Ritrattazione teologica sulla figura dei laici

Transcript

Ritrattazione teologica sulla figura dei laici
«Quod nimis probat...» Ritrattazione teologica sulla figura dei laici Anche nel caso dell'argomentazione teologica sui laici, il problema da af-­‐
frontare è quello dell’inizio, del “cominciamento”. Molteplici sono i punti di innesco, salvo riconoscere che la preferenza accordata all’uno o all’altro si ri-­‐
flette sullo sviluppo e l’approdo del discorso. Nella letteratura corrente è fre-­‐
quente imbattersi in tre diverse soluzioni come ingresso alla questione: 1) l’approccio linguistico; 2) il ricorso alla storia del laicato; 3) il rinvio alla dot-­‐
trina sul laico nel concilio Vaticano II. All'illustrazione delle tre piste, seguirà una ribattitura critica coll’intento di mettere in luce l’impensato che resta sot-­‐
totraccia alla trattazione tradizionale sul tema ei laici. 1. Etimologia di laico (= membro del popolo di Dio) Secondo un’accezione molto consolidata, laikós deriverebbe dall’uso scrit-­‐
turistico di laos tou Theou, “popolo di Dio” in opposizione alle nazioni pagane (goyim). Pertanto, il laico è «colui che appartiene al popolo consacrato a Dio, costituito erede dell'alleanza e beneficiario della promessa della salvezza»1. In questa linea, così suona un passaggio negli Addenda (1964) dei Jalons : «Laico» rimane un termine cristiano, anzi un termine di Chiesa. Esso designa i semplici membri, non qualificati in maniera speciale, all'interno del popolo di Dio, tutto intero consacrato […] Quando si giunge all'uso cristiano del termine, dopo Clemente di Roma, si tratta bene, in λαικός «di quella parte del popolo che non è né sacerdotale né levitica, si tratta della parte non sacerdotale e non levitica del popolo santo», come nota M. JOURJON (Les premiers emplois du mot laïc dans la littérature patristique, in «Lumière et Vie», n. 65, nov.-­‐dic. 1963, 37). M. Jourjon propone questa definizione: «membro non chierico del po-­‐
polo di Dio». Noi siamo d’accordo con lui2. Nel corpo dei Jalons, fin dall’edizione del ’53, erano indicati gli elementi “specifici” che definiscono la vocazione e i compiti propri dei laici rispetto al ministero e ai carismi degli altri membri della Chiesa, rispettivamente i chie-­‐
rici e i religiosi. Ecco il celebre passo sull'indole propria del laico: Il laico sarà dunque colui per il quale nell'opera stessa che Dio gli ha affidato, la sostanza delle cose in se stesse esiste ed è interessante. Il chierico e ancor più il monaco, è uno per 1 D. BOURGEOIS, "Laïc/Laïcat", in Dictionnaire critique de Théologie, dir. J.Y. Lacoste, PUF, Paris 1998, 637-­‐640, ivi 637. 2 Y. CONGAR, Per una teologia del laicato, Morcelliana, Brescia 1967, 648. 1
il quale le cose non sono veramente interessanti in se stesse, ma in relazione ad un altro, cioè nel rapporto che le lega a Dio, che esse fanno conoscere e possono aiutare a servire3. 2.
Il “filo rosso” dei laici nella Chiesa Indagare sul passato per ritrovare gli argomenti probanti in vista di una chiarificazione odierna sulla figura dei fedeli laici: è questo l’obiettivo di mol-­‐
ta storiografia teologica. Ciò che contraddistingue questo filone non è tanto l’interesse per ricostruire lo sviluppo della testimonianza laicale lungo i seco-­‐
li, quanto il convincimento che l’interrogazione della tradizione consenta di pervenire a una più univoca determinazione dello statuto laicale. Tale modello storiografico si propone di abbracciare l’intero arco della storia ecclesiastica, dall'età apostolica fino ad oggi, con l'intento di mettere in luce il “filo rosso” della vicenda dei laici che, pur conoscendo attraverso i se-­‐
coli diverse coloriture e specifiche determinazioni, nondimeno avrebbe con-­‐
servato alcune costanti4. In un conciso e schematico excursus storico B. Forte ha tracciato un progetto a grandi linee di “storia del laicato”, dal Nuovo Te-­‐
stamento ai nostri giorni5. Il procedimento presenta un andamento prevalen-­‐
temente descrittivo, così che il vissuto e la dottrina del laicato vengono colti alla luce dell'avvicendarsi dell'autocoscienza ecclesiale nelle diverse fasi della storia della Chiesa: alla prevalenza del polo comunitario nei primi secoli, cor-­‐
risponde un'accentuazione gerarcologica in epoca medioevale, con un recu-­‐
pero progressivo dell'aspetto comunitario in età moderna e contemporanea. La vicenda del laicato risulta perciò organizzata attorno a quattro macro-­‐
modelli ecclesiologici: a) la Chiesa apostolica, in cui la varietà di ministeri e carismi, suscitati dallo Spirito (cfr. 1Cor 12, 4-­‐7), mette in luce la partecipazione di tutti i battezzati al nuovo popolo di Dio; 3 Y. CONGAR, Per una teologia del laicato, Morcelliana, Brescia 1967, 39. 4 M. ERBA, “Laico (storia del)”, in Dizionario di spiritualità dei laici, I, OR, Milano 1981, 369-­‐393; B. FORTE, Laicato e laicità, Marietti, Casale M. 1986; P. SINISCALCO, Laici e laicità. Un profilo storico, AVE, Roma 1986; M. SEMERARO, Con la chiesa nel mondo. Il laico nella storia nella teologia nel magistero, Vivere in, Roma 1991, 43-­‐63; IDEM, La figura del laico nella storia, “Credere oggi”, 14 (1994/3) n. 81, 21-­‐31; G. CANOBBIO, Laici o cristiani? Elementi storico-­‐sistematici per una descrizione del cristiano laico, Morcel-­‐
liana, Brescia 1992, in part. 55-­‐211. Questi studi sono in larga parte debitori dell'impostazione storica di Congar: oltre ai Jalons, cfr. Y. CONGAR, “Laico”, in Dizionario teologico, II, Queriniana, Brescia 1967, 122-­‐143; IDEM, “Laïc et laïcat”, Dictionnaire de Spiritualité, IX (1976), 79-­‐108. 5 B. FORTE, Laicato e laicità, 23-­‐37. 2
b) la Chiesa dei martiri, nella quale, pur accentuandosi una forma e un'or-­‐
ganizzazione gerarchica interna, non vengono meno le ragioni dell'unità del corpo ecclesiale; c) la Chiesa in epoca di cristianità, ove a partire dalla svolta costantiniana e per tutto il medioevo finisce per venire meno la tensione Chiesa-­‐mondo e, di conseguenza, per rafforzarsi la separazione all'interno del corpo ecclesiale fra vescovi, sacerdoti, monaci, da una parte, e fedeli laici, dall'altra; d) la Chiesa in età moderna e contemporanea, in cui nell'arco che dalla crisi della Riforma giunge fino al Vaticano II si assiste alla fioritura di un nuovo impulso alla promozione e alla riscoperta dei carismi laicali nell'ambito della comunità tutta intera ministeriale. È poi da ricostruire l'effettiva portata della trattazione conciliare, tanto sul piano dell'antropologia quanto dell'ecclesio-­‐
logia; proprio nella LG prenderà forma la «rivalutazione» del fedele laico nel quadro della riscoperta della natura misterica e comunionale della Chiesa. 3.
L’indole secolare. La lezione di Vaticano II Un altro punto di ingresso alla questione si prefigge di ritrovare nell'even-­‐
to e nella dottrina conciliare la pietra miliare per una teologia del laicato. I te-­‐
sti di riferimento sono ovviamente LG, coronata da AA e da GS. L’ultimo con-­‐
cilio sarebbe approdato a una prospettiva unitaria e articolata in tema di lai-­‐
cato, riuscendo a saldare il discorso sull'identità cristiana del laico con quello delle responsabilità connesse alla sua condizione secolare. Pertanto, la natura o caratteristica essenziale del fedele-­‐cristiano-­‐laico va ricercata nel fatto che egli è un battezzato e come tale incorporato a Cristo e appartenente al Popolo sacerdotale, re-­‐
gale e profetico di cui Cristo è la fonte. Nella sua identità egli potenzialmente potrebbe, se chiamato, acquisire a beneficio del Popolo di Dio la stessa realtà della ministerialità ordi-­‐
nata. Comunque in virtù del Battesimo il fedele-­‐cristiano-­‐laico è nel mondo colui che è presente e agisce in persona Christi, in quanto egli partecipa e rende presente nel "secolo" il Sacerdozio comune di Gesù Cristo. In questa luce va letta l'affermazione conciliare: «L'indole secolare è propria dei laici... Per loro vocazione essi devono cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinarle secondo Dio» (LG 31)6. Quanti rinvengono lo specifico del cristiano laico nell’ordinare le realtà temporali secondo Dio, si preoccupano al contempo di reclamare con forza una corretta esegesi dei testi conciliari sulla natura dei laici, di contro ai ten-­‐
6 E. MALNATI, Teologia del laicato nel Magistero della Chiesa, Eupress FTL, Lugano 2006, 27. 3
tativi di quella riflessione teologica che più ‘disinvoltamente’ prospetta nuovi orizzonti per la testimonianza dei credenti comuni. Il principale ed autorevole assertore dell'imprescindibilità di non by-­‐
passare la dottrina conciliare sui laici è stato in Italia G. Lazzati, che nell'ulti-­‐
ma fase della vita è ritornato più volte e con insistenza a reclamare tale esi-­‐
genza7. Sul fondamento dei principi ecclesiologici ed antropologici della LG, attraverso il recupero della lezione di Maritain, egli introduce il discorso sulle diverse funzioni che conseguono alla vocazione laicale e a quella consacrata: Ci sono uomini battezzati ‒ membri della Chiesa ‒ chiamati da Dio ad attendere alla costruzione della Chiesa e all'evangelizzazione, ossia all'adempimento della missione propria della Chiesa. Ci sono poi altri uomini battezzati ‒ membri della Chiesa ‒ chia-­‐
mati da Dio ad attendere, da cristiani, alla costruzione della città dell’uomo8. La specificità della vocazione laicale – secondo il dettato di LG 31: «L'indo-­‐
le secolare è propria e peculiare dei laici» – si realizza nella modalità attra-­‐
verso cui (e non nonostante cui) il laico è chiamato a ricercare il regno di Dio trattando le cose temporali. In quest'ottica si giustificano i successivi appro-­‐
fondimenti circa l'impegno laicale di «costruire, da cristiani, la città dell'uomo a misura d'uomo»9 e la necessità dell'intera Chiesa di operare uno sforzo in vista di una formazione spirituale e culturale capace di generare «il fedele lai-­‐
co attivo e responsabile nella Chiesa e nel mondo»10. 4.
Ad primum Nel 1958, cinque anni dopo l’uscita dei Jalons, comparve su «Nouvelle Re-­‐
vue Théologique» un articolo di I. de la Potterie, il cui obiettivo dichiarato era di smascherare alcuni “luoghi comuni” ricorrenti nella letteratura teologica che si occupava del tema dei laici11. Non pochi equivoci, a suo dire, gravavano sul modo di intendere e definire la nozione di laico, forse anche in ragione del fatto che fino ad allora nessuno studio era stato dedicato a ricostruire la deri-­‐
vazione del termine e il suo primitivo significato. Per colmare la lacuna, lo 7 G. LAZZATI, Il laico, AVE, Roma 1986; ID., Per una nuova maturità del laicato, AVE, Roma 1986. 8 G. LAZZATI, Il laico, 17. 9 Sottotitolo a G. LAZZATI, La città dell'uomo, AVE, Roma 1984. 10 Sottotitolo a G. LAZZATI, Per una nuova maturità del laicato. 11 I. DE LA POTTERIE, L’origine et le sens primitif du mot “laïc”, «Nouvelle Revue Théologique» 90 (1958) 840-­‐853. Il contributo è ripreso con alcuni ritocchi in I. DE LA POTTERIE -­‐ S. LYONNET, La vie selon l'Ésprit, condition du chrétien (= Unam sanctam, 55), Cerf, Paris 1965, 13-­‐29 (tr. it., «Origine e significato primi-­‐
tivo del termine “laico”», in I. DE LA POTTERIE -­‐ S. LYONNET, La vita secondo lo Spirito e la condizione del cri-­‐
stiano, Ave, Roma 1967, 15-­‐34. 4
studioso belga si avventurò in un’indagine storico-­‐linguistica che, pur conno-­‐
tandosi per il taglio analitico e assai dettagliato dell'argomentazione, non può essere liquidata come un mero divertissement fra specialisti. a) De la Potterie mostra che nei testi cristiani antichi la forma sostantivale di laico si oppone a sacerdote e a diacono, così da designare un credente che non ha ricevuto una consacrazione speciale in vista del servizio divino. Per-­‐
tanto, se in un senso è corretto far derivare laikós da laós, ciò dovrà avvenire tenendo conto della lezione del greco antico, ove il suffisso –ikós esprimeva sì l’appartenenza ad un gruppo, ma insieme comportava una connotazione clas-­‐
sificatrice. In altre parole, laikós esprime non il significato generico di laós (il popolo di Dio opposto agli altri popoli), ma il suo significato specifico, ca-­‐
tegorizzante (i membri del popolo distinti dai consacrati). Su queste basi, è impertinente designare genericamente i laici “membri della comunità cristia-­‐
na”; essi costituiscono, invece, una categoria speciale di fedeli in posizione di sudditanza nei confronti della gerarchia (analogamente ai cittadini versus il sovrano, o alla milizia versus i comandanti ecc.). b) Dal collegamento di laikós a laós, inteso nel senso di popolo consacrato a Dio, non si può evincere che originariamente il primo termine appartenesse al campo semantico del “sacro”. Sotto questo profilo, l’originaria accezione, come tale neutra da un punto di vista religioso, potrebbe persino legittimare che in epoca moderna il termine laico abbia potuto ricevere nell’uso linguisti-­‐
co corrente una coloritura valutativa di “a-­‐, anti-­‐religioso”. c) Nelle battute iniziali e conclusive del saggio, de la Potterie sostiene che, seppur senza trovare avallo sul piano di una rivisitazione etimologica, l'istan-­‐
za di un ripensamento teologico della figura del laico mantiene la sua perti-­‐
nenza ed attualità, cosicché «teologicamente parlando, resta interamente ve-­‐
ro che i laici sono membri del popolo di Dio»12. Tuttavia, dall’analisi del ter-­‐
mine che lo designa non è dato legittimare la figura e la funzione del laico. L’istanza di una rinnovata teologia dei fedeli laici esige un esercizio di pensiero che oltrepassi il tentativo di una suggestiva (e azzardata) opera di restyling teologico-­‐biblico del concetto di laico, per giungere a mettere a fuo-­‐
12 I. DE LA POTTERIE L’origine et le sens primitif du mot “laïc”, 29. 5
co la “figura” del credente, nella radicalità della sua scelta di fede alle prese con le condizioni ordinarie dell’esistenza. Tale impresa potrebbe concludersi con la presa d’atto che, per dar consistenza all’obiettivo di restituire il carat-­‐
tere autenticamente credente al laico, sia giocoforza rinunciare a quell'appel-­‐
lativo, troppo soverchiato e pregiudicato lungo i secoli di storia cristiana13. 5.
Ad secundum Una rivisitazione critica della “storia del laicato” suggerisce di prendere le distanze da quel procedimento che si prefigge di descrivere tale vicenda co-­‐
me un continuun dalla fase post-­‐apostolica fino all’epoca contemporanea. Un tale approccio non considera che il costituirsi della nozione laico/laicato (nell’uso invalso ancor oggi) è da individuare con buona approssimazione con l’ingresso nell’epoca moderna, rispettivamente con la vicenda della Ri-­‐
forma protestante e le sue ripercussioni sul cattolicesimo, nonché con l'im-­‐
porsi del nuovo clima spirituale della modernità14. La fisionomia dei laici na-­‐
sce con la Riforma cattolica, nel senso che la strategia tridentina, per reagire alla provocazione protestante, si è mossa nella direzione di contrapporre una forza d’urto pastorale, istituzionale e rigidamente dottrinale nei confronti del processo di degerarchizzazione innescato da Lutero. Com’è noto, tale proget-­‐
to si materializzò, fra l’altro, nell’istituzione dei seminari, luoghi deputati alla formazione e al disciplinamento dei candidati al presbiterato. Il sorgere dei seminari ‒ come terapia d’urto per combattere abusi e im-­‐
moralità, restituendo identità vocazionale e coscienza ministeriale ai presbi-­‐
teri, attori protagonisti sulla ribalta ecclesiastica ‒ comportò come effetto col-­‐
laterale un mutamento di paradigma in ordine alla fisionomia degli altri fede-­‐
li. L'investimento di energie a favore di una formazione liturgica, dottrinale e 13 Nella sua Ecclesiologia S. Pié-­‐Ninot dopo aver osservato che «la proposta provocatoria di ‘prendere congedo’ da questo concetto fatta da M. Vergottini… non trova una contropartita in una teologia speci-­‐
fica del popolo di Dio nel mondo», così conclude: «non siamo di fronte al rischio di cadere, con tutta la buona volontà, nell’assioma: quod nimis probat, nihil probat?». (S. Pié-­‐Ninot, Ecclesiologia.La sacramen-­‐
talità della comunità cristiana, Queriniana, Brescia 2008, 323 n. 31). A ben vedere, però, l’assioma sco-­‐
lastico, che stabilisce l’inefficacia probativa di quell’argomentazione che vada oltre i limiti della tesi, suona tanto univoco nella formalizzazione quanto equivoca risulta la sua applicazione d’uso. 14 Per una conferma dell'ipotesi interpretativa che individua nel passaggio dal medioevo all’epoca mo-­‐
derna una soluzione di continuità in ordine alla condizione dei laici, cf. F. BUZZI, Laicato e laicità tra Umanesimo e Controriforma. Un percorso dalla devotio moderna a Carlo Borromeo attraverso la Rifor-­‐
ma, «La Scuola Cattolica» 126 (1998) 213-­‐246; C. PRANDI, I cristianesimi e la questione della laicità, «Humanitas» 49 (1994) 60-­‐81. 6
spirituale del clero comportò un processo di gerarchizzazione della Chiesa cattolica, col risultato di confinare i comuni fedeli in un ruolo subordinato e passivo. In un senso, col risultato di far ‘nascere’ il laicato. Infatti, quanto più rispetto al passato il ministro ordinato divenne il rappresentante ideale e consapevole dell’identità cristiana, tanto più la condizione laicale venne con-­‐
notandosi per sottrazione dal modello clericale (e religioso) 15. 6.
Ad tertium Che il Concilio abbia impresso una svolta sulla coscienza dei laici, e più ancora sull’autocoscienza e sull’agenda della Chiesa tutta, è fuori discussione. Tuttavia, se sulla cosa tutti convergono, sul come emergono non poche di-­‐
scussioni e divergenze di vedute. In altre parole, risulta problematica e aperta la questione sulle effettive modalità in cui il binomio laici-­‐Vaticano II si è con-­‐
figurato tanto nel momento originario, quanto sull’impatto e sulla ricaduta che è dato riscontrare nella vita dei credenti e delle comunità locali. a) Sul piano storico-­‐redazionale, occorre prendere le mosse dall’intento dei padri del Vaticano II di assegnare, per la prima volta nella storia dei conci-­‐
li, una fattiva considerazione alla figura dei fedeli laici16. Certo, già si poteva contare su una consistente istruzione del tema del laicato maturata nei decen-­‐
ni precedenti, tanto in ambito teologico quanto sul versante della vitalità dell’Azione Cattolica. Il Concilio accolse e ratificò tale portato di idee e di espe-­‐
rienze, così da avallare la lezione di Chenu, che riconosceva nel laicato un “luogo teologico in atto”, o quella di Congar, che si spingeva a parlare di vera e propria “ascesa al potere” del laicato cattolico. Per riequilibrare una visione di Chiesa troppo sbilanciata sul polo della gerarchia, acquisì portata simbolica la scelta di papa Giovanni di aggiungere in extremis alle commissioni preparatorie quella sull'apostolato dei laici, presieduta dal card. Cento. Per altro, nessun laico fu chiamato a prendere parte a quest'ultima, come del resto nessuno dei periti conciliari che più si erano prodigati nel ripensamento sulla teologia del laicato 15 «Nella misura in cui la clericalizzazione è più spinta, fino a fare del prete un “cristiano a parte”, più esigita è la sottomissione del gregge ritenuto passivo, minore d’età, gregario, la cui vita deve essere re-­‐
golata fin nei dettagli secondo la prospettiva clericale» (G. AMBROSIO, «I laici tra cristianità e modernità», in G. ANGELINI -­‐ G. AMBROSIO, Laico e cristiano, Marietti, Casale M. 1987, 38). 16 Basti soltanto ricordare l’ampio impiego del termine «laico», che può contare su ben 101 ricorrenze nei testi conciliari: 36 volte in AA, 25 in LG, soltanto 6 in GS (per quanto sullo sfondo della costituzione pastorale sia marcatamente presente la dimensione laicale). 7
(Congar, Philips, Rahner, Schillebeeckx, Chenu). b) Sul piano di una ripresa ermeneutica, occorre fuoriuscire da quella retorica per cui ancor oggi si rappresenta il Vaticano II come il «concilio dei laici», come se i padri conciliari avessero inteso elaborare una dottrina compiuta sui fedeli laici e, quindi, pervenire a una fissazione dello statuto laicale. Serve invece im-­‐
pegnarsi a ricercare l’autentica intentio profundior del Vaticano II in ordine alla comprensione del mistero e della missione della Chiesa, entro cui soltanto è dato poter inscrivere la questione dei comuni fedeli, vale a dire i laici. Al riguardo, occorre prendere atto del ruolo cruciale che acquista il cap. II di LG, rispetto al cap. IV. La nozione biblica di popolo di Dio ‒ nell’atto in cui sol-­‐
lecita il superamento dello schema statico Chiesa-­‐mondo a favore di quello dinamico della Chiesa nella storia ‒ invita a ritenere la distinzione gerarchia-­‐
laici soltanto come successiva e conseguente a ciò che in primis unifica tutti i credenti. Ciò che supremamente conta nella vita credente è di essere in Cristo perché di Cristo, dunque membri dell’unico popolo convocato da Dio. Tale «ricentramento cristologico dell’esistenza credente» (G. Colombo) comporta che l'identità dei laici non possa più essere compresa per differenza rispetto a quanti hanno ricevuto il ministero ordinato o abbracciato la vita religiosa, ma fondamentalmente a partire dalla vocazione comune a tutto il popolo di Dio. Una tale acquisizione si è riflessa su due luoghi cruciali che concorrono a de-­‐
finire l’identità spirituale ed ecclesiale del christifidelis, rispettivamente l'uni-­‐
versale vocazione alla santità cristiana e il dinamismo dell’edificazione eccle-­‐
siale, nella logica per cui «c’è nella Chiesa diversità di ministero ma unità di missione» (AA 2). È questo uno dei fili scoperti della LG, in quanto sorge l’interrogativo di co-­‐
me sia compatibile la prospettiva del cap. II, che risolve la figura del laico in quel-­‐
la del christifidelis, rispetto all’impostazione del cap. IV, ove si identifica nell’indole secolare il proprium dei laici. L’obiezione non è nuova, dato che più di un interprete all’indomani del Concilio ha segnalato l’esistenza di uno scar-­‐
to, o di un’oscillazione, fra una prospettiva di Chiesa nettamente universalista e un’altra di stampo clericale. Nella logica del cap. II ciò che supremamente conta è appartenere al popolo convocato da Dio, così da prendere congedo da una visione gerarcologica; mentre nel IV cap. si assiste a un soprassalto del 8
dispositivo tradizionale, così che nella logica del dualismo di ordine spirituale e ordine naturale, nel caso dei laici è predicata l’indole secolare. Con il van-­‐
taggio di riscattare il valore positivo della testimonianza nel mondo (seppure discutibilmente affidata in esclusiva ai laici); con lo svantaggio di rieditare un modello di Chiesa in cui i laici appaiono di nuovo la base della piramide. Quanto ad AA, la critica è concorde nel ritenere che il decreto nasca tutto sommato già abbastanza datato, proprio in quanto registrato su un assetto storico-­‐pastorale ormai in rapido declino. Del resto, proprio la vicenda del decreto – genesi, redazione, votazione finale, recezione – non ha suscitato quella ricaduta di interessi, passioni, discussioni che pure era logico mettere in preventivo. Soprattutto, pur essendo approvato un anno dopo, il decreto non beneficiò della rinnovata prospettiva ecclesiologica inaugurata dalla LG. AA può essere considerato un omaggio riconoscente alla gloriosa vicenda dell’Azione Cattolica “antica maniera”, tanto più anacronistico in quanto vi ri-­‐
corrono troppi “luoghi comuni” debitori di una scolastica ormai solo ripetuta, più che frutto di una rielaborazione all’altezza delle sfide presenti. Dal testo del decreto traspare un’impostazione definitoria e di stampo de-­‐
duttivo, quasi che una volta fatta chiarezza sui principi fondamentali, cioè in ordine alla natura, all’indole e alle configurazioni dell’apostolato dei laici, possano poi discendere in forma deduttiva direttive concrete, adempimenti pratici che consentirebbero di pervenire quasi more geometrico a una mag-­‐
giore efficacia sul fronte pastorale. La realtà dei laici in età conciliare risulta-­‐
va invece in frenetico movimento, plurale nelle sue forme, attraversata da sfide inedite, ragione per cui sarebbe stato necessario muoversi nella linea di una perlustrazione del vissuto concreto, dei problemi inediti e delle sfide che i credenti si trovavano ad affrontare. In altre parole, l’approccio alla questio-­‐
ne avrebbe dovuto essere critico e valutativo, attento a distinguere pieghe, particolari, sfumature, e non ricalcare un impianto univoco e stereotipato. Capitò così che in assenza di una ricognizione fenomenologica e di una suc-­‐
cessiva ripresa tipologica delle forme dell’agire cristiano, AA finì per adottare un registro esortativo, che per la genericità dei richiami risultò scarsamente incidente sulle dinamiche della successiva stagione dell’associazionismo lai-­‐
cale e della partecipazione dei laici alla vita della Chiesa. Ma il discorso conci-­‐
9
liare sui laici non può certo concludersi con il decreto sull’apostolato dei laici. Il corpus conciliare ha da essere indagato nella sua ricchezza e varietà di luoghi e sollecitazioni, non limitandosi a passare in rassegna i testi che nel glossario rimandano alle voci «laico» e «laicato», bensì recuperando quella straordinaria collana di perle preziose che il Vaticano II ha collezionato in or-­‐
dine a una rinnovata comprensione della vita cristiana. Basti pensare all'invi-­‐
to di SC a recuperare nel rito sacramentale l’actuosa participatio di tutti i fe-­‐
deli; o, ancora, richiamarsi alla nozione di sensus fidei (LG 12), come capacità propria di tutti i cristiani di comprendere grazie al dono dello Spirito quanto Gesù Cristo ha compiuto e detto, così da aprirsi alla verità tutta intera; per non parlare del «largo accesso» alle Scritture, raccomandato indistintamente a tutti i fedeli dall’ultimo capitolo di DV, oppure alla sollecitazione di GS a sempre più “umanizzare” la famiglia degli uomini e la sua storia, rivolta alla Chiesa tutta e a ciascuno dei suoi membri per la parte che loro spetta (GS 40). c) Dovendo infine interrogarsi sui frutti del Concilio, viene in soccorso l’osservazione di quanti sostengono che in un momento di euforia, successivo all’assise, si è potuto credere che il Vaticano II avesse provocato un cambia-­‐
mento irreversibile, e che ormai si trattava solamente di cavalcare l’onda po-­‐
tente messa in moto dai testi conciliari17. In realtà, la recezione del Concilio non poté obbedire alla logica di un automatismo, quasi che su un vestito con-­‐
sumato si possano fare rattoppi con pezzi di stoffa nuova; il Concilio ha sì provocato un cambiamento irreversibile, tuttavia la presa d’atto della neces-­‐
sità di dover abbandonare forme ormai desuete di pensare e di agire non cor-­‐
risponde all’immediato ritrovamento di un paradigma nuovo. Certo, sarebbe ingeneroso non riconoscere il benefico influsso dell’onda conciliare sul vissuto ecclesiale. Un primo fattore di indubbio valore è la con-­‐
sapevolezza del compito di tutti i credenti di dover contribuire all'edificazio-­‐
ne della Chiesa. La fioritura quasi per contagio dei consigli pastorali è indice indiscutibilmente di un desiderio dei laici e dei pastori di dare forma a un concorso di sostegno vicendevole, di mutua collaborazione in vista di una comune assunzione di responsabilità nei compiti di annunciare il vangelo, di 17 Cf. G. ROUTHIER, Il Concilio Vaticano II. Recezione ed ermeneutica, Vita e Pensiero, Milano 2007. 10
ripensare cammini di fede capaci di restituire attualità e incisività alla testi-­‐
monianza credente, nonché di promuovere iniziative tese a illustrare la forza liberante della speranza cristiana. Non si può sottovalutare poi la nascita di vocazioni laicali dedicate al ministero della catechesi e della liturgia, nonché la vitalità dei gruppi di spiritualità familiare, le molte attività nei campi della missione, del volontariato e della carità. Occorre mettere in luce lo straordi-­‐
nario impulso che ha portato i fedeli laici all’incontro e alla familiarità con il testo della Scrittura, il sorgere di gruppi biblici, la pratica della lectio divina, nonché la straordinaria domanda e offerta di corsi di teologia, di scuole di formazione cristiana. Un ultimo capitolo – certamente minoritario, eppure di grande rilevanza simbolica – è stato l’accesso dei laici nei luoghi di formazio-­‐
ne teologica, vale a dire gli Istituti scienze religiose e le Facoltà teologiche. Dopo una breve stagione di ubriacatura politica, nel post-­‐concilio si è prodotta una caduta di interesse per l’impegno sociale e politico dei cattolici, quasi che al recupero della dimensione ecclesiale della vita laicale non abbia corrisposto un deciso rilancio della dimensione testimoniale sul fronte della vita civile. C’è oggi spazio e urgenza per riattivare il “genio” del cattolicesimo italiano che nel passato ha conosciuto figure di uomini e donne che hanno sa-­‐
puto farsi carico sì di una leale collaborazione coi pastori nell’ambito del vi-­‐
vere ecclesiale, senza rinunciare a un ruolo di protagonisti nelle vicende sto-­‐
rico-­‐civili, testimoniando nei diversi luoghi della famiglia, della professione, della cultura e della vita sociale e politica che la speranza cristiana è in grado di propiziare un fecondo contatto con gli spazi della vita umana. 7.
Postilla conclusiva. Il compito che attende la teologia Quanto alla teologia v’è merito di ribadire che il suo esercizio di sapere critico non può affatto concludersi con la ricostruzione analitica e l’ascolto fedele dei pronunciamenti conciliari, ma deve puntare in chiave critica a co-­‐
glierne la portata e la logica intrinseca, senza sottrarsi alla fatica di avallare le acquisizioni obiettive, di indagare eventuali inconseguenze e, soprattutto, di esplorare nuovi sviluppi e auspicabili incrementi in piena coerenza con la le-­‐
zione impartita dall’assise conciliare. 11
Il discorso non può essere liquidato in poche battute. Basti suggerire che nel quadro della svolta ecclesiologica di LG, una corretta ermeneutica dell’apporto conciliare suggerisce di mettere fine alla ricerca di una defini-­‐
zione dottrinale e normativa di “laico”, invitando a ricentrare l'attenzione sul-­‐
la figura del christifideles. In questa direzione la collocazione della questione laicale dovrebbe essere recuperata non più all’interno della trattazione siste-­‐
matica, bensì nel quadro della riflessione teologico-­‐pratica, cioè a partire dalle condizioni obiettive dell’esistenza cristiana ed ecclesiale e dalla qualità dell’agire credente (ecclesiologia pratica, spiritualità e riflessione morale). È proprio sul piano delle condizioni fattive dell’appartenenza ecclesiale, del vi-­‐
vere secondo lo Spirito e della qualità buona dell’agire cristiano che il discor-­‐
so sui laici esige una rinnovata considerazione e un nuovo innesto produtti-­‐
vo. I fronti su cui pare di dover rilanciare il discorso sono allora rispettiva-­‐
mente: a) la tematizzazione della figura del christifidelis; b) la chance di un fattivo inserimento di fedeli laici nel quadro di una collaborazione al ministe-­‐
ro della Chiesa; c) il rilancio dell’agire credente, chiamato alla testimonianza evangelica nelle condizioni quotidiane dell’esistenza; d) la riscoperta del le-­‐
game simbolico fra esistenza ecclesiastica ed esperienza civile. Un’ulteriore possibilità è quella di intraprendere esplorativamente un iti-­‐
nerario teologico-­‐fondamentale, che punti a mettere in luce l’impensato che resta sottotraccia alla trattazione tradizionale del capitolo dei laici. Dopo aver esaminato le potenzialità offerte (e, in un senso, esaurite) dalle cifre dell'apo-­‐
stolato e dell’impegno (engagement), non v’è forse merito di accordare mag-­‐
giore credito categoria della testimonianza nel quadro di una teoria della co-­‐
scienza credente? Nel suo dinamismo tale categoria dischiude in modo pro-­‐
mettente il profilo dell’annuncio dell’evangelo come attestazione ad altri (ap-­‐
punto, testimonianza) dell’evento Gesù Cristo (il testimoniato), scoprendosi autorizzata e legittimata come atto della libertà che si affida all'incondiziona-­‐
to rivelarsi di Dio. In tale ottica, si tratterebbe di ripensare il nesso fra appar-­‐
tenenza e ministero, fra esistenza del singolo e legame comunitario, per mo-­‐
strare la circolarità di istanza soggettiva e mediazione oggettiva che istituisce la coscienza e l’agire di ciascun credente. MARCO VERGOTTINI 12