REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO

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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TERESI Renato - Presidente Dott. BARDOVAGNI Paolo - Consigliere Dott. SIOTTO M. Cristina - Consigliere Dott. CANZIO Giovanni - Consigliere Dott. DUBOLINO Pietro - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore
Napoli;
Generale
della
Repubblica
presso
Ministero della salute (parte civile costituita);
Balsano Francesco;
Brenna Antonio;
Di Maria Pierr;
Ferretti Carlo;
Frajese Gaetano;
Golinelli Marino;
Mantovani Azio;
Masi de Vargas Machuca Claudio Maria;
Nicolini Marino;
Poggiolini Duilio;
Santagata de Castro Carlo (imputati);
la
Corte
d'appello
di
avverso la sentenza della Corte d'appello di Napoli in data 28 febbraio
2002;
udita in pubblica udienza la relazione svolta dal Cons. Dott. Dubolino;
sentito il P.G. presso questa Corte, in persona del Sost. Dott. Ciampoli
Luigi, il quale ha concluso per: inammissibilita' del ricorso del P.G. di
Napoli relativamente alle posizioni di Cerchiai Pietro, Puttini Giuseppe,
Violati Carlo, imputati non ricorrenti; rigetto nel resto del ricorso
dello stesso P.G.; rigetto dei ricorsi degli imputati e della parte
civile;
sentiti i difensori presenti degli imputati ricorrenti, nonche'
l'avvocato dello Stato, per la costituita parte civile, i quali hanno
insistito per l'accoglimento dei rispettivi ricorsi;
sentiti i difensori presenti degli imputati non ricorrenti, i quali hanno
chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi il ricorso del P.G.
proposto nei confronti dei loro assistiti;
avendo ritenuto che:
Svolgimento del processo
Balsano Francesco, Brenna Antonio, Ferretti Carlo, Frajese Gaetano,
Nicolini Marino e Poggiolini Duilio vennero tratti a giudizio davanti al
tribunale di Napoli per rispondere del delitto di associazione per
delinquere aggravata ( art. 416 c.p., commi primo, secondo e terzo),
originariamente configurato anche a carico di altri soggetti nei
confronti dei quali si era proceduto separatamente o si erano verificate
cause di improcedibilita' (Boccia Antonio, Manzoli Francesco Antonio,
Muzzio Pier Carlo, Rondanelli Elio Guido, Varrone Stelio, Patane' Santo,
De Lorenzo Francesco, Marone Giovanni), perche' - secondo quanto si legge
nel capo d'imputazione - "in numero superiore a dieci, essendo
rispettivamente il Brenna, presidente, ed il Vittoria (deceduto), il
Balsano, il Boccia, il Manzoli, il Rondanelli, il Poggiolini, il Muzzio,
il Frajese, il Varrone, il Patane', il Nicolini, componenti del CIP
farmaci, nonche' il Ferretti componente dell'ufficio di segreteria del
predetto CIP, organismo tra l'altro preposto alla trattazione delle
pratiche di revisione dei prezzi dei farmaci, avendo altresi' il Manzoli
ricoperto la carica di direttore dell'Istituto superiore di sanita' ed il
Poggiolini quella di direttore generale del Servizio farmaceutico del
Ministero della sanita', si associavano tra loro nonche' con De Lorenzo
Francesco, deputato del PLI e ministro della sanita', quale promotore
della organizzazione criminale di cui trattasi, e con Marone Giovanni,
segretario del De Lorenzo, al fine di commettere piu' reati di corruzione
e di finanziamento illecito dei partiti politici, in relazione alla
indebita percezione di somme di danaro erogate dalle ditte farmaceutiche
perche' fossero assicurate la celere trattazione e la positiva
definizione delle pratiche dei prodotti farmaceutici, ed in particolare
le pratiche di revisione dei prezzi dei farmaci cui le ditte erano
interessate, a tal fine dandosi una stabile organizzazione con una
precisa articolazione di compiti, con accordi stabili in base ai quali il
De Lorenzo ed il Marone segnalavano, previa sollecitazione delle ditte
interessate, le pratiche da agevolare; il De Lorenzo, il Vittoria ed il
Marone definivano l'ammontare preciso che le ditte dovevano versare a
titolo di "contribuzioni" per le agevolazioni richieste; il Vittoria e il
De Lorenzo indicavano al Brenna le pratiche cui assicurare la celere
trattazione e la positiva definizione; il Brenna poneva all'ordine del
giorno le pratiche segnalate e nominava di volta in volta relatori i vari
componenti del CIP che assicuravano l'esito positivo delle pratiche; il
Ferretti curava l'organizzazione delle pratiche; il Marone, il Vittoria,
il Balsano, il Manzoli, il Rondanelli, il Poggiolini, il Boccia, il
Varrone, il Patane', il Muzzio, il Frajese, il Nicolini, oltre agli
stessi Brenna e Ferretti materialmente percepivano le somme erogate dalle
ditte per le agevolazioni - Accertato in Napoli e Milano nel maggiogiugno 1993 e commesso in epoca precedente in Napoli e Roma fino a tutto
il 1992".
Oltre che di tale reato associativo i suddetti imputati erano chiamati a
rispondere anche di singoli episodi di corruzione passiva per atti
contrari ai doveri d'ufficio, in relazione a somme di danaro o altre
utilita' loro fatte percepire da titolari o rappresentanti di ditte
farmaceutiche.
In particolare, per quanto
accusati di aver ricevuto:
ancora
d'interesse,
gli
imputati
erano
Balsano:
- lire 20 milioni da Fontana Tommaso e Humpert Bernt, per conto della
ditta Pfizer italiana, nell'anno 1991 (capo 102);
- lire 100 milioni da Zambeletti Gianpaolo, per conto della ditta Ellem,
nell'anno 1991 (capo 104);
- lire 300 milioni, in piu' riprese, da Poli Stefano, per conto della
ditta Poli industria chimica, tra il 1989 ed il 1992 (capo 105);
- lire 140 milioni, in piu' riprese, da Aleotti Alberto per conto della
ditta Menarini, tra il 1990 ed il 1992 (capo 106);
- lire 20 milioni, in piu' riprese, da Dompe' Sergio, per conto della
ditta Dompe' farmaceutici, nell'anno 1991 (capo 108);
- lire 10-15 milioni, sotto forma di compenso per ricerche farmaceutiche,
da Cavazza Claudio, per conto della ditta Sigma Tau, intorno alla fine
del 1990 (capo 110);
- lire 455 milioni, in piu' riprese, da Miglio Giuseppe per conto della
ditta Sandoz, tra il 1989 ed il 1992 (capo 111);
- dollari USA 25.000 da Ricordati Giovanni,
omonima, intorno alla fine del 1990 (capo 113);
per
conto
della
ditta
- lire 20 milioni, in piu' riprese, da Pancera Massimiliano per conto
della ditta Boehringer Mannheim, tra il 1990 ed il novembre 1993 (epoca
dell'accertamento) (capo 114);
- lire 30 milioni da Girotti Giampaolo per conto della ditta Alfa
Wassermann, nei primi mesi del 1992 (fatto contestato all'udienza del 5
luglio 1999);
Brenna:
- lire 50 milioni da Poli Stefano, per il tramite di Rondanelli Elio
Guido, tra il 1991 ed il 1992 (capo 103);
- lire 250 milioni piu' quadri ed un orologio d'oro per un valore
complessivo di circa lire 172 milioni, in piu' riprese, da Zambeletti
Giampaolo, negli anni 1990-1992 (capo 122);
- lire 400 milioni circa, piu' altri 60 milioni circa sotto forma di
acquisto di copie di una rivista, in piu' riprese, da Cavazza Claudio,
tra il 1986 ed il 1991 (capo 123);
- lire 100 milioni, in piu' riprese, da De Santis Francesco, per conto
della ditta Italfarmaco, con particolare riferimento alla revisione dei
prezzi dei prodotti denominati Clitoven Endoprost, Triasporin, e Sumadol,
tra il 1991 ed il 1992(capo 124);
- lire 240 milioni, in piu' riprese, da Aleotti Alberto, negli anni 19871991 (capo 125);
- alcuni quadri, di valore non precisato, consegnati in piu' riprese da
Fontana Tommaso ed Humpert Bernt tra il 1988 ed il 1992 (capo 126);
- lire 122 milioni, in piu' riprese, da Florimente Cesare, per conto
della ditta Istituto farmacologico Serono, e da Bertarelli Fabio, per
conto della ditta Ares-Serono, tra il 1987 ed il 1992 (capo 127);
- lire 30 milioni circa, in piu' riprese, da Dompe' Sergio, tra il 1990
ed il 1992 (capo 128);
- lire 30 milioni circa, in piu' riprese, da Miglio Giuseppe, tra il 1989
ed il 1992 (capo 129);
- lire 100 milioni circa, in piu' ripresa, da Maffeis Flavio, per conto
della ditta Glaxo, tra il 1990 ed il 1991 (capo 130);
- lire 100 milioni circa, da distribuire poi fra gli altri componenti del
CIP, da De Reviziis Giuseppe, per conto della ditta Damor di Riccio
Vincenzo e Riccio Antonio, con particolare riferimento alla revisione del
prezzo del prodotto denominato "fitostimoline", nel maggio del 1992 (capo
131);
- un soggiorno omaggio di otto giorni in Corsica, del valore di circa
lire 4 milioni, nell'anno 1990 (capo 132);
Ferretti:
- lire 20 milioni circa, in piu' riprese, da Lapeyre Daniel, per conto
della ditta LIRCA, tra il 1989 ed il 1992 (capo 133);
- lire 15-30 milioni circa, in piu' riprese, da Cavazza Claudio, tra il
1988 ed il 1991 (capo 134);
- lire 50 milioni, destinate ad essere distribuite fra i componenti del
CIP, da De Reviziis Giuseppe, nel maggio-giugno del 1992 (capo 135);
- lire 30 milioni circa, in piu' riprese, da Recodati Arrigo, tra il 1989
ed il 1991 (capo 136);
- lire 10 milioni circa, in piu' riprese, da Dompe' Sergio, tra il 1990
ed il 1992 (capo 137);
- lire 60 milioni, in piu' riprese, da De Santis Francesco, per il
tramite di Zoni Giorgio, da epoca imprecisata fino al 1992 (capo 138);
- somme imprecisate, per "diversi milioni di lire", fino al 1992, da
Miglio Giuseppe (capo 139), da Torricelli Ernestina, titolare della ditta
CT di Sanremo (capo 140), da Bolasco Francesco, titolare della ditta
Ripari Gero (capo 141), da Secondi Ambrogio, titolare della ditta ISF
(capo 142), da Formenti Sergio, titolare della ditta omonima (capo 143),
da esponenti non identificati delle ditte Giuliani (capo 144), Geygi
(capo 145), Bioresearch (capo 146), Glaxo (capo 147);
- lire 5-6 milioni da Germani Claudio e Bianchi Roberto, per conto della
ditta Farmitalia Carlo Erba, nell'anno 1990 (capo 148);
- somme imprecisate per "diversi milioni di lire", in piu' riprese, da
Golinelli Marino, Golinelli Stefano e Girotti Giampaolo, per conto della
ditta Alfa Wassernann, negli anni precedenti al 1994 (capo 149);
- lire 10 milioni circa, in piu' riprese, da Pancera Massimiliano, negli
anni 1990-1991 (capo 150);
- lire 1.400.000.000 circa da altre ditte farmaceutiche non identificate,
diverse da quelle indicate in precedenza, fino al 1992 (capo 151);
Frajese:
- lire 50 milioni da Zambeletti Gianpaolo, nell'anno 1991 (capo 152);
- lire 20 milioni da Aleotti Alberto, nel 1990 (capo 153);
- lire 70 milioni circa, in piu' riprese, sotto forma di finanziamento
per un congresso di psichiatria e pubblicazione dei relativi atti, da
Miglio Giuseppe, fra il 1990 ed il 1991 (capo 154);
- un viaggio-soggiorno negli USA, del valore di lire 10-12 milioni,
offerto da Cavazza Claudio (capo 156);
- lire 30 milioni da De Santis Francesco nell'ottobre-novembre del 1992
(capo 157);
Nicolini:
- lire 20 milioni, in piu' riprese, da Florimente Cesare e Bertarelli
Fabio, negli anni 1990-1991 (capo 172);
- lire 50 milioni circa, in piu' riprese, da Miglio Giuseppe, nel 1992
(capo 173);
- lire 35 milioni circa, in piu' riprese, da Ricordati
Ricordati Arrigo, tra il 1989 ed il 1992 (capo 174);
Giovanni
e
Poggiolini:
- lire 120 milioni circa, in piu' riprese, da Poli Stefano, negli anni
1990-1991 (capo 176);
- gioielli e quadri d'autore (fra cui un De Chirico) per un valore
complessivo di lire 420 milioni circa, in piu' riprese, da Zambeletti
Gianpaolo, tra il 1988 ed il 1991 (capo 177);
- lire 1.100 milioni circa, in piu' riprese, da Aleotti Alberto, tra il
1982 ed il 1991 (capo 178);
- un quadro d'autore (D'Orazio) del valore di circa lire 16 milioni da
Fontana Tommaso e Humpert Bernt, nell'anno 1988 (capo 179);
- finanziamenti per oltre lire 100 milioni per convegni e pubblicazioni,
piu' messa a disposizione di aerei privati, per un costo complessivo di
oltre lire 100 milioni, in piu' riprese, da Florimonte Cesare e
Bertarelli Fabio, tra il 1986 ed il 1992 (capo 180);
- oggetti di valore per circa lire 20 milioni, piu' messa a disposizione
di aerei privati, da Dompe' Sergio, in piu' riprese, tra il 1991 ed il
1992 (capo 181);
- lire 400 milioni da De Reviziis Giuseppe, con particolare riferimento
alla pratica di registrazione del prodotto "fitostimoline", nell'anno
1989 (capo 182);
- lire 100 milioni da De Reviziis Giuseppe, con particolare riferimento
alla pratica di registrazione del prodotto "Clarema", nell'anno 1991
(capo 183);
- lire 180 milioni circa, piu' oggetti di valore per circa 130 milioni,
ed uso gratuito di circa 60 voli con aereo privato, da Ricordati Arrigo e
Ricordati Giovanni, in epoca imprecisata precedente all'accertamento,
avvenuto nell'agosto-settembre del 1993 (capo 184);
- lire 500 milioni circa, in piu' riprese, da Mantovani Azio, per conto
della ditta Segena, fino all'anno 1991 (capo 185);
- lire 800 milioni circa, in piu' riprese, da Sala Bernardino, per conto
della ditta Shering, tra il 1983 ed il 1992 (capo 186);
- lire 90 milioni circa, in piu' riprese, da Pancera Massimiliano, negli
anni 1990-1992 (capo 187);
- lire 300 milioni circa da Torricelli Ernestina, in piu' riprese, negli
anni 1989-1991 (capo 188);
- lire 80 milioni circa, in piu' riprese, da Secondi Ambrogio, fino
all'anno 1989 (capo 189);
- lire 500 milioni circa, in piu' riprese, da Camozzi Livio e Pinamonti
Giovanni, per conto della ditta Bioresearch, fino all'anno 1989 (capo
190);
- lire 200 milioni circa, in piu' riprese, da De Angelis Enrico, per
conto della ditta Errekappa, fino all'anno 1991 (capo 191);
- lire 280 milioni circa, in piu' riprese, da Rinaldi Edo, per conto
della ditta ISI, tra il 1982 ed il 1990 (capo 192);
- lire 300 milioni circa, in piu' riprese, da Golinelli Marino, tra il
1980 ed il 1989 (capo 193);
- lire 260 milioni circa, in piu' riprese, da Spiti Giovanni, per conto
della ditta Boehringer Mannheim, negli anni dal 1978 al 1989 (capo 194);
- lire 220 milioni circa, in piu' riprese, nonche' tre quadri d'autore
per un valore complessivo di lire 200 milioni circa, da Maffeis Flavio e,
prima ancora, da Fertonani Mario, per conto della ditta CIP farmaci,
negli anni dal 1975 al 1988 (capo 195);
- lire 2.050 milioni circa, in piu' riprese, piu' sovvenzionamento di
convegni ed uso gratuito di aerei privati, per un importo non precisato,
da Cavazza Claudio e, in parte, da Angelini Igino (poi defunto) e
Bertarelli Fabio, negli anni dal 1980 al 1991 (capo 196);
- uso gratuito, in piu' occasioni, di due aerei privati, per un costo non
precisato, da Miglio Giuseppe, negli anni 1989 e 1990 (capo 197);
- lire 80 milioni circa, in piu' riprese, da Zambon Roberto, titolare
della ditta omonima, fino all'anno 1988 (capo 198);
- lire 50 milioni circa, in piu' riprese, da Cerchiai Piero, per conto
della ditta Firma, negli anni 1987-1991 (capo 199);
- lire 50 milioni da Catelli Pietro, per conto della ditta Artsana, negli
anni 1989/1990 (capo 200);
- lire 50 milioni circa, in piu' riprese, da Moroni Adolfo, per conto
della ditta Magis Farmaceutica, negli anni 1988-1989 (capo 201);
- lingotti d'oro per un valore complessivo di lire 110 milioni, in piu'
riprese, da Bolasco Francesco, per conto della ditta Ripari-Gero, fino
agli anni 1990/91 (capo 202);
- due quadri d'autore, per un valore complessivo di lire 60 milioni
circa, da Bracco Diana, per conto della ditta Bracco,, in epoca
imprecisata anteriore all'accertamento, avvenuto "nell'ottobre 1993 e nel
1994" (capo 203);
- preziosi per un valore complessivo di oltre lire
Zambeletti Gianpaolo, nel Natale del 1991 (capo 204);
100
milioni
da
- lire 18 milioni, in piu' riprese, per il tramite della moglie Di Maria
Pierr, da Antonetto Carlo, per conto della ditta Marco Antonetto, con
particolare riferimento alle pratiche di registrazione del prodotto
denominato "modula", negli anni 1990-1991 (capo 205);
- lire 4.000 milioni circa, in piu' riprese, per il tramite della moglie
Di Maria Pierr, da De Santis Francesco, per conto della ditta
Italfarmaco, tra il 1984 ed il 1992 (capo 206);
- somme di danaro non precisate, in piu' riprese, per il tramite della
moglie Di Maria Pierr, da Chiesi Paolo e da Formenti Sergio, titolari
delle omonime ditte, fino all'anno 1992 (capi 207 e 208);
- quadri per un valore di circa lire 507 milioni, monete d'oro per un
valore di circa lire 1.267 milioni, monete antiche per un valore di circa
lire 48 milioni, lingotti d'oro e preziosi per un valore di circa lire
600
milioni,
da
esponenti
di
diverse
ditte
farmaceutiche
non
identificate, per il tramite della moglie Di Maria Pierr, fino all'anno
1992 (capo 209).
Si addebitava, inoltre, al Poggiolini, di aver concorso, unitamente alla
moglie di Maria Pierr nei seguenti altri episodi:
- corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio in relazione al
pagamento, da parte di De Santis Francesco, di fatture per un importo
complessivo di lire 101 milioni emesse per fittizie prestazioni di
ricerche e studi, nell'interesse di De Lorenzo Francesco, al cui partito
la somma era poi destinata, nell'anno 1990 (capo 248);
- illecito finanziamento, per il suddetto importo di lire 101 milioni, in
favore del P.L.I., nell'anno 1990 (capo 249);
- corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio in relazione al
pagamento, da parte di Lapeyre Daniel, di una fattura dell'importo di
lire 200 milioni emessa il 26 aprile 1990 per prestazioni effettuate in
favore del P.L.I. (capo 250);
- illecito finanziamento, per la somma anzidetta, in favore del P.L.I.
(capo 251);
- illecito finanziamento, per un importo di lire 50 milioni,
corrispondente ad altra fattura emessa il 26 aprile 1990, in favore del
P.L.I. (capo 252);
- corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio in relazione al
pagamento, da parte di Chiesi Paolo, di due fatture per complessive lire
75 milioni emesse per fittizie prestazioni di ricerche e studi,
nell'interesse di De Lorenzo Francesco, al cui partito la somma era
destinata, nell'anno 1990 (capo 253);
- illecito finanziamento, per il suddetto importo di lire 75 milioni, al
P.L.I. (capo 254);
illecito
finanziamento,
per
l'importo
di
lire
100
milioni,
corrispondente ad altra fattura emessa il 30 aprile 1990, in favore del
P.L.I. (capo 255).
Oltre ai nominati Balsano, Brenna, Ferretti, Frajese, Nicolini e
Poggiolini, vennero tratti a giudizio, davanti al medesimo tribunale di
Napoli:
Binda Emilio, Garofano Giuseppe e Michetti Roberto, per rispondere di
corruzione attiva per atti contrari ai doveri d'ufficio in relazione alla
dazione della complessiva somma di lire 600 milioni circa da essi
effettuata, nell'anno 1990, per conto della Montedison o societa' ad essa
collegate, in favore di De Lorenzo Francesco mediante accredito
dell'equivalente in franchi svizzeri su conti correnti accesi presso
istituti bancari elvetici, onde ottenere "la celere trattazione e la
positiva definizione delle pratiche di revisione del prezzo dei farmaci
Ibustrin e Farmorubicina, prodotti dalla Farmitalia (capo 30);
Catelli Pietro, per rispondere di corruzione attiva per atti contrari ai
doveri d'ufficio, in relazione al fatto di cui al capo 200, gia' indicato
fra quelli addebitati al Poggiolini;
Della Valle Francesco, per rispondere di corruzione attiva per atti
contrari ai doveri d'ufficio in relazione alla dazione della complessiva
somma di lire 300 milioni da lui effettuata, quale titolare della ditta
Farmaceutica Fidia, in favore di De Lorenzo Francesco, negli anni 1990 e
1991 (capo 13);
Di Maria Pierr, per rispondere:
- di concorso con il Poggiolini nei fatti di cui ai capi 204, 205, 206,
207, 208, 248, 249, 250, 251, 252, 253, 254, 255;
- di ricettazione continuata per avere, a fine di profitto, ricevuto cose
provenienti dai delitti di corruzione commessi dal Poggiolini e,
segnatamente, sei quadri nonche' lingotti d'oro e d'argento, monete ed
oggetti preziosi vari, per un valore complessivo di circa lire due
miliardi, occultati nella cassaforte della propria abitazione; fatti
accertati il 29 settembre ed il 7 ottobre 1991 (capo 210);
- di diversi addebiti di favoreggiamento reale per avere aiutato
Poggiolini ad assicurarsi il profitto ed il prodotto dei reati di
corruzione da lui commessi:
- ponendo in essere, d'intesa con un consulente finanziario ed un
funzionario di banca, "una serie artificiosa di operazioni bancarie",
dettagliatamente descritte nel capo d'imputazione, volte ad occultare la
provenienza e la disponibilita' di ingenti somme di danaro; fatti
commessi tra il luglio ed il settembre del 1993 (capo 211);
- trasformando le disponibilita' di danaro esistenti su svariati conti
correnti bancari in titoli al portatore che occultava poi in un "puff"
sito nella propria abitazione; fatti commessi tra il luglio ed il
novembre del 1993 (capo 212);
- versando in piu' riprese su di un conto corrente intestato al
Poggiolini presso il Banco di Roma la somma complessiva di lire 775
milioni,
proveniente
da
illecite
dazioni
di
vari
imprenditori
farmaceutici; fatti commessi negli anni 1990-1992 (capo 213);
Gironda Gianpaolo, per rispondere di concorso in corruzione per atti
contrari ai doveri d'ufficio, avendo emesso, secondo l'accusa, una
fattura da lire 91.650.000 (piu' IVA) ed un'altra da lire 120 milioni
(piu' IVA), per prestazioni mai effettuate a favore della destinataria
Sigma Tau, onde coprire la effettiva destinazione di dette somme a De
Lorenzo Francesco, negli anni 1991 e 1992 (capo 37);
Golinelli Marino, per rispondere di corruzione attiva in relazione ai
fatti di cui ai capi 149 e 193, gia' indicati fra quelli addebitati,
rispettivamente, al Ferretti ed al Poggiolini;
Mantovani Azio, per rispondere:
- di corruzione attiva per atti contrari ai doveri d'ufficio, con
riguardo alla dazione, in piu' riprese, per conto della ditta Inverni
Della Beffa, della somma complessiva di lire 300 milioni destinata a De
Lorenzo Francesco onde ottenere la positiva definizione delle pratiche
interessanti la predetta societa'; fatti commessi negli anni 1990-1991
(capo 11);
- di illecito finanziamento, per il suddetto importo di lire 300 milioni,
in favore del P.L.I. (capo 12);
- di corruzione attiva in relazione ai fatti di cui al capo 185, gia'
indicato fra quelli addebitati a Poggiolini;
Masi De Vargas Machuca Claudio Maria, per rispondere:
- di corruzione attiva per atti contrari ai doveri d'ufficio, in
relazione alla dazione, in piu' riprese, della complessiva somma di lire
360 milioni (in parte sotto forma di pagamento di fatture per prestazioni
fittizie),
destinata
a
De
Lorenzo
Francesco,
onde
ottenere
l'aggiudicazione
di
un
appalto
per
l'effettuazione
di
campagne
pubblicitarie anti AIDS; fatti commessi negli anni 1991-1992 (capo 88);
- di illecito finanziamento, per il suddetto importo di lire 360 milioni,
in favore del P.L.I. (capo 89);
Paderni Sergio, per rispondere di corruzione passiva per atti contrari ai
doveri d'ufficio, addebitandoglisi di avere, nella sua qualita' di
direttore generale della programmazione sanitaria del Ministero della
sanita', ricevuto in piu' riprese da Cavazza Claudio la somma complessiva
di lire 30 milioni onde sostenere, nell'elaborazione delle bozze
programmatiche di spesa sanitaria, in vista della preparazione della
legge finanziaria, "tesi maggiormente favorevoli alle aspettative della
Farmindustria, pur dopo aver redatto previsioni di spese aderenti alle
esigenze economiche dello Stato"; fatti commessi negli anni 1989 - 1991
(capo 247);
Puttini Sergio, per rispondere:
- di vari episodi di concorso in corruzione per atti contrari ai doveri
d'ufficio, in relazione al pagamento, da parte di ditte farmaceutiche,
onde ottenere una "trattazione privilegiata" delle pratiche di revisione
prezzi che le riguardavano, delle seguenti somme che venivano fatte
fittiziamente figurare come destinate al centro studi Rimez, di esso
imputato, per prestazioni effettuate in favore delle ditte medesime, si'
da coprire la loro effettiva destinazione a De Lorenzo Francesco:
- lire 60 milioni pagate in piu' riprese da Maiatico Alberto per conto
della ditta Lepetit, nel primo semestre del 1991 (capo 59);
- lire 70 milioni circa, pagate da Porporati Guido, titolare della ditta
Bristol Mayers Squibb, nel febbraio-marzo 1992 (capo 61);
- lire 100 milioni pagate in piu' riprese da De Santis Francesco per
conto della ditta Italfarmaco, negli anni 1991-1992 (capo 63);
- lire 40 milioni pagate da Fontana Tommaso e Humpert Bernt, per conto
della ditta Pfizer, nell'anno 1990 (capo 65);
Rinaldi Edo, per rispondere:
- di corruzione attiva per atti contrari ai doveri d'ufficio, in
relazione all'erogazione, sotto forma di pagamento di una fattura emessa
per operazioni inesistenti dalla tipografia "Simeone" di Blasi Ulisse,
della somma di lire 30 milioni destinata a De Lorenzo Francesco e Marone
Giovanni, onde ottenere un "trattamento privilegiato" per le pratiche
interessanti l'Istituto sierovaccinogeno italiano; fatto commesso nel
1992 (capo 52);
- di corruzione attiva, in relazione ai fatti di cui al capo 192, gia'
indicato fra quelli addebitati a Poggiolini;
Santagata De Castro Carlo, per rispondere di favoreggiamento reale
continuato per avere, ricevendo da De Lorenzo Francesco e dal suo
segretario Marone Giovanni somme per il complessivo importo di lire 350
milioni circa, costituenti provento dei reati di corruzione e di
finanziamento illecito a partito politico, che poi facevano figurare come
contribuzioni volontarie versate da varie persone al "Comitato di
sostegno e garanzia per De Lorenzo", da essi costituito, aiutato gli
stessi De Lorenzo e Marone ad assicurarsi il profitto dei suddetti reati
nonche' di quelli, ad essi connessi, di illecito finanziamento ad un
partito politico; fatti commessi dal marzo al giugno del 1992 (capo 101);
Torricelli Tessitore Ernestina, per rispondere di corruzione attiva in
relazione ai fatti di cui ai capi 140 e 188, gia' indicati fra quelli
addebitati, rispettivamente, a Ferretti ed a Poggiolini.
Con sentenza in data 20-21 luglio 2000 il tribunale di Napoli cosi'
provvedeva:
- dichiarava colpevoli:
- Balsano Francesco dei reati di cui ai capi 102, 104, 105 (limitatamente
all'importo di lire 60 milioni), 106, 113, 114, nonche' del reato
contestato
all'udienza
del
5
luglio
1999,
tutti
riuniti
per
continuazione, condannandolo alla pena di anni quattro e mesi sei di
reclusione;
- Binda Emilio del reato di cui al capo 30, condannandolo alla pena di
anni due e mesi sei di reclusione;
- Brenna Antonio dei reati di
quadri ed all'orologio), 123
milioni), 126, 131, 132, tutti
alla pena di anni cinque e mesi
cui ai capi 103, 122 (limitatamente ai
(limitatamente all'importo di lire 400
riuniti per continuazione, condannandolo
sei di reclusione;
- Catelli Pietro del reato di cui al capo 200, condannandolo alla pena,
condizionalmente sospesa, di anni due di reclusione;
- Della Valle Francesco del reato di cui al capo 13, condannandolo alla
pena di anni due di reclusione;
- Di Maria Pierr dei reati di cui ai capi 206, 211 e 212, uniti per
continuazione, condannandola alla pena di anni quattro di reclusione;
- Ferretti Carlo dei reati di cui ai capi 133, 134, 135, 136
(limitatamente all'importo di lire 12 milioni), 137, 139, 141, 142, 143,
148, 149, 150, tutti uniti per continuazione, condannandolo alla pena di
anni quattro e mesi due di reclusione;
- Frajese Gaetano dei reati di cui ai capi 152 e 153, uniti
continuazione, condannandolo alla pena di anni tre di reclusione;
per
- Golinelli Marino dei reati di cui ai capi 149 e 193, indicati come
commessi fino al 1989 (oltre che di altro reato, contestato al capo 21,
per il quale vi e' poi stata assoluzione in appello, senza successivo
ricorso del Pubblico Ministero), tutti uniti per continuazione,
condannandolo alla pena di anni due e mesi tre di reclusione;
- Mantovani Azio dei reati di cui ai capi 11 e 185 (limitatamente, per
quest'ultimo, all'importo di lire 300 milioni), uniti per continuazione,
condannandolo alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione;
- Masi de Vargas Machuca Claudio Maria del reato di cui al capo 88,
condannandolo alla pena, condizionalmente sospesa, di anni due di
reclusione;
- Michetti Roberto del reato di cui al capo 30 (limitatamente all'importo
di lire 300 milioni), condannandolo alla pena di anni due e mesi due di
reclusione;
- Nicolini Marino del reato di cui al capo 172, condannandolo alla pena
di anni due e mesi quattro di reclusione;
- Poggiolini Duilio dei reati di cui ai capi 176, 177, 178, 179, 180,
181, 182 (limitatamente all'importo di lire 300 milioni), 184
(limitatamente all'importo di lire 180 milioni), 185 (limitatamente
all'importo di lire 300 milioni), 186, 187, 188, 189, 190, 191, 192, 193,
194, 195, 196, 198, 200, 201, 202, 206, tutti uniti per continuazione,
condannandolo alla pena di anni sette e mesi sei di reclusione;
- Rinaldi Edo del reato di cui al capo 192, condannandolo alla pena di
anni due e mesi due di reclusione;
- Torricelli Tessitore Ernestina del reato di cui al
condannandola alla pena di anni due e mesi due di reclusione;
capo
188,
- assolveva Balsano Francesco, Brenna Antonio, Ferretti Carlo, Frajese
Gaetano, Nicolini Marino e Poggiolini Duilio dal reato di associazione
per delinquere per non aver commesso il fatto;
- assolveva inoltre:
- Balsano Francesco dai reati di cui ai capi 105 (per il residuo importo
della somma contestata), 107, 108, 109, 110, 111, 112, con la formula "il
fatto non sussiste";
- Brenna Antonio dai reati di cui ai capi 122 e 123 (relativamente ai
fatti residui), 124, 125, 127, 128, 129, 130, con la formula "il fatto
non sussiste";
- Di Maria Pierr dai reati di cui ai capi
248, 253, con la formula "il fatto non
all'art. 249 con la formula "il fatto non
di cui ai capi 250, 251, 252, 254, 255,
commesso il fatto";
204, 205, 207, 208, 210, 213,
sussiste"; dal reato di cui
costituisce reato"; dai reati
con la formula "per non aver
- Ferretti Carlo dai reati di cui ai capi 136 (per il residuo della somma
ivi indicata), 140, 144, 145, 146, 147, 151, con la formula "il fatto non
sussiste";
- Frajese Gaetano dai reati di cui ai capi 154, 155, 156, 157, con la
formula "il fatto non sussiste";
- Garofano Giuseppe dai reati di cui ai capi 30 e 31 con la formula "per
non aver commesso il fatto";
- Gironda Giampaolo dai reati a lui ascritti (ivi compreso quello di cui
al capo 37) con la formula "il fatto non sussiste";
- Mantovani Azio dal reato di cui all'art. 185 (per il residuo della
somma ivi indicata), con la formula "il fatto non sussiste";
- Michetti Roberto dal reato di cui al capo 30, per il residuo della
somma ivi indicata, con la formula "per non aver commesso il fatto";
- Nicolini Marino dai reati di cui ai capi 173 e 174 con la formula "il
fatto non sussiste";
- Poggiolini Duilio dai reati di cui ai capi 182 (per il residuo della
somma ivi indicata), 183, 184 e 185 (per il residuo delle somme ivi
indicate), 197, 199, 203, 204, 205, 207, 208, 209, 248, 253, con la
formula "il fatto non sussiste"; dal reato di cui al capo 249 con la
formula "il fatto non costituisce reato"; dai reati di cui ai capi 250,
251, 252, 254, 255 con la formula "per non aver commesso il fatto";
- Puttini Giuseppe dai reati di cui ai capi 59, 61, 63, 65, con la
formula "perche' il fatto non sussiste";
- Rinaldi Edo dal reato di cui al capo 52 con la formula "il fatto non
sussiste";
- Torricelli Tessitore Ernestina dal reato di cui al capo 140 con la
formula "il fatto non sussiste";
- dichiarava estinti per prescrizione il reato di cui al capo 12,
ascritto al Mantovani Azio e, previa concessione delle attenuanti
generiche, quello di cui al capo 101, ascritto al Santagata de Castro.
Su appelli proposti, per quanto di rispettivo interesse, dal Pubblico
Ministero e dagli imputati condannati, la corte d'appello di Napoli, con
la sentenza di cui in epigrafe, in parziale riforma della decisione di
primo grado, cosi' provvide, confermando nel resto la suddetta decisione:
- assolse:
- Balsano Francesco dai reati di cui ai capi 113 e 114 con la formula "il
fatto non sussiste";
- Binda Emilio dal reato di cui al capo 30 con la formula "il fatto non
costituisce reato";
- Brenna Antonio dai reati di cui ai capi 103, 131 e 132 con la formula
"il fatto non sussiste";
- Ferretti Carlo dai reati di cui ai capi 136, 139, 141, 142 e 143 con la
formula "il fatto non sussiste";
- Frajese Gaetano dal reato di cui all'art. 153 con la formula "il fatto
non sussiste";
- Michetti Roberto dal reato di cui al capo 30 con la formula "il fatto
non costituisce reato";
- Paderni Sergio dal reato di cui al capo 247 con la formula "il fatto
non sussiste";
- Poggiolini Duilio dal reato di cui al capo 192 con la formula "il fatto
non costituisce reato" e da quelli di cui ai capi 198 e 202 con la
formula "il fatto non sussiste";
- Rinaldi Edo dal reato di cui al capo 192 con la formula "il fatto non
costituisce reato";
- Torricelli Tessitore Ernestina dal reato di cui al capo 188 con la
formula "per non aver commesso il fatto";
- dichiaro' estinti per prescrizione, previa loro riqualificazione come
fatti di corruzione per atti non contrari ai doveri d'ufficio ( art. 318
c.p.):
- i reati di cui ai capi 102, 104, 105 (per la parte per cui vi era stata
condanna), 106, nonche' quello contestato all'udienza del 5 luglio 1999,
nei confronti di Balsano Francesco;
- i reati di cui ai capi 122 (per la parte per cui vi era stata condanna)
e 126, nei confronti di Brenna Antonio;
- il reato di cui al capo 200, nei confronti di Catelli Pietro;
- il reato di cui al capo 13, nei confronti di Della Valle Francesco;
- il reato di cui
Poggiolini Duilio;
al
capo
206
nei
confronti
di
Di
Maria
Pierr
e
- i reati di cui ai capi 133, 134, 135 (limitatamente alla somma di lire
5 milioni), 137, 138, 148, 149 e 150 nei confronti di Ferretti Carlo;
- il reato di cui al capo 152 nei confronti di Frajese Gaetano;
- i reati di cui ai capi 149 e 193 nei confronti di Golinelli Marino;
- i reati di cui ai capi 11 e 185 nei confronti di Mantovani Azio;
- il reato di cui al capo 172 nei confronti di Nicolini Marino;
- i reati di cui ai capi 177, 179, 180, 181, 184, 185, 187, 193, 194,
195, 200 (oltre a quello gia' ricordato di cui al capo 206), nei
confronti di Poggiolini Duilio;
- ridetermino' come segue le pene inflitte agli imputati a carico dei
quali rimanevano pronunce di condanna:
- anni tre di reclusione per Brenna Antonio, relativamente alla residua
imputazione di cui al capo 123;
- anni uno e mesi dieci di reclusione, con il beneficio della sospensione
condizionale, per Di Maria Pierr, relativamente ai reati di cui ai capi
211 e 212;
- anni quattro e mesi quattro di reclusione per Poggiolini Duilio,
relativamente ai residui reati di cui ai capi 176, 178, 182, 190, 196,
201;
- dispose trasmettersi al Pubblico Ministero, ai sensi dell'art. 521
c.p.p., comma 2, , gli atti relativi ai capi 186, 188, 189 e 191,
ritenendo che
concussione;
i
fatti
ivi
descritti
fossero
da
qualificare
come
- rigetto' le domande risarcitorie (accolte invece in primo grado) delle
costituite parti civili (Ministero della salute ed altri).
A sostegno di dette statuizioni di riforma osservo', in sintesi, la corte
d'appello:
- quanto all'assoluzione di Balsano Francesco dai reati di cui ai capi
113 e 114, che, per il primo di tali reati, essa costituiva la necessaria
conseguenza
della
ritenuta
inutilizzabilita'
delle
dichiarazioni
predibattimentali di Ricordati Giovanni, poi avvalsosi della facolta' di
non rispondere, e delle dichiarazioni dei testi Muller e Bergamini,
assunte per rogatoria, atteso che le prime non erano comprese nel
fascicolo del P.M. quando da esso erano stati tratti gli atti per la
formazione del fascicolo per il dibattimento e le seconde erano state
rese da soggetto del quale non poteva dirsi che fosse risultato
assolutamente impossibile l'esame dibattimentale, come previsto dall'art.
512 bis c.p.p.; per il secondo reato, le dichiarazioni rese dal
coimputato Pancera, su cui si basava essenzialmente l'accusa, oltre ad
apparire prive di adeguati riscontri, non erano neppure tali da rendere
configurabile il "pactum sceleris", avendo il Pancera dichiarato di
essersi indotto alla dazione per mero "timore reverenziale" nei confronti
del Balsano, senza alcun collegamento con la prospettiva dell'esame di
una pratica riguardante la ditta Boerhinger Mannheim;
- quanto all'assoluzione del Binda dal reato di cui al capo 30, che ad
essa doveva pervenirsi considerando che l'imputato, pur avendo ammesso di
essersi adoperato per l'effettuazione del versamento della somma di cui
all'imputazione sul conto svizzero di De Lorenzo, aveva pero' sostenuto,
non implausibilmente, di non essere stato a conoscenza dell'origine di
detta somma; assunto, questo, al quale non si sarebbe potuta validamente
contrapporre l'affermazione del coimputato Barbaro, secondo cui questi
avrebbe fatto presente che si trattava di "una tangente", in quanto priva
dei riscontri che sarebbero stati necessari, tenendo anche conto trattandosi di soggetto che si era avvalso della facolta' di non
rispondere in dibattimento - del disposto di cui all'art. 1, comma 2,
della legge n. 35/2000;
- quanto all'assoluzione di Brenna Antonio dai reati di cui ai capi 103,
131 e 132, che, per il primo di detti reati, le dichiarazioni accusatorie
del coimputato Rondanelli erano rimaste del tutto prive di riscontri, non
avendo esse trovato conferma in quelle del Poli, del Marone e del
Vittoria; per gli altri reati erano parimenti rimaste prive di riscontri
le dichiarazioni accusatorie del De Reviziis, peraltro avvalsosi in
dibattimento della facolta' di non rispondere;
- quanto all'assoluzione del Frajese dal reato di cui al capo 153, che,
contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale, le dichiarazioni
accusatorie dell'Aleotti, su cui si basava essenzialmente l'addebito, non
solo non avevano trovato riscontro alcuno in altre risultanze,
incontrando invece smentita in quelle di un teste (tale Malandrino)
addotto dalla difesa, ma non contenevano neppure una chiara indicazione
circa un collegamento tra le pretese dazioni e l'esame di pratiche
interessanti la ditta Menarini;
- quanto all'assoluzione del Michetti dal reato di cui al capo 30, che
anche per lui, come per il Binda, non vi erano elementi atti a smentire
il suo assunto che egli, pur dando il suo contributo per l'effettuazione
di una "operazione riservata" in Svizzera, non fosse a conoscenza della
illecita provenienza della somma di cui all'imputazione, basandosi la
contraria tesi accusatoria unicamente su indimostrate e non riscontrate
affermazioni del coimputato Morrione;
- quanto all'assoluzione del Paderni dal reato di cui al capo 247, che,
sulla base di quanto riferito, a conferma delle dichiarazioni
dell'imputato, dal teste Monorchio, gia' ragioniere generale dello Stato,
a fronte di dichiarazioni "estremamente generiche" del Marone, non era in
alcun modo sostenibile che il Paderni avesse avuto la possibilita' e
l'intenzione di influire sulla formazione della legge finanziaria in modo
da far da essa derivare uno specifico, indebito vantaggio per le ditte
farmaceutiche;
- quanto all'assoluzione del Poggiolini dai reati di cui ai capi 192, 198
e 202, che, per il primo di tali reati, dalle dichiarazioni concordanti
dell'imputato e del Rinaldi, emergeva con chiarezza come le dazioni di
quest'ultimo, ancorche' censurabili sotto il profilo dell'opportunita',
non erano finalizzate al compimento di atti d'ufficio, ma costituivano
solo un compenso, spontaneamente elargito, per una attivita' di
consulenza effettivamente svolta dal Poggiolini, in un settore assai
specifico e delicato qual'era quello della produzione di farmaci
emoderivati (il che valeva anche a giustificare l'assoluzione dello
stesso Rinaldi); per il secondo ed il terzo reato, non poteva riguardarsi
come "confessione" la semplice ammissione, da parte dell'imputato,
dell'avvenuta ricezione della somme di cui alle imputazioni, in assenza
di elementi atti a dimostrare che detta ricezione fosse collegata alla
stipulazione di un patto corruttivo;
- quanto all'assoluzione della Torricelli Tessitore dal reato di cui al
capo 188, che la stessa derivava dalla ritenuta configurabilita', sulla
base delle dichiarazioni della stessa imputata, del reato di concussione
a carico del Poggiolini;
- quanto alla ritenuta configurabilita', nei casi precedentemente
indicati, della meno grave ipotesi di reato di cui all'art. 318 c.p., in
luogo di quella originariamente contestata, che andava in essi fatta
applicazione, per le ragioni di volta in volta specificamente indicate,
del criterio di fondo illustrato alle pagg. 136 e segg. dell'impugnata
sentenza, secondo cui non potrebbe parlarsi di corruzione per atti
contrarsi ai doveri d'ufficio per il solo fatto che l'accettazione
dell'indebita promessa o dazione di danaro o altra utilita' comporta
violazione dei doveri di fedelta' e imparzialita' del pubblico ufficiale,
occorrendo invece che promessa o dazione siano finalizzate al compimento
di atti specificamente contrastanti con i doveri d'ufficio, non
riconoscibili come tali quando essi consistano in una mera "accelerazione
della pratica" o in una "garanzia del suo buon esito", ove questo non sia
contrario agli interessi della P.A. o ai diritti dei terzi e ad esso
altro non si frapponga se non un eventuale atteggiamento ostruzionistico
del pubblico ufficiale;
- quanto al rigetto delle domande risarcitorie, che l'interesse
direttamente tutelato dalle norme che prevedono come reato la corruzione
e' soltanto quello "'generale' dello Stato come collettivita' di persone,
non gia' un interesse individuale dello Stato persona giuridica, per cui
in caso di violazione del comportamento imposto a tutela di tale
interesse generale si realizza solo un illecito penale e lo Stato subisce
solo un danno sociale che va restaurato con la sanzione penale. Non si
realizza anche un illecito civile perche' non vi e' la violazione di un
diritto soggettivo dello stato-persona giuridica".
A sostegno, per converso, delle statuizioni di conferma della sentenza di
primo grado osservo', in sintesi, la corte d'appello:
- quanto all'assoluzione degli imputati dal reato associativo cui il
medesimo era stato contestato, che, alla stregua delle acquisite
risultanze probatorie, posto che doveva darsi per acquisito, nella
prospettazione accusatoria, che esistesse un'associazione per delinquere
formata da De Lorenzo, Marone e Vittoria, non vi erano tuttavia elementi
di sorta per ritenere provato che di essa avessero fatto parte anche
Balsano, Brenna, Ferretti, Frajese, Nicolini e Poggiolini, i cui rapporti
illeciti con le ditte farmaceutiche, se ed in quanto esistenti,
prescindevano totalmente dalle finalita' e dagli interessi sottesi alla
suddetta associazione;
- quanto alle assoluzioni per i singoli episodi di corruzione, che
mancasse, per le ragioni di volta in volta indicate, la prova di accordi
corruttivi correlati ad atti d'ufficio, ovvero della consapevole adesione
ad essi da parte degli imputati (e' il caso dei capi 108, 110, 111
addebitati a Balsano; dei capi 128, 129, 130 addebitati a Brenna; dei
capi 154, 156 e 157, addebitati a Frajese; dei capi 173 e 174 addebitati
al Nicolini; dei capi 197, 203, 204, 205, 207, 208, 209, 248, 250, 251,
252, 253, 254, 255, addebitati a Poggiolini e, in parte, alla Di Maria,
conseguente assolta, per insussistenza del reato presupposto, anche
dall'addebito di ricettazione di cui al capo 210; del capo 30 addebitato
al Garofano e al Michetti; del capo 37 addebitato al Gironda; dei capi
59, 61, 63, 65 addebitati al Puttini; del capo 140 addebitato alla
Torricelli Tessitore), oppure che mancassero i necessari, specifici
elementi di riscontro a dichiarazioni genericamente confessorie rese
dall'imputato (e' il caso dei capi 140, 144, 145, 146, 151, addebitati a
Ferretti);
- quanto alle pronunce di condanna per gli altri episodi, che le stesse
trovavano giustificazione nelle acquisite risultanze probatorie e,
segnatamente:
- per il Brenna (capo 123), nelle dichiarazioni accusatorie del Cavazza,
ampiamente riscontrate dalle ammissioni dello stesso Brenna, dalle quali
emergeva che quest'ultimo, in cambio delle somme ricevute, era in grado
non solo di "accelerare" (cosa di per se' non contraria ai doveri
d'ufficio) il corso delle pratiche interessanti la ditta Sigma Tau, ma
anche di "scavalcare" (cosa da ritenersi invece contraria ai suddetti
doveri) le pratiche di altre ditte;
- per la Di Maria (capi 211 e 212), nella incontestata effettuazione
delle descritte operazioni, accompagnata dalla consapevolezza, che
l'imputata, per i suoi stretti rapporti con il Poggiolini, non poteva non
avere circa la illecita provenienza delle somme e dei valori di cui alle
imputazioni;
- per il Poggiolini, nella ritenuta, accertata esistenza di situazioni
nelle quali solo il prezzolato appoggio dell'imputato avrebbe potuto
garantire un esito favorevole, altrimenti assai incerto, o peggio, delle
pratiche cui le ditte pagatrici erano interessate, avuto riguardo ai
dubbi ed alle riserve oggettivamente prospettabili sulla effettiva
validita'
dei
farmaci
proposti
e
sull'assenza
in
essi
di
controindicazioni gravi (e' il caso, in particolare, dei capi 176, 178,
190, 196, 201), ovvero nel ritenuto, indebito "scavalcamento, anche in
questo caso, di altre pratiche da parte di quelle "accelerate" (e' il
caso del capo 182):
- per il Masi de Vargas (capo 88), nelle convergenti dichiarazioni
accusatorie del Marone e del Giannotti (gia' coimputato del Masi de
Vargas) avvalorate anche da quelle del teste a difesa Donzelli, dal
complesso delle quali risultava smentita la tesi difensiva secondo cui
l'imputato
avrebbe
solo
inteso
versare
un
contributo,
senza
contropartita, in favore del P.L.I.;
- quanto alla declaratoria di estinzione per prescrizione del reato di
favoreggiamento reale ascritto al Santagata de Castro, che essa andava
confermata,
dovendosi
escludere,
sulla
base
delle
convergenti
dichiarazioni del Marone e di tali Giovagnoni Modestino e De Vivo Claudio
(gia' coimputati nel medesimo reato), la asserita inconsapevolezza, da
parte del Santagata de Castro, tanto della provenienza delle somme fatte
fittiziamente figurare come contributi di privati quanto delle finalita'
di copertura dell'operazione.
Avverso la sentenza d'appello hanno proposto ricorso per Cassazione il
Procuratore Generale presso la corte d'appello di Napoli, l'Avvocatura
dello Stato e gli imputati Balsano, Brenna, Di Maria, Ferretti, Frajese,
Golinelli, Mantovani, Masi De Vargas, Nicolini, Poggiolini e Santagata.
Il Procuratore Generale ricorrente ha chiesto l'annullamento con rinvio
della sentenza impugnata relativamente a tutte le statuizioni assolutorie
dianzi ricordate, sulla base tanto di argomentazioni di ordine generale contestando, in particolare, la validita' del criterio di distinzione
seguito dalla corte di merito tra corruzione propria e corruzione
impropria - quanto di diffuse argomentazioni basate, per i singoli
addebiti, sulle risultanze processuali, a sostegno di denunciati vizi di
motivazione. E' stato anche chiesto l'annullamento della disposta
trasmissione degli atti al P.M. relativamente ai capi per i quali la
corte d'appello ha ritenuto configurarle la concussione. L'avv. Alfonso
Stile, nell'interesse degli imputati Rinaldi Edo e Binda Emilio, l'avv.
Nerio Dioda', nell'interesse dell'imputato Brenna Antonio, e l'avv. Corso
Bovio, nell'interesse dell'imputato Gironda Gianpaolo, hanno prodotto
memorie con quali chiedono che il ricorso del P.G. sia dichiarato
inammissibile o, in subordine, rigettato.
Balsano Francesco, con atto a firma del difensore di fiducia avv. Alfonso
Furgiuele,
ha
denunciato
come
ingiustificata
la
ritenuta
configurabilita', relativamente ai reati di cui ai capi 102, 104, 105,
106 ed al capo relativo al reato contestato in udienza, del reato di
cui all'art. 318 c.p., sostenendo che anche con riguardo a detti reati si
sarebbe dovuto pervenire ad un'assoluzione con formula ampiamente
liberatoria; tesi, poi, ulteriormente illustrata in successive, ampie
note difensive.
Brenna Antonio ha denunciato:
- con atto a firma dell'avv. Nerio Dioda':
1) manifesta illogicita' di motivazione in ordine alla ritenuta
responsabilita' per il reato di cui al capo 123, sostenendo che, in
realta', da nessun elemento sarebbe stato possibile ricavare la prova del
preteso "scavalcamento" di altre pratiche a favore di quelle favorite
dietro compenso; "scavalcamento" che, d'altra parte, sarebbe stato
negato, in via generale, con riguardo a tutti gli episodi oggetto di
giudizio, dalla stessa sentenza d'appello;
2) 3) violazione di legge processuale e carenza di motivazione,
unitamente ad erronea applicazione della legge penale, sostenendo che
erroneamente, con riguardo ai capi 122, 123 e 126, le dichiarazioni rese,
rispettivamente, da Zambeletti, Cavazza e Fontana, sarebbero state
ritenute riscontrabili sulla base di quelle rese da esso imputato e che
sarebbe stato pertanto da escludere ogni prova della responsabilita' di
quest'ultimo, anche sotto il profilo di cui all'art. 318 c.p.;
4) carenza
generiche;
di
motivazione
in
ordine
al
diniego
delle
attenuanti
- con atto a firma dell'avv. Antonio Fiorella, difetto di motivazione,
prospettato sotto diversi profili (in larga parte coincidenti con quelli
illustrati nel ricorso a firma del codifensore), in ordine alla ritenuta
configurabilita' tanto della corruzione propria, relativamente al capo
123, quanto di quella impropria, relativamente ai capi 122 e 126, come
pure in ordine al diniego delle attenuanti generiche;
Di Maria Pierr,
denunciato:
con
atto
a
firma
dell'avv.
Carlo
Marchialo,
ha
1) violazione della legge cost. 16 gennaio 1989 n. 1, della legge 5
giugno 1989, n. 219 e degli artt. 34 c.p.p. e art. 178 c.p.p., lett. a),
sull'assunto che, anche alla, luce della recente sentenza n. 134/2002
della Corte costituzionale, sarebbe stata da riconoscere la nullita' del
rinvio a giudizio disposto dallo speciale collegio per i reati
ministeriali anziche' dal giudice dell'udienza preliminare;
2) inosservanza od erronea applicazione dell'art. 1, comma 2, del D.L. 7
gennaio 2000, n. 2, conv. con modif. in legge 25 febbraio 2000 n. 35,
nonche' dell'art. 26, comma 4, della legge 1 marzo 2001 n. 63 e degli
artt. 500, 511 4 e segg. e 526 c.p.p., sull'assunto che erroneamente le
dichiarazioni del coimputato Poggiolini, poi avvalsosi della facolta' di
non rispondere, sarebbero state considerate acquisite alla data in cui
erano state utilizzate per contestazioni anziche' a quella, successiva,
del 4 maggio 2000, in cui l'acquisizione era stata formalmente disposta
con
ordinanza
del
tribunale,
ed
erroneamente,
quindi,
essendo
quest'ultima data posteriore a quella del 25 febbraio 2000, prevista dal
citato
art. 26,
comma
4,
della legge
n.
63/2001,
le
suddette
dichiarazioni sarebbero state ritenute utilizzabili nei confronti della
ricorrente;
3) violazione od erronea applicazione degli artt. 318 c.p. e art. 129
c.p.p., sull'assunto che, in assenza di qualsivoglia prova di
colpevolezza anche in ordine al reato di cui all'art. 318 c.p., la
ricorrente sarebbe stata da assolvere con formula piena dall'addebito
contestato al capo 206;
4) violazione od erronea applicazione dell'art. 379 c.p., unitamente a
mancanza o manifesta illogicita' di motivazione, sull'assunto che
erroneamente
ed
ingiustificatamente
sarebbe
stata
affermata
la
responsabilita' dell'imputata per i fatti di cui ai capi 211 e 212,
attese la oggettiva inidoneita' della condotta addebitatale a costituire
"aiuto" per il Poggiolini e l'assenza di valida prova in ordine
all'elemento psicologico del reato;
5) inosservanza od erronea applicazione degli artt. 210, 235 e 240
c.p. in ordine alla mantenuta confisca, nonostante il proscioglimento dal
reato di cui al capo 206, della somma di lire 10.526.000.000;
6) violazione dell'art. 62-bis c.p. per il mancato riconoscimento delle
attenuanti generiche.
Ferretti Carlo, con atto a firma degli avv.ti Vincenzo Siniscalchi e
Luigi Ferrante, ha denunciato violazione di legge e vizio di motivazione
sull'assunto, in sintesi, che erroneamente sarebbe stata affermata la
"penale responsabilita'" dell'imputato in assenza di elementi indicativi
degli atti d'ufficio ai quali le indebite dazioni sarebbero state
collegabili e, quindi, della stessa esistenza degli accordi corruttivi.
Frajese Gaetano,
denunciato:
con
atto
a
firma
dell'avv.
Giuseppe
Gianzi,
ha
1)
"violazione dell'art.
606
c.p.p.,
lett.
b),
c)
ed
e)
in
relazione all'art. 129 c.p.p. nonche' all'art. 318 c.p. ed agli artt.1,
comma 2, della legge n. 35/2000, 26 della legge n. 63/2001 e art. 192
c.p.p. n. 3", sull'assunto, in sintesi, che l'ipotizzata responsabilita'
del ricorrente per il reato di cui al capo 152, ancorche' derubricato in
corruzione impropria, sarebbe stata comunque da escludere per la non
utilizzabilita' delle dichiarazioni predibattimentali di Zambeletti,
avvalsosi della facolta' di non rispondere, in assenza di altri elementi
di prova che le confermassero;
2) "violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b), c) ed e), in relazione
agli artt. 357 e 318 c.p. nonche' all'art. 129 c.p.", per essersi
erroneamente ritenuta la sussistenza, in capo al ricorrente, della
qualita' di pubblico ufficiale, atteso il carattere meramente consultivo
della commissione per la determinazione del prezzo dei farmaci, di cui
egli faceva parte.
Golinelli Mario, con atto a firma dell'avv. Luigi Cavalli, ha denunciato
la
nullita'
della
"vocatio
in
jus"
per
le
stesse
ragioni,
sostanzialmente, gia' indicate nel motivo n. 1 del ricorso proposto
nell'interesse della Di Maria. Con successive note illustrative la difesa
del Golinelli, oltre a ribadire la suddetta ragione di doglianza, ha
sostenuto la inammissibilita' del ricorso del P.G., nella parte in cui
censura la ritenuta sussistenza della corruzione impropria in luogo di
quella propria, come pure l'inammissibilita' o, comunque, l'infondatezza
del ricorso della parte civile.
Mantovani Azio, con atto a firma degli avvocati Simon Pietro Ciotti e
Claudio Botti, ha denunciato mancanza di motivazione in ordine alla
ritenuta configurabilita' del reato di corruzione, sia pure impropria,
sull'assunto che sarebbero state indebitamente ignorate le risultanze,
indicate nell'atto di gravame, dalle quali sarebbe stata desumibile
l'assenza di qualsivoglia accordo corruttivo.
Masi de Vargas Machuca Claudio M., con atto a firma dell'avv. Marinella
De Nigris, ha denunciato:
1) incompetenza territoriale del tribunale di Napoli, sull'assunto che
l'attivita' addebitata ad esso ricorrente sarebbe stata posta in essere a
Roma;
2) incompetenza funzionale del collegio per i reati ministeriali a
disporre il rinvio a giudizio, per ragioni analoghe a quelle esposte
dalle difese dei ricorrenti Di Maria e Golinelli;
3) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al confermato
giudizio di responsabilita' dell'imputato basato - si afferma - su
motivazione
"insufficiente
e
contraddittoria",
che
non
valutava
adeguatamente e correttamente le risultanze, ampiamente illustrate
nell'atto di gravame, in base alle quali, contrariamente a quanto
ritenuto dai giudici di merito, sarebbe stata pienamente attendibile la
versione dei fatti fornita dal ricorrente e sarebbe stata comunque da
escludere la figura della corruzione propria;
4) vizio di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche e
di quelle di cui agli artt. 114 c.p. e art. 62 c.p.n. 6, nonche' in
ordine all'applicazione della pena accessoria dell'incapacita' di
contrattare con la pubblica amministrazione per la durata di un anno.
Nicolini Marino, con atto a firma dell'avv. Diego Abate, poi seguito da
ulteriori note illustrative, ha denunciato violazione dell'art. 606
c.p.p.,
lett.
d)
ed
e),
sull'assunto
che
sarebbe
stata
ingiustificatamente disattesa la richiesta di audizione di un teste
indicato dalla difesa, il quale avrebbe dovuto riferire dell'avvenuta
corresponsione, da parte del ricorrente, della complessiva somma di lire
15.000.000
al
comitato
organizzativo
di
convegni
scientifici
effettivamente
tenutisi,
con
conseguente
esclusione
della
configurabilita' della corruzione, sia pure impropria, anche con riguardo
ai fatti di cui al capi 172.
Poggiolini Duilio, con atto a firma propria e degli avv.ti Vincenzo
Siniscalchi e Luigi Ferrante, poi seguito da ulteriori note illustrative,
ha denunciato:
1) nullita' dell'instaurazione del giudizio di primo grado, per
violazione dell'art. 3, comma 1, della legge n. 219/1989, per ragioni
sostanzialmente identiche a quelle poste a base delle analoghe doglianze
espresse nei ricorsi proposti nell'interesse di Di Maria, Golinelli e
Masi de Vargas;
2) mancanza di prove, tanto con riguardo ai casi di ritenuta
responsabilita' dell'imputato per i reati di corruzione propria
originariamente contestati quanto con riguardo a quelli in cui vi e'
stata derubricazione nella meno grave ipotesi di reato di cui all'art.
318 c.p., di un riconoscibile nesso fra la percezione di danaro o altre
utilita' e l'attivita' di pubblico ufficiale del ricorrente;
3) inesistenza di elementi atti a rendere configurabile, relativamente ai
fatti di cui ai capi 186, 188, 189, 191, per i quali vi e' stata
trasmissione degli atti al P.M., l'ipotizzato reato di concussione;
4) ingiustificato ed immotivato rifiuto della rinnovazione parziale del
dibattimento, chiesta in particolare per l'acquisizione, gia' richiesta e
non ottenuta in primo grado, di importante documentazione indicata dalla
difesa, volta a porre in chiaro le effettive funzioni e competenze del
ricorrente, nonche' per l'effettuazione di perizie sulla movimentazione
dei conti correnti di cui il ricorrente aveva la disponibilita' e sui
ritmi di trattazione delle pratiche, onde verificare se taluna di esse
fosse stata indebitamente accelerata o favorita;
5) erroneita' della mancata revoca della confisca disposta dal tribunale
su somme di danaro in sequestro;
6) ingiustificatezza della mancata derubricazione anche dei reati di
corruzione per atto contrari ai doveri d'ufficio relativamente ai quali
e' stata invece confermata la responsabilita' del ricorrente;
7) ingiustificatezza del mantenuto diniego delle attenuanti generiche
(nonostante l'ampia e decisiva collaborazione prestata dal Poggiolini nel
corso del procedimento e le sue dimostrate, pregresse benemerenze
scientifiche e amministrative), come pure del mantenuto diniego
dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p. n. 6, a fronte della messa a
disposizione di una somma addirittura maggiore di quella contestata,
nonche' mancanza di motivazione in ordine al mancato accoglimento di
applicazione della pena ex art. 448 c.p.p..
Il primo motivo di ricorso e' stato poi ulteriormente illustrato con
memoria datata 23 giugno 2003, a firma dei soli difensori.
Santagata de Castro Carlo, con atto a firma dell'avv. Massimo Krogh, ha
denunciato:
1)
erronea
applicazione dell'art.
379
c.p.,
in
relazione
all'art. 4 della legge n. 659/1981, sull'assunto che la condotta
addebitata al ricorrente sarebbe stata, tutt'al piu', qualificabile come
concorso nel reato di finanziamento illecito del partito, ma non come
reato di favoreggiamento reale;
2) ulteriore erronea applicazione delle stesse norme, sull'assunto che,
essendo stato depenalizzato il reato di cui all'art. 4 della legge n.
659/1981, non sarebbe stato piu' configurabile, per mancanza del reato
presupposto, neppure quello di favoreggiamento reale;
3) mancanza di motivazione in ordine al mancato accoglimento del motivo
d'appello con il quale il Santagata aveva rappresentato "di essersi
determinato ad aiutare il De Lorenzo in quanto lo stesso gli aveva
rappresentato una realta' storica diversa da quella reale".
L'Avvocatura dello Stato, nell'interesse del Ministero della salute,
costituitosi
parte
civile,
ha
denunciato
come
ingiustificata
e
giuridicamente erronea la ritenuta esclusione, da parte della corte
territoriale, del diritto di detto Ministero al risarcimento dei danni,
patrimoniali e non patrimoniali, conseguenti ai reati per i quali vi e'
stata condanna, contestando, al riguardo, l'assunto di detta corte
secondo cui tali reati, comportando lesione soltanto di interessi
generali, sarebbero stati insuscettibili di produrre danni di cui la P.A.
potesse invocare il risarcimento. La difesa di Catelli Pietro ha prodotto
memoria, poi seguita da note d'udienza, con la quale chiede che il
ricorso dell'Avvocatura dello Stato sia dichiarato inammissibile.
Analoga richiesta e' stata avanzata con altre memorie prodotte dalla
difesa di Porporati Guido e Vailati Carlo, figuranti fra gli imputati nel
giudizio di primo grado, ma non fra gli attuali ricorrenti o fra coloro
nei confronti dei quali risulta proposto il ricorso del Procuratore
Generale.
Motivi della decisione
Iniziando l'esame dei ricorsi da quello proposto dal Procuratore
Generale, ritiene anzitutto la Corte, con riguardo alle principali (se
non uniche) censure in punto di diritto portate alla sua attenzione, e
cioe' quelle concernenti il criterio di distinzione tra corruzione
propria e corruzione impropria, che esse non colgano nel segno.
Nei casi, infatti, nei quali e' stata ritenuta la configurabilita' della
corruzione impropria, prevista dall'art. 318 c.p., la condotta posta in
essere dagli imputati, secondo la insindacabile ricostruzione in fatto
operata dalla corte territoriale, era essenzialmente consistita in una
mera accelerazione delle pratiche interessanti le ditte che avevano
comprato il favore dei pubblici ufficiali, senza che da cio' derivasse
danno ne' per la pubblica amministrazione ne' per altre ditte, nel senso
di una loro pretermissione o posposizione rispetto a quelle favorite. Non
puo' dunque dirsi che una tale condotta desse luogo a quella congiunta
violazione di specifici doveri di fedelta', imparzialita' ed onesta' che
caratterizza l'atto contrario ai doveri d'ufficio (in tal senso, fra le
altre, Cass. 6°, 15 febbraio-25 marzo 1999 n. 3945, P.G. in proc. Di
Pinto ed altri, RV 213884), dovendo essa piuttosto qualificarsi come
violazione di un generico dovere di correttezza, suscettibile, come tale,
di assumere rilevanza, se frutto di indebite prestazioni o promesse di
danaro o altre utilita', soltanto sotto il profilo della corruzione
impropria (si vedano, in proposito, fra le altre: Cass. 6°, 15 marzo-20
maggio 1993 n. 5227, D'Annibale, RV 194036; Cass. 6°, 15 novembre 1994-11
maggio 1995 n. 5403, Roncaglia ed altri, 201815; Cass. 6°, 12 novembre
1998-1 febbraio 1999 n. 3529, Sabatini, RV 212566; Cass. 6°, 16 ottobre11 dicembre 1998 n. 12990, P.G. in proc. Berlusconi ed altri, RV 212315,
la quale ultima, in particolare, riguarda proprio un caso in cui
l'attivita' posta in essere dal corrotto consisteva nell'"agevolare e
velocizzare" le pratiche a lui affidate). Ne', d'altra parte, la
corruzione impropria sarebbe stata escludere (come sembrerebbe essersi
voluto sostenere da parte del ricorrente ufficio con riguardo a talune
specifiche posizioni quali, in particolare, quelle di Balsano, Ferretti,
Frajese), per il solo fatto che l'attivita' dei pubblici ufficiali
presentasse margini piu' o meno ampi di discrezionalita'. Basti
ricordare, in proposito, come questa Corte abbia gia' piu' volte chiarito
che la suddetta ipotesi di reato e' configurabile anche con riguardo ad
atti discrezionali, ben potendo questi risultare comunque idonei alla
migliore soddisfazione dell'interesse pubblico, nonostante che il loro
compimento sia dipeso dall'accettazione di una indebita retribuzione
(cosi', in particolare, Cass. 6°, 8 novembre-17 dicembre 1996 n. 10851,
Malossini ed altri, RV 206225; nello stesso senso, Cass. 6°, 12 giugno-15
dicembre 1997 n. 11462, Albini, RV 209699). Semmai, posto che (sempre
secondo la insindacabile ricostruzione dei fatti operata dalla corte di
merito), nei casi anzidetti i privati avrebbero operato essenzialmente al
fine di evitare eventuali atteggiamenti ostruzionistici da parte dei
pubblici ufficiali (dei quali, quindi, deve ritenersi che vi fosse una
qualche ragione di aver timore), sarebbe stato piuttosto ipotizzabile, in
via puramente astratta, il reato di concussione, nella forma, in
particolare, della c.d. "concussione ambientale". Nessuna doglianza
risulta tuttavia proposta in tal senso, avendo, anzi, il ricorrente
ufficio censurato anche l'ordinanza con la quale la corte d'appello, come
si e' visto, ha disposto la trasmissione degli atti all'ufficio del
Pubblico Ministero relativamente a talune posizioni per le quali era
stata appunto ritenuta configurabile l'ipotesi della concussione;
censura, quella anzidetta, la cui inammissibilita' appare, d'altro canto,
manifesta, in quanto avente ad oggetto un provvedimento di natura
meramente ordinatoria, la cui attuazione lascia aperto ogni possibile
esito in ordine al merito degli addebiti, anche sotto il profilo della
loro qualificazione giuridica. Per il resto, le doglianze espresse nel
ricorso con riguardo alle singole posizioni, come pure con riguardo
all'addebito di associazione per delinquere, contestato agli imputati
investiti di funzioni pubbliche, si presentano chiaramente inammissibili,
in quanto caratterizzate dalla prospettazione non di veri e propri vizi
di legittimita' (e, in particolare, del pur denunciato vizio di
motivazione), ma di elementi e valutazioni di puro fatto, sulla base dei
quali, ad avviso del ricorrente ufficio, si sarebbe dovuto pervenire ad
una affermazione di penale responsabilita' in tutti i casi nei quali vi
era stata invece pronuncia di assoluzione o proscioglimento. E che tali
siano in effetti le connotazioni delle proposte censure risulta
pressoche' confessato "apertis verbis" nella stessa formulazione
dell'atto di gravame, in cui sistematicamente si denuncia che la
motivazione dell'impugnata sentenza sarebbe "non aderente" (o altra
analoga espressione), alle "risultanze processuali", in genere costituite
da dichiarazioni rese dagli imputati o da altri soggetti nel corso
dell'istruttoria dibattimentale, di cui si lamenta la mancata o distorta
valutazione da parte della corte di merito (ved. ad es., pagg. 16, 19,
27, 31, 53, 58, 63, 67, 70, 77, 85, 90, 93, 98, 100, 122, 127, 133, 164,
166, 175, 177, 182, 184, 187, 190, 195, 197, 199, 204, 207, 213), senza
porsi neppure lontanamente il problema di come un siffatto genere di
doglianze possa conciliarsi con il chiaro e tassativo disposto dell'art.
606, comma 1, lett. e), per il quale il vizio di motivazione e'
denunciabile solo in quanto esso consista in "mancanza o manifesta
illogicita'" della motivazione stessa (laddove nel ricorso, onestamente
ma anche significativamente, si parla quasi sempre di motivazione
soltanto "inadeguata", "insufficiente" o "contraddittoria") e detta
mancanza o manifesta illogicita' emerga non dagli atti o dalle
"risultanze processuali" ma "dal testo del provvedimento impugnato"; il
che esclude - come questa Corte ha innumerevoli volte ripetuto - che
sotto l'egida del vizio di motivazione possa proporsi una rilettura
critica delle valutazioni operate dal giudice di merito sovrapponendo ad
esse quelle, sia pur plausibili, espresse dal ricorrente, quando le
prime, a loro volta, si presentino anch'esse come non prive di
ragionevolezza e plausibilita' logico-giuridica; e cio' tanto piu' in
quanto la decisione impugnata sia stata di assoluzione giacche', mentre
la pronuncia di condanna deve basarsi su di una ricostruzione del fatto e
dell'elemento soggettivo da cui emerga la prova della responsabilita'
dell'imputato "al di la' di ogni ragionevole dubbio" (ved. per tutte, in
tal senso, Cass. S.U. 10 luglio-11 settembre 2002 n. 30328, Franzese) il che implica che detta ricostruzione deve anche risultare come
l'"unica" ragionevole e plausibile, ad esclusione di tutte le altre
astrattamente prospettabili - nel caso invece di pronuncia assolutoria e'
necessario e sufficiente che l'apparato argomentativo che la sostiene non
presenti lacune o salti logici evidenti, nulla rilevando che ad esso
possa ragionevolmente contrapporsi un altro apparato argomentativo
teoricamente idoneo a sostenere l'ipotesi della colpevolezza. La non
irragionevolezza del primo, infatti, esclude di per se', "per la
contraddizion che nol consente", l'idoneita' del secondo ad accreditarsi
come l'unico dotato di ragionevolezza e, quindi, tale da giustificare
l'affermazione di responsabilita'. E, d'altra parte, non puo' non valere,
anche per le impugnazioni proposte dalla pubblica accusa, il principio di
carattere generale costantemente affermato da questa Corte secondo cui il
giudice del merito non ha l'obbligo di prendere in esame e confutare
tutte indistintamente le deduzioni delle parti, essendo invece necessario
e sufficiente che egli dia conto del suo convincimento basandosi su
elementi ed argomentazioni validi a sostenerlo, tra cui debbono essere
presenti tutti e soltanto quelli oggettivamente dotati di potenziale
decisivita'. (in tal senso, fra le altre, Cass. 2°, 10 novembre 2000-2
aprile 2001 n. 13151, Gianfreda ed altri, RV 218590).
Passando quindi all'esame dei ricorsi proposti dagli imputati, ritiene la
Corte che nessuno di essi possa essere accolto, per le ragioni di seguito
indicate.
Ricorso Balsano:
In esso si lamenta unicamente la mancata assoluzione nel merito in luogo
della dichiarata estinzione, per prescrizione, del reato di cui all'art.
318 c.p., alle cui previsioni, piuttosto che a quelle della piu' grave
ipotesi di reato originariamente contestata, prevista dall'art. 319 c.p.,
e' stata ritenuta riconducibile la condotta addebitata all'imputato ai
capi 102, 104, 105, 106 ed a quello contestato all'udienza del 5 luglio
1099. Al riguardo va anzitutto ricordato il principio gia' affermato piu'
volte da questa Corte secondo cui: "In presenza di una causa di
estinzione del reato non sono rilevabili in Cassazione vizi di
motivazione della sentenza, perche' l'inevitabile rinvio della causa
all'esame del giudice di merito dopo la pronuncia di annullamento e'
incompatibile
con
l'obbligo
dell'immediata
declaratoria
di
proscioglimento per intervenuta estinzione del reato, stabilito dal primo
comma dell'art. 129 c.p.p." (Cass. 5°, 24 giugno-7 agosto 1996 n. 7718,
P.M. in proc. Battaglia, RV 205548; negli stessi termini, ma con
riferimento alla corrispondente disposizione di cui all'art. 152 del
codice di rito previgente, Cass. S.U. 21 ottobre 1992-22 febbraio 1993 n.
1653, Marino ed altri, RV 192471). Di tale principio ha mostrato di
essere ben consapevole anche l'accorta difesa del ricorrente la quale,
proprio facendo ad esso riferimento, ha chiesto l'annullamento senza
rinvio della gravata decisione, con pronuncia di proscioglimento nel
merito, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., comma 2, postulando la
rilevabilita', dalla sola lettura dell'impugnata sentenza - attesa la
riconosciuta inaccessibilita', da parte della Corte di Cassazione, degli
atti del procedimento - degli elementi dimostrativi di un qualsivoglia
accordo corruttivo, sia pure per il compimento di atti non contrari ai
doveri d'ufficio. In particolare, la difesa ha posto in luce come, sulla
base di quanto risultava accertato dalla corte di merito, il Balsano non
avesse in alcun modo accelerato ne' avesse possibilita' alcuna di
accelerare l'esame delle pratiche a lui affidate, essendo fissato
l'ordine del giorno dal comitato di presidenza di cui egli non faceva
parte; quanto, poi, all'ipotesi che il preteso accordo corruttivo avesse
ad oggetto non (o non soltanto) l'accelerazione, ma anche l'agevolazione
di un buon esito delle pratiche, ha sostenuto che la stessa sarebbe stata
parimenti da escludere, atteso che i pur ammessi versamenti di danaro di
cui ai singoli capi d'imputazione, poi pacificamente destinati dal
ricorrente alla fondazione scientifica A. Cesalpino, di cui egli era
presidente, sarebbero stati finalizzati soltanto ad una generica
"captatio benevolentiae" del Balsano in detta sua ultima qualita', e non
in quella di componente della Commissione farmaci, peraltro neppure in
carica all'atto in cui taluni dei versamenti in questione erano avvenuti.
Ritiene la Corte - senza nulla togliere alla plausibilita' di siffatte
prospettazioni - che esse non possano, tuttavia dar luogo all'unico
sbocco favorevole alla difesa che, come da essa stessa riconosciuto,
sarebbe, in questa fase, possibile, e cioe' la riconoscibilita' non "ex
actis" ma dalla sola motivazione della sentenza impugnata di quella
"evidenza" della non colpevolezza richiesta dall'art. 129 c.p.p., comma
2, perche', pur in presenza di una causa estintiva del reato, possa
addivenirsi al proscioglimento dell'imputato nel merito. In particolare,
per quanto riguarda la rappresentata estraneita' del ricorrente
all'attivita' di fissazione dell'ordine del giorno e l'assenza, quindi,
da parte sua, della concreta possibilita' di accelerare l'esame di talune
pratiche, va anzitutto ricordato che l'art. 318 c.p., prevede come reato
la ricezione di retribuzione non dovuta, o della relativa promessa, "per
compiere" atti d'ufficio, nulla rilevando, quindi, ai fini della
configurabilita' dell'illecito, al pari di quanto si verifica nella
corrispondente ipotesi di cui all'art. 319 c.p., che gli atti in
questione siano poi effettivamente compiuti o meno (in tal senso, fra le
altre, Cass. 6°, 16 maggio 1997 n. 1972, Pacini Battaglia, RV 210048). Il
fatto poi che gli atti cui la retribuzione o la promessa si riferiscono
non rientrino nelle specifiche mansioni del pubblico ufficiale non e', di
per se', determinante ai fini della esclusione del reato, essendo
necessario e sufficiente che trattisi di atti rientranti comunque nella
competenza dell'ufficio cui il pubblico ufficiale appartiene ed in
relazione ai quali egli abbia o possa avere una qualche possibilita' di
ingerenza, sia pure di mero fatto (ved., in proposito, ad es.: Cass. 6°,
9 dicembre 1989-24 agosto 1990 n. 11737, Micoli; Cass. 6°, 3 dicembre
1993-8 febbraio 1994 n. 1449, Bonetto, RV). E non appare ragionevolmente
contestabile che chi, come il ricorrente, faceva parte della Commissione,
potesse, di fatto, nell'ambito dei rapporti con gli altri componenti ed
addetti all'ufficio, ivi compresi quelli del comitato di presidenza,
rappresentare quanto meno l'opportunita' di una piu' o meno sollecita
trattazione di determinate pratiche. Per quanto riguarda poi l'ipotesi
dell'"agevolazione" delle pratiche, cioe' di un loro positivo esito
(ancorche' non contrastante con gli interessi della P.A.), rileva la
Corte come la difesa del ricorrente, nel sostenere la propria tesi, si
sia largamente posta in contrasto con le premesse da essa stessa
correttamente individuate, in punto di diritto. Ed infatti, con riguardo
anzitutto al capo 102, si lamenta, nel ricorso, in via prioritaria, il
fatto che siano state "inspiegabilmente del tutto ignorate" determinate
prove testimoniali e documentali e siano stati altresi' "completamente
ignorati i numerosi elementi obiettivi specificamente e analiticamente
prospettati con l'atto di appello", al pari della deposizione, ritenuta
fondamentale, della prof.ssa Santucci e del prof. Mangiapelo; il che
equivale, con ogni evidenza, alla rappresentazione, ne' piu' e ne' meno,
di un ipotetico vizio di motivazione, non rilevabile, come si e' visto,
in sede di legittimita' quando sia gia' presente una causa di estinzione
del reato. Vero e' che, subito dopo, la difesa ripropone la tesi della
rilevabilita'
dalla
sola
sentenza
degli
elementi
indicativi
dell'insussistenza del reato, ma lo fa con argomentazioni da riguardarsi,
ad avviso della Corte, come del tutto inidonee a sostenere l'assunto,
essendosi essa richiamata alla riconosciuta (in sentenza) esistenza di
precedenti e successive elargizioni da parte della soc. Pfizer italiana
alla fondazione Cesalpino, per il tramite del prof. Balsano, nonche' alla
parimenti riconosciuta inesistenza di indizi dai quali potesse desumersi
che la pratica interessante la suddetta societa', relativa ad un farmaco
denominato "zooloft", fosse stata "agevolata illegittimamente". In
proposito, basti osservare che delle precedenti e successive elargizioni,
effettuate nell'agosto del 1990 e nel gennaio del 1992 (quale che fosse
il significato ad esse attribuibile), si parla, a pag. 292 dell'impugnata
sentenza, come di fatti non accertati obiettivamente, ma riferiti dallo
stesso Balsano all'udienza del 23 dicembre 1999. Che poi non vi fossero
elementi atti a far ritenere che la pratica in questione fosse stata
"agevolata illegittimamente" (come effettivamente si afferma a pag. 293
della stessa sentenza) appare del tutto ininfluente, atteso che l'ipotesi
della corruzione impropria e' stata configurata proprio in considerazione
di
detta
circostanza,
in
assenza
della
quale
sarebbe
rimasta
configurabile l'originaria ipotesi della corruzione propria. E cio' senza
considerare che, come gia' precedentemente ricordato, il reato di
corruzione, anche impropria, non richiede affatto che l'atto correlato
alla indebita retribuzione sia poi effettivamente compiuto.
Quanto al capo 104, si pone in luce, nel ricorso, come, una volta dato
per certo che la dazione della somma ivi menzionata fosse avvenuta non
nell'anno 1991, ma nell'estate del 1990, allorche' essendo stata
"sciolta", dopo il febbraio dello stesso anno, la commissione di cui il
Balsano aveva fatto parte, non si sapeva ancora se egli sarebbe stato
chiamato a far parte della nuova commissione, poi nominata soltanto il 25
ottobre del 1990, non sarebbe stato possibile collegare detta dazione con
prospettive di agevolazione della pratica concernente il farmaco
"leucotrofina" prodotto dalla soc. Ellem, di cui lo Zambeletti aveva
acquistato o si apprestava ad acquistare il controllo. Dovendosi pero',
ancora una volta, aver riguardo, per le ragioni giuridico - formali gia'
piu' volte ricordate, al solo contenuto della impugnata sentenza, non
puo' non rilevarsi che dal testo della medesima (pag. 289), risulta
soltanto che la prima commissione, dopo il febbraio 1990, "aveva
interrotto l'attivita'" ma non che fosse stata "sciolta", come invece si
afferma nel ricorso. Non potendosi, quindi, dare per oggettivamente
acquisito il dato dello scioglimento, ne deriva che non puo' neppure
escludersi la permanenza, in capo al ricorrente, della qualita' di
pubblico ufficiale anche dopo il febbraio del 1990 e fino alla nomina
della nuova commissione, di cui pure lo stesso ricorrente fu nuovamente
chiamato a far parte. E tanto
dell'insussistenza del reato.
basta
ad
escludere
l'"evidenza"
Relativamente al capo 105, ci si duole espressamente, nel ricorso, del
fatto che la sentenza sarebbe "priva di motivazione in ordine alla
deposizione testimoniale resa dal prof. Levrero (verb. ud. del 23.3.2000,
p. 27)", da riguardarsi come "determinante rispetto a un quadro
indiziario estremamente vago ed opinabile, da cui si dovrebbe desumere
l'illiceita' della corresponsione", aggiungendosi ancora che nella
medesima sentenza "non si offre alcuna motivazione in ordine ad una
ulteriore emergenza processuale da cui e' possibile desumere in maniera
inequivocabile l'assoluta assenza di un 'tacito accordo' in virtu' del
quale Balsano avrebbe dovuto dare un 'occhio di favore' alle pratiche
della ditta Poli". Appare quindi evidente come, sul capo in questione, la
deduzione del vizio di motivazione sia addirittura conclamata, con
conseguente esclusione della possibilita' di applicazione, in questa
sede, dell'art. 129 c.p., comma 2, .
Lo stesso e' a dire con riguardo al capo 106, avendo anche in questo caso
la difesa fatto essenzialmente leva su vizi di motivazione da essa
individuati
nella
"evidente
contraddizione"
fra
la
ritenuta
configurabilita'
del
reato
di
cui all'art.
318
c.p. e
premesse
metodologiche di carattere generale espresse nella medesima sentenza,
come pure nella mancata valutazione della deposizione testimoniale di
tale Dott. Iuliano, da ritenersi "di estremo rilievo, poiche' il
testimone aveva riferito dell'attivita' da lui personalmente svolta nella
ricerca
effettuata
nell'interesse
della
Menarini",
fornendo
la
spiegazione del ritardo del pagamento"; cio' con riferimento alla
ritenuta inattendibilita', da parte della corte d'appello, dell'assunto
difensivo secondo cui il danaro versato dall'Aleotti nel 1991 sarebbe
stato il compenso di una ricerca scientifica effettuata dal Balsano su
incarico della ditta Menarini nel 1988. A cio' aggiungasi che la suddetta
contraddizione tra premesse metodologiche e giudizio non appare neppure
sussistente giacche', se e' vero che la sola finalita' di una generica
"captatio benevolentiae" non puo' dar luogo alla configurabilita' del
reato di cuiall'art. 318 c.p. (come si dice riconosciuto nelle suindicate
premesse), e' altrettanto vero che proprio nel brano dell'impugnata
sentenza riportato, a sostegno dell'assunto difensivo, nell'atto di
ricorso si afferma che l'intento delle dazioni di danaro da parte
dell'Aleotti era quello di "veder sollecitamente e favorevolmente
esaminate le istanze presentate al predetto organismo" (cioe' alla
Commissione di cui faceva parte il Balsano); il che dimostra che, nella
ricostruzione della corte di merito (adeguatamente motivata o meno che
essa fosse), lo scopo non era quello della generica "captatio
benevolentiae" ma quello, ben piu' concreto e specifico, del sollecito e
positivo esito delle pratiche in corso interessanti la ditta Menarini.
Ed infine, anche per quanto riguarda il fatto contestato all'udienza del
5 luglio 1999 (ricezione della somma di lire 30 milioni versata da
Girotti Gianpaolo per conto della ditta Alfa Wassermann), si e' ancora
una volta in presenza di argomentazioni del tutto inidonee a sostenere
l'assunto dell'applicabilita', in questa sede, dell'art. 129 c.p., comma
2, essendosi fatto richiamo, nel ricorso, oltre che ad un preteso
"travisamento dei fatti" nel quale sarebbe incorsa la corte di merito
(addirittura improponibile, in linea di massima, secondo l'assolutamente
prevalente
giurisprudenza
di
questa
Corte,
pur
come
vizio
di
motivazione), anche al mancato accertamento, da parte della stessa corte
di merito, delle finalita' per le quali la somma era stata versata ed
accettata nonche' alla mancata spiegazione di quello che sarebbe stato
l'elemento probatorio atto a dimostrare la consapevolezza, da parte del
Balsano, della pendenza presso la commissione farmaci di una pratica di
revisione del prezzo di vendita di un farmaco prodotto dall'Alfa
Wassermann. Il mancato accertamento di fatti o circostanze ritenuti
essenziali ai fini del decidere come pure la omessa indicazione degli
elementi probatori atti a dimostrare il fondamento, in linea di fatto,
della decisione assunta, costituiscono, infatti, come appare del tutto
evidente, dei tipici vizi di motivazione in presenza dei quali puo' darsi
luogo soltanto, in assenza di cause di estinzione del reato, ad
annullamento con rinvio, ma non puo', per converso, ove sia presente una
di tali cause, farsi applicazione, in sede di legittimita', del disposto
di cui all'art. 129 c.p.p. , comma 2, per la cui operativita', nella sede
anzidetta, occorre che dal solo testo della sentenza impugnata emerga non
la mancata dimostrazione, ma la non dimostrabilita', in assoluto, della
fondatezza dell'assunto accusatorio, quando manchi la prova positiva
dell'infondatezza.
Ricorso Brenna:
Con riguardo alla ritenuta responsabilita' dell'imputato in ordine al
reato di corruzione propria di cui al capo n. 123, rileva anzitutto la
Corte che effettivamente, come segnalato da entrambi i difensori del
ricorrente, la corte di merito, a pag. 167 dell'impugnata sentenza,
nell'illustrare quanto emerso dagli atti circa il funzionamento del CIP
farmaci e della CUF (Commissione unitaria del farmaco), afferma, tra
l'altro, che "in molti casi e' stata raggiunta la prova della
velocizzazione e della generale agevolazione delle pratiche, ma in nessun
caso e' stato possibile stabilire sia stata anche favorita nel senso di
aver avuto una precedenza nella trattazione rispetto ad altra ed in danno
di questa". Di qui, secondo i difensori, la palese illogicita' della
ritenuta responsabilita' del Brenna a titolo di corruzione propria per
avere egli accettato le somme versategli dal Cavazza non solo per
"accelerare" l'iter delle pratiche interessanti la ditta Sigma-Tau, ma
anche per "scavalcare" indebitamente le pratiche delle altre ditte.
L'argomentazione e' indubbiamente assai suggestiva ma, ad avviso della
Corte, non tale da consentire l'accoglimento del gravame. E', infatti,
del tutto pacifico il principio che la "manifesta illogicita'" della
motivazione, quale prevista dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e),
rileva soltanto in quanto riscontrabile all'interno dell'apparato
argomentativo concernente la singola posizione ed il singolo capo
d'imputazione oggetto d'impugnazione, restando per converso irrilevante
la eventuale contraddittorieta' tra quanto ritenuto ed affermato con
riguardo a posizioni e capi diversi. E detta regola non puo' non valere
anche nel rapporto - come si verifica nella specie - tra affermazioni
(non di principio ma meramente ricognitive di risultanze fattuali)
indistintamente riferite alla generalita' delle posizioni ed affermazioni
contenute nella motivazione specificamente attinente ad una di tali
posizioni, la cui logicita', correttezza e completezza dev'essere quindi
verificata unicamente al suo interno. Sotto un diverso profilo, va poi
anche osservato che, stando al testuale tenore della riportata
proposizione tratta dalla pag. 167 dell'impugnata sentenza, quella che
viene esclusa e' soltanto la prova che vi sia stata di fatto
l'attribuzione di una indebita precedenza a determinate pratiche rispetto
ad altre, rimanendo quindi impregiudicata l'eventualita' che, in
determinati casi, risultasse tuttavia provato che l'attivita' corruttrice
avesse come finalita', poi non realizzata, quella appunto dello
"scavalcamento". E si e' gia' avuto occasione di ricordare che il reato
di corruzione, propria o impropria che sia, sussiste indipendentemente
dall'effettivo compimento o meno dell'atto d'ufficio o contrario ai
doveri d'ufficio cui si riferisce la dazione o la promessa dell'indebita
retribuzione.
La difesa del Brenna ha anche denunciato, sempre con riguardo
all'addebito di cui al capo 123, la mancata dimostrazione, da parte della
corte d'appello, della effettiva sussistenza del preteso "scavalcamento"
o comunque di un accordo volto alla sua realizzazione, dimenticando pero'
di ricordare gli elementi di fatto dai quali la corte di merito mostra di
aver tratto il ragionevole convincimento della esistenza, quanto meno,
del suddetto accordo; elementi costituiti essenzialmente: dalla entita' e
continuita' delle elargizioni da parte del Cavazza; dallo specifico
potere del Brenna, nella sua qualita' di presidente della commissione di
fissare l'ordine del giorno (oltre che di designare i relatori); dalla
espressa ammissione da parte del medesimo ricorrente, all'udienza del 28
ottobre 1999, di avere, secondo quanto si legge a pag. 342 dell'impugnata
sentenza, "molte volte ricevuto dal Cavazza sollecitazioni su prodotti da
registrare o su pratiche riguardanti prodotti della 'Sigma Tau'". E tale
ultima affermazione giustifica anche, sotto il profilo motivazionale, il
convincimento espresso dalla corte territoriale circa il fatto che il
Cavazza agisse non solo e non tanto nell'interesse della generalita'
delle imprese farmaceutiche aderenti alla "Farmindustria" di cui era
presidente, ma anche e soprattutto nell'interesse della sua impresa, che
era la Sigma Tau, nulla rilevando in contrario che, come si argomenta nel
ricorso a firma dell'avv. Fiorella, il Brenna avesse anche negato di aver
accolto le suddette sollecitazioni ed il Cavazza di averle fatte, avendo
egli sostenuto di aver invece sempre agito nell'interesse esclusivo della
Farmindustria. Trattasi, all'evidenza, di motivazione che non presenta
riconoscibili lacune o "manifeste illogicita'", e tanto basta per
escludere l'accoglibilita' della proposta censura.
Parimenti inaccoglibile risulta poi l'ulteriore censura attinente alla
ritenuta riscontrabilita' delle dichiarazioni accusatorie del Cavazza,
avvalsosi in dibattimento della facolta' di non rispondere, con quelle
rese dallo stesso ricorrente. Detta riscontrabilita' viene esclusa
essenzialmente per l'esistenza di divergenze tra quanto sostenuto dal
Cavazza e quanto ammesso dal Brenna, per cui - come affermato, in
particolare, nel ricorso a firma dell'avv. Dioda' - l'unico elemento
riscontrato dell'ipotesi accusatoria sarebbe solo quello costituito dalla
"dazione". Si dimentica, pero', nella formulazione di tale censura, che,
secondo il noto e consolidato orientamento di questa Corte, i c.d.
"riscontri" richiesti dall'art. 192 c.p.p., comma 3, , non debbono avere
autonoma valenza probatoria ai fini della dimostrazione del fondamento
dell'accusa, ma devono solo corroborare in modo significativo il narrato
del chiamante in correita', si' da rendere quest'ultimo, per la parte che
interessa, ragionevolmente credibile, nonostante la sua provenienza. E
non puo' certo negarsi che, con riguardo a un addebito di corruzione
originariamente basato su di una chiamata in correita', costituisca
significativo elemento di riscontro l'ammissione, da parte del presunto
corrotto, del fatto materiale costituito dalla effettiva percezione della
indebita retribuzione, pur quando detta ammissione si accompagni a
giustificazioni
contrastanti
con
la
versione
del
chiamante;
giustificazioni di cui il giudice dovra' valutare la obiettiva validita'
o meno senza che pero' esse possano, per il solo fatto della loro
esistenza, escludere la validita' del riscontro.
Cosi' esaurito (si ritiene) l'esame delle censure attinenti l'affermata
responsabilita' del ricorrente in ordine al reato di cui al capo 123,
rimane da dire, relativamente a quelle riguardanti i capi 122 e 126, per
i quali vi e' stata declaratoria di intervenuta prescrizione, previa
derubricazione degli addebiti da corruzione propria a corruzione
impropria, che trattasi di censure del tutto inammissibili, in quanto
dichiaratamente e sostanzialmente basate sulla prospettazione di vizi di
motivazione di cui, per le ragioni gia' indicate nella trattazione del
ricorso Balsano, e' preclusa la rilevabilita' nel giudizio di Cassazione,
in presenza di una causa di estinzione del reato.
Per quanto concerne, infine, il lamentato diniego delle attenuanti
generiche, ritiene la Corte che, vertendosi in materia caratterizzata,
per sua natura, da un ampio margine di discrezionalita', non possa
censurarsi, in questa sede, la decisione del giudice di merito il quale,
come si rileva dalla lettura dell'impugnata sentenza, ha ritenuto
(opinabilmente ma non senza motivazione o con motivazione "manifestamente
illogica"), di considerare l'imputato immeritevole delle attenuanti in
questione facendo riferimento alla specifica gravita' del fatto ed
all'intensita' del dolo, quali emergenti dalla durata della condotta
illecita, posta in essere a fini di profitto personale in danno della
P.A. e di terzi. Contrapporre a tale valutazione - come si fa da parte
delle difese - l'esistenza di elementi favorevoli all'imputato, quali
l'incensuratezza,
il
comportamento
processuale
ed
il
profilo
professionale, non significa dedurre un vizio di motivazione ma solo
prospettare come piu' valida e giusta una valutazione diversa, che il
giudice di merito avrebbe sicuramente potuto operare, senza che pero' gli
si possa rimproverare, in sede di legittimita', di non averlo fatto. Ne',
d'altra parte, possono valere, ai fini che qui interessano, le
affermazioni contenute nell'atto di ricorso a firma dell'avv. Fiorella,
in cui si contesta l'esistenza di prova che il ricorrente abbia favorito
le pratiche della Sigma Tau a scapito di altre, non avendo cio' attinenza
al trattamento sanzionatorio ma alla sussistenza stessa del reato, a
proposito della quale vale quanto gia' osservato, a suo luogo, in
precedenza.
Meno ancora puo' attribuirsi valenza alla pretesa contraddittorieta',
rilevata nel medesimo atto di ricorso, tra l'affermazione contenuta a
pag. 361 della sentenza, secondo cui il Brenna avrebbe ritenuto "quasi
legittima e giustificata l'accettazione di dazioni provenienti da
industriali farmaceutici" e le dichiarazioni dello stesso Brenna, quali
riportate alla precedente pag. 341, secondo cui dette dazioni erano da
lui considerate come una sorta di "rimborso spese", dovendo egli
rinunciare, a cagione delle sue funzioni pubbliche, allo svolgimento di
attivita' professionale privata. Un "rimborso spese", se tale e'
effettivamente, non puo' infatti riguardarsi se non come prestazione del
tutto legittima e, anzi, doverosa per il rimborsante, di tal che non si
vede
in
quale
contraddizione
sia
incorsa
la
corte
di
merito
nell'affermare che, secondo il Brenna, l'accettazione da parte sua delle
dazioni in questione era "legittima e giustificata".
Ricorso Di Maria:
Con riguardo al primo motivo non appare dubbio che esso sarebbe stato
sicuramente da considerare infondato alla stregua del consolidato
orientamento espresso, sulla scorta della sentenza n. 265/1990 della
Corte costituzionale, dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui
allo speciale collegio per i reati ministeriali spettava il compito non
solo di condurre le indagini preliminari, in luogo del Pubblico
Ministero, ma anche quello di decidere l'eventuale rinvio a giudizio, in
luogo del giudice dell'udienza preliminare (in tal senso, fra le altre:
Cass. 1°, 4 marzo-21 aprile 1994 n. 1099, confl. comp. in proc. Prandini,
RV 197439; Cass. 6°, 14 dicembre 1995-15 gennaio 1996 n. 4999, confl.
comp. in proc. Lattanzio, RV 203855; Cass. 1°, 2 luglio-26 settembre 1996
n. 4464, confl. comp. in proc. Formion, RV 205696; Cass. 6°, 17 febbraio9 aprile 1999 n. 564, confl. comp. in proc. De Lorenzo, RV 213670).
L'unica ragione per la quale ci si potrebbe oggi discostare da tale
orientamento e' quindi rappresentata dalla sopravvenuta sentenza della
Corte costituzionale n. 134/2002 (cui si e', infatti, puntualmente
richiamata la difesa della ricorrente), la quale, dichiaratamente
ripudiando la linea interpretativa adottata nella precedente pronuncia
del 1990, ha affermato che risulterebbe incompatibile con il principio
della netta separazione tra funzioni inquirenti e funzioni giudicanti una
interpretazione della normativa vigente in materia di reati c.d.
"ministeriali" (in particolare, dell'art. 3, comma 1, della legge 5
giugno 1989, n. 219, specificamente oggetto della riproposta questione di
legittimita' costituzionale), la quale consentisse ad uno stesso organo
di esercitare entrambe le suddette funzioni. Cio' rappresenterebbe,
infatti - si afferma - una "rottura evidente" del principio in questione,
"in quanto l'organo che ha compiuto le indagini preliminari e ha
richiesto l'autorizzazione parlamentare avendo escluso la possibilita' di
procedere all'archiviazione della notizia di reato sarebbe investito
della celebrazione dell'udienza preliminare: dovrebbe cioe', sulla base
delle risultanze delle indagini da esso stesso condotte, adottare la
sentenza di non luogo a procedere o il decreto che dispone il giudizio".
Di qui, secondo la Corte costituzionale, la necessita' di interpretare
(anche alla luce dei richiamati lavori parlamentari), l'inciso "perche'
continui
il
procedimento
secondo
le
norme
vigenti",
contenuto
nell'art. 9, comma 4, della legge costituzionale 16 gennaio 1989 n. 1,
non nel senso che dovrebbe essere il collegio per i reati ministeriali,
una volta chiesta ed ottenuta l'autorizzazione a procedere, a
"continuare" nella conduzione del procedimento, esercitando le funzioni
che altrimenti sarebbero proprie del Pubblico Ministero e del giudice per
le indagini preliminari", ma invece nel senso che il procedimento (inteso
come soggetto dell'espressione sopra riportata), deve continuare secondo
le norme vigenti, "vale a dire per impulso del Pubblico Ministero e
davanti agli ordinari organi giudicanti competenti". E con tale
interpretazione - si sostiene ancora nella sentenza della Corte
costituzionale - appare del tutto collimante quella che puo' e deve darsi
dell'art. 3, commi 1 e 2, della legge 5 giugno 1989, n. 219, ove si
stabilisce che "quando gli atti siano stati trasmessi ai sensi del comma
4 dell'art. 9 della legge 16 gennaio 1989, n. 1, al collegio ivi
indicato, il procedimento continua secondo le norme vigenti al momento
della rimessione" e, in tali casi, "il collegio provvede senza ritardo a
trasmettere gli atti al Procuratore della Repubblica presso il tribunale
indicato nell'art. 11 della legge 16 gennaio 1989, n. 1".
Ora, ad avviso del collegio, pur non volendosi disconoscere il fondamento
della linea interpretativa adottata dalla Corte costituzionale con la
sentenza n. 134/2002 - il cui grado di autorevolezza, peraltro, non puo',
formalmente, ritenersi superiore a quello della precedente sentenza n.
265/1990, considerando che anch'essa venne comunque pronunciata nella
vigenza dell'attuale codice di procedura penale - deve tuttavia aversi
riguardo al fatto che, nel caso di specie, non risulta affatto, dalla
sentenza, dai ricorsi e dagli atti in possesso della Corte, che il
collegio per i reati ministeriali abbia chiesto alcuna autorizzazione a
procedere (peraltro non necessaria) nei confronti degli attuali
ricorrenti, ne' che abbia concretamente effettuato attivita' d'indagine
preliminare relativamente agli addebiti loro contestati, per i quali e'
poi intervenuto il rinvio a giudizio. Manca, quindi, di fatto, la
condizione in considerazione della quale la Corte costituzionale ha
ritenuto, come si e' visto, che il principio di terzieta' del giudice
imponesse di interpretare la norma nel senso della esclusione del potere
del collegio per i reati ministeriali di disporre il rinvio a giudizio
degli imputati.
Passando quindi all'esame del secondo motivo di ricorso, rileva anzitutto
la Corte che le dichiarazioni predibattimentali del Poggiolini nei
confronti della Di Maria, di cui si lamenta la indebita utilizzazione,
risultano richiamate e (almeno implicitamente) utilizzate soltanto con
riguardo all'addebito di cui al capo 206, per il quale e' intervenuta
derubricazione da corruzione propria a corruzione impropria, con
conseguente declaratoria di estinzione del reato per intervenuta
prescrizione.
Ammesso e non concesso, quindi, che dette dichiarazioni fossero
effettivamente da considerare inutilizzabili, tale inutilizzabilita'
darebbe luogo soltanto ad un difetto di motivazione in ordine alla
mancata applicazione, da parte del giudice di merito, avuto riguardo alle
residue risultanze probatorie, dell'art. 129 c.p.p., comma 2; e, come
gia' si e' ricordato nella trattazione del ricorso Balsano, un tale
difetto di motivazione, comportando di necessita' un annullamento con
rinvio, non sarebbe rilevabile - presente una causa di estinzione del
reato - in sede di legittimita'. Ma, ad avviso della Corte, la dedotta
inutilizzabilita' appare comunque insussistente, dovendosi condividere,
nella
sostanza,
l'assunto
della
corte
di
merito
secondo
cui
l'acquisizione delle dichiarazioni predibattimentali del Poggiolini,
usate per contestazioni secondo il disposto dell'art. 500 c.p.p., comma
4, (nel testo allora vigente), doveva considerarsi avvenuta all'atto in
cui dette contestazioni erano state effettuate, prima del 25 febbraio
2000, nulla rilevando che la loro materiale allegazione al fascicolo per
il dibattimento fosse stata disposta in data successiva. Al riguardo vale
ricordare che nel citato comma 4 dell'art. 500 c.p.p. si stabiliva che,
in caso di difformita', "le dichiarazioni utilizzate per le contestazioni
sono acquisite nel fascicolo per il dibattimento", e non che esse
"potessero" essere acquisite. Si trattava, in altri termini, di un atto
dovuto, fermo restando che la loro successiva valutazione come prova da
parte del giudice sarebbe dipesa - sempre sulla base del testuale tenore
della norma - dalla esistenza o meno di altri elementi che ne
confermassero l'attendibilita'. Cio' posto, sarebbe quindi del tutto
incongruo attribuire rilevanza, ai fini dell'osservanza o meno del
termine del 25 febbraio 2000 previsto dall'art. 26, comma 4, della legge
1 marzo 2001, n. 63, non al momento in cui si siano verificate le
condizioni per la necessaria acquisizione, ma a quello in cui
quest'ultima sia stata formalmente disposta con un provvedimento al quale
non potrebbe attribuirsi altra valenza se non quella di mera
ricognizione, "ex post", della sussistenza delle suddette condizioni.
Per quanto riguarda il terzo motivo di ricorso, vi e' da dire che esso,
pur prospettato sotto l'egida della violazione od erronea applicazione di
norme di legge e, segnatamente, degli artt. 318 c.p. e art. 129 c.p.p.,
con riferimento, peraltro, oltre che alla lett. b), anche alla lett.
e) dell'art. 606 c.p.p., in altro non consiste se non nella denuncia di
pretesi vizi di motivazione in cui la corte di merito sarebbe incorsa nel
ritenere sussistente il prescritto reato di corruzione impropria anziche'
dar luogo ad una pronuncia di proscioglimento totale nel merito; vizi di
motivazione essenzialmente riguardanti il supporto probatorio del
convincimento espresso dalla suddetta corte in ordine alla presenza di un
"consapevole
e
deliberato
contributo
causale"
della
Di
Maria
all'instaurarsi, tra il Poggiolini e il De Santis, di "un'intesa
finalizzata al compimento da parte del primo di atti contrari a suoi
doveri d'ufficio, di cui il secondo e la sua impresa farmaceutica
avrebbero dovuto esserne i beneficiari".
E si richiamano, in proposito, nell'atto di ricorso, quelle che sarebbero
state le testuali dichiarazioni del Poggiolini, acquisite agli atti del
procedimento, onde dimostrare come da esse dovesse trarsi la conclusione
dell'innocenza dell'imputata. Non occorre altro, ad avviso della Corte,
per rendersi conto di come - sempre alla luce dei principi richiamati
nella trattazione del ricorso Balsano - esuli ogni possibilita' di
accoglimento delle doglianze in questione, in presenza della gia'
rilevata causa di estinzione del reato.
Relativamente al quarto motivo di ricorso, rileva la Corte che, pacifica
risultando l'avvenuta realizzazione, da parte dell'imputata, delle
condotte materiali sulla cui base sono stati configurati gli addebiti di
favoreggiamento reale contestati ai capi 211 e 212, le censure proposte
dalla difesa hanno essenzialmente per oggetto l'idoneita' di dette
condotte a costituire l'"aiuto" previsto dalla norma incriminatrice e la
consapevolezza che l'imputata avrebbe avuto della provenienza penalmente
illecita delle somme di danaro in questione. Sotto il primo profilo, si
sostiene,
in
sintesi,
che,
contrariamente
a
quanto
affermato
nell'impugnata sentenza, le operazioni bancarie poste in essere dalla Di
Maria non avevano alcun carattere di artificiosita', ma erano del tutto
chiare e lineari, tanto che, seguendo le loro tracce, con estrema
facilita' sarebbe stato possibile giungere alla destinazione finale delle
somme; il che avrebbe dovuto escludere la qualificabilita' di dette
operazioni come "aiuto" prestato al Poggiolini per occultare il prodotto
degli illeciti da lui asseritamente commessi. Sotto il secondo profilo,
si sostiene che, a fronte della rappresentata, assoluta inconsapevolezza,
da parte della ricorrente, della pretesa provenienza illecita del danaro,
la corte di merito si sarebbe limitata all'apodittica ed indimostrata
affermazione secondo cui ella, invece, "non poteva non essere a
conoscenza" dell'illegittima attivita' del Poggiolini, "avendo per molti
anni operato nello stesso ambito ed essendo stata a lungo legata
sentimentalmente al Poggiolini, prima di unirsi in matrimonio con il
predetto". Si aggiunge poi che l'affermata responsabilita' dell'imputata
per i fatti di cui ai capi 211 e 212 sarebbe in contraddizione logica con
la sua assoluzione per i fatti, del tutto analoghi, di cui al capo 213.
Ora, con riguardo alla prima di dette censure, va osservato che, in linea
di
principio,
l'"aiuto"
richiesto dall'art.
379
c.p. per
la
configurabilita' del reato di favoreggiamento reale, analogamente a
quello richiesto dall'articolo precedente per la configurabilita' del
favoreggiamento personale, non deve, per assumere rilevanza penale,
consistere in condotte caratterizzate da particolare callidita' ed
astuzia, essendo, al contrario, necessario e sufficiente che tali
condotte siano idonee a determinare un apprezzabile ostacolo, anche di
ordine meramente temporale, al pieno ed efficace dispiegarsi dell'azione
dell'autorita' volta, a seconda dei casi, al recupero di quanto
costituisca prodotto, profitto o prezzo di reato ovvero all'accertamento
di fatti di reato ed alla identificazione e, se del caso, alla cattura
degli autori. E non appare ragionevolmente contestabile che lo
spostamento di somme da un conto corrente bancario ad un altro, intestato
a diversa persona, ed altre consimili operazioni, ancorche' formalmente
del tutto regolari e facilmente individuabili, possano tuttavia
comportare un apprezzabile allungamento dei tempi tecnici necessari
perche' possa essere individuata la precisa ed attuale collocazione delle
somme medesime ed effettuarsene il sequestro; allungamento, quello
anzidetto, suscettibile di essere sfruttato, da chi sia vigile e accorto,
per l'effettuazione di ulteriori ed eventualmente piu' efficaci e
risolutive operazioni di "salvataggio". Ne' va taciuto che, comunque, nel
caso di specie, si precisa, da parte della corte di merito, che
l'operazione di "prosciugamento" dei conti correnti intestati al
Poggiolini, da parte della ricorrente, fu anche accompagnata da veri e
propri artifizi, quali "la retrodatazione di documenti e la loro
sottoscrizione da parte di incauti personaggi"; circostanze, queste
ultime, di non trascurabile rilievo ma delle quali, nel ricorso, non si
fa menzione alcuna. Quanto poi alle censure concernenti la ritenuta
sussistenza dell'elemento soggettivo del reato in questione, rileva la
Corte che nell'impugnata sentenza non ci si limita a desumerne
l'esistenza sulla sola base dei rapporti esistenti tra la ricorrente ed
il Poggiolini ma si aggiunge che la consapevolezza, da parte della Di
Maria, della illecita provenienza delle somme appariva dimostrata anche
"dalle stesse modalita' della condotta" da lei posta in essere;
argomentazione, questa, che non puo' certo definirsi "manifestamente
illogica" si' da poter essere censurata in questa sede ed a fronte della
quale, d'altra parte, la difesa si limita a sostenere, del tutto
genericamente ed apoditticamente, che dette modalita' sarebbero state
invece da considerare "comunque perfettamente compatibili con le
giustificazioni addotte dall'imputata con riferimento all'intento (non di
favoreggiamento) da lei perseguito attraverso i prelievi ed i successivi
reimpieghi delle somme", aggiungendo (valutazione meramente soggettiva)
che esse, "in ogni caso, in mancanza di altri elementi di conferma", non
potrebbero
"giammai
considerarsi
univocamente
dimostrative
della"
(secondo la corte d'appello) "sua perfetta consapevolezza dell'illecita
provenienza delle somme movimentate o almeno della maggior parte di dette
somme". Vi e' infine da dire che non appare sussistente (e sarebbe
comunque irrilevante, alla stregua del gia' ricordato principio
dell'autonomia dell'apparato motivazionale relativo ad ogni singolo capo
d'imputazione), la denunciata contraddittorieta' fra la ritenuta
responsabilita' della ricorrente per i fatti di cui ai capi 211 e 212 e
la sua assoluzione per quelli di cui al capo 213. Questi ultimi, infatti,
a differenza degli altri, consistevano non in operazioni volte
all'occultamento delle somme gia' accreditate sui conti del Poggiolini,
mediante "prosciugamento" degli stessi, ma in operazioni di segno
inverso, costituite dal versamento, in epoca precedente, su detti conti,
di somme costituenti provento di illecite dazioni da parte di
imprenditori farmaceutici. Trattavasi quindi di operazioni, in se' e per
se', del tutto normali, relativamente alle quali poteva quindi darsi
credito, secondo la corte d'appello, sia pur dubitativamente, alla
protestata buona fede della Di Maria, cui si contrapponevano solo le non
altrimenti riscontrate dichiarazioni predibattimentali del Poggiolini,
secondo cui la donna sarebbe stata a conoscenza del fatto che le somme in
questione erano state versate "al nero" dalle imprese; il che, tra
l'altro,
non
significava
necessariamente
che
costituissero
il
corrispettivo di favori illeciti.
Sul quinto motivo di ricorso, concernente la mantenuta confisca delle
somme in sequestro, ritiene la Corte sufficiente osservare che dette
somme risultano confiscate in quanto ritenute, secondo quanto si
riferisce nello stesso atto di ricorso, "profitti dei reati di
corruzione" e non quindi del solo reato di corruzione di cui al capo 206,
per cui vi e' stata declaratoria di intervenuta prescrizione nei
confronti tanto della Di Maria quanto del Poggiolini. La confermata
condanna di quest'ultimo, quindi, per i fatti di corruzione di cui ai
capi 176, 178, 182, 190, 196 e 201, a fronte di una censura unicamente
basata sull'assunto che l'eliminazione della condanna per il capo 206
avrebbe dovuto dar luogo alla revoca "in toto" della confisca, non puo'
che comportare il rigetto del gravame.
Con riguardo, infine, al sesto motivo di ricorso, concernente il diniego
delle attenuanti generiche, ritiene la Corte che esso, contrariamente a
quanto sostenuto dalla difesa, risulti adeguatamente motivato con il
riferimento alle peculiari caratteristiche della condotta posta in essere
dall'imputata,
ragionevolmente
ritenute
come
indicative
di
una
particolare intensita' del dolo; elemento, quest'ultimo compreso tra
quelli indicati nell'art. 133 c.p., di tal che non puo' convenirsi con
l'argomento centrale della proposta censura, secondo cui mancherebbe,
nella specie, "ogni cenno alle specifiche previsioni del citato art. 133
c.p.". Ed e' la stessa difesa della ricorrente ad aver, correttamente,
ricordato, nell'atto di ricorso, che "secondo il piu' recente
orientamento della giurisprudenza di legittimita', ai fini della
concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, e'
sufficiente che il giudice faccia riferimento ad uno solo degli elementi
indicati nell'art. 133 c.p.".
Ricorso Ferretti:
Si prospettano, nell'atto di ricorso, unicamente vizi di motivazione, con
richiamo, addirittura, ad elementi fattuali ricavabili non dalla sentenza
impugnata o da quella di primo grado, ma dagli atti del procedimento, la
cui corretta valutazione, secondo la difesa, avrebbe dovuto comportare
l'esclusione
non
solo
della
corruzione
propria,
originariamente
contestata, ma anche di quella impropria in ordine alla quale non vi e'
stata, peraltro, affermazione di "penale responsabilita'", come si legge
nel ricorso, ma, pacificamente, declaratoria di estinzione del reato per
intervenuta prescrizione. Anche in questo caso, quindi, non puo' che
darsi luogo a rigetto del gravame in base al principio, gia' piu' volte
richiamato, della non rilevabilita' in Cassazione di vizi di motivazione
quando sia gia' operante una causa estintiva del reato.
Ricorso Frajese:
Con riguardo al primo motivo, vale, ancora una volta, al principio al
quale si e' appena fatto richiamo, nella trattazione del ricorso
Ferretti, considerando che, anche in questo caso, quello che viene
denunciato e' sostanzialmente un difetto di motivazione (ed infatti,
nella enunciazione del motivo in esame, vi e' anche il richiamo all'art.
606 c.p.p., comma 1, lett. E), avendo la corte di merito, nella
prospettazione difensiva, ritenuto configurabile il reato di cui all'art.
318 c.p. (ed escluso, quindi, implicitamente, l'applicabilita' dell'art.
129 c.p.p., comma 2), senza indicare elementi probatori diversi da
quello, ritenuto non utilizzabile, costituito dalle dichiarazioni di
Zambeletti. E, per la verita', quanto a tali dichiarazioni, non viene
neppure denunciata, di fatto, una vera e propria inutilizzabilita' dovendosi per tale intendere solo quella che colpisce atti di cui sia
vietato, esplicitamente o implicitamente, l'inserimento nel materiale
probatorio - ma soltanto una loro inidoneita' ad assumere piena valenza
probatoria, in quanto non confermate da "altri elementi di prova, assunti
o formati con diversa modalita'", come previsto dall'art. 1, comma 2,
del D.L. 7 gennaio 2000, n. 2, conv. con modif. in legge 25 febbraio
2000, n. 35, richiamato dall'art. 26, comma 4, della legge 1 marzo 2001,
n. 63; il che, peraltro, non appare neppure esatto, dal momento che la
stessa, non contestata ammissione, da parte del Frajese, di aver
effettivamente ricevuto dallo Zambeletti le somme da questi indicate, sia
pure in epoca e con finalita' diverse da quelle riferite dallo stesso
Zambeletti (ved. pagg. 393 e segg. dell'impugnata sentenza), ha la
oggettiva valenza di un riscontro, sia pure parziale ma non per questo
meno significativo, della chiamata in correita', attesa la nozione di
"riscontro" alla quale si e' costantemente attenuta la giurisprudenza di
questa Corte nell'interpretazione dell'art. 192 c.p.p., comma 3. Si
rimanda, in proposito, a quanto gia' osservato, con riguardo ad analoga
situazione, nella trattazione del ricorso Brenna.
Quanto al secondo motivo, incentrato sulla ritenuta assenza, in capo al
ricorrente, della qualita' di pubblico ufficiale, in considerazione,
essenzialmente, del carattere consultivo ed anzi - si afferma "meramente consulenziale", dell'organismo di cui il Frajese faceva parte,
vale anzitutto ricordare che, secondo il consolidato orientamento di
questa Corte, spetta la qualita' di pubblico ufficiale anche ai
componenti
di
organi
collegiali
di
natura
consultiva
(cosi',
specificamente, Cass. 6°, 10 luglio-27 settembre 1995 n. 9909, Startari,
RV 202649; sulla stessa linea: Cass. 5°, 27 aprile-13 settembre 1990 n.
12329, Volpi, RV 185285; Cass. 6°, 16 ottobre 1997-27 gennaio 1998 n.
1052, Fusella ed altri, RV 210577). Ne' rileva la circostanza che,
secondo quanto si afferma nel ricorso, l'organismo in questione, non
previsto
espressamente
dalla
legge,
fosse
stato
costituito
con
provvedimento amministrativo, atteso che esso era comunque legalmente
operante nell'ambito della pubblica amministrazione, di tal che il suo
asserito carattere "meramente consulenziale" e non "consultivo in senso
tecnico" non poteva in alcun modo assumere rilievo ai fini penalistici.
Vale anche ricordare, a tale ultimo proposito, quanto affermato da Cass.
6°, 20 ottobre 1994-25 gennaio 1995 n. 4102, Crespi, RV 200851, la quale,
come si legge nella massima ufficiale, "ha ritenuto che rivestisse la
qualifica di pubblico ufficiale un soggetto nominato 'esperto' dalla
Presidenza del consiglio dei ministri, osservando che il contributo che
lo stesso era chiamato, con atto di specifica destinazione, a fornire
all'organo massimo della pubblica amministrazione, pur non concretandosi
in funzione tipicamente consultiva, concorreva ad influenzare le scelte
discrezionali di tale organo rispetto agli atti di alta amministrazione
che partecipano del regime riservato a quelli amministrativi".
Ricorso Golinelli:
Avendo la difesa del ricorrente dedotto, come suo proprio motivo di
doglianza, solo la nullita' dalla originaria "vocatio in jus", per le
stesse ragioni addotte a sostegno del primo motivo del ricorso Di Maria,
non vi e' che da rimandare a quanto gia' osservato nella trattazione di
detto motivo.
Ricorso Mantovani:
La presenza della gia' operante causa di estinzione dei reati ritenuti
configurabili a carico del ricorrente esclude, come gia' piu' volte
osservato con riguardo ad analoghe posizioni, la rilevabilita' in questa
sede del dedotto vizio di "mancanza di motivazione". Ne' puo' riconoscere
l'esistenza dell'altro vizio di legittimita', costituito dall'erronea
applicazione della legge penale, dedotto con riguardo al capo 185,
basandosi tale censura esclusivamente sul richiamo a taluni precedenti
giurisprudenziali, del tutto apoditticamente assunti come configgenti con
la motivatamente ritenuta configurabilita' della corruzione impropria.
Ricorso Masi De Vargas:
Con riguardo al primo motivo, nel quale si censura la ritenuta
infondatezza della proposta eccezione di incompetenza per territorio,
assumendosi che l'intervenuta assoluzione di tutti gli imputati dal reato
di associazione per delinquere, commesso, secondo l'accusa, in Napoli,
avrebbe dovuto comportare lo spostamento della competenza territoriale,
quanto alla posizione del ricorrente, a Roma, ivi essendo stata posta in
essere l'attivita' a lui addebitata, ritiene la Corte sufficiente
richiamare il consolidato e pacifico orientamento giurisprudenziale
secondo cui, per il principio della "perpetuatio jurisdictionis", la
competenza determinata da ragioni di connessione, una volta radicatasi
davanti al giudice del dibattimento, rimane ferma quali che siano le
successive vicende dei singoli procedimenti connessi e quindi, ad
esempio, anche nel caso di dichiarata improcedibilita' per mancanza di
querela del reato che aveva esercitato la "vis actractiva" (Cass. 6°, 12
dicembre 1996-6 febbraio 1997 n. 1131, Cama); ipotesi, questa, alla quale
appare del tutto assimilabile, ai fini che qui interessano, quella,
ricorrente nella specie, dell'assoluzione nel merito.
Quanto al secondo motivo, concernente la dedotta nullita' della "vocatio
in jus" per ritenuta incompetenza funzionale del collegio per i reati
ministeriali, si rimanda alla trattazione dell'analogo motivo dedotto nel
ricorso Di Maria.
Relativamente al terzo motivo, concernente la ritenuta responsabilita'
dell'imputato in ordine al reato di corruzione propria a lui contestato,
rileva la Corte che detta affermazione di responsabilita', dalla lettura
dell'impugnata sentenza (al cui testo, in materia di vizi di motivazione,
deve farsi, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E, , esclusivo
riferimento), appare sostenuta da una motivazione tutt'altro che
manchevole o manifestamente illogica (come richiesto dalla disposizione
normativa ora citata). La corte d'appello, infatti, ha fatto puntuale e
specifico
riferimento
agli
elementi
probatori
costituiti
dalle
dichiarazioni del Marone (segretario del ministro De Lorenzo), e del
Giannotti (addetto all'organizzazione delle campagne pubblicitarie curate
dall'impresa facente capo al ricorrente), nonche' a quelle del Donzelli
(teste addotto dalla stessa difesa), criticamente raffrontandole con la
tesi dell'imputato (secondo cui egli avrebbe solo inteso autorizzare un
contributo "al nero" al partito liberale, senza alcuna prospettiva di
illecita contropartita), per giungere alla conclusione che detta tesi non
poteva essere accolta, avendo, tra l'altro, lo stesso imputato ammesso
che l'assenso al contributo finanziario chiesto dal Marone per conto del
ministro De Lorenzo era stato dato "per fare contento il segretario o il
ministro; non e' che glielo davamo cosi', perche' eravamo usciti pazzi".
E lo scopo effettivamente perseguito con l'elargizione del suddetto
contributo era, secondo l'insindacabile accertamento in fatto operato dai
giudici di merito, sulla base delle richiamate dichiarazioni (in
particolare quelle del Marone e del Giannotti), quello di far si' che
l'esito di una gara proprio in quell'epoca indetta per l'assegnazione di
una campagna pubblicitaria anti AIDS fosse favorevole all'impresa del
Masi del Vargas. A fronte di tale ricostruzione ben poco possono valere,
in sede di legittimita', le contrarie deduzioni contenute nell'atto di
ricorso, significativamente (ed onestamente) prospettate, peraltro, sotto
l'enunciazione di un vizio neppure consistente nella "mancanza o
manifesta illogicita'" ma solo nella "insufficienza e contraddittorieta'"
della motivazione; il che gia' basterebbe a denunciare la non
inquadrabilita' della censura nel rigoroso e ristretto ambito del gia'
citato art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), ; conclusione, questa, che
trova conferma, ad avviso della Corte, nello specifico contenuto delle
proposte doglianze, basate, per un verso, su frammentarie citazioni di
dichiarazioni rese dal Marone e da altri soggetti, non verificabili ed
apprezzabili in questa sede e comunque, di per se' tutt'altro che
decisive
(siccome
afferenti
a
circostanze
marginali
quali,
in
particolare, l'esistenza o meno di accordi fra l'impresa pubblicitaria
del ricorrente ed altre, in vista di una spartizione degli incarichi);
per altro verso, sulla svalutazione delle dichiarazioni accusatorie del
Giannotti, apoditticamente definite come non utilizzabili, ai sensi della
legge 23 novembre 1999, n. 2 e comunque non attendibili perche' - si
afferma - "non v'e' conferma in altri elementi di prova", assumendosi, a
quest'ultimo proposito, che, pur parlandosi nella sentenza di "riscontro
documentale offerto dal P.M.", l'organo dell'accusa non avrebbe, in
realta', "portato alcun documento a sostegno di presunte attivita' del
Masi che possano essere contrarie alla legge". Mette conto osservare, con
riguardo a tali affermazioni, che esse, oltre a passare del tutto sotto
silenzio la rappresentata (in sentenza) convergenza, nel nucleo
essenziale, delle dichiarazioni del Giannotti con quelle del Marone, come
pure il parziale riscontro che dette dichiarazioni hanno trovato nella
deposizione testimoniale del Donzelli e nelle ammissioni dello stesso
ricorrente (il che gia' varrebbe ad escludere che manchi ad esse ogni
conferma in altri elementi di prova), attribuiscono erroneamente alla
sentenza impugnata un riferimento, che in essa non si rinviene, a quel
"riscontro documentale offerto dal P.M.", di cui si lamenta poi la
mancanza.
Cosi' come non si rinviene, nella sentenza impugnata, l'espressione
"guazzabuglio societario" che ad essa viene invece attribuita, nel
ricorso, per contestarne la fondatezza, con riferimento alla posizione
del ricorrente, quale presidente di una "holding" della quale faceva
parte l'impresa direttamente interessata alla campagna pubblicitaria in
questione.
Quanto,
poi,
alla
pure
denunciata
erroneita'
della
qualificazione del fatto attribuito al ricorrente come corruzione
propria, sulla base dell'assunto che il ricorrente stesso si sarebbe
limitato ad esprimere "solo un consenso, a posteriori, per un
finanziamento al PLI", rileva la Corte che tale assunto altro non
rappresenta se non la riproposizione pura e semplice della tesi difensiva
gia' sostenuta nelle fasi di merito e motivatamente disattesa in primo ed
in secondo grado, con puntuale riferimento agli elementi (gia' sopra
ricordati) dai quali i giudici, con insindacabile valutazione in fatto,
hanno tratto il convincimento che il Masi de Vargas fosse stato invece
preventivamente informato, dal Giannotti, del carattere strumentale della
richiesta
contribuzione
finanziaria
rispetto
al
conseguimento
dell'incarico per la campagna anti AIDS, mediante indebito "pilotaggio"
delle procedure di gara.
Per quanto riguarda infine il quarto motivo di ricorso, concernente il
diniego dell'attenuante di cui all'art. 114 c.p., di quella del
risarcimento del danno e delle attenuanti generiche, rileva la corte che
detto diniego appare, contrariamente all'assunto difensivo, adeguatamente
motivato, avendo la corte di merito fatto riferimento: per l'attenuante
di cui all'art. 114 c.p., al fatto, emergente dalle dichiarazioni del
Giannotti e del Donzelli, che il versamento del contributo finanziario in
questione era stato reso possibile solo dalla specifica autorizzazione
rilasciata dal ricorrente; per il risarcimento del danno, alla
circostanza che esso risultava effettuato solo dal Giannotti, senza
alcuna partecipazione del ricorrente; per le attenuanti generiche, alla
peculiare gravita' del fatto, caratterizzato dal perseguimento di
indebiti vantaggi patrimoniali, a scapito dell'interesse pubblico,
nell'ambito di una lodevole iniziativa di pubblica utilita' quale era
quella costituita dalla campagna pubblicitaria anti AIDS. A fronte di
tale motivazione la difesa del ricorrente si e' limitata, nell'ordine:
alla mera riproposizione dell'assunto difensivo (gia' motivatamente
disatteso, come si e' visto, dalla corte di merito), secondo cui
l'autorizzazione dello stesso ricorrente all'effettuazione del contributo
non sarebbe stata necessaria; all'affermazione che l'attenuate del
risarcimento del danno sarebbe stata riconoscibile, atteso che la somma
versata
dal
Giannotti
sarebbe
stata
da
considerare
"totalmente
esaustiva"; all'assunto che, nel confermare il diniego delle attenuanti
generiche, la corte di merito non avrebbe fatto specifico riferimento ad
alcuno dei criteri indicato nell'art. 133 c.p. e si sarebbe, inoltre,
posta in contraddizione con il favorevole giudizio prognostico circa il
futuro comportamento dell'imputato, da essa stessa espresso nel motivare
il rifiuto dell'aggravamento di pena sollecitato dal Pubblico Ministero.
Ora, ad avviso della Corte, appare anzitutto manifesta l'inammissibilita'
della prima doglianza, siccome basata su di una mera asserzione in fatto,
contrastante con la motivata ed insindacabile ricostruzione effettuata
dal giudice di merito. La seconda doglianza mostra di non tenere in alcun
conto il principio gia' affermato da questa Corte (ed al quale il
collegio ritiene debba prestarsi piena adesione), secondo cui: "In tema
di attenuante del risarcimento del danno, quando quest'ultimo sia stato
cagionato da piu' persone concorrenti nel reato, la circostanza non puo'
essere riconosciuta al singolo che non abbia contribuito all'adempimento.
Ne deriva che se uno solo dei correi abbia provveduto, in modo integrale,
al risarcimento stesso, l'altro concorrente, per fruire della menzionata
attenuante, deve almeno dimostrare la sua concreta tempestiva volonta' di
riparazione del danno cagionato, non piu' direttamente verso la parte
lesa - che non ha piu' titolo a ricevere altro - ma indirettamente,
provando di avere - prima del giudizio - rimborsato al complice piu'
diligente la propria quota". E, nella specie, non risulta neppure
adombrata, nel ricorso, l'avvenuta rappresentazione, al giudice di
merito, della sussistenza di taluna fra le condizioni sopra indicate. A
cio' aggiungasi che, comunque, non potendosi certo ritenere vincolante
per il giudice chiamato a conoscere della posizione dell'attuale
ricorrente
l'eventuale
riconoscimento
dell'attenuante
in
parola
effettuato nel separato giudizio a carico del Giannotti, detta attenuante
non sarebbe stata riconoscibile anche (e prioritariamente) per la
ritenuta inesistenza, secondo la corte d'appello, di un danno risarcibile
derivante dai fatti di corruzione. Si rimanda, in proposito, alla
trattazione dell'analoga doglianza contenuta nel ricorso Poggiolini,
Quanto al lamentato diniego delle attenuanti generiche, ritiene la Corte
sufficiente osservare che gli elementi fattuali indicati nell'impugnata
sentenza a sostegno del diniego di dette attenuanti ben si inquadrano
nelle previsioni di cui all'art. 133 c.p. (nulla rilevando che esse non
vengano specificamente richiamate), e che nessuna contraddizione, sul
piano logico-giuridico, appare rilevabile tra la ritenuta immeritevolezza
delle
attenuanti
generiche,
che
attiene
alla
valutazione
del
comportamento passato del soggetto, e la favorevole prognosi in ordine
alla futura condotta del medesimo, espressa in funzione non del diniego
di un aggravamento di pena (come inesattamente affermato nel ricorso), ma
della ritenuta concedibilita' della sospensione condizionale della pena e
della non menzione della condanna.
Va da ultimo osservato che, con riguardo alla pena accessoria applicata
al ricorrente, la difesa non ha espresso alcuno specifico motivo di
doglianza, essendosi limitata ad affermare, puramente e semplicemente,
che "si impugna, inoltre, la parte finale della sentenza nella parte
(scil.: in cui - N.d.R.) vi e' la conferma della pena accessoria per il
Masi della incapacita' di contrattare con la P.A. per un anno". Trattasi,
quindi, di censura chiaramente inammissibile per la sua totale
genericita'.
Ricorso Nicolini:
Il gravame si limita a denunciare come immotivato il mancato
accoglimento, da parte della corte d'appello, della richiesta, avanzata
nei motivi di gravame, di assunzione di un teste il quale avrebbe dovuto
riferire in ordine a fatti che avrebbero escluso la configurabilita', a
carico del ricorrente, di ogni illecito penale, ivi compreso quello,
ritenuto nell'impugnata sentenza, di corruzione impropria. Si e' quindi,
anche in questo caso, in presenza di una doglianza che non puo', in
questa sede, trovare accoglimento, attesa l'intervenuta operativita'
della causa di estinzione del reato costituita dalla prescrizione, dal
momento che, anche ad ammettere che essa fosse fondata, cio' non potrebbe
che dar luogo ad un annullamento con rinvio, reso giuridicamente
impraticabile, alla stregua del principio gia' richiamato nella
trattazione del ricorso Balsano, proprio dalla presenza di detta causa di
estinzione.
Ricorso Poggiolini:
Con riguardo al primo motivo di gravame, nel quale si denuncia la pretesa
nullita' della "vocatio in jus", vale quanto osservato nella trattazione
dell'analogo motivo dedotto con il ricorso Di Maria.
Sul secondo motivo, vale anzitutto precisare che la Corte non puo' che
prescindere dalle diffuse argomentazioni (pur ipoteticamente apprezzabili
in altra sede), di carattere prevalentemente socio-politico, contenute
nel ricorso, volte a dimostrare come l'imputato, nonostante l'ampia
collaborazione
prestata
all'attivita'
d'indagine,
in
gran
parte
addirittura scaturita dalle sue rivelazioni, abbia subito un trattamento
deteriore rispetto a quello riservato agli esponenti dell'industria
farmaceutica, economicamente potenti e politicamente appoggiati. Al
riguardo puo' solo osservarsi (per quanto valga), che, sulla base di
quanto rappresentato nello stesso atto di ricorso, il preteso miglior
trattamento riservato agli industriali farmaceutici in altro non e'
consistito se non nell'essere stato loro consentito, in piena ed
incontestata conformita' a quanto previsto dalla legge, di avvalersi
dell'istituto processuale del c.d. "patteggiamento". Cio' premesso, va
poi ricordato che, secondo l'ormai consolidato orientamento di questa
Corte, la configurabilita' della corruzione propria non richiede
necessariamente l'individuazione di singoli atti che siano contrari ai
doveri
d'ufficio
del
corrotto,
ben
potendosi
essa
riconoscere,
specialmente nel caso di condotte protratte nel tempo, in quello che e'
stato talvolta definito "l'asservimento costante della funzione, per
denaro, agl'interessi del privato", con conseguente, programmata
violazione del primario dovere di imparzialita' (in tal senso, fra le
altre: Cass. 6°, 15 febbraio-25 marzo 1999 n. 3945, P.G. in proc. Di
Pinto, RV 213884; Cass. 6°, 14 luglio-16 ottobre 1998 n. 10786, Nottola,
RV 213054). Una volta riconosciuta, infatti, l'esistenza di una tale
finalita' (sulla base di valutazioni di fatto non sindacabili in questa
sede se non nei rigorosi e ristretti limiti di cui all'art. 606 c.p.p.,
comma 1, lett. E, , e senza possibilita' - come gia' si e' avuto
occasione di ricordare - di attribuire rilevanza a vere o presunte
difformita' di dette valutazioni tra una posizione e l'altra o anche tra
un capo d'imputazione e l'altro), rimane indifferente che, nel suo
concreto operare, il pubblico ufficiale non abbia poi posto in essere
atti specificamente contrari al dovere di imparzialita'. Si e' gia' avuto
occasione, infatti, di ricordare (ved. supra, ricorso Balsano), che, in
tema di corruzione, quel che conta e' la finalita' per la quale
l'indebita retribuzione viene corrisposta ed accettata, e non la sua
effettiva realizzazione o meno. In quest'ottica, risulta quindi, in linea
di principio, del tutto inconferente l'insistito richiamo della difesa
alla ritenuta, mancata individuazione dei singoli comportamenti che il
Poggiolini avrebbe posto in essere in contrasto con i suoi doveri
d'ufficio. A cio' aggiungasi che, comunque, relativamente ai capi
d'imputazione per i quali e' stata affermata la penale responsabilita'
del ricorrente in ordine al reato di corruzione propria, la corte di
merito si e' preoccupata di indicare i comportamenti ritenuti
contrastanti con i doveri d'ufficio (e, in particolare, con il dovere di
imparzialita'), cui lo stesso ricorrente avrebbe dovuto attenersi. Ed
infatti:
- per il capo 176, e' stato messo in luce come fossero state espresse,
secondo quanto risultava dal c.d. "memoriale Vittoria" (redatto dal
defunto imputato prof. Vittoria, in cui era descritto il sistema
corruttivo oggetto d'indagine), "severe riserve" sulla opportunita' di
consentire la registrazione di un farmaco denominato "Pitodimod" prodotto
dalla ditta Poli; registrazione poi ottenuta grazie alla "precostituzione
di una maggioranza favorevole", frutto del "prezzolato intervento del
Poggiolini";
- per il capo 178, e' stato, analogamente, messo in luce, tra l'altro,
come tra i farmaci di cui veniva caldeggiata la registrazione vi fosse
anche quello denominato "Omeprazolo", relativamente al quale "vi erano
grosse discussioni nel mondo scientifico poiche' degli studi gli
attribuivano la possibilita' di insorgenze di neoplasie collegate a
eccessivi dosaggi";
- per il capo 182, e' stato rilevato che il ricorrente "favori' la
registrazione del farmaco garantendo una rapidissima trattazione della
pratica a scapito di altre pratiche giacenti", per cui appariva
sussistente il caso del c.d. "scavalcamento";
- per il capo 190, e' stato osservato che dalle dichiarazioni non solo
del Camozzi e del Pinamonti, ma anche dello stesso Poggiolini si ricavava
che l'esito favorevole della pratica di registrazione del farmaco
interessante la Bioresearch s.p.a "non era affatto scontato, comportando
una complessa attivita' di studio", per cui il ricorrente, "lasciando
intendere che in ogni caso sarebbe stato conseguito il risultato
sperato", aveva assicurato un comportamento contrario ai doveri
d'ufficio, nulla rilevando che poi lo scopo perseguito dai corruttori non
fosse stato raggiunto;
- per il capo 196, e' stato osservato (sulla scorta, pure in questo caso,
anche delle dichiarazioni rese dallo stesso Poggiolini), che il
ricorrente, a fronte dei cospicui e continuativi versamenti effettuati in
suo favore (e da lui pacificamente ammessi), aveva fatto si', sfruttando
"l'alta
competenza
scientifica
riconosciutagli
anche
a
livello
internazionale", che fosse attribuita "dignita' di farmaco a prodotti
sollecitati dal Cavazza che, in realta', non avevano i necessari
requisiti o che, almeno, li possedevano solo in parte";
- per il capo 201, e' stato osservato che le pratiche interessanti la
Magis farmaceutica erano rimaste indietro "anche per il giudizio negativo
sui farmaci prodotti, confermato anche dal parere negativo poi espresso
su almeno uno dei farmaci in questione", e pertanto l'intervento del
Poggiolini "non venne richiesto solo per sollecitare l'iter delle
pratiche, ma proprio per superare il prevedibile rigetto delle istanze
presentate"; di qui la logica conclusione che "il Poggiolini accetto'
quelle dazioni nella piena consapevolezza di dover agire attraverso
manovre illecite - e quindi in maniera difforme ai doveri d'ufficio - per
favorire il Moroni, in modo da consentirgli dei risultati positivi che
altrimenti non avrebbe mai ottenuto".
A fronte di tali motivazioni, di per se' non qualificabili certamente
come manchevoli o manifestamente illogiche, si rappresentano, da parte
della difesa del ricorrente, nient'altro che rilievi critici di mero
fatto,
sulla
base,
essenzialmente,
di
frammentari
richiami
a
dichiarazioni del Poggiolini e di altri, delle quali, di volta in volta,
si lamenta la mancata o distorta valutazione; richiami che, oltre ad
essere del tutto incontrollabili in questa sede, postulando essi un
diretto esame degli atti, non consentito al giudice di legittimita' se
non quando venga dedotto un vizio "in procedendo" (quale, ovviamente, non
puo' definirsi il vizio di motivazione, che, nella specie, si e', piu' o
meno dichiaratamente, inteso dedurre), si mostrano, talvolta, del tutto
inconferenti, rispetto all'assunto che si vuole sostenere. E' il caso, ad
esempio, del richiamo, relativamente al capo 190, all'affermazione
attribuita al Camozzi il quale, riferendosi al Poggiolini, avrebbe detto:
"io ritengo che lui non abbia fatto alcunche' per seguire la pratica";
espressione, questa, il cui letterale significato e', all'evidenza, ben
diverso da quello che la difesa ha inteso trarne allorche', dopo poche
righe, si duole che la corte d'appello non abbia motivato "sulla
rilevantissima affermazione del Camozzi il quale dice che Poggiolini non
fece promesse in relazione al buon esito della pratica". Non e' chi non
veda, infatti, che un conto e' dire che taluno non ha fatto qualcosa; un
altro conto e' dire che non ha promesso di farla.
Fin qui per quanto riguarda i capi d'imputazione per i quali vi e' stata
condanna.
Relativamente poi a quelli per i quali, previa derubricazione da
corruzione propria a corruzione impropria, vi e' stata declaratoria di
estinzione del reato (capi 177, 179, 180, 181, 184, 185, 187, 193, 194,
195, 200, 206), non puo' che richiamarsi, ancora una volta, il principio
che, in presenza di una tale declaratoria, non possono prendersi in
esame, in sede di legittimita', dedotti vizi di motivazione finalizzati
all'applicazione dell'art. 129 c.p.p., comma 2. Ed appunto questi
risultano i vizi denunciati, anche con riguardo ai capi in questione,
dalla difesa del ricorrente, la quale, premesso che "in atti" (e, quindi,
non nel corpo delle sentenze, alle quali deve farsi, in sede di
legittimita',
esclusivo
riferimento),
"sussistevano
gli
elementi
comprovanti l'estraneita' del ricorrente ai fatti in contestazione o
comunque la insussistenza della fattispecie di cui all'art. 318 c.p.", ha
poi sistematicamente lamentato, per ciascun capo preso in esame, che essi
non fossero stati adeguatamente presi in esame o non se ne fossero tratte
le asseritamente dovute conseguenze.
Passando quindi all'esame del terzo motivo di ricorso, ritiene la Corte
sufficiente osservare (analogamente a quanto si e' gia' fatto con
riguardo
alla
corrispondente
doglianza
espressa
dal
ricorrente
Procuratore Generale), che trattasi di censura del tutto inammissibile,
in quanto avente ad oggetto un provvedimento non di natura decisoria.
Con riguardo al quarto motivo, rileva la Corte che, dalla stessa
formulazione del ricorso, risulta ammesso che le prove documentali di cui
si lamenta la mancata assunzione da parte del giudice di primo grado
avrebbero dovuto essere assunte, non essendo esse nella disponibilita'
della parte, ai sensi dell'art. 507 c.p.p.. Vale, quindi, al riguardo, il
principio gia' affermato da questa Corte, sez. 6°, 12 ottobre-1 dicembre
2000 n. 12539, RV 218171, secondo cui: "La mancata assunzione di una
prova decisiva - quale motivo di impugnazione per Cassazione - puo'
essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata
chiesta l'ammissione a norma dell'art. 495 c.p.p., secondo comma, sicche'
il motivo non potra' essere validamente invocato nel caso in cui il mezzo
di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l'invito al giudice
di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione
probatoria di cui all'art. 507 c.p.p. e da questi sia stato ritenuto non
necessario ai fini della decisione". E cio' a prescindere dalla ulteriore
considerazione che, nella specie, non puo' neppure dirsi acclarata la
decisivita', almeno potenziale, delle prove in questione a favore del
ricorrente, risultando esse essenzialmente finalizzate a dimostrare come
egli, nell'ambito degli organismi di cui comunque faceva parte, non fosse
investito di competenze tali da far si' che potesse, di fatto, accelerare
o favorire l'esito di determinate pratiche. Giova, in proposito,
richiamare i principi gia' illustrati nella prima parte della trattazione
del ricorso Balsano con riguardo tanto al problema della competenza
specifica del pubblico ufficiale quanto a quello dell'effettivo
compimento o meno, da parte del pubblico ufficiale, dell'attivita' cui si
riferisce la indebita retribuzione o la relativa promessa. E, d'altra
parte, appare ben difficile pensare, sul piano delle piu' comuni nozioni
di logica e di esperienza, che, nel caso specifico, le imprese
farmaceutiche avrebbero continuato a versare per lungo tempo ingenti
somme di danaro a soggetto del tutto privo della concreta possibilita' di
far loro conseguire i vantaggi sperati. Va da se', naturalmente, che la
non deducibilita' come motivo di ricorso per Cassazione della mancata
assunzione di prove ex art. 507 c.p.p. comporta anche, a maggior ragione,
la incensurabilita' della mancata rinnovazione del dibattimento in sede
di appello per l'assunzione delle medesime prove. Parimenti incensurabile
deve inoltre ritenersi la stessa mancata rinnovazione del dibattimento
per l'effettuazione dell'accertamento peritale chiesto dalla difesa,
secondo quanto rappresentato nel ricorso, onde verificare "la sussistenza
o meno di velocizzazione delle procedure" e "l'agevolazione o meno, in
sede di valutazione, operata sulla qualita' tecnica dei farmaci e sulla
loro registrazione". A parte, infatti, il noto e consolidato orientamento
giurisprudenziale
secondo
cui
la
rinnovazione
dell'istruzione
dibattimentale in appello ha sempre carattere eccezionale, attesa la
presunzione di completezza di quella effettuata in primo grado (e, nella
specie, non risulta neppure rappresentato, nel ricorso, che un
accertamento peritale del genere dianzi accennato fosse stato chiesto in
primo grado), vi e' poi da ribadire ancora una volta il concetto che, ai
fini
della
configurabilita'
del
reato,
non
conta
la
condotta
effettivamente posta in essere dal pubblico ufficiale, ma quella che egli
si e' impegnato a porre in essere a fronte della illecita retribuzione,
nulla rilevando che detto impegno sia poi stato da lui osservato o meno.
Di tal che, in linea puramente teorica, potrebbe anche darsi per ammesso
che nessuna condotta specificamente contraria ai doveri d'ufficio fosse
stata, nella specie, realizzata, rimanendo peraltro configurarle il reato
di corruzione propria per il solo fatto che il pubblico ufficiale aveva
comunque mostrato di essere disposto a realizzarla a titolo di
corrispettivo della retribuzione da lui accettata.
Quanto poi alle censure, pure espresse nel ricorso, in ordine agli
accertamenti effettuati sui conti correnti del Poggiolini, a parte che da
esse non risulta neppure chiaro se la difesa intenda riferirsi ad una
consulenza disposta direttamente dal Pubblico Ministero o ad una perizia
disposta dal giudice ex art. 507 c.p.p., ritiene la Corte sufficiente
osservare che esse appaiono del tutto assertive e generiche, sia per
quanto riguarda i pretesi pregiudizi in danno del diritto di difesa, sia
per quanto riguarda il contenuto della relazione, di cui ci si limita ad
affermare "il carattere approssimativo" e "l'incapacita' di dare delle
risposte concrete e sicure rispetto ai quesiti che venivano posti".
Relativamente al quinto motivo, concernente la mancata revoca della
disposta confisca, vale, sostanzialmente, quanto gia' osservato a
proposito dell'analoga doglianza contenuta nel ricorso Di Maria,
dovendosi qui solo rilevare la palese erroneita' del presupposto da cui
muove la difesa del Poggiolini, costituito dall'assunto secondo il quale
si sarebbe in presenza di una "confermata assoluzione del ricorrente da
tutti gli episodi di corruzione propria", laddove, come si e' visto, per
alcuni di detti episodi, e non dei meno gravi, vi e' stata conferma della
condanna.
Con riguardo al sesto motivo, in cui ci si duole della mancata
derubricazione anche degli episodi per i quali e' stata mantenuta ferma
la qualificazione come corruzione propria, ritiene la Corte che, a fronte
del
carattere
assolutamente
generico
delle
proposte
censure,
essenzialmente consistenti in interrogativi retorici circa l'avvenuto
assolvimento dell'obbligo di motivazione e l'osservanza dei principi
affermati dalla giurisprudenza di questa Corte in ordine alla
configurabilita' del reato in questione, sia sufficiente richiamare
quanto gia' precedentemente illustrato nella trattazione del secondo
motivo di ricorso, avente sostanzialmente il medesimo oggetto, nella
parte in cui lamenta come ingiustificata la confermata pronuncia di
condanna del Poggiolini per corruzione propria relativamente ai capi ivi
indicati.
Passando, infine, all'esame dell'ultimo motivo di ricorso, ritiene la
Corte che il diniego delle attenuanti generiche, di cui si duole la
difesa del ricorrente, non possa certamente dirsi privo di adeguata
motivazione, avendo la corte di merito fatto riferimento, non certo
pretestuoso ed arbitrario, alla incontestabile, specifica gravita' dei
fatti ed all'intensita' del dolo mostrato dal ricorrente nel perseguire
per tanti anni ed in modo pressoche' sistematico ingenti profitti con
violazione dei suoi piu' elementari doveri di pubblico funzionario. La
difesa del ricorrente illustra, dal canto suo, ampiamente, con dovizia di
argomentazioni, le ragioni per le quali, a suo avviso, l'imputato sarebbe
stato meritevole di ben maggiore indulgenza. E ben puo' riconoscersi che
trattasi di ragioni sulla base delle quali, teoricamente, le attenuanti
generiche avrebbero anche potuto essere concesse. Il che non significa,
pero', che tale teorica concedibilita' possa ridondare in motivo di
censura, da parte del giudice di legittimita', nei confronti di quello di
merito il quale ha invece ritenuto di privilegiare, nell'ambito
dell'ampio margine di discrezionalita' a lui spettante, connaturato alla
natura stessa dell'istituto in questione (non a caso l'art. 62-bis
c.p. definisce le attenuanti ivi previste come "generiche"), le diverse e
non meno logiche e plausibili ragioni che inducevano ad escludere la
necessita'
e
l'opportunita'
di
una
mitigazione
del
trattamento
sanzionatorio, peraltro gia' contenuto nell'ambito di una fascia media
tra minimi ed i massimi edittali. Quanto al mancato riconoscimento
dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p.n. 6, e' vero che la sentenza
impugnata risulta, sul punto, priva di motivazione, ma tale mancanza non
assurge, ad avviso della Corte, a motivo di annullamento poiche' sono
individuabili, anche in questa sede, le ragioni di puro diritto per le
quali detta attenuante non sarebbe stata comunque riconoscibile.
Escluso, infatti, come ammesso nello stesso atto di ricorso, che potesse
parlarsi di "risarcimento del danno", attesa l'inesistenza, secondo la
impugnata sentenza, di un danno risarcibile riconducibile ai fatti di
corruzione, sarebbe stata da escludere - diversamente da quanto sostenuto
dalla difesa - anche la configurabilita' dell'ipotesi di cui alla seconda
parte del citato art. 62 c.p. n. 6, dal momento che le "conseguenze
dannose o pericolose del reato", in caso di corruzione, sono
essenzialmente quelle che consistono nella lesione dell'affidabilita' e
del prestigio della pubblica amministrazione, e non si vede come una tale
lesione possa essere elisa od attenuata mediante versamento di somme alla
stessa pubblica amministrazione. Relativamente, poi, al difetto di
motivazione in ordine alla mancata applicazione dell'art. 448 c.p.p., lo
stesso appare del tutto irrilevante, considerando che - come si ammette
anche nel ricorso - l'entita' della pena inflitta avrebbe comunque
escluso detta applicazione. Ne' si vede quale rilevanza possa assumere il
fatto, pure lamentato nel ricorso, che nella sentenza di primo grado
fosse stato erroneamente affermato che, da parte del Poggiolini, non era
stata avanzata richiesta di patteggiamento.
Ricorso Santagata de Castro:
Il primo ed il secondo motivo di ricorso, nel contestare la
configurabilita', a carico del ricorrente, del reato di favoreggiamento
reale a lui ascritto, prendono in esame solo il rapporto fra tale reato e
quello di finanziamento illecito a partiti politici, trascurando
completamente di considerare che, secondo quanto chiaramente enunciato
nel capo d'imputazione, le somme di danaro in questione costituivano
provento non solo del finanziamento illecito a partiti politici ma anche,
e prioritariamente, dei reati di corruzione. Risulta quindi del tutto
inconferente
l'assunto
secondo
il
quale,
dovendosi
ritenere
il
finanziamento illecito come temporalmente coincidente con il preteso
favoreggiamento reale, la condotta posta in essere dal ricorrente sarebbe
stata, tutt'al piu', da qualificare come di concorso nel primo di detti
reati. E neppure puo' dirsi - per quanto valga - che esso sarebbe stato
poi da considerare depenalizzato. La depenalizzazione, per effetto
dell'art. 32 della legge 24 novembre 1981, n. 689, riguardava soltanto
gli illeciti, originariamente puniti soltanto con pena pecuniaria, di cui
all'art. 4, comma sesto, della legge 18 novembre 1981, n. 659, correlati
al solo obbligo di dichiarazione alla presidenza della Camera dei
deputati di erogazioni regolarmente disposte in favore di partiti
politici, e non certo il reato, punibile con reclusione e multa, previsto
dall'art. 7, comma 3, della legge 2 maggio 1974, n. 195, relativo
all'ipotesi di erogazioni da considerarsi, come nel caso di specie,
effettuate in violazione del divieto di cui al precedente comma 2 dello
stesso art. 7, in quanto provenienti da societa' commerciali senza che vi
fosse stata regolare deliberazione ed iscrizione in bilancio.
Per quanto concerne il terzo motivo, rileva la Corte che, contrariamente
a quanto in esso si assume, l'impugnata sentenza contiene una specifica
motivazione a sostegno della ritenuta inattendibilita' della tesi
difensiva secondo cui l'imputato non sarebbe stato posto a conoscenza
della possibile provenienza illecita dei fondi fatti affluire alle casse
del comitato. Si osserva, infatti, al riguardo (pp. 287, 288), che lo
stesso imputato, alle udienze del 30 settembre e del 4 ottobre 1999, pur
negando di essere stato a conoscenza di detta provenienza, aveva tuttavia
ammesso di aver saputo che il ministro De Lorenzo "non poteva
giustificare nella propria dichiarazione dei redditi l'erogazione delle
ingenti somme necessarie a finanziare la campagna elettorale e che,
comunque, aveva interesse a che queste somme figurassero come fornite da
privati sottoscrittori". Pertanto - prosegue la sentenza - "lo stesso
Santagata ha finito col riconoscere di aver ben compreso che le
contribuzioni non provenivano solo da privati ma anche da enti e societa'
che, per la loro capacita' economica, erano in grado di fornire
contribuzioni di ben maggiore consistenza, rispetto a quelle dei
privati".
Trattasi, come si vede, di rilievi ed argomentazioni del tutto pertinenti
e non "manifestamente illogici", di tal che l'essere stati, gli stessi,
del tutto ignorati nel ricorso rende quest'ultimo, sotto questo profilo,
addirittura inammissibile. E tutto cio' senza considerare, poi, che si
e', anche in questo caso, in presenza di una declaratoria di estinzione
del reato per intervenuta prescrizione, sia pur dovuta, in questo caso,
alla ritenuta operativita' di circostanze attenuanti, per cui - non
risultando queste ultime oggetto di impugnazione da parte del Pubblico
Ministero - dovrebbe ritenersi comunque valido il principio piu' volte in
precedenza richiamato della non rilevabilita', in sede di Cassazione, di
vizi di motivazione, il cui riconoscimento imporrebbe l'annullamento con
rinvio.
Ricorso della parte civile:
L'Avvocatura dello Stato, a sostegno del ricorso proposto nell'interesse
del Ministero della Salute, costituitosi parte civile, prospetta la
configurabilita', quale conseguenza del reato di corruzione, tanto del
danno non patrimoniale quanto (limitatamente alla corruzione propria), di
quello patrimoniale, rilevando, a proposito di quest'ultimo, come detta
configurabilita' risulti ammessa anche nell'impugnata sentenza, la quale,
pero', avrebbe erroneamente limitato la sua rilevanza alla sfera del c.d.
"danno erariale", riservato alla giurisdizione esclusiva della Corte dei
conti.
Ora, con riguardo al danno non patrimoniale, derivante - sembra
intendersi - dalla lesione dell'interesse collettivo all'imparzialita'
della pubblica amministrazione, la cui immagine e credibilita' verrebbero
appannate presso l'opinione pubblica da episodi di corruzione, tanto
propria che impropria, ritiene la Corte opportuno richiamare il principio
da essa gia' piu' volte affermato in ipotesi di corruzione di magistrati,
secondo cui "l'interesse della collettivita' all'esercizio imparziale e
indipendente della funzione giurisdizionale non puo' essere rappresentato
da un'entita' organizzativa dello Stato apparato, quale il Ministro della
giustizia, ma solamente dal soggetto che rappresenta la sintesi politica
e di governo dello stato-comunita', ovvero dal Presidente del consiglio
dei ministri" (cosi', in particolare, sez. 6°, 13 aprile-27 luglio 1999
n. 9574, Curto' ed altri, RV 214539; nello stesso senso, sez. 6°, 13
luglio-5 agosto 2000 n. 8849, Castellucci ed altro, RV 220535). Tale
principio, al quale il collegio ritiene debbasi prestare piena adesione,
non puo' non valere, per evidente identita' di "ratio", anche per il caso
di corruzione di pubblici funzionari diversi dai magistrati, atteso che
la regola della "imparzialita'" non riguarda soltanto l'esercizio della
funzione giurisdizionale ma anche la pubblica amministrazione in
generale, essendo essa esplicitamente affermata, unitamente a quella del
"buon andamento", dall'art. 97 Cost., comma primo. Pertanto, senza
entrare, a questo punto, nel merito della questione circa la
configurabilita' o meno del danno non patrimoniale subito dalla pubblica
amministrazione in conseguenza di fatti corruttivi, rimane comunque
esclusa la titolarita' del Ministero della
rifusione di un tale danno, eventualmente
Presidenza del consiglio dei ministri.
salute a pretendere la
reclamabile solo dalla
Per quanto riguarda poi l'ipotetico danno patrimoniale la cui rifusione,
invece, potrebbe, teoricamente, essere reclamata anche da una singola
amministrazione (come, nella specie, il Ministero della salute), puo'
convenirsi con la ricorrente parte civile che esso puo' esulare dai
limiti oggettivi e soggettivi del c.d. "danno erariale", di competenza
della Corte dei conti. Rimane pero' il fatto che, prospettandosi nel
ricorso come possibile causa produttrice di danno patrimoniale solo
quella costituita da "indebiti aumenti dei prezzi dei farmaci" ovvero da
"piu' contenute riduzioni", non risulta in alcun modo provato,
nell'impugnata sentenza, (ne' il contrario si sostiene da parte della
ricorrente), l'effettivo verificarsi di tali eventi, di tal che viene
anche a mancare la prima condizione di quella che avrebbe potuto essere,
teoricamente, soltanto una condanna generica al risarcimento di danni da
accertarsi, non solo per il "quantum" ma anche per l'"an", in separata
sede. Se e' vero, infatti, che, come piu' volte affermato da questa
Corte, "ai fini della condanna generica al risarcimento dei danni non e'
necessario che il danneggiato dia la prova della loro effettiva
sussistenza e del nesso di causalita' fra questi e l'azione dell'autore
dell'illecito" (per tutte, Cass. 1°, 28 febbraio-18 marzo 1992 n. 3220,
Simbula, RV 189917), e' altrettanto vero che, nelle medesime pronunce, si
indica come non solo sufficiente ma anche, implicitamente, come
necessario "l'accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di
conseguenze dannose"; fatto che non puo' identificarsi, "sic et
simpliciter", nella condotta integratrice del reato, quando questa non
sia tale da dimostrare, "ex se", la propria attitudine lesiva di diritti
altrui, occorrendo invece, al di fuori dell'ipotesi ora accennata, che,
secondo i principi generali in materia di onere della prova, sia la parte
civile a dimostrare l'esistenza del fatto anzidetto. Nella specie,
quindi, posto che la corruzione propria e' configurabile (come piu'
volte, ad altro proposito, gia' ricordato), indipendentemente dalla
effettiva realizzazione o meno, da parte del pubblico ufficiale, della
condotta contraria ai doveri d'ufficio in vista della quale gli e' stata
corrisposta o promessa l'indebita retribuzione, sarebbe stato onere della
parte civile, in quanto interessata al risarcimento del presunto danno,
dimostrare anzitutto che quella condotta era stata posta in essere (e
quindi, in particolare - per rimanere alla sua stessa prospettazione che effettivamente erano stati consentiti indebiti aumenti o mancate
riduzioni del prezzo dei farmaci), e poi ulteriormente dimostrare la sua
potenziale attitudine a produrre conseguenze economicamente negative per
il Ministero della salute, non potendo queste presumersi senza
un'adeguata illustrazione, quanto meno, dei meccanismi amministrativi
mediante i quali i maggiori prezzi di determinati medicinali sul mercato
avrebbero potuto dar luogo a maggiori esborsi da parte dello stesso
ministero, direttamente o sotto forma di sovvenzioni ad altri enti
competenti per l'assistenza sanitaria. Dell'avvenuto assolvimento di tali
oneri probatori non si fa, nel ricorso, cenno alcuno, per cui deve
ritenersi, non facendosene cenno neppure nell'impugnata sentenza, che
esso non abbia avuto luogo. Pur prescindendosi dalla ragione indicata
nell'impugnata sentenza, puo' e deve quindi riconoscersi la legittimita'
della ritenuta inesistenza di un danno patrimoniale per il quale potesse
pronunciarsi, in sede penale, condanna generica al risarcimento in favore
del Ministero della sanita'.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso del Procuratore Generale; rigetta il ricorso
della parte civile e i ricorsi degl'imputati e condanna tutti i predetti
in solido al pagamento delle spese processuali.
Cosi' deciso in Roma, il 27 ottobre 2003.
Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2004