PIETRO SELVATICO ESTENSE (1803-1880) Figura

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PIETRO SELVATICO ESTENSE (1803-1880) Figura
PIETRO SELVATICO ESTENSE (1803-1880)
Figura di spicco nel panorama artistico italiano del XIX secolo, Pietro Selvatico nacque a
Padova nel 1803.
Dopo aver intrapreso gli studi di legge all’Università di Padova, si dedicò allo studio
dell’architettura sotto la guida di Giuseppe Jappelli e completò la sua formazione svolgendo
alcuni importanti viaggi in Europa, a Parigi, a Londra, a Monaco e a Düsseldorf, frequentando
gli esponenti della cultura romantica e neocattolica europea.
Contestualmente a queste prime esplorazioni, iniziò anche la sua attività come storico e
critico d’arte e dei problemi di architettura e d’ornato e si dedicò alla storia e teoria del
restauro e alla ricognizione dei beni artistici, con particolare predilezione per il
Neomedievalismo, in chiave anticlassica e romantica.
In pieno periodo risorgimentale, teorizzò come stile architettonico nazionale negli edifici
religiosi il Neoromanico, “arte nata col fiorire del Cristianesimo, più di ogni altra interprete
dello spiritualismo della Chiesa”, “stile nazionale del Medioevo, rappresentante usi, costumi,
concetti che ancora serbiamo nel cuore, perché furono forza e parola de’ nostri padri”.
Dal 1849 l’architetto fu anche segretario e docente di estetica e storia dell'architettura
all’Accademia di Belle Arti di Venezia, dove ebbe tra gli allievi Camillo Boito.
Presiedette la commissione imperiale istituita per la descrizione e la conservazione dei
Monumenti artistici e storici delle provincie venete e spese ogni energia per la conservazione
degli affreschi giotteschi nella cappella degli Scrovegni e per la valorizzazione dei beni
artistici della sua città. Nel 1867 fondò l’Istituto d’Arte di Padova.
Progettò chiese e restauri di chiese in Veneto e nel Trentino, dove progettò chiese neogotiche
in corrispondenza con gli influssi locali della cultura germanica.
I rapporti del Selvatico con l’ambiente artistico trentino iniziarono nel 1846, quando fu
richiesta la consulenza dell’architetto padovano per il progetto della chiesa di San Giovanni
Battista a Mezzolombardo redatto dall’ingegnere Leopoldo Claricini.
Successivamente Selvatico venne incaricato, in quanto “architetto di chiara fama e
specialmente prattico nelle maniere gottiche”, di progettare la nuova facciata della chiesa di
San Pietro a Trento. Si trattò dell’impegno più significativo del Selvatico nell’ambito della
progettazione architettonica che lo vide impegnato dal 1847 al 1851, insieme ad Antonio
Gradenigo, autore degli ornati in stile gotico fiorito.
Fu tra i primi ad apprezzare la fotografia come mezzo importante per lo studio e
l'insegnamento dell'architettura.
CAMILLO BOITO
"Lo stile moderno non possa essere nuovo di pianta, anzi, per avere indole compiutamente
nazionale, debba liberamente collegarsi ad una delle architetture italiane del passato
svincolandone gli elementi da ogni norma di convenzione, acciocché il mondo moderno si
accomodi anche ai nuovi materiali ed ai nuovi trattati della scienza."
Camillo Boito nacque a Roma nel 1836 da madre polacca e padre veneto e morì a Milano nel
1914). Figlio di un pittore e fratello maggiore dello scrittore Arrigo, fu architetto, critico d'arte e
narratore.
Studiò arte in Germania e Polonia, a Padova e all'Accademia di Venezia, dove nel 1856 fu
chiamato da Pietro Selvatico come professore aggiunto alla cattedra di architettura. Volendo
approfondire i suoi studi, fece un viaggio in Italia per conoscere da vicino i monumenti antichi,
in particolare quelli gotici a Firenze e le opere dei Cosmati a Roma. Stabilitosi in Toscana, nel
1859, in seguito ai sospetti del governo granducale, si trasferì a Milano.
Nel periodo 1860-1909 insegnò architettura nell'Accademia di Belle Arti di Milano e di questa
Accademia di Brera divenne poi presidente. Dal 1865 al 1908 insegnò anche al Politecnico di
Milano.
L'appello di Selvatico a esercitarsi negli "stili nazionali del medio evo" venne raccolto
dall'allievo. Boito propose un rinnovamento delle forme architettoniche da attuare attraverso
un originale ripensamento delle esperienze medievali e si contrappose allo stanco eclettismo
prevalente nell’architettura italiana del tempo, privilegiando, in base a una scelta etica che lo
avvicina a Berlage, l’adozione di forme neoromaniche. I precetti enunciati e realizzati dal
Boito influenzarono l'architettura e gli architetti del suo tempo: il riferimento al Medioevo
nazionale come fonte di ispirazione viene ripreso in non pochi progetti di quegli anni.
La sua prima opera fu il restauro della Pusterla di Porta Ticinese a Milano (1861), dove
l'arbitrario inserimento di due fornici ad arco acuto rivela una visione ancora romantica del
Medioevo. Rispetto al restauro "stilistico" di Eugène Viollet-le-Duc, teso a eliminare dalle
cattedrali gotiche francesi ogni aggiunta successiva, Boito maturò un atteggiamento di
salvaguardia verso la stratificazione storica dei monumenti, cioè le successive stratificazioni
formali indotte dalle varie epoche sullo stesso edificio. sul quale riteneva si dovesse
intervenire sempre discretamente. Lontano, quindi, anche dal cosiddetto restauro "romantico"
di John Ruskin, Boito non fu però sensibile verso il valore dei contesti ambientali, avallando i
radicali sventramenti dell'Italia post-unitaria, tra cui quello, particolarmente grave, necessario
per la realizzazione del discutibile progetto accademico di Giuseppe Sacconi per l'altare di
Vittorio Emanuele II nel centro di Roma.
Presente in tutte le commissioni giudicatrici dei più importanti concorsi d'architettura del
tempo, da quella per la facciata del Duomo di Firenze a quella per il Palazzo di Giustizia a
Roma, dal 1865 al 1899 collaborò alla rivista "Nuova Antologia", curandone fino al 1878 la
rassegna artistica. Del 1880 è lo studio Architettura del Medioevo Evo in Italia, in cui la
schiettezza e "sincerità" del passato architettonico italiano è contrapposta al freddo
classicismo, stile ritenuto allora antirisorgimentale. Il particolare interesse per l'arte industriale
portò Boito a dirigere la rivista "Arte italiana e decorativa industriale" dal 1892 al 1911.
A Padova Boito lasciò molte delle sue opere fondamentali, cercando di imprimere in esse
quella "italianità" nell'architettura, al cui linguaggio stava cercando di contribuire con la sua
teoria. All'indomani dell'annessione al Regno d'Italia, Padova affrontò la questione urbanistica
dotandosi di un nuovo piano regolatore che prevedeva l'adeguamento della città alle
"esigenze della moderna civiltà". In questo contesto Boito venne chiamato a dare il suo
contributo su varie questioni specifiche e gli venne affidato il difficile e delicato compito di
intervenire nell'area medioevale del Palazzo della Ragione con la progettazione del Palazzo
delle Debite. Altri suoi contributi in città furono la realizzazione di una scuola-modello (Reggia
Carraresi), la sistemazione del convento antoniano a sede del Museo Civico, l'ampliamento
del Camposanto e soprattutto gli interventi di carattere architettonico e decorativo sulla
chiesa-simbolo della città, la Basilica di Sant'Antonio, a cominciare dalle porte di bronzo e
dalla famosa risistemazione dell'altare del Donatello, dopo che le sculture erano state
disperse nei vari settori della basilica.
I manufatti che Boito ha lasciato a Padova denunciano una miscellanea di riferimenti che
spaziano dai modelli medioevali alle citazioni riprese da diverse tradizioni quali le arabonormanne, le gotico-toscane e soprattutto le veneto-bizantine. L'idea dell'architetto "è quella
di ribadire il concetto di stile nazionale in cui esiste un denominatore che accomuna tutti i
linguaggi regionali presenti nella penisola, il quale non corrisponde solo ad una idea, ma
possiede anche un volto: è quello delle grandi costruzioni in laterizio, con archi a tutto sesto,
con volte a crociera, con potenti membrature addolcite dalla presenza di bande e di profili in
pietra decorata a sbalzo" (G. Zucconi).
L'architettura fu l'interesse principale di Camillo, che dedicò alla letteratura un breve arco di
anni della sua vita. Tra i volumi di racconti si ricordano: Storielle vane (1876), e Senso: nuove
storielle vane (1883). A essi si aggiunse nel 1891 il racconto Il maestro di Setticlavio. Dal
racconto Senso Luchino Visconti trasse un film nel 1954. Sono racconti che riportano al clima
della scapigliatura, a volte con un gusto per l'orrido che richiama Tarchetti. Boito fu anche
sensibile all'influsso dell'ironia sterneiana, attraverso una sottile ed elaborata indagine
psicologica, fino ad avvicinarsi ad esiti di tipo naturalista.