“Fa u st ”: il grande sonno della sala
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“Fa u st ”: il grande sonno della sala
pagina 12 Domenica 6 novembre 2011 SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out IL FILM-FENOMENO Volgare e terribile, è la rivolta dei giovanissimi SOLITI IDIOTI, SENZA FRENI di Malcom Pagani N er ’67 stavo co’ Briggibardò in Costa Azzura, magnàvo cinghiale e lei inizia a rompe er cazzo con l’animalismo de ‘mmerda. Allora jo dato un carcio in culo e l’ho buttata in acqua”. Risate. “Ammazza che alito, che hai magnato ar canile?”. Boati. E poi in corrispondenza di “Sorcicove”, “attacchi d’ emorroidi”, “maialini che scorreggiano” “gnomi in culo” “supposte”, spinelli “che rilassano lo sfintere” e “rantoli” sempre, ovviamente, “ar culo”, piccoli sussulti, spostamenti d’aria, applausi a proiezione in corso, la sensazione di averla fatta grossa. VENERDÌ SERA, cinema Adriano, Roma. Una targa ricorda che qui, tra bidoni di Pop Corn e “bella fratè” urlati a distanza di metri, un giorno, suonarono i Beatles. Tra 5 minuti proiettano I soliti idioti e a spiare l’eccitazione di chi è in fila, non c’è paragone. Oggi i padri sono scarafaggi da eliminare. Il passato. L’epoca in cui si chiedeva permesso. Infatti non c’è l’ombra di un genitore, e in sala l’età varia tra i 13 e i 25 anni. Spettacolo extra, montato in fretta alle 23 in sala 3, perché quello previsto per le 22.30, è esaurito fin dal pomeriggio. Tra le poltrone, ragazzi normalissimi. Comitive. Amici e fidanzati. Felici di potersi sfogare riconoscendo contorni del nostro presente: “A 12 anni t’ho regalato una escort russa e tu hai rotto er cazzo che volevi la pista delle biglie” e sacrileghe evocazioni. Citazioni. I mostri di Risi e le corna di Gassman. Gli autogrill di Verdone, le zingarate di Monicelli, i cumenda di Vanzina e i “carissimi inferiori” di Villaggio. E poi noi. Fieri delle nostre furberie, che ci puliamo il naso in macchina e non tiriamo l’ac- qua al cesso. Sicuri che ce la caveremo. Anche stavolta. Biggio e Mandelli, gli attori, naturalmente rielaborano a modo loro. E anche se la regia è affidata a Enrico Lando, un documentarista che lavorò con Paolini, il film è tremendo. Scollato e improbabile. Due storie su tre sfiorano il delirio, ma la terza, quella di un padre e un figlio in viaggio, volgarissima, cinica e scatologica, fa ridere spesso di pancia, per riflessi istintivi e ragioni che speriamo non ci costringano a confessarci. I soliti idioti è il primo film nato da Youtube. L’omonimo programma messo in onda da Mtv aveva ascolti discreti. Ma Proiezioni extra perché i biglietti finiscono subito Il produttore Valsecchi si gode il week-end da 4 milioni di euro Wyatt Knight Si è suicidato a 56 anni il protagonista della saga di “Porky’s” Ian Thorpe Torna in vasca dopo lo stop ma resta fuori dalla finale Lillo e Greg Domani in diretta dal Valle Occupato con 610 live Seyfried Sarà Linda Lovelace nel biopic dedicato all’attrice Un’immagine de “I soliti idioti” (FOTO OLYCOM) Sotto, il volto del Diavolo nel “Faust” di Sokurov (FOTO ANSA) le clip in rete, erano tra le più cliccate d’Italia. Nel decidere di dilatarne i contenuti, senza l’imprimatur televisivo, che pure (e solo dopo 10 anni) aveva permesso a Zalone di vestirsi per uno schermo più grande, il gusto dei figli di Jobs passati direttamente dal Pc al cinema è stato decisivo. IN QUESTO (e con tutti i suoi limiti) I soliti idioti è una rivoluzione. Imposta da minorenni che irridono il dibattito pseudosociologico, gli anatemi intellettuali, la critica e si chiamano a raccolta su Facebook. Abbandonano muretti e discoteche e si ritrovano. I soliti idioti è il loro film. La loro educazione sentimentale, scorretta, più eversiva di un’ora con Checco. Vicina per evasione e commenti all’intervallo: “Ahò, ma è una figata” a quando Monnezza, esorcicci, polizie incazzate e giovannone erano la principale voce di incasso del nostro cinema e a vederli correva anche Manganelli. Se Gloria Guida nuda sotto la doccia è un poster sbiadito e il cazzo viene chiamato alternativamente “pongo” o “wrustel”, ne I soliti idioti non pulsa alcun erotismo. Ci sono un paio di belle (tra cui Miriam Leone, già nelle grazie di Masi) ma nessun culo in mostra. Il trivio è nella battuta. Nell’amplesso mimato: “Devi fa zingo zango, je devi fa sentì la presenza”. Nella gag autostradale in cui i protagonisti rubano un’ambulanza, deridono i disperati in coda e arrivati in prossimità dell’incidente, con i feriti che si lamentano (“Vi aspettiamo da tre ore”) li soccorrono così: “’A stronzo, e me che ne aspetti altre sei, nun sei manco morto, ma vaffanculo va”. Il riesumatore di un genere (romano ma universale) si chiama Pietro Valsecchi. Fa il produttore. È decisionista, rapido, brusco, capace. Un uomo fortunato. Lunedì mattina, quando gli incassi saranno numeri, questo sketch mutuato dell’inglese Little Britain supererà i 4 milioni. L’esperimento si colloca tra il Cinepanettone e la transegenetica. Ma è diverso, spinge su ta- sti non ancora usurati e l’abbondanza di “dai cazzo, cazzo” e vaffanculo (almeno 200 e non è un modo di dire) non lo rende comunque simile agli epigoni, vicini e lontani. Valsecchi lo ha finanziato (senza offrire agli animatori Bigio e Mandelli niente più che un’ opzione sul seguito) ma progetta la saga. Uscendo, una ragazza rimprovera il fidanzato: “Vabbè, pensavo meglio”. La prossima volta: “dai, cazzo, cazzo”, bisognerà esagerare. Capolavori per dormire “Faust”: il grande sonno della sala di Elisa Battistini d'inchiostro magnificano il capolavoro. Cinque palEsaràttolitri line, sette stelline, dieci decimi. E chissà se è una svista: il tempo a stabilire se il “Faust” di Alexandr Sokurov sia davvero un film imprescindibile. Al momento però si può fare una modesta proposta: assieme al tasso di capolavorosità, bisognerebbe mettere in calce alle recensioni dei giornali il tasso di noia. Serenamente, laicamente. Ad Antonioni, ad esempio, non sarebbe andata bene. Neppure a Bergman. E Dreyer (intoccabile, sia chiaro, ma sconsigliato a chi arriva stanco la sera)?! Allora, va detto: di fronte al Leone d’Oro 2011 alcuni in sala dormivano. Tutti sbadigliavano. Con contrappunto soave nel contagio: prima tu, poi io, poi il vicino. Ecco, allora, che il “Faust” di Sokurov, nella nuova legenda – fondamentale per la salute pubblica e del pubblico – guadagnerebbe dieci palle. Una per sbadiglio, se va bene. Intendiamoci: noiosissimi possono risultare anche i Cinepanettoni o l'ultimo Zalone. Per il semplice fatto che, visti i provini – dove le poche battute buone fanno da esca – il film è già finito. Ma che il diavolo vi colga se vi divertite vedere il “Faust”. Del resto, come si racconta in “Amadeus”, l’Imperatore Giuseppe II decideva la tenuta di un'opera sulla base degli sbadigli – al terzo pare che l'opera avesse di fronte a sè una manciata di repliche – e decise che “Le nozze di Figaro” erano tediose. Che dire? Erano anche un capolavoro. L’Imperatore aveva però forse intuito che il mercato, un giorno, avrebbe avuto la sua parte? Gli incassi del film di Sokurov (che chiude la sua magnifica tetralogia del potere con un film complessivamente meno bello degli altri tre) arrivano a poco più di 70mila euro in 9 giorni. Il film assoluto, il cinema-mondo tratto (liberamente) dall'opera di Goethe non attira. Mentre, per esempio, un film – difficile, bello ma fruibile – come “A dangerous method” di Cronenberg ha incassato oltre 2 milioni di euro in 5 settimane. O dobbiamo scomodare Kubrick, per dire che si possono fare capolavori senza indurre alla narcolessia? gli ettolitri d'inchiostro per dirci quanto sia inNmensaonostante credibile questo “Faust”, nonostante la fotografia imdel film, nonostante il regista metta in scena quadri degni di Dürer, Bosch, Bruegel, nonostante alcune scene siano risolte con maestria rara (quella del doppio dialogo tra Faust e Greta, e di sua madre con il Diavolo), nonostante geniali inserti horror, nonostante il film sia deciso nella scelta di fondo di trasudare morte e putrescenza da ogni poro, nonostante tutto, il grande sonno avanza. Al “Faust” il “Giornale” ha affibbiato come voto un bel 2 proprio per eccesso di sbadiglio. Ecco, 2 non tiene conto dei pregi artistici. Ma rende l’atmosfera. “Faust” non è un brutto film: tesi insostenibile. Ma molte idee registiche interessanti non per forza fanno un capolavoro nè soprattutto un film coinvolgente. Mentre il protagonista, nel suo monologo interiore, straparla di anima, senso e legge il principio (era il Verbo) della Bibbia, mentre al Festival di Venezia scattano i leggendari “dieci minuti d’applausi”, in sala si russa. E allora una domanda, cinefila, va fatta: non è che il 2011 sia stato il trionfo, a Cannes e Venezia, dei soliti stronzi anzichè dei venerati maestri? Malick con “L'albero della vita” realizza un film che pare Quark riletto da Suor Germana, Sokurov il film meno compatto della sua indimenticabile quadrilogia. Ma i due ormai per i Festival sono già nell’Olimpo. Edizioni del passato, invece, avevano incoronato coraggiosamente le giovani promesse. Esempi? Palma d’Oro al 26enne esordiente Soderbergh per “Sesso bugie e videotape” (1989). O quella, nel 1994, a “Pulp Fiction” di Tarantino. Che non ha mai fatto dormire nessuno. Ecco, i festival lanciano o consolidano autori. Ovvero prodotti. Ma come si crea e vende un autore? Perchè Bela Tarr – temutissimo regista ungherese, autore di film splendidi e pallosissimi – è meno conosciuto di Sokurov? Ha meno addentellati là “ove si puote ciò che si vuole”? Ha un carattere peggiore? Vallo a sapere. Ma povero Tarr: “Turin Horse” è un gran bel film e fa dormire quanto Sokurov. Infine, se i film sono prodotti come i loro registi, il “Faust” andrebbe venduto (anche) in farmacia. Mica è un'offesa: bisogna solo capire se comperarlo in sala o farselo prescrivere dal medico. Per dormire, ovviamente.