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La gestione della
comunicazione in
mediazione
MARIO ALBERTO C ATAROZZO
La gestione della comunicazione
in mediazione
© Mario Alberto Catarozzo - Ottobre 2013
Ebook gratuito
Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione anche parziale dei contenuti
senza espressa autorizzazione dell’Autore.
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Per poter mediare bisogna prima condividere
ii
L’Autore
Mario Alberto Catarozzo, laureato in Giurisprudenza, ha una lunga esperienza
come trainer, coach e consulente sui temi della
comunicazione, negoziazione, leadership, public speaking, crescita personale e professionale.
Ha maturato le proprie basi professionali in oltre quindici anni di attività come product e project manager presso primarie strutture del mondo editoriale, della comunicazione e dei new
media dedicate al settore professionale.
Collabora con Enti, Associazioni e Ordini professionali per la formazione dei liberi professionisti sui soft skills e sulle competenze manageriali. Come Coach affianca studi professionali, liberi professionisti e manager impegnati in processi di sviluppo e cambiamento sia come singoli che in team. Svolge attività di trainer in corsi tenuti in
aula e presso Studi professionali e aziende (per saperne di più:
www.mariocatarozzo.it).
È Coach professionista, formatosi presso la NLP Italy Coaching School, dove
ha conseguito due specializzazioni, “Team Coach Professionista” e “Life Coach
Professionista”, ed ha conseguito la qualifica di “Licensed NLP Coach™” certificata dalla Society of NLP di Richard Bandler. Presso la NLP Italy Coaching School
ha conseguito due livelli di specializzazione in PNL (Programmazione Neuro Linguistica) - Practitioner e Master Practitioner - certificati dalla Society of NLP di
Richard Bandler. È coach associato ad AICP (Associazione Italiana Coach Professionisti).
Seguimi su Twitter: @MarAlbCat
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Introduzione
La mediazione, che sia essa in ambito civile e commerciale, piuttosto che familiare,
richiede competenze comunicative e capacità di instaurare rapporti empatici. Il mediatore è un facilitatore e in quanto tale il suo primo compito è di creare le migliori condizioni perché le parti in conflitto possano riaprire i canali della comunicazione. Prima di
cercare l’accordo, infatti, è necessario che le parti condividano gli stessi contenuti o, detto in altro modo, devono prima capirsi per poi cercare un punto di accordo in relazione alla propria vicenda.
Molti mediatori si presentano, invece, come tecnici e si focalizzano sin da subito sulla soluzione giuridica della vicenda senza considerare che i contendenti sono persone
prima di tutto e in quanto tali portatori di bisogni, interessi, valori, emozioni. In particolare nelle situazioni con un pregresso rapporto tra le parti (lavoratore-datore, coeredi, coniugi, condomini) assume un peso assai importante l’aspetto emotivo e relazionale, a volte addirittura maggiore dell’aspetto economico portato dalle parti come richiesta principale. I soldi rappresentano spesso la sublimazione di altre richieste inespresse,
o perchè gli stessi interessati non ne sono consapevoli, o perché è la pretesa più semplice da quantificare. Il mediatore deve saper indagare le reali richieste delle parti, saper
gestire il tavolo negoziale come terzo imparziale, saper cogliere i segnali di apertura e
lavorare con le domande efficaci.
Comunicazione, negoziazione, ascolto attivo, arte di fare domande, sono tutte competenze che devono essere presenti nella cassetta degli attrezzi del mediatore. Ecco di
seguito alcuni principi utili nel setting mediativo.
I contenuti del presente ebook sono in parte tratti dai miei corsi di formazione sull’argomento e in parte sono post pubblicati sul mio Blog.
Bene, cominciamo!
Mario Alberto Catarozzo
Formatore e Coach
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CAPITOLO 1
I principi della comunicazione efficace
Cosa vuol dire comunicare
La comunicazione è il processo attraverso il quale un emittente trasferisce un significato ad un ricevente. Si ha reale
comunicazione quando si condivide tra emittente e ricevente una stessa rappresentazione mentale a cui viene dato un significato condiviso (Watzlawitck).
Partendo dalla teoria della comunicazione di uno dei
padri della comunicazione, Watzlawick, (Pragmatica della
comunicazione umana, ed. Astrolabio) gli assiomi da tener
presente nella comunicazione sono:
Non si può non comunicare
Il feedback indica l’efficacia
Contenuto e relazione
1. Non si può non comunicare = qualunque comportamento, gesto e persino il silenzio sono comunicazione.
2. Il significato della comunicazione sta nella risposta
che si riceve = è fondamentale per una comunicazione efficace considerare i feedback della nostra comunicazione e
non le mostre intenzioni; ciò comporta assumersi la responsabilità del risultato della propria comunicazione facendo tesoro delle informazioni di ritorno (feedback).
3. La comunicazione si compone di due aspetti: contenuto e relazione = il contenuto è il “cosa” si comunica, la
relazione è il “come” si comunica. Il contenuto è di solito
percepito dall’interlocutore in modo consapevole, mentre
la relazione (come) è percepito in modo inconsapevole. La
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relazione tra gli interlocutori (il come) pesa il 93% della comunicazione stessa, dove solo il 7% è il valore del contenuto
ai fini dell’efficacia della comunicazione sul destinatario.
4. Esistono tre livelli di comunicazione: verbale, paraverI canali della comunicazione
bale, non verbale.
La triade mediatore-parti, come opera il mediatore:
Lo schema comunicativo in
mediazione
Il mediatore deve sempre verificare di aver compreso ciò
che le parti comunicano. La tecnica migliore è la riformulazione, chiamata anche parafrasi o sintesi. I vantaggi sono
molteplici:
1. riformulando si verifica di aver capito e l’emittente verifica a sua volta di aver comunicato tutto oppure se deve
aggiungere qualcosa;
2. riformulando con parole proprie si permette all’emittente di ascoltare con un taglio diverso quanto appena
detto.
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CAPITOLO 2
I canali della comunicazione
Per essere efficace una comunicazione deve essere organizzata in modo coerente e sintetico.
Coerenza tra i canali della
comunicazione
Il valore della sintesi
La coerenza è l’elemento che deve sussistere tra i tre livelli (canali) della nostra comunicazione: il verbale (ciò che
dico), il paraverbale (come lo dico) e il non verbale (il linguaggio del corpo). I tre livelli di comunicazione, sempre e
comunque attivi in qualunque relazione tra due o più soggetti, non solo non si devono contraddire (devono essere
appunto coerenti), ma più sono allineati e più il risultato
della nostra azione comunicativa è efficace. Si ha comunicazione poco efficace, quando diciamo delle cose, ma il nostro non verbale (postura, espressioni del viso, movimenti
del corpo) e il nostro paraverbale (tono di voce, volume, ritmo) contraddicono ciò che stiamo dicendo, creando nel destinatario distonia di significati: sento ciò che dici ma c’è
qualcosa nel tuo modo di fare che non mi convince o che
mi confonde addirittura.
La sinteticità è una caratteristica importante per trasferire la rappresentazione mentale, il significato dal mittente
al destinatario. Tutto ciò che è in più rispetto a quanto sufficiente a tale trasferimento dell’esperienza dal mittente al
destinatario non solo potrebbe essere superfluo, ma addirit-
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tura potrebbe generare confusione nell’interlocutore, con
troppe informazioni da elaborare e rappresentare.
LIVELLI (CANALI) DI COMUNICAZIONE
Riservando ad un secondo momento l’approfondimento dei canali attraverso cui viaggia la comunicazione umana, vediamo sinteticamente quali sono i livelli o canali della comunicazione e, quindi, i tipi di comunicazione in atto nelle relazioni umane:
I 3 canali della
comunicazione umana
• VERBALE = ciò che dico, le parole, i contenuti;
• PARAVERBALE = come lo dico (tono, frequenza,
ritmo, volume)
• NON VERBALE = comportamento, postura, silenzio, respiro, gesti.
L’impatto della comunicazione
La percezione del
destinatario
I tre canali della comunicazione non hanno certo la
stessa influenza sul percepito da parte del destinatario.
Questo perché “lavorano” su processi di elaborazione e
percezione diversi: prevalentemente consci i contenuti della comunicazione verbale, prevalentemente subconsci
quelli della comunicazione paraverbale e non verbale.
Mentre, infatti, le parole che compongono la comunicazione verbale (la linguistica) vengono scelte dalla nostra
mente conscia, cioè scegliamo consapevolmente (il più
delle volte, non sempre) le parole da utilizzare per comunicare un concetto, un’esperienza e il destinatario a sua
volta elabora per lo più (non esclusivamente) con la mente conscia (cognitiva) tali parole e relativo significato, per
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gli altri due canali la scelta del tono di voce, la variazione
del volume e dell’intensità, il ritmo delle pause e respiri, i
gesti di accompagnamento del discorso, le micro espressioni facciali sono totalmente (o quasi) inconsapevoli,
quindi dettate dal subconscio. A sua volta il destinatario
percepirà “a pancia”, cioè a livello subconscio tali segnali
e il rispettivo significato a cui attribuirà una valenza molto maggiore proprio perché non filtrata dal pensiero logico e razionale.
L’efficacia dei canali
comunicativi
Vediamo il peso di questi tre tipi o livelli di comunicazione secondo Albert Mehrabian:
• la comunicazione verbale incide solo per il 7% sull’efficacia complessiva delle nostra comunicazione;
• la comunicazione paraverbale incide il 38%;
• la comunicazione non verbale incide per il 55%.
Cosa significa questo? Vuol dire che noi solitamente ci
impegniamo di più sul canale meno efficace della comunicazione, le parole. Vuol dire anche che dopo pochi minu9
ti, a volte secondi, che una persona ci ascolta, se gli altri
canali di comunicazione non supportano e rinforzano il
parlato, il nostro interlocutore fa fatica a seguirci, fino a
perdersi del tutto e non seguirci più ma cominciare a pensare sulle nostre parole.
Il 93% della
comunicazione passa dal
non verbale
Provate a ricordare l’ultimo convegno a cui siete stati:
riuscivate a seguire il relatore nel suo discorso? Sì? Aveva
allora la capacità di supportare il discorso verbale, le parole, con gli altri due canali per mantenere alto il vostro livello di interesse e di attenzione e non “perdervi” lungo
la relazione. Il linguaggio non verbale rappresenta complessivamente il 93% della comunicazione. Non male, vero?!
All’interno di una trattativa, per esempio, un peso fondamentale è dato dai segnali del corpo che l’interlocutore
coglierà come coerenti o dissonanti rispetto al contenuto
del messaggio.
Quindi la gestualità, le espressioni del viso, il tono di
voce, la postura del corpo serviranno a rinforzare il contenuto del messaggio verbale oppure a indebolirlo fino ad
annullarne del tutto il significato.
Il valore del silenzio
Uno spazio a sé va dedicato al silenzio. Il silenzio è
una forma di comunicazione non verbale molto potente
che va utilizzato con sapienza, va dosato nelle pause, e a
cui si può strategicamente ricorrere proprio per dare ancora più forza al canale comunicativo non verbale, del linguaggio del corpo. Sbagliano, pertanto, coloro che pensano che il loro silenzio non comunichi nulla ai presenti. Le
persone dotate di carisma, per esempio, fanno spesso ricorso al silenzio, agli sguardi, alla gestualità lenta e controllata per rinforzare il proprio ascendente sui collabora10
tori. Provate a pensare, per esempio, ai vostri figli: saranno molto più attenti e “preoccupati” quando, di fronte ad
un piccolo misfatto, non si vedranno aggrediti da un fiume di parole, ma si vedranno guardati in silenzio con
sguardo fermo e sicuro. Penseranno, ora che succede?
Che starà pensando? Non avranno nulla contro cui opporre resistenza, contro cui far valere le proprie ragioni.
Provate a pensare che a voi è capitato quando eravate ragazzi con i propri genitori, provate a ricordare la sensazione e l’efficacia tanto che ancora ora, a dispetto di fiumi di
parole dimenticati, ce ne ricordiamo!
Come prepararsi al meglio
nella comunicazione
efficace
1. Lo stato d’animo
2. L’obiettivo comunicativo
Come ci si può, dunque, predisporre al meglio per
una comunicazione efficace?
Due premesse: la prima è che risulta fondamentale lo
“stato” in cui ci troviamo, intendendo con esso lo stato
d’animo e quindi la condizione emotiva che ci troviamo a
vivere durante l’atto comunicativo; condizione e stato che
il nostro interlocutore coglierà non solo dalle nostre parole ma più ancora dagli altri due canali, come abbiamo visto. La seconda considerazione è che per una comunicazione efficace è molto importante sapere qual è il nostro
obiettivo nella comunicazione. In altre parole, cosa vogliamo ottenere e non solo, quindi, cosa vogliamo dire, ma
quale risultato, scopo intendiamo raggiungere. Una cosa,
infatti, è voler far capire perché, per esempio, il nostro collaboratore impari e non ripeta in futuro l’errore. Quindi
lo scopo è trasmettere un sapere per il suo futuro utilizzo
da parte del nostro interlocutore. Un’altra cosa, invece, è
voler far capire all’altro che ha sbagliato, volerlo rimproverare, volergli far smettere quel comportamento senza
necessariamente volergliene trasmettere uno più funzionale. In questo secondo caso lo scopo non è “propositivo” (ti
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spiego come si fa, ti spiego cosa hai sbagliato), bensì impositivo (non fare più così, guai a te se ripeti ancora quel
comportamento). Possiamo in sostanza usare le stesse parole con scopi molto diversi e sarà il paraverbale e il non
verbale a dare un significato piuttosto che un altro alle nostre parole. Se non conosciamo in partenza lo scopo della
nostra comunicazione, rischiamo di raggiungere effetti opposti o comunque diversi dalle nostre intenzioni.
Fatte queste due premesse, per potersi predisporre in
modo corretto alla comunicazione efficace con il nostro
interlocutore dovremo lavorare su due nostri aspetti:
La consapevolezza
La flessibilità
1. la consapevolezza, vale a dire la coscienza che ciò
che sto comunicando potrebbe non essere compreso
dall’interlocutore nello stesso significato da me attribuito; quindi non dare nulla per scontato, me verificare di
volta in volta di essersi capiti. Questo è molto importante, come vedremo più avanti, nella delega ai collaboratori in studio;
2. la flessibilità, quindi una volta che ho verificato che
quel tipo di comunicazione non ha avuto effetto, perché il mio interlocutore non ha capito ciò che intendevo trasmettere, va cambiata la modalità comunicativa
senza insistere sulla stessa che in precedenza ha dimostrato di essere in quella relazione inefficace. Ciò che
spesso si tende a fare, invece, è ripetere più volte le stesse cose, magari alzando il volume della voce, come se
gridando il nostro interlocutore capisca meglio. Non è
che non ha sentito, non ha capito! E se non ha capito
possiamo anche prendercela con lui, ma ciò non migliora l’efficacia della comunicazione. Tutto ciò che possiamo fare è usare parole diverse, fare esempi, ricorrere a
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metafore, usare gestualità e tono di voce diversi o aspettare un momento migliore, per esempio.
Fate domande, invece di
“spingere” o “tirare”
Ricordiamoci che ogni qual volta insistiamo e facciamo “pressione” sull’altro non facciamo altro che aumentare la resistenza dell’interlocutore.
PROCESSO COMUNICATIVO
Emi$ente(
codifica!
(chi)(
Feedback(
percepito!
Contenuto(
(cosa(ho(
capito)(
messaggio!
(che(cosa)(
Des3natario(
decodifica!
(a(chi)(
Paul Watzlawick!
Quando comunichiamo è inutile cercare di voler far
capire a tutti i costi, di voler convincere, anzi. Più noi facciamo pressione sull’altro, più questo opporrà resistenza;
più noi cerchiamo di tirarlo dalla nostra parte, più il nostro interlocutore tirerà dalla sua. Insomma il tiro alla fune non serve a nulla. Molto più efficace fare domande, domande di qualità come insegna il coaching e la PNL, esattamente quelle su cui lavoriamo nei corsi che ho il piacere di tenere sull’argomento.
Solo con le domande riusciamo a far vedere da prospettive nuove la situazione e questo è la base per poter
vedere nuove soluzioni e poi percorrerle.
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CAPITOLO 3
Le mappe individuali della realtà:
convinzioni e credenze
Programmazione Neuro
Linguistica
La mappa non è il territorio
Partiamo da un assunto, punto di partenza della PNL (Programmazione Neuro Linguistica) - la disciplina create negli anni ’70 negli Stati Uniti da Richard Bandler e John
Grinder - che studia la struttura dell’esperienza umana, vale a dire come ricostruiamo la realtà. Questo assunto è che
la mappa non è il territorio, vale a dire che ciascuno di noi
attraverso una serie di meccanismi e di filtri ricostruisce
momento dopo momento la realtà, che sarà così la propria realtà soggettiva; sarebbe meglio dire la propria esperienza della realtà. Altra cosa, invece, è il territorio comune su cui tutti ci muoviamo e che interpretiamo. Un po’
come i navigatori satellitari: tutti ricostruiscono il territorio, ma ciascuno lo fa con proprie caratteristiche e l’esito
può essere anche molto diverso dall’uno all’altro.
Poiché ciascuno la ricostruisce in modo diverso ecco
che non esiste una realtà comune a tutti, ma tante realtà e
ciascuno è convinto che la propria sia quella “giusta” e
quella dell’altro sia sbagliata e imperfetta.
Perchè è difficile comunicare
Partendo da questa considerazione si capisce perché è
così difficile comunicare in modo efficace, perché è così difficile capirsi davvero, Perché ciascuno ha un proprio mondo di esperienze da comunicare, che sono diverse dall’altro, per cui il rischio anche nella comunicazione è che cia14
scuno interpreti e ricostruisca il messaggio altrui, il significato del messaggio altrui, secondo la propria esperienza
che potrebbe facilmente portare a significati discordanti
del messaggio.
È così che un messaggio emesso con un contenuto, o
meglio con un significato attribuitogli dal mittente, giunga al destinatario e venga percepito e interpretato con un
significato diverso rispetto alle intenzioni del mittente. Il
punto è che se mittente e destinatario non si prendono cura di verificare la rispondenze di significato, entrambi saranno convinti di essersi capiti, quando invece così non è.
Pensate a quanto ciò sia importante con un cliente, oppure quando si delegano delle attività ad un collaboratore si
studio, oppure ancora nella comunicazione dell’avvocato
col giudice.
Convinzioni e presupposti
Nel tempo dunque ci siamo formati la nostra visione
del mondo, le nostre interpretazioni su fatti, relazioni e
così via. Utilissime, si intende, altrimenti non potremmo
vivere, ma anche “pericolose” perché sono filtri inconsci
che determinano la nostra percezione e quindi le nostre
azioni, spesso inconsapevoli.
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Abbiamo visto come linguaggio sia quel meccanismo
di codifica di cui ci serviamo per rappresentare la nostra
esperienza.
Filtri mentali
Pensiamo per rappresentazioni mentali (immagini) e
poi comunichiamo con noi stessi e con gli altri attraverso
rappresentazioni linguistiche con cui vogliamo trasferire
agli altri la nostra rappresentazione mentale.
È così che ragioniamo, pensiamo, fantastichiamo, ricordiamo.
Esistono tre meccanismi che permettono di creare e
poi difendere la mappa della realtà che ci si è creati:
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Generalizzazioni
1. GENERALIZZAZIONI
Si prende un’esperienza e la si rende una regola: es. le
porte si aprono da sx verso dx. Si creano così delle categorie. Le generalizzazioni sono utili, ma possono anche rappresentare dei limiti alle nostre esperienze future. Le generalizzazioni sono sì comode, ma rendono rigido il ragionamento, perché lo incanalano in categorie predefinite.
Dopo aver avuto in studio praticanti donne mi convinco che tutte le donne sono più precise degli uomini e che
gli uomini sono superficiali. Poiché ho conosciuto molti
giudici pieni di sé mi convinco che tutti i giudici sono pieni di sé e mi comporto di conseguenza.
Esempi di frasi che indicano generalizzazioni:
È come quello….
È sempre così….
Sono tutti così….
Va sempre allo stesso modo….
Deformazioni
2.
DEFORMAZIONI
1 - Nominalizzazioni = quando un processo viene trasformato in un nome, es. la libertà
2 - Lettura del pensiero = quando si pensa di conoscere il pensiero altrui
3 - Causa effetto = è ciò che determina le credenze,
es. “tu mi fai star male”, quindi sei la causa del mio star
male; “cosa fai per farmi star male?”
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4 - Equivalenza complessa = “se non ti fermi in studio
fino a tardi vuol dire che non hai a cuore il tuo lavoro”,
quindi X=Y
5 - Presupposizioni = frasi che danno per scontato
qualcosa, es. “firma ora o firma dopo?”.
Nominalizzazioni
Un esempio di nominalizzazione è l’espressione “mani pulite” con ci si riferisce ad un periodo della storia giudiziaria italiana: bastano due parole per rievocare una serie di fatti e considerazioni.
Questo meccanismo viene utilizzato dalla Polizia per
identificare le operazioni giudiziarie, piuttosto che per le
operazioni militari, basti pensare alla Guerra del Golfo.
Cancellazioni
3.
CANCELLAZIONI
È il meccanismo che permette di percepire solo alcuni
stimoli e non altri, il che è utile, perché non saremmo in
grado di elaborare le centinaia di informazioni che ogni
secondo colpiscono i nostri sensi, salvo che può impoverire la nostra esperienza in alcuni casi: per esempio, posso
percepire solo le idee che mi confermano e non quelle
che mi destabilizzano, per esempio in campo politico). In
sostanza con le cancellazioni posso tralasciare informazioni importanti.
Comparativi e superlativi: quando uso espressioni tipo
“è il modo migliore…” potrei chiedere “migliore rispetto
a cosa?”. Stessa cosa per chi usa espressioni “meglio”,
“peggio” potrei chiedere “meglio o peggio rispetto a cosa?”.
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CAPITOLO 4
L’arte di fare domande
L’arte di fare domande
Domande aperte
Ci sono situazioni in cui dobbiamo raccogliere informazioni, arricchire di dati la situazione, far parlare di sé per
mettere a proprio agio, in tali casi è necessario ricorrere
alle domande aperte. Ci sono situazioni in cui dobbiamo
avere risposte, impegni, azione: bisogna ricorrere alle domande chiuse.
1.
DOMANDE APERTE
Sono quelle che non includono risposte:
Dove? Cosa - quale? Chi? Quando? Perché? Con chi?
Come?
Domande chiuse
2.
DOMANDE CHIUSE (O DIRETTE)
Sono quelle che comportano un impegno, una decisione, un’azione. Quelle che comportano una risposta (sì/
no).
Domande semistrutturate
3.
DOMANDE SEMISTRUTTURATE
Si offrono all’interlocutore le alternative di cui parlare
(tipico nell’interrogatorio di un testimone, per esempio).
Domande con diverse
altertive
4.
DOMANDE AD ALTERNATIVE MULTIPLE
Si da la possibilità di scegliere tra più alternative selezionate a priori.
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CAPITOLO 5
Il ruolo delle emozioni nella
comunicazione
Le emozioni sono un formidabile veicolo di informazione
per noi stessi e per gli altri delle nostre intenzioni e della nostra
prontezza a fare qualcosa. Qui gioca un ruolo fondamentale la
comunicazione corporea, la comunicazione non verbale: la postura, le espressioni del viso, il respiro, la fisiologia esprimono
uno nostro stato d’animo e ciò che stiamo provando.
Schemi appresi
Per poter gestire i propri stati emotivi innanzitutto è indispensabile prenderne coscienza, imparare ad ascoltare le proprie emozioni senza reprimerle, reagire, fuggire. Ciascuno di
noi ha imparato a gestire le proprie emozioni primariamente
interiorizzando le competenze delle figure di attaccamento. I
genitori sono stati il nostro modello.
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CAPITOLO 6
Mediazione: le regole del conflitto
carico di emotività
Dal Blog 20.03.2012
Buon compleanno mediazione!
Un po’ di dati...
Già, oggi la mediazione civile e commerciale spegne la
prima candelina. Partita il 21 marzo 2011 secondo la start
up prevista dal D.Lgs. 28/2010, oggi l’istituto che avrebbe
dovuto dare una svolta al carico giudiziario pendente taglia il primo traguardo dei dodici mesi di vita. Circa
100mila i tentativi di conciliazione e solo un quinto ha visto la lieta conclusione, per gli altri si sono aperte le porte
del Tribunale. Oltre 800 gli organismi di conciliazione accreditati presso il Ministero e oltre 1500 sedi nelle regioni
italiane, con la Campania in testa con 230 sedi, seguita dal
Lazio con 214 e dalla Lombardia con 153.
Con oggi, inoltre, all’elenco delle liti per le quali si deve
esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione si aggiungono quelle in materia di RC auto e le liti condominiali.
Insomma vedremo sempre più cittadini affrontare il tavolo
negoziale per trovare un accordo bonario alla questione
che li vede protagonisti. Quindi le previsioni per il futuro
ci faranno vedere meno imprenditori e più cittadini al tavolo delle trattative.
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Imprenditori e cittadini in
mediazione
Alcune regole per la
gestione del conflitto
Ma c’è differenza in una mediazione a seconda che
siano i primi o i secondi a varcare la soglia della trattativa? Sì, qualche differenza c’è. Non tanto nelle tecniche o
nei principi seguiti dal mediatore che, come terzo imparziale, dirige la mediazione nel tentativo di raggiungere un
accordo soddisfacente per entrambi. Quanto nella gestione degli aspetti emotivi. Già, perché se l’imprenditore è
di solito più freddo e pragmatico nella gestione e nella soluzione della propria vicenda, il cittadino è invece emotivamente più coinvolto. Per il primo, in generale, sono questioni principalmente di soldi e più tempo perdiamo al tavolo negoziale, meno tempo da dedicare alla propria attività abbiamo (altra perdita economica). Per il secondo, invece – posta anche la diversa natura delle liti (divisioni
ereditarie, locazioni, patti di famiglia, danno da responsabilità medica, diritti reali) - accanto ai risvolti economici
della lite si agitano anche risvolti “personali”, affetti, ricordi, principi, senso di rivalsa. Ciò rende ancora più difficile la gestione della lite da parte del mediatore.
A questo punto il nostro mediatore dovrà sciorinare
accanto alle tecniche apprese nei corsi e all’esperienza
maturata sul campo, capacità nuove relative alla gestione
degli stati emotivi propri e delle parti coinvolte.
Come? Vediamo alcuni principi-base nella gestione di
situazioni di questo tipo.
Mai colpire l’identità
dell’altro
Innanzitutto la prima buona regola è di portare il livello della discussione tra le parti dal piano “tu-io” (identità)
al piano la “questione che ci riguarda”, “gli interessi in
gioco”, “quel tuo comportamento” (oggetto/comportamento). In altre parole, le parti si presenteranno cariche
di astio, stress e rivendicazioni e tenderanno ad attaccare
l’altro come persona, nella sua identità. La prima cosa
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che il mediatore può fare per impostare correttamente il
tavolo negoziale è condurre il confronto non tra le persone ma sull’oggetto della lite, sui comportamenti, sugli interessi in gioco.
Lavorare sugli interessi e
non sulle posizioni
Il caso dell’arancia
Lasciare sempre una via di
fuga
Già sugli interessi in gioco! E qui troviamo la seconda
regola d’oro. Perché spessissimo le parti si presentano in
mediazione che hanno già assunto una “posizione”, sì
una posizione di principio. Non si discute più, quindi, di
interessi, ma di prese di posizione, di posizioni di principio, trascurando e a volte addirittura tralasciando i veri
interessi per cui siamo qui.
E’ noto l’aneddoto “Il caso dell’Arancia” utilizzato nel
Program on Negotiation della Harvard Law School che
vede due sorelle litigare per un’arancia, ciascuna convinta – ovviamente – di averne più diritto dell’altra, finché
qualcuno non chiede alle stesse il perché (non eziologico,
non la causa, bensì finalistico = a quale scopo…) litigate
per l’arancia. E’ così che finalmente vengono chiariti gli
interessi sottostanti alla appropria presa di posizione: la
prima volve spremere l’arancia, la seconda vuole usare la
buccia per una torta. Bene, la soluzione non sarà dividere
l’arancia per un principio di equità distributiva, bensì di
dare a ciascuno la parte che soddisfa il proprio interesse.
Infine, la terza regola importante è ricordare di lasciare sempre una “via di fuga” a ciascuna delle parti in lite.
Detto in altri termini, ciascuno deve sempre avere un’uscita di sicurezza per lasciare il campo con dignità e per poter cambiare idea senza sentirsi umiliato, ferito o distrutto
dall’altro. Perché? Perché per un principio di coerenza,
dopo aver preso una posizione, dopo aver detto una cosa
e averla sostenuta fortemente, anche se ci dovessimo accorgere di avere torto o cambiassimo idea, ci faremmo ta23
Lavorare sulla time line
Puntare alla massima
soddisfazione reciproca,
non di uno solo
Le 3 regole da osservare
gliare a fettine piuttosto che ammetterlo e tornare sui nostri passi. Quindi un ottimo strumento è lavorare sulla
“time line”, sulla linea del tempo. In pratica creare un
nuovo frame temporale (una nuova cornice temporale)
serve perché la logica è che finora pensavi così perché avevi queste informazioni, ora che ne hai di nuove puoi vedere le cose diversamente e…
Al contrario, non è una buona strategia, soprattutto in
mediazione, ma anche nella ADR e in generale in qualunque negoziazione anche di business puro dove l’obiettivo
è portarsi a casa il massimo risultato possibile, usare la
strategia del pugile che cerca di mettere all’angolo l’avversario e colpirlo al fegato tante volte finchè non cade sfinito. Anche in questi casi bisognerebbe sempre puntare ad
un accordo accettabile per entrambi, altrimenti se abbiamo un vincitore totale e un perdente totale, l’effetto boomerang è sempre dietro l’angolo; l’altro, alla prima occasione ci restituirà il favore con gli interessi. E la lite continua.
Sintetizziamo quindi i tre punti fondamentali nella gestione del conflitto carico di emotività:
1. spostare il confronto dal piano personale (identità)
al piano dei comportamenti e del fatto;
2. far emergere i veri interessi sottostanti le prese di posizione delle parti;
3. lasciare sempre una “via di fuga” alle parti per poter cambiare idea e abbandonare la lite con dignità.
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CAPITOLO 7
L’ascolto attivo in mediazione
Altre tecniche per instaurare sintonia è l’ascolto attivo.
Ma cosa si intende per ascolto attivo?
Cosa si intende per
“ascolto attivo”?
Cosa fare per attivarlo
L’ascolto attivo non si ha semplicemente quando si
ascolta con attenzione l’interlocutore, bensì quando si mostra interesse a ciò che l’interlocutore sta comunicando attraverso domande, una postura rivolta verso chi parla, il
contatto visivo e più in generale con i feedback. Spesso è
utile riformulare parte del discorso oppure ripetere alcuni
concetti o parole chiave per far capire che si è compreso il
messaggio.
Per attuare l’ascolto attivo è necessario:
1.
ascoltare il contenuto
2.
cogliere le finalità, il perché l’interlocutore sta dicendo certe cose
3.
prestare attenzione alla comunicazione non verbale dell’interlocutore
4.
prestare attenzione alla propria comunicazione
non verbale
5.
ascoltare senza giudicare cercando di capire lo
stato d’animo, l’esperienza dell’interlocutore (mantenendo
la consapevolezza di chi è il problema)
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Ben diversa è la situazione dell’ascolto passivo dove
non si presta più di tanto attenzione a quanto l’interlocutore sta dicendo.
Esiste poi l’ascolto riflessivo dove l’obiettivo di chi
ascolta è di reinviare il messaggio al mittente in modo che
possa riflettere sul suo contenuto. Il destinatario in sostanza fa da cassa di risonanza del messaggio.
Ascolto selettivo
Con ascolto selettivo, invece, ci si riferisce alle ipotesi
(le più frequenti) in cui l’interlocutore ascolta solo quello
che vuole ascoltare del discorso, selezionando i contenuti
ed effettuando cancellazioni.
Esercizio: provate ad acquisire consapevolezza di come vi ponete nei confronti dei vostri colleghi e collaboratori, per esempio. L’esercizio consiste nell’essere assolutamente presenti a se stessi, quindi percepirsi e vedersi come se si fosse “terzi” osservatori nell’atto di ascoltare gli
altri. Fate attenzione alla vostra postura, alla vostra espressione del viso, a come e dove guardate, ai vostri pensieri.
Per esempio, tipico dell’avvocato (ecco una generalizzazione) è giungere velocemente alle conclusioni mentre il
cliente sta ancora parlando: “ho già capito com’è la situazione”; “questo caso è come quello che ho risolto l’anno
scorso”; “qui ne usciamo male”; “questo è completamente matto”.
Non dimentichiamoci che il cliente, qualunque cliente
(altra generalizzazione) vuole innanzitutto sentirsi ascoltato, considerato e vuole un rapporto personalizzato. Non
sarà un caso che soprattutto in alcune materie, tipo il diritto di famiglia, ma anche il diritto del lavoro o la mate-
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ria ereditaria, il cliente tende spesso a scambiare l’avvocato per una figura con cui sfogarsi.
OSTACOLI ALL’ASCOLTO
Situazioni di ostacolo
all’ascolto
Possono essere di ostacolo all’ascolto attivo:
1.
le aspettative dell’interlocutore
2.
le relazioni tra le persone che comunicano (opinioni, screzi, pregiudizi)
3.
lo stato emotivo di chi ascolta
4.
ostacoli fisici o ambientali
Sono state elaborate alcune regole per l’ascolto attivo:
1.
non avere fretta di arrivare alle conclusioni
2.
ciò che percepisco è il mio punto di vista
3.
se voglio capire l’altro devo partire dal fatto che
ha ragione e chiedergli di aiutarmi a capire
4.
le emozioni non vanno evitate ma servono a
comprendere il senso del messaggio
5.
un buon ascoltatore è aperto a nuove possibilità
6.
i dissensi e i conflitti non sono un problema ma
sono ben accetti perché offrono nuove opportunità
7.
l’umorismo rende tutto più facile.
27
CAPITOLO 8
L’arte del negoziato
Dal Blog 3.11.2011
Negoziare il conflitto
Oggi parliamo di negoziato. Da quando è stata introdotta in Italia la Mediazione civile e commerciale la negoziazione è diventata uno dei principali strumenti di risoluzione dei conflitti. Accanto alla negoziazione di tipo commerciale, dove ci si siede al tavolo delle trattative per concludere un affare, esistono altri contesti in cui l’attività negoziale svolge un ruolo centrale. Basti pensare alla negoziazione dove prendono parte non solo le parti negoziali, coloro dei cui interessi si discute, ma anche un terzo soggetto, equidistante e imparziale, il mediatore.
Questo è quanto accade nella mediazione civile e commerciale resa obbligatoria oggi nel nostro ordinamento nelle materie elencate dalla legge (quindi nel caso di conflitto
tra le parti sarà necessario prima tentare la via della conciliazione e solo in caso di esito negativo procedere per via
giudiziale), sia nella mediazione familiare (non obbligatoria per legge) in cui la coppia (coniugi o conviventi) si rivolge ad un mediatore per definire insieme modalità e condizioni della separazione che, appunto, andranno concordate e quindi negoziate. Esistono poi altri tipi di negoziati, come quelli internazionali, sul clima, sugli armamenti, sull’energia. Famoso l’accordo di Camp David nei negoziati
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di pace nella crisi Israelo-Palestinese nel 2000 dove il Presidente americano Bill Clinton svolse il ruolo di mediatore tra il Primo Ministro israeliano Barak e il Presidente
dell’ANP Arafat.
Le regole di una
negoziazione efficace
Secondo la Scuola di matrice americana, per citare
una delle più illustri teorie sulla negoziazione oggettiva
(Raiffa), sono quattro le condizioni per poter condurre
una negoziazione efficace:
¥scindere le persone dai problemi;
• scindere gli interessi (ciò che conta) dalle posizioni
(posizioni di principio);
• sviluppare alternative vantaggiose per entrambi;
• fissare criteri oggettivi di misurazione dei risultati del
negoziato.
Vediamo in breve i singoli punti:
Scindere le persone dai
problemi
• Scindere le persone dai problemi
Nella trattativa non devono essere confuse le persone
(portatrici di interessi e posizioni) con le questioni su cui
si discute. E’ utile, in sostanza, considerare che ciascuna
parte è innanzitutto un essere umano con una propria visione (mappa) delle cose e dei propri interessi; ciascuno
inoltre è convinto di essere dalla parte della ragione ed è
in buona fede; sforzarsi quindi di “mettersi nei panni dell’altro” (calibrare ed entrare in rapport) per vedere dal
suo punto di vista la situazione aiuterà molto. Importante
parlare delle idee, dei comportamenti, di ciascuno e non
attaccare la persona: quindi non “tu sei così…”, ma “non
mi piace quel tuo comportamento…”. Fondamentale inoltre è impostare il dialogo nella trattativa parlando di se
stessi e non della controparte, che si vedrà altrimenti attri29
buire intenzioni, comportamenti e idee in cui non si riconosce e che aumenteranno i toni del conflitto. Verificate
sempre di essere stati capiti, cioè che il vostro messaggio
sia giunto all’interlocutore con il significato che volevate
attribuirgli. Come? Chiedendogli di sintetizzare quanto
avete detto e a vostra volta verificate di aver capito realmente il messaggio altrui riassumendo i punti chiave.
Scindere interessi e
posizioni
Sviluppare soluzioni
alternative
• Scindere gli interessi dalle posizioni
Utile per condurre negoziati efficaci è imparare a guardare oltre il proprio punto di vista. Il primo passo è sforzarsi di capire qual è il reale interesse della controparte,
cioè la motivazione che la spinge ad agire in quel modo,
a formulare quelle richieste. Spesso è la controparte stessa a non conoscere le reali motivazioni alla base della propria richiesta. Infine, fondamentale focalizzarsi sul futuro
e non impantanarsi sul passato: bisogna saper guardare
avanti e non indietro. Un compromesso sarà più facilmente raggiungibile se pensiamo ai futuri vantaggi che ne potranno derivare, piuttosto che se pensiamo alla cause e
colpe del perchè si è arrivati fin qui.
• Sviluppare soluzioni alternative
“Due sorelle litigarono lungamente per un’arancia.
Quando, alla fine, decisero di dividere a metà il frutto, la
prima mangiò la polpa e gettò via la buccia; l’altra, invece, gettò l’interno ed utilizzò la buccia per preparare una
torta”.
In un conflitto tutti ritengono di conoscere già la risposta giusta e vogliono che la loro visione delle cose abbia il
sopravvento. E’ importante invece sviluppare la capacità
di aprirsi a nuove soluzioni, di generare strade nuove invece di muoversi nella gabbia di quelle sole già conosciute.
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Un errore comune nei conflitti, che rende difficile la soluzione pacifica, è il credere che la “torta” da spartire sia
limitata, per cui se cedo sto perdendo.
Fissare criteri oggettivi di
misurazione dei risultati
• Criteri oggettivi di misurazione
Una trattativa condotta secondo criteri oggettivi di cui
sopra può portare a soluzioni soddisfacenti per entrambi
i contendenti, presupposto indispensabile perché l’accordo risulti duraturo. Il supporto di un estraneo al conflitto,
terzo e imparziale (mediatore), sicuramente può facilitare
questo tipo di negoziato.
Chiave di volta nella gestione
FARE%DOMANDE%
Per$avere$info$dall’altro$
Per$dargli$modo$di$cambiare$prospe5va$
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CAPITOLO 9
Errori tipici in negoziazione
Vediamo alcuni comportamenti che tipicamente accompagnano la negoziazione, in particolare nelle situazioni in
cui si negoziano i conflitti, e rappresentano errori che sarebbe meglio evitare se si vuole raggiungere più velocemente il risultato:
Monologhi
• Auto-dialoghi: i monologhi, oppure il procedere con i
paraocchi non aiuta il dialogo né la ricerca di una punto
di incontro.
Svalutazione dell’altro
• Svalutazioni dell’altro: innescano reazioni e colpiscono il livello identità dell’altro.
Giudizi
Pressioni
Eccessive proposte e
argomentazioni
• Giudizi sull’altro: colpiscono l’identità, quindi, non
vanno bene.
• Innescare attacco/difesa (azione/reazione). Mai tiro
alla fune, come abbiamo visto, né pressioni; molto meglio le domande per far ragionare e muovere l’altro dalla
propria prospettiva.
• Nuove proposte non necessarie: mettere continuamente avanti nuove proposte può rendere più difficile, invece
che semplificare, la ricerca dell’accordo.
32
C A P I T O L O 10
3 regole fondamentali
della negoziazione
Dal Blog 19.05.2013
Canali e aspetti della
comunicazione al tavolo
negoziale
La location del negoziato
Al tavolo negoziale ben il 93% della comunicazione
passa attraverso i canali del paraverbale e del non verbale.
Detto in altro modo, ciò che conta di più quando negoziamo, così come quando comunichiamo tra presenti, è il come diciamo le cose (ritmo, frequenza, volume, tono, silenzi, pause) e il linguaggio del corpo, quindi le espressioni
del viso, lo sguardo, la postura, la gestualità, la vestemica
(la comunicazione che passa attraverso il modo di vestire e
gli ornamenti), l’aptica (il tocco tra le persone, a cominciare dalla stretta di mano), la prossemica (la gestione dello
spazio e delle distanze), la cronemica (la gestione del ritmo
e della sinergia).
I grandi negoziatori solitamente sanno bene il valore
che assume il setting (il luogo in cui la negoziazione si svolge) e l’importanza di saper ascoltare molto e parlare poco
e bene. I silenzi, le pause, l’ascolto attivo, la capacità di fare domande di qualità rappresentano le doti di un negoziatore esperto che sa gestire con padronanza le fasi e i momenti della negoziazione.
Per ciò che riguarda il linguaggio del corpo in negoziazione sono molte le pubblicazioni e i corsi che ne affrontano in modo più o meno approfondito i segreti e le tecni33
Linguaggio del corpo: va
interpretato nel contesto
che. Ciò che vogliamo qui sottolineare è che per poter interpretare in modo corretto il linguaggio del corpo dei nostri interlocutori al tavolo negoziale è importante ricordarsi che ciascun comportamento va letto in un contesto più
ampio e coordinato con altri segnali che ne confermino il
valore. Essere “estremisti” e interpretare gesti e comportamenti in modo meccanico, da manuale, potrebbe essere
fuorviante.
Ricordiamo pertanto queste tre semplici regole che gli
esperti di linguaggio del corpo sottolineano per evitare
cantonate:
Le regole per interpretare
correttamente il
linguaggio del corpo
1) gesti, postura del corpo e ogni altro comportamento
va interpretato a seconda del contesto in cui sono inseriti;
non vanno, pertanto, interpretati isolatamente, ma contestualizzati. Così, per fare un esempio, il fatto che il mio
interlocutore al tavolo negoziale abbia le braccia incrociate non vorrà dire necessariamente che è “chiuso” e refrattario all’ascolto; infatti, potrebbe semplicemente avere
freddo e in tal modo, incrociando le braccia, cercare di
scaldarsi.
2) I diversi comportamenti attraverso cui si esplica il
linguaggio del corpo devono essere interpretati nel loro
insieme, quindi collegandoli l’uno all’altro e, ancora una
volta, non isolatamente. Così, tornando all’esempio delle
braccia incrociate, da sole non necessariamente vogliono
indicare chiusura; certo è che se ad esse si accompagnano
anche le gambe incrociate, la schiena appoggiata allo
schienale della sedia e magari il mento verso l’alto, ecco
che insieme questi elementi fanno decisamente propendere per un atteggiamento critico e di chiusura.
34
3) Infine, i vari comportamenti devono essere coerenti
tra di loro e coerenti con le parole (verbale) per avere un
significato univoco.
Quanto conta nella
negoziazione il linguaggio
del corpo
Spesso i liberi professionisti, gli avvocati in particolare,
che si trovano per definizione a condurre negoziazioni
con i clienti e con la controparte, oltre che con i giudici,
dedicano la maggior parte del loro tempo a prepararsi e
focalizzarsi sulle parole, sul verbale, affrontando ad istinto (quindi senza una preparazione adeguata) il paraverbale e il non verbale. Decisamente più il contenuto è tecnico e maggiore sarà il peso delle parole, questo è vero; inoltre, laddove la documentazione scritta abbia particolarmente peso e spazio nella negoziazione maggiore sarà il
peso delle parole e del linguaggio. Detto ciò, tuttavia, molta attenzione dovrebbe essere dedicata nelle negoziazioni
al come ci si pone, al come ci si presenta, al come si parla, oltre che alla costruzione del discorso e all’uso delle parole.
SISTEMI COMUNICATIVI NON VERBALI
PARAVERBALE! CINESTESICO!
APTICO!
CRONEMICO!
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PROSSEMICO!
VESTEMICO!
Corso di formazione
Negoziazione efficace per
professionisti, problem solving e
gestione dei conflitti
Negoziare per business, negoziare per gestire i conflitti
Esistono due tipi di negoziazione: la prima è la negoziazione per la risoluzione dei conflitti, dove l’obiettivo è condurre in porto la trattativa in modo soddisfacente per tutte le parti interessate,
siate voi parte della trattativa o terzi mediatori; la seconda è la negoziazione strategica di business,
dove l’obiettivo è ottenere il massimo dal tavolo negoziale. Sono due situazioni diverse che richiedono approcci differenti, diversi stati d’animo e strategie adeguate. Abili negoziatori si diventa, al
di là di inclinazioni personali che spesso vengono scambiate per abilità di vendita. Negoziare e
vendere, infatti sono due cose diverse. In questo corso impareremo come diventare abili negoziatori: la preparazione, le fasi e la gestione del tavolo negoziale nelle diverse situazioni, sia per gestire i
conflitti che per fare business. Esistono poi i problemi: tutte quelle situazioni quotidiane, in Studio
e fuori, in cui siamo chiamati a trovare una soluzione efficace. Il problem solving rappresenta allo
stesso tempo metodo e mentalità: un nuovo approccio strategico per trovare soluzioni creative e
mirate alle situazioni, invece che affrontarle “a braccio”, ad istinto, come spesso ci capita di
fare. Scopriremo che quelli che hanno sempre rappresentato per noi problemi possono essere le
nostre migliori opportunità di crescita e di miglioramento, di acquisizione di nuove abilità e competenze.
Corso intensivo di una giornata - Durata: 8 hr
Trainer: Mario Alberto Catarozzo
Programma
Negoziazione: tipi, fasi e tecniche
•
Tipi di negoziazione e stili negoziali
•
Principi di negoziazione secondo la scuola americana
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•
La trattativa oggettiva
•
Principi, posizioni e interessi
•
I presupposti della negoziazione
•
Le fasi della negoziazione: preparare, condurre, concludere
La comunicazione nella negoziazione
•
Tecniche di comunicazione nella negoziazione
•
La comunicazione verbale: la linguistica
•
La comunicazione paraverbale: tono, volume, ritmo, frequenza
•
La comunicazione non verbale: il linguaggio del corpo, espressioni del viso, vestemica
Negoziazione, emozioni e carisma
•
Emozioni e negoziazione
•
Cosa non fare al tavolo delle trattative
•
Negoziazione e carisma
•
Negoziare con i clienti
•
I principi dell’aikido nella negoziazione
Problem solving
•
Problem finding: esiste il problema?
•
Dare un contorno ai problemi: problem setting
•
Scomporre il problema in micro-ploblemi
•
Sviluppare alternative e strategie
•
Decidere: problem making
•
Agire: decision taking
La gestione dei conflitti
•
Gestire le emozioni in Studio
•
Saper negoziare le soluzioni con collaboratori e clienti
•
Conflitti e confronti in Studio e con i clienti
•
Imparare a mediare tra contendenti
Per saperne di più clicca qui
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Corsi di formazione intensivi di
una giornata per liberi
professionisti e studi professionali
tenuti da Mario Alberto Catarozzo
Per vedere l’offerta formativa completa e il calendario dei corsi di formazione intensivi (1 giornata) specificamente pensati per liberi professionisti
e studi professionali in tema di soft skills e strumenti di managerialità
visita il sito:
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Per informazioni e contatti scrivi a:
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