Clima e cultura: il cambiamento climatico attraverso l`arte

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Clima e cultura: il cambiamento climatico attraverso l`arte
ICCG Think Tank Map: a worldwide observatory on climate think tanks
Clima e cultura: il
cambiamento climatico
attraverso l’arte
Fanny Liotto, ICCG
Clima e cultura: il cambiamento climatico attraverso l’arte
Approfondimenti ICCG. Ottobre 2013
Clima e cultura: il cambiamento climatico
attraverso l’arte
Fanny Liotto, ICCG
A livello internazionale la salvaguardia del patrimonio culturale e naturale è centrale ma
sempre di più ne emerge il legame trasversale con agli impatti del cambiamento climatico.
L’UNESCO ha prodotto documenti e strumenti specifici per contrastare i rischi dovuti a disastri
naturali e dagli impatti del cambiamento climatico soprattutto nelle Small Islands Developing
States (SIDS). Queste ultime infatti sono lo scrigno di un’altissima percentuale del patrimonio
culturale e naturale mondiale. Se questi temi sono affrontati dalle istituzioni non sono invece
così noti alla popolazione ed è per questo che alcune iniziative artistiche presentate a
Venezia nel 2013 hanno proprio l’obiettivo di sensibilizzare i propri visitatori alla consapevolezza
dell’urgenza di prendere misure governative per la salvaguardia del patrimonio naturale e
culturale dell’umanità.
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Clima e cultura: il cambiamento climatico attraverso l’arte
Approfondimenti ICCG. Ottobre 2013
Introduzione
Ci si può chiedere come sia percepito un fenomeno globale come il cambiamento climatico
che nonostante sia reale e concreto rimanga invisibile, o quasi, all’opinione pubblica. La
risposta, che ci si può dare è che non saremo consapevoli del problema fino a quando non vi
sarà consapevolezza nella partecipazione a questo cambiamento1. L’arte e la cultura, viste le
esperienze di numerosi artisti impegnati nella promozione dell’arte “responsabile”2, possono
avere un ruolo fondamentale nella creazione di una consapevolezza delle cause e degli
impatti del cambiamento climatico, trasmettendo un messaggio attraverso un linguaggio
comune più divulgativo.
Si collocano, all’interno di questa visione, tre iniziative che si tengono a Venezia nel 2013: il
Padiglione Maldive, il Padiglione Tuvalu e the Garbage Patch State Venice. Tre esposizioni che
hanno l’obiettivo di affrontare il problema della conservazione del patrimonio culturale e
naturale, affrontando trasversalmente il tema del cambiamento climatico e dei disastri
naturali che rischiano di far scomparire beni culturali e naturali di interi territori.
Cambiamento climatico e Patrimonio dell’Umanità: strumenti internazionali di policy
Il cambiamento climatico non ha risvolti solo economici e sociali ma anche culturali,
soprattutto legati alla conservazione dei beni culturali, sia naturali che prodotti dall’uomo.
L’aumento delle temperature medie e del livello del mare da 10 a 20 centimetri riscontrati nel
secolo precedente3 ha portato alla luce l’interesse dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per
la tutela del patrimonio dell’umanità soggetto agli impatti del cambiamento climatico. Nello
specifico l’UNESCO (United Nation Educational, Scientific and Cultural Organization) si è
interfacciata con il cambiamento climatico per la prima volta nel 2005.
Le tre aree d’azione dell’UNESCO che interessano i beni culturali e naturali esposti agli impatti
derivanti dal cambiamento climatico sono:
• Cambiamento climatico e Patrimonio dell’Umanità
• Riduzione del rischio di catastrofi per il Patrimonio dell’Umanità
• Programma Small Island Developing States (SIDS)
Durante la 29esima sessione della World Heritage Committee4 del 2005 a Durban (Sud Africa)
è emerso per la prima volta il problema dell’impatto del cambiamento climatico sul
patrimonio dell’umanità culturale e naturale5. La commissione UNESCO ha così deciso di
affidare al suo World Heritage Center il compito di istituire un gruppo di esperti allo scopo di
valutare gli impatti sull’Outstanding Universal Value (OUV), l’integrità e l’autenticità del
Patrimonio dell’Umanità. È stato così creato un gruppo di lavoro formato sia da organizzazioni
che da esperti individuali, dagli Advisory Bodies (IUCN, ICOMOS e ICCROM) e dagli Stati
firmatari della Convenzione.
I primi obiettivi del gruppo di lavoro riguardavano: la stesura di un report sulla natura ed entità
dei rischi dovuti al cambiamento climatico nel patrimonio culturale mondiale, lo sviluppo di
una strategia per gli Stati aderenti per l’implementazione di una corretta gestione del
patrimonio e la stesura del report Predicting and managing the impacts of Climate Change
on World Heritage, un documento che analizza i problemi attuali e quelli che potrebbero
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Knebusch J., Art and climate (change) perception: Outline of a phenomenology of climate (2008)
L’esperienza più nota e completa è quella del progetto Cape Farewell, guidato dall’artista e scienziato David
Buckland.
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IPCC – Intergovernamental Panel on Climate Change
La World Heritage Committee è una commissione che si riunisce annualmente e i suoi membri
provengono dai 21 Paesi firmatari della Convezione sul Patrimonio dell’Umanità del 16 novembre 1972.
Della Convenzione a Settembre 2012 sono firmatari 190 Stati delle Nazioni Unite.
5 L’UNESCO definisce Patrimonio dell’Umanità (World Heritage) le aree registrate nella lista del Patrimonio
dell’Umanità della Convenzione sul Patrimonio dell’Umanità adottata dalla Conferenza Generale
dell’Unesco il 16 novembre 1972.
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emergere in futuro per il patrimonio ed infine delle possibili soluzioni preventive e correttive a
tali situazioni di rischio (Vilnius, Lituania, 2006).
Tali provvedimenti hanno portato alla stesura del Policy Document on the Impacts of Climate
Change on World Heritage Properties presentato ed approvato alla 31esima sessione della
World Heritage Committee nel 2007 (Christchurch, Nuova Zelanda). Il documento, risultato
dell’unione e della consapevolezza emerse nei precedenti report, aveva soprattutto lo scopo
di mettere in evidenza l’importanza della condivisione di buone pratiche sulla prevenzione del
rischio e l’adattamento agli effetti del cambiamento climatico . È stata data, perciò,
importanza alla necessità di interazione tra le convenzioni sul tema del cambiamento
climatico e la tutela del patrimonio culturale e naturale, alla necessità di ricerca in questo
ambito in futuro, alle questioni di diritto legate alla Convenzione sul Patrimonio dell’Umanità in
previsione di risposte propositive agli impatti del cambiamento climatico, i legami tra altri corpi
ed istituzioni delle Nazioni Unite e organizzazioni internazionali che si occupano di
cambiamento climatico, e alla creazione di meccanismi alternativi alla List of World Heritage
in Danger6 per affrontare le implicazioni internazionali degli impatti del cambiamento
climatico.
Riduzione del rischio di catastrofi per il Patrimonio dell’Umanità
Nel maggio 2013 durante la Global Platform for Disaster Risk Reduction (Ginevra, 19-23 maggio
2013) si è riunita la sessione “Heritage and Resilience”. Ne è risultato il documento Heritage
and Resilience, Issues and Opportunities for Reducing Disaster Risks, l’ultima analisi del percorso
che si è aperto nel 2005 a Durban sulla prevenzione del rischio dovuto a disastri naturali o di
natura antropica sul patrimonio naturale e culturale.
Il World Heritage Center aveva proposto agli Stati firmatari della Convenzione, di valutare le
cause e la natura del rischio a cui era soggetto il proprio patrimonio naturale e culturale. Circa
il 72%7 di essi aveva sostenuto che il patrimonio era affetto dagli impatti del cambiamento
climatico, individuando in totale 125 siti riconosciuti a rischio. 79 di questi siti a rischio sono
considerati patrimonio naturale o risultato di una commistione tra il patrimonio naturale e
quello culturale:
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16% aree costiere e marine (tra cui 7 barriere coralline);
21% aree montuose e ghiacciai;
28% aree di importanza per la biodiversità terrestre;
14% altre aree miste.
Nonostante documenti internazionali, come quello sopracitato, riconoscano che il patrimonio
sia minacciato dalle calamità sia naturali che causate dall’azione umana, molti beni naturali
e culturali non sono ancora salvaguardati da strumenti di governo e politiche di gestione
adeguate. Spesso viene trascurata anche l’importanza che potrebbe avere la corretta
gestione del patrimonio naturale nella riduzione del rischio di catastrofi come i terremoti e le
inondazioni, oppure il patrimonio culturale intangibile nella trasmissione di conoscenze
immateriali a prevenzione dei disastri.8
In Predicting and managing the impacts of Climate Change on World Heritage (2007) era già
emerso come nei Paesi in via di sviluppo non fossero previste politiche, piani e processi di
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La lista del Patrimonio dell’Umanità in pericolo è lo strumento UNESCO per l’identificazione dei beni culturali e
naturali che sono esposti al rischio di sparizione o danneggiamento. La lista può essere consultata al seguente link:
http://whc.unesco.org/en/danger/.
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Heritage and Resilience, Issues and Opportunities for Reducing Disaster Risks.
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http://whc.unesco.org/en/disaster-risk-reduction/
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gestione legati al rischio di possibili disastri. Un recente studio9 ha analizzato la natura della
presenza di politiche per la prevenzione di catastrofi all’interno della gestione di 60 siti
Patrimonio dell’Umanità, 41 di questi, localizzati in 18 Paesi, sono considerati secondo il World
Risk Index i siti più vulnerabili a causa di disastri di matrice naturale o umana. In percentuale i
dati ottenuti sono i seguenti:
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37% rischio non identificato e non gestito con adeguate politiche;
30% rischio identificato ma non gestito con adeguate politiche;
3% rischio identificato, le politiche riguardano i fruitori ma non il sito patrimonio;
20% rischio identificato, piani di mitigazione del rischio non sufficientemente elaborati e
implementati
10% rischio identificato, piani di mitigazione elaborati e implementati in un Risk
Preparedness Plan.
Alla luce di un incremento dei disastri naturali, si evince come non vi sia stata una presa di
coscienza completa da parte degli Stati Firmatari nella preparazione di piani di prevenzione
del rischio per il patrimonio naturale e culturale. Anche alla luce delle numerose spinte della
World Heritage Committee in questa direzione, ancora la riduzione del rischio di catastrofi non
può essere annoverata tra le priorità degli Stati.
Programma Small Island Developing States (SIDS)
La definizione di Small Island Developing States (SIDS)10 individua un gruppo di 52 isole-nazioni11
delle regioni dei Caraibi, del Pacifico e dell’Atlantico, dell’Oceano Indiano, del Mediterraneo
e del Mare del Sud della Cina. La caratteristica di essere Stati in via di sviluppo che si
confrontano con le medesime dinamiche sociali, economiche e la sensibilità ai cambiamenti
ambientali, sono le principali caratteristiche che accomunano i SIDS, oltre al raggiungimento
comune di uno sviluppo sostenibile.
Gli impatti del cambiamento climatico su scala mondiale si ripercuotono sugli equilibri
ambientali delle piccole isole che ospitano alcuni dei siti più importanti del Patrimonio
dell’Umanità, come atolli e barriere coralline. Non solo, i SIDS conservano anche un patrimonio
intangibile (usi e tradizioni) che concorrono a mantenere viva e ricca la diversità culturale
mondiale e di questi piccoli stati.
Dal punto di vista della governance del patrimonio naturale e culturale, la Conferenza delle
Nazioni Unite del 1994 tenutasi alle Barbados segnò un punto di svolta nella considerazione
della vulnerabilità del patrimonio dei SIDS con l’istituzione del Barbados Programme of Action
for Sustainable Development of Small Island Developing States. Nel 2005, a Port Louis
(Mauritius), durante l’incontro di valutazione dei risultati del programma, emerse la rilevanza
del fattore culturale nel percorso di raggiungimento dell’obiettivo dello sviluppo sostenibile dei
SIDS. La cultura venne presentata come quarto pilastro per lo sviluppo sostenibile ed il passo
successivo fu l’inclusione nei piani d’azione per lo sviluppo sostenibile dei SIDS di temi come
l’identità culturale e la diversità, la protezione del patrimonio tangibile e intangibile,
l’introduzione della lingua e tradizione locali nel sistema educativo degli Stati e le opportunità
economiche dal patrimonio culturale.
Le osservazioni del panel di valutazione inoltre, furono incluse all’interno dell’iniziativa delle
Nazioni Unite Mauritius Strategy for Sustainable Development in the SIDS 2005-2015.
Il piano strategico decennale delle UN fu accolto dalla World Heritage Committee con molto
interesse, al punto da costituire la base per l’implementazione delle misure di governance
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Pinelopi Antoniou, Analysis of responses as per the State of Conservation Reports 2012
10
Definizione acquisita durante la Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo nel 1992.
38 SIDS sono parte delle Nazioni Unite, 34 di essi sono anche Stati Firmatari della World Heritage Convention. Dei 38
SIDS inoltre, 11 sono considerati anche least-developed countries (LDCs). 14 SIDS non sono membri delle Nazioni Unite
o Membri Associati delle Commissioni Regionali.
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precedenti con il World Heritage Programme for Small Island Developing States (2005, Durban,
Sud Africa) noto anche come SIDS Programme.
Questo aumentato interesse per i SIDS ha sottolineato le mancanze presenti nella World
Heritage List12, perciò, la World Heritage Committee si propose di far coesistere il nuovo SIDS
Programme con le precedenti azioni regionali come il World Heritage Action Plans for the
Caribbean and the Pacific Island Nations (2004), allo scopo di incrementare la lista e il numero
dei SIDS tra gli Stati firmatari della Convenzione, ancora scarsi a metà del decennio scorso.
Ad oggi, le proposte di un approccio indirizzato alle necessità dei SIDS, sono state integrate
nelle varie attività dell’UNESCO, promuovendo uno scambio intersettoriale fra i vari ambiti
d’azione13.
Clima e cultura a Venezia nel 2013
Padiglione delle Maldive
La Repubblica delle Maldive è costituita da un’insieme di isole site nell’Oceano Indiano, a sud
dello Sri Lanka. Lo stato maldiviano è spesso soggetto a uragani ed il clima è di tipo
monsonico con numerose precipitazioni concentrate nei mesi tra maggio e novembre. Nel
1998, il Niño, un fenomeno climatico ciclico di innalzamento delle temperature, ha provocato
dei danni alle barriere coralline, come l’erosione e la sparizione di alcune specie marine, che
in alcuni casi devono tuttora essere sanati. Questa tipologia di fenomeni, associati agli impatti
del cambiamento climatico nei SIDS, secondo le previsioni provocheranno la scomparsa delle
isole delle Maldive, sommerse dall’innalzamento del livello dell’acqua degli oceani entro il
2080.
Anche se dal punto di visto della policy l’UNESCO ha già prodotto una serie di documenti in
cui si evince l’importanza e la centralità del tema degli impatti del cambiamento climatico
nei SIDS, ed in particolare nelle isole delle Maldive, questo argomento è ancora poco noto al
grande pubblico. Se l’arte e la cultura possono aiutare la comunicazione e aumentare la
consapevolezza degli impatti del cambiamento climatico, una delle piattaforme più
interessanti per la divulgazione ad un pubblico molto ampio risulta essere la 55.Esposizione
Internazionale de la Biennale di Venezia che ospita nei periodi di maggiore affluenza più di
2000 visitatori l’anno14. Infatti, il 2013, vede la prima partecipazione nazionale alla Biennale
d’Arte di Venezia della Repubblica delle Maldive come anche quella dello Stato di Tuvalu.
Il Padiglione delle Maldive, evento collaterale della Biennale, ospita le opere di 22 artisti e
durante il periodo di apertura dell’esposizione si sono svolte 5 performance. Il progetto
curatoriale è stato affidato al collettivo internazionale di artisti Chamber of Public Secrets
(CPS) che si occupa generalmente di tematiche inerenti la responsabilità sociale. Per il
Padiglione delle Maldive hanno sviluppato l’idea del portable pavillion allo scopo di
enfatizzare la progressiva ed incalzante scomparsa delle isole. Tale definizione porta con sé il
concetto di trasferibilità e di movimento intesi soprattutto come cambiamento. La sparizione
delle isole coinvolgerebbe soprattutto la popolazione maldiviana: i circa 350.000 abitanti delle
isole diventerebbero rifugiati climatici. La riflessione principale degli artisti chiamati a realizzare
il contenuto del Padiglione si è concentrata così sulla centralità della salvaguardia della
popolazione e della cultura maldiviana. Il concetto di trasferibilità si ritrova soprattutto
nell’artista egiziano Wael Darwesh che focalizza la sua ricerca sulla memoria collettiva
(patrimonio intangibile) che scomparirà insieme al territorio delle Maldive e che mediante la
raccolta e la catalogazione potrà essere conservata e “trasportata” in un altri luoghi se le
Maldive venissero sommerse. In quest’ottica il patrimonio culturale intangibile dovrà essere
trasferito per evitarne la perdita e garantirne la sopravvivenza a favore della diversità
12
Fino al 2005 erano presenti nella lista 15 siti Patrimonio dell’Umanità presenti nei SIDS degli Stati Firmatari e 4 siti dei
Paesi Associati alle Commissioni Regionali; a giugno 2013 sono 29 i siti iscritti alla lista presenti nei primi e 7 i siti iscritti
presenti nei secondi.
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Ron Van Oers, Recapitulation MIM ’05: The role of Culture in the sustainable development of SIDS
14
Informazioni tratte dal sito www.labiennale.org
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culturale. Nel video Contingent Movements Archive Hanna Husberg, Laura McLean e Kalliopi
Tsipni-Kolaza hanno invece delineato dei possibili scenari di migrazione della popolazione
delle Maldive e della loro cultura in seguito alla sparizione anticipata delle isole. Il video
descrive come un evento di tale portata renderebbe urgente la predisposizione di misure di
policy che affrontino il problema dei migranti in rapporto agli equilibri mondiali.
Padiglione Tuvalu
Tuvalu è uno stato del Pacifico che si estende per soli 26 chilometri quadrati ed è costituito da
4 isole e 5 atolli. Se il Padiglione delle Maldive affronta il cambiamento climatico con una
prospettiva “romantica” di trasferimento della tradizione culturale, il Padiglione di Tuvalu,
piccolo stato nel Sud Pacifico, affida al taiwanese Vincent J.F. Hung, l’obiettivo di interpretare
in arte il destino congiunto (il titolo del Padiglione è Tuvalu Destiny Interwined) dei Paesi
sviluppati principali produttori di emissioni di CO2 e dei SIDS, ovvero i paesi che per primi sono
colpiti dall’impatto del cambiamento climatico.
La prospettiva di analisi del fenomeno appare più critica nei confronti della politica di azione
degli stati sviluppati in rapporto al cambiamento climatico. Si pone l’attenzione soprattutto sul
concetto emergente di loss and damage15, argomento oggi centrale nel dialogo
internazionale in tema di politiche di mitigazione e adattamento dei SIDS.
L’installazione principale del Padiglione Tuvalu, anch’esso evento collaterale della Biennale
d’Arte di Venezia, è un’imponente scultura ancorata ai giardini di Forte Marghera
rappresentante una pompa di benzina a cui è appeso l’enorme toro simbolo della Borsa di
Wall Street. Alla base della struttura vi è una tartaruga in procinto di essere schiacciata
dall’enorme macchina. La tartaruga e il toro sono simboli che l’artista utilizza per descrivere
l’attuale situazione in cui versano gli Stati come Tuvalu (la tartaruga) a rischio di sparizione a
causa dell’innalzamento globale delle temperature provocate dal cambiamento climatico e
dalle crescenti emissioni di GHG dei paesi sviluppati. Una seconda installazione esterna è
dedicata a quelle specie animali in via di estinzione o che saranno costrette a migrare sempre
a fronte del cambiamento climatico. Si tratta di un piccolo esercito di pinguini vestiti da
saldati distribuito in una zattera sulla riva del rio che circonda il Forte e sulla piccola darsena.
Se all’esterno si trovano le installazioni considerate più giocose e divertenti, è all’interno che
Hung propone quello che può considerarsi il progetto più riflessivo. Modern Atlantis Project
infatti è un acquario con all’interno una barriera corallina e i più importanti monumenti del
mondo civilizzato. L’artista pone cioè sullo stesso piano la barriera corallina (patrimonio di
Tuvalu) e i monumenti storici creati dall’uomo (simboli della civiltà e cultura umana) e dimostra
come anche questi ultimi spariranno se non si proteggeranno i SIDS dagli impatti del
cambiamento climatico.
The Garbage Patch State Venice
Non è un SIDS ma uno stato immaginario il Garbage Patch State e nasce da un‘idea
dell’artista Maria Cristina Finucci. Il fenomeno del garbage patch si concretizza in una distesa
di materie plastiche. I polimeri della plastica che non viene riciclata ma rilasciata
nell’ambiente creano uno strato esteso per chilometri e chilometri occupando la superficie
marina, intaccando la fauna e la flora oceaniche e mettendo a rischio la salute delle acque
e anche il patrimonio naturale e culturale mondiale dei siti iscritti nella World Heritage List.
Finucci ha creato un’installazione in collaborazione con l’Università Ca’ Foscari di Venezia; un
padiglione interattivo che ha come obiettivo la sensibilizzazione del visitatore e persegue il suo
scopo mostrando questo invisibile disastro ambientale attraverso un approccio artistico
visuale: lo spettatore entra all’interno del padiglione ed ha la percezione ottica e sonora di
essere circondato da un mare di plastica. In particolare poi, il box ospitato nel cortile
dell’Università Ca’ Foscari, si congiunge al rio esterno dell’istituzione con una serpentina
trasparente colma di tappi di plastica raccolti all’università spagnola di Barcellona. Prima di
approdare a Venezia l’installazione è stata ospitata nella sede di Parigi dell’UNESCO, dove al
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E. Calliari, Loss and damage: a step ahead for SIDS?, in International Climate Policy & Carbon Markets N° 24 –
January 2013
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Garbage Patch State è stato conferito lo status di nazione federale, soprattutto quindi un
riconoscimento concreto del problema ambientale che esso crea. Si tratta però di un
progetto complesso ed articolato, Wasteland, quello che Finucci ha costruito come una
catena di installazioni, video ed eventi presentati in diversi momenti con la collaborazione di
varie istituzioni ed enti. Non solo, ha creato anche un sito internet curato insieme agli studenti
dell’Università, che si fanno così portavoce del disastro ambientale di matrice umana.
Conclusioni
Di fronte ad una aumentata attenzione verso il tema della tutela del Patrimonio dell’Umanità
dei SIDS dagli impatti del cambiamento climatico a livello governativo, riscuote interesse la
prima partecipazione nazionale delle Maldive e di Tuvalu alla 55.Esposizione Internazionale
d’Arte de la Biennale di Venezia. Benché con due differenti approcci, entrambi i Padiglioni
esplorano il tema del cambiamento climatico, portando ad una manifestazione di rilievo
internazionale una visione artistica del problema. A priori le iniziative hanno evidentemente
l’obiettivo della sensibilizzazione dell’audience slegata dai complessi meccanismi che
sottendono le politiche di gestione e conservazione del patrimonio culturale e naturale a
livello governativo. Le proposte artistiche hanno varie sfaccettature, spesso sono solo
accattivanti, altre volte propongono i risultati di una ricerca pregressa più strutturata. È da
sottolineare anche l’approccio più divulgativo di Maria Cristina Finucci che non si è limitata a
creare un padiglione, ma ha sfruttato le potenzialità comunicative e il grande bacino
d’utenza, come può essere quello dell’università, per produrre momenti di dialogo
approfondito sul problema del Garbage Patch, non lasciando così irrisolta la sola creazione
artistica.
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