“Le foglie dell`Albertolli”. Il disegno come esercizio della mente agli

Transcript

“Le foglie dell`Albertolli”. Il disegno come esercizio della mente agli
“Le foglie dell’Albertolli”.
Il disegno come esercizio della mente agli albori della cultura politecnica italiana.
Michela Rossi – [email protected]
Politecnico di Milano – Dipartimento di Design
Il contributo intende riflettere sulla figura di Camillo Boito e sul suo ruolo di intellettuale
lungimirante e innovatore che, negli anni immediatamente successivi alla riunificazione del regno
d’Italia, ha cercato di definire gli elementi di riconoscibilità visiva dell’identità nazionale nello
“stile” dell’architettura e nei caratteri delle arti figurative.
La ricorrenza dell’anniversario boitiano a cento anni dalla scomparsa offre l’occasione per valutare
la poliedrica personalità di uno dei padri della cultura progettuale dell’Italia contemporanea, e di
quella politecnica milanese in particolare, sottolineando l’attualità del suo insegnamento nei
molteplici riferimenti bio- e bibliografici, che documentano un’intensa, prolungata e coerente attività
pubblicistica a favore della formazione di una nuova cultura teorico pratica a servizio dell’arte
industriale, come elemento di rinnovamento del sistema economico e produttivo del paese.
Questo spunto presenta due aspetti di interesse specifico. Il primo nel riferimento al Disegno come
disciplina propedeutica e formativa, che permette di risalire alle radici della cultura progettuale
milanese anche per una migliore comprensione del suo significato nella pratica progettuale e di ciò
che l’insegnamento della materia può e deve essere ancora oggi. L’altro nella concezione del
Disegno come regola basata su riferimenti formali che diventano matrici progettuali, che dimostra
una rinnovata attualità alla luce dei più recenti sviluppi dell’applicazione delle regole del disegno
alla progettazione assistita con la diffusione dei software generativi, che stanno cambiando
radicalmente l’approccio al progetto, più che alla rappresentazione.
L’attenzione al Disegno, concepito come concetto prima che come rappresentazione secondo
l’insegnamento dei maestri rinascimentali, si definisce in riferimento alla didattica delle scuole
tecniche nelle quali si dovevano formare la manualità e la coscienza estetica degli artefici e si rivolge
all’importanza delle arti minori e delle tradizioni locali nella valorizzazione della nascente industria
manifatturiera per la quale nascerà poi il Design. Il richiamo alla tradizione e agli stili però non è mai
riferito ad una riproduzione acritica di forme e ornamenti del passato, quanto un invito a capire la
loro profonda organicità “progettuale” nell’architettura e nelle arti, al fine di sviluppare una capacità
creativa autonoma, in grado di esprimere valori estetici contemporanei.
In questo senso l’interesse nei confronti del Disegno riveste un interesse particolare anche in
riferimento allo studio dei caratteri propri della disciplina nella cultura politecnica della scuola
milanese. Infatti, per oltre 40 anni Camillo Boito insegnò Architettura all’Accademia di Brera e
all’Istituto Tecnico Superiore di Milano (poi Politecnico).
Nella sua lunga attività di docente, professionista e teorico Boito legò il suo nome al Restauro, ma
dai suoi scritti teorico-critici emerge un vivace interesse al Disegno, considerato alla base della
formazione dell’architetto. Il Disegno, inteso nella sua accezione di essenza formale degli artefatti,
quindi di progetto, viene concepito e proposto come il vero elemento innovatore della cultura
artistica italiana, diventando l’elemento cardine della creazione di un sistema produttivo “moderno”,
capace di superare la stasi nella quale languivano le arti nazionali.
L’interesse di Boito per le arti minori si inserisce nel dibattito relativo alla qualità estetica del
prodotto industriale, rivelando molti contenuti che anticipano i riferimenti del Design milanese
contemporaneo che attribuisce alla progettualità globale la funzione cardine aveva allora il disegno,
inteso come progetto. Colpisce l’analogia evidente con la profonda crisi economica e produttiva
dell’industria contemporanea, per la quale si parla con insistenza della necessità di innovazione,
quindi anche di creatività nel reinventare il rapporto tra il progetto e il prodotto e l’intero processo
produttivo.
Il dibattito sullo stile nazionale ha animato tutta la seconda metà dell’ottocento, quando ai notevoli
progressi innovativi della tecnica ingegneristica corrispondeva la riproposizione magari colta, ma
acritica degli stili del passato, in una sterile diatriba storicistica tra classicisti e medievalisti.
Boito trova gli spunti per la definizione di uno stile nazionale nella continuità col passato,
riconoscendo alla tradizione la possibilità di coniugare l’identità comune con l’interpretazione
reginale nei caratteri persistenti del Disegno, intesi come valore assoluto e persistente. Il
rinnovamento nasce quindi dalla tradizione e nel superamento del regionalismo stilistico, senza
negare un’autonomia interpretativa che si esprime nell’articolazione delle arti decorative. Il richiamo
evidente a Vitruvio non è un’adesione incondizionata ad una delle due parti, ma la riaffermazione
convinta di valori formali assoluti, validi in ogni stile riconosciuto perché organici alle necessità
razionali della costruzione.
Il primo modello di riferimento del progetto si riconferma nella natura. Il disegno, come il
progetto, deve essere un’invenzione ragionata che risponde a precise regole funzionali,
strutturali e costruttive derivate dalla natura. Esse trovano compimento nella forma, intesa
come insieme organico capace di assolvere i requisiti statici, meccanici ed estetici del
progetto.
La posizione di Camillo Boito nei confronti della produzione industriale si delinea in riferimento alle
esposizioni nazionali che si susseguono tra il 1870 e il 1890 a Milano, Parma, Firenze, Napoli, prima
di trovare una sede fissa a Roma.
In particolare è significativo il testo della conferenza del 17 settembre, inserita in un ciclo di
conferenze di presentazione della esposizione del 1881, per incarico del Ministero di Agricoltura,
Industria e Commercio, inquadra il problema della definizione dell’estetica della produzione
industriale in relazione ai caratteri delle “industrie artistiche” del Paese, richiamando alla necessità
del rinnovamento dell’insegnamento del disegno. Altri scritti di riferimento sono “I principi del
Disegno e gli stili dell’ornamento”, “Gite di un artista” e, più tardi, la rivista Arte italiana decorativa
e industriale, che diresse dal 1892 al 1911.
“I principi del Disegno e gli stili dell’ornamento” assume la struttura di una corrispondenza
personale con un giovane amico appena incaricato dell’insegnamento elementare della materia. Il
discorso prende spunto dalla prassi coeva, basata sulla copiatura acritica dei modelli accademici, per
suggerire un programma capace di stimolare quel fondamentale rapporto tra la mano, l’occhio e la
ragione, che caratterizza il disegno come strumento imprescindibile del progetto.
In forma di dialogo epistolare, Boito delinea un programma per l’insegnamento di base del
disegno, che prima dell’addestramento della mano – indispensabile nella formazione
preliminare di abili artefici, è un addestramento della mente ai linguaggi del disegno,
indispensabile a pensare, quindi inventare, attraverso il disegno, come i progettisti devono
sapere fare. La capacità di disegnare con la testa prima che con la mano trasformava
l’artigiano in artista e ancora oggi distingue il progettista dal semplice disegnatore.
Le foglie dell’Albertolli, imposte come esercizio ricorrente di copiatura, sono assunte come
l’emblema negativo di un disegno passivo, teso all’addestramento virtuoso della mano
attraverso la riproduzione di modelli raffinati ma sterili, che sviluppavano un’abilità tecnica
incline al virtuosismo piuttosto che all’invenzione.
Si evince un approccio ancora attuale, che rielabora in chiave contemporanea la concezione già
espressa dalla letteratura rinascimentale, nel quale si rivendica la prerogativa intellettuale
dell’esercizio della mano libera. Boito persegue il buon disegno piuttosto che il bel disegno
identificato dalle foglie dell’Albertolli, definiste “calligrafia, non disegno”.
Referenze bibliografiche
C. Boito, Le industrie artistiche. In “Conferenze sulla Esposizione Nazionale del 1881”.
Milano: Hoepli. 1881. Pagg. 21- 42.
C. Boito, I principi del Disegno e gli stili dell’ornamento. Milano: Hoepli. 1882.
C. Boito, Gite di un artista. Milano: Hoepli. 1884.
Arte Italiana decorativa e industriale, direttore Camillo Boito. Milano: 1892-1911.
G. Zucconi, F. Castellani. Camillo Boito. Un’architettura per l’Italia unita. Padova:
Marsilio. 2000