, dall’imporre agli Stati un divieto
assoluto di uso o minaccia della forza, “controbilanciandolo” coi poteri di intervento
concessi all’Organizzazione.
20
PAOLO PICONE
sorta di autolimitazione del sistema stesso, idonea a legittimare in certi
casi gli interventi unilaterali con uso della forza degli Stati per
l’attuazione di obblighi erga omnes. Questa ipotesi è stata da noi approfondita nel caso dell’intervento unilaterale in Kosovo (nel marzo del
1999), da parte di alcuni Stati occidentali e/o della NATO, nei confronti del governo di Milosević, per reagire alle gravi violazioni del diritto
umanitario che sarebbero state commesse da quest’ultimo nella regione38. A nostro avviso, la liceità almeno iniziale dell’intervento, in assenza
di una autorizzazione da parte del Consiglio di sicurezza (che era notoriamente bloccato e insuscettibile di attivarsi in prospettiva), poteva dedursi da una particolare interpretazione estensiva dell’art. 51 della Carta:
quella per cui la deroga a favore dell’unilateralismo da esso prevista per
il caso di una aggressione (con la previsione della autotutela individuale
e collettiva) avrebbe potuto essere applicata anche in tutte le altre ipotesi di gravi illeciti erga omnes (o di “crimini” come si diceva allora)
commessi dagli Stati nei confronti dell’intera Comunità internazionale.
E questo, come abbiamo sempre detto, a condizione che (come nel caso
in esame) il Consiglio di sicurezza fosse appunto impossibilitato a reagire, e che il diritto internazionale generale consentisse agli Stati (come
era fondato ammettere nell’ipotesi di un intervento umanitario) di ricorrere all’uso della forza per reagire all’illecito erga omnes in causa39. Nel
caso del Kosovo, si noti, il Consiglio di sicurezza era all’inizio stato investito della questione: ma non è riuscito ad autorizzare l’intervento a
causa del veto di due Membri permanenti. La proposta interpretazione
dell’art. 51 (che è valida tuttora a nostro avviso in generale) si rivela
quindi a più forte ragione ammissibile, dato che si trattava di una vicenda già resa “interna” (se così può dirsi) al sistema dell’ONU, e regolabile attraverso una interpretazione estensiva di una disposizione del sistema stesso.
38
39
V. ancora La “guerra del Kosovo”, in Comunità internazionale, cit., passim.
V. più ampiamente Le reazioni collettive, in Comunità internazionale, cit., p. 650 ss.
GLI OBBLIGHI ERGA OMNES TRA PASSATO E FUTURO
21
10. Il secondo modello normativo ricavabile dal Progetto di codificazione
sulla responsabilità degli Stati: il caso dell’attuale intervento contro
l’ISIS
La seconda ipotesi si verifica invece quando è il sistema delle reazioni ad un grave illecito erga omnes ad essere chiamato a operare per
primo, dato che la vicenda in causa non è stata ancora portata
all’attenzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU, e il primo sistema
riconosca di poter operare solo in modo sussidiario rispetto al secondo
(e cioè solo in assenza di un intervento anche successivo da parte del
Consiglio). Questa situazione si sta verificando attualmente nel caso
dell’intervento da parte di una coalizione a guida statunitense contro
l’ISIS (lo Stato islamico originariamente formatosi, sotto la guida di alBaghdadi, il futuro Califfo, dopo le conquiste territoriali in Siria e in
Iraq, e oggi progressivamente in espansione).
Noi abbiamo analizzato l’intervento di tale coalizione in un saggio di
recente pubblicazione, al quale rinviamo per necessità tutti i lettori interessati40. Sinteticamente, ci è parso di poter giustificare l’intervento ricorrendo al Progetto finale di articoli sulla responsabilità degli Stati,
approvato come sappiamo dalla Commissione del diritto internazionale
nel 2001, ma mai finora invocato in simili situazioni. Il Progetto infatti è
a nostro avviso utilizzabile per garantire la “legalità” di una coalizione
che si proponga di reagire, con interventi unilaterali “collettivi”, alla
grave minaccia alla pace e al sistema-mondo attuale prodotta dal comportamento dell’ISIS.
Tale “legalità” deriva dalla conformità della coalizione e del suo
modo di operare alle varie condizioni previste dal Progetto stesso, e valutate analiticamente nel saggio indicato. Esse riguardano, in particolare: a) la legittimità del ricorso a misure unilaterali da parte degli Stati
interventori; b) il rispetto delle condizioni previste per la formazione di
una coalizione, basata su un sufficiente “consenso generale”; c) il possibile uso della forza; d) l’esistenza di un adeguato riparto di competenze
tra lo Stato-guida e gli altri Stati dell’alleanza; e) la gravità, infine, del
fatto illecito “complessivo” contro cui si intende reagire41.
40
V. Unilateralismo e guerra, cit.
Questi aspetti sono diffusamente esaminati nell’op. ult. cit., passim. È chiaro che
il requisito del consenso all’operazione da parte di un numero quanto meno
41
22
PAOLO PICONE
11. Il carattere non ben definito dell’art. 59 del Progetto e di altre clausole
accolte al momento della sua approvazione finale
Il tentativo di ricostruzione in ultimo illustrato non elimina comunque alcune incertezze. Il motivo è dato dalla novità del fenomeno, ma
anche e soprattutto dalle modifiche “minimaliste” accolte come abbiamo visto all’ultimo momento da Crawford, con l’abolizione dell’impianto originario basato sugli obblighi erga omnes e i crimini
(l’impianto della versione “forte” del Progetto), e l’accoglimento di
clausole suscettibili spesso di essere intese (e magari corrette) solo per
interpretazione.
In particolare sono tre gli aspetti, che assumono per noi una grande
rilevanza, e hanno ricevuto invece una confusa soluzione.
Il primo è dato proprio dal rapporto intercorrente tra gli eventuali
interventi unilaterali assumibili dagli Stati ai sensi del Progetto, e le
competenze “istituzionali” del Consiglio di sicurezza dell’ONU. La regola accolta in materia dal Progetto è data infatti dall’art. 59, che, per
regolare la questione, si limita a dire che le disposizioni del Progetto
“are without prejudice to the Charter of the United Nations”, mentre si
precisa poi nel commento (in modo inconcludente e sibillino) che esse
andrebbero applicate… a patto di rispettare l’art. 103 della Carta. Un
po’ poco per una soluzione che dovrebbe definire in termini assai più
chiari il senso della priorità da attribuire al sistema dell’ONU!42
Gli altri due aspetti riguardano, invece, l’uno la definizione dei fatti
illeciti rilevanti (data l’improponibilità del ricorso alle norme di jus corappresentativo di Stati ha un valore normativo “fondante” particolare, come è
accaduto nei casi dell’intervento degli Stati Uniti in Afghanistan, a partire dal 2001, e
del mancato intervento degli stessi in Siria nel 2013: v. Capitalismo finanziario, cit., pp.
17 ss., 19 ss.
42
Va sottolineato che, nella versione “forte” del Progetto (v. per i riferimenti ante,
nota 10), quella ancora espressa dal Progetto provvisorio del 1996, il rapporteur
Arangio-Ruiz aveva previsto un meccanismo finale di accertamento dei crimini davanti
alla Corte internazionale di giustizia, dopo l’assunzione da parte dell’Assemblea
generale o del Consiglio di sicurezza di una delibera a maggioranza qualificata a favore
dell’esistenza della responsabilità internazionale di uno Stato per commissione di un
crimine internazionale (v. i particolari in Interventi delle Nazioni Unite, in Comunità
internazionale, cit., p. 271 ss., nota 198). In tale prospettiva, che non venne mai discussa,
sembra che l’idea di fondo andasse nella direzione di una totale autonomia nel caso
indicato del sistema previsto dal Progetto rispetto alla possibile competenza di quello
delle Nazioni Unite.
GLI OBBLIGHI ERGA OMNES TRA PASSATO E FUTURO
23
gens), l’altro la determinazione delle reazioni (anche con uso della forza)
consentite. In entrambi i casi, noi abbiamo ritenuto, in critica al dettato
letterale accolto dal Progetto, che i fatti illeciti rilevanti non potessero
essere ancora oggi che quelli presi in considerazione da Ago con le varie
categorie di crimini accolte esemplificativamente dal vecchio art. 19
presentato alla Commissione nel 1976: e cioè dei gravi comportamenti
illeciti esperiti in modo sistematico da uno Stato, o comunque da una
struttura sociale ad esso assimilabile (come nel caso dell’ISIS)43. Mentre,
per quanto concerne le reazioni consentite, è chiaro che la possibilità
dell’uso della forza va ricavata da un’adeguata e realistica interpretazione dell’art. 41, par. 1 (e del correlato art. 54) del Progetto, che parlano
invece, letteralmente, di “lawful means” e “lawful measures”. Per cui, in
entrambi i casi, si è costretti a lasciare spazio, per risolvere i veri problemi, alla centralità dell’art. 41, par. 3, che fa salve le “further consequences that a breach… may entail under international law”, aprendo
quindi la porta, se il diritto internazionale lo ammette, alla possibilità
dell’uso della forza!44 Una bella soluzione assai flessibile, giustamente
fondata sul diritto internazionale generale, ma certo contrastante con le
esigenze di certezza che un progetto di codificazione avrebbe dovuto
soddisfare!
Per concludere, infine, occorre ancora considerare che gli Stati, che
fanno “politica” e non conoscono, a quanto può ritenersi, il Progetto (!), non sembrano, pur facendo parte della coalizione, in grado di tener conto dei termini “giuridici” della coalizione stessa. Vi è infatti la
tendenza, anche per rispettare l’opinione pubblica interna, a valutare
autonomamente alcuni segmenti parziali dell’operazione complessiva,
senza comprendere che, in una coalizione questa volta anche giuridicamente coordinata (che opera al posto dell’ONU), è la coalizione stessa a
doversi assumere la guida dell’intera operazione. Questa difficoltà si è
già verificata alcune altre volte nel caso dell’operazione contro l’ISIS
(relativamente agli interventi in Siria), e si è ultimamente manifestata
43
V. Unilateralismo e guerra, cit., p. 23 ss.
V. ancora l’op. ult. cit., p. 17 ss. La difficoltà in varie ipotesi di condurre
l’indicata analisi è comprovata dal recente scritto di PAPA, Autodeterminazione dei
popoli e terzi Stati, in Il principio di autodeterminazione dei popoli alla prova del nuovo
millennio, a cura di Distefano, Padova, 2014, p. 53 ss., quando analizza il problema del
contenuto dell’aiuto che gli Stati terzi possono offrire a sostegno del popolo in lotta (v.
p. 75 ss.).
44
24
PAOLO PICONE
con riguardo alla volontà (politicamente discutibile e assai velleitaria)
dell’Italia di guidare autonomamente una operazione… militare in Libia, sia pur evidentemente (!) con l’autorizzazione del Consiglio di sicurezza dell’ONU!45 Comunque la situazione sta diventando per gli stessi
Stati Uniti sempre più complessa, data la difficoltà di determinare con
precisione il campo di applicazione degli interventi della coalizione, a
causa del sovrapporsi, all’operazione bellica iniziale, di varie situazioni di
conflitto, all’interno del mondo arabo, tra formazioni estremistiche di differente origine, e della crescente rivalità soprattutto tra sunniti e sciiti46.
SEZIONE IV – OBBLIGHI ERGA OMNES E GLOBALIZZAZIONE
12. La globalizzazione e i suoi effetti, secondo la dottrina, sulle modalità
di esercizio della sovranità da parte degli Stati: considerazioni critiche
e prospettive future
Le considerazioni che precedono hanno finora riguardato
l’emergere e lo sviluppo degli obblighi erga omnes (col loro rilievo
nell’ambito del Progetto sulla responsabilità degli Stati) negli ultimi
trent’anni del secolo scorso (e, ancora attualmente, la loro possibile utilizzazione per spiegare l’intervento militare della coalizione a guida statunitense contro l’ISIS).
La sezione attuale del lavoro è dedicata invece all’esame di alcuni
fattori, che possono incidere sul modo di essere e di operare in prospettiva degli obblighi in questione, per effetto di alcuni più generali processi di trasformazione prodotti nella nostra materia dal progredire del
fenomeno della globalizzazione. Gli svolgimenti che seguono saranno
per necessità assai sintetici, pur riguardando due temi di grande importanza, relativi, l’uno, all’affievolirsi secondo alcuni della sovranità degli
Stati quali enti di governo delle comunità stanziate nei rispettivi territori; l’altro, alla progressiva erosione del loro ruolo tradizionale
nell’ambito del sistema di Westfalia, a causa dell’emergere, nell’or-
45
Per un approfondimento giornalistico dei termini reali (ma… assai nascosti!)
della partecipazione dell’Italia alle operazioni militari contro l’ISIS, v. il “dossier” su Le
guerre segrete dell’Italia, in L’Espresso del 2 aprile 2015, p. 16 ss., e soprattutto p. 20 ss.
46
V. per un quadro d’insieme Chi ha paura del Califfo, Limes, n. 2/2015.
GLI OBBLIGHI ERGA OMNES TRA PASSATO E FUTURO
25
dinamento internazionale, di nuovi attori e soggetti provenienti e operanti nella società civile internazionale.
Cominciando dal primo dei due aspetti indicati, è noto lo sviluppo
che ha assunto da tempo il dibattito sulla crisi della democrazia rappresentativa tradizionale, e quindi dello Stato costituzionale di diritto basato sul primato della legge, sulla divisione dei poteri, e sull’autorità del
governo47. Nei moderni sistemi statali, influenzati dall’affermarsi della
globalizzazione, questo modello tradizionale starebbe ormai per essere
progressivamente sostituito dalle politiche di governance, e cioè da processi decisionali basati su forme di partecipazione decentrate e maggiormente inclusive di soggetti, e/o di organizzazioni anche private
“coinvolte nelle problematiche da risolvere”48.
Il significato da attribuire alla nozione di governance è ancora oggi
abbastanza controverso e oscuro, anche a causa delle differenti competenze di base degli studiosi (economisti, politologi, sociologi, ecc.) che
l’hanno approfondita. Tra i giuristi, vi è accordo comunque su un nucleo interpretativo per così dire centrale: il diffondersi di processi decisionali non più verticali, come nella democrazia rappresentativa, ma “a
rete”; l’affermarsi del soft law, al posto dei tradizionali comandi “hard”,
o vincolanti; la valutazione del successo di un processo decisionale solo
ex post, e cioè sulla base degli effetti pratici che si riescono a raggiungere (o, per dirla in altri termini, sulla base di un consenso eventuale solo
“posticipato”, informale e non proveniente da procedure normative)49.
Gli elementi formali indicati vengono a prima vista ritenuti idonei da
alcuni studiosi a descrivere una nuova forma di Stato, basato non più sulla sovranità tradizionale, ma sulla moltiplicazione di ipotesi di governance
informali, costituite da linee-guida e processi decisionali “aperti” e non
vincolanti. Uno Stato che, in tale conformazione, costituirebbe chiaramente un ostacolo allo sviluppo di ipotesi di solidarietà internazionale,
idonee a tradursi in forme forti di cooperazione con gli altri Stati, necessarie invece per la gestione di beni comuni internazionali, o l’eventuale
irrogazione di sanzioni “collettive” in reazione a gravi illeciti che colpiscano il sistema-mondo attuale.
47
La letteratura è sterminata. V. perciò in senso riassuntivo adesso SCAMARDELLA,
Teorie giuridiche della governance. Le ragioni e i limiti di una nuova narrazione, Napoli,
2013, p. 71 ss.
48
V. ancora l’op. ult. cit., p. 32 ss.
49
V. l’op. ult. cit., p. 151 ss.
26
PAOLO PICONE
Ma il modello indicato non è a nostro avviso teoricamente attrezzato
per soppiantare le tradizionali forme della democrazia statale, che soffrono di debolezze almeno in principio (e sperabilmente!) non irreversibili.
Da una parte, infatti, la governance non è riuscita realizzarsi come una
“modalità con cui l’economia globale tenta di governare la politica”50. Il
sistema economico ha assunto infatti col capitalismo finanziario una sua
decisiva autonomia, che mina alla base le tradizionali forme della democrazia rappresentativa, impossibilitata a funzionare a causa della crescente
ineguaglianza tra gli uomini, e dell’inquietante sviluppo dei fenomeni di
corruzione, su scala locale e planetaria51. Dall’altra parte, è chiaro invece
che delle decisioni “partecipative” di attori sociali diversi destinate a legittimarsi ex post lasciano nel vago la possibilità di determinare con chiarezza quali siano i soggetti che le abbiano prese: con il conseguente pericolo
che, nel mondo “ineguale” che si sta sempre più affermando, finiscano
col prevalere di regola solo coloro che detengono il potere52.
In conclusione, in ordine a questo primo livello di indagine, non
sembra che le trasformazioni delle modalità di esercizio della sovranità sul
piano interno, da parte degli Stati, col passaggio indicato dal government
alla governance, possano frapporre degli ostacoli e/o produrre delle difficoltà gravi sul piano esterno, con riguardo ai rapporti “solidali” instaurabili tra i vari Stati, al fine della formazione di regimi normativi regolati da
obblighi erga omnes. È anzi verosimile che un’attività “esterna” di
quest’ultimo tipo, se volta soprattutto alla tutela e gestione di beni pubblici internazionali, a uso per così dire “civile” e non “militare”, possa
coniugarsi sul piano interno col recupero di forme allargate di democrazia, e il rilancio della “legge” quale strumento “regolativo” destinato a
precisare “in advance” la condotta di coloro cui è indirizzata53.
50
V. sulla governance come potenziale “governo economico della politica” per tutti
ARIENZO, Oltre la democrazia, la governance economica della politica, in Vuoti e scarti di
democrazia. Teorie e politiche democratiche nell’era della mondializzazione, a cura di
Arienzo e Lazzarich, Napoli, 2012, p. 93 ss., p. 97.
51
V. per tutti GALLINO, Finanzcapitalismo. La civiltà del denaro in crisi, Torino,
2011; e le considerazioni da noi svolte in Capitalismo finanziario, cit., p. 5 ss.
52
V. per una critica più generale del modello “deliberativo” della governance
ancora SCAMARDELLA, Teorie giuridiche, cit., p. 114 ss., e soprattutto p. 178 ss.
53
TRACHTMAN, The Future of International Law. Global Government, Cambridge,
2013, p. 240 ss. Un esempio assai significativo della possibilità indicata nel testo è dato
dalla tutela delle situazioni e dei valori destinati ad avvantaggiare e/o garantire gli
interessi (o almeno alcuni interessi fondamentali) delle generazioni future. Mentre la
GLI OBBLIGHI ERGA OMNES TRA PASSATO E FUTURO
27
13. La “global governance” e l’affermarsi del c.d. “diritto globale”. Il superamento per molti autori del tradizionale “modello di Westfalia”, e le
posizioni a favore di un ordinamento internazionale verticale “panumano”, basato sul nuovo ruolo spettante all’“umanità” e agli “individui”. Critica della confusione tra “Comunità degli Stati” e “società civile internazionale”
Il campo di elezione della governance è tuttavia quello che si dispiegherebbe attualmente nell’ambito della stessa società internazionale, per
dare forma e contenuto ai precetti normativi derivanti dal c.d. “diritto
globale”54. Nel campo indicato, la nozione non troverebbe evidentemente ostacoli ad affermarsi, data l’assenza di un qualsivoglia “governo”
istituzionale preesistente della società internazionale, e assumerebbe
quindi per alcuni la configurazione di una “global governance”, idonea
a gettare le basi di una “costituzione” vera e propria del sistema internazionale, o almeno a descrivere alcuni dei suoi processi decisionali essenziali. Tali processi verrebbero gestiti attualmente da vari attori sociali, anche privati, attivi appunto nella società internazionale: attori (come
è tipico della governance) anch’essi per lo più indeterminabili nei singoli
casi “a priori”, e/o comunque insuscettibili (malgrado i tentativi “temerari” di qualche autore) di una più precisa individuazione in concreto55.
dottrina di diritto interno (civilistica e/o costituzionalistica) si chiede generalmente, in
modo evidentemente assai discutibile e problematico, se e come sia possibile attribuire
in tali casi dei “diritti” alle generazioni future, per noi le situazioni indicate implicano la
gestione e/o attuazione, già attualmente, da parte di tutti gli Stati, per conto della
Comunità internazionale, di alcuni obblighi erga omnes volti a creare le “precondizioni”
per la fruizione di determinati diritti da parte delle generazioni future (v. in argomento
la nostra recensione a BIFULCO, Diritto e generazioni future. Problemi giuridici della
responsabilità internazionale, in Rivista di diritto internazionale, 2008, p. 930 ss.). Si crea
quindi una situazione in cui la gestione sul piano esterno di determinati obblighi erga
omnes avvalora sul piano interno la prospettiva “democratica” di una accresciuta tutela
in futuro dei diritti in causa.
54
V. per tutti, nell’ambito ancora una volta di una letteratura assai estesa,
PALOMBELLA, È possibile una legalità globale? Il Rule of law e la governance del mondo,
Bologna, 2012.
55
Il carattere “temerario” di ogni tentativo di precisare la mappa dei “ nuovi
sovrani globali” si rende visibile nell’elencazione sia pur approssimativa proposta da
AZZARITI, Il costituzionalismo moderno può sopravvivere?, Roma-Bari, 2013, p. 50 ss.,
che “mischia” confusamente enti, associazioni e organizzazioni di rilievo diversissimo!
28
PAOLO PICONE
L’analisi del fenomeno indicato è stata condotta da innumerevoli
autori, con concezioni assai diverse tra loro, che è impossibile ricostruire anche sommariamente in questa sede. Ai fini che ci interessano, è
possibile tuttavia, per semplificare le cose, ripartire le varie posizioni tra
critiche espresse dagli stessi internazionalisti dall’interno del sistema internazionale tradizionale, e critiche rivolte invece al medesimo, da altri
studiosi, per così dire dall’esterno.
I primi studiosi, pur ribadendo generalmente l’autonomia e l’unità
dell’ordinamento internazionale, partono da un orientamento più generale, che ritiene ormai superato il modello interstatale “orizzontale” di
Westfalia, e ricostruisce l’attuale ordinamento internazionale (sia pur
nell’ambito di uno sviluppo ancora in divenire) come un ordinamento
verticale “panumano”, nel quale, per usare le espressioni di un autore,
gli individui sarebbero gli “ultimate international legal subjects”, e
l’umanità (e non la sovranità) “the ultimate normative source of international law”56. Alla base di questo “nuovo ordinamento internazionale”
vi sarebbe un assetto normativo ispirato da una sorta di “Global Constitutionalism”, improntato ai principi costituzionaldemocratici di stampo
liberale classico, per cui gli “international citizens” opererebbero
nell’ambito di una “universal constitutional democracy”, esercitando,
alla stregua di nuovi “attori sociali globali”, varie attività e funzioni tradizionalmente esercitabili dai soli Stati. In altra sede, cui rinviamo, noi
abbiamo già sottolineato il carattere del tutto illusorio e utopistico di
questa prospettiva, dato che gli individui, malgrado le fughe in avanti di
non pochi autori, non esercitano allo stato, ai sensi del diritto internazionale generale, alcuna funzione di creazione, accertamento o garanzia
delle norme internazionali, e sono soprattutto del tutto inidonei a far
scattare le sanzioni “coercitive” con cui tali norme vanno a volte necessariamente “tutelate”. La loro presunta “soggettività internazionale” è
perciò solo una professione di fede, da cui non sembra possibile far discendere alcun effetto concreto57.
56
Tali soluzioni, insieme ad altre egualmente assai discutibili, si trovano in un lungo
saggio della PETERS, Membership in the Global Constitutional Community, pubblicato in
KLABBERS, PETERS, ULFSTEIN, The Constitutionalization of International Law, New
York, 2009, p. 153 ss. Molte delle nostre critiche si trovano nella recensione da noi fatta
al volume, in Rivista di diritto internazionale, 2010, p. 296 ss., p. 302 ss.; e ancora in
Capitalismo finanziario, cit., p. 13 ss.
57
V. ancora i nostri scritti cit. nella nota precedente.
GLI OBBLIGHI ERGA OMNES TRA PASSATO E FUTURO
29
Più realisticamente, perciò, vari internazionalisti privilegiano adesso
una seconda prospettiva (anch’essa molto articolata e differenziata al
suo interno), ammettendo l’esistenza, nell’ambito dell’attuale ordinamento internazionale, di due comparti normativi distinti, l’uno avente la
tradizionale struttura “orizzontale” (in quanto volto a regolare i rapporti tra gli Stati); l’altro operante invece in modo “verticale”, e idoneo a
regolare direttamente gli individui.
Tale prospettiva è largamente influenzata dai rapporti tra gli Stati
membri e l’Unione europea, e, in sede formale, dal c.d. “legal pluralism”58.
Ma tale “pluralismo” è coniugato in versioni diverse, entrambe secondo noi
inidonee a descrivere correttamente i rapporti intercorrenti tra i vari complessi di norme esistenti in questo caso all’interno dell’“unitario” ordinamento internazionale. A volte infatti si postula la coesistenza di due distinte
“società” regolate dal diritto internazionale, quella degli Stati e quella (panumana) degli individui: ma si dimentica, come preciseremo anche in seguito, che una cosa è la Comunità degli Stati, un’altra invece la “società civile internazionale” (con gli innumerevoli complessi di norme che si creano
e riproducono al suo interno). Altre volte, invece, si dà rilievo, sulle orme
del Teubner, a complessi di norme “transnazionali” distinte, dotate formalmente di autonome “costituzioni” formali, che si sovrapporrebbero tra
loro, con conseguenze del tutto insuscettibili di una verifica reale59.
Più facili da illustrare, anche perché lo si può fare qui solo assai sinteticamente, sono le impostazioni accolte, in critica al diritto internazionale,
da autori seguaci di altre discipline, come ad esempio il GAL (il “Global
Administrative Law”), che affermano l’esistenza di un “unitario diritto
globale”, prodotto soprattutto dai complessi di regole (di natura amministrativa, commerciale, e così via), idonee a fissare, per semplificare al massimo, i criteri di trasparenza e gli standards tecnici di buona amministra58
V. per tutti KUMM, The Cosmopolitan Turn in Constitutionalism: On the
Relationship between Constitutionalism in and beyond the State, in DUNOFF,
TRACHTMAN (eds), Ruling the World? Constitutionalism, International Law, and Global
Governance, New York, 2009, p. 258 ss. (da noi recensito in Rivista di diritto
internazionale, 2011, p. 673 ss.).
59
V. ad esempio la formula assai oscura con cui si chiude, nel volume indicato nella
nota precedente, il lavoro di BESSON, Whose Constitution(s)? International Law,
Constitutionalism, and Democracy, p. 381 ss., a p. 406, che parla dell’esistenza di una
“international political community… understood as a pluralistic community of
communities and as a hybrid community of states and individuals”, formula inidonea a
prestarsi, nell’ordinamento internazionale, a possibili e realistiche applicazioni!
30
PAOLO PICONE
zione adottabili da associazioni pubbliche e private, da organizzazioni internazionali o non governative, dagli stessi Stati, e così via, per favorire lo
sviluppo della democrazia nelle attività transnazionali. Queste impostazioni pretendono assai ingenuamente di poter assorbire nel diritto globale
anche il diritto internazionale, ignorando del tutto la sua autonomia quale
ordinamento volto a regolare i rapporti tra gli Stati nell’ambito della Comunità internazionale (e non della società civile transnazionale), e la specificità di quelle forme di garanzia delle norme internazionali, compatibili
solo col potere coercitivo esercitabile da Stati sovrani60.
14. La permanenza del modello di Westfalia, sia pur con le modifiche
prodotte dai processi di verticalizzazione normativa derivanti dall’esistenza e dall’operatività delle norme produttive di obblighi erga
omnes. Il ruolo da attribuire in prospettiva al principio di solidarietà
tra gli Stati, e il conseguente tradursi del medesimo nell’esistenza di
complessi normativi differenti di obblighi erga omnes, a seconda dei
beni tutelati, della ripartizione tra gli Stati della legittimazione ad agire o reagire, della definizione e gestione dei fatti illeciti, e così via
Come abbiamo già sottolineato altrove, è comunque soprattutto la
critica avanzata da una parte della moderna dottrina al sistema internazionale di Westfalia (quella di essere un sistema meramente “orizzontale” e quindi superato di regolamentazione dei rapporti tra Stati quali
enti sovrani) a non poter essere accettata, quale che sia il valore delle
considerazioni sviluppate nei due paragrafi precedenti. Il sistema indicato è rimasto infatti per lungo tempo troppo rigido, a causa del carattere quasi “assoluto” della concezione presupposta della sovranità degli
Stati. Ma esso ha fatto registrare nel corso del tempo tali e tanti arricchimenti strutturali e normativi (col sorgere delle Nazioni Unite;
l’esistenza di organizzazioni internazionali, come ad esempio il Fondo
Monetario e la Banca mondiale, operanti come strumenti del sistemamondo complessivamente inteso; il moltiplicarsi delle situazioni di egemonia degli Stati produttive, come nel caso della coalizione contro l’ISIS,
60
In modo plastico, ma assai eloquente, PALOMBELLA, È possibile una legalità
globale?, cit., conclude sul punto le sue analisi affermando, a p. 151, che “il global law
non sostituisce il diritto internazionale”; v. anche p. 157 ss.
GLI OBBLIGHI ERGA OMNES TRA PASSATO E FUTURO
31
di effetti diretti di carattere normativo, e così via), da consentire di affermare (senza bisogno della finzione della soggettività internazionale degli
individui) l’esistenza di situazioni e/o livelli di “direzione normativa”
dell’attività degli Stati riconducibili alla superiore “autorità” della Comunità internazionale.
Questa nuova prospettiva si è, come sappiamo, compiutamente realizzata sul piano formale con l’affermarsi, in vari settori della materia, a
partire dagli anni ’70, delle norme produttive di obblighi erga omnes, che,
pur operando nell’ambito del tradizionale ordinamento giuridico internazionale ancora influenzato dalle originarie caratteristiche del sistema di
Westfalia, realizzano come abbiamo detto dei comparti di tale ordinamento caratterizzati dall’affermarsi di un vero e proprio processo di “verticalizzazione normativa” del potere sugli Stati della Comunità internazionale. La verticalizzazione dell’ordinamento internazionale, a voler essere
realistici, si basa quindi attualmente sull’esistenza di tali norme (che attribuiscono come sempre poteri e obblighi ai soli Stati), e non
sull’operatività di un ipotetico e per noi inesistente sub-sistema “panumano” dell’ordinamento medesimo61.
Questa impostazione richiede comunque (per concludere brevemente
il discorso) di attrezzare da una parte in prospettiva gli Stati a realizzare
quelle nuove funzioni che li rendano idonei a soddisfare le esigenze sollevate dalla formazione e dall’attuazione degli obblighi erga omnes. E di
provvedere, dall’altra, a quelle modifiche e/o integrazioni dell’ordinamento internazionale che consentano loro di operare con maggiore
efficacia con riguardo agli obblighi medesimi.
In ordine al primo aspetto, se è chiaro che, in seguito all’affermarsi del
processo di globalizzazione, lo Stato non sta certo rinunciando progressivamente, come alcuni dicono, alla propria sovranità (caratterizzata sempre
e comunque formalmente dall’esclusivo monopolio del potere coercitivo),
ma si rende solo “subalterno” ai dettami del capitalismo finanziario e del
mercato, il problema che oggi si pone è quello, eminentemente politico, di
rovesciare tale tendenza, in modo che gli Stati stessi possano recuperare alcune tradizionali funzioni volte all’eguaglianza e al benessere dei propri
61
Sbaglia quindi chi ritiene, ignorando tali processi e fenomeni, che il diritto
internazionale avrebbe ancora oggi solo un “carattere volontaristico, contrattuale, non
gerarchico”! (così letteralmente CASSESE, Il diritto globale. Giustizia e democrazia oltre
lo Stato, Torino, 2009, p. 133).
32
PAOLO PICONE
“governati”62. Si tratta quindi soprattutto di valorizzare, come abbiamo già
sottolineato, l’importanza normativa (e il rilievo anche costituzionale) del
principio di solidarietà, volto al recupero delle funzioni indicate, e, sul piano esterno, allo sviluppo di forme di cooperazione tra gli Stati, idonee a favorire la tutela e la gestione dei beni pubblici internazionali.
Quanto, invece, al secondo aspetto, il discorso è più complesso, e riguarda il necessario perfezionamento in prospettiva di quelle forme di regolamentazione degli obblighi erga omnes idonee a precisare maggiormente il loro contenuto, il loro ambito di regolamentazione, e, come abbiamo già in precedenza sottolineato, le reazioni consentite in caso di loro
violazione. Gli obblighi erga omnes sembrano infatti destinati a svilupparsi dando vita a regimi normativi differenti, a seconda dei beni tutelati, della ripartizione tra gli Stati della legittimazione ad agire e/o reagire, della
definizione e gestione dei fatti illeciti, e così via.
Questa situazione può preoccupare gli addetti ai lavori, dato che rischia
di tradursi in una frammentazione di tipo nuovo dell’ordinamento internazionale, più grave di quella tradizionalmente studiata dalla dottrina con riguardo all’operare dei c.d. “self-contained regimes”63. Ma la frammentazione si configura in tali casi secondo noi più come una ricchezza
dell’ordinamento, che come un limite del medesimo. Essa è, infatti, già oggetto di studi importanti, che andranno in futuro sviluppati e approfonditi,
volti a precisarne le conseguenze, attraverso l’esame in sede teorica delle
principali ipotesi di “concorso” e/o “conflitto” tra i vari regimi normativi
già esistenti o invece in via di formazione, e dei diversi modelli di “allocation rules” in grado di attribuire la prevalenza all’uno o all’altro di essi64.
62
Questa prospettiva di un necessario recupero di alcune tradizionali funzioni da
parte degli Stati, al fine di “avviare sul piano interno delle politiche economiche in
grado di contrastare gli effetti più nocivi della globalizzazione”, era già stata auspicata
da noi in Capitalismo finanziario, cit., p. 16, nota 40. V. adesso più in generale
GUÉNAIRE, Le retour des États, Paris, 2013; CORM, Le nouveau gouvernement du monde,
Paris, 2013; e, sul piano economico, tra i tanti, MAZZUCCATO, Lo Stato innovatore,
Roma-Bari, 2014; FITOUSSI, Il teorema del Lampione. O come mettere fine alla sofferenza
sociale, Torino, 2013.
63
V. per tutti, su questi ultimi, GRADONI, Regime failure nel diritto internazionale,
Padova, 2009.
64
Su questi ultimi aspetti, ci sembra fondamentale la ricerca avviata da
TRACHTMAN, The Future of International Law, cit., p. 217 ss., nel capitolo intitolato
“Fragmentation, Synergy, Coherence and Institutional Choice”.