il nuovo in musica - Jean Vion-Dury

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il nuovo in musica - Jean Vion-Dury
Il nuovo in musica. estetiche tecnologie linguaggi
il nuovo in musica
estetiche tecnologie linguaggi
a cura di Rossana Dalmonte e Francesco Spampinato
€ 30,00
LIM
Libreria Musicale Italiana
Il volume è pubblicato con il contributo ministeriale Progetto di Rilevanza
Nazionale PRIN 2005-2007 e con la collaborazione del Dipartimento di
Filosofia, Storia e Beni Culturali dell’Università di Trento
Immagine di copertina di Francesco Spampinato.
Grafica, layout e copertina di Ugo Giani
Elaborato e preparato per la stampa con OpenOffice.org
© 2008 Libreria Musicale Italiana
Lim srl, via di Arsina 296/f, I-55100 Lucca
[email protected] www.lim.it
ISBN 978-88-7096-551-3
IL NUOVO IN MUSICA
ESTETICHE TECNOLOGIE LINGUAGGI
Atti del convegno
(Trento, 18-20 gennaio 2008)
a cura di
Rossana Dalmonte
Francesco Spampinato
Libreria Musicale Italiana
SOMMARIO
IX
Premessa
PRIMA PARTE
RIFLESSIONI TEORICHE SUL NUOVO
3
Alessandro Arbo
Il nuovo nel discorso sulla musica nel Novecento
19
Daniele Barbieri
Il nuovo e il differente: un apologo storicista
25
Mario Baroni
Esiste oggi un “nuovo modo” di fare musicologia?
37
Christine Esclapez
Boris de Schloezer (1881-1960), André Souris (1899-1970) e André
Boucourechliev (1925-1997). Un’altra musicologia?
47
Luca Marconi
Il nuovo e i valori in musica e in musicologia
57
Jean Molino
Musique, technique, innovation
85
Giordano Montecchi
Appunti sull’ideologia del Nuovo in musica
95
Francesco Spampinato
Nuovi percorsi fra le memorie del corpo: sugli stilemi gestuali di Debussy
105 Bernard Vecchione
Dolce Stil Novo, Ars Nova, Nova Music. L’idée de «raison musicale trope»
dans le motet de circonstance du Moyen Age tardif
VI
SECONDA PARTE
INTERSEZIONI FRA MUSICOLOGIA E ALTRE SCIENZE
125 Mitsuko Aramaki – Jean Vion-Dury – Daniele Schön –
Céline Marie – Mireille Besson
Une approche interdisciplinaire de la sémiotique des sons
137 Antonio Camurri
Analisi di emozioni e della espressività nella musica e nella danza
153 Giovanni De Poli – Luca Mion
Espressività ed azione nell’esecuzione musicale
161 Goffredo Haus
Un esempio di “nuova” tecnologia musicale
173 Marco Russo
Problemi di organologia contemporanea: gli strumenti virtuali
187 Jean Vion-Dury
Le cerveau est-il musical? Notes sur les plasticités cérébrale et musicale
TERZA PARTE
ASPETTI DI NUOVA MUSICOLOGIA
199 Anna Rita Addessi
Sinergie: cognizione, tecnologia, apprendimento. Esperimenti con i bambini
e il Continuator
213 Roberto Agostini
Shakira dembow. Fare dischi pop, di successo
223 Rossana Dalmonte
Analisi melodica e tecnologia. Un esempio da «Tosca» di Puccini
237 Mariacarla De Giorgi
Gentilucci-Rilke: Il tempo sullo sfondo. Illuminazioni rilkiane sul concetto
estetico-compositivo di «nuova musica» in Armando Gentilucci
VII
247 Elsa De Luca – Valentina Marangi
Rhytmic And Proportional Hidden or Actual Elements in Plainchant.
Computerized census and integral restoration of a neglected musical
repertoire [RAPHAEL project]
253 Mariateresa Dellaborra – Piero Gargiulo
Estratti dal progetto ITMI (1300-1799). Il “nuovo” tra Medioevo e
Settecento
261 Flavia Gervasi
I repertori vocali di tradizione orale nelle recenti espressioni del folk-revival
salentino. Nuove ipotesi di metodo a partire dalle problematiche di
trascrizione del “livello immanente”
267 Marco Gozzi
Codici musicali trentini on line
275 Claude-Chantal Hess
John Zorn. Esquisse d’un compositeur postmoderne
281 Elisabetta Piras – Gianni Zanarini
Aspetti del “suono sferico” nelle improvvisazioni di Giacinto Scelsi
289 Nathalie Ruget
Écoute Nouvelle, Luigi Nono: les influences réciproques en temps réel
du mot et du son
297 Mariateresa Storino – Roberto Caterina
Interpretazione musicale e gestualità
305 Julia Suero
Joëlle Léandre et l’improvisé au regard de la conception du langage: une
nouvelle perspective
311 Cécile Vendramini – Nolwen Caudal – Laurent Séjourné
Captations gestuelles et sonores en milieu scolaire: approche didactique
PREMESSA
Nel volume che qui si presenta due “storie” s’incontrano e si sviluppano con
apporti vicendevoli: quella del Progetto di Rilevanza Nazionale PRIN 2005-2007
delle Università di Trento, Bologna e Milano dal titolo Nuove Musiche e Nuove
Tecnologie e quella del Symposium sur les Sciences du Langage Musical (SLM)
dell’IDEAT (Institut d’Esthétique, d’Arts et Technologie, CNRS/Sorbonne),
giunto alla sua quarta edizione.
Da parte italiana l’approdo all’appuntamento del Convegno (già previsto nel
progetto iniziale) giungeva dopo due anni di attenzione critica su un problema
dibattuto internazionalmente negli ultimi decenni, anche se non tenuto in primo
piano negli ambienti musicologici italiani: la dialettica arte-nuove tecnologie e le
loro possibilità di interazione e scontro. Nel focus della ricerca erano state poste
le “macchine” capaci di produrre musica originale e riprodurre musica già fatta,
di creare pastiches di qualsiasi stile, di inventare suoni inediti e “rubare” suoni già
prodotti e perfino di insegnare ai bambini a comporre. Si era toccata con mano la
capacità delle nuove tecnologie di raggiungere maggiore precisione in alcune
operazioni musicologiche; si era registrata da più parti la tendenza della tecnologia a distruggere un’aura divenuta poco credibile, ed anche quella di creare atmosfere inaudite. Da questa intricata rete di influssi e interferenze la ricerca sviluppatasi nelle tre Università arrivava al Convegno avendo elaborato alcune traiettorie teoriche e proposte pratiche e sperimentali applicate ai problemi della
composizione, dell’insegnamento musicale e dello studio musicologico.
Nei campi della musica elettroacustica e della composizione con live-electronics — i più prossimi al tema musica-tecnologia — le nostre ricerche avevano appurato che il rapidissimo sviluppo di quest’ultima, e in particolare i sorprendenti
progressi dell’informatica, avevano indotto gli utenti a soffermarsi sullo studio
del “mezzo” assai più che sull’individuazione dei “fini”, come è naturale che sia in
X
un approccio sperimentale: eravamo quasi giunti alla conclusione che il pensiero
musicale fosse stato “più forte” quando la tecnologia era “più debole”.
Ma siamo veramente sicuri che si tratti di una differenza di grado nella
stessa categoria e non di una diversa qualità di pensiero cresciuta insieme allo
sviluppo della tecnologia? Un certo “feticismo” del mezzo tecnico, laddove
queste esperienze non fossero guidate da intenzioni musicali ferree, era in una
certa misura connaturato alla difficoltà di accedere alle complesse e costose apparecchiature tecniche un tempo necessarie per quel genere di ricerche. Oggi lo
straordinario sviluppo dell’informatica ha eliminato quasi del tutto la soggezione nei confronti della macchina: chiunque può permettersi di utilizzare, o
addirittura di avere in casa, un’attrezzatura minima per un primo approccio
alla composizione elettroacustica, sia nel campo della musica sperimentale sia
in quello della popular music. Dalle indagini condotte nelle tre Università del
PRIN i tempi sembravano maturi per una riflessione allargata ad un Convegno
Internazionale su come le nuove tecnologie avessero modificato la prassi musicale nei tre principali campi della composizione, dell’educazione musicale e
della musicologia.
Si trattava semplicemente di completare la “storia” invitando altri studiosi a
dialogare sui temi che ci avevano occupati per circa due anni.
Da parte francese, il Convegno rappresenta il quarto degli appuntamenti organizzati nell’ambito del progetto internazionale di ricerca sulle Scienze del Linguaggio Musicale (SLM). Nato nel 1997 su iniziativa di Bernard Vecchione (Università di Aix-en-Provence, Francia), tale progetto mira a promuovere occasioni
di incontro e confronto fra studiosi di tutto il mondo attorno al tema del linguaggio musicale, ovvero le dimensioni di linguaggio specifiche del musicale.
La prima edizione del Simposio si è svolta a Aix-en-Provence nel maggio
1998 (organizzata da B. Vecchione e C. Hauer);1 la seconda, sempre in Francia,
a Saint-Rémy-de-Provence nell’ottobre 2004 (organizzata da B. Vecchione, C.
Dessarts, H. Le Guil e F. Spampinato); la terza edizione si è svolta a Bologna nel
febbraio 2006 (organizzata da D. Barbieri, L. Marconi e F. Spampinato). 2 Nel
2006 nasce il sito internet www.sciences-du-langage-musical.org, organo ufficiale del progetto. Dal 2006 l’SLM gode del supporto istituzionale dell’Institut
d’Esthétique, d’Arts et Technologie, UMR n° 8153 CNRS/Sorbonne (diretto da
Costin Miereanu).
Nel corso di questi incontri, ci si è resi conto che per poter trattare la questione del linguaggio musicale non ci si può accontentare di un’applicazione
pura e semplice dei metodi e dei concetti proposti dalle discipline che studiano
1.
2.
VECCHIONE B. - HAUER C. (cur.), Sémiosis et Hermenéia: le sens langagier du musical, L’Harmattan, Paris, in corso di stampa.
BARBIERI D. - MARCONI L. - SPAMPINATO F. (cur.), L’ascolto musicale. Condotte, pratiche, grammatiche, LIM, Lucca 2008.
PREMESSA
XI
le lingue e i testi linguistici. Il problema del linguaggio musicale richiede l’interazione di più discipline del linguaggio, animate da uno spirito di confronto e
cooperazione. Nel corso di vari anni di ricerca e di scambio, si sono dunque
cercati i punti di convergenza e di articolazione fra analisi, estetica, semiotica,
semantica, estesica e poietica, sintassi, prosodia, stilistica, retorica, pragmatica,
poetica e narratologia, critica, ermeneutica… e si sono individuate, da un lato,
trasversalità di temi di studio e, dall’altro, proficue congiunzioni fra due o più
aree disciplinari (interscienze e reti di discipline). Il progetto SLM nasce e si
sviluppa proprio attorno a questa dialettica fra musicologia e metamusicologia,
fra, da un lato, un modo specifico di osservare la “realtà musicale” nelle sue dimensioni di linguaggio e, dall’altro, una visione della “realtà musicologica”, globale e interattiva rispetto ai paradigmi disciplinari specifici. La convergenza fra
il Convegno sul “Nuovo in musica e in musicologia” e il progetto SLM gravita
dunque attorno alla riflessione sui nuovi modi di interrogarsi sul funzionamento specifico della musica come linguaggio e sui nuovi approcci alle dimensioni di linguaggio specifiche del musicale.
Il gruppo costituitosi a Comitato scientifico del Convegno era formato da:
Rossana Dalmonte (Università di Trento), Annarita Addessi e Mario Baroni
(Università di Bologna), Goffredo Haus (Università di Milano), Luca Marconi
(Conservatorio di Como) e Francesco Spampinato (IDEAT e Université d’Aixen-Provence). Fin dalla prima riunione apparve chiaro che le premesse da cui il
Convegno prendeva le mosse erano così ricche di spunti d’ampliamento e così
differenziate nel taglio metodologico, da rendere difficile una scelta capace di
dare al Convegno una propria autonoma identità. Anche di ricchezza si può
perire, per soffocamento. La svolta decisiva è venuta con grande naturalezza da
Luca Marconi: «dal momento che tutte le proposte vanno coniugando in vari
modi il concetto di “nuovo”, perché non tematizzare proprio lui, il Nuovo?».
Detto-fatto, si cominciò a lavorare attorno a questo concetto per decidere
quali persone fosse più opportuno invitare a svolgere i diversi aspetti del tema.
Occorreva identificare i termini del conflitto che oppone un’idea, un’opera,
un’espressione linguistica reali al loro contesto d’illusione e da ciò fare emergere la loro potenziale novità. Il nuovo “cronologico” rispetto a ciò che c’era
prima, apriva la porta agli studiosi di storia dando loro diverse prospettive (nel
sociale, nella didattica, nell’analisi); il nuovo “sincronico” offriva il destro a discorsi su questioni di “stile”, di “scuola”, ma anche di “moda” e di “tendenza”.
Il nuovo nel conflitto generazionale di compositori, esecutori, cantautori e musicologi poteva diventare un modo primitivo, ma comodo, per segmentare il
tempo (della storia). Ci si rese presto conto che gli umori e le preferenze dei
membri del gruppo promotore stavano estendendo i confini del Convegno a
dimensioni difficili da gestire in un tempo assai limitato (quattro mezze giornate), per cui si decise di piantare paletti rigidissimi: poche “relazioni-di base”,
XII
alcuni inviti sul tema “applicazioni” e “dimostrazioni” più la richiesta di partecipazioni libere in forma “iconica” di posters.
Grazie alla buona volontà e alla professionalità di tutti i partecipanti si
giunge ora, a pochi mesi dal Convegno, alla redazione dei suoi Atti e ci si rende
conto con un certo stupore di quanta ricchezza di riflessione e incremento di
conoscenza siano potuti maturare in così poco tempo.
Il volume che qui si presenta non riproduce nella sua distinzione in tre parti
le “categorie” individuate per l’organizzazione del Convegno. Prima di tutto
perché — ovviamente — i posters sono diventati saggi (anche se di dimensioni
più limitate), per cui una delle “categorie” è scomparsa in favore delle altre etichette, e segnatamente delle “applicazioni”; inoltre le inizialmente poche “relazioni-di-base”, a cui era stato affidato il compito di inquadrare teoricamente il
tema del Convegno, si sono moltiplicate, grazie ad una straordinaria proliferazione di idee teoriche sul nuovo provenienti anche dal campo inizialmente individuato come destinato alla descrizione delle “applicazioni”. Infine, i contributi di alcuni partecipanti al Convegno hanno manifestato un aspetto particolarmente segnato da un carattere di interdisciplinarità, con forte accento su
particolari conoscenze scientifiche messe a disposizione della musicologia, per
cui è sembrato opportuno dare loro risalto in una parte distinta del volume.
All’interno delle tre parti in cui viene suddiviso il materiale emerso dal Convegno — Riflessioni teoriche sul Nuovo, Intersezioni fra musicologia ed altre
scienze, Aspetti di nuova musicologia — non è stato possibile identificare criteri
scientifici di successione né filoni caratterizzanti, per cui si è optato per un asettico ordine alfabetico.3
Al termine del lavoro desideriamo ringraziare Mario Baroni per la vigile assistenza e l’Università di Trento — Dipartimento di Filosofia, Storia e Beni
Culturali — per aver reso possibile la pubblicazione del presente volume.
Rossana Dalmonte – Francesco Spampinato
novembre 2008
3.
Il saggio di Franco Fabbri, Sonde: la direzione del nuovo, presentato al termine del Convegno, è stato pubblicato in anteprima sul numero 86 (luglio 2008) della rivista «Musica/Realtà», 55-72.
Jean Vion-Dury
Hôpital universitaire S.te Marguerite - Marseille
LE CERVEAU EST-IL MUSICAL?
NOTES SUR LES PLASTICITÉS CÉRÉBRALE ET MUSICALE
1. Introduction
Cet article n’est pas une revue sur la manière dont le cerveau entend, analyse, «traite» comme on dit en neurosciences cognitives, la musique. Il voudrait
plutôt explorer la possibilité d’aborder, au travers du prisme de cet artéfact humain remarquable qu’est la musique, le problème du nouveau et de l’ancien
dans le cerveau, problème qui recouvre en fait celui de la mémoire et donc de la
plasticité cérébrale. Plus exactement, nous voudrions proposer que la métaphore musicale permet de mieux penser un aspect particulier et fondamental
du cerveau que constitue sa plasticité, partant du principe que seules des métaphores — utilisant le plus souvent des artéfacts produits par l’homme (canaux,
mécanique, ordinateur…) — semblent permettre d’appréhender — sans pour
autant comprendre — le fonctionnement si complexe du microcosme cérébral
[Vion-Dury 2008].
Centrer le propos sur la plasticité cérébrale est inhabituel en neurosciences.
Bien sûr, la notion de plasticité cérébrale est présente dans tous les cours, implicite dans de très nombreuses expériences empiriques ou leur interprétation. Les
neuroscientifiques n’ignorent en aucune manière la réalité même de la plasticité. Mais, dans leur travail quotidien, elle apparaît souvent en quelque sorte
comme une propriété seconde par rapport à la structure ou la fonction des systèmes neurobiologiques. Plus exactement elle apparaît comme la transition
entre des états qui sont, eux, l’objet de leur analyse. Rares sont les neurobiologistes qui soulignent qu’avant même les structures et les fonctions cérébrales, il
y a la plasticité ainsi que nous l’enseigne l’embryogenèse cérébrale, au cours de
laquelle les structures cérébrales émergent à partir de la migration et de la mo-
188
JEAN VION-DURY
dification morphologique et fonctionnelle de cellules issues du tube neural primitif. Il n’est donc pas absurde de considérer la plasticité comme primordiale
(ou primitive) dans l’essence du processus neurobiologique, les états stables1
n’existant en définitive que dans une vision macroscopique de l’organe et/ou
pour les seuls besoins de l’analyse scientifique.
De la même manière la plasticité de la musique n’est pas la première donnée
à laquelle on pense en musicologie. À nouveau, on pense structure, forme, ornements, rythmes, harmonie mais non plasticité. C’est le mérite tout particulier
du texte de B. Sève [2002] que d’avoir mis en avant la notion de plasticité en
musique sous la forme générique d’altération musicale.
Notre proposition est que la convergence des plasticités musicale et cérébrale va nous permettre de mieux appréhender (à défaut de comprendre) cette
dernière.
2. La plasticité cérébrale
Paradoxalement, le cerveau n’est donc pas seulement cet organe mou et
blanchâtre, fixe, immobile dans une boîte osseuse dont nous avons l’image, ni
ce que nous en fait voir une IRM, avec ou sans couleurs. La caractéristique du
cerveau est d’être un organe macroscopiquement stable et microscopiquement
plastique (non stable). Et la difficulté est de penser cette plasticité, c’est à dire le
renouvellement permanent d’une structure qui apparaît stable. Ceci, on en
conviendra, est un vieux problème puisque déjà Héraclite disait qu’on ne se
baigne jamais dans le même fleuve.
Posons le décor. La plasticité cérébrale doit d’abord se penser dans le paradigme de complexité, c’est à dire à partir de la théorie des systèmes non différentiables et non linéaires et au travers des modèles d’auto-organisation critique [Nicolis-Prigogine 1992; Dauphiné-Provitolo 2003]. Cette complexité (incluant la notion de non calculabilité [Penrose 1995]) du cerveau est à proprement parler inimaginable, impensable. Qu’on en juge: le cortex cérébral, c’est
environ 1011 neurones, 1 million de milliards de connexions (les synapses) correspondant, si l’on considère toutes les combinaisons possibles de toutes les
connexions, à 10 suivi d’un million de zéros possibilités.
Qui dit «connexions» (synapses) suggère câblage. Et le cerveau a été longtemps (et est encore) pensé comme une somme de circuits électriques (certes
compliqués), la transmission de l’influx nerveux sur des câbles axonaux illustrant cette conception. Dans sa version actuelle, la métaphore du circuit électrique culmine dans celle du cerveau comme ordinateur faisant des calculs: il
s’agit là de l’approche computationnelle de l’esprit [Dupuy 1999]. Mais, comment notre cerveau (si ce sont des circuits électriques et un ordinateur)
1.
La notion d’état stable et de transition entre états est directement inspirée de la thermodynamique des machines à vapeur.
LE CERVEAU EST-IL MUSICAL? NOTES SUR LES PLASTICITÉS CÉRÉBRALE ET MUSICALE
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s’adapte-t-il au monde mouvant? Comment apprend-il et retient-il les variations de l’environnement lui-même éminemment variable? Justement grâce à
cette incroyable et permanente plasticité. Mais le cerveau a tout autant besoin
de stabilité, face à la mobilité du monde. C’est pourquoi deux principes complémentaires y sont actifs en même temps: a) l’un qui conduit à une modification des réseaux neuronaux en créant des différences sélectives entre éléments
individuels, b) l’autre qui conduit à une modification des propriétés des réseaux pour les stabiliser au sein de l’activité globale des neurones. Ce jeu subtil
de stabilisation et modification conduit à la réalité observable de la plasticité.
Dès que l’on aborde la plasticité cérébrale, on remarque que celle-ci est présente à tous les niveaux du fonctionnement cérébral: récepteurs, membranes,
cellules et prolongements, circuits, décharges des neurones, zones actives…
Nous en décrirons ici quelques exemples.
A - Les cinq états synaptiques. Le principe de stabilisation synaptique découvert par Hebb postule qu’une synapse active est renforcée, stabilisée alors
qu’une synapse inactive est éliminée [Turrigiano 1999]. Ces processus de stabilisation sont sous la dépendance des neurotrophines, facteurs de croissance qui
ont un rôle trophique (de maintien) sur la synapse et dont la sécrétion dépend
directement de l’activité synaptique [Schinder-Poo 2000; Berardi et al. 2003]
par le biais de la modification de l’expression des gènes. Une fois sa formation
réalisée, la synapse n’est pas soit conservée, soit éliminée. Cinq états synaptiques ont été récemment décrits qui dépendent de la nature et du nombre relatif de récepteurs post-synaptiques: a) un état actif; b) un état déprimé avec
quelques récepteurs actifs, c) un état potentialisé permettant les processus de
mémorisation par le biais de la potentialisation à long terme, d) un état silencieux, sans récepteurs post-synaptiques, et e) un état récemment silencieux, de
préparation à la réactivation de la synapse. Plus encore, entre ces états, il existe
un continuum qui permet d’intégrer l’historique de l’activité synaptique [Mongomery-Madison 2004].
B - Mobilité des épines dendritiques. Les épines dendritiques (structures
post-synaptiques présentes sur les dendrites) ne sont pas statiques. Leur taille
varie grâce à des protéines contractiles modifiant ainsi l’efficacité de la transmission synaptique (par le biais de la variation de la largeur de la fente synaptique donc de la concentration de médiateur) [Blanpied-Scoot-Ehlers 2002].
C - La croissance des arborisations. Les prolongements des neurones (dendrites en amont du corps cellulaire, axones en aval par rapport au cheminement
de l’influx nerveux) sont en remaniement permanent. Quand on met des neurones en culture, l’accroissement de l’arborisation dendritique et axonale est visible en quelques heures. Dans un cerveau intact, ceci conduit soit à augmenta-
190
JEAN VION-DURY
tion du nombre des connexions, soit à une modification constante de ces
connexions [Turrigiano 1999].
D - Si la fréquence de la décharge d’un neurone est variable en fonction de
l’activité des neurones pré-synaptiques, la structure caractéristique de sa décharge (tonique, rythmique…) change selon l’environnement et la structure des
réseaux dans lesquels il est impliqué [Turrigiano 1999].
E - Les modifications observées lors de la plasticité neuronale ne le sont pas
seulement au niveau des arborisations neuronales. On peut observer non seulement des modifications de l’activité des réseaux neuronaux lors des phénomènes d’apprentissage [Schlaug 2001] mais également une modification macroscopique du volume du cortex impliqué dans les activités musicales chez les
musiciens professionnels comparativement aux sujets non musiciens et aux
amateurs.
La plasticité cérébrale peut ainsi être décrite sous la forme générale d’un processus de type: création; stabilisation si activité (mémoire); disparition si inactivité, correspondant à une sorte de darwinisme fonctionnel assez proche de la
théorie de sélection des groupes neuronaux d’Edelman [2000]. Cette forme générale, quasi-invariante à tous les niveaux du fonctionnement cérébral possède
en fait une structure fractale. Cette fractalité est double: temporelle et spatiale.
Par sa plasticité fractale, véritable homéostasie nécessaire à la possibilité de survenue d’évènements mentaux, le cerveau entremêle le nouveau et l’ancien à
tout instant et à tous niveaux: structurel, temporel, fonctionnel.
Pour Debono [2006], la plasticité en biologie, qui a à voir avec l’émergence
de la forme, a été largement sous-estimée, car considérée principalement dans
sa version descriptive, mais insuffisamment pensée dans les relations qu’elle entretient avec l’autopoïese et la complexité. Selon lui, la plasticité apparaît non
pas comme une propriété émergente ou systémique, mais comme une propriété
inductrice et structurante rendant compte de l’évolution spécifique des systèmes particuliers. La liaison de la plasticité du sujet avec celle du monde décrit
véritablement ce qu’est l’expérience humaine et ce concept éminemment transversal permet enfin de dépasser les dualités (type inné-acquis…). Pour lui, il
s’agit là d’un véritable paradigme, au sens de Kuhn.
Penser la plasticité comme paradigme nous permet d’aller plus loin encore,
c’est-à-dire nous amène à concevoir le cerveau non plus comme un réseau de
câbles qui se modifient sous l’effet de processus de plasticité ou bien comme
des modules localisés avec des connexions variables (conception conventionnelle), mais plutôt comme une matrice cellulaire initialement très fortement
connectée qui crée et modèle en permanence des connexions diffuses dans un
ensemble neurono-glial. C’est finalement concevoir peut-être le cerveau
LE CERVEAU EST-IL MUSICAL? NOTES SUR LES PLASTICITÉS CÉRÉBRALE ET MUSICALE
191
comme un milieu plastique plus que comme une structure (ou ensemble de
structures) dans lequel des connexions variables entre des groupes cellulaires
variables forment des réseaux variables. La structure cérébrale (aire corticale,
noyau, colonne corticale) n’est alors plus que le cadre (architectonique, réticulaire, cellulaire, moléculaire) indispensable mais non suffisant dans lequel s’organise la plasticité.
3. La musique nous permet-elle de saisir la plasticité cérébrale?
La question est la suivante: comment, en simplifiant le moins possible les
choses, rendre compte de la plasticité intrinsèque et primordiale du cerveau, et
sentir (mais non expliquer) cette plasticité dans son caractère profond, ubiquitaire, comme phénomène en soi qui nous est qu’indirectement accessible. Car
c’est un point de parler ou d’accepter la plasticité comme idéalité, et c’est un
autre point que de la penser comme phénomène incarné.
Or il nous semble que la musique, justement, constitue une métaphore assez
pertinente de cette plasticité cérébrale qui nous montre comment l’écoute (ou
la création ou la réalisation) musicale nous aide à la comprendre, et ce selon
trois points de vue (ou trois positions philosophiques): a) l’altération comme
principe (B. Sève), b) le fondement dans une temporalité d’ordre ontologique
(C. Accaoui), c) sa propriété de système organique (B. de Schloezer).
A – Altération - Pour B. Sève [2002], l’altération est au centre du processus
musical. Elle est présente à tous les niveaux (signes, accidents, variations, altérations, sons, échelles, thèmes, interprétations, citations, ornementation, polyphonie, forme musicale) de transformation et de variation, comprise comme
puissance continue de transfiguration: «L’altération est le dynamisme propre à
la musique, son mouvement le plus intime, le plus énigmatique, et le plus prégnant. Ce processus se confond avec son être…». Cette altération (concept aristotélicien d’alloiosis) est «un principe de transformation, possibilité propre de
la chose… Changement selon la qualité, ce n’est pas un acte stricto sensu. L’altération est un mouvement, c’est-à-dire un acte incomplet ou imparfait» [ibid.,
203].
De la même manière que la plasticité selon Debono, l’altération musicale
selon B. Sève est instauratrice, instituante. Et l’on peut ainsi imaginer qu’à l’altération comme fondement de la musique et en chacun de ses niveaux, corresponde l’ubiquitaire (et fractale par invariance d’échelle) plasticité cérébrale,
fondement de la mémoire et de la pensée. Ainsi, la musique et le cerveau possèdent en commun la possibilité, à partir de ce qui vient de devenir existant et
stable (quelques notes, un thème une expérience de vie, un apprentissage), de
construire de la nouveauté, qui, à son tour, sera intégrée comme un acquis et
permettra de générer de «nouvelles nouveautés». La nouveauté requiert en mu-
192
JEAN VION-DURY
sique, comme dans le cerveau, la mise en jeu du processus de «mise en mémoire» avant de devenir elle-même «atome de musique», cellule thématique,
«souvenir», indéfiniment transformés et répétés. L’altération permet à la musique d’exister comme la plasticité cérébrale le permet à la pensée, dans les deux
cas comme successions d’évènements dissemblables.
B – Temporalité - Le lien entre temps et musique est ontologique [Accaoui
2001]. Que ce soit par la notation qui découpe le temps en fragments, par la
pulsation rythmique qui contient les altérations subtiles de la durée des notes
enserrées dans la matrice temporelle de la notation ou enfin par le rappel
continu, mémoriel du thème et de ses altérations, il n’est de musique que
comme un art du temps. La temporalité dans la musique se comprend à la fois
comme distentio, écoulement, et comme intentio, synthèse (surplomb): le
temps musical est tout à la fois «l’un après l’autre et l’ensemble, l’écoulement et
la synthèse» [Accaoui 2001, 17]. Il existe un jeu subtil entre musique et
conscience puisque la mémoire contient en stock la totalité de la mélodie
écoutée, mais la conscience, limitée dans le temps ne peut se représenter cette
totalité: «la mélodie sue par cœur est à notre disposition, à tout instant elle peut
être actualisée mais, pas plus qu’une autre elle n’est représentable dans l’instant» [ibid.].
La mémoire dans ses différentes acceptions est comme accolée à la plasticité,
que ce soit la mémoire immédiate ou autobiographique, la «mémoire phénoménologique» (rétention) de la conscience, ou le flux de la pensée, avec son
présent du passé, son présent du présent et le présent du futur. Dans les démences, la dissolution de la temporalité (et de la mémoire) conduit à une perte
de la pensée. De la même manière, une musique sans structure temporelle n’est
plus une musique, mais un simple bruit, un conglomérat de sons.
La plasticité cérébrale, comme la musique, est ontologiquement liée au
temps puisque le cerveau ne fonctionne que dans la temporalité, comme organe
ou être vivant. Mais à y regarder de plus près, ce qui organise la plasticité c’est
bien le signal (ou code, ou message) nerveux lequel possède lui même une
structure dont les caractéristiques temporelles (fréquence, organisation)
conduisent au maintien ou non des structures actives.
Pour B. Accaoui, la musique peut être pensée comme une «épopée de
l’énergie», par essence temporelle. Or le message nerveux, par le biais de la genèse des potentiels d’action, est aussi une épopée énergétique, basée sur une
thermodynamique cellulaire, impliquant des pompes ioniques qui requièrent
une structuration temporellement organisée de la fourniture énergétique. C’est
ainsi que la décharge d’un ou plusieurs neurones, enregistrée sur un oscilloscope dont on a activé le haut parleur nous montre ce qu’est le rythme variable,
l’altération de la «mélodie neuronale» sous l’effet des influx afférents. Le crépitement variable des potentiels d’action d’un muscle qui se contracte, cette «mé-
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lodie de la fibre musculaire» est une aide précieuse au diagnostic en électromyographie.
C – Organismes - Le cerveau n’est pas un système mécanique ou une somme
de mécanismes, mais un système organique. Dans un mécanisme, les parties
existent simplement pour et non par les autres. Dans l’être organisé, les parties
existent pour et par les autres. Chaque partie peut être conçue comme un organe produisant les autres parties. «Un être organisé n’est pas simplement une
machine, car la machine possède uniquement une force motrice; mais l’être organisé possède en soi une force formatrice qu’il communique aux matériaux
qui ne la possèdent pas (il les organise): il s’agit d’une force formatrice qui se
propage et qui ne peut pas être expliquée par la seule faculté de se mouvoir (le
mécanisme)» [Kant, Critique de la faculté de juger, deuxième partie, § 65]. Le
corps vivant est à la fois cause et effet de lui même, en tant qu’espèce et en tant
qu’individu et le cerveau ne peut être compris que comme un tout organique
[Golsdstein 1983].
De la même manière, B. de Schloezer [1947] insiste sur le caractère organique, composé, de la musique, dans laquelle «la structure du tout obéit à une
loi qui l’explique et la justifie». «Une forme musicale […] est singulière et individuelle; elle est la forme précisément de cette matière et n’existe que par rapport à celle-ci; de même que cette matière […] est toujours et uniquement la
matière précisément de cette forme». C’est ici une conception assez proche de
l’organisme Kantien: «L’œuvre musicale […] nous apparaît ainsi comme une
hiérarchie de systèmes (organiques et aussi composés) imbriqués les uns dans
les autres, chacun d’eux étant forme à l’égard de ceux qu’il étreint et matière à
l’égard de ceux qui l’étreignent… La musique est un système organique fermé:
le langage ne la renseigne pas et ne l’explique pas. L’œuvre musicale possède
une «unité qui se découvre à la fois comme forme et contenu» [ibid., 97-98].
Et l’on voit bien comment le jeu subtil entre tout et partie, entre forme, matière, mouvement et fonction en musique comme en neurobiologie, est organisateur, poïétique, autopoïétique même.
4. Conclusions
Ecoutons un morceau quelconque et attachons-nous à en chercher non les
structures mais les variations, non les thèmes, mais leurs altérations, non les
rythmes fondamentaux mais leurs transformations. Nous aurons ainsi présent à
l’esprit cet entremêlement continuel de l’ancien et du nouveau, cette mouvance
musicale, mais aussi une meilleure idée de ce qui se produit dans notre cerveau,
de ce qui bouge dans les structures stables et se stabilise dans le milieu mouvant. Nous aurons alors par cette sorte d’expérience de pensée une vue, incomplète et voilée, de cette impensable plasticité.
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En réalité nous n’aurons fait que reprendre, sous un autre mode, l’intuition
essentielle de Bergson: «il n’y a ici qu’une poussée ininterrompue de changement, d’un changement toujours adhérent à lui-même dans une durée qui s’allonge sans fin» ou «se représenter la substance du moi comme sa durée même».
C’est «la continuité indivisible et indestructible d’une mélodie où le passé entre
dans le présent et forme avec lui un tout indivisé, lequel reste indivisé et même
indivisible en dépit de ce qui s’y rajoute à chaque instant, ou plutôt grâce à ce
qui s’y ajoute» [Bergson 1999, 8]. «Les grandes découvertes théoriques […] ont
amené les physiciens à supposer une espèce de fusion entre l’onde et le corpuscule, nous dirions entre la substance et le mouvement. Un penseur profond,
venu des mathématiques à la philosophie, verra un morceau de fer comme une
continuité mélodique» [ibid., 76-78].
La musique nous apparaît comme une métaphore incarnée, sous les
concepts de temps, d’altération et de caractère organique, de la plasticité cérébrale qui engendre la pensée. Et l’on pourrait proposer que faire de la philosophie de la musique, c’est peut-être d’une certaine manière aborder la philosophie de l’esprit et mieux comprendre les processus mentaux sur une base différente du réductionnisme logiciste des sciences cognitives et de la psycholinguistique afférente. La question n’est pas ici de refuser, dans une contestation
stérile, cette approche réductionniste mais de la dépasser en postulant qu’il en
existe d’autres qui ont tout autant à nous dire sur le monde et sur nous mêmes.
Parce que la musique est une production cérébrale parmi les plus sophistiquées de l’activité humaine, et que, pour une grande partie d’entre nous, musiciens ou non, nous sommes des êtres musicaux [Sachs 2006], on peut se demander si, parallèlement au langage dont on soutient depuis bien longtemps
qu’il nous donne accès à la pensée, la musique ne nous «plongerait» pas directement dans l’essence même du processus de pensée, dans sa composante non
verbale (mais aussi parfois verbale dans le chant), pré-logique (mais aussi logique dans les rapports harmoniques), fluide et fluctuante, plastique, métaphorique, lorsque cette pensée naît au sein d’une forêt d’oxymores, dans un magma
de multiples possibles, dans la matrice des indifférenciations fondamentales, et
comme le dit Deleuze [1988], infiniment pliée dans sa structure monadique.
Nous oserions ainsi soutenir l’hypothèse que notre cerveau humain pourrait
fonctionner selon deux modes au moins: un mode de pensée linguistique et un
autre mode de pensée, musical, recouvrant partiellement et occasionnellement
le premier. En fonction de nos besoins, de notre environnement, de nos pathologies, nous oscillerions d’un mode à l’autre. La spécificité du mode musical ne
serait pas qu’il mobilise nos émotions, mais plutôt qu’il contient en lui même,
dans sa forme même et son déroulement, les potentialités d’exemplification de
l’altération, de l’organicité et de la temporalité, alors que le mode linguistique
exemplifierait plutôt la position logique, le surplomb rationnel (rapports mathématiques) et analytique (distentio) face au monde. C’est en ce sens que nous
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pourrions affirmer que la musique serait une des plus magnifiques parmi les
«ombres de l’esprit».
Nous remercions le membres de l’équipe Langage Musique Motricité (INCMCNRS 6190, Marseille) et ceux du groupe «Musique , cerveau, pensée» du Réseau
Philosophie et Neurosciences pour leurs remarques et suggestions.
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