Untitled - Barz and Hippo
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Untitled - Barz and Hippo
scheda tecnica durata: 113 MINUTI nazionalità: GRAN BRETAGNA anno: 2010 regia: NIGEL COLE sceneggiatura: WILLIAM IVORY scenografia: ANDREW MCALPINE, ANNA LYNCH-ROBINSON musica: DAVID ARNOLD montaggio: MICHAEL PARKER produzione: ELISABETH KARLSEN, STEPHEN WOOLLEY distribuzione: LUCKY RED attori: SALLY HAWKINS PASSINGHAM), (RITA MIRANDA O’GRADY), BOB RICHARDSON HOSKINS (BARBARA (ALBERT CASTLE), GERALDINE JAMES (CONNIE), ROSAMUNDE PIKE (LISA HOPKINS), ANDREA RISEBOROUGH (BRENDA), DANIEL MAYS (EDDIE O’GRADY), JAIME WINSTONE (SANDRA), KENNETH CRANHAM (MONTY TAYLOR), RUPERT GRAVES (PETER HOPKINS), ROGER LLOYD-PACK (GEORGE), RICHARD SCHIFF (ROBERT TOOLEY), LORRAINE STANLEY (MONICA), NICOLA DUFFETT (EILEEN), MATTHEW AUBREY (BRIAN), PHILL CORNWELL (DAVE), KAREN SEACOMBE (MARGE), THOMAS ARNOLD (MARTIN), SIAN SCOTT (SHARON O’GRADY), ROBBIE KAY (GRAHAM O’GRADY) la parola ai protagonisti Alessia Starace intervista Nigel Cole Mr. Cole, perché ha sentito il bisogno di oggi fare un film come questo? Nigel Cole: Volevamo celebrare ciò che hanno fatto queste donne ormai 42 anni. La loro storia non è affatto nota in Inghilterra ma meritava di essere ricordata e celebrata, perché si è trattato di un'impresa fantastica. Il film è anche un'opportunità per ricordare che è giusto, anzi doveroso lottare per i propri diritti, e che è possibile imporsi anche con i governi e con i potenti. E naturalmente volevamo anche riaprire il dibattito sull'uguaglianza professionale, che, come ben sappiamo, è ancora un obiettivo da conquistare: anche se in molti paesi la parità salariale è tutelata dalla legge, è anche vero che le donne sono spesso relegate ad alcuni ambiti con opportunità più limitate. Quella di Dagenham è stata una battaglia vinta, ma la guerra è ancora da combattere. Elizabeth Karlsen: L'argomento è molto attuale in questo momento in Inghilterra, perché i tagli al settore pubblico stanno colpendo soprattutto le lavoratrici. Per questo il taglio di decine di migliaia di posti di lavoro è considerato un atto di discriminazione. Il film è stato girato non a Dagenham ma in Galles, come mai? Nigel Cole: E' stato necessario, perché lo stabilimento Ford ha chiuso da anni, e anche la fabbrica Hoover, dove il film è stato girato, stava chiudendo proprio in quei giorni. Nella scena di apertura di We Want Sex, molte delle donne che si vedono sono vere operaie della Hoover che avevano appena perso il posto. Questo ha aiutato molto a creare ulteriore autenticità. Questa storia avrebbe potuto essere narrata con toni molto diversi, anche drammatici; come ha trovato un equilibrio tra dramma e commedia? Nigel Cole: Il film è narrato con leggerezza perché è così che queste donne hanno vissuto la vicenda. Per loro era un piacere lavorare lì, nonostante le condizioni in cui erano costrette a farlo. Non gli importava doversi spogliare d'estate per il caldo insopportabile o gelare d'inverno, era una gioia stare insieme ed erano contente del loro lavoro: e poi l'eccitazione dell'impresa ha fatto il resto, grazie alla naturale connessione con la vita che caratterizza le donne. Volevamo raccontare la storia come la raccontano loro stesse, e farne un film adatto a un grande pubblico perché tutti potessero conoscere le loro storia. Una delle cose che più mi hanno colpito è stata la mancanza di vanità di queste donne, se oggi succedesse una cosa del genere i protagonisti pubblicherebbero libri o finirebbero in TV, diventando malati di popolarità, mentre loro semplicemente tornarono al lavoro. Non volevano niente per sé, ma solo ottenere ciò che era giusto. Oltre a trasmettere questo, volevo anche fare un film commovente. E' una cosa che cerco di fare con ogni mio film. Mi dà una grande soddisfazione vedere il pubblico che ride, perché significa condividere qualcosa, essere uniti, e credo che quando si riesce a fare ridere si riesce anche a commuovere di più, è come se si abbassassero le difese. Queste donne sono naturalmente divertenti, hanno un tipico humour inglese da working class. Già con Calendar Girls lei aveva dimostrato di amare le storie al femminile. Come mai preferisce le storie di donne? Nigel Cole: Mi piacciono le donne e mi piacciono le storie che mi ispirano, che comunicano qualcosa: e le storie di inseguimenti, sparatorie, e persone che non sanno esprimere i propri sentimenti non mi comunicano nulla. Non scelgo storie di donne, scelgo le storie che mi attirano, e capita spesso che siano al femminile. Da dove arriva il subplot con protagonista il ministro Barbara Castle? Nigel Cole: Abbiamo usato i diari della signora Castle, e poi giornali e documenti d'epoca. Nel film volevamo suggerire il dilemma di tanti leader del partito laburista, anche quelli attuali, conciliare le esigenze dell'economia con la necessità di salvaguardare i lavoratori. Barbara Castle fu un grande politico, e sarebbe stato bello se la prima donna Primo Ministro fosse stata lei e non Margaret Thatcher. Una delle cose più belle dello script di Ivory è stato il parallelo tra tre donne molto diverse, l'operaia in sciopero interpretata da Sally Hawkins, la trophy wife interpretata da Rosamund Pike, e la signora Castle, nel ruolo della quale ho avuto l'onore di dirigere Miranda Richardson. C'è un parallelo in particolare tra We Want Sex e Calendar Girls: una protagonista forte che viene coinvolta in qualcosa di grande e importante che la allontana da casa, creando grossi problemi alla famiglia. E' un problema reale per le donne che cercano di combinare qualcosa nella vita: secondo lei c'è una soluzione? O l'unica è sposare un uomo comprensivo come quello di Sally Hawkins nel film? Nigel Cole: E' vero, in effetti il personaggio del marito di Sally Hawkins è un uomo che cerca di collaborare, di aiutare la moglie, ma non sa bene come farlo. Sappiamo che dobbiamo cambiare, ma non è facile per gli uomini, perché ci mancano proprio i modelli, e non credo che è un problema che si risolverà prima di qualche altra generazione. Io sono un regista, ho lavorato anche a Hollywood, e ho due figli piccoli che mi mancano moltissimo quando lavoro, quindi capisco il problema e non fatico a immedesimarmi con i personaggi che vivono questa situazione. Sono persone qualsiasi coinvolte in qualcosa di grande e importante, e mi piace pensare che anche io lo sono. Il film in originale si chiama Made in Dagenham, ma in lavorazione il titolo era uguale a quello della versione italiana, We Want Sex. Perché l'avete cambiato in Inghilterra? Nigel Cole: Io ero un po' preoccupato per quel titolo, perché non mi piaceva molto l'idea di associare il sesso alle donne, dato che è una cosa fin troppo automatica. Un altro titolo in considerazione è stato Dagenham Girls, ma era troppo simile a Calendar Girls, sarebbe sembrato un sequel sui poster! Quindi abbiamo optato per Made in Dagenham, ma molti paesi oltre all'Italia hanno riadottato We Want Sex. A tanti anni dal 1968, la parità salariale non è ancora una realtà in molti paesi, e ancor meno le pari opportunità. Prendiamo ad esempio la sua professione: come mai ci sono così poche donne registe? Nigel Cole: E' difficile rispondere a questa domanda, è vero che ce ne sono poche, ma ce n'è di più di prima. Io ho avuto diverse collaboratrici per questo film, avevamo anche una donna elettricista - e tutte erano pagate quanto gli uomini! Credo che sia legato al discorso che facevamo prima: questo è un mestiere che ti allontana troppo a lungo dalla famiglia, per me è difficile e per le donne è più difficile, ci sono troppe cose a cui bisogna rinunciare. Conosco tante donne che erano nell'industry ma per queste ragioni a un certo punto hanno dovuto abbandonare. Credo però che le cose piano piano stiano cambiando, o almeno lo spero. Ci vuole dire qualche cosa del suo prossimo progetto? Nigel Cole: Stiamo ultimando un film intitolato Rafta Rafta, scritto dallo sceneggiatore di East is East e dedicato alla vita degli indiani in Inghilterra. E' un po' diverso per me visto il tema, ma c'è la tipica combinazione di risate e lacrime di un film di Nigel Cole... Nigel Cole Regista britannico televisivo e cinematografico, è un vanto della propria nazione che grazie a lui nel 2010, arriva fino al Festival di Cannes con We Want Sex. Conosciuto anche in America per aver diretto la commedia romantica Sballati d'amore – A Lot Like Love con Aimee Garcia,Taryn Manning, Amanda Peet e Kathryn Hahn, fa negli Stati Uniti le sue esperienze più inquietanti. Gli Studios, come spesso avviene in questi casi, lo riducono a un mero regista tecnico e niente di più. Fa sicuramente i suoi film più piacevoli e migliori in patria, utilizzando il meglio del meglio della scena britannica. Ricco di humour, tenero e spiritoso, intelligente e sensibile, gioca con fatti veramente avvenuti in Inghilterra, affrontando temi come l'uso di hashish e la gratuita nudità. Irresistibile e molto molto british. Nigel Cole, classe 1959, inizia la sua carriera nel 1980 dirigendo programmi tv e documentari (In the Wild, 1996-1998 con Julia Roberts, Meg Ryan e Richard Dreyfuss), per la Central Independent Television. Negli Anni Novanta scrive con Arthur Smith il dramma "Sod". Parallelamente, comincia a lavorare anche in televisione dirigendo episodi di telefilm come Peak Practive (1997-1998) con Gary Wicks e Cold Feet (1998) con James Nesbitt. Passa al grande schermo con la pellicola L'erba di Grace (2000), ispirato a una storia vera. Durante le riprese del film, Cole riesce persino ad avere dal governo britannico il permesso di avere 150 piante di marijuana sul set, il tutto ovviamente sotto la supervisione delle autorità. La pellicola vince il World Cinema Audience Award al Sundance Film Festival e Cole viene nominato al British Independent Film Awards come miglior regista. A seguire, sempre tratto da una storia vera, arriva Calendar Girls (2003), storia delle donne membri del Women's Institute che decidono di posare nude per un calendario. Nel frattempo il regista co-fonda e diventa direttore della Playwrights Theatre Company, portando al Bristol Old Vic opere come "London Calling" (1985) e "The Return of the Magic Roundabaout" (1991). Chiamato in America, i produttori statunitensi gli affidano la regia di Sballati d'amore – A Lot Like Love (2005) con Ashton Kutcher, Amanda Peet e Jeremy Sisto. Una commedia rosa non molto brillante che racconta l'inseguirsi amoroso di una coppia conosciuta in aereo. La pellicola piace alla generazione MTV, ma non al resto del mondo. Ai produttori basta, e nel 2008 gli offrono di lavorare a un progetto che sarebbe dovuto essere diretto da Nick Cassavetes prima e da John Currano poi: $5 a Day (2008) con Christopher Walken e Sharon Stone. Il film è un flop clamoroso. Dopo queste due esperienze nelle rigide meccaniche hollywoodiane, torna in Inghilterra e dirige We Want Sex (2010), politicamente più impegnato degli sciocchi soggetti che i produttori americani gli proponevano. Filmografia (1994-98) In the Wild (serie tv) (2003) Calendar Girls (1997-98) Peak Practice (serie tv) (2005) Sballati d’amore – A Lot Like Love (1998) Cold Feet (serie tv) (2008) $ 5 A Day (2000) L’erba di Grace (2010) We Want Sex (2000-02) Nature (serie tv) Recensioni Roberto Nepoti – La Repubblica We want sex Regia di Nigel Cole Con Rosamunde Pike Bob Hoskins Commedia operaia imperniata su un episodio autentico del ' 68. Fondamentale, ma assai meno noto del maggio francese. Nella fabbrica Ford di Dagenham, Essex, 187 operaie "non qualificate" entrano in sciopero per ottenere parità di diritti e di salario con gli uomini. Una loro scritta proclama "we want sex equality"; ma l' ultima parola rimane nascosta, facendo risuonare la rivendicazione come "vogliamo sesso". Il regista Nigel Cole ("L' erba di Grace", "Calendar Girls") si avvale di una meticolosa ricostruzione d' epoca - dagli abiti ai colori, allo stile dei film prodotti nei tardi anni Sessanta - oltreché di un cast a prova d' errore. Massimo Bertarelli – Il Giornale Eccolo il miglior film della stagione. Una sciccheria, una delizia. Questo sì da non perdere. Una commedia di purissima stoffa inglese in zona Full Monty o Grazie, signora Thatcher. Per carità, non fatevi fuorviare dallo spiritoso titolo, volutamente malizioso. We Want Sex è soltanto una parte dello striscione inalberato dalle tenaci protagoniste: gli manca la quarta parola, Equality, piegata dal vento, quindi non Vogliamo sesso, come potrebbe sperare un frettoloso fan di Tinto Brass, ma Vogliamo la parità dei sessi. Soprattutto in senso salariale. Il regista Nigel Cole è uno che maneggia bene l’umorismo e una con estrema cura i guanti bianchi, come dimostrano almeno due dei suoi film precedenti, Calendar Girl e L’erba di Grace. La storia (vera) si svolge a Dagenham, nell’Essex, contea orientale dell’Inghilterra, nel maggio del 1968. Nella fabbrica della Ford, accanto ai 55 mila operai uomini, sgobbano 187 donne, addette alla cucitura dei sedili. È un’ala fatiscente, dove fa un caldo infernale, tanto che spesso volano via le camicette e restano i reggiseni. Un lavoro faticoso, ma considerato non qualificato, per antica consuetudine pagato la metà di quello dei maschi. Finché un bel giorno la giovane e battagliera madre di famiglia Rita O’Grady (Sally Hawkins, che attrice!) è la prima a tuonare il suo basta, subito spalleggiata dalle più ardite tra le colleghe, come Connie, Brenda e Sandra. L’ambiguo capo della commissione interna Mont Taylor le ostacola, fingendo do appoggiarle, al contrario del compiaciuto, anche se non proprio cuordileone, sindacalista Albert (Bob Hoskins). Pretendiamo la parità e chiederemo al ministro del Lavoro Barbara Castle (Miranda Richardson). O sarà sciopero a oltranza. Si ride spesso, anche se in un paio di scene le lacrime sono in agguato, ma la regia, secca e senza fronzoli, è pronta a mutare rotta appena si sfiora la commozione. Se non è un capolavoro, poco ci manca, grazie anche a un cast straordinario, per talento e simpatia. P:S: Finalmente quando si parla di Escort s’intendono le auto e basta. Cristina Piccino – Il Manifesto We Want Sex cioè come raccontare lotte operaie e per i diritti all’eguaglianza, stessa paga a uomini e donne perché sono come i colleghi maschi, in chiave di commedia a orchestrazione perfetta, sensibilità, umorismo, commozione, risata e paradosso mescolati senza sbagliare un singolo «ingrediente», un cast magnifico e un ritmo trascinante. Gran Bretagna, 1968. Il mondo sta per esplodere e le operaie delle Ford di Dagenham decidono di scioperare, le pagano meno discendo che non sono specializzate ma appena fermano la produzione di fodere dei sedili l’intera macchina si arresta, la verità è che la paga è diversa perché sono donne e anche il sindacato dipinto in modo poco lusinghiero) è pronto al compromesso. Lo sciopero va avanti e si estende nel resto del paese divenendo una battaglia per l’eguaglianza non solo in fabbrica. Guidate da Rita (Sally Hawkins) le operaie si confrontano con le loro paure e contraddizioni, ma, soprattutto, col fatto che questa lotta coinvolge la loro vita personale di donne, i rapporti familiari, i mariti che si stancano delle loro assenze e che le colpevolizzano perché fermando la produzione mettono a rischio pure i loro stipendi... Nigel Cole è un regista che predilige le figure femminili (sua L’erba di Grace), e qui concentrandosi su un fatto vero – nei titoli di coda, vedremo le operaie di allora – riesce a disegnare senza retorica una battaglia che non è eroica ma «umana» e che come tale comporta momenti di sconforto e cedimenti... La scrittura è fondamentale perché filmare il lavoro non è cosa facile, anzi sembra esserci quasi una idiosincrasia tra il cinema e il lavoro, ancora più strana pensando che la sua origine è nelle riprese dei Lumière davanti all’uscita dei loro stabilimenti. O forse questa messinscena, è causa dell’impasse... Cole, che è anche bravissimo a ricostruire l’atmosfera dell’epoca in modo non solo vintage, è attento a mantenere la relazione tra la fabbrica – la sezione delle operaie temutissima dai colleghi uomini specie i più giovani con l’eccezione del sindacalista Bob Hoskins, dalla loro parte perché cresciuto da una madre operaia – e la dimensione familiare, le ambizioni, i sogni segreti. Con intuizioni fulimanti: il titolo italiano viene dallo striscione che le operaie esibiscono davanti a Buckingham Palace: «We want sex equality» ma il vento fa vacillare l’ultima parte... Oppure il dialogo tra Rita, con un fantastico Biba rosso che le ha prestato la molto chic moglie del capo della Ford di cui è divenuta amica, e l’allora ministro del lavoro britannico Barbara Castle, che si opporrà al ricatto americano accogliendo le rivendicazioni delle operaie: «Un Biba?» dice il ministro. E Rita: «Sì. Il suo è C%A vero? Ce l’ho uguale». È grazie a questi dettagli che il film si libera dall’impasse di cui si diceva, la rappresentazione del mondo operaio quasi sempre rigida e codificata. Pure se Cole sa iniettarvi la realtà, l’atmosfera dell’epoca, il dopoguerra con le ferite ancora dolorose, e il fascino (pericoloso) del boom. Alessandra Levantesi – La Stampa We Want Sex è una deliziosa commedia realizzata sul modello di quel cinema inglese capace di coniugare con leggerezza umorismo e impegno sociale: pensiamo a Ken Loach e, soprattutto, a Mike Leigh. Alla base un fatto vero avvenuto nel fatidico 1968: quando le 187 operaie dell’officina Ford di Dagenham osarono sfidare il colosso americano, i sindacati, il primo ministro laburista Wilson e il malcontente dei mariti, organizzando uno sciopero duro per ottenere un salario equiparato a quello maschile. Ben ambientato, recitato con la naturalezza della vita da un bel cast in cui svettano Sally Hawkins e Bob Hoskins, We Want Sex è insieme nostalgico e attuale. Lungi dall’essere superati, i problemi di ieri riemergono in forma peggiorativa nel mondo globalizzato di oggi, ma (ci ricorda il film) ad avere il coraggio di combattere, rischia che magari si strappa una vittoria. Fabio Ferzetti – Il Messaggero Sembrava lotta di classe, invece era guerra dei sessi, proprio così, solo che quella volta non si combatteva in casa ma in fabbrica (che poi era “la” fabbrica: la Ford). E a battersi per ottenere pari diritti e compenso era un pugno di operaie giovani, agguerrite, incredibilmente unite. Ma soprattutto abbastanza inesperte da infischiarsene della politica e di strategie sindacali. Dunque destinate, oggi sembra incredibile, alla vittoria. Il tutto nel fatidico 1968, che in Inghilterra evidentemente fu tutta un’altra cosa. Applaudito poche settimane fa al festival di Roma sotto il titolo furbacchione di We Want Sex ( in originale si chiamava Made in Dagenham, che non fa venire esattamente l’acquolina in bocca), il nuovo film diretto dal regista di Calendar Girls e L’erba di Grace, Nigel Cole, è un perfetto esempio di quelle commedie sociali nei quai gli inglesi sono maestri (ma per favore lasciamo in pace Ken Loach, che ha ben altre ambizioni). La formula è collaudata. Prendi un gruppo colorito e decisamente, orgogliosamente minoritario (disoccupati, pensionati, emigranti). Cucigli addosso una vicenda di lotta e riscatto, meglio se vera. Scegli attori (qui attrici) irresistibili, che nel Regno Unito non sono certo una rarità, e il gioco è fatto. Le operaie toste e simpatiche di We Want Sex hanno il merito supplementare di essere guidate dalla carismatica Sally Hawkins, un metro e mezzo di grinta e dolcezza che riesce a fare la guerra in fabbrica senza neanche mandare a rotoli la famiglia. Conquistandosi per giunta le simpatie di una ministra, l’unica che capisce cosa passa per la testa di quelle operaie confinate nell’ala più fatiscente della fabbrica e decise ad ottenere parità salariale, cosa assolutamente inaudita all’epoca (Miranda Richardson con chioma alla Thatcher, ma il personaggio che interpreta si chiamava Barbara Castle). Per poi conquistare alla causa, potenza della solidarietà femminile, perfino la moglie del grande capo, che da brillante laureata, ingioiellata e frustrata (serve gli aperitivi al maritino) scavalca d’un balzo le rigide differenze di classe britanniche per portare conforto alle operaie in sciopero. Tanto da andare a trovare la leader nella sua casa di ringhiera, prestandole perfino un tailleurino rosa di Biba, nome mitico di quegli anni, per non sfigurare con la ministra. Naturalmente ogni licenza è permessa: We Want Sex (il titolo nasce da uno striscione srotolato a metà) non è un documentario, anche se sui titoli di coda sfilano le vere operaie, ieri e oggi (ed erano molto meno allegre delle loro interpreti). L’essenziale è non dimenticare mai lo sguardo maschile, nelle sue varie declinazioni, su quella lotta e sul mondo che svela. È un film che affida il lato migliore di quello sguardo a Bob Hoskins, il delegato sindacale incantato dal coraggio e dalla faccia tosta delle sue colleghe, è un film che si fa amare da tutti. Senza distinzioni di sesso e di età.