D. DE LUCA, Le armi, p. 216
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D. DE LUCA, Le armi, p. 216
4. LE ARMI Lo scavo della Rocca di Montemassi ha re stituito 46 di punte di freccia di ferro, tutte in pessimo stato di conservazione. Solo di sette esemplari è stato possibile ricostruire le dimensioni, poichè le rimanenti punte sono mancanti di parte della cuspide o della gorbia. Le punte provengono da strati di versi, ma soprattutto dai depositi posteriori al 1328, del resto per il momento prevalenti nei risultati dell’indagine stratigrafica. Le punte esaminate sono state suddivise in due gruppi principali relativamente al loro impiego; 6 sono sicuramente riferibili a dardi impiegati con balestre e 40 a frecce impiegate con archi o balestre leggere (vedi infra). L’esame delle punte per archi ha portato all’individuazione di quattro tipi (A, B, C, D), tutti caratterizzati da una forma allungata e sottile che ne esclude un impiego in ambito venatorio 1. Questo tipo di punta risulta in vece particolarmente efficace nel combatti mento, poiché proprio grazie alla sua forma è in grado di attraversare le maglie degli usberghi, arrecando danni anche senza pe netrare completamente nell’armatura. Rap presenta quindi un tentativo di risposta al crescente potenziamento dell’armamento difensivo individuale riscontrato nel corso del XIII secolo 2. PUNTE PER FRECCIA DA ARCO Tipo A (Tav. I, nn. 14-18) Si tratta di una punta formata da una lunga cu spide piramidale a sezione quadrata con gorbia conica avvolta. Appartengono a questo tipo 10 1. La freccia scagliata con un arco o con una balestra non possiede la capacità, che hanno i proiettili di arma da fuoco, di bloccare istantaneamente una preda, specie se di grandi dimensioni (cervi, caprioli, cinghiali). La freccia infatti deve la sua efficacia alla capacità di provocare ferite ampie e profonde, per cui nella caccia è necessario impiegare punte dalla forma larga, appiattita e affilata in grado di avere un alto potere vulnerante. Per cui per certo nessuna delle punte rinvenute a Montemassi ebbe un uso venatorio e così è per la gran parte delle punte, genericamente strette e lunghe, rinvenute in molti degli scavi medievali. 2. BOCCIA 1973; SCALINI 1990; SETTIA 1993, p. 141. esemplari di cui nessuno integro. Elemento ca ratterizzante di questo tipo, oltre la sua sempli cità, è la lunghezza 3, spesso ben oltre i 12-14 cm. Si tratta di uno dei tipi più comuni attestato negli scavi medievali e copre un arco cronologi co abbastanza ampio (XIII-XV sec.). Ciò è spie gabile con il fatto che oltre che essere particolar mente efficace, la sua produzione doveva essere abbastanza rapida. Il tipo A (10 esemplari) è stato rinvenuto in stra ti della seconda metà del XIV secolo (periodo II, n. 3 esemplari) e in strati compresi tra il XV ed il XVI secolo (periodo III, n. 7 esemplari). Confronti: SOGLIANI 1995 (con esaustiva biblio grafia), p. 103, n. 160, secc. XIII-XIV; J ESSOP 1996, p. 194, fig. 1, n. M7 (secc. XI-XIV); MOLINARI 1997, p. 168, fig. 190, n. 1.2 (fine sec. XIII); CUTERI 1985, tav. II, n. 10, p. 352 e AGRIPPA 1987, p. 108, tav. XII, n. 18 (sec. XIV). Tipo B (Tav. I, nn. 5-13) Le punte relative a questo gruppo, pur con delle evidenti varianti dimensionali 4, si differenziano dal tipo precedente per la presenza di una lieve strozzatura tra la gorbia e la cuspide. La lunghez za totale, ricavabile dagli esemplari rinvenuti, varia tra i 67 mm e i 110 mm; lo spessore della cuspide varia tra i 5-8 mm, mentre il diametro esterno della gorbia varia tra gli 8-11 mm. Il peso può raggiungere i 14 g. e oltre. Questo tipo rappresenta un miglioramento fun zionale del tipo A. Infatti, pur mantenendo una forte capacità d’impatto, il restringimento tra la cuspide e il corpo della punta consente di avere una minore superficie d’attrito tra la corazza e la punta stessa permettendo a quest’ultima di penetrare più in profondità rispetto al tipo pre cedente. Il tipo B (23 esemplari) è stato rinvenuto in stra ti della fine del XIII-p.m. del XIV secolo (perio 3. La presenza di punte di dimensioni e pesi diversi indica la presenza di più arcieri. Un tiratore per scagliare una freccia con efficacia deve usare un arco proporzionato alla sua forza e alla sua altezza, e frecce adeguate nella lunghezza, nel peso e nel giusto grado di flessibilità (spine) dell’asta e nel peso della punta. Per approfondire queste problematiche strettamente arcieristiche, si rimanda all’abbondante bibliografia in AMATUCCIO 1996. 4. Per Rocca San Silvestro cfr. C UTERI 1985, per Rougiers cfr. D’ARCHIMBAUD 1980, per Segesta cfr. M OLINARI 1997. 216 do I, n. 4 esemplari), della seconda metà del XIV secolo (periodo II, n. 7 esemplari), in strati com presi tra il XV ed il XVI secolo (periodo III, n. 12 esemplari). Confronti: SOGLIANI 1995, p. 104, n. 171 (secc. XIII-XIV); DE MARCHI 1996, p. 197, tav. II, n. 4 (secc. XIII-XV); MOLINARI 1997, p. 168, fig. 190, n. 1.3a (metà sec. XIII-XIV); JESSOP 1996, p. 194, fig. 1, n. M8 (metà sec. XIII-XV). Tipo C (Tav. I, n. 9) È dato da un unico esemplare di punta di frec cia, cilindrica con cuspide lanceolata a sezione rettangolare. Molto degradata, la gorbia risulta del tutto assente. Per questo tipo non sono stati individuati precisi confronti. Sembrerebbe indi care un elemento di transizione tra i tipi A e B. Il tipo C (1 esemplare) viene da uno strato (US 396) di crolli compreso nel periodo III. Tipo D (Tav. I, n. 8) Si tratta di una sottile punta che presenta una corta cuspide piramidale a sezione quadrata, ben distinta dal corpo cilindrico. Di questo tipo sono stati rinvenuti due esemplari, entrambi frammen tari e in pessimo stato di conservazione. Gli esemplari vengono da strati (261, 388) di uso ortivo dell’area (periodo III e IV). Confronti: Questo tipo di punta, scarsamente attestato in Italia, trova confronti con un esem plare rinvenuto nello scavo del castello di Zuccola in Cividale del Friuli e datato tra il XIII e il XV secolo, cfr. FAVIA 1992. PUNTE DI DARDO PER BALESTRA Le sei punte di dardo per balestra sono rife ribili ad un solo tipo. Tipo E (Tav. I, n. 1-4) Queste punte presentano una cuspide corta e massiccia a sezione triangolare nettamente distin ta dalla gorbia allungata, avvolta a sezione cir colare. Delle varianti si hanno invece nelle mi sure, ma tutte hanno comunque una lunghezza compresa tra i 55 e i 69 mm e una gorbia di 12 14 mm di diametro (il peso medio è di 9-12 gram mi). Da queste dimensioni si discosta solo la n. 4, che presenta un peso maggiore (circa 18,4 grammi) e una gorbia di ben 18 mm di diame tro. Confronti: SOGLIANI 1995 (con estesa bibliogra fia sui ritrovamenti pubblicati precedentemen te), n. 183, p. 106 (secc. XIV-XV); DE MARCHI 1996, tav. II, n.1, p. 197 (datata genericamente ad età bassomedievale XIII-XV sec.). Questo tipo è uno dei più attestati in Euro pa in contesti del XIV secolo e ciò indica evidentemente che in questo periodo si svi luppò un incremento della potenza della balestra, tale da richiedere delle punte più tozze e robuste. Il proiettile della balestra nei documenti me dievali e rinascimentali è comunemente de finito: quadrellum, sagitta, pilottum, bolzone o verrettone. Si tratta di un’asta in legno lun ga 30 cm circa 5, dotata di una pesante e ro busta punta in ferro e, all’estremità oppo sta, di alette in legno o ricavate da penne d’oca 6, che hanno la funzione di stabilizzare la traiettoria del dardo durante il volo. Peraltro, nella documentazione scritta di età medievale, sono ricordati diversi tipi di ba lestra: balestre grosse, a staffa, a leva, a tor nio, che evidentemente indicavano tipi di versi tra loro sia nelle dimensioni, sia nei materiali impiegati 7. È plausibile supporre che a questa varietà di balestre dovessero corrispondere diversi tipi di punte di dardo in funzione della potenza espressa dalla ba lestra con cui venivano impiegate 8. Ad esem pio in un inventario del 1356 relativo al Cassero di Montemassi 9 troviamo citati al meno due tipi di balestre: «…uno balestro grosso senza corda, otto ba lestre a staffa, due balestre gattive, due crocchi buoni, uno torno da balestra guasto, quatro maççi di guirettoni, due litieni (??) da balestra guaste…,» In linea di ipotesi, dunque, possiamo sup porre che alcune delle punte da noi indicate come pertinenti a frecce da arco potessero essere utilizzate anche con dardi per bale stre piccole e leggere (a staffa). 5. Sono altresì documentati archeologicamente dardi da balestra più lunghi, come quello, completo di asta in legno, rinvenuto negli scavi della Rocca del Monte Ingino di Gubbio, che raggiunge i 45,8 cm di lunghezza. Cfr. WHITEHOUSE 1987, fig. 37 n. 222. 6. Cfr. S ETTIA 1995, p. 475 «…nel 1308 tutto il territorio dipendente da Venezia fu impegnato a raccogliere pennas pro impennare quadrellos di cui c’era urgente bisogno». 7. LANE 1983, p. 242. 8. CORTELLAZZO 1991. 9. ASS, Casseri e fortezze, a.1356. 217 Tav. I – Punte per freccia (tipo A: nn. 14-18; tipo B: nn. 5-13; tipo C: n. 9; tipo D: n. 8; tipo E: nn. 1-4). 218 Tav. II – Lamelle per corazzine. La balestra a staffa veniva armata dalla sola forza del balestriere, che infilava un piede nella staffa posta all’estremità anteriore dell’arma; quindi, chinandosi, agganciava la corda con il crocco 10 (un gancio assicurato alla cintura) e infine si rialzava finché la cor da non andava ad ancorarsi al noce 11. Prov visto di una tacca che tratteneva la corda in tensione, il noce era tenuto in posizione da una leva facente funzione di grilletto. Di potenza assai maggiore doveva essere il balestro grosso, se per il suo armamento era necessario un demoltiplicatore di potenza (torno o tornio). La balestra, piccola o grande, era inoltre dotata di un robusto arco di legno (in gene re di tasso), rinforzato con tendini e lamine di corno; sul finire del XIV secolo si comin ciano ad impiegare archi in acciaio, ma per 10. Crocchi sono stati rinvenuti negli scavi di Rougiers (D’ARCHIMBAUD 1980); Rocca San Silvestro (inedito); Riprafratta (AMICI 1989). 11. Meccanismo di scatto costituito da un cilindretto (noce) provvisto di una tacca che tratteneva la corda in tensione; il noce era trattenuto in posizione da una leva facente funzione di grilletto. Noci di balestra in osso sono stati rinvenuti a Rougiers, (D’ARCHIMBAUD 1980), datato al XIV secolo, a Roma (Crypta Balbi, SFLIGIOTTI 1990) datato alla metà del XIV-inizi del XV secolo. Recentemente, nello scavo di Casteldipietra (comune di Gavorrano- GR; scavo diretto sul campo dal dott. Carlo Citter, sotto la direzione scientifica del prof. Riccardo Francovich, per il Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti dell’Università di Siena, dal 1997) è stato rinvenuto un noce di balestra di circa 3 cm di diametro per 2 cm di spessore, ricavato da un corno di cervo. Inedito. almeno tutto il secolo successivo si continue ranno a preferire ad essi gli archi in legno e corno, molto più affidabili. L’arco era fissa to orizzontalmente sul fusto (teniere) sul quale era alloggiato il meccanismo di scatto. La balestra è la naturale evoluzione dell’arco semplice e, sebbene il suo impiego richie desse un tempo maggiore rispetto all’arco, era in grado di imprimere al dardo una mag giore spinta e soprattutto una maggiore pre cisione nel tiro. Non è da sottovalutare inoltre il fatto che l’addestramento di un balestriere richiedeva un tempo relativamente breve, a differenza dell’arciere che doveva sottoporsi, per otte nere discreti risultati, ad un lungo e costan te allenamento. Arcieri e balestrieri furono largamente im piegati nei secoli centrali del medioevo. Essi costituivano, insieme ai pavesari, dei corpi specializzati distinti dai fanti generici, anche se spesso abbiamo notizie di arcieri e/o balestrieri a cavallo. Nelle battaglie campali erano sempre presenti, in numero cospicuo, e, normalmente, erano utilizzati per la dife sa o l’assedio dei vari fortilizi 12, come mo stra anche l’affresco dell’assedio di Monte massi nel Palazzo Pubblico di Siena (per il quale si veda estesamente l’intervento di Pa renti in questo stesso volume) dove sono rap presentate appunto numerose insegne di balestrieri. 12. BIANCHI 1988. 219 ARMAMENTO DIFENSIVO Questo gruppo di reperti comprende 3 fram menti di maglia metallica (US 325, Periodo II) e numerosi frammenti di lamelle in ferro (US 321, 330 Periodo II-Fase I), tutte in pes simo stato di conservazione, tanto che solo di una, abbastanza integra, è possibile rico struire le misure (Tav. II, n. 1). La larghezza di queste lamine va dai 4 ai 5 centimetri, lo spessore è di 0.2 centimetri, i rivetti sono abbastanza grandi, con testa circolare. Si trat ta di elementi pertinenti a una o più corazzine. Queste corazzine si differenziano dalle vere e proprie corazze, largamente dif fuse nel XIV secolo 13, principalmente per le minori dimensioni delle lamine, ma anche per l’aspetto generale che le fa essere più si mili ai farsetti corazzati (brigantine) che si affermeranno a partire dal XV secolo. Un esempio significativo di corazzina (s.m. XIV secolo), data la qualità dello stato di conservazione e la provenienza da contesto stratigrafico, si può vedere nel Museo di Campiglia Marittima 14. 13. BOCCIA 1973, p. 199 e BOCCIA 1982, p. 83. 14. Il Museo è stato inaugurato nel 1998 ed accoglie i risultati delle ricerche svolte nella Rocca di Campiglia Marittima, curate dall’Insegnamento di Archeologia Medievale dell’Università di Siena (dir. scientifica Prof. Tornando ai reperti di Montemassi, è im portante sottolineare che i documenti rela tivi alla vita del castello parlano in più ripre se di corazze e balestre 15, custodite all’interno del cassero. È assai probabile comunque che il riferimento sia a vere e proprie coraz ze, in quanto che si dice «paio di corazze», con ciò alludendo alla forma di questi og getti, composti di due parti (davanti e die tro) da collegare tra loro con cinghie 16. Il ritrovamento dei 3 frammenti di maglia metallica (diametro interno degli anelli: 0,5 cm; diametro esterno: 7,8 mm; spessore: 1 cm) è talmente modesto da non poter ren dere possibile un’identificazione certa dell’utilizzo nè un inquadramento cronologico più preciso. (D. D.L.) Riccardo Francovich, responsabilità sul campo Dr.ssa Giovanna Bianchi). In particolare i reperti ceramici e metallici (compresa la corazzina) sono stati restaurati dalla Dr.ssa Fernanda Cavari, responsabile del Laboratorio di Restauro del Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti dell’Università di Siena, in collaborazione con lo scrivente; tutti i reperti relativi ad armi e armature sono stati studiati dal Dr. Mario Scalini della Soprintendenza ai BeniArtistici di Firenze e dallo scrivente. 15. Si vedano i documenti (aa.1356 e 1406) nell’appendice documentaria presentata da R. Farinelli in questo stesso volume. 16. Di nuovo si rimanda ai documenti sopra citati. BIBLIOGRAFIA AA.VV. 1985 AGRIPPA 1987 AMATUCCIO 1996 BIANCHI 1988 BOCCIA 1973 CORTELLAZZO 1991 AA.VV. Un villaggio di minatori e fonditori di metalli nella Toscana del medioevo: San Silvestro (Campiglia Marittima) «Archeologia Medievale», XII. M.C. AGRIPPA, Area 9000 - I repertiin FRANCOVICH, PARENTI 1987, pp. 102-108. G. 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