Vera Politkovskaja racconta della madre e dello stato

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Vera Politkovskaja racconta della madre e dello stato
Fuoritempo
Vera Politkovskaja racconta della madre e dello stato dell'informazione in Russia
Inviato da Cinzia Agostini da "Informazione e media"
lunedì 25 luglio 2011
Ultimo aggiornamento mercoledì 03 agosto 2011
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«Il modo in cui mia madre
è morta ha dimostrato che ciò scriveva, da molti posto in dubbio e
considerato non credibile, era vero».
Chi parla è Vera
Politkovskaja, la figlia della giornalista russa Anna, assassinata il
7 ottobre 2006 (ad oggi senza colpevoli condannati), perché scomoda
al regime. Anna Politkovskaja raccontava della guerra in Cecenia,
riportava quello che non si doveva sapere.
«Mia madre diceva:
"Voglio che conosciate la verità. Poi, se vorrete, potrete
sempre optare per il cinismo e il razzismo in cui si sta impaludando
questa società" - ha spiegato la giovane Vera in un recente
incontro pubblico a Padova -. Ha cominciato ad occuparsi della
Cecenia nel 2000; due anni dopo, nel 2002, durante un viaggio nel
paese, allora immerso nella seconda guerra cecena, è scomparsa per
tre-quattro giorni. L'avevano trattenuta i nostri soldati ed era
stata liberata grazie alle pressioni del giornale per cui scriveva.
Ma i militari avevano detto che l'avrebbero uccisa, perché stufi del
suo lavoro. Mia madre non voleva smettere, anche se non c'è stato,
da parte di nessuno, alcun tentativo di tutelarla. Il suo nome si
trovava nell'elenco degli oppositori al regime, tutti lo sapevano. Ma
nessuno l'ha protetta».
La morte di Anna
Politkovskaja è cominciata lentamente, attraverso l'avvelenamento.
«Durante un viaggio aereo verso Beslan è successo qualcosa; fu
trovata incosciente e trasportata in ospedale - descrive la figlia -.
Era stato messo del veleno nel tè, anche se gli esiti degli esami
effettuati in ospedale sono spariti e mai resi pubblici. Mio fratello
cominciò a chiederle di smettere di fare cose pericolose, ma mia
madre rispose: "Nessuno nel nostro paese si occupa di ciò. Se
non lo faccio io, chi lo farà?". Nell'ultimo periodo,
nonostante le minacce e l'avvelenamento, non smise mai di dare questa
risposta. E l'ultimo periodo durò due anni».
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Il 7 ottobre di cinque
anni fa era cominciato come un giorno normale, ha raccontato la
giovane. Lei abitava con la mamma, era incinta di una bambina (che la
nonna non ha fatto in tempo a conoscere e porta lo stesso nome),
avevano fatto colazione insieme. «Quando è stata uccisa eravamo in
collegamento telefonico: io mi trovavo in un negozio e le stavo
chiedendo consigli su un acquisto - aggiunge -. A un certo punto mia
madre ha smesso di rispondere alla telefonata; chiamai mio fratello,
ma neppure lui riusciva a contattarla. Andò lui a casa, per vedere
cos'era successo».
Nel processo del 2008
tutti gli incolpati sono stati assolti. Secondo la famiglia essi
erano figure secondarie: colpevoli, ma non i veri colpevoli. Una
sorta di tentativo, da parte dello stato, di dare un "contentino".
«A noi è parso un buon segno che tali persone siano state assolte ha concluso Vera -, perché così si poteva procedere con
l'inchiesta». Il 31 maggio è stato catturato il presunto killer: si
tratta del ceceno Rustam Makhmudov; ma nulla ancora si sa dei
mandanti dell'omicidio.
E ora, com'è
l'informazione in Russia? Un giovane giornalista ha due possibilità
di percorso, ha aggiunto, dipendenti dallo scopo che si prefigge. Se
vuole avere successo e soldi, la strada da intraprendere è quella di
lavorare per i mass media statali, seguire la voce ufficiale e non
parlare di altro né sul lavoro, né nel privato. Il secondo
tracciato è decidere con il cuore, la testa, i propri principi;
itinerario difficile e pericoloso. Senza contare che non sono rimasti
molti i posti in cui è possibile esprimere la propria opinione.
Ovviamente Vera
Politkovskaja fa la giornalista. Alla seconda maniera.
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