PDF - Spaghetti Writers

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Mater dolorosa
Dino Ranieri Scandariato
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«Mi perdoni, padre, poiché ho peccato.»
«Da quanto tempo non ti confessi, figliola?»
«Non saprei dire con esattezza quando è stata l’ultima volta, padre: è passato molto tempo.»
«Molti anni?»
«Sì, è così. Ricordo bene che allora la confessione mi sembrava solo uno spreco di tempo. Ero una specie
di santa, padre: non peccavo mai. Vede, nell’istituto di suore in cui ho passato la mia adolescenza era
regola inderogabile confessarsi ogni sabato. Ricordo che una volta confessai di non aver mai peccato:
“Impossibile!” disse il confessore “Tutti peccano, nessuno escluso. Tu mi stai certo nascondendo
qualcosa. Di’ la verità: si tratta di atti impuri, non è così?” Ebbene, ogni settimana, ero costretta a
inventarmi colpe che non avevo mai commesso per salvaguardarmi dal suo disprezzo.»
«Un vero paradosso, figliola, perché proprio in tal modo cadevi nel peccato: non era la tua confessione
una forma di falsa testimonianza? Vedi, quel padre confessore aveva ragione, non c’è età che si possa
considerare esente dalle debolezze della carne. Noi uomini cadiamo nel peccato nel momento stesso in
cui veniamo concepiti.»
«La storia del peccato originale?»
«Esatto. Riproducendosi, l’uomo perpetua la triste colpa di Adamo ed Eva.»
«E i serpenti, copulando, perpetuano l’orgoglio sacrilego di Satana. Sì, la conosco, è una storia nota…»
«Non è una storia qualunque: è la Genesi…»
«La genesi del senso di colpa, padre. Adamo ed Eva disobbedirono a Dio nel momento esatto in cui si
impadronirono della conoscenza del bene e del male, dunque quando svilupparono il senso di colpa,
dico bene? La colpa fu avere il senso di colpa. Un po’ come è successo a me, padre… da quando ho
sviluppato il senso di colpa, vivo in una perenne colpa.»
«Figliola, il tuo ragionamento non tiene conto di un fatto essenziale: la colpa è ontologicamente
precedente al senso di colpa, così come l’esse, “l’essere”, precede ontologicamente il cogitare, “il
pensare”. Come ha scritto Giovanni Paolo II, è colpa di Cartesio aver invertito il legame logico tra
gli elementi della relazione.»
«Una colpa, ha detto bene.»
«Ma lasciamo perdere questi discorsi. Piuttosto parliamo di te, figliola. Evidentemente c’è qualcosa che
turba la tua anima. Vuoi parlarmene?»
«Son qui per questo, padre.»
«Dunque di’, cos’è che scatena il tuo senso di colpa?»
«Ho concepito, padre.»
«Hai concepito?»
«Sì.»
«Cioè sei incinta?»
«Sì.»
«Tutto qua? Be’, ma… è meraviglioso, figliola! Congratulazioni.»
«Lo dice come se fosse la cosa più bella del mondo, padre… concepire è un abominio!»
«Ma perché dici ciò, ragazza mia?»
«L’ha detto lei, padre: riproducendosi, l’uomo perpetua la triste colpa di Adamo e Eva.»
«Be’, sì… ma, ecco, concepire in sé non è un peccato.»
«Dipende da come si concepisce.»
«A cosa alludi esattamente?»
«Sono una puttana, padre.»
«…»
«Padre, c’è ancora?»
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«So cosa stai per dirmi, figliola...»
«Davvero, padre?»
«Credo di sì. Adesso mi dirai che, nonostante la Chiesa vieti l’aborto, tu abortirai perché sei costretta ad
abortire. Così come un tempo ti confessavi perché eri costretta a confessarti. Perché hai vissuto tutta la
vita nella costrizione. Mettere al mondo una creatura di Dio ti costringerebbe a lottare, a ribellarti alle
catene cui sei legata, ma tu, cara ragazza, ti sei già rassegnata alla prigionia del peccato e hai
abbandonato ogni speranza di salvezza. Sai benissimo che tutto ciò è ingiusto. Ma non intendi fare nulla
per cambiare in meglio la tua vita. Vorresti essere madre, ma non puoi esserlo: soffocherai tuo figlio e
intanto il senso di colpa ti sta già soffocando. Ecco cosa stai per dirmi. Non è la prima volta che mi
ritrovo dinanzi ad una… mater dolorosa.»
«Perdoni la risata, padre. La metta pure nel conto dei miei peccati. Evidentemente lei non è uno
sprovveduto: sa benissimo cosa è tenuto a dire in casi come questi. Mi complimento per la predica
imparata a memoria. Però niente di tutto ciò rientra in ciò che sto per dirle.»
«E allora cos’è che stai per dirmi?»
«Che ho un dubbio…»
«Un dubbio? Cioè?»
«Da quanto tempo non si confessa?»
«Mi confesso molto spesso…»
«E confessa tutto?»
«Che vuol dire?»
«C’è qualche peccato che non ha mai confessato?»
«Non capisco il motivo della domanda.»
«Non si preoccupi, il motivo le sarà presto chiaro. Forse lo ha già intuito.»
«Non capisco di cosa sta parlando.»
«È forse mentalmente ritardato?»
«Eh? Ma come si permette?»
«Finiamola con le stronzate, padre: il suo peccato grida vendetta al cospetto di Dio!»
«Ma di che diavolo mi sta accusando, si può sapere?»
«Lei si ostina a far finta di non capire. E va bene, l’ha voluto lei: le racconterò una parabola, così il
messaggio le sarà più chiaro. Un’anonima notte di sei mesi fa un vecchio al di sopra di ogni sospetto ha
offerto a una puttana una cifra spropositata per soddisfare l’irrefrenabile e perversa libidine che da
tempo gli divorava l’anima: perpetrare ogni forma di sodomia catalogata e proibita dai trattati di
teologia morale…»
«Mio Dio…»
«Sebbene inesperta di teologia morale, la puttana accettò la proposta e il vecchio la condusse in una
piccola fattoria fuori città, un posto ideale per dar libero sfogo agli istinti animali. Per la puttana fu un
lavoro come tanti altri – solo l’ennesimo esercizio di totale apatia – almeno fino a quando il vecchio non
le disse che mancava… la sodomia cum brutis. Al che la puttana chiese… chiese “e che cos’è la sodomia
cum brutis?” e il vecchio per tutta risposta uscì fuori dalla casa e… oh, dannate lacrime… e tornò
dentro con un… con un… oh Dio! Era uno schifoso caprone!»
«…»
«La puttana si ribellò. Fu colpita. Il vecchio disse che, se non avesse fatto la brava, sarebbe stata punita
severamente. Lo disse brandendo un coltello. E con un coltello stretto alla gola… la puttana si lasciò
incatenare e… mentre lei piangeva e piangeva e piangeva supplicando un po’ di pietà, il vecchio rimase
a guardare e intanto, intanto non la smetteva di masturbarsi. In verità, padre, in verità le dico: io ero la
puttana e quel vecchio, bastardo d’un maniaco, eri tu!»
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«…»
«…»
«Come, come mi hai trovato?»
«La teologia morale, padre… solo un sacerdote può passare tanto facilmente dal citare san Tommaso
d’Aquino all’eguagliare le creature più brutali di questo mondo! Il resto è stato facile…»
«Vuoi ricattarmi, non è vero?»
«Ricattarti? No, non servirebbe…»
«Allora sei venuta per uccidermi…»
«Desidero la tua morte con tutto il cuore. Ma non voglio ucciderti.»
«…»
«…»
«Ma allora perché sei qui?»
«Perché mi serve il tuo aiuto.»
«Come? Il mio aiuto?»
«È per il bambino che porto in grembo.»
«E che c’entro io con quel figlio di puttana?»
«Ecco, guardala attentamente…»
«Che cos’è?»
«Un’ecografia fatta la settimana scorsa…»
«Che vuol dire?»
«Guardala attentamente…»
«Passamela sotto quella fessura, dalla grata non riesco a vederla.»
«Noti niente?»
«Che dovrei notare?»
«Guarda a destra! Vedi quelle macchie nere sporgenti a forma di zoccolo?»
«Che roba è?»
«Sono piedi caprini…»
«…»
«È tuo figlio, padre.»
«Oh Dio!»
Dio. Questa parola m’ossessiona.
Il vecchio l’aveva sussurrata con un filo di voce, ma quel che percepii io fu un vero urlo di disperazione.
In quell’angusto confessionale tu, una puttana, gli avevi confessato la verità. Gli avevi detto che eri
incinta di suo figlio.
«Devi abortire. Immediatamente.»
«Ci ho provato, ma è successo qualcosa…»
«Che vuol dire?»
Gli raccontasti tutto il resto della storia. Tutto quello che a mia insaputa avevi fatto contro di me.
Inutile dirti la mia sorpresa quando raccontasti dell’iniezione alla pancia. Il veleno era potente, ma
l’aborto non riuscì. Il feto era miracolosamente sopravvissuto alla disinfestazione. Ripetesti il
trattamento. Il veleno era potente, ma anche dopo una giornata di diarrea, mamma, io ero ancora
dentro di te.
«Non se ne vuole andare…»
«Dio onnipotente…»
Il vecchio si grattava le tempie con una smorfia di sofferenza.
«La colpa, padre, la colpa è solo tua…»
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«Dio onnipotente, perdonami, ti prego! Perdonami!»
«Dio non ti perdonerà. Non lo capisci? Siamo stati dannati. La nostra anima è già morta.»
«Cos’ho fatto?»
«Devi aiutarmi…»
«Quella cosa che porti in grembo non è un uomo…»
«Tutto suo padre.»
«Tu non ti rendi conto: quel mostro… dobbiamo fare in modo che non nasca. C’è un protocollo
particolare per casi come questo.»
Disse che voleva aiutarti a estirpare quel mostro. Ma tu sapevi che le mie radici erano profonde, così
profonde da toccarti direttamente il cuore. Non volevi ammetterlo, ma più avevi fallito nell’uccidermi,
più ti eri innamorata di me. Sì, ero un feto deforme, ero l’incarnazione dei più reconditi abissi
dell’animo umano, ma ero pur sempre una creatura innocente, innocente come gli angeli. E tu,
mamma, tu, un angelo travestito da puttana, lo sapevi, sapevi che, sebbene stessi per decadere
all’inferno, nell’impasto del tuo grembo osceno fermentava serafica una stilla di paradiso.
«Devo esorcizzarti.»
«Esorcizzarmi?»
«Sì.»
«E che mi farai?»
«Dovrò farti del male.»
«…»
«Ucciderti, se necessario.»
«…»
«Che ti succede?»
«Lo sento muoversi.»
«Cosa?»
«Si sta muovendo! Mi fa male!»
«Dio santo! Lui…»
«Non riesco a respirare…»
«Capisce quello che diciamo!»
«Ah, e adesso…? Ahi! Ah… padre? Padre! Dove sei?»
Quando ti mise le mani addosso, stringendole sul tuo bel collo, capii che il tuo inconscio amore che
fino ad allora mi aveva salvato non avrebbe vinto quella barbarie. E per la prima volta, impaurito,
svenni.
Mi risvegliai che eri legata al tabernacolo, nuda. Alcune fasce legate strette attorno allo stomaco. Le
sentivo comprimermi e, vittima nella vittima, cercavo di farmi più piccolo tremando all’idea di ciò che
stava per capitarci. Lui era sopra di te e teneva con ambo le mani un grosso crocifisso d’argento.
«No, aspetta!»
«Mentre ti picchio, prega…»
Innalzò il crocifisso e, pronunciata una formula latina, con tutta la forza che aveva in corpo assestò il
colpo sulla tua pancia. Sentii un dolore inaudito soffocare quel corpicino di cui ancora non avevo
percezione e il mio piccolo cuore, sballottato come una campana, rintoccava sanguigne note di terrore.
Ma quel che più mi colpì fu il tuo urlo, mamma. Quell’urlo lanciato anche per me che, muto, non avrei
potuto gemere.
«“Ave, o Maria… piena di grazia!”»
Quell’urlo ripetuto anche quando lui ci picchiò una seconda…
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«“Il signore è… ah… con te! Tu, tu sei la benedetta… tra le donne!”»
Una terza…
«No! No! Ti prego, basta…»
«Prega, donna!»
«“Benedetto il frutto… del tuo seno… Gesù!” Ah!»
Una quarta…
«Ti prego! No! Ah! “Santa Maria… madre di Dio… prega per noi peccatori!”»
Una quinta volta con violenza crescente. E mentre mia madre urlava, imploravo Dio:«“Dio, se
veramente esisti, perché non poni fine a tutto questo? Perché, perché vuoi questo strazio?”». Ma se
veramente Dio esistesse, io non sarei mai stato concepito. Io sono stato concepito. E tu, Dio, tu non
esisti. Fu quello il momento in cui lo capii, e vedendo il tabernacolo rilucere d’un miscuglio di liquido
amniotico e sangue capii pure che come me così anche l’umanità, l’intera umanità, non meritava di
esistere. Giurai allora che se fossi nato, se avessi visto la luce, avrei dedicato ogni istante, ogni respiro, al
trionfo della tenebra.
«Finisci la preghiera…»
«No, ti prego… ti prego, fermati!»
«FINISCI, PUTTANA!»
«“ADESSO… E NELL’ORA DELLA NOSTRA MORTE!”»
Papà stava per assestare il sesto colpo, quello fatale, quando con ciò che ti restava dell’istinto di
sopravvivenza, contorcendoti come un’ossessa, facesti tremare il tabernacolo, quindi il pavimento, poi la
chiesa tutta. Qualcosa di indicibile si stava scatenando.
«Ma cosa?»
Si squarciò in un boato la navata, si frantumò con violenza l’intrico delle pietre d’angolo, quindi le
spesse pareti dell’architettura sacra collassarono come cartapesta. I vincoli erano caduti dal tabernacolo.
La donna si era scatenata. Spaventato da quell’immensa forza tellurica, papà cadde per terra. E mentre
stava per rialzarsi, si ritrovò davanti una nuda menade panciuta che schiumava bava e roteava le pupille
impazzite.
«Vade… vade retro!»
Ma lei non capiva il latino e, brandito il suo crocifisso, lo colpì ripetutamente ai testicoli convincendolo
che in confronto marcire all’inferno sarebbe stato come godersi il paradiso.
«Donna, non sai… quel che stai facendo…» sospirò sputando sangue: «tuo figlio è l’Anticristo… se non
verrà soppresso sarà la fine per l’umanità!»
«Potrebbe essere il mostro più orrendo mai apparso sulla faccia della terra, il Male in persona, non
m’importa: è mio figlio. E io lo farò nascere, anche a costo di scatenare l’Apocalisse!»
Poi gli spaccasti il cranio con il crocifisso.
«Amen, padre!»
Ricordo le tue carezze. Ricordo come, cantandomi in lacrime una sorta di ninnananna, accarezzasti il
tuo ventre spaurito e martoriato. E la paura che mi aveva avvinto svanì come un incubo quando sorge la
stella del mattino. Così, cullandomi, uscisti nuda, fradicia di sangue, dalla chiesa in rovina.
La mia mamma, pensai. Non c’è niente di più bello al mondo.
Niente.
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