Concorso Appunti di viaggio as 2009

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Concorso Appunti di viaggio as 2009
Valentina N. IV F
Avere i genitori separati,per quanto mi riguarda, è sinonimo di
viaggiare per il resto della vita.
Milano, Firenze, Barcellona e Libano...ebbene, queste sono le
tappe che per ben undici anni sono stata costretta a seguire, ma
dell’ultima, quella del Libano, ho un ricordo particolare, che
tengo stretto dentro di me, anche se, inconsciamente, vorrei
poterlo rimuovere.
Nell’agosto del 2006, la popolazione media era terribilmente
euforica a causa dei mondiali di calcio, ed io, come sempre, mi
trovavo in aeroporto con una valigia da 40 chili, più alta e più
lunga di me, pronta ad imbarcarmi, tra baci e lacrime di parenti,
sull’aereo della compagnia libanese MEA...direzione Beirut.
Beirut, che fantastica città! Piena di vita e di gioia, caotica e
formidabilmente perfetta che sorge tra il mare a ovest e le
montagne innevate a est, ricoperta da enormi cedri, che sembrano
avvolgerti e proteggerti dal freddo dell’inverno e dal caldo
dell’estate...questa è Beirut! Il mio paese, il mio sangue, la
sua musica che esplode nelle mie vene, i suoi colori, i suoi
profumi speziati, non c’è niente di più bello al mondo che
sentire la tua città pulsarti dentro...già, niente di più bello.
Ricordo che arrivai in mattinata, l’aria aveva già tutt’altro
sapore, tutt’altro odore...ero arrivata!
In macchina tenevo il finestrino abbassato, affinchè il vento
caldo potesse accarezzarmi il viso, inebriandomi del suo dolce
odore.
Ci fu una grande cena quel giorno, tutti insieme, intorno a un
tavolo
imbandito
di
cibo
colorato,
aspettando
l’inizio
dell’ultima partita di calcio, durante la quale l’Italia, poi,
ci avrebbe fatto sognare,facendoci diventare campioni del
mondo.
La serata proseguiva perfettamente, tanto da non farmi sentire la
mancanza di mia madre.
Il centro di Beirut era un’unica bandiera celeste, dalle macchine
libanesi usciva musica italiana...mi è impossibile descrivere la
passione e l’entusiasmo per la vittoria di una nazione che aveva
ben poco a che fare con loro.
Restammo fuori a festeggiare tutta la notte...e, quella notte, fu
l’ultima.
“Valentina!!Chiudi le finestre,abbassa le serrande, prendi tuo
fratello e chiudetevi in camera...”, la voce di mio padre
continuava a urlare silenziosamente nella mia mente, mentre
abbracciavo mio fratello, tranquillizzandolo, cercando, nello
stesso tempo, di tranquillizzare anche me stessa...Una scossa
improvvisa fece tremare il palazzo, e poi le nostre urla...Gli
Israeliani ci stavano bombardando.
Rimanemmo in quella casa per due giorni, nascosti, aspettando che
cambiassero area d’attacco, in maniera tale da poter scappare.
In quei giorni ebbi paura, ma non una paura come quella per
un’”interrogazione”, o alla vista di un animale, penso che molte
persone
non
conoscano
il
vero
significato
della
parola
“paura”...la paura è una sensazione orribile, che ti gela dentro,
ti impedisce di pensare e di agire, ti blocca la mente e il
corpo...questa è la PAURA.
Non voglio trasformare questo tema scolastico in un “articolo
politico”, quindi mi astengo dal fare accuse o dal colpevolizzare
uno dei due popoli...dico semplicemente che se prima amavo vivere
ogni minimo secondo delle vacanze nella mia Beirut, adesso ne
sono terrorizzata.
Passarono
i
giorni
e
tramite
l’ambasciata
italiana,
ci
confermarono un appuntamento nel centro della città, per scappare
e tornare in Italia.
Quando uscii di casa, fu come se la luce mi perforasse gli
occhi...vidi l’uomo che tutti i giorni portava il pane,
morto,come il giornalaio, il portiere,
bambini, genitori,
animali...io ero viva...
Conobbi la morte all’età di dodici anni, e quelle immagini non
lasceranno mai la mia mente, tutto quel fumo e tutto quel sangue,
l’odore di un qualcosa di acido...non c’era più la gioia, la
felicità, le spezie che inebriavano gentilmente il mio olfatto, i
cedri, il mare e le montagne erano coperti da un fumo nero...la
mia Beirut, per l’ennesima volta, era diventata un ammasso di
polvere, come già era successo il 14 marzo del 1978.
Il mio ritorno in patria fu molto difficile...non so quanto tempo
passi senza bere, mangiare e dormire.Feci un viaggio lunghissimo,
dal libano alla Siria, con un pullman, che aveva come capienza
insufficiente affinchè tutti si potessero sedere.
Arrivati in Siria,aspettammo un intero giorno per poterci
imbarcare su un aereo militare, ma tutto ciò fu molto complicato,
in quanto portarono da bere dell’acqua non potabile e stemmo
tutti molto male...da quel momento, tutto quello che mi rimane,
sono
delle
immagini
confuse
e
sconnesse:...uno
sparo...sangue...urla...pistole...e poi, il buio.
Mi svegliai su di un lettino in un aeroporto ben famigliare...una
mano mi accarezzava la fronte...era mia madre!Ero tornata a
casa!In Italia!.
Mi dispiace non poter ricordare tante cose, ma penso di doverne
essere grata al mio inconscio, il quale ha preferito rimuoverle.
Non so quale insegnamento possa avermi dato questa esperienza, ma
una cosa è sicura: ho conosciuto il male, la morte, la paura, la
tristezza...ma ho anche appreso il significato di rinascita, di
forza di volontà, amore e coraggio.
L’estate del 2009, l’ho passata a Beirut...la nuova Beirut,
colorata e piena di se...devo ancora farci l’abitudine, però, non
ci annoierà mai questa splendida terra...è sempre pronta a
rialzarsi a testa alta e a curarsi le ferite.
Beirut è così...a ovest ci sono le montagne e a est il mare,
magari i cedri torneranno
grandi, pronti a proteggerci da
nuovo...Beirut è così...muore, ma rinasce sempre, per il suo
popolo, per la sua gente, per se stessa.
Giulia Di S.
7° posto I edizione del concorso letterario “Appunti di viaggio”.
La fredda brezza
La fredda brezza accarezzò le guancie rosse ormai intorpidite dal
gelido clima. Le mani ed il viso erano un tutt’uno con quel freddo
vento che scompigliava i miei lunghi capelli. Freddo, come il
plumbeo cielo che si imponeva sul paesaggio invernale che mi
circondava. Freddo, come il bianco candore che dominava le pianure
e gli abeti della cittadina di Kitee. Freddo, come lo erano di
certo le onde di quel cristallino mare dinanzi a me, che si
scontravano fra loro giocando, per poi lambire a malapena la riva
e di nuovo rifugiarsi nel loro ambiguo gioco.
Neve e mare, un abbinamento fin troppo strano ai miei occhi
italiani.
Probabilmente era questa l’atmosfera di cui aveva parlato mio zio,
un’atmosfera che solo la penisola scandinava era in grado di
trasmettere.
A passi lenti camminai lungo le piccole vie di Kitee, ogni tanto
lanciando qualche sguardo ai camini da cui fuoriusciva una densa
nube di fumo. Strinsi ancor di più le mani nelle tasche tiepide.
Cosa avrei dato per una cioccolata bollente. Eppure era
incredibile come, nonostante il freddo, questo risultasse un
viaggio piacevole. Procedevo a piccoli passi da ormai un’ora, alla
ricerca di quella locanda prenotata poco più di una settimana fa.
Ma non ero stanca. Le mie membra parevano rigenerarsi ad ogni
singolo passo, e la stanchezza scivolava via lenta.
Voltai un angolo ed improvvisamente mi ritrovai faccia a faccia
con un’immensa distesa innevata. Fu come essere di fronte ad un
bagliore di luce, talmente accecante era il candore. Avevo
decisamente sbagliato strada, poiché la locanda si trovava nei
pressi del centro abitato.
Mi concedetti qualche scatto fotografico di viaggio, poi rimasi
li. Non saprei spiegare il motivo ma qualcosa in me era
inevitabilmente attratto da quel luogo ignoto. Forse era la
cosiddetta indole umana che con prepotenza si stava facendo largo
nel mio buon senso.
Affondai gli scarponi nella neve e a passo spedito mi lanciai in
quel candore. Prima che me ne potessi rendere conto la mia era
divenuta una vera e propria corsa.
Corsi senza una ragione precisa, catturata dall’ entusiasmo.
Corsi, corsi sempre più forte. Fino a sentire il tumulto del mare
sempre più vicino. Raggiunsi la riva innevata mentre tentavo di
riprendere fiato.
Neve e mare. Osservai per l’ennesima volta quei due elementi, che
seppur così differenti, erano in grado di creare una perfetta
armonia. Tale danza era un invincibile richiamo per la mia mente
fin troppo astratta e mai concreta.
Ad un tratto il mio flusso di pensieri fu interrotto da dei passi
terribilmente vicini. Mi voltai di scatto e sobbalzai alla vista
di un signore anziano a solo pochi metri da me. Fino a poco prima
non avevo minimamente avvertito la sua presenza. Mostrava un corpo
mingherlino e una folta barba grigia gli incorniciava il viso
magro. Quel viso di chi sembrava sostenere a fatica sulle spalle
il peso di tutta una vita. Occhi pallidi scrutavano l’orizzonte
con un amarezza talmente evidente che se mi avesse guardata dritta
negli occhi vi ci sarei affondata. Affondare… Mare. Ecco cosa mi
ricordava. Un marinaio ormai perduto alla deriva. Un viaggiatore
consumato. Un uomo che vede solo desolazione intorno a sé, senza
alcun porto sicuro a cui possa aggrapparsi. Un uomo confinato in
una terra a lui troppo stretta, e gli si leggeva nel volto
asciutto un’infinita nostalgia per quella limpida e spumosa fonte
di vita.
Si voltò accorgendosi dei miei occhi sfacciatamente puntati su di
lui. Abbassai lo sguardo tentando di apparire disinvolta. Ma fu
troppo tardi, i suoi occhi erano poggiati sui miei donandomi un’
angoscia mai provata in vita mia. Era lo sguardo di chi non può
fare altro che attendere. Attendere che i giorni trascorrano
lentamente, attimo dopo attimo. Uno sguardo arreso all’egoismo del
tempo.
Sussultai quando mi rivolse la parola. Dal tono sembrò apparire
una domanda, ma non ne ero certa. Il finlandese non faceva per me,
troppo complesso per i miei canoni. Tentai di biascicare qualcosa
in inglese, ma ne uscì solo un suono indefinibile. E lui
inaspettatamente sorrise. Mi mancò un battito.
Ripeté la domanda più lentamente, scandendo le parole. E
finalmente ne colsi almeno una: “Suomi”. “Finlandia” detto in
lingua madre. Suomi. Aveva un suono così dolce. Suomi… Ricordava
il candore della neve e il fluire delle inarrestabili onde del
mare.
“Suomi…” sussurrai con un filo di voce. Alzai lo sguardo ed
incontrai nuovamente quegli occhi colmi di nostalgia. Forse aveva
compreso che non ero del luogo. Forse avevo compreso che ero solo
una delle tante anime viaggiatrici di passaggio. Nessun forse,
sicuramente.
“So che verrò divorata senza ritegno, pezzo dopo pezzo, come te”
mi dissi in un flebile tono di voce. Sorrise, ancora.
Rovistò nella tasca del suo giubbotto ed estrasse una piccolo
flauto di pan. Accarezzò il liscio legno dello strumento e lo posò
delicatamente sulle labbra. Una malinconica melodia andò ad unirsi
al danzare delle onde. L’impeto del mare abbracciava quella musica
cullandola dolcemente e tutto ciò mi apparve come un disperato
pianto silenzioso.
Ad un tratto sentii qualcosa di freddo sulla mia guancia. Attonita
passai la mano su quel punto e fra le dita trovai minuscoli
frammenti cristallini. Alzai lo sguardo col fiato sospeso.
Nevicava.
Scrissi un ultimo appunto sul diario mentre l’aereo sfrecciava in
direzione dell’Italia. Chiusi il quaderno riponendolo nello zaino
e mi lasciai scappare uno sbadiglio. Era stata una settimana molto
piacevole ed ero rimasta colpita dalla città di Tempere e dalla
capitale Helsinki. Due luoghi interessanti e assai pittoreschi. E
probabilmente era stato merito anche del fascino finnico a rendere
il viaggio unico. Per non dimenticare lo stravagante incontro a
Kitee. Per un attimo mi era parso di essermi smarrita in uno dei
miei innumerevoli sogni, l’atmosfera che mi circondava non era
reale. Quell’uomo non era reale. Uno spirito ancorato a quel
luogo, a quel mare, e non in grado di spezzare la sua pesante
catena. O forse era stata l’anima stessa a rendersi prigioniera,
temendo di perdere la freddezza dell’inverno e il profumo della
salsedine.
Sul mio viso si aprì un lieve sorriso. Fantasticare era il pane
quotidiano che mai mi avrebbe
nauseato. Appoggiai la testa sul
sedile chiudendo le palpebre. Nonostante la stanchezza mi era
alquanto difficile prendere sonno. Respirai piano e riaprii gli
occhi concedendo un ultimo sguardo ai tipici fiordi finlandesi,
così che i ricordi e la nostalgia potessero rimanere impressi
senza alcuna imperfezione.
Alessio M.
Liceo Classico “Orazio” – Roma
Sezione H – Classe 2° Liceo, Indirizzo Classico PNI
a.s. 2009/2010
“Un Avventura Aussie”
Ci sono occasioni in cui una giornata in apparenza normale si
trasformerà in qualche cosa di inatteso, le stesse occasioni in
cui il soffitto di un aeroporto, i controlli doganali e del
passaporto ed anche le lunghe code per fare il check-in possono
sembrare idilliache e poetiche. In quella giornata, per qualche
motivo, sta cambiando la tua vita, una vita che quando ritornerai
in quello stesso posto, dopo del tempo, sarà senza ombra di dubbio
molto diversa.
Aeroporto “Leonardo Da Vinci” di Roma, 27 Maggio 2009, ore 18.00,
dopo una normalissima giornata scolastica eccomi qui, su un Boeing
747 della linea Air China diretto a Sydney con doppio scalo a
Pechino e Shangai. Sembra incredibile, un viaggio sognato per anni
che sta pian piano divenendo realtà. Mentre sono seduto sul posto
45F rifletto sul coraggio dei miei genitori, sulla fiducia che
ripongono in me, due peculiarità che sin dall’inizio e fino alla
fine saranno il “motore immobile” di questo mio viaggio.
Aeroporto “Kingsford Smith” di Sydney, 28 Maggio 2009, ore 7.05,
una volta atterrato, dopo i controlli doganali, con la mia valigia
bianca, esco dalle porte automatiche della zona internazionale,
percorro con una stentata sicurezza il lungo percorso debolmente
illuminato, nel silenzio più assoluto rotto solo dal rumore
prodotto dalle ruote che cozzano contro la superficie ruvida del
pavimento, mi muovo verso una fonte di luce esterna. Scendo i tre
gradini che concludono il corridoio, in un piccolo androne si
sente la voce di un qualche giornalista inglese alla TV,
l’aeroporto è quasi deserto; spingo con forza la porta che da
sull’esterno ed eccomi, finalmente, in una delle città più belle
del mondo, a migliaia di chilometri da casa. La prima cosa da fare
è sicuramente respirare ed inspirare un aria nuova, di un altro
emisfero. Il cambio, bruschissimo, di Fuso Orario si fa sentire
quasi subito, bussa insieme a lui una stomaco stanco di un viaggio
lungo e digiuno. Arriva John, Opel Astra Grigia con un marchio
Australiano sul cofano, esce e mi abbraccia. Sono passati 8 anni
dal suo ultimo viaggio in Italia, ma mi riconosce comunque, la
felicità di rivedere un parente così lontano spazialmente ma così
vicino affettuosamente è indescrivibile, saliamo in macchina ed
anche questa mi concede una sensazione piacevolissima: dopo 24 ore
di volo il sedile sembra un divano di alta categoria, la prima
domanda che mio cugino mi pone sembra quasi parte di un copione
“are you hungry?”, la risposta quasi di getto esce in romano
“avoja” e si trasforma presto in una risata divertita. E’
incredibile riconoscere come lingue diverse possano essere tanto
uguali, in un batter d’occhio ci siamo capiti, e via dritti ad un
Fast Food; il McDonald’s è un luogo di culto da queste parti, e
senza scendere dalla vettura ordiniamo due Cheese Burger con
patatine e Coca Cola… Quasi mi sento a casa!
Arriva il momento di rientrare, una festa con tanti amici e
parenti mi aspetta a casa di Zia Rosa, sorella della mia nonna
paterna, e certo non mi farò attendere. Così si imbocca
un’autostrada a quattro corsie e fra i paesaggi mozzafiato di
questo angolo di mondo a tutta velocità si va nella zona
residenziale costruita durante le olimpiadi del 2000. Passiamo
sull’Harbour Bridge e quindi nel centro della città, tecnologia e
modernità fanno a gara fra i grattacieli; più di tutti si erge la
Sydney Tower dorata, che sembra veramente toccare con la sua
antenna il cielo. Attraversiamo anche un ponte sormontato da due
bandiere all’apparenza simili ma che nascondo una piccola
differenza, la bandiera blu con le stelle rosse è quella della
Nuova Zelanda, mentre quella con le stelle bianche è Australiana;
siamo sul Ponte ANZAC, dedicato all’unione di una forza militare
dei due stati le cui bandiere sono accompagnate dalle statue dei
rispettivi tipici soldati in alta uniforme. L’australiano è più
dritto e sicuro di sé, il neozelandese molto più “amichevole”,
entrambi ispirano grande fiducia e sicurezza ad un popolo che
nella sua giovinezza è molto fiero ed attaccato alla propria
bandiera ed alle proprie origini. “God save the Queen” sarà la
frase che più spesso sentirò dire alla televisione.
L’accoglienza da parte di questa terra è delle migliori, e dopo
una lunga serata in compagnia il peso del fuso orario diventa
opprimente ed insostenibile, così in un comodissimo letto
matrimoniale mi adagio per concludere la prima mezza giornata da
vero Aussie DOC.
La permanenza a Sydney dura poco, la mattina presto infatti sono
già su un nuovo volo, questa volta della compagnia di stato
Australiana “Qantas” diretto ad Adelaide la “città delle chiese”.
La capitale del South Australia mi ricorda tanto le antiche città
dell’impero romano, dove cardo e decumano formavano il cuore
pulsante della vita; anche Adelaide è una città “disegnata a
tavolino” mi spiegano con ancora qualche fatica le mie guide che
stanno coraggiosamente affrontando le mie carenze nel campo della
lingua
inglese.
Mi
raccontano
l’emozionante
storia
di
un
conquistatore Inglese che giunto in terre lontane doveva fondare
una nuova colonia e senza pensarci un attimo decideva di dare a
questa perfetta municipalità il nome della sua regina. “God save
the Queen” recita anche qui la targa sotto la statua del
colonizzatore. Tuttavia la regina più amata in questa terra non è
Adelaide, ma la donna che più amore ha riversato nello sviluppo di
questo paese, Queen Victoria la cui statua campeggia nella piazza
principale della città, sotto quattro bandiere azzurre con le
stelle bianche e l’Union Jack nell’angolino in alto a sinistra,
accanto all’asta della bandiera. Fotografare la regina con un
turista è un opera non da poco per questi cittadini, ed è anche un
onore; così, in breve tempo, dopo essermi rigirato per qualche
istante alla ricerca di un “fotografo” che mi possa immortalare,
mi ritrovo circondato da volenterosi pronti a scattarmi una foto
alla Regina con la sua statua.
Dopo aver visitato un’emozionante Museo storico di questo stato a
Sud del Paese, vengo felicemente accolto in Parlamento e, dopo una
bellissima introduzione fatta dallo staff del palazzo, mi ritrovo
con due turisti tedeschi a girovagare per delle bellissima sale,
dove fra foto di Re e Regine campeggia quella della Lady Diana
durante la sua visita in terre d’Australia; l’amore democratico
che ha questa terra per i suoi regnanti mi sbigottisce, sempre più
mi convinco di quanto sia grande la Monarchia inglese, una corona
che nel suo dominio non ha mai dimenticato l’amore verso il popolo
tipico delle Democrazie.
Tornando a casa devo notare quante bandiere e quante statue
testimonino via dopo via e piazza dopo piazza l’attaccamento degli
Australiani alla loro, seppur breve, storia che mai però supera
l’attaccamento alla nazione di origine di migliaia di emigrati e
dello stato stesso che, in tutti i sensi, può essere definito uno
“stato emigrato”. Davanti al Consolato Italiano mi colpisce una
bellissima torretta, entrandoci trovo centinaia di nomi italiani,
un uomo di mezza età entra dietro di me, sorride come sapesse già
quello a cui sto pensando, ed in un italiano “maccheronico” mi
spiega fiero di sé cosa sia questo monumento, una bellissima
testimonianza e memoria delle numerose vite nate nel nostro bel
paese è vissute fino alla fine in terre Australi.
Il mio viaggio non può fermarsi, ed è la volta di Brisbane,
capitale del Queensland, nel Nord del Paese. Mi ritrovo a passare
dal freddo inverno del South Australia ad una torrida ma
“casalinga” estate, e sempre meno sento la nostalgia di casa. Non
può mancare la visita a “Green Island” nella piena barriera
corallina, in un mare cristallino vivono pesci e coralli come da
nessun altra parte è possibile, un emozione senza precedenti, una
vera e propria “passeggiata” con le specie più speciali e oserei
dire “socievoli” dell’Oceano.
E’ un emozione fantastica quella che riempie il mio cuore mentre
navigo nel mezzo dell’oceano alla nuova volta della terra ferma.
Cairns mi accoglie a braccia aperte, una leggera brezza rinfresca
finalmente l’aria e la mia pelle bruciata dal sole oceanico; passo
una lunga e riposante notte nella campagna dove anni prima si
coltivava il Tabacco, la cui coltivazione ormai è stata resa
illegale da una campagna di apertura al commercio con i paesi del
sud est asiatico, e poi mi trasferisco per due giorni nella vera e
propria città di Brisbane: un gioiello nel pieno del mondo, un
diamante incastonato in un anello d’oro. Non esistono le parole
giuste per descrivere la visione che si può avere della città in
notturna vista dalla grande ruota panoramica, esiste solo un
emozione per comprendere il piacere di stare lassù, ma è un
emozione che si può solo provare in loco, e sarebbe inutile
provarla a descrivere.
Sono passati 40 giorni, e il mio inglese ha finalmente preso
forma, la prova di quanto sia riuscito ad imparare ho il piacere
di darla in diretta radio, in un programma dove mi vengono poste
tante domande sul mio amato paese. E nulla può essere più
rigenerante per un italiano se non poter parlare del proprio paese
e soprattutto del “proprio” calcio anche dall’altre parte del
mondo: lo sport che dopo i mondiali in Germania è riuscito ad
unire l’Italia, oggi unisce veramente tutto il mondo. Dopo due
settimane alla costante visita di tutti i vicoli e le stradine di
Sydney, dopo aver visitato il parco olimpico e le centinaia di
musei della città, finalmente è arrivato il momento della parte
che più attendevo: il tour del New South Wales.
Si comincia con il Parco Naturale di Orange, dove con le
Biciclette fra le gambe gironzoliamo insieme ad alcuni cugini ed
amici fra Canguri saltellanti e Koala immobili sui tronchi degli
alberi. L’emozione di vedere esseri così diversi da quelli che di
solito mi circondano mi riempie, stranamente, di tristezza. Per la
prima volta mi sento invaso da un sentimento di nostalgia al
pensiero di dover lasciare prima o poi questa terra. Un canguro
sembra capire questo mio momento non proprio idilliaco e si
avvicina a me, mi spunta da dietro e poggia la sua testa accanto
alla mia gamba. Dopo un breve sguardo di intesa ricomincia a
saltellare verso i suoi “amici” non prima però di avermi ridato la
gioia di un sorriso.
Dopo
la
visita
di
“Mount
Panorama”,
circuito
di
corse
automobilistiche celeberrimo in Australia, vengo presentato a
Jason Belmonte, campione del mondo di Bowling che, dopo avermi
dato qualche rapida lezione di lancio e dopo avermi mostrato degli
straordinari strike, ha avuto la gioia di vedere (a suo dire per
la prima volta) un tiro “all’indietro”: ho rischiato di uccidere
il Campione del Mondo con la stessa “arma” che lo ha portato a
tante
vittorie
collezionando
così
un'altra
indimenticabile
esperienza da aggiungere ai ricordi del mio viaggio.
La gioia di vivere una realtà così diversa da quella di tutti i
giorni mi ha accompagnato anche nella visita della Capitale
Australiana, Canberra, costruita intorno al vecchio ed al nuovo
parlamento (una casa del popolo eternamente aperta ai visitatori
stranieri e aussie, e costruita sottoterra perché “i politici
devono costantemente ricordarsi di essere subordinati al popolo”)
e vissuta dalla diplomazia Mondiale. Non posso negare che è stato
difficile trovare il piccolo edificio bianco dell’ambasciata
italiana, molto lontana dalle omologhe di altre nazioni ma
“dirimpettaia” della casa del primo ministro locale. Per qualche
ora sono quindi stato in territorio Italiano, e non avrei potuto
desiderare nulla di meglio per sentirmi a casa se non una bella
chiacchierata con un fiorentino dall’italiano forbito.
Il tempo passa inesorabile ed anche per me, dopo esattamente 91
giorni sul suolo del paese più bello dell’emisfero sud del mondo,
è arrivato il momento di rimpatriare. Devo ammettere che il
brivido più intenso l’ho provato proprio quando ho varcato la
linea rossa che nell’aeroporto di Sydney indica la zona
“internazionale” esclusa a chiunque non debba viaggiare.
Lasciare i miei cugini ed amici lì immobili, nonostante la
consapevolezza di tornare a casa fra amici di gioventù e
familiari, non è stato facile sopratutto perché stavo lasciando
dei compagni di vita: i compagni di momenti che sicuramente
rimarranno per moltissimo tempo fra i migliori e più intensi della
mia gioventù.
Aeroporto “Kingsford Smith” di Sydney, 27 Agosto 2009, ore 15.30,
l’aereo di Air China diretto a Roma con scalo unico a Pechino è
pronto al nuovo decollo. Mi siedo e trovo accanto una giovane
ragazza bionda proveniente dalla Svezia. Ci scambiamo la nostre
esperienze e sempre più si fa sentire la nostalgia di casa.
Aeroporto “Leonardo Da Vinci” di Roma, 29 Agosto 2009, ore 8.35,
nuovamente sul suolo italiano, con la speranza nel cuore di
tornare presto a vivere un’esperienza così bella.