Antropologia per insegnare - Università degli Studi della Repubblica

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Antropologia per insegnare - Università degli Studi della Repubblica
Terzo modulo: Migrazioni
1
M. CALLARI GALLI
Antropologia per insegnare
Milano, Bruno Mondadori, 2000.
2
M. Callari Galli. La Figura del migrante, oggi.
Migrazioni nell'era della interdipendenza culturale
Storici, sociologi, antropologi, demografi, romanzieri e statistici sanno, da lungo tempo, che il nostro pianeta è
stato sempre attraversato da gruppi migranti. Del resto la sedentarietà è una "scoperta" assai recente, se proiettata
sullo scenario centimillenario della storia della nostra specie che per migliaia e migliaia di anni, prima dell"'invenzione"
dell'agricoltura, ha nomadizzato, percorrendo interi continenti, passando dall'uno all'altro, sperimentando molte
forme di rapporti tra i diversi gruppi che di volta in volta si incontravano, si integravano o si distruggevano. Anche
dopo che la civiltà agricola prima e quella industriale poi si furono affermate, i movimenti migratori proseguirono,
assumendo forme diverse ma tutte di notevoli proporzioni e dalle conseguenze sempre rilevanti per l'andamento delle
dinamiche culturali.
Negli ultimi secoli della nostra storia, in tutto il pianeta si sono costituiti vasti aggregati, relativamente autonomi gli
uni dagli altri, dotati di potenziali di aggressività differenziati, ma consistenti, che determinarono rapporti -bellici o
commerciali, di migrazioni volontarie o forzate, di diaspore o di annientamento - sempre più vasti. E questo accadde,
in termini diversi, nell'America centrale e meridionale, nel Sud Est asiatico e nell'Africa mediterranea e centrale,
nell'Asia e nel Medio Oriente, in Europa e in Eurasia.
Questo processo subì un'imponente accelerazione durante il diffondersi del colonialismo che tra i suoi numerosi
effetti annovera l'aver stabilito, in tutto il mondo, nuove dimensioni dell'identità collettiva dei diversi gruppi umani:
questo crogiuolo di tradizioni, cancellate o fatte rivivere, di resistenze, di cambiamenti, di opposizioni, di integrazioni
ha generato in tutto il nostro secolo nuovi nazionalismi e nuovi «etnicismi».1
1 B. Anderson, Comunità immaginate, manifestolibri, Roma 1996 (1983); P. Chatterjee, Nationalist Thought and the Colonial World: A
Derivative Discourse, Zed, London 1986.
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Molti messaggi responsabili della costruzione delle nuove identità si sono propagati tramite l'istruzione e
l'alfabetizzazione che il colonialismo distribuì soprattutto alle élite dei paesi dominati, ma a questa costruzione non
furono certo estranei i processi di alfabetizzazione che prima o poi, in modo più o meno profondo, furono acquisiti
dai gruppi di immigrati, in gran parte provenienti nelle "capitali del potere" dai paesi colonizzati e dalle aree più
povere della stessa Europa.
Il panorama della nostra contemporaneità appare, anche sotto questo aspetto, profondamente mutato: le
migrazioni sono oggi determinate da ragioni composite che affiancano, senza escludersi a vicenda, la ricerca di
benessere alla necessità di sfuggire alla violenza della guerra e della persecuzione politica. Ma forse, a questo livello
di analisi, le differenze con il passato sono più quantitative che qualitative: grandi gruppi umani hanno sempre vissuto
quasi contemporaneamente «la diaspora della speranza, la diaspora del terrore, la diaspora della disperazione». 2 E
le immagini dei treni del Kosovo non possono non richiamare alla nostra memoria i treni piombati dell'olocausto, ma
anche le navi di cittadini inglesi strappati alle carceri per popolare la «riva fatale»;3 cosi come i vestiti laceri, le
scarpe sfondate, i fagotti di stracci dei kosovari di oggi, ricordano i vestiti laceri, le scarpe sfondate, i fagotti di
stracci documentati nel museo di Ellis Island, nella baia di New York, a ricordo della diaspora, anch'essa carica di
dolore e di speranza, che popolò alla fine dello scorso secolo gli Stati Uniti d'America.
2 A. Appadurai, Modernity at Large, cit.
3 R. Hughes, La riva fatale, Adelphi, Milano 1990.
Ciò che è completamente nuovo è che questi movimenti, queste diaspore oggi si muovono all'interno di un sistema
di comunicazione ignoto nei passato, che dà forma al desiderio e all'oltraggio ma al tempo stesso anche agli
adattamenti, alle scelte, alle ribellioni. Sono le trasmissioni televisive che portano nelle nostre case e nelle nostre
coscienze la marcia disperata di un popolo cacciato perché "etnicamente" non congeniale a un territorio; sono le
trasmissioni televisive che muovono i nostri antichi rimorsi costringendoci, oggi, a differenza di ieri, a non poterci
nascondere dietro l'alibi della non conoscenza. Ma anche i vissuti delle vittime e dei carnefici sono attraversati, in
parte determinati, comunque influenzati, dalla creazione di un immaginario collettivo che paradossalmente, proprio in
un conflitto che pone alla sua base i principi di territorialità e di appartenenza etnica, trascende completamente gli
spazi delle singole nazioni.
Allargando la nostra ottica, l'intero "spazio migratorio" è stravolto dall'esistenza dei mezzi di comunicazione, dagli
aeroplani ai fax, dalle trasmissioni televisive alle poste elettroniche, alle "navigazioni" in Internet: gli immigrati indiani
guardano, in Gran Bretagna o in Italia, le telenovelas prodotte nel loro paese di origine, ricevono visite frequenti di
parenti e amici; i tassisti pakistani percorrono le strade di Sydney ascoltando le "cassette" delle preghiere registrate
nelle lontane moschee del mondo musulmano, comunicano quotidianamente con le loro comunità; le antenne
paraboliche che affollano le finestre dei "centri di accoglienza" predisposti in Emilia Romagna per gli immigrati
maghrebini portano, nelle loro povere stanze, le immagini e le voci dei loro paesi: proprio mentre si muore per una
città, un villaggio, un campo, l'immaginario collettivo si allarga, raggiunge spettatori appassionati che introdurranno in
spazi culturali completamente diversi le immagini trasmesse nei loro paesi d'origine.
I mezzi elettronici mutano l ambiente che ci circonda, ponendo gli uni accanto agli altri i "localismi" e le
"globalizzazioni", mescolano a piene mani tradizioni e innovazioni, danno agli individui e ai gruppi innumerevoli
''materiali'' per poter vivere l'ansia del radicamento e l'ebbrezza del nomadismo. Ma quello che è importante
sottolineare non è tanto questa continua offerta, questo fluire di stimoli per le nostre immaginazioni sociologiche,
quanto piuttosto che la pervasività dei mezzi di comunicazione, il loro penetrare nelle nostre abitazioni, il loro
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infiltrarsi nelle nostre abitudini, introduce nella nostra vita quotidiana la trasversalità dei progetti sociali. Così il
richiamo alle "radici", attraversando l'etere, unisce con i suoi pesanti legami emotivi gruppi insediati nei contesti più
diversi, che stanno ottenendo successi o frustrazioni nel loro faticoso processo di adattamento; contemporaneamente
il richiamo ad affrontare lo stesso progetto politico può tagliare nazionalità e insediamenti, unire gruppi dalle
provenienze più disparate, può divenire mobile e potenzialmente appartenere all'intera umanità.
È difficile individuare, in questa congerie culturale, orientamenti e finalizzazioni; è anche difficile capire cosa essa
significherà in termini di diffusione dei diritti umani, di accensione di nuove forme di terrorismo, di aspirazioni alla
giustizia sociale e alla pace. È su questi nuclei, comunque, che dobbiamo esercitare la nostra riflessione teorica e
rinnovare le nostre strategie di ricerca, perché su di essi, sul dilagare degli uni o sull'affermarsi degli altri, si disegnerà
il nostro futuro più prossimo.
Nessun pronostico, dunque, nessuna previsione, ma un'unica consapevolezza: migrazioni e sistema di
comunicazione stanno ponendo in crisi i principi su cui si fonda lo stato nazionale, eroso, nei suoi presupposti
ideologici e nella sua stessa operatività, sia dai nuovi esacerbati localismi che dalle nuove trasversalità.
Convergenze, divergenze e ibridazioni
Mentre i richiami e le sollecitazioni a costruire immaginari collettivi, a perdersi nel gruppo, sono oggi così frequenti,
paradossalmente la soggettività sembra accentuarsi, ponendosi sempre più come scommessa centrale dei destini
individuali: la proliferazione di immagini e di modelli spesso difformi da quelli in base ai quali siamo stati educati,
l'indebolimento di istituzioni aggreganti quali sindacati, partiti, associazioni confessionali, l'onnipresente inno all"'io",
declamato dalla pubblicità e dalle riviste di moda, ci spingono verso configurazioni identitarie sempre più omogenee
e al tempo stesso sempre più singolari: «A ciascuno la propria cosmologia, ma, al contempo, a ciascuno la propria
solitudine». 4
Quello che oggi appare veramente nuovo è la diffusione della consapevolezza di questi mutamenti, la percezione,
negli immaginari collettivi, di possibilità e di sviluppi molteplici e contraddittori che attraversano contemporaneamente
la vita quotidiana di milioni di individui fino a qualche decennio fa ignoti gli uni agli altri e oggi, almeno virtualmente,
posti invece gli uni di fronte agli altri.
Questi movimenti di individui, di immagini e di messaggi sono strettamente connessi ai processi di globalizzazione
dei mercati economici 5 e sono spesso determinati da meccanismi finanziari le cui logiche e il cui controllo sfuggono
non soltanto ai cittadini, ma anche ai governi nazionali. Ed essi producono nuove rappresentazioni culturali e nuovi
criteri di aggregazione politica e sociale, mentre, sotto il loro impatto, altri sembrano dissolversi o comunque
trasformarsi: nuove identità si formano nell'incrocio e nell'ibridazione di esperienze, modelli, consumi e immaginari
collettivi dalle provenienze più eterogenee.
4 M. Augé, La guerra dei sogni, Elèuthera, Milano 1998, p. 41.
5 B. Barber, Guerra santa contro Mc mondo, Nuova Pratiche Editrice, Milano 1998.
L'accelerazione e il moltiplicarsi degli spostamenti di individui e di materiali culturali, la velocità e la forza
inculturativa delle immagini che passano quotidianamente davanti agli occhi di un numero sempre crescente di
individui, scardinano la rappresentazione delle culture come monadi, come tessere a se stanti dell'umano mosaico.
La trasversalità che oggi manifestatamente coinvolge l'intero pianeta fa sì che non sia più possibile immaginare
comunità "naturalmente" coese intorno a valori comuni e particolarissimi, né comunità i cui membri accettino o
rifiutino all'unisono l'adesione a modelli interni; né, al contrario, comunità i cui membri accettino concordemente
5
l'oppressione da parte di un'altra comunità altrettanto coesa e univoca nell'accettare le proprie regole o
nell'opprimere altri gruppi.6 I conflitti scoppiati in megalopoli occidentali come Londra, Los Angeles e Parigi o nei
grandi aggregati urbani dell'Oriente, le guerriglie urbane durate giorni, portano alla luce il ribollire di tensioni,
antagonismi e odi che contrappongono coreani e portoricani, afroamericani e cinesi, cambogiani e vietnamiti, ma
anche il disoccupato e il wasp upper-class, lo squatter e il poliziotto, il militante di SOS Racisme e il suo
concittadino che vota Front National.
Numerose, poi, sono le forme di produzione artistica "emergenti" che, pur descrivendo l'incommensurabilità di
certe differenze, la violenza coloniale che insegue le sue vittime fin nel mondo contemporaneo e lo sperdimento del
migrante, testimoniano le contaminazioni, i meticciati, le trasversalità, i nomadismi reali e culturali della nostra epoca.
Con una certa casualità costruisco, a scopo esemplificativo, una rapida carrellata di questi: ricordo le opere
letterarie di Amos Tutuola in cui si fondono lingua inglese e tradizione yoruba; quelle di Hanif Kureishi, "vero inglese
nato da padre pakistano"; i romanzi del bengalese Amitav Ghosh - laureato in antropologia all'Università di Oxford che incrociano storie, tradizioni, tempi e luoghi diversi rendendo con grande efficacia le commistioni culturali di oggi
e di sempre. A queste accosto il nomadismo e la tradizione raccontati per proverbi africani in odore di fumetto e per
frammenti d'immagini un po' televisive e un po' "gauguiniane" nelle tele del pittore zairese Chèri Samba; le sculture di
Romuald Hazoumé che coniugano arte povera e canoni stilistici tradizionali, plastica e capelli umani; le
"autobiografie-saggio-romanzo" scritte in un francese arricchito di creolo da Edouard Glissant e da Patrick
Chamoiseau.
6 E. Scandurra, La città che non c'è, Dedalo, Bari 1999.
Nonostante le lusinghe consumistico-televisive, nonostante le promesse della cultura "McWorld", 7 il nostro non è
un mondo in cui le chance di miglioramento della qualità della vita si siano realmente moltiplicate per i suoi abitanti: ci
troviamo, piuttosto, di fronte a un'umanità che nella sua interezza si avvia a prendere dolorosamente coscienza, oltre
che della differenza, del divario incolmabile che esiste tra ciò cui viene educata a immaginare come possibile e ciò
che la vita sociale le consente di realizzare. Il neoliberismo dilagante, infatti, rafforza e rende simili le élite di tutto il
mondo, allargando spaventosamente la forbice della diseguaglianza; la globalizzazione dei mercati e dell'informazione
mette in rapporto situazioni fisicamente lontane alimentando tensioni e conflitti; e i vissuti personali divengono sempre
più intrisi di costruzioni immaginarie che a volte non restano solitarie esercitazioni o produzioni artistiche individuali,
ma, divenute patrimonio di un gruppo, si trasformano in nuovi generi di espressione collettiva, in nuove richieste di
spazi comunitari, in nuove proposte politiche che richiedono strategie inedite di sorveglianza e/o provocano risposte
repressive da parte delle élite.
7 B. Barber, op. cit.
Dal passing alle "identità di sostegno"
Nell'analizzare i processi identitari dell'età contemporanea ci troviamo di fronte a due movimenti opposti ma
coesistenti. Da un lato siamo coinvolti in processi che potremmo definire "tensioni verso l'uniformizzazione degli stili
di vita e delle aspirazioni identitarie": la planetarizzazione dei mercati tende a presentarci l'identità come una merce
che si può vendere e comprare, il contatto alleggerisce e rarefà la consistenza ontologica dell'origine e della
"tradizione"; e cosi, da un paio di decenni le avanguardie culturali predicano la fine delle appartenenze stabili e
l'affermarsi di modelli esistenziali basati sul passing, cioè sul tentativo di mutare razza e status, di oltrepassare un
6
accesso vietato.8 Dall'altro lato, tuttavia, un numero sempre crescente di individui, gruppi e nazioni rivendica
l'irriducibilità della propria identità e il proprio diritto a viverla pienamente, ovvero separatamente. A vari livelli e nel
quadro di contesti storici, sociali e politici assai differenziati, in tutto il mondo si producono fenomeni ali
particolarismo identitario: le forme di comunitarismo incentrate sull'Islam in Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti, 9 i
regionalismi, di cui la Lega nord e la Liga veneta costituiscono eloquenti esempi nostrani,10 i nazionalismi che nelle
loro manifestazioni più esasperate conducono a conflitti sanguinosi e duraturi, cosi come è avvenuto, e avviene
tuttora, nella ex Jugoslavia.11 Gli esempi da portare sarebbero, purtroppo, ancora numerosi: se nel 1974 era stato
calcolato che a partire dalla Seconda guerra mondiale venti milioni di persone avevano perso la vita a causa di
conflitti classificabili come "etnici", 12 questi ultimi anni hanno di certo fatto innalzare il numero stimato. Ed è proprio
il paradigma dell'etnicità, in molti casi, a dare forma e a "giustificare" l'irrigidimento o l"'invenzione" della tradizione,13
l'attaccamento a una propria identità culturale "autentica", l'enfasi sulle "radici". L'emergenza di particolarismi
etnico-identitari - fenomeni complessi e antinomici che non possono essere liquidati come forme di mero arcaismo e
che coinvolgono un numero sempre crescente di società14 - si produce proprio mentre i confini e le prerogative
degli stati-nazione si affievoliscono: nell'èra della globalizzazione si continua a suscitare il conflitto e persino a morire
per un "noi" che sta per patria, origine, sangue, tradizione, elementi che si affermano quali categorie quanto mai
pertinenti per descrivere i meccanismi dell'appartenenza e dell'identità nel mondo contemporaneo.
Paradossalmente, proprio la deterritorializzazione risulta essere uno dei fattori più rilevanti delle manifestazioni
ipertrofiche del radicamento: le difficoltà di inserimento incontrate da chi si trasferisce in una società occidentale, per
esempio, possono determinare, in coloro che hanno abbandonato paese natale e lingua madre, un nuovo sentimento
di attaccamento, un nuovo senso di lealtà nei confronti di ciò che con l'emigrazione essi avevano tentato, piuttosto, di
cancellare o di mutare. Le aggregazioni fondamentaliste trovano alimento ideale e sostegno pratico nelle condizioni di
vita degli immigrati, nella reazione all'esclusione e allo sradicamento cui li sottopone la loro condizione di stranieri e,
spesso, di emarginati; nelle difficoltà "oggettive", "materiali", di praticare la propria fede religiosa nei paesi
d'accoglienza, nella facilità con cui, su tutto questo, si innestano la propaganda e il fanatismo di alcuni gruppi politici e
dei loro leader locali 15
In fondo, membri~delle società dette "tradizionali", cittadini delle ex colonie o dei paesi industrializzati, siamo tutti
nella medesima situazione: se i movimenti, reali o virtuali, trasportano gli "altri", gli abitanti delle campagne e delle
megalopoli africane e asiatiche o i fuggiaschi delle regioni orientali dell'Europa, in habitat per essi nuovi e sconosciuti,
anche in Occidente i cambiamenti si susseguono senza posa. Per parlare dei più quotidiani, non possiamo non
vedere che le case in cui siamo stati bambini sono oggi edifici smantellati, che i giardini dove abbiamo giocato da
piccoli si sono trasformati in qtl;llticli a sviluppo edilizio intcnsivo, che le dune di sabbia delle vacanze della nostra
giovinezza sono state ricoperte di hotel, mini-golf e discoteche. Per molti aspetti, poi, il mondo che avevamo
"conosciuto" sui banchi di scuola non esiste più, e i modelli di identità e di relazione assimilati dorante l'infanzia e
l'adolescenza risultano spesso, nell'attuale contesto di vita, inapplicabili o inservibili.
8 N. Larsen, Passing, Sellerio, Palermo 1995; A. Camaiti Hostert, Passing. Dissolvere le identità, superare le differenze, Castelvecchi, Roma 1996.
9 G. Kepel, Ad Ovest di Allah, Sellerio, Palermo 1996.
10 I. Diamanti, 11 male del Nord, Donzelli, Roma 1996; R. Biorcio, La Padania promessa, il Saggiatore, Milano 1997.
11 F. Martelli, La g?/erra in Bosnia. Violenza dei miti, il Mulino, Bologna 1997.
12 Ph. Poutignat, J. Steiff-Fenart, Thèories de l'ethnicité, PUF, Paris 1995
13 J. Hobsbawn, T. Ranger, L'invenzione della tradizione, Einaudi, Torino 987.
14 U. Fabietti, L'identità etnica, Carocci Editore, Roma 1998. 29G. Sorri, Prefazione, in G. Kepel, op. cit.
In fondo, membri delle società dette "tradizionali", cittadini delle ex colonie o dei paesi industrializzati, siamo tutti
nella medesima situazione: se i movimenti, reali o virtuali, trasportano gli "altri", gli abitanti delle campagne e delle
megalopoli africane e asiatiche o i fuggiaschi delle regioni orientali dell'Europa, in habitat per essi nuovi e sconosciuti,
anche in Occidente i cambiamenti si susseguono senza posa. Per parlare dei più quotidiani, non possiamo non
vedere che le case in cui siamo stati bambini sono oggi edifici smantellati, che i giardini dove abbiamo giocato da
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piccoli si sono trasformati in qtl;llticli a sviluppo edilizio intcnsivo, che le dune di sabbia delle vacanze della nostra
giovinezza sono state ricoperte di hotel, mini-golf e discoteche. Per molti aspetti, poi, il mondo che avevamo
"conosciuto" sui banchi di scuola non esiste più, e i modelli di identità e di relazione assimilati dorante l'infanzia e
l'adolescenza risultano spesso, nell'attuale contesto di vita, inapplicabili o inservibili.
A tutto ciò corrispondono e si uniscono trasformazioni più generali: la fine del mondo organizzato secondo la
polarità Est/Ovest e il conseguente estinguersi del "nemico tradizionale",15 l'indebolimento del paradigma politico
sinistra/destra, i processi di integrazione europea e la progressiva sparizione dei confini a essa rclatíva, la
riorganizzazione delle politiche interne nazionali spesso effettuata ai danni dei "paracadute sociali", le trasformazioni
demografiche, l'immersione continua e in molti casi passiva nel "flusso culturale globale" sembrano generare un
disagio esistenziale e materiale, uno sperdimento cognitivo e identitario, che molti dei nostri contemporanei, siano
essi migranti reali o virtuali, faticano a superare. Cosi il fascino esercitato dalla forza e dalla noncomplessità delle
«identità di sostegno»16 di tipo eroicizzante colpisce sempre di più anche coloro i quali vivono la
deterritorializzazione in qualità di autoctoni.
15 J.L. Amselle, Quelques réflexions sur la question des identités collociives en France aulourd'hai, in M. Fourier, G. Vermes (a c. di),
Ethnicisation des rapportò sociaux, L'Harmattan, Paris 1994.
16t G. Devereux, Saggi di etnopsicoanalisi complementarista, Bompiani, Milano 1985.
Le molte nostre storie
Al di là delle variabili e delle discontinuità la cultura europea del passato ha trovato una identità unitaria nella cultura
classica, nel mondo cristiano, nella rivoluzione scientifica galileiana e cartesiana, visti in una successione storica
guidata, a partire dagli ultimi secoli, dall'idea di progresso. Ma come ha scritto Paol Valéry, oggi sappiamo che: «la
storia può anche essere considerata il prodotto più pericoloso che la chimica dell'intelletto abbia elaborato [...]. Fa
sognare, inebria i popoli, produce in loro falsi ricordi, esagera i loro riflessi, mantiene aperte le loro piaghe, li
tormenta nel riposo, li conduce al delirio di grandezza o di persecuzione».
E oggi la nostra storia, attraversata da culture diverse, provenienti da continenti lontani, invasa da informazioni e
immagini che in tempo reale, attraverso i mezzi di comunicazione di massa o le reti elettroniche, provcngono da tutto
il mondo, dove trova la propria identità?
I concetti di identità sono espressioni che non rimandano, su un piano teorico generale e non eurocentrico, alla
storia scritta di questo o di quel gruppo, di questo o di quel periodo, quanto piuttosto alla relazione che ogni gruppo
umano stabilisce tra memoria collettiva e trasmissione culturale. Sono le forme di comunicazione elaborate dalle
istituzioni presenti in un gruppo che forniscono all'individuo sia i materiali che i nuclei di elaborazione per la sua
memoria individuale: è questo rapporto che è in grado di fornire una spiegazione nei processi di trasformazione e di
intensificazione che caratterizzano la memoria collettiva di questo o di quel gruppo, di questo o di quel periodo; è
questo rapporto che caratterizza l'aspetto sociale della memoria. Per ogni gruppo umano gli eventi del passato
raccolti dalla memoria collettiva sono fondamentali per la costruzione della propria unità e della propria specificità:
come ha detto Jan Assman, «le società hanno bisogno del passato in primo luogo ai fini della loro autodefinizione».17
Tutti i nostri "superi" e non la sola storia, tutte le nostre storie e non solo quella dominante in un determinato periodo,
devono essere considerati custodi della memoria intesa come parte del presente: non singolarmente ma nel loro
insieme devono stabilire raccordi e rapporti fra contemporaneità e tradizione; e il compito che è loro affidato riveste
un'importanza che travalica i vantaggi stessi della conoscenza, appartenendo alla sfera della necessità.
Nel pluralismo in cui le giovani generazioni vivono immerse sin dai primi giorni di vita, si originano nuovi localismi,
nuovi "integralismi", e la storia, la tradizione, la religione spesso vengono stravolte o inventate per alimentare odi
profondi o giustificare faide sanguinose. È necessario che il pericolo del presente irrompa negli assetti disciplinari,
piegandoli a costruire - tutti, sia quelli più direttamente legati all'area umanistica sia quelli connessi con le aree
8
"scientifiche" e/o tecnologiche - modelli di formazione che si aprano al. confronto e al dialogo con le molte diversità
che popolano la scena sociale. Per fare un esempio, attraversando più discipline- dalla storia alla letteratura, dalla
storia dell'arte all'economia, dallo studio del diritto alla filosofia -sarebbe facile dimostrare la natura mitica delle
origini delle nazioni, rilevando le molte ambiguità che hanno caratterizzato il loro costituirsi.18 Svelare queste
ambiguità non è solo un'operazione corretta da un punto di vista di analisi critica, ma è anche urgente e necessario-di
fronte alle relazioni conflittuali che nella seconda metà del Novecento, in tutti i continenti, si sono sviluppate,
sconvolgendo e addirittura polverizzando vasti aggregati che per decenni, dopo averli definiti "nazioni", abbiamo
considerato coesi e unitari. Rompere l'unitarietà dell'ic'ica di nazione, api enclo con la documentazione del passato la
prospettiva clella Sila attuale ambivalenza, oltre a clar conto di molte dirlallliclle politiche vclificaiesi nei singoli
conìcsti nazionali, fa emergere la produzione culturale dello minoranze, degli oppressi, dei colonizzati, ponendola in
relazione con la cultura dominante. La prima viene allora strappata dal limbo clell'autoemarginazione protestataria
mentre vengono svelate le funzioni normalizzatrici di ogni rifugio in antiche purezze identitarie. Cosl,
dall'interpretazione del passato viene posto in discussione, nel presente e per il presente, lo schema concettuale che
vede un "centro" immobile che si oppone con la sua superiorità a una "periferia" dolente e sottomessa
17 J. Assman, La memoria culturale, Einaudi, Torino 1997, p. 101.
18.B. Anderson, op. cit.; E. Gelluer, Nazioni e nazionalismi, Editori Riuniti, Roma 1983; A.D. Smith, Le origini etniche delle nazioni il Mulino,
Bologna 1992 A.-M. Thiesse, La Création des ilentités nationales, Éditions du Seuil, Paris 1999.
L'interazione tra "centro" e "periferie" è stata sempre caratterizzata dalla violenza e dal sopruso e nelle periferie si
sono innestati pensieri e azioni che hanno combattuto il "centro", svelando le sue falsità ideologiche. Deve però
essere ricercata e riconosciuta fra questi poli la dialettica complessa, ambivalente e articolata che snodandosi dal
passato giunge sino al nostro presente: oggi il "ccutro" ha perso molte delle sue sicurezze, incapace di garantire
anche al suo interno le promesse di giustizia e di benessere; e le "periferie" lottano a loro volta per divenire "centro",
avendone acquisito strutture conoscitive e modalità di distribuzione del potere.
Il modello della dialettica tra centro e periferia è stato ulteriormente messo in discussione dalle nuove
interdipendenze culturali e dalla globalizzazione economica che ha reso inattuali le tradizionali interpretazioni dei
rapporti tra economia, cultura e politica. In questo panorama anche le imposizioni culturali che provengono da ciò
che in quel momento, per quel particolare fenomeno, può essere considerato il "centro", vengono con granc'ie
rapidità sottoposte da parte delle periferie anche più estreme a un processo di "indigenizzazione": e questo riguarda
ogni aspetto della produzione culturale, dalla musica agli stili delle abitazioni e dei mobili, dai risultati scientifici alle
forme di terrorismo o di interazione politica.
Ma non solo: questa fluidità culturale, oltre a produrre un sistema a un tempo "policentrico" e "poliperiferico",
sottopone i gruppi deboli a influenze molteplici; la Cambogia, per esempio, è sottoposta, al pari di molte altre
"periferie", a un intenso processo di "americanizzazione", ma a questo si affiancano forti pressioni culturali che
provengono sia dal Vietnam, sia dalla Thailandia e dal Giappone.
L'attenzione alla contemporaneità esige la rottura di confini fra modi tradizionali di incasellare la realtà culturale e
quindi di scompaginare le tradizionali barriere tra i diversi sapori; richiede di organizzare le nostre conoscenze, e
quindi quelle dei nostri allievi, per temi e problemi, senza preoccuparci di consolidate gerarchie disciplinari, andando
a cercare nuovi percorsi e nuovi stimoli dagli accostamenti più impensati; e questo non per porre tutti i sapori, tutti i
linguaggi sullo stesso piano, ma al contrario per cercare proprio nel passato e nella tradizione i principi su cui nel
presente si passarlo contemperare l'apertura al dialogo multiculturale e la rivendicazione di valori a cui non si vuole e
non si può rinunciare.
Prendere atto, dunque, della predominanza del presente non è facile né banale: per comprendere ciò che esiste
oggi bisogna esplorare il passato, costruire la genealogia degli avvenimenti che ci circondano e ci sovrastano,
9
fermare le informazioni che freneticamente ci assalgono, per analizzarle, sceglierle e collegarle tra loro per costruirne
il senso e il significato. Come dice Octavio Paz, il presente «è l'oggi e il più antico passato, è il domani e l'inizio del
mondo, ha mille anni e sta per nascere».
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