Anno 3 N°1 - CRS Amplifon

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Anno 3 N°1 - CRS Amplifon
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Periodico Semestrale
Anno 3° - N. 1
Gennaio-Giugno 2005
per la preziosa collaborazione
1
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direttore della rivista.
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INDICE
La disfonia: dalla diagnosi alla terapia
Pagliari A. V., Patti M., Monici M.M.,
Klinger F., Klinger M.
pag.
5
Voce, respiro, postura:
un delicato intreccio psicologico
Colombo Silvano
pag.
9
Criteri e tempi per una formazione
psicoterapeutica e ipnologica
Riccardo Arone di Bertolino
pag.
13
La balbuzie nell’età pediatrica
Caruso E., Dell’Orto S.
pag.
18
Parlando di… VERBI – un’esperienza di lavoro
Montuschi Maria
pag.
46
Recensioni
pag.
55
FIADDA
pag.
58
La Favelliana
pag.
59
Corsi e Congressi
pag.
60
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LOGOPaeDIA 2005; vol.1: pag.5-8
Ricerche e studi
La disfonia:
dalla diagnosi alla terapia
A. V. Pagliari *, M. Patti *, M.M. Monici §, F. Klinger °, M. Klinger °
* U. O. ORL - Azienda Ospedaliera “Ospedale Maggiore”, Crema
§ U.O. ORL – Azienda Ospedaliera “Ospedale Carlo Poma”, Mantova
° Istituto di Chirurgia Plastica - Università degli Studi di Milano, I.C. Humanitas
Abstract
La disfonia è un sintomo di frequente riscontro nella pratica clinica legato ad una patologia del
tratto fonoarticolatorio e ad un’alterazione della biomeccanica della produzione della voce.
La voce percepita sempre più come strumento di lavoro, capacità di produrre reddito e di
relazione interpersonale, nella moderna società della comunicazione e dell’apparire, ha dato
notevole impulso negli ultimi anni al perfezionamento e alla diffusione della fonochirurgia e
della logopedia. La diagnosi e la terapia delle patologie della voce deve avvenire in ambito
interdisciplinare e implica il coinvolgimento di differenti figure professionali quali l’otorinolaringoiatra, il foniatra, l’audiologo, il chirurgo plastico, il neurologo e infine, ma non ultimo
in termine di importanza, il logopedista.
Parole chiave: voce, disfonia, fonochirurgia
DIAGNOSI
Nell’inquadramento del paziente disfonico un elemento cardine e insostituibile è la
raccolta di una accurata storia clinico-anamnestica. Andranno indagate con particolare attenzione le abitudini voluttuarie (fumo e alcool), l’attività lavorativa (professionisti della voce quali insegnanti oratori, cantanti ed i lavoratori sottoposti a
bruschi e repentini sbalzi termici e ad inalazione di sostanze esogene) e le patologie
associate (ernia jatale, patologie neurologiche, esiti di interventi chirurgici alla tiroide, al mediastino e alla laringe).
Nell’esame del paziente si procederà quindi, preliminarmente, con l’ispezione procedendo dalla valutazione della respirazione spontanea e della coordinazione pneumo-fonica (modalità con cui l’aria incamerata viene utilizzata ai fini fonatori) al
rilievo dell’atteggiamento del paziente (tono e dinamica muscolare e posturale
generale), di eventuali tic (blefarospasmo), di tumefazioni in sede latercervicale e
tiroidea e di cicatrici chirurgiche al collo e al viso (pregressi interventi per neoplasie, labio-palatoschisi...). Molto importante è anche la valutazione della meccanica
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respiratoria spontanea e in fonazione (la respirazione corretta è quella costo-diaframmatica) e della coordinazione fono-articolatoria. Si valuterà successivamente la
continenza e la simmetria delle labbra (lesioni del facciale-VII nervo cranico) e con
l’oro-faringoscopia la morfologia e la motilità della lingua (lesioni dell’ipoglossoXII nervo cranico) e del palato molle (lesioni del nervo vago-X nervo cranico).
Chiave di volta nell’esame del paziente disfonico è la visualizzazione del laringe. La
valutazione della morfologia e della motilità delle corde vocali si può classicamente
eseguire utilizzando una luce frontale e uno specchietto laringeo (laringoscopia
indiretta) o con i più moderni endoscopi di tipo flessibile passando dalle fosse nasali (rino-faringo-laringoscopia a fibre ottiche) o con endoscopi rigidi con diverse
angolazioni (70° e 90°) passando dalla bocca (laringoscopia diretta). Quali indagini
considerate di secondo livello, ma spesso preziose e dirimenti nei disturbi della
voce, possiamo ricordare l’utilizzo nel corso della laringoscopia a fibre ottiche anziché della luce fredda della tecnica della stroboscopia per valutare l’onda mucosa
cordale (videolaringostroboscopia), l’esame spettrografico mediante sonogramma
che ci fornisce i parametri oggettivi per caratterizzare le qualità della voce del
paziente (frequenza, intensità e tempo) in modo assimilabile ad un’impronta digitale e la diagnostica per immagini (la tomografia assiale e la risonanza magnetica
nucleare) riservata ai pazienti neoplastici.
TERAPIA
La disfonia da cause infettive batteriche o virali (laringite acuta) beneficia di trattamento medico-conservativo con inalazioni caldo-umide, aereosolterapia con corticosteroidi e mucolitici e antibioticoterapia in caso di febbre. La disfonia si risolve e
regredisce con la risoluzione del processo infettivo.
La disfonia da causa organica può essere provocata da polipi, papillomi, granulomi,
noduli, cisti da ritenzione o epidermoidi, solchi e ponti mucosi, ectasie vasali (varici
sentinella o spia di un sulcus o cisti cordale), quadri di laringite cronica (dalle lesioni
leucoplasiche all’Edema di Reinke), neoplasie (carcinomi squamocellulari tra i più
frequenti ed i più rari condrosarcomi, sarcomi di Kaposi...) e paralisi o monoplegie
laringee (idiopatiche, da cause centrali, da compressione-infiltrazione del nervo ricorrente, iatrogene). La terapia è nella maggior parte di tali condizioni clinico-patologiche di tipo chirurgico associata ad una terapia logopedica pre-operatoria (per preparare il paziente ad una fonazione fisiologica) e post-operatoria (per il completamento
ed il consolidamento dei risultati ottenuti dalla fonochirurgia). L’intervento chirurgico, detto microlaringoscopia diretta in sospensione, viene effettuato in anestesia generale abitualmente in regime di day-surgery (la sera dell’intervento il paziente è dimesso presso il proprio domicilio). A paziente supino con capo iperesteso si inserisce
nella bocca, previa protezione degli elementi dentari dell’arcata superiore, il laringoscopio (di Boucheyer o di Kleinsasser) fino ad evidenziare le corde vocali. Dopo avere
fissato il laringoscopio con l’apparato di sospensione al torace del paziente, tramite
l’ausilio del microscopio operatorio si esplorano le diverse regioni laringee e quindi
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introducendo nel tubo del laringoscopio micropinze si afferrano le lesioni esofitiche
(polipi, Edema di Reinke...) che vengono rimosse con microforbici. Dopo una accurata emostasi si rimuove il laringoscopio e l’anestesista risveglia il paziente.
Le patologie della voce in cui la rieducazione logopedica gioca un ruolo essenziale ed
insostituibile sono i noduli cordali, le paralisi o monoplegie cordali monolaterali, i
granulomi laringei posteriori e le disfonie funzionali. I noduli cordali sono provocati
da una disfunzionalità ipercinetica e da una alterazione della coordinazione pneumofono-articolatoria. Sono più frequenti nei professionisti della voce, soprattutto di
sesso femminile e nei bambini di sesso maschile per eccessiva e cattiva fonazione. La
terapia si articola in norme di igiene vocale, rilassamento globale e segmentario, impostazione della respirazione costo-diaframmatico-addominale ed esercizi vocali e di
miglioramento dell’apparato pneumo-fono-articolatorio. Utili accanto ai classici esercizi respiratori possono essere le tecniche di rilassamento globale o distrettuale quali
la tecnica di contrazione e distensione muscolare di Jacobson per cui dopo una contrazione volontaria e intensa di un determinato gruppo muscolare fa seguito una condizione di calma e di rilassamento di cui il paziente diviene consapevole e che sarà
importante nella correzione dei parametri fono-articolatori. Gli esercizi di masticazione (Chewing Method di Froeschels) per correggere l’ipoarticolazione e l’eccessiva
rigidità a livello della muscolatura articolatoria. Deve essere poi favorito il così detto
attacco vocale dolce che spesso è sostituito da un attacco aspro e dal colpo di glottide. La tecnica di sbadiglio-sospiro di Boone con allineamneto corretto del busto e del
capo e apertura non forzata della mandibola può essere utile.
Gli obiettivi della terapia logopedica nelle paralisi o monoplegie laringee monolaterali
sono il ripristino della funzione sfinterica e il recupero della funzione fonatoria. Il trattamento consiste in esercizi respiratori, tecniche posturali facilitanti, vocalizzi e coordinazione pneumo-fonica. È opportuno che la terapia logopedica abbia inizio il più
presto possibile visto che quanto più l’intervento sarà tardivo tanto più sarà lenta e difficoltosa la ripresa. Un intervento precoce ha lo scopo di favorire l’attività compensatoria dell’emilaringe controlaterale, di evitare che si creino errati meccanismi di compenso fonatorio da parte dello sfintere sopraglottico e di evitare la fissità dell’articolazione crico-aritenoidea che in caso di ripristino dell’innervazione non consentirebbe il
recupero della motilità. Una volta appresi gli esercizi dovranno essere ripetuti a casa
sistematicamente e per periodi brevi. Nel caso di particolari esigenze comunicative
professionali e sociali ed in mancanza di risultati soddisfacenti con la sola terapia logopedica si può ricorrere all’aumento volumetrico della corda paralizzata mediante iniezione intracordale oppure a tiropalstica di I° tipo o rotazione dell’aritenoide.
La terapia del granuloma laringeo posteriore (da reflusso gastro-esofageo, da intubazione prolungata, da iper-adduzione cordale) è il tipico esempio di una patologia
laringea che comporta un trattamento integrato con farmaci (inibitori della pompa
protonica), rimozione chirurgica dei granulomi molto voluminosi e resistenti alla
terapia medico-conservativa e riabilitazione logopedica. Una delle strategie proposte è mirata a impostare un modello vocale dolce e rilassato che elimini gli atteggiamenti di sforzo e l’eccessivo affrontamento delle aritenoidi durante la fonazione che
possono contribuire alla formazione del granuloma. Un’altra e completamente
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opposta tecnica di riabilitazione logopedica, proposta inizialmente da Brigitte
Arnoux-Sindt per i granulomi post-intubazione, consiste nell’eseguire energici esercizi respiratori, detti a batacchio di campana, volti, con microtraumi, a determinare l’ischemia e l’amputazione del granuloma.
La disfonia funzionale determina modificazioni costanti della voce e può essere di tipo
iperfunzionale, ipofunzionale o mista può trarre giovamento da un trattamento logopedico così come anche la voce di falsa corda, la disfonia psicogena e spasmodica.
Una recente e nuova applicazione della terapia riabilitativa logopedica è il trattamento dei disturbi della voce e del linguaggio nel Morbo di Parkinson per le alterazioni respiratorie, fono-articolatorie e velofaringee in tale patologia.
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LOGOPaeDIA 2005; vol.1: pag. 9-12
Ricerche e studi
Voce, respiro, postura :
un delicato intreccio psicologico
Silvano Colombo
Psicologo, Terapista della riabilitazione psicosomatica. Milano
Abstract
L’Autore, in questo articolo, esplora la delicata rete che lega la voce al respiro e alla postura.
La voce è il risultato dell’attività sinergica degli organi fonatori e respiratori. La gabbia toracica costituisce la dinamica cassa armonica che dona timbro alla voce, la sua mobilità nel
corso della respirazione è legata all’attività di diversi gruppi muscolari che oltre a svolgere
funzioni respiratorie, sono anche reclutati ad assolvere funzioni posturali.
La postura è una funzione complessa che va al di là delle necessarie finalità statiche e dinamiche, essa è, infatti, un altro dei mezzi ai quali l’Io ricorre per la sua espressione.
La comunicazione, nel senso più ampio del termine, è pertanto, un meraviglioso intreccio tra
organi e apparati che, attraverso un complicato processo sinergico, ci fanno esprimere passione, amore, emozioni.
Parole chiave: voce, respiro, postura
“In Giappone un monaco buddista si presentò al cospetto di un famoso maestro
per riceverne gli insegnamenti. Questi lo fece accomodare nella sua dimora e
cominciò a preparare un thè mentre invitava l’ospite a raccontare le ragioni della
sua visita e quali esperienze avesse accumulato.
L’adepto cominciò un lungo e un po’ presuntuoso racconto del suo peregrinare
mentre il maestro versava il thè nella tazza del giovane monaco, senza badare che
questa, già colma, ormai traboccava. L’aspirante allievo, accortosene, richiamò il
maestro, ora dubbioso sulla sua perfetta attenzione. Il maestro continuando a versare allora disse : “O giovane monaco, come è possibile aggiungere qualcosa di
nuovo a ciò che è già troppo pieno ?” Il monaco capì e con animo sgombro si accinse ad ascoltare senza pregiudizi e condizionamenti i nuovi insegnamenti”.
Restituire a un paziente la propria voce è un attento lavoro corporeo con un profondo significato psicologico. Nella voce, infatti, si esprime in modo peculiare l’Io
della persona. Il timbro, la sonorità nelle più sottili sfumature, contornano e definiscono in modo esclusivo le parole che esprimono il pensiero umano.
La voce, al pari del suono emesso da un sofisticato strumento musicale, è il risultato dell’attività sinenergica degli organi fonatori e respiratori. Chi si occupa di rieducazione del linguaggio, quindi, sa come sia di fondamentale importanza portare alla
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coscienza dei suoi pazienti la funzione del respiro. La gabbia toracica, che nel respiro è grandemente coinvolta, costituisce infatti la dinamica cassa armonica che dona
timbro alla voce. La sua mobilità nel corso della respirazione è legata all’attività di
tre gruppi muscolari: il diaframma, la muscolatura intercostale, la muscolatura
accessoria del collo che, nell’ordine, la muovono in basso, nella zona mediana, in
quella superiore. Tali muscoli, oltre a svolgere funzioni respiratorie, sono anche
reclutati ad assolvere funzioni posturali.
La postura, però, è una funzione complessa che va al di là delle necessarie finalità
statiche e dinamiche. Essa è, infatti, un altro dei mezzi ai quali l’Io ricorre per la sua
espressione.
Attraverso il corpo si manifestano una quantità di segnali che arricchiscono, confermano, disconfermano o sostituiscono la comunicazione verbale. Si intuisce quindi come respiro, postura, comunicazione verbale e non, siano fenomeni strettamente correlati.
Non dobbiamo nemmeno dimenticare che ampiezza e ritmo cardio-respiratorio
sono le più immediate manifestazioni fisiche delle fluttuazioni di ogni stato psicologico. Si potrebbe anzi affermare che ogni stato di coscienza è rappresentato da un
peculiare modo di respirare.
Proseguendo in questo ordine di pensiero, un protratto tono umorale con associato il suo specifico modo di respirare, fissa nel corpo un atteggiamento che rappresenta l’interiorità della persona e la qualità dei suoni che emette è direttamente condizionata da questi fattori.
Una disfonia disfunzionale rappresenta così la difficoltà espressiva dell’Io nel rappresentarsi. Questi infatti attiva il laringe con un eccesso o una carenza di energia
direttamente conseguente al sostegno e alla presenza muscolare richiesta al corpo
che lo ospita. Per intenderci, un orecchio attento può immaginare con buona
approssimazione l’aspetto fisico e la condizione psicologica di un paziente già al
primo colloquio telefonico: vedremo poi arrivare all’ambulatorio logopedico stentorei pazienti maniacali o flebili e incurvati depressi.
Più frequentemente, alla logopedia vengono affidate dallo specialista ORL patologie disfunzionali che sono il risultato di uno sforzo organizzativo dell’unità psicosomatica del paziente. Tale sforzo è legato all’apprendimento di meccanismi reattivi che fino a quel momento hanno permesso alla persona di sentirsi inserita e adeguata alle sollecitazioni psicologiche provenienti dall’ambiente e di esprimersi in
esso con una voce conseguente.
Compito del logopedista, affiancato da altre figure riabilitative, è quello di decifrare la catena di compensazioni che il paziente ha indotto nel suo corpo per costruire una voce da lui reputata utile a rappresentarsi. Certamente in questo percorso
intervengono altri elementi indipendenti dallo psichismo e riconducibili a condizioni generali di salute: malattie polmonari, disturbi dell’udito, alterazioni organiche dell’assetto muscolo-scheletrico. Risulta allora controproducente cercare di
rieducare insegnando esercizi, ovvero aggiungendo condizionamenti, senza avere
prima disattivato i fattori disfunzionali appresi precedentemente.
Il logopedista deve sapersi calare nella dimensione psicologica del paziente e osser10
vare come le sue istanze innescano schemi motori inefficienti, deve comprendere
che cosa è necessario eliminare, sia sul piano psichico che fisico, prima di poter
aggiungere nuove strategie.
Probabilmente l’elemento emotivo dominante sul quale intervenire con efficacia è
l’ansia. Questo sentimento ha spesso ragioni profonde e induce reazioni fisiologiche
ubiquitarie : aumento del tono muscolare, aumento della frequenza cardio-respiratoria, alterazioni della motilità diaframmatica e peristaltica, modificazioni della circolazione periferica.
Risulta utile e facile rendere consapevole il paziente di questa catena di eventi corporei, senza necessariamente approcciare delicate questioni psicologiche: semplicemente e pazientemente rassicurando e sollecitando il suo sentire.
Portare la persona, attraverso appropriate tecniche di rilassamento e propriocezione, ad una condizione di agio fisico, svincolato da ogni sforzo, favorisce la percezione di un corpo nel quale si può smorzare lo stato di allarme e generare sensazioni intenzionalmente gradevoli.
Affinata in questo modo la capacità percettiva si può cominciare a lavorare sulla
postura, quella seduta o in piedi, per fare comprendere come essa è il risultato di
delicati equilibri e congruenti attivazioni del tono muscolare. A questo punto può
cominciare la rieducazione respiratoria, che con l’attivazione dei tre livelli del respiro diviene un complesso sistema dinamico da inserire opportunamente nella statica
posturale senza turbarne l’ergonomia.
Esercizi di stretching assistito dalla respirazione perfezionano il dialogo psichesoma, mostrano come è possibile muovere il corpo senza affaticarlo, dosando il
tono attraverso il respiro.
Le alterazioni posturali pregresse (dorso curvo, torace espanso, alterazioni del
punto di carico podalico eccetera) possono essere rimediate stirando e liberando le
fasce e le catene muscolari impropriamente utilizzate. Esercizi di respirazione “touchée” fanno percepire antichi vizi ventilatori e ne riducono l’interferenza. Massaggi
profondi e consenzienti della muscolatura addominale liberano la mobilità diaframmatica e l’impegno posturale dell’Ileo-psoas.
Non dobbiamo dimenticare che le emozioni determinano un vissuto cenestesico collocato prevalentemente a livello viscerale (sentiamo con la pancia!) e cerchiamo
costantemente di controllare il loro - a volte imbarazzante - flusso contraendo la
muscolatura addominale: nel tempo essa risulta irrigidita e impedisce i movimenti di
estensione dorsale e di respirazione diaframmatica profonda. Questo fenomeno, forse
il più diffuso, modifica in modo significativo la catena muscolare anteriore e impegna
la respirazione toracica con un atteggiamento inspiratorio che fissa la muscolatura
dell’apice toracico. Sbloccare questa distonia è difficile perché profondamente radicata nel condizionamento psicologico, ma è fondamentale per il successo riabilitativo.
Da quanto affermato si evince che le competenze della logopedista abbracciano
aspetti multipli dell’organizzazione psicosomatica dell’individuo. Il logopedista, in
quanto esperto della comunicazione, deve sapere come creare l’atmosfera terapeutica entro la quale condurre la relazione per comprendere e guidare il suo paziente
rispettandone i tempi e i modi psicologici.
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Egli non deve essere solo il proponitore di esercizi schematizzati ma deve dare loro
un senso appropriato alla storia di chi sta trattando e usare il suo linguaggio. Deve
sapersi avvicinare con rispetto e misura anche per potere toccare il corpo del suo
interlocutore proprio in parti che simbolicamente sono state investite di delicati
significati.
Nella complessità riabilitativa inoltre è necessario conoscere quando e quali figure
professionali dell’ambito psicologico e del movimento (psicologi, fisioterapisti,
osteopati ecc.) coinvolgere per assolvere alle sfaccettate esigenze che nascono nel
ridare la propria vera voce ad una persona.
BIBLIOGRAFIA
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Yanagisawa N, Goto A. Dystonia musculorum deformans. Analysis with electromyography.
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LOGOPaeDIA 2005; vol.1: pag. 13-17
Ricerche e studi
Criteri e tempi per una
formazione psicoterapeutica
e ipnologica
Riccardo Arone di Bertolino, Casalecchio di Reno (BO)
Presidente Società Medica Italiana di Psicoterapia e Ipnosi
Abstract
L’Autore puntualizza come la conoscenza di elementi basilari di psicoterapia clinica, di ipnosi e di terapia relazionale sia utilissima per ogni medico generico o specialista, per ogni psicologo e più in generale per tutti i professionisti che lavorano in ambito riabilitativo.
Specifica la distinzione tra induzione di ipnosi e la prassi di intervento psicoterapeutico in
ipnosi. Delinea il significato di psicoterapia, psicoterapeuta, ipnosi e formazione riaffermando l’importanza di una conoscenza psicologica da applicare in modo estremamente pratico
per migliorare rapporto, comunicazione e relazione con i propri pazienti.
Parole chiave: psicoterapia, ipnosi, formazione, preparazione ipnologica e psicoterapeutica
INTRODUZIONE
Ogni medico e ogni psicologo dalla propria formazione di base traggono la possibilità di usare e applicare nella propria materia conoscenze di più stretta competenza di
altre branche, ma nell’ordinamento dei corsi universitari di medicina e chirurgia e di
psicologia, in Italia è lasciato uno spazio minimo alla conoscenza della pscoterapia,
che, trattata a livello esclusivamente teorico, non ha nessuna utilità nella pratica professionale, ed è tuttora impossibile formarsi una seppur minima e limitata conoscenza delle enormi possibilità di intervento che la psicoterapia e l’ipnosi consentono.
La psicoterapia e le sue tecniche di approccio e di intervento sono molto più interessanti e utili, per un clinico, della speculazione teorica spesso più vicina alla filosofia astratta che alla competenza pratica.
La conoscenza di alcuni elementi basilari di psicologia clinica, di ipnosi e di tecniche di terapia relazionale, da approfondire eventualmente in un secondo momento
nell’ambito della propria precipua branca di interesse, è sempre vantaggiosa per
migliorare la qualità della propria vita professionale e rendere semplici, positivi,
utili e soddisfacenti, sia umanamente sia nell’ampliare e facilitare le possibilità di
intervento e di cura nei rapporti con i propri pazienti.
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Ogni medico generico o specialista e ogni psicologo dovrebbero poter disporre
degli strumenti per attuare interventi psicoterapeutici, adeguati e risolutivi in molti
casi che giungono alla sua osservazione, e riservare allo specialista psicoterapeuta
solo le situazioni più complesse.
È necessaria una distinzione fra l’induzione dello stato di ipnosi e le prassi di intervento terapeutico applicabili in ipnosi.
L’apprendimento di tecniche di induzione ipnotica efficaci in un’alta percentuale di
casi è piuttosto semplice, e non sono indispensabili particolari conoscenze di psicologia, mentre la conoscenza e l’uso delle tecniche di utilizzazione dello stato di
trance richiede una preparazione più approfondita.
Questa preparazione non può naturalmente essere solo di tipo informativo (per
questo non sono necessari corsi ma bastano i libri) ma è soprattutto una vera e propria formazione mentale, che, una volta attuata, diviene di uso e applicazione naturali e spontanei.
DEFINIZIONI
Psicoterapia
La psicoterapia è un intervento condotto con mezzi verbali e relazionali finalizzato
a ottenere modificazioni positive e stabili nella salute, nella personalità e nella vita
di relazione di persone sofferenti per problemi, alterazioni e disturbi psichici, psicosomatici, somatopsichici e/o comportamentali.
Psicoterapeuta
Operatore sanitario in grado, nello studio del caso, di formulare la diagnosi somatica e
psichica, operativamente esatta, una prognosi realistica sui risultati richiesti e ottenibili
e una prognosi, necessariamente ipotetica ma realizzabile, sulla durata del trattamento.
Nell’ambito della cura deve essere in grado di instaurare un rapporto terapeutico
positivo, di interagire, in modo efficace e finalizzato agli scopi proposti, consciamente, inconsciamente ed emotivamente con il paziente per elaborarne e risolverne
le problematiche e ottenerne la guarigione.
Ipnosi
Lo stato mentale di ipnosi eteroindotto consente all’operatore di influire sulle condizioni psichiche, emotive, somatiche e viscerali del soggetto.
È necessario che anche chi non desideri specificatamente usare l’ipnosi abbia una
preparazione ipnologica, strumento essenziale per identificare ed elaborare le variazioni spontanee dello stato mentale del paziente sottoposto a qualsiasi terapia che
ne implichi la collaborazione.
Il concetto di formazione
Insegnamento, istruzione, educazione, apprendimento, allenamento, addestramento sono termini di un lessico che si riferisce sia a una preparazione culturale gene14
rale, sia a una preparazione operativa pratica a svolgere determinati compiti.
Da qualche decennio è entrato in uso il termine formazione, che spesso, però, è
usato come sinonimo dei precedenti, mentre è adeguato per esprimere un concetto
particolare. Stabilire il significato di una parola è indispensabile per poter avere una
comunicazione concettualmente precisa, che non necessiti ogni volta di lunghi e
complessi chiarimenti.
Nell’ambito della scuola tradizionale questo concetto, pur a volte intuito e sottinteso, non è definito. Senza una minima consapevolezza conscia degli elementi essenziali e delle finalità operative, ciò che accade nelle classi (dalle elementari ai licei)
può ottenere, a volte, buoni risultati, che però appaiono più dovuti a una casualità
imprevedibile e alle doti personali di alcuni docenti, che a una effettiva e determinata volontà consapevole di ottenere determinati scopi.
In ogni processo interattivo avvengono elaborazioni inconsce ed emotive che, se
non previste, comprese e valutate dal docente, hanno effetti pratici incontrollabili e
casuali, tanto da risultare sovente antitetici all’obiettivo desiderato.
Il termine “formazione” può essere inteso in due modi:
1) generalmente è definito come l’acquisizione intellettuale e operativa
di dati e comportamenti adeguati a un determinato ruolo.
Risulta essere una particolare modalità, anche condizionante, di addestramento a comportamenti e reazioni precostituiti, valutati come
ottimali in determinate situazioni. È un addestramento valido e utile
solo nella preparazione di ruoli semplici e ripetitivi, in cui tutte le possibili modalità comportamentali siano prevedibili, mentre è limitante
e dannosa per ruoli più complessi e creativi.
2) Il nostro concetto di formazione, invece, è necessariamente diverso e
innovativo: una formazione valida deve ottenere lo sviluppo cosciente, istintuale ed emotivo, delle potenzialità e capacità necessarie per
un comportamento relazionale di comprensione e comunicazione
spontaneo, consapevole e finalizzato a ottenere i risultati richiesti.
L’allievo deve essere messo in grado di essere positivamente creativo in qualsiasi
processo di interazione, capace di intuizioni ed estrapolazioni, in grado di percepire e usare la complessità e la ricchezza del proprio flusso totale di elaborazione e di
comunicazione.
Il docente e l’allievo
Un essere umano è un vastissimo e complesso insieme di azioni, di funzioni, di percezioni, di elaborazioni che si influenzano reciprocamente e incessantemente.
È un’entità sempre e comunque originale in grado di elaborare e usare efficacemente, con modalità proprie, qualsiasi apprendimento maturato positivamente.
In questo insieme agiscono in modo determinante, non raramente con un completo ribaltamento delle reazioni naturali, molte componenti: elementi concettuali
(educazione, morale), conoscenze, convinzioni, memorie reali e immaginifiche,
esperienze pragmatiche e oniriche.
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Le stesse modalità di percezione sensoriale e costruzione mentale della realtà non
sono parametri generali ma individuali.
Per questa inimmaginabile complessità ciascuno elabora ogni percezione, esperienza e avvenimento in un modo assolutamente unico e personale.
In un sistema così ricco e complesso i livelli di coscienza e di consapevolezza, i sistemi di percezione e di elaborazione possono essere tanti e tanto diversi, da interagire e integrarsi con sistemi di comunicazione neppure intuibili razionalmente, da
rendere totalmente impossibile la formulazione di una mappa.
La parte mentale conscia, di cui è componente la razionalità, può essere considerata in gran parte come un insieme linguistico logico, influenzato da sistemi non linguistici, i cui segni e simboli raramente sono traducibili in termini consciamente
decodificabili.
L’emozione, a esempio, è il risultato di elaborazioni inconsce, di cui possono essere
comprese alcune componenti e descritte, a volte, alcune connessioni.
Le modalità di interazione interpersonale sono il risultato di scambi di stimoli e
informazioni fra due sistemi altrettanto complessi, che comunicano a diversi livelli,
per mezzo di segni e simboli somatici e comportamentali.
È comprensibile quindi la ragione per cui non può essere formulato, né sarebbe
applicabile, uno schema concettuale precostituito di comunicazione.
Non è possibile entrare in un rapporto relazionale di comprensione, arricchimento
e, se necessario, modificazione servendosi solamente di strutture mentali intellettive e razionali e di conoscenze culturali.
Lo stato della conoscenza in psicoterapia
Una caratteristica negativa e limitante della nostra cultura è la parcellizzazione,
dovuta, in parte, alla complessità e alla vastità delle conoscenze odierne, che rendono difficili integrazioni e scambi interdisciplinari.
Questa parcellizzazione, minima nei comparti tecnici e pragmatici della scienza,
raggiunge vertici altissimi in altri ambiti, dove la conoscenza spesso sembra poter
essere quasi più un’opinione che un dato reale.
Da una parte abbiamo l’enorme e fantascientifica evoluzione della tecnica, dall’altra troviamo concettualità, che dovrebbero riguardare fatti altrettanto pratici e operativi, come la cura delle malattie psicogene, praticamente immutate da quasi cent’anni, nonostante non abbiano mai fornito soddisfacenti riscontri reali.
In molti campi, purtroppo, il rifiuto di un interscambio multidisciplinare è determinatamente voluto, non solo fra discipline diverse, ma anche e soprattutto fra
diverse correnti di una stessa disciplina. In questo la psicologia e la psicoterapia,
che dovrebbero essere essenzialmente comunicazione, paradossalmente raggiungono i massimi vertici dell’incomunicabilità, perdendosi in diatribe bizantine e affermazioni sostenute dall’”ipse dixit”.
Il paziente
Uno dei concetti innovativi di fondo è che operativamente non è necessario soffermarsi tanto sull’analisi storica delle problematiche, quanto invece nella pratica è
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utile elaborare e modificare le strutture presenti della patologia e della psicopatologia, stimolando e mobilitando le risorse psicofisiche consce, inconsce ed emotive,
per ottenere una stabile soluzione delle problematiche disturbanti e la guarigione
della patologia psichica, comportamentale, psicosomatica e somatopsichica, nel
modo ottimale e nel tempo più breve possibile.
I parametri di valutazione e di giudizio sono la qualità clinica dei risultati e la rapidità con cui si possono ottenere.
BIBLIOGRAFIA
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Convegno S.M.I.P.I. “Psicoterapia Clinica - Formazione e Prospettive”, 9 giugno 1988,
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R. Arone di Bertolino. L’ipnosi per un medico. (a cura di P. Bellini, D. Carissimi, N. Menghi,
E. Zauli) Martina Editore, Bologna 2003
17
LOGOPaeDIA 2005; vol.1: pag. 18-45
Ricerche e studi
La balbuzie nell’età pediatrica
Caruso E. *, Dell’Orto S. **,
Equipe Logodinamica - Milano
* Psicologo, psicoterapeuta, psicopedagogista, musicoterapeuta
** Psicologa dell’età evolutiva, psicoterapeuta.
Abstract
L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce così la balbuzie: “Disordine nel ritmo della
parola, nel quale il paziente sa con precisione ciò che vorrebbe dire, ma nello stesso tempo non
è in grado di dirlo a causa di involontari arresti, ripetizioni o prolungamenti di un suono”.
Questo complesso sintomo ha origine multipla e numerosissime definizioni, potendo emergere da un substrato di conflitti emotivi, da alterazioni di tipo organico, funzionali e del
sistema nervoso. Si tratta di una nevrosi della parola di origine atassico-spastica, che ostacola e interrompe il normale fluire del discorso. Spesso è accompagnata da spasmi tonici, clonici o misti, che possono interessare qualsiasi parte dell’apparato del linguaggio: respirazione, fonazione, risonanza e articolazione.
La definizione data dall’OMS ben sottolinea l’intreccio della componente psicologica con
una difficoltà dell’articolazione del sistema linguistico. Il soggetto sa con precisione cosa vorrebbe dire e nell’intenzionalità di esprimersi, non riesce a coordinare i centri motori del linguaggio con i centri che organizzano la struttura linguistica.
La complessità, la profondità e la poliedricità del sintomo balbuzie, vengono esplorati dagli Autori.
Parole chiave: balbuzie, terapia della balbuzie, musicoterapica, laringospasmo, role playing
Introduzione
La balbuzie interessa l’1,5% della popolazione europea: in base a tale stima, in
Italia si conteggiano quasi un milione di soggetti disfluenti. La balbuzie interessa
particolarmente il sesso maschile, con una prevalenza rispetto al sesso femminile,
mantenendo un rapporto di 7 a 2, oppure secondo altri di 4 a 1, anche se negli ultimi anni la percentuale femminile sta aumentando, come dimostrato dalle nostre
ultime ricerche in cui la percentuale sale a un rapporto di 7 a 3. Tra le varie cause
di tale differenza si potrebbe ipotizzare la specificità del cromosoma Y, quale elemento determinante nell’organizzare la diversità di maturazione del sistema nervoso centrale. La dotazione genetica e cromosomica predetermina lo sviluppo linguistico, motorio e cognitivo, che nelle femmina, al contrario del maschio, è causa di
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una certa precocità nell’acquisizione delle abilità percettive, motorie e linguistiche.
Anche la diversa evoluzione psicologica tra maschio e femmina, è causa di una
diversa acquisizione delle abilità linguistiche.
Il sintomo sembra essere correlato al grado di civilizzazione o di industrializzazione
della nostra epoca. Difatti la percentuale della popolazione colpita si riduce procedendo dal Nord verso il Sud Italia e procedendo dall‘Ovest verso l’Est dell’Europa.
Inoltre, presso alcuni stati dell’Africa e del Sud America, la percentuale si aggira
attorno all’1% della popolazione.
Già a partire dal 1817 per risolvere la balbuzie, vennero effettuati i primi tentativi
in ambito medico: Wutzer e Itard, idearono mezzi meccanici per mobilitare la lingua,
mentre secondo i pareri di Dieffenbach e di Amusat, occorreva effettuare il taglio
del frenulo, o dei muscoli genioglossi. Questi metodi per l’inconsistenza dei risultati vennero abbandonati e a partire dal 1831 si cominciò a utilizzare tecniche riabilitative tendenti a ricoordinare le diverse funzioni del linguaggio.
Con Chervin si comincia a parlare di una parte didattica per curare il sintomo e di
una parte emotiva. La prima parte consisteva nel far pronunciare delle parole cantate per trovare la giusta coordinazione, mentre la seconda, si occupava dell’elaborazione del pensiero, ossia di un primo approccio psicologico alla balbuzie.
Attorno gli anni ’40, in America vennero istituiti i primo centri terapeutici che si
occupavano di balbuzie sulla base di corsi intensivi della durata di due o tre settimane. Questi corsi prevedevano un trattamento combinato di tecniche foniche e
comportamentali. Il modello del trattamento intensivo della balbuzie, ben presto si
divulgò in diverse parti del mondo, costituendo un primo baluardo teorico e applicativo, che andò di moda per diversi anni e che tuttora viene impiegato.
Per ciò che concerne gli studi italiani in tale materia, a partire dai primi del ‘900, Sala
A. pubblicò una prima opera scientifica e sistematica dal titolo “Cura della balbuzie
e dei difetti di pronunzia”, datata 1922, edita da Hoepli. A questa seguì l’opera di
Igino Conti dal titolo “Fisiopatologia del linguaggio” ( 1952) edito da Fratelli Bocca.
Dagli anni ’60 in poi, ci fu un vasto proliferare di ricerche e di testi. Un’opera di
ragguardevole importanza di questi anni venne pubblicata da Bassi-Cannella dal
titolo “La balbuzie nell’età evolutiva” (1968) edita da Giunti.
Storicamente, furono diverse le discipline scientifiche che si occuparono di balbuzie e già nel 1966 Van Riper conteggiava circa 5.000 lavori scritti in materia.
Confrontando l’esperienza italiana con quella internazionale, ormai negli ultimi
anni si sta sempre più diffondendo un atteggiamento multidisciplinare, secondo il
quale la balbuzie non è più inquadrabile come un semplice disturbo del linguaggio
da indagare, o da trattare, secondo una visione strettamente neurofunzionale.
Definizione ed eziopatogenesi della balbuzie
La balbuzie ha un’origine multipla, potendo emergere da un substrato di conflitti
emotivi, o da alterazioni di tipo organico, o funzionali, del sistema nervoso. Si tratta di una nevrosi della parola di origine atassico-spastica, che ostacola e interrompe
il normale fluire del discorso (Massa A. e Lucchini A., 1968).
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Per altri Autori, la balbuzie è caratterizzata da una momentanea incapacità d’iniziare l’eloquio, o dall’interruzione della parola. Spesso è accompagnata da spasmi
tonici, clonici o misti, che possono interessare qualsiasi parte dell’apparato del
linguaggio: respirazione, fonazione, risonanza e articolazione (Bassi A. e Cannella
S., 1968)
Per U. Galimberti (1999), la balbuzie è un disturbo del linguaggio, detto anche disfemia, che si manifesta con involontarie esitazioni, rotture, blocchi, e ripetizioni,
dove la comunicazione è compromessa e nei casi più gravi il sintomo assume un
carattere spasmodico.
Da altri autori la balbuzie è definita come disturbo del comportamento psicomotorio
(Rossi-Giberti, 1983), dato che le difficoltà di espressione verbale interessano la
regolarità e il ritmo della muscolatura fono-respiratoria.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce questo complesso sintomo nel
seguente modo: “La balbuzie è un disordine nel ritmo della parola, nel quale il paziente sa con precisione ciò che vorrebbe dire, ma nello stesso tempo non è in grado di dirlo
a causa di involontari arresti, ripetizioni o prolungamenti di un suono.”
Tale definizione ben sottolinea l’intreccio della componente psicologica con una
difficoltà dell’articolazione del sistema linguistico. Il soggetto sa con precisione cosa
vorrebbe dire e nell’intenzionalità di esprimersi, non riesce a coordinare i centri
motori del linguaggio con i centri che organizzano la struttura linguistica.
La complessità, la profondità e la poliedricità del sintomo balbuzie, viene esplicitata dal DSM IV (Manuale di psichiatria - Criteri diagnostici), che situa la patologia
nell’area dei “Disturbi nell’infanzia, fanciullezza o adolescenza”, definendola:
A) Un’anomalia del normale fluire e della cadenza dell’eloquio, (inadeguati
per l’età del soggetto) caratterizzata dal frequente manifestarsi di uno o più
seguenti elementi: 1) ripetizioni di suoni e sillabe; 2) prolungamento di
suoni; 3) interiezioni; 4) interruzioni di parole (cioè, pause all’interno di
una parola); 5) blocchi udibili o silenti (cioè pause del discorso colmate o
non colmate); 6) circonlocuzioni (sostituzioni di parole per evitare parole
problematiche); 7) parole emesse con eccessiva tensione fisica; 8) ripetizione di intere parole monosillabiche (per es., “O-O-O-O fame”).
B) L’anomalia di scorrevolezza interferisce con i risultati scolastici o lavorativi, oppure con la comunicazione sociale.
C) Se è presente un deficit motorio della parola o un deficit sensoriale, le difficoltà nell’eloquio vanno al di là di quelle di solito associate con questi
problemi”.
Infine, secondo le nostre ipotesi, dal punto di vista psicosomatico la
balbuzie potrebbe essere inserita nel quadro dei sintomi di conversione che sono “una risposta e un’elaborazione somatica secondaria di un
conflitto nevrotico. I sintomi hanno un carattere simbolico e si possono
considerare un tentativo di risolvere il conflitto. I sintomi di conversione in genere riguardano gli organi sensoriali e di movimento volontario.” (Luban-Plozza et al., 1992)
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Seguendo l’interpretazione psicosomatica, si potrebbe ipotizzare che nel linguaggio
balbettato un’ondata di emozioni sconvolga le funzioni somatiche e il corpo, attraverso determinati meccanismi, è come se si preparasse all’attacco o alla difesa. La
balbuzie è così il prodotto di una reazione emotiva dinanzi ad un pericolo, che può
essere reale o immaginario; l’ansia prodotta non trovando una via di scarico, colpisce gli organi della fonazione determinando spasmi e interruzioni della parola.
Secondo l’interpretazione di W. Reich quando la scarica viene impedita, tutto l’organismo è compresso da una carica energetica che si traduce in tensione muscolare.
Inoltre, secondo le interpretazioni di P. Schilder, fantasie e timori potrebbero colpire parti del corpo che hanno assunto un determinato significato simbolico conscio o inconscio.
Lungo il continuum delle disfluenze possiamo riconoscere 5 forme di balbuzie:
1) Balbuzie tonica, caratterizzata da laringospasmi o dal prolungamento
di una sillaba all’inizio della frase. I blocchi iniziali variano secondo il
grado d’ansia. Questo tipo di balbuzie colpisce la maggioranza dei
casi. Solitamente la persona affetta da questa forma di disfluenza, si
presenta timida, schiva verso i rapporti umani, introversa e riflessiva.
2) Balbuzie clonica, contraddistinta dalla ripetizione del fonema all’interno della frase. Questa forma di balbuzie è tipica dei bambini di età
compresa tra i cinque e sette anni. Al contrario, spesso a questo tipo
di balbuzie si associa una personalità estroversa e dinamica.
3) Balbuzie mista che comprende la prime due forme con un aggravamento del problema. Si presentano blocchi e prolungamenti del fonema. In chiave psicologica, solitamente il soggetto adulto affetto da
balbuzie mista, appare attivo, come se fosse poco condizionato dal
sintomo.
Secondo la distinzione effettuata da Colombat si possono distinguere altre due
forme di balbuzie che si aggiungono alle prime tre:
4) Balbuzie labio-coreica, la quale si caratterizza con movimenti convulsivi dei muscoli labiali e linguali, determinando contrazioni a livello delle labbra e della lingua, con difficoltà nella pronuncia dei suoni
labiali e dentali.
5) Balbuzie gutturo-tetanica, determinata dalla rigidità dei muscoli faringei e laringei, che sono causa di una forte difficoltà nella pronuncia
dei suoni gutturali e delle vocali.
Queste due ultime forme sono quasi sempre associate ad un momentaneo soffocamento, con la comparsa di sincinesie, ossia movimenti involontari a carico del viso
e di altre aree del corpo.
Sempre in chiave descrittiva, nella maggioranza dei casi, i soggetti affetti da questi
due ultimi tipi di balbuzie, appaiono impacciati nei movimenti; si presentano chiusi ed eccessivamente introversi. A livello relazionale spesso, si associa un comportamento oppositivo ed eccessivamente aggressivo. Queste due ultime forme di balbuzie appaiono reattive a qualsiasi forma di trattamento.
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Aspetti neurofisiologici:
tra genetica, cause organiche e aspetti psicologici
Kidd K.K. et al. (1981) hanno raccolto dati genetici di 294 maschi e 103 femmine,
con 2035 parenti totali di primo-grado. I loro dati confermano un’elevata concentrazione della causa genetica, o ereditaria. Secondo gli autori all’interno di tale disordine è rinvenibile una predisposizione verticale, che può essere spiegata con l’espressione sesso-modificata. Anche se le ipotesi Mendeliane non sono sufficienti
per spiegare la causa genetica nelle famiglie affetti da balbuzie, i modelli ereditari
più complessi possono fornire sufficienti spiegazioni.
Kidd e collaboratori sottolineo che il 5% dei maschi e il 2% delle femmine balbettano per almeno sei mesi durante l’infanzia, ma molti bambini recuperano prima
che diventino adulti.
Determinate ipotesi culturali della trasmissione sono state escluse da queste ricerche e l’ipotesi che qui viene dimostrata è che la balbuzie sia un disordine neurologico geneticamente ereditato.
Secondo Kidd la balbuzie rimanda ad un problema organico di base e le funzioni
“secondarie” di questo sintomo, quale la severità, sono esacerbate dagli eventi stressanti. Anche se si dimostra la causa genetica, l’eziologia comunque rimane complessa.
In un’altra ricerca (Felsenfeld S. 1996) effettuata dal 1960 ad oggi, avente come
oggetto d’indagine la componente genetica della balbuzie, gli studiosi hanno messo
in luce che il sintomo è parzialmente determinato da tale variabile.
Nelle nostre ricerche abbiamo avuto modo di rilevare che su 100 soggetti che
balbettano, solo nel 30% dei casi vi sono parenti di primo grado affetti da balbuzie. Dunque, secondo le nostre statistiche l’aspetto congenito, o ereditario, è parzialmente dominante nel determinare la balbuzie. Anche Ajuraguerra e Marcelli,
Gutzmann, Seeman ed altri, confermano la presunta ereditarietà nel 30% dei casi.
Le ricerche attuali non sono ancora oggi sufficienti per confermare la peculiarità
della componente genetica nel determinare questo problema. Dal punto di vista
ereditario, secondo Drayna solo a partire dal 1997, la scienza ha effettuato i primi
passi per isolare il gene della balbuzie.
In chiave genetica, noi siamo sempre più convinti che, anche se esistono soggetti
identificabili come “portatori sani” del gene responsabile della balbuzie, affinché
questo possa esplodere in fenotipo, occorre sempre un’interazione tra più fattori:
psicologici, emotivi, affettivi, educativi, ambientali e socio-culturali.
Ooki S. (2005), in uno studio compiuto in Giappone, esaminando un campione di
1896 coppie gemellari, composto da 1849 maschi e da 1943 femmine, con un’età
media di 11,6 anni (3 anni – 15 anni), riporta una prevalenza di balbuzie del 6,7%
dei maschi e del 3,6% nelle femmine, riscontrando una varianza fenotipica totale
attribuibile alle influenze genetiche tra l’80% nei maschi e l’85% nelle femmine.
Circa l’insorgenza della balbuzie, lo studio di Buck S.M., Lees R, e Cook F. (2002)
effettuato su 61 bambini balbuzienti, ha dimostrato che i soggetti che hanno iniziato a balbettare in tenerissima età, rispetto a quelli più tardivi, avevano famigliari
affetti da questo disordine.
22
Per ciò che concerne la remissione della balbuzie in soggetti molto piccoli, secondo Brosch S. et al. (1999) pur non essendo possibile far alcuna previsione, sembra
che tale recupero sia collegabile al raggiungimento di una buona dominanza emisferica, con un buon uso della manualità.
Considerando la variabile neurologica, in una ricerca compiuta presso il Callier
Center for Comunication Disorders (Finitzio 1989), su 97 soggetti affetti da balbuzie, è stato dimostrato un certo legame tra balbuzie e lievi malformazioni, o disfunzioni locali del cervello. Con l’uso di apparecchiature a risonanza magnetica, che permettevano la misurazione dell’afflusso sanguigno e del funzionamento dei potenziali elettrici, nel 60% dei soggetti sono state riscontrate lievi anomalie nelle regioni del cervello deputate al controllo dell’attività motoria vocale. Non tutti gli esperti erano però
concordi nel sostenere la validità scientifica dei risultati conseguiti.
Secondo gli autori Pellowski M.W., Conture E.G. (2005) la balbuzie potrebbe essere collegata anche a diminuita capacità sintattica e semantica rispetto ai soggetti
normofluenti. La loro ricerca è stata effettuata su 23 bambini che balbettano di pari
età e su 23 bambini normofluenti, con età compresa entro i 5 anni. Nella loro procedura presentavano un’immagine-stimolo a cui i bambini dovevano associare le
parole semanticamente relate. Nei loro risultati, nei bambini normoloquenti hanno
riscontrato tempi di reazione più corti, o più veloci; mentre nei bambini che balbettano, sono stati riscontrati tempi di reazione maggiori, o più lenti nel discorso.
Nei bambini che non balbettano è stata riscontrata una maggiore capacità semantica, e tutto questo potrebbe suggerire che la balbuzie sia connessa con lievi difficoltà di codifica del lessico e con la pianificazione del discorso.
Nelle ricerche di Biermann-Ruben K, Salmelin R, e Schnitzler A. (2005), basate sul
MEG (encefalografia magnetica), mediante l’ascolto di stimoli linguistici, in soggetti balbuzienti è stata studiata l’attivazione della zona rolandica. Le conclusioni
dei ricercatori hanno messo in luce un’attivazione supplementare nella spettrografia di massa. Questa maggiore attivazione è stata verificata sia nella produzione, sia
nella percezione del linguaggio. Altre anomalie sono state riscontrate anche nella
quantità e nella sincronizzazione di queste zone.
Anche per i ricercatori Sommer M., Koch M.A, et al. (2002), il disordine potrebbe
essere collegato con una ridotta dominanza emisferica di sinistra, dove i dati neuroimaging funzionali suggeriscono una sovrastimolazione emisferica di destra, che
riflette un meccanismo compensativo, analogo a ciò che avviene nell’afasia.
Khedr E, El-Nasser WA, et al. (2000) nelle loro ricerche sottolineano l’ipotetico
danno organico. Questi ricercatori hanno compiuto uno studio sulla base dei
potenziali evocati dell’EEG. Il campione della loro ricerca era composto da 36 soggetti balbuzienti di 6-25 anni e da 25 normofluenti, abbinati per età, sesso e formazione. Il campione è stato valutato impiegando i potenziali evocati visivi, i potenziali evocati uditivi, i potenziali evento-relativi e l’elettroencefalografia. In questa
ricerca, nei disfluenti è stata ritrovata una riduzione significativa di un’ampiezza di
P(100) dei potenziali evocati visivi, con un prolungamento significativo degli stati
latenti dell’onda I, III, V. Nei soggetti balbuzienti rispetto al gruppo di controllo,
nessuna anomalia significativa è stata registrata nei potenziali evento-relativi da
23
P(200), N(200) e da P(300). Il ritmo dominante di EEG era più lento nei disfluenti, con un’asimmetria inter-emisferica significativa rispetto al gruppo di controllo.
Gli studi di Lutz Jäncke, Jürgen Hänggi e Helmuth Steinmetz (2004) effettuati con
la tecnica “morphometry voxel-based” (VBM aumentato) hanno preso in considerazione la regioni cerebrali di soggetti disfluenti e normofluenti. I due campioni
sono stati confrontati prendendo in esame la materia bianca (WM) e le differenze
grigie della materia (GM). Nei loro risultati, all’interno del campione balbuziente,
hanno trovato un aumento di volume di WM in una rete di destra-emisferica, che
contiene il giro temporale superiore (temporale compreso di planum), il giro frontale inferiore, il giro pre-centrale nelle vicinanze della rappresentazione della bocca
e della faccia, ed il giro frontale centrale anteriore. In più, è stata riscontrata un’asimmetria di WM nella corteccia uditiva nei non balbuzienti, mentre nei disfluenti
sono stati riscontrati volumi simmetrici di WM.
Le conclusioni di questi risultati forniscono la prova ben fondata che gli adulti con
balbuzie conclamata, hanno un’anatomia anomala non soltanto nelle zone perisilviane deputate al linguaggio, ma anche nelle zone prefrontali e sensomotorie.
Pur pervenendo a queste conclusioni, gli Autori non possono dimostrare se questa
asimmetria atipica di WM sia la causa o la conseguenza della balbuzie.
Dunque, nei balbuzienti esisterebbero aumenti prominenti di WM all’interno di
una rete di destra-emisferica, che comprende le strutture del cervello relative al linguaggio e al discorso. L’aumento del WM della destra-emisferica potrebbero suggerire la presenza di una atipica comunicazione intra-emisferica all’interno di queste zone, che viene mediata dalle fibre di associazione.
Lo studio di Lutz Jäncke e coll., indica che nei soggetti balbuzienti vi sia una lateralizzazione anatomica atipica. In tre zone (PrCG, MFG ed IFG) i disfluenti rivelano maggiori volumi di WM a destra che a sinistra. Per la corteccia uditiva (STG)
sono stati trovati volumi simmetrici di WM, mentre nei normoloquenti per questa
misura, è stata riscontrata un’asimmetria. Quindi, un certo genere di squilibrio emisferico sembra essere collegato con la balbuzie persistente.
Tuttavia, secondo gli autori, anche se sono state rintracciate ampie differenze morfologiche fra i due campioni (balbuzienti e non ), non si potrà mai escludere la possibilità di considerare le differenze anatomiche come conseguenza della balbuzie,
piuttosto che la causa. Gli Autori presumono che, con l’esordio della balbuzie, il
cervello dovendo far fronte a questa nuova situazione, ricerca un certo genere di
adattamento o di riorganizzazione corticale.
Le conclusioni di Lutz Jäncke forniscono la prova ben fondata che gli adulti con
balbuzie persistente hanno un’anatomia anomala non soltanto nelle zone perisilviane del linguaggio, ma anche nelle zone prefrontali e sensomotorie. Comunque,
rimane ancora un senza risposta se tale asimmetria atipica di WM sia la causa o la
conseguenza della balbuzie.
Christian Büchel e Martin Sommer (2004) sostengono che i metodi genetici e neurobiologici stanno consegnandoci nuovi indizi sulle cause e sui trattamenti specifici per la balbuzie. Per gli Autori balbettare è un sintomo, non una malattia, ma il
termine balbuzie si riferisce solitamente sia al disordine che al sintomo.
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Gli Autori nella loro ricerca individuano due tipi di balbuzie:
1) balbuzie inerente allo sviluppo (“balbuzie primaria “) che si evolve
prima della pubertà, solitamente fra due e cinque anni, senza danni
apparenti per il cervello;
2) balbuzie inerente allo sviluppo persistente (PDS), (“balbuzie secondaria”).
Per Christian Büchel e Martin Sommer esiste anche una “balbuzie neurogena” che
si presenta nei casi in cui siano intervenuti danni al cervello, come ad esempio
emorragia intracerebrale o commozione cerebrale. Questo tipo di balbuzie è un
fenomeno raro che è stato osservato inseguito a lesioni in diverse zone del cervello.
Per questi autori, il PDS (balbuzie secondaria) è un disordine molto frequente, presente nell’1% della popolazione. Negli Stati Uniti vi sono circa 3 milioni di disfluenti e nel mondo se ne conteggiano circa 55 milioni. La prevalenza del disordine
è simile in tutte le classi sociali.
Per gli Autori, quando un bambino comincia a balbettare, il relativo tasso di recupero è di circa l’80%. La remissione del sintomo è considerevolmente più frequente in
ragazze che in ragazzi, dove le prime hanno 4 possibilità su una (contro il maschio) di
poter recuperare un linguaggio fluente. Il tasso recupero aumenta durante l’infanzia
e l’adolescenza. Risulta non chiaro in che misura questo recupero sia spontaneo o
indotto dallo sviluppo psicologico. Inoltre, non ci sono ipotesi scientifiche per dimostrare se un bambino nel corso degli anni potrà recuperare un linguaggio fluido.
Per ciò che concerne l’aspetto genetico, Christian Büchel e Martin Sommer sostengono che il tasso della probabilità di balbettare è del 70% per i gemelli monozigoti, del 30% per i gemelli di zigoti e del 18% per i fratelli tedeschi dello stesso sesso.
Volendo spiegare la balbuzie secondaria (PDS), gli Autori sostengono che tale disordine è determinato da due fattori: il primo fattore potrebbe essere riconducibile
ad un’anomalia strutturale o funzionale del sistema nervoso centrale (SNC), mentre
il secondo fattore è di natura essenzialmente psicologico, tendente a rinforzare il
primo, specificatamente nell’“imparare ad evitare”. Tuttavia, si dovrebbe fare
attenzione nel denominare il fattore secondario “psicogenetico” o “psicologico”,
perché la neuroscienza ha indicato che imparare ad evitare non è semplicemente
“psicogenetico”, ma conduce a cambiamenti nel cervello che sono misurabili.
Per Christian Büchel e Martin Sommer, quando il soggetto disfluente supera l’evitamento delle situazioni che esacerbano il sintomo, processo che chiamano “risveglio”, la balbuzie realmente migliora. Alcuni balbuzienti famosi ad esempio, hanno
superato l’evitamento “mettendosi sul posto”, ossia affrontando ogni tipo di realtà.
Un esempio è rintracciabile nell’attore americano Bruce Willis, che aveva cominciato a balbettare a 8 anni; questo dopo aver studiato in una scuola di teatro, affrontò il pubblico e la sua balbuzie miracolosamente sparì. Senza andare a scomodare
vip americani, la stessa cosa è accaduta per il nostro presentatore Paolo Bonolis, o
ancora per l’Onorevole Bassolino.
Büchel e Sommer mettono in evidenza le differenze tra balbuzienti e non, riportando che, in chiave sensomotoria nella balbuzie esistono ritardi negli input che
richiedono una risposta vocale e nelle risposte cronometrate.
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Altre alterazioni sono state evidenziate nelle risposte uditive (per esempio, risposte
uditive in ritardo, risposte frequenza-alterate), nella presentazione di stimoli uditivi di altre forme (per esempio, lettura in coro) e nell’alterazione del ritmo del discorso (per esempio, discorso sillaba-cronometrato). Dunque si potrebbe così presumere che la causa di tale disordine sia da rapportare ad una forma di distonia specifica: contrazioni involontarie del muscolo prodotte dal SNC. Tale ipotesi però
non è stata sostenuta da uno studio sull’eccitabilità della corteccia motoria
(Sommer ed altri 2003).
La neurochimica, tuttavia, può collegare la balbuzie a disequilibri di una rete delle
strutture addette al controllo del movimento: il ganglio basale. Così, come riportato da Büchel e Sommer, un aumento della dopamina è stato associato ai disordini
del movimento, quale la sindrome di Tourette, che è un disturbo neurologico caratterizzato da movimenti ripetuti ed involontari del corpo e da suoni vocalici incontrollati. Di conseguenza sembrerebbe che, come la sindrome di Tourette, la balbuzie migliorerebbe con il farmaco antidopaminergico. Quindi, un’iperattività del
sistema dopaminergico è stata supposta come causa della balbuzie. Anche se gli
antagonisti della dopamina hanno un effetto positivo sulla balbuzie, non si possono
dimenticare gli effetti secondari (o collaterali), per cui la prescrizione di tali farmaci non può risolversi come primo trattamento della balbuzie.
Büchel e Sommer, come cause neurologiche segnalano anche l’ipotesi di Braun e
colleghi che hanno trovato una maggiore attivazione dell’emisfero sinistro durante
la produzione del discorso balbettato.
Secondo gli Autori però, l’iperattivazione dell’emisfero sinistro più che inquadrarla come causa della balbuzie, potrebbe piuttosto rappresentare un processo compensativo. Un’evoluzione compensativa simile è stata osservata dopo un trauma, o
nell’afasia, dove un giusto emisfero ha parzialmente compensato almeno una perdita della funzione.
Oltre a questo dato, gli Autori segnalano che, più recentemente, mediante la risonanza magnetica è stata registrata l’iperattivazione dell’emisfero destro. Anche gli
studi di neuroimaging funzionali hanno rivelato due fatti importanti: nei balbuzienti, il giusto emisfero sembra essere iperattivo, inoltre sembra che ci sia un problema di sincronia fra la corteccia centrale frontale con quella di sinistra.
Altri ricercatori menzionati da Büchel e Sommer, hanno trovato delle anomalie
nella struttura del sistema temporo-frontale del linguaggio, addetto alla percezione
e alla produzione della parola. Sulla base di tale ipotesi, gli Autori presumono che,
per la produzione del discorso fluente sia necessaria una trasmissione disturbata del
segnale, che ne alteri l’integrazione sensomotoria. Questa teoria spiegherebbe perché lo schema temporale normale dell’attivazione fra il premotore e la corteccia
motoria sia disturbata (Salmelin ed altri 2000) e perché, di conseguenza, le giuste
zone del linguaggio dell’emisfero provano a compensare questo deficit (Fox ed altri
1996). Questi nuovi dati inoltre, forniscono una teoria per spiegare il meccanismo
di alcune tecniche che tendono a ridurre la balbuzie istantaneamente, come la lettura in gruppo, il canto e la lettura col metronomo. Tutte queste procedure coinvolgono un segnale esterno che, attraverso la corteccia uditiva, si inserisce nel “siste26
ma di produzione del discorso”. È così possibile che questo segnale esterno, raggiunga le zone centrali del cervello, aggirando la sconnessione fronto-centrale,
potendo quindi ri-sinconcrinizzare tale l’attività. In termini più semplici, questi
segnali esterni possono funzionare come una sorta di “stimolatore cardiaco esterno”.
Nonostante queste interessanti ricerche, secondo Büchel e Sommer molte sono le
questioni in sospeso, come ad esempio:
1. se i mutamenti strutturali nel cervello causano il PDS (balbuzie
secondaria), la domanda chiave è quando compare questa lesione, o
sconnessione;
2. inoltre, anche se i sintomi sono in qualche modo differenti, sarebbe interessante scoprire in che misura la balbuzie primaria, o transitoria (che si
presenta nel 3%-5% ) sia collegabile al PDS (balbuzie secondaria).
Se è vero che tutti i bambini che mostrano segni di balbuzie sviluppano un’anomalia strutturale durante lo sviluppo, sarebbe allora molto importante che la terapia
cominci già in tenera età per ottenere un effetto maggiore nel normalizzare questa
anomalia.
Secondo le teorizzazioni di Christian Büchel e Martin Sommer, poiché i ragazzi
rispetto alle ragazze hanno minori possibilità di recuperare un linguaggio fluente (4
a 1), si potrebbe ipotizzare che in tutti i balbuzienti sia da rinvenire un’anomalia
leggera, e che soltanto quelli che riusciranno ad usare il giusto emisfero, diventeranno normofluenti. La lateralizzazione del linguaggio, più o meno pronunciata
nelle donne, potrebbe essere collegata a una minore incidenza della balbuzie.
Per Christian Büchel e Martin Sommer è poco chiaro se un determinato genotipo
conduca alla balbuzie, o se soltanto rappresenti un fattore di rischio, mentre altri
fattori ambientali potrebbero risultare necessari per sviluppare la balbuzie secondaria (PDS).
Altre cause organiche a cui spesso si è fatto riferimento sono: ritardo dello sviluppo
motorio e del linguaggio, predominanza dell’ortosimpatico, mancinismo contrastato,
ritardata mielinizzazione delle guaine nervose, disturbo del feed-back audio-verbale.
Molte di queste ricerche riportate, non sembrano comunque esaustive nel collegare la balbuzie a cause organiche. La ricerca scientifica per essere veramente completa dovrebbe comprendere un campionamento molto elevato, e inoltre dovrebbe
rispondere alle seguenti domande:
1. Perché molti bambini che iniziano a balbettare, nell’80% dei casi
rimettono il sintomo già in età prescolastica?
2. Vi sono casi in cui la balbuzie sparisce in età adulta, anche senza aver
effettuato alcun trattamento. Cosa succede in questi soggetti? La presunta causa organica dove si collocherebbe? Esempi evidenti di questi “miracoli” li ritroviamo in alcuni personaggi noti a tutti per la loro
loquela, come ad esempio: Paolo Bonolis, l’Onorevole Bassolino o
ancora Tony Renis. In chiave funzionale, cosa sarà successo nella loro
“materia grigia”?
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3. La quasi totalità dei balbuzienti affermano che quando sono soli non
balbettano: affermazione dimostrata anche da registrazioni audio o da
videotape. Dunque, cosa succede quando il balbuziente verbalizza da
solo in una stanza?
4. In alcuni bambini il sintomo scompare durante il periodo estivo e poi,
con la ripresa scolastica, la balbuzie si ripresenta. O ancora, vi sono
bambini, ma anche adulti, che in determinate situazioni non balbettano, come ad esempio: durante il gioco, colloquiando con amici intimi,
nel pronunciare parolacce, quando cantano ecc.. Cosa succede in questi casi? Perché la balbuzie si annienta totalmente (o quasi)?
5. Dopo la somministrazione di un adeguato trattamento psicologico,
fonico e corporeo perché abbiamo la riduzione della balbuzie, se non
la sua scomparsa?
Considerando gli aspetti prettamente psicologici della balbuzie, Cooper E.B. e
Cooper C.S. (1996) hanno effettuato uno studio tra gli anni 1983 e 1991, i quali,
coinvolgendo 1.198 ricercatori di diversa estrazione, hanno somministrato il CATSI
(Clinician Attitudes Toward Stuttering Inventory ) a soggetti affetti da balbuzie ed ai
loro genitori; questi sono pervenuti alla conclusione che la patologia non può essere causata solo da fattori genetici e\o organici, ma bisogna far riferimento anche a
cause di natura psicologica. Secondo gli studiosi, il trattamento terapeutico,
dovrebbe iniziare fin dai primi stadi in cui il sintomo si verifica, per poter modificare preventivamente il comportamento patologico ed ansiogeno che si determina all’interno del nucleo familiare
Secondo le ricerche cliniche da noi compiute, la balbuzie potrebbe essere considerata essenzialmente come una “sindrome psicosomatica”. La balbuzie difatti, sembra
soddisfare tutti i criteri del disturbo psicosomatico e in chiave diagnostica tale problema potrebbe riguardare il quadro dei “Disturbi di Conversione” con deficit
motori (area dei Disturbi Somatoformi), che secondo il DSM IV sono “uno o più
sintomi o deficit riguardanti funzioni motorie volontarie o sensitive, che suggeriscono
una condizione neurologica o medica generale”.
Specificando dettagliatamente la peculiarità dei disturbi di conversione, secondo
Luban-Plozza B. (1992) et al., all’interno delle malattie psicosomatiche dobbiamo
distinguere in modo specifico i cosiddetti sintomi di conversione che “sono una risposta
e un’elaborazione somatica secondaria di un conflitto nevrotico. I sintomi hanno carattere simbolico e si possono considerare un tentativo di risolvere il conflitto. I sintomi di conversione in genere riguardano gli organi sensoriali ed il movimento volontario.”
Lo stesso Autore, citando gli studi di Engel, Scemale e di Freyberger elenca gli elementi psicodinamici che si ritrovano nella malattia psicosomatica e che possiamo
ritrovare anche nella balbuzie:
1. Depressione reattiva in seguito a perdita dell’oggetto e trauma narcisistico
2. Tratti regressivi orali
3. Difesa contro l’aggressività
4. Insufficiente capacità introspettiva
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Sintomo
1. Esaurimento emotivo
2. Depressione da esaurimento
Conflitto
1. Perdita oggettuale
2. Trauma narcisistico
3. Difesa contro l’aggressività
Struttura della personalità
1. Debolezza dell’Io, cioè insufficiente capacità introspettiva, alterata
“fiducia primaria”, ridotta tolleranza alla frustrazione, aumentati bisogni di dipendenza, capacità molto limitata di apprendere un nuovo comportamento emotivo.
2. “Vuoto emotivo” dovuto alla ridotta consapevolezza dei sentimenti e
alla tendenza a processi automatici di pensiero, insieme alla diminuita
capacità di elaborazione emotiva (…).
3. Disturbo orale-narcisistico con la marcata tendenza a esperire una perdita oggettuale che non può essere elaborata.
4. Comportamento difensivo, in particolare l’atteggiamento lamentosoaccusatorio che implica il forte bisogno di dipendenza da “figure-chiave”, per poter riguadagnare oggetti che implicano una delusione e per
poter compensare la malattia” (Luban-Plozza 1992, pag.32).
È interessante notare come tutti questi elementi psicodinamici si ritrovano nella
strutturazione mentale del soggetto balbuziente adulto, ma che sono anche rinvenibili in molti bambini.
Quindi si potrebbe ipotizzare che il conflitto inconscio si rifletterebbe nel linguaggio e nella strutturazione dell’immagine corporea che appare frammentata.
Il linguaggio balbettato difatti, oltre a tutte le variabili sopra menzionate, potrebbe
dimostrare un’eziopatogenesi di origine psicogena, anche se oggi non è ancora possibile dimostrare se tale causa sia primaria o secondaria.
Seguendo una lettura psicogena del sintomo, nella maggioranza dei casi, è possibile riscontrare come il soggetto balbuziente tende a esacerbare il suo sintomo in determinate situazioni, con determinate persone e su determinati parole e fonemi. Si
potrebbe dunque ipotizzare come questo “determinismo” sia il risultato di un
“codice inconscio” che si esprime proprio attraverso la balbuzie.
Secondo le nostre ricerche psicologiche e psicolinguistiche, il soggetto balbuziente
è sottoposto a forti impulsi aggressivi che tendono a bloccare il linguaggio, agendo
anche su determinate aree somatiche e nella produzione del discorso.
Ora secondo le nostre ipotesi, osservando la figura N.1, la persona che balbetta
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nell’intenzionalità di esprimersi, non riuscirebbe a
coordinare i centri motori
( Area di Broca) con i
centri che formano e mettono assieme le parole
(Area di Wernicke).
A questo punto si potrebbe ipotizzare che, quando
il soggetto balbuziente
entra in uno stato ansiogeno molto violento,
determinato da stimoli
interni o esterni, la carica
ansiogena
prodotta,
potrebbe intensificare il
segnale che il centro di
Broca invia verso l’apparato linguistico. Il segnale essendo troppo violento determinerebbe una specie di
“corto circuito” a livello dell’apparato motorio, causando spasmi linguistici o altri
disturbi neurovegetativi associati, quali: sudorazione, aumento del battito cardiaco,
varie contrazioni a livello muscolare, senso di nausea e confusione mentale.
Con tecniche psicosomatiche specifiche, attraverso il nostro lavoro riabilitativo,
stiamo cercando di agire direttamente sulle zone corporee che entrano in contrazione. Secondo le nostre indagini è stato visto che, riducendo l’ansia correlata al linguaggio, gli spasmi verbali tendono a diminuire, determinando una buona fluenza
linguistica.
In altre parole, il linguaggio del balbuziente non riuscirebbe a contenere la violenza delle emozioni, le quali sono continuamente censurate o sottoposte ad un rigido
vaglio operato dal controllo della coscienza. La capacità di scaricare la tensione
attraverso il corpo, determina uno stato di rilassamento del tono muscolare, attivando uno stato umorale positivo, con una maggior scioltezza verbale.
Attualmente, in chiave neurologica si sta tentando di intervenire farmacologicamente (antiepilettici, elettrostimolazione, ecc..) per riequilibrare la neurochimica
dalle zone deputate al funzionamento del linguaggio. Questa ricerca non è affatto
semplice, sia perché risulta molto invasiva, sia perché intervenendo sulla motricità,
difficilmente si riescono controllare gli effetti collaterali.
In chiave farmacologica, più recentemente ricordiamo lo studio di Boldrini M,
Rossi M, Placidi G.F.(2003), che stanno utilizzando la paroxetina nel trattamento
della balbuzie. La paroxetina è un farmaco che viene somministrato nella depressione, nel disturbo da attacchi di panico, nel disturbo ossessivo-compulsivo e nella
fobia sociale. Questo farmaco essendo un SSRI (Selective Serotonin Reuptake
Inhibitors), rappresenta una cura a base di serotonina. Comunque, è da rilevare che
in base ad una nota del Ministero della Sanità (08/08/2003) i risultati delle sperimentazioni cliniche condotte su bambini e adolescenti per il trattamento della
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depressione, non hanno dimostrato l’efficacia del farmaco antidepressivo rispetto al
placebo ed hanno altresì evidenziato un maggior rischio di comportamenti autolesivi e suicidari nel gruppo trattato con paroxetina rispetto al placebo.
Dunque nel caso in cui si volesse intervenire farmacologicamente nel trattamento
specifico della balbuzie, è sempre meglio l’uso di una attenta cautela.
Evoluzione della balbuzie e precocità dell’intervento
Dai 18 mesi in poi, è facile che il bambino possa presentare un linguaggio quasi
simile a quello del soggetto disfluente, oppure dopo un periodo di normofluenza
potrebbero comparire i primi blocchi. Questa prima forma di balbuzie definita primaria, fisiologica o transitoria, è caratterizzata da prolungamenti o ripetizioni di
fonemi, dove non appare alcuno sforzo, o consapevolezza della difficoltà fonica.
Questa prima fase è riscontrabile in molti bambini al di sotto dei tre anni, e nella
maggioranza dei casi tende a dissolversi nel tempo. A questa età il sintomo può
manifestarsi subito dopo la comparsa delle prime parole, oppure dopo un periodo
nel quale il linguaggio acquisito non sembrava compromesso.
Quando la balbuzie continua al di sopra dei quattro anni, questa manifestazione può
già considerarsi come segnale d’allarme sul quale intervenire. Dai quattro ai sei anni
si struttura la balbuzie secondaria (PDS), la quale tendenzialmente è più favorevole
alla cronicizzazione.
In questo tipo di balbuzie, blocchi e prolungamenti delle sillabe appaiono più frequenti e sono maggiormente intrisi d’ansia, spesso accompagnati da sintomi somatici e reazioni emotive.
Nella balbuzie secondaria il bambino non riesce a controllare il tono muscolare dell’apparato fonico, presentando una certa distorsione della voce e dell’articolazione.
La tensione muscolare appare visibile attraverso blocchi e ripetizioni del fonema.
L’infante si sforza in tutti i modi per evitare lo spasmo e l’eventuale blocco.
Erica Weir e Sonya Bianchet (2004) sostengono che circa l ’85% dei bambini in
un’età compresa tra i 2 e i 6 anni normalmente incontrano difficoltà, o strappi nel
loro linguaggio fluente, per poi passare ad un periodo di disfluenza che tocca circa
il 10% dei bambini in età pre-scolare.
Per le due Autrici l’eziologia ed i meccanismi della disfluenza sono complicati: in
generale, si segnala una mancanza di coordinazione fra l’intenzione linguistica e
l’articolazione motoria del linguaggio.
I modelli ed i comportamenti che potrebbero segnalare un maggior rischio di balbuzie tendente alla cronicizzazione sono: ripetizioni, suoni prolungati, esitamenti, o
quando il bimbo dice “non riesco a dirlo”.
Quando la balbuzie persiste al di sopra dei quattro o cinque anni, è molto difficile
predire se effettivamente questa si dissolverà nel tempo. È anche vero che, con l’evolversi della persona il sintomo potrebbe dissolversi, ma questo chi può predirlo?
Ogni persona è un “mondo a sé”, ha una sua storia, una propria evoluzione intellettiva e percettiva, un modo personale di vivere l’esperienza, una personale bal31
buzie e un proprio futuro con specifiche caratteristiche di progressione: tutto questo naturalmente stravolge qualsiasi ipotesi di previsione riguardo alla remissione
del sintomo.
Il sintomo potrebbe eclissarsi spontaneamente nei bambini in un’età di cinque o sei
anni o nel periodo pre-puberale (12\14 anni) o anche in età adulta (18\20 anni). La
caduta del sintomo potrebbe spiegarsi attraverso un’evoluzione spontanea della
strutturazione neurofisiologica o motoria delle aree che controllano il linguaggio o
per la sopraggiunta maturità psicologica dell’individuo.
Anche se nel corso degli anni la balbuzie appare diminuita o scomparsa, questo elemento non è di assoluta predittività riguardo all’evoluzione linguistica futura. Difatti
potrebbe succedere che eventi stressanti o drammatici che la persona normalmente
incontra nella propria vita, potrebbero sancire il ritorno del vecchio fantasma.
È nostro parere comunque che si debba intervenire precocemente con la comparsa
delle prime avvisaglie, al fine di evitare l’instaurarsi di un pericoloso circolo vizioso, che potrebbe durare tutta la vita. Il trattamento potrebbe essere proposto già al
di sotto dei sei anni, prima che il bambino si confronti con la realtà scolastica.
Risparmiare al bambino la negatività delle esperienze future associate al sintomo,
diventa fattore determinante e fondamentale per una prognosi positiva e raggiungibile anche in un breve arco di tempo.
All’interno di una diagnosi precoce, gli elementi psicologici predittivi, quali indici
premonitori; che potrebbero favorire la cronicizzazione del problema sono:
• malattie e problemi neurologici presentati alla nascita;
• difficoltà nello sviluppo linguistico e metalinguistico;
• problemi nell’evoluzione motoria, percettiva, intellettiva ed affettiva;
• difficoltà nell’acquisizione delle abilità di base per discriminare e riconoscere gli oggetti (meccanismi importanti per lo sviluppo dell’attenzione, memoria e apprendimento);
• incapacità di giocare e di relazionarsi con gli altri;
• alto tasso di conflittualità all’interno della famiglia;
• aspetti educativi confusi;
• difficoltà di adattamento all’asilo o all’impatto scolastico;
• presenza di disturbi dell’apprendimento;
• eccessivo tasso di ansia e di aggressività;
• enuresi e/o encopresi;
• eccessiva dipendenza dall’adulto;
• mancanza di autonomia rispetto alla propria età;
• presenza di altri sintomi psicosomatici;
• difficoltà nell’area dell’alimentazione e del sonno;
• presenza di disturbi del comportamento e della condotta.
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La necessità di un intervento precoce preserva il bambino dalle inevitabili difficoltà che
la scuola pone come nuova tappa evolutiva. La scuola, già di per se mette a dura prova
qualsiasi bambino, in quanto ciascuno è chiamato a confrontarsi con un ambiente
sociale imperniato sulla competizione sociale. Ogni bambino, per il buon esito del suo
adattamento scolastico deve aver acquisito una sufficiente fiducia di base, di fondamentale importanza per lo sviluppo delle proprie capacità cognitive e sociali.
Secondo E.H. Erikson, M. Balint e D.W. Winnicot, il bambino nel primo anno di
età deve aver maturato una sana fiducia di base, contraddistinta dalla capacità di star
solo e dalla percezione di figure genitoriali presenti e facilmente raggiungibili.
Per buona parte dei bambini balbuzienti l’impatto scolastico viene vissuto in modo
drammatico. Circa il 70 % dei soggetti da noi esaminati hanno acquisito la consapevolezza delle loro difficoltà foniche proprio con l’inizio del periodo scolastico e
nel 30 % dei casi la balbuzie è scoppiata con l’entrata nella scuola materna. Il bambino nella maggioranza dei casi non ha retto alla separazione dall’ambiente famigliare, non tollerando l’immersione in un bagno a carattere sociale.
Con l’impatto scolastico, in molti bambini disfluenti si sviluppano sentimenti di sfiducia, stati depressivi a carattere nevrotico, sintomi somatici, fobia della scuola e
inibizione intellettiva. Anche se si verificano tali sintomi, nella maggioranza dei casi
il quoziente intellettivo appare nella norma.
Bassi-Cannella (1968) secondo una loro statistica, segnalano che nei bambini balbuzienti dai 6 agli 11 anni, con l’ingresso scolastico potrebbero comparire altri sintomi come: diverse fobie (56%), cattivo rendimento scolastico (40%), instabilità
motoria (30%) e insufficiente socializzazione (28%).
Il più delle volte il bambino disfluente manifesta una richiesta eccessiva di vicinanza da parte della figura genitoriale. Tali richieste saranno visibili soprattutto quando l’infante deve separarsi dal genitore.
Aspetti famigliari
Lena Rustin ( 1995), presentando una panoramica delle ricerche sul ruolo dei genitori nello sviluppo delle capacità linguistiche dei bambini, effettuate tra il 1955 e il
1994, ha riscontrato che la disfluenza del figlio genera nelle madri un alto livello di
ansietà.
Secondo lo studio di Vanryckghem M. (Florida, 1995), nel quale è stato somministrato il Test di Attitudine Comunicativa (Cat – D), è stato accertato che i genitori
con figli balbuzienti, sviluppano un alto grado di preoccupazione.
Questo dato viene confermato anche da Yaruss J.S. e Conture E.G. (1995), i quali
hanno rilevato che maggiore è il grado di balbuzie, maggiore sarà il grado di ansietà nella relazione fra genitore e figlio. Col miglioramento della fluenza del figlio,
migliora anche la qualità dell’interazione all’interno del nucleo famigliare.
Il peggioramento della balbuzie è spesso correlato al funzionamento famigliare operante secondo le regole di un sistema chiuso, strutturato secondo i principi
dell’“omeostasi rigida”, dove ogni cambiamento interno al sistema o prodotto da
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eventi esterni, non può essere tollerato e dove tutto viene riportato continuamente
nella posizione di partenza. Nel solo rispetto del principio dell’omeostasi, le relazioni si presentano rigide e sterili, con confini interpersonali che non consentono
l’interscambio e lo sviluppo di processi evolutivi.
Il più delle volte, quando una madre comincia ad intravedere le prime avvisaglie
della balbuzie nel bambino molto piccolo, questa non riesce a capire cosa sta succedendo. Quando il sintomo persiste, l’angoscia comincia a far la sua comparsa. La
madre a poco a poco sarà invasa da mille domande, chiedendosi in che cosa ha sbagliato, che cosa non riesce a capire, perché tale tragedia doveva capitare propria lei,
quale sarà il futuro del figlio e così via.
Nel cuore della madre si faranno strada sensi di colpa, sentimenti depressivi e di scoraggiamento, con la sensazione di aver fallito nel proprio compito materno. Molte
madri con tali sentimenti, spesso abbandonano i loro obiettivi professionali per dedicarsi interamente alla cura dei figli, cercando così di sedare i loro sensi di colpa.
Vi sono alcune madri che dinanzi all’incalzare di tali sentimenti cercano di correggere inutilmente il linguaggio del bambino. Altre, anche se rimangono impassibili,
non appena sentono le difficoltà foniche del figlio, fanno trasparire a livello non
verbale la loro ansia, con segni d’impazienza. Queste modalità, consce o inconsapevoli, a loro volta fanno scattare nel bambino sensi di colpa, correlati alla fantasia
di essersi macchiati di una condanna che non avrebbero mai voluto.
Il bambino a sua volta, per rendere felice la mamma, più cercherà di parlar bene e
più si troverà impantanato in laringospasmi esacerbati dal desiderio di mostrarsi
senza alcun sintomo. Non a caso vi sono bambini che balbettano più a casa che non
tra i coetanei.
Altre volte può succedere che nella mamma scattino meccanismi iperprotettivi per
difendere il figlio e per facilitargli l’impatto con la realtà sociale.
Quando compaiono le prime avvisaglie della balbuzie, solitamente il padre appare
meno preoccupato. Nella maggioranza dei casi il padre cerca di sedare l’angoscia
della moglie, spesso ponendosi in una posizione di secondo ordine nell’affrontare
la balbuzie del figlio.
Abbiamo notato ad esempio, che durante il primo colloquio informativo svolto con
i genitori è sempre la moglie che fornisce tutti i dettagli relativi alla vita del fanciullo. La voce paterna si sente poco e spesso fa da coro ai sentimenti materni.
Dalle nostre osservazioni cliniche è emersa la seguente tipologia di padri:
I. Padre assente: è un padre che ha delegato completamente la funzione
educativa alla moglie. Egli s’identifica con un reddito monetario o con
il proprio lavoro: tutto il resto non ha alcuna importanza.
II. Padre rigido-meccanicistico: per questo tipo di padre non esistono problemi psicologici e tantomeno conflitti. Ogni problema può essere
risolto con un semplice “atto di volontà” che riporta tutto all’ordine
e alla disciplina. Questo padre solitamente si presenta rigido nelle
regole, poco propenso all’ascolto, tutto proteso verso il lavoro e il
fare; è ambizioso nei confronti del figlio e i meriti di quest’ultimo non
vengono mai riconosciuti.
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In nome della propria sapienza questo papà si sentirà legittimato a correggere drasticamente la balbuzie del figlio o peggio tenderà ad interferire
negativamente in ogni procedimento terapeutico che sarà intrapreso. Il
quadro sintomatico si complicherà quando questo tipo di padre è affetto
da balbuzie, o lo era stato.
III. Padre iperprotettivo-ansiogeno: per questo papà ogni minima difficoltà è un grosso problema da risolvere. Si presenta ansioso, sempre di
corsa e sempre in anticipo sugli orari. È lui che si preoccupa della cura
del figlio e spesso la moglie fa da coro ai vissuti emotivi del marito.
Chi detta legge solitamente è proprio il figlio, il quale in virtù del potere conferitogli dal sintomo stesso, riesce a dominare il padre manipolandolo secondo i propri desideri. Nel lavoro terapeutico intrapreso, questo papà difficilmente riuscirà ad intravedere la risoluzione
della balbuzie, proprio perché lui stesso non è riuscito a delimitare la
propria ansia
In una nostra indagine famigliare, formato da un campione di 40 famiglie, è stato
somministrato il Parental Attitude Research Instrument (PARI – Forma IV)) che
misura gli atteggiamenti genitoriali. In questa ricerca gli items che hanno avuto una
maggiore significatività sono stati: paura di nuocere al bambino, repressione dell’aggressività, dominanza della madre e sempre in questa, regnava il sentimento di
sentirsi trascurata dal marito.
L’indagine psicodiagnostica
In un nostro lavoro psicodiagnostico effettuato su un campione di 60 bambini affetti da balbuzie, composti da 42 maschi e 18 femmine, di età compresa tra i 6 e i 11
anni, abbiamo somministrato dei tests proiettivi: Rorschach e CAT (Children
Apperception Test), dai quali sono emersi alcuni dati significativi.
I bambini mostravano numerose risposte di ansia con difficoltà nel manifestare i
propri affetti, inoltre si rivelava una modalità difensiva dell’Io atta ad evitare l’approfondimento delle tematiche conflittuali.
Il livello intellettivo era nella norma; pertanto non si rilevavano disturbi nell’ambito della sfera cognitiva.
Nel campione maschile si rilevava un alto tasso di aggressività con un’elevata ricerca di sentirsi confermati nelle loro potenzialità.
Nel campione totale sono state rilevate difficoltà nello stabilire rapporti interpersonali
affettivamente equilibrati, ricercando un adattamento sociale passivo e conformista.
Nel campione maschile era maggiormente alta la difficoltà nell’esternare le risposte
affettive in relazione agli stimoli presentati dal materiale testale. Nel campione femminile emergeva una maggiore capacità di esternare i propri vissuti affettivi, anche
se dal punto di vista comportamentale era presente una certa instabilità emotiva.
Nell’intero campione, in base alla propria età, il processo di separazione e di autonomia si presentava poco evoluto.
35
Come nelle precedenti ricerche effettuate sugli adulti (Caruso E. 1999, 2001)
anche per i bambini, viene qui dimostrato che il sintomo balbuzie sottende qualsiasi tipo di personalità, per cui diventa estremamente difficile poter specificare i tratti caratteristici che definiscono la personalità del soggetto disfluente.
Analizzando le situazioni nelle quali il bambino trova maggiori difficoltà verbali, è
emerso che il 90% dei soggetti balbetta maggiormente a scuola e nella relazione con
i professori o con altre figure educative. La balbuzie si eleva con gli estranei e con
adulti, anche se in grado minore rispetto ai secondi. Quasi tutti hanno la fobia del
telefono o di fare piccole commissioni.
Al contrario, il sintomo sembra ridursi nel gioco con i coetanei, quando il soggetto
parla da solo in una stanza e soprattutto per molti bambini la balbuzie sembra
ridursi nei periodi estivi.
Molti bambini riferiscono di non balbettare quando esprimono la loro aggressività
(soprattutto nella relazione tra fratelli); lo stesso accade quando il bambino si sente
libero di esprimere gioia o affetto.
Oltre alle situazioni, sono stati esaminati i singoli fonemi che risultavano difficili da
pronunciare. Per tale analisi è stato somministrato un test psicolinguistico proiettivo
che permetteva di registrare il grado d’intensità del laringospasmo, associato a consonanti e vocali, secondo due gradienti forte e lieve.
I risultati hanno dimostrato che la quasi totalità del campione balbetta maggiormente sulle liquide R\L e sulle occlusive P\B, T\D, K\G.
In altri termini, secondo le nostre ricerche, pur esistendo 5 forme di balbuzie, siamo
dell’avviso che per ogni forma di disfluenza esistono diversi sottotipi e che ogni disfluente abbia un modo personale di balbettare. Inoltre per ogni tipo o sottotipo di
balbuzie, esiste un diverso quadro psicologico, per cui non è semplice ravvisare statisticamente le caratteristiche salienti del soggetto balbuziente. Siamo d’accordo
con Benecken J. (2004) il quale, con il suo contributo, attacca ogni forma di stigmatizzazione psicologica o psicoanalitica del soggetto balbuziente. Per Benecken le
attribuzioni psicologiche e le costruzioni psicanalitiche, Fenichel compreso (1945),
non sono state confermate dalla ricerca empirica.
L’ipotesi di un trattamento globale
La balbuzie è un problema complesso che va trattato con molta cautela e con tecniche specifiche, sulla base di una diagnosi foniatrica, neuropsichiatrica e psicologica.
In un inquadramento terapeutico più globale Treon M. (1995), propone un trattamento unitario, considerando due basi eziologiche della balbuzie. Una prima base
è riscontrabile nello sviluppo primario del bambino, quando fattori ambientali,
comportamentali, famigliari, educativi, socio-culturali ed emotivi, complicano la normale evoluzione linguistica. L’altra base eziologica sarebbe determinata dall’innata
predisposizione neurolinguistica. Sulla base di questa bipolarità eziologica, l’autore
è del parere che il trattamento dovrebbe sempre prevedere una terapia del linguaggio
36
abbinata ad una forma psicoterapica, che faccia evolvere il soggetto in senso psicoaffettivo e sociale.
Anche secondo le nostre ricerche, un buon trattamento terapeutico dovrebbe tenere conto di tutte le variabili che determinano la balbuzie.
All’interno del trattamento da noi proposto, oltre ad un esame attento del tipo di
balbuzie, viene proposto un esame diagnostico della personalità. Tale esame diventa fondamentale per essere certi che oltre al sintomo balbuzie non vi siano altre
patologie associate che potrebbero inficiare la prognosi.
Le tecniche saranno applicate previa diagnosi, in modo da sviluppare un programma specifico per ogni singola persona. Una procedura che tenga conto solo della
balbuzie, senza considerare il quadro psicologico del bambino, potrebbe notevolmente peggiorare la sintomatologia.
Dopo tale esame, l’aspetto prettamente terapeutico, mira a sollecitare tutti le variabili comunicazionali che sono state inibite, o parzialmente sviluppate.
Il quadro terapeutico non si focalizza esclusivamente sul trattamento della balbuzie, ma prende in esame altri sintomi spesso correlabili alla disfluenza: variabili
somatiche (aggressività, ansia, insonnia, ecc.) disorganizzazione ideativa, scarso rendimento scolastico, difficoltà di concentrazione, difficoltà di lettura, difficoltà di adattamento e di inserimento sociale, difficoltà di comunicazione in senso lato.
L’iter terapeutico viene sviluppato sulla base di una terapia di gruppo o individuale, sempre seguendo le necessità diagnosticate. Anche i genitori verranno coinvolti
all’interno di questo processo.
Considerando la globalità della persona, il nostro approccio prevede un intervento
studiato in base a tre aree di intervento:
a) Area somatica: nella balbuzie esistono spesso alterazioni nella coordinazione dei movimenti tra aree del corpo. La riduzione di tali
incoordinazioni, oltre a risolvere spesso tensioni e spasmi che si accompagnano alla balbuzie, permette di affrontare più serenamente il
processo di armonizzazione psicofisica. Vengono focalizzati i sintomi
ansiogeni che bloccano la comunicazione, stabilendone il significato
e l’origine. Successivamente si procede a ridurre la tensione somatica
mediante l’applicazione di tecniche verbali ed infraverbali.
b) Area fonica: concerne l’applicazione di una serie di tecniche foniche
che rimuovono i blocchi del linguaggio, recuperando il ritmo e la
coordinazione naturale dell’apparato pneumo-fonico. L’obiettivo di
tali tecniche è quello di sollecitate il feedback audio-verbale.
c) Area sociale e comportamentale: in chiave psicologica, sollecitando
la componente affettiva non espressa, mediante l’applicazione di tecniche comportamentali, si procede a ridurre l’ansia collegata alla
dimensione strettamente relazionale. Vengono focalizzate le dinamiche interpersonali che sono all’origine del disturbo della comunicazione, per puntare sui processi di “autostima” e di positività nell’affrontare la dimensione sociale. Più il bambino si sentirà sicuro e forte
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senza ostentare un “Falso-Sé”, più egli sarà in grado di recuperare
una buona fluenza.
La presente metodologia è sintetizzata nella tabella successiva.
Terapia individuale e\o di gruppo
Tecniche applicate:
Area Somatica
Area Fonica
Area Sociale
Tecniche psicosomatiche
Musicoterapia
Role playing
Flusso dinamico
Tecniche informatiche
Tecniche audio-video
Tecniche immaginative
Tecniche linguistiche
Psicodramma
Finalità:
Autonomia corporea
Finalità:
Autonomia linguistica
Finalità:
Autonomia sociale
Azione sull’ansia mediante
l’ascolto del corpo.
Sollecitazione della
comunicazione affettiva
Azione sul feedback
audio-verbale
per la riduzione
del laringospamo
Riduzione dell’angoscia
sociale migliorando
la qualità delle
relazioni sociali
Tutte le tecniche menzionate, sono supportate e riunificate da un lavoro essenzialmente psicoterapico, che discostandosi da un procedimento ortodosso, ricongiunge più discipline per agire in modo mirato sul bambino che balbetta.
In questo procedimento evolutivo, costituito dall’incastro tra tecniche psicologiche,
comportamentali e linguistiche, risulta necessaria l’alleanza terapeutica con la famiglia per non vanificare i risultati ottenuti.
L’evoluzione del linguaggio procede parallelamente con l’evoluzione comportamentale. I cambiamenti sopraggiunti nel bambino determineranno, come logica
conseguenza, nuovi assestamenti nella struttura famigliare. Questa fase comporta
colloqui periodici con i genitori per renderli parte attiva all’interno del processo
terapeutico. Generalmente, la terapia con i genitori procede intervenendo sugli
accorgimenti educativi, sulle loro emozioni, cercando anche di comprendere gli
atteggiamenti assunti dal bambino nel contesto famigliare e sociale.
Lo stesso campione sopraccitato, formato da 42 maschi e 18 femmine, di età compresa tra i 6 e i 11 anni, è stato sottoposto al nostro tipo di trattamento. Suddividendo
il campione in quattro gruppi, dopo 10 mesi di lavoro è emerso quanto segue:
Gruppo A) Il 40% dei soggetti esaminati, dopo il periodo di cura avevano riscontrato notevoli miglioramenti, sentendosi soddisfatti a livello verbale, sociale ed affettivo.
Gruppo B) Il 30% dei soggetti presentavano sufficienti miglioramenti fonici, non manifestando altri sintomi associati. A livello relazionale presentavano ancora ansia e timori.
38
Gruppo C) Il 10% non ha riscontrato alcun miglioramento a livello fonico. La balbuzie appariva reattiva ad ogni forma di tecnica impiegata.
Gruppo D) Il 20% dei soggetti avevano interrotto la terapia precocemente per motivi d’ordine esterno: lavoro dei genitori, altri impegni
insorti, ecc.., e per motivi d’ordine interno: alto grado di conflittualità
emotiva, scarsa fiducia nella terapia, alto tasso di diffidenza che rendeva impossibile l’applicazione di qualsiasi tecnica.
Dalla musicoterapia all’unità dell’immagine corporea
Nelle ricerche di Barinaga M. (1995), è stato riscontrato che il soggetto balbuziente mentre parla non possiede un adeguato feedback audio-verbale. Sembrerebbe che
il cervello non sviluppi la normale dominanza dell’emisfero sinistro deputato alla
funzione linguistica. Sulla base degli studi effettuati con la tomografia a emissione
di positroni, è stato visto che nei soggetti normofluenti rispetto ai soggetti balbuzienti, vi è una maggiore attivazione dell’emisfero sinistro e delle aree uditive.
A tal proposito, secondo un gruppo di ricercatori del Canada (Stuart et al. 1996),
la balbuzie può essere curata alterando la frequenza del feedback uditivo portandolo
a 1\2 e 1\4 rispetto alla gamma normale. Tutto questo fa presupporre che nel soggetto balbuziente i feedback predisposti per la produzione verbale siano deficitari.
Nel nostro approccio terapeutico, inserendo una forma riabilitativa basata sulla
musicoterapia, abbiamo riscontrato che il feedback audio-verbale può essere modificato positivamente.
Il processo di feedback, inteso come consapevolezza della normale fluenza verbale,
viene impostato con l’applicazione della musica, sollecitando meccanismi catartici e
ritmici che si attivano a livello somatico, mimico-posturale e linguistico. Tutto questo avviene probabilmente perché la funzione uditiva ha un ruolo molto importante nel coordinare l’organizzazione percettiva generale, fornendo le basi della corretta coordinazione sensomotoria.
Grazie alle proprietà strutturali delle musiche, nell’ascoltatore si innescano modificazioni positive, che sono comprovate da evidenti miglioramenti delle funzioni percettive e prassiche, compresa una maggior fluenza verbale.
L’esistenza di un ruolo disturbante del feedback audio-verbale, ci permette di
comprendere perché inserendoci terapeuticamente in questo meccanismo, in realtà
possiamo riabilitare la funzione linguistica. La musica può funzionare come binario
di riferimento fisico e psichico nella riabilitazione degli schemi percettivi e motori.
Nei punti di rottura della fluenza verbale, la musicoterapia che abbiamo creato per
la cura della balbuzie, offre il sottofondo di riferimento sul quale appoggiarsi per
ritrovare la ritmicità del linguaggio. La carenza pneumofonica viene sollecitata con
un allenamento alla ricezione del ritmo e della melodia in tutte le sue forme: ginnastica ritmica, intonazione linguistica, corretta produzione del suono, riduzione dell’ansia correlata al linguaggio e rilassamento dei muscoli che entrano in azione
durante il discorso.
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Per stimolare la fluenza verbale, oltre a modelli ritmici basati sulla musicoterapia,
vengono applicate delle tecniche linguistiche, fra queste la più importante è quella
che abbiamo definito “composizione fonemica”, che consiste in esercizi fonici basati
sulla elaborazione e produzione delle unità che compongono le parole. Tale esercizio è un modo per giocare con le parole, senza averne paura.
Queste tecniche permettono di prendere confidenza con le parole e con le consonanti, agendo sul determinismo psichico e sulla paura che porta la persona a balbettare.
Con queste tecniche si cerca d’indurre la stimolazione del linguaggio, anche con
l’ausilio di giochi verbali che stimolano la capacità semantica, ossia l’abilità di usare
i termini giusti secondo ciò che si desidera esprimere.
Inoltre per facilitare una migliore consapevolezza fonica, quando la persona si sente
pronta, si usa l’ascolto in cuffia e la telecamera, strumenti che diventano lo specchio
delle proprie modalità comunicative.
Musica e corretta coordinazione dei movimenti, sollecitano la motricità attraverso
la conoscenza dello spazio, del tempo e dei i ritmi fisiologici insiti nel linguaggio.
Agendo sulla comunicazione motoria si agisce anche sulla comunicazione simbolica, emotiva ed affettiva.
L’azione terapeutica sollecita l’intera architettura delle percezioni esterne ed interne, coinvolgendo sinergicamente la voce, la fonazione e la motricità, sfruttando le
proprietà psicobiologiche della musica.
Affinché l’ansia correlata al linguaggio possa essere ridotta, seguendo una visione
unitaria del possibile trattamento del bambino, sono state elaborate delle tecniche
corporee che consentono l’ascolto del corpo, migliorando l’atto della fonazione.
In sintesi, queste tecniche corporee cercano d’indurre un linguaggio spontaneo
senza forzature. Con queste procedure ci muoviamo in un’area pre-verbale che
riguarda la relazione che il bambino intrattiene con il corpo e con l’emozione primordiale.
Con questa tecnica vengono riattraversate tutte le tappe evolutive (filogenesi) e la
storia personale (ontogenesi), al fine di bonificare le emozioni negative collegate alla
propria evoluzione psicologica. La sollecitazione della sfera sensoriale indotta a
livello corporeo, favorisce la liberazione e il deflusso del sovraccarico delle tensioni
che si cristallizzano in determinate aree somatiche.
La tecnica corporea che offre sblocchi fonici immediati è quella del “flusso dinamico”, che è stata elaborata attraverso le ricerche e le elaborazioni metodologiche del
dottor Paolo Rossi. Questa è una tecnica di rilassamento corporea associata alla verbalizzazione.
La persona che balbetta, solitamente, mentre parla non ha una consapevolezza delle
aree del corpo che entrano in tensione, non riuscendo così a regolare e a far defluire il carico ansiogeno. Le tecniche di rilassamento ortodosse, come il popolare “training autogeno di J.H. Schultz”, da sole non permettono grandi miglioramenti, perché non sono correlate alla pura verbalizzazione.
La tecnica del “flusso dinamico” permette di rilassare le zone corporee che entrano
in tensione mentre si parla, e nello stesso tempo il bambino prende coscienza del
suo corpo, migliorando la percezione dell’”Immagine Corporea”.
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Variabili predittive per una buona prognosi
In chiave terapeutica si è potuto constatare che la cura della balbuzie è direttamente proporzionale all’incidenza delle seguenti variabili:
• Motivazione del bambino: questa non coincide con un semplice “atto
di volontà” nel voler sottoporsi ad un trattamento; tantomeno si identifica con un atteggiamento passivo e magico, secondo il quale il terapeuta è chiamato a compiere il grande miracolo.
Il trattamento è essenzialmente partecipazione attiva e creativa del soggetto e dello
stesso terapeuta. Anche al terapeuta si richiede un’adeguata motivazione, che non
si risolve in un’applicazione rigida e fredda di una tecnica.
• Alleanza terapeutica: da una “sana motivazione”, che nasce dal cuore e
non dalla testa, si dispiega la buona alleanza terapeutica che diventa la
condizione necessaria per lo svolgimento del processo di crescita verbale
ed affettiva. Quando quest’alleanza non si struttura, quasi sempre compariranno strategie di boicottaggio della terapia da parte del bambino (o
del genitore), che farà di tutto per interrompere il trattamento.
• Età del soggetto in trattamento: presto s’inizia e maggiori saranno i
risultati. Come è stato rilevato, la cura può iniziare già nel periodo
prescolastico.
Per i bambini più grandi, i risultati saranno più lenti e graduali, ma non impossibili.
• Età d’insorgenza del sintomo: abbiamo notato che se il sintomo è
emerso in età precoce (2\3 anni) i tempi della terapia si dilatano se
non si interviene tempestivamente, mentre si accorciano quando la
balbuzie è comparsa dopo i 6\7 anni. Minore sarà lo scarto fra il
tempo di comparsa della balbuzie e l’inizio del trattamento, maggiore sarà la probabilità di avere una buona prognosi.
• Grado e tipo di balbuzie: ogni persona ha un proprio tipo di balbuzie
che varia secondo i contesti e gli stati d’animo. È stato riscontrato che
quando gli spasmi o i blocchi fonici sono intensi, con limitati episodi
di fluenza verbale, la terapia diventa più difficile.
• Presenza di altri sintomi associati: la prognosi diventa più difficile
quando alla balbuzie si associano disturbi della motricità, disturbi
dell’apprendimento, altre patologie linguistiche e disturbi del comportamento.
• Grado di ansia e di aggressività: Maggiore sarà il grado di ansia e di
aggressività, più pazienza si richiederà durante il corso della terapia.
• Grado di adattamento a livello sociale: questa variabile racchiude la
relazione con i coetanei e con la scuola, elementi che condizionano
l’evolversi della cura. Per ogni bambino, maggiore sarà la voglia di
crescere e di esprimere la propria creatività in modo autonomo e personale, più facile risulterà il raggiungimento dei risultati.
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45
LOGOPaeDIA 2005; vol.1: pag. 46-54
Ricerche e studi
Parlando di… VERBI –
un’esperienza di lavoro
Maria Montuschi – Logopedista, Milano
Abstract
L’articolo è destinato a logopedisti che si occupano di disturbi del linguaggio e della comunicazione, in particolare del bambino (anche se quasi tutto il materiale descritto può essere
adattato al soggetto adulto).
Il lavoro descrive alcuni materiali attualmente disponibili in commercio, finalizzati alla promozione o al recupero di una categoria verbale fondamentale, quella dei verbi; vengono spiegate finalità e modalità di utilizzo e viene suggerita la possibilità di un utilizzo integrato.
Vengono riferite le potenzialità e i limiti degli strumenti descritti, sulla base di un’esperienza
con bambini con disturbo specifico di linguaggio, ritardo mentale e disturbi dello spettro
autistico.
Parole chiave
Disturbi del linguaggio e della comunicazione; terapia del linguaggio; materiale specializzato; verbi; lessico; sintassi; morfologia; pragmatica.
INTRODUZIONE
Se desiderassimo, una volta tanto, abbandonare forbici e colla o computer e stampanti, troveremmo in commercio materiali specializzati molto belli e interessanti
che potrebbero darci nuovi spunti di lavoro.
Diventerebbe essenziale a questo punto stabilire obiettivi specifici che guidino alla
scelta del materiale da utilizzare o eventualmente adattare, per non rischiare di
improvvisare la terapia con quello che abbiamo nell’armadio. Scopriremmo allora
che aprire l’armadio e cercare che cosa, già pronto, meglio si adatta al nostro scopo,
si rivela spesso una grande comodità.
Abbiamo deciso di occuparci dei verbi, spesso protagonisti delle nostre sedute e
che, a più livelli, con diversi disturbi e patologie, richiamano la nostra attenzione di
terapisti del linguaggio.
Il percorso intrapreso ha visto come destinatari dell’intervento bambini con disturbo specifico di linguaggio, ritardo mentale e disturbi dello spettro autistico.
La sorpresa è stata che integrando più “scatole”, ovvero schede fotografiche e
immagini anche di editori diversi, sono nati percorsi omogenei ed efficaci, adattabili facilmente a patologie e a livelli di sviluppo differenti.
Bisogna dire che se da un lato la costruzione del materiale di lavoro personalizzata
di volta in volta sul singolo caso risulta molto efficace, dall’altro l’ottima qualità dei
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materiali ripaga di gran lunga degli adattamenti che ovviamente in qualche caso
dobbiamo operare.
Le indicazioni di lavoro, i “libretti di istruzione” contenuti nelle scatole, ci hanno
dato in qualche caso degli ottimi suggerimenti, che abbiamo addirittura esteso ad
altri materiali fai-da-te, ma nella maggior parte dei casi sono stati integrati dalla
nostra esperienza e da nuove idee.
Purtroppo gli strumenti utilizzati sono inglesi e sebbene si tratti di materiale figurato, quindi di un linguaggio universale, non è sempre possibile risalire al progetto
che ne ha guidato la costruzione, né affidarsi, dove presenti, a traduzioni un po’
sommarie.
Questo ci invoglia a darci da fare per adattare all’italiano materiali di cui già disponiamo o addirittura per proporre nuove e originali pubblicazioni, di produzioni
nostre, già ampiamente collaudate, che magari teniamo chiuse in un cassetto, pensate e realizzate nella nostra lingua.
IL MATERIALE
1. COLORCARDS Basic Verbs (verbi di base)
COLORCARDS Familiar Verbs (verbi di uso comune)
Verbi LDA
2. Action Lotto Home (Azioni e verbi in casa)
3. COLORCARDS Verb Tenses (Tempi dei verbi)
4. STORYCARDS, Verbs (Racconto io)
5. COLORCARDS Expressive Verbs (Verbi espressivi)
Si tratta in tutti i casi di materiale cartonato (solo in STORYCARDS sono inclusi
nella confezione dei pupazzetti a dito rappresentanti i quattro animali protagonisti
delle storie), ben illustrato, resistente e gradevole. In particolare le ColorCards sono
di grande formato (21x14,8 cm) e le rappresentazioni fotografiche risultano di
immediata comprensione in quanto più chiare, non richiedono astrazione e risolvono le ambiguità che talvolta presenta il materiale illustrato; la fotografia consente inoltre di utilizzare lo stesso materiale anche per adolescenti e adulti, come valida alternativa alle illustrazioni, solitamente “infantili”, anche se purtroppo i soggetti delle foto sono spesso bambini e ragazzi. Solo nelle StoryCards le vignette sono
disegnate al computer, modalità piuttosto insolita.
Tutte le scatole prevedono un utilizzo a tavolino, fatta eccezione per alcune attività,
soprattutto legate all’utilizzo dei verbi espressivi.
Il logopedista potrà scegliere, a seconda dei casi, se introdurre il materiale figurato in
prima battuta, oppure se utilizzarlo in seguito ad un lavoro sulle azioni fatto a tavolino con oggetti e pupazzi, o addirittura come prosecuzione e rinforzo di un intervento globale dove il soggetto agisce in prima persona nell’ambiente del trattamento.
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Si potrebbe pensare che i titoli rappresentino singole opportunità di lavoro sui
verbi, una in alternativa all’altra. In realtà un utilizzo prolungato e integrato del
materiale ci ha dimostrato che utilizzando più di una rappresentazione per la stessa azione, con diverse modalità di presentazione, legate alla struttura stessa degli
strumenti, consente una più rapida ed effettiva generalizzazione soprattutto da
parte dei soggetti autistici e con ritardo mentale, che più di altri necessitano di una
continua varietà di esempi in diversi contesti e situazioni.
Abbiamo raggruppato le scatole più simili per contenuti e modalità di utilizzo.
1. ColorCards Basic verbs e Familiar Verbs, Verbi LDA
Verbi di base (48 schede grande formato di verbi ad alta frequenza d’uso; corrispondono all’83% dei verbi riportati in: Il Primo Vocabolario Del Bambino – parole e frasi - Questionario MacArthur); verbi di uso comune (48 schede grande formato verbi a minore frequenza d’uso e con una maggiore contestualizzazione);
verbi LDA (35 schede in formato minore di verbi ad alta frequenza d’uso ma maggiormente contestualizzati rispetto ai Basic).
Si tratta di carte fotografiche che illustrano singole azioni compiute da soggetti giovani e adulti, in particolare: Basic 35 schede con bambini e ragazzi,13 schede con
adulti; Familiar 22 schede con bambini e ragazzi, 26 schede con adulti; Verbi LDA
35 schede con bambini e ragazzi.
Le carte costituiscono un buon materiale di lavoro finalizzato all’ampliamento lessicale della categoria verbi, in input e in output. La richiesta sarà inizialmente quella di indicare tra più distrattori, scelti in base alle competenze del soggetto, la scheda che rappresenta una frase (il bambino spazzola il cane) o un verbo (spazzola).
Risulta molto motivante per il bambino alternare poi alla classica richiesta di denominazione, la proposta di indovinare l’azione mimata dal terapista o da un coetaneo
che ha pescato una carta dalla scatola.
Ancora in output, alla semplice denominazione di azioni seguirà la richiesta di
costruire frasi nucleari sintatticamente corrette e in seguito di ampliarle con l’aggiunta di uno o più argomenti.
Purtroppo l’essenzialità del contesto, soprattutto in Basic verbs, non facilita l’individuazione di nuovi argomenti; sarà comunque possibile costruire frasi sintatticamente più complesse immaginando contesti e situazioni (La signora cucina. Per chi
cucina? La mamma veste il bambino. Per andare dove?)
I Familiar Verbs e i Verbi LDA consentono di lavorare con frasi più complesse sul
piano sintattico dal momento che presentano situazioni maggiormente contestualizzate (la signora svuota il secchio dopo aver fatto le pulizie, il ragazzo mescola gli
ingredienti per fare dei dolci…). Permettono inoltre di fare ipotesi su quanto può
essere accaduto prima e su quanto potrà verificarsi in seguito (la signora pulisce gli
stivali che suo figlio ha usato per giocare in giardino in un giorno di pioggia; dopo li
riporrà nell’armadio).
Con l’andar del tempo si potranno utilizzare le stesse schede per lavorare su aspetti via via più specifici: per esempio l’articolo indeterminativo (un bambino spazzola
il cane), gli aggettivi (il ragazzo spazza le foglie secche), le preposizioni (la bambina
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gioca con gli animali della fattoria, la ragazza spalma il burro sul pane con un coltello), gli avverbi (la donna pulisce gli stivali attentamente), il pronome relativo (la
donna che si è persa chiede indicazioni, la bambina inciampa nei giocattoli che sono
sparsi sul pavimento)…
Le carte non offrono molte possibilità di lavorare sugli aspetti morfologici della lingua.
Dal punto della morfologia legata, in particolare delle flessioni verbali, viene esercitato l’uso della terza persona singolare, raramente e in modo molto casuale viene
richiesta la capacità di coniugare la terza persona plurale. Le carte sono state
comunque adoperate, in particolare con bambini autistici, per l’uso dell’io e della
prima persona singolare, davanti allo specchio, alternato alla descrizione della carta
(la ragazza legge il libro, io leggo il libro).
Anche i verbi riflessivi vengono presentati raramente e in modo casuale, a conferma della considerazione fatta in precedenza sul fatto che il materiale non è stato
pensato per la lingua italiana; si incontrano inoltre alcune distinzioni in italiano non
così evidenti, per esempio tra appende un quadro e appunta un disegno (verbo per
noi a bassa frequenza d’uso).
Come tanti altri materiali comunemente adoperati, queste carte costituiscono
un’occasione per esercitare l’abilità di comprendere e rispondere a domande quali
Chi? Cosa fa? Che cosa? Dove? Con che cosa? Perché? Quando? ecc...
Sul piano pragmatico della comunicazione, queste schede che rappresentano situazioni molto familiari possono costituire per il bambino un’occasione di raccontare,
all’adulto o ad altri coetanei, le proprie esperienze.
Le stesse schede sono state utilizzate anche in età scolare per le prime produzioni
scritte.
2. Action lotto home – azioni e verbi in casa
Quattro scene fotografiche ritraggono 4 ambienti domestici: cucina, soggiorno,
camera e giardino.
In ogni scena 4 personaggi (2 bambini e 2 bambine) stanno svolgendo contemporaneamente 4 azioni diverse. Le stesse azioni sono riproposte una per una in un formato più piccolo, e costituiscono le singole tessere del lotto, da collocare all’interno di una tabella vuota (formato 2X2).
Questo strumento può essere utilizzato in più modi, a seconda delle competenze di
partenza del soggetto: come una vera tombola, a due o più partecipanti, o secondo
modalità tradizionali, con bambini con competenze più basse.
Il modo più semplice è quello di mostrare la carta dell’azione al bambino che dovrà
ritrovare l’azione identica all’interno della scena e indicarla. Si tratta di un semplice riconoscimento percettivo di foto identiche che potrà diventare l’esercizio preparatorio a una proposta successiva che ha come scopo la comprensione verbale di
semplici enunciati o del singolo verbo, qualora non venga mostrata la carta ma solo
descritta. Il bambino sistemerà le tessere che verranno man mano pescate all’interno della struttura vuota posta accanto alla scena.
Lo stesso esercizio si potrà riproporre per allenare l’espressione verbale, chiedendo
49
la produzione di semplici enunciati, facendo estrarre le tessere a un bambino o chiedendo al bambino di pronunciare la frase prima di consegnargliela.
Per ogni scena sono inoltre disponibili altrettante tessere di azioni correlate (esempio: taglia il foglio con le forbici correlata a taglia la torta con il coltello), una per
azione.
Ripetendo lo stesso gioco il bambino sarà invitato a esercitarsi con le azioni precedenti ma in un contesto diverso, favorendo in questo modo la generalizzazione.
Una terza modalità prevede l’abbinamento di una carta che ritrae l’oggetto identico a quello nella scena, all’azione a cui si riferisce (un oggetto per azione).
La prima volta che verranno estratte le tessere oggetti sarà interessante chiedere al
bambino con che cosa taglia la torta? Oppure che cosa versa la bambina? In un secondo tempo il bambino avrà memorizzato tutti gli oggetti rappresentati, in tal caso
potrà comunque esercitarsi ad ampliare gli enunciati ogni qual volta sarà estratta una
carta oggetto relativa alla sua scena (il bambino beve il latte con il bicchiere).
Questo strumento è indicato per una fase iniziale di lavoro sui verbi e su frasi
nucleari a uno o due argomenti.
Purtroppo, una volta apprezzate le potenzialità di questo strumento, si sente l’esigenza di tessere aggiuntive, per esempio più azioni correlate all’azione principale, o
più di un oggetto per ogni azione (ad esempio torta e coltello, succo e bicchiere…).
Ecco che allora le logopediste “taglia e incolla” potranno sbizzarrirsi, oppure utilizzare in modo integrato i materiali sopra descritti.
Un altro problema è costituito dalla presenza di verbi che differiscono in modo evidente per frequenza d’uso all’interno della stessa scena (esempio: chiude e appende,
oppure beve e rimescola).
Resta comunque un interessante strumento innovativo per formato e materiale, che
ci fornisce spunti di lavoro e per la costruzione di nuovi materiali.
3. Verb Tenses – Tempi dei verbi
Il materiale è costituito da 20 verbi ciascuno rappresentato da 3 fotografie: prima
durante e dopo l’attività. Le carte sono rilegate a spirale nella sequenza corretta ma
si possono mostrare una alla volta.
Questo strumento nasce con l’obiettivo di coniugare i verbi alla III persona singolare (1-10) o plurale (11-20) al presente, al passato prossimo e al futuro semplice.
La foto centrale mostra il tempo presente. Sulla foto di sinistra sarà possibile coniugare il futuro semplice e su quella di destra utilizzare il passato prossimo.
Una possibilità di utilizzo del materiale è quella di far parlare il soggetto sulla
sequenza completa delle azioni, invitandolo a coniugare i verbi nel modo corretto.
Più interessante, alla prima presentazione, sarà, mostrando una carta alla volta e
nascondendo le altre, lavorare sulla capacità di fare ipotesi e previsioni basandosi
sul contesto: per esempio ci sono una mamma e una bambina con delle mollette per
terra, una cesta di panni e una corda tesa che attraversa lo spazio sopra di loro; cosa
faranno? Stenderanno; oppure mostrando l’immagine di destra con i panni stesi e
con la donna e la bambina che si allontanano dalla scena con la cesta vuota: che cosa
hanno fatto? Hanno steso.
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Le volte successive le situazioni saranno ormai conosciute e le risposte prevedibili.
Sarà comunque possibile continuare a utilizzare il materiale per esercitare la correttezza delle coniugazioni verbali.
Questa struttura particolare, che ricorda ai logopedisti altri materiali già noti, ha il
pregio di visualizzare e quindi di rendere maggiormente comprensibile il significato dell’azione espressa al passato o al futuro.
Lo strumento, preso in prestito dalla lingua inglese, non è ovviamente bilanciato
sull’italiano né per quanto riguarda la presenza di verbi regolari/irregolari, né per
l’uso degli ausiliari essere/avere; un verbo in particolare, il primo, glassare o guarnire una torta è a bassa frequenza d’uso in italiano, in netto contrasto con i successivi lavare, cucinare, asciugare, apparecchiare, disegnare, tagliare…
4. Story cards Verbs – Racconto io
Le StoryCards costituiscono un’intelligente attività di rinforzo, consolidamento e
generalizzazione dei verbi appresi in contesti strutturati. Si tratta di 4 storie illustrate per bambini ciascuna costituita da 12 schede.
Le azioni che il bambino ha finora incontrato in versione fotografica e in contesti
abituali, vengono qui riproposte in ambienti esotici e inconsueti, dove i protagonisti sono animali. Gli stessi protagonisti, riprodotti in pupazzetti a dito contenuti
nella confezione, possono essere animati per la drammatizzazione successiva della
storia.
I verbi, la maggior parte ad alta frequenza d’uso, sono quasi tutti rappresentati nei
materiali descritti in precedenza. Per migliorarne la comprensione vengono ripetuti più volte all’interno della stessa storia e facendo raccontare la successione al bambino, vengono consolidati in frasi diverse, alla terza persona singolare e plurale e in
una storia, alla prima persona singolare nel discorso diretto.
In questo modo si ha la possibilità di esercitare i verbi appresi al presente e al passato, nell’ambito di una narrazione, cioè in un contesto sempre meno strutturato
per l’apprendimento del linguaggio rispetto ai precedenti.
Il contesto narrativo inoltre è molto motivante per il bambino, anche se, per creare
occasioni in cui utilizzare più di una volta lo stesso verbo, talvolta appare ripetitivo.
I disegni, illustrati al computer, sono molto stilizzati e poco dinamici, ma le schede
in grande formato e a colori risultano comunque molto gradevoli. Il retro di ogni
carta, inoltre, riporta i contorni del disegno in bianco e nero che possono essere
fotocopiati e colorati, per riprendere la storia in un secondo tempo e consolidare i
concetti appresi.
Purtroppo l’inespressività dei personaggi, la staticità e l’essenzialità dei disegni fatti
al computer, non permettono di comprendere la storia senza averla prima letta sul
manuale (versione in lingua inglese, tedesco, francese e spagnolo, in preparazione
la traduzione italiana); per gli stessi motivi risulta difficile riordinare la storia nella
sequenza corretta.
Ogni storia può essere utilizzata per esercitare o valutare informalmente le competenze narrative, se il bambino cioè, dopo l’ascolto, è in grado di riportare gli elementi essenziali e significativi per la comprensione della storia, nella sequenza cor51
retta e in modo efficace. Con questa modalità si valuta contemporaneamente la
capacità di ascolto e la comprensione verbale, entrambe sostenute dalla presenza
delle immagini. Durante la narrazione è possibile infine osservare altre abilità linguistiche, per esempio l’utilizzo di pronomi e congiunzioni.
5.Verbi espressivi
48 schede fotografiche di grande formato rappresentano azioni/espressioni realizzate con varie parti del corpo da parte di soggetti giovani e adulti (i bambini compaiono in 17 carte, gli adulti in 22; in 8 schede i soggetti sono un adulto e un bambino).
Le schede sono classificate in base alle parti del corpo con cui viene realizzata l’azione.
Siamo di fronte a un materiale nuovo e molto prezioso perché difficile da riprodurre artigianalmente e perché, a differenza dei precedenti, offre spunti di lavoro
nuovi e interessanti.
Prima di occuparsi della composizione e delle modalità di utilizzo delle schede, è
fondamentale chiarire le finalità di un lavoro attraverso questo strumento.
Il bambino è aiutato a comprendere che le parti del corpo, combinate in azioni ed
espressioni, possono essere usate per comunicare con gli altri: tutto questo potenzia le abilità di comunicazione non verbale, non solo allo scopo di affinare le proprie capacità comunicative, ma anche per comprendere il significato intrinseco di
gesti, atteggiamenti, posture ed espressioni: umori, reazioni, intenzioni, emozioni.
Pertanto si rivela uno strumento utile soprattutto in presenza di disturbi pragmatici o della comunicazione.
Inoltre, utilizzati con modalità diverse, migliorano il pensiero creativo, il linguaggio
espressivo, esercitano strutture sintattiche complesse e potenziano le abilità di imitazione non verbale.
Le foto risultano chiare e di immediata comprensione; solo un paio hanno richiesto
la consultazione del manuale.
La classificazione non appare molto efficace nella pratica, eccetto forse le espressioni del volto, trattate nello specifico con una decina di carte, ma che compaiono
un po’ ovunque come una sorta di tema trasversale; anche la traduzione lascia un
po’ a desiderare. Probabilmente l’intera struttura del materiale risente del modello
inglese.
Delle 48 carte, 14 si riferiscono ad azioni fatte con il corpo o varie parti del corpo
(esempio: contare sulle dita); 7 tra queste le troviamo anche nelle altre scatole dei
verbi: sono quelle riferite alla sfera delle emozioni e della relazione (fare il solletico,
trattenere per un braccio…) ma in questo contesto è data maggior rilevanza al corpo
e alla mimica facciale.
Sedici carte si riferiscono alla comunicazione gestuale: riproducono gesti e mimica
socialmente condivisi (chiedere di avvicinarsi con un dito, applaudire, invitare al
silenzio con un dito sulla bocca, salutare, pregare a mani giunte…).
Infine alcune carte elicitano l’uso di espressioni verbali particolari o modi di dire
(stringere i denti, incrociare le dita, allargare le braccia, mettere il broncio, pestare i
piedi…).
52
Le modalità di utilizzo riguardano l’imitazione, la comprensione del linguaggio non
verbale e verbale e il linguaggio espressivo.
L’imitazione. Si chiede al soggetto di imitare l’espressione/azione rappresentata
dalla carta. L’attenzione sarà destinata ai gesti, alla postura e alla espressione del
volto. Si può introdurre inizialmente solo le carte che riguardano la mimica facciale, in un secondo tempo inserire quelle riguardanti la gestualità senza particolari
espressioni del volto, infine proporre le schede che richiedono entrambe le abilità.
Il piccolo gruppo renderà più facile e motivante ricreare situazioni di interazione
con coetanei. Come suggerito dal libretto contenuto nella confezione, uno degli
obiettivi di questo lavoro è condurre il bambino che compie l’azione a osservare la
reazione del compagno o dell’adulto: in questa fase dell’intervento si potrebbe chiedergli di imitarla.
La comprensione del linguaggio non verbale. Si può richiedere al bambino di
descrivere la situazione, comprendere le intenzioni del soggetto, prevedere o descrivere le reazioni, cogliere lo stato d’animo. Il logopedista chiede il perché di una tale
situazione o di una tale reazione, invita il soggetto a immaginarsi quello che potrebbe essere successo prima o quale potrebbe essere la conseguenza di un gesto o di
un’azione e a trovare una scheda che descriva la relativa emozione.
È interessante il suggerimento di fare individuare e classificare le schede che esprimono sentimenti contrastanti (rabbia e ostilità, amore e affetto). In questo modo si
va a sondare la comprensione generale della situazione senza richiedere il linguaggio espressivo.
La comprensione del linguaggio verbale. Il terapista può dire solo un verbo (ad es.
sbircia) e proporre la scelta tra una serie di carte oppure pronunciare una frase
(esempio: se non farà i compiti …) e chiedere di individuare, tra una serie di schede, la situazione conseguente.
Il linguaggio espressivo. Il logopedista può richiedere la descrizione della situazione con un verbo o con una frase. A livello lessicale si può lavorare sulla ricerca del
maggior numero di verbi e aggettivi riferiti alla situazione rappresentata nella scheda.
Sul piano morfosintattico sarà possibile lavorare sulla concordanza del genere
nome-aggettivo e costruire frasi sintatticamente complesse, con l’utilizzo di perché,
di quando o con l’uso del periodo ipotetico (chiedendo: perché? Quando ti comporti in questo modo? Quando potresti comportarti così?). Infine il materiale consente
di esercitarsi sull’uso corretto di alcuni verbi riflessivi (abbraccia/ si abbracciano,
guarda/si guardano, saluta/si salutano).
Il manuale suggerisce un gioco per i piccoli gruppi che allena contemporaneamente le abilità di imitazione, comprensione non verbale e produzione verbale e che
potrebbe rappresentare la fase conclusiva e riassuntiva del lavoro: un bambino
pesca una scheda e senza mostrarla agli altri cerca di mimare l’azione (imitazione);
gli altri dovranno indovinare (comprensione non verbale) ed esprimere correttamente il significato del mimo (produzione verbale).
In conclusione le carte dei verbi espressivi costituiscono una buona integrazione
alle classiche carte con foto di azioni e un ottimo arricchimento per quanto riguar53
da situazioni o espressioni particolari mai illustrate e difficilmente recuperabili su
giornali e computer. È un materiale che pone l’attenzione su aspetti della comunicazione talvolta trascurati.
CONCLUSIONI
Il materiale che abbiamo scelto per l’intervento sulla categoria dei verbi si è rivelato ben costruito e di grande interesse a livello abilitativi/riabilitativo, ma non solo;
riteniamo che gli stessi strumenti si rivelerebbero di grande efficacia anche utilizzati a livello scolastico, per sviluppare e consolidare abilità verbali, in particolare con
gli alunni stranieri. Ci auguriamo in futuro di poter contare anche in Italia su pubblicazioni altrettanto valide, strutturate sulla nostra lingua.
In conclusione l’esperienza fatta ci ha confermato quanto la chiarezza e la gradevolezza dei materiali rendano il lavoro più semplice e piacevole. Tuttavia ci troviamo,
nelle nostre realtà lavorative, a fare i conti con priorità di spesa e spesso le nostre
scelte cadono su test altrettanto indispensabili e costosi ma utili solo in fase di valutazione e di verifica, sacrificando così la qualità dei materiali che utilizziamo quotidianamente in terapia.
Auguriamoci che al logopedista vengano sempre destinate le risorse necessarie
cosicché egli possa disporre dei migliori strumenti adeguati alla sua professione.
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Verbi, LDA, UK
Il materiale è importato e distribuito in Italia da “La Favelliana”, Milano
54
LOGOPaeDIA anno 2005; vol.1: pag. 55-57
Recensioni
Francesco Benso
NEUROPSICOLOGIA DELL’ATTENZIONE
Teoria e trattamenti nei disturbi di apprendimento
EDIZIONI DEL CERRO
Via delle Orchidee, 17 – 56018 Tirrenia (PI)
Tel. 050/37522 fax 050/37455 - www.delcerro.it info@delcerro
Vi è sempre più larga condivisione sul fatto che i trattamenti attentivi siano necessari alla riabilitazione dei disturbi di apprendimento, che possono manifestarsi in
età evolutiva o essere acquisiti (ad esempio nel trauma cranico). Il protocollo di
lavoro che si occupa del recupero attraverso i trattamenti cognitivi in genere, deve
contenere almeno tre requisiti necessari che gli utenti devono conoscere per valutare i vari tipi di intervento che vengono loro proposti: a) i trattamenti devono essere mirati e tarati perfettamente sul singolo soggetto; b) i trattamenti devono poter
riabilitare attraverso l’iperapprendimento degli automatismi iposviluppati (nei disturbi di apprendimento in età evolutiva) o persi (nel trauma), è quindi necessaria
una cadenza continua e sistematica; c) l’attenzione è una componente sottostante a
tutte le funzioni cognitive, va quindi prevista, in qualsiasi protocollo riabilitativo,
una sollecitazione della componente attentiva (compreso il sistema esecutivo); ne
consegue che chi si occupa della riabilitazione cognitiva, a qualsiasi livello, deve
conoscere sufficientemente la teoria gerarchica dell’attenzione e la complessità del
sistema esecutivo.
Lo scopo di questo Manuale è quello di suggerire rigorosi protocolli di riabilitazione cognitiva sviluppati prevalentemente sul versante dell’attenzione, supportati e
giustificati dall’aspetto teorico. Vi sono, inoltre, illustrati in maniera puntuale, per
quanto riguarda il paziente adulto, gli interventi sugli amnesici di tipo secondario e,
per quanto riguarda l’età dello sviluppo, gli interventi sui disturbi da deficit di
attenzione, sulle dislessie, sulle discalculie, oltre a cenni di interventi attentivi sulla
comprensione del testo, sul problem solving, nonché esercizi di potenziamento preventivo a livello di scuola materna.
Il Manuale è rivolto a tutti coloro che sono coinvolti nel trattamento riabilitativo
cognitivo: clinici, educatori, ma anche familiari. È infatti ormai consueto (e i miglioramenti ottenuti ne danno atto, anche se in linea teorica il familiare è il meno indicato nell’intervento riabilitativo) creare al paziente anche nella vita quotidiana
(extra-ambulatoriale) numerose occasioni di allenamento specifico, nei diversi
ambienti e con varie figure che si incarichino di mantenere la funzione in questione attivata il più possibile, sotto la supervisione, naturalmente, del clinico esperto
che segue un protocollo ben preciso supportato da valide linee teoriche.
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Grazia Maria Santoro, Antonella Panero, Cristina Cianetti
IL LIBRO DELLE COPPIE 2
Guida illustrata per la rieducazione logopedica
dei disturbi fonetico-fonologici.
I gruppi consonantici e le loro semplificazioni.
EDIZIONI DEL CERRO
Via delle Orchidee, 17 – 56018 Tirrenia (PI)
Tel. 050/37522 fax 050/37455 - www.delcerro.it info@delcerro
La maggior parte dei bambini in trattamento logopedico per disturbi del linguaggio manifesta difficoltà articolatorie (di produzione dei suoni linguistici) e/o fonologiche (di discriminazione e realizzazione dell’esatta sequenza dei fonemi che
costituiscono la parola). Un elemento quasi sempre presente nella stesura del piano
di trattamento è l’acquisizione dei gruppi consonantici, indispensabile per un corretto sviluppo del linguaggio orale e nell’acquisizione di quello scritto. Seguendo la
linea del precedente e apprezzato Libro delle Coppie Minime 1, del quale costituisce il completamento, questo volume fornisce illustrazioni e materiale strutturato
sulla base di criteri fonetico-fonologici, organizzati intorno al principio delle “coppie minime”; esso ha la finalità di far acquisire al bambino la capacità articolatoria
e/o percettiva dei nessi consonantici mancanti nella sua produzione, sia essa orale
o scritta.
Nato come strumento per logopedisti e specialisti della terapia riabilitativa, questo
manuale è pensato anche per gli educatori e i genitori, in quanto può costituire un
supporto valido e accessibile per l’insegnamento di lettura e scrittura nel primo
ciclo della scuola elementare.
Il libro comprende:
• i presupposti teorici che hanno supportato la realizzazione del materiale;
• alcune proposte illustrate per l’impostazione articolatoria dei gruppi
consonantici;
• l’elenco delle coppie minime ottenute sulla base delle semplificazioni
dei nessi consonantici della lingua italiana, e le immagini corrispondenti;
• proposte di lavoro attraverso varie attività ludiche, per i diversi scopi
riabilitativi e didattici.
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Serena Bonifacio, Loredana Hvastja Stefani
MODELLI DI INTERVENTO PRECOCE
PER IL BAMBINO PARLATORE TARDIVO:
IL MODELLO INTERACT
EDIZIONI DEL CERRO
Via delle Orchidee, 17 – 56018 Tirrenia (PI)
Tel. 050/37522 fax 050/37455 - www.delcerro.it info@delcerro
L’OPERA L’opera è costituita da due parti. La prima propone una sintesi di alcuni
dei principali modelli teorici relativi allo sviluppo comunicativo linguistico tipico e
atipico, e deriva da essi una determinata metodologia di valutazione del bambino
Parlatore Tardivo. Segue un’analisi dei principali modelli d’intervento precoce proposti per il ritardo di linguaggio; con riferimento alla teoria sociopragmatica e interazionista, si illustra il modello d’intervento INTERACT, UNICO IN ITALIA.
Esso, messo a punto dagli autori nel corso di un’esperienza di ricerca e d’intervento clinico quasi decennale, colma un vuoto sentito da tutti gli operatori del settore.
Consiste in un programma di prevenzione e di intervento clinico studiato in maniera specifica per bambini tra i 24 e i 30 mesi di età che presentano un mancato sviluppo del linguaggio oppure uno sviluppo lento non associato ad altri disturbi; si
attua all’interno della coppia genitore-bambino proponendo situazioni dinamiche
che sollecitano la comunicazione attiva, e vuole sostenere lo sviluppo comunicativo
e linguistico del bambino nel suo percorso naturale. La seconda parte illustra le
modalità operative e di traduzione nella pratica clinica del programma inerenti alla
valutazione, alla pianificazione dell’intervento e all’attuazione dell’intervento stesso; tra queste, ad esempio, le schede per genitori che descrivono a questi ultimi
come mettere in pratica a casa quanto viene proposto o applicato nella seduta clinica. Le schede vengono selezionate e proposte dal clinico ai genitori di volta in
volta, a seconda di ciò che è richiesto dalla fase specifica dell’intervento.
Il volume è rivolto a operatori sanitari, in particolare logopedisti, ma anche a neuropsichiatri, neurologi, pediatri e psicologi che operano in ambito clinico con particolare riferimento alla prevenzione del disturbo di linguaggio.
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SENTIAMOCI
Bollettino semestrale della FIADDA Padova
Famiglie Italiane
Associate
per la Difesa dei
Diritti
degli Audiolesi
CHI SIAMO, COSA FACCIAMO
La FIADDA – Famiglie Italiane Associate per la Difesa
dei Diritti degli Audiolesi – è una associazione nazionale ONLUS nata 33 anni fa a Genova. I suoi obiettivi
sono chiari a partire dalla lettura del suo statuto: “ la
Fiadda raccoglie in associazione nazionale gli audiolesi, le loro famiglie e gli amici che condividono il comune obiettivo di inserire l’audioleso in condizioni di
parità nel mondo dei normoudenti” (art.2 dello statuto). E ancora: “ la conoscenza nel settore che in anni
di attività abbiamo approfondito, ci consente oggi attraverso la nostra filosofia supportata da valutazione
sociologica e tecnico - scientifica, di optare per la
riabilitazione oralista”.
Il bollettino è innanzitutto uno strumento per far conoscere la FIADDA a livello provinciale fra le famiglie e i ragazzi ipoacusici, fra i dirigenti degli Enti coinvolti in vario
modo nel mondo dell’ipoacusia, fra gli operatori della
riabilitazione, tecnici, insegnanti, dirigenti scolastici.
Per questo motivo si accolgono contributi scritti che
possono essere inviati a [email protected], o ad
Andrea Nicolello - Rossi, via Storlato 9, 35132 Padova.
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Trent’anni di ricerca di supporti rieducativi dal mondo:
i più avanzati e aggiornati per l’intervento in logopedia
Ci associamo allo spirito e alle idee di base che promuovono la
pubblicazione della Rivista offrendo il nostro apporto affinché
possa continuare nel tempo questo Servizio a favore dello sviluppo e della ricerca in logopedia nell’ambito clinico-riabilitativo.
A partire dal sostegno logistico alla diffusione capillare di
LOGOPaeDIA, attraverso la promozione di ogni iniziativa volta
a consolidare il rapporto tra e con le Associazioni Regionali,
informando e partecipando a incontri, corsi e convegni, intendiamo affiancare i professionisti della comunicazione e del linguaggio in una prospettiva che vede - oggi come non mai – riconosciuto il valore del loro intervento e richiesto un livello qualitativo sempre più alto.
Nuove aree di intervento da affrontare, sperimentazioni e ricerche da seguire, nuovi supporti da sviluppare e percorsi di formazione da promuovere saranno l’obiettivo e l’impegno futuro di
tutti noi. Con la Vostra collaborazione!
materiali per lo sviluppo e la rieducazione del linguaggio
Via Val di Fiemme, 21 – 20128 Milano
Tel. 02 2550650 - Fax 02 27000663 – Email: [email protected]
www.logopedia.com
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LOGOPaeDIA anno 2005 n. 1: pag. 60-63
Corsi e Congressi
• EMISSIONI OTOACUSTICHE & ABR AUTOMATICO
– SCREENING NEONATALE E INTERVENTO PRECOCE
Ferrara 9 –10 Settembre 2005
Cattedra di Audiologia, Università degli Studi di Ferrara
Sede: Sala Imbarcadero – Castello Estense, Ferrara
Segreteria Organizzativa tel/fax 0532.595011
• VESTIBOLOGIA “ L. Cipparrone”
Università di Firenze
Firenze 14 – 17 settembre 2005
Sede FONDAZIONE A.CHARLES HOLLAND CRS Amplifon,
via Ripamonti 133 Milano.
Segreteria Organizzativa tel. 02.57472361
• VIDEOCORSO: IL NISTAGMO PER IMMAGINI
Milano 30 settembre – 1 ottobre 2005
Clinica Otorinolaringoiatrica
dell’ Università di Pavia e Unità Operativa di ORL
dell’Ospedale Morgagni-Pierantoni di Forlì
Sede FONDAZIONE A.CHARLES HOLLAND CRS Amplifon,
via Ripamonti 133 Milano.
Segreteria Organizzativa tel. 02.57472361
• CORSO DI PSICOTERAPIA E IPNOSI MEDICA
PRIMO LIVELLO
Ottobre – Novembre 2005
Sede: Starhotel Excelsior, Via Pietramellara 51 (Piazza della Stazione)
Bologna tel. 051.246178
Società Medica Italiana di Psicoterapia e Ipnosi; tel. 051.573046,
fax 051.932309
• XI CORSO DI PERFEZIONAMENTO IN FONOCHIRURGIA E
RIEDUCAZIONE LOGOPEDICA
Cesena 3 – 7 Ottobre 2005
Unità Operativa di Otorinolaringoiatria – Struttura semplice di
Foniatria e Fonochirurgia
Sede: U.O. di Otorinolaringoiatria – Ospedale “M. Bufalini”,
viale G. Ghirotti 286 - Cesena.
Segreteria Organizzatrice tel. 0547352708 – 0547352714.
Fax 05477352799
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• RIEDUCAZIONE VESTIBOLARE
Milano 6 – 7 Ottobre 2005
Servizio di Audio-Vestibologia e Rieducazione Vestibolare,
Azienda ASL di Modena
Sede FONDAZIONE A.CHARLES HOLLAND CRS Amplifon,
via Ripamonti 133 Milano.
Segreteria Organizzativa tel. 02.57472361
• L’OTITE E LE SUE COMPLICANZE
Ferrara 7 – 8 Ottobre 2005
Cattedra di Audiologia, Università degli Studi di Ferrara
Sede: Hotel S. Girolamo dei Gesuati – via Madama 40, Ferrara
Segreteria Organizzativa tel/fax 0532.595011
• ACUFENI E IPERACUSIA:
Management clinico e riabilitativo
- La Tinnitus Retraining Therapy
Milano 13 – 15 Ottobre 2005
Cattedra di Audiologia dell’Università “La Sapienza”
di Roma e A.I.R.S. (Associazione Italiana per la Ricerca sulla Sordità)
Sede FONDAZIONE A.CHARLES HOLLAND CRS Amplifon,
via Ripamonti 133 Milano.
Segreteria Organizzativa tel. 02.57472361
• I° GIORNATA LOMBARDA DI STUDIO
E AGGIORNAMENTO SPECIALISTI ORL
LIBERO PROFESSIONISTI
Milano 14 Ottobre 2005
Sede: Palazzo delle Stelline, Sala Bramante – Corso Magenta 61;
Segreteria Organizzativa tel/fax. 02.72001565 – 02.58309659
• VII CORSO INTERNZIONALE
DI RONCOCHIRURGIA
Savona 27 – 29 Ottobre 2005
Sede: Fortezza del Priamar
Segreteria Organizzativa tel. 010.8461080 – fax 010.8311527
• CORSO PRATICO BASICO DI ANATOMIA DISSETTIVA
E MODERNE TECNICHE OPERATORIE
DI CHIRURGIA PLASTICA FACCIALE
Bruxelles 30 Ottobre – 1 Novembre 2005
Direttori: Giovanni Botti, Riccardo Mazzola
Segreteria Organizzativa tel. 02.29013235 – fax 02.63618770
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• CHIRURGIA DELL’ORECCHIO ESTERNO E MEDIO
Milano 10-12 novembre 2005
Istituto di Clinica ORL dell’Università Cattolica del Sacro Cuore,
“Policlinico Gemelli”- Roma
Sede FONDAZIONE A.CHARLES HOLLAND CRS Amplifon,
via Ripamonti 133 - Milano.
Segreteria Organizzativa tel. 02.57472361
• 1° CONGRESSO DEL GRUPPO ITALIANO
DI STUDIO SULLA DISFAGIA
Roma 18-19 Novembre 2005
Sede: Centro Congressi e Didattica della “Fondazione Santa Lucia”;
via Ardeatina, 354 - Roma
Segreteria Scientifica: S.C.U. Audiologia Foniatria – Università degli
Studi di Torino.
Tel. 011 6962139 – Fax 011 6638565 – e-mail: [email protected]
• NULLA DI NUOVO SULLA VERTIGINE?
Ferrara 18 – 19 Novembre 2005
Cattedra di Audiologia, Università degli Studi di Ferrara
Sede: Hotel S. Girolamo dei Gesuati – via Madama 40, Ferrara
Segreteria Organizzativa tel/fax 0532.595011
• LA VERTIGINE VASCOLARE
Modena 25 – 26 Novembre 2005
Servizio di Audiovestibologia, Azienda USL di Modena
Responsabile dott. G. Guidetti
Sede: Hotel Raffaello, Strada per Cognento 5 – Modena
Segreteria Organizzativa tel/fax 0532.595011
• LE RINOSINUSITI IN ETA’ PEDIATRICA:
inquadramento, trattamento medico e chirurgia endoscopica
Milano 26 novembre 2005
Dipartimento di Otorinolaringoiatria dell’Università di Milano
Sede FONDAZIONE A.CHARLES HOLLAND CRS Amplifon,
via Ripamonti 133 Milano.
Segreteria Organizzativa tel. 02.57472361
• AUDIOLOGIA INFANTILE
Milano 23-25 novembre 2005
Servizio di Audiologia e Foniatria dell’Università di Padova
Sede FONDAZIONE A.CHARLES HOLLAND CRS Amplifon,
via Ripamonti 133 Milano.
Segreteria Organizzativa tel. 02.57472361
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• AUDIOLOGIA CLINICA
Milano 1-3 dicembre 2005
Clinica Otorinolaringoiatrica, Microchirurgia Otologica e
Otoneurologica dell’Università di Bari
Sede: FONDAZIONE A.CHARLES HOLLAND CRS Amplifon,
via Ripamonti 133 Milano.
Segreteria Organizzativa tel. 02.57472361
• XXX CONGRESSO NAZIONALE
DELLA SOCIETA’ ITALIANA DI AUDIOLOGIA
E FONIATRIA “ATTUALITA’ E SINERGIE”
Roma 14 – 17 Dicembre 2005
Sede: Grand Hotel Parco dei Principi,
via G. Frescobaldi 5 – Roma
Segreteria Scientifica tel. 06 49976851 – fax 06 4463911
• II CONGRESSO NAZIONALE ASSOCIAZIONE ITALIANA ORL
CHIRURGIA ESTETICO-FUNZIONALE
RINO-CERVICO-FACCIALE (AICEF – rcf)
Lecce 30 marzo – 1 aprile 2006
Segreteria Organizzativa tel. 0832.318536 – fax 0832 313542
• 11th INTERNATIONAL CONGRESS ON ORAL CANCER
GRADO (GO) 14 – 17 MAY 2006
Congress Hall – Palazzo dei Congressi
Segreteria Organizzativa tel. 0342.21391 – fax 0342.506687
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