REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO
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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. TERESI Renato - Presidente Dott. BARDOVAGNI Paolo - Consigliere Dott. SIOTTO M. Cristina - Consigliere Dott. CANZIO Giovanni - Consigliere Dott. DUBOLINO Pietro - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: Procuratore Napoli; Generale della Repubblica presso Ministero della salute (parte civile costituita); Balsano Francesco; Brenna Antonio; Di Maria Pierr; Ferretti Carlo; Frajese Gaetano; Golinelli Marino; Mantovani Azio; Masi de Vargas Machuca Claudio Maria; Nicolini Marino; Poggiolini Duilio; Santagata de Castro Carlo (imputati); la Corte d'appello di avverso la sentenza della Corte d'appello di Napoli in data 28 febbraio 2002; udita in pubblica udienza la relazione svolta dal Cons. Dott. Dubolino; sentito il P.G. presso questa Corte, in persona del Sost. Dott. Ciampoli Luigi, il quale ha concluso per: inammissibilita' del ricorso del P.G. di Napoli relativamente alle posizioni di Cerchiai Pietro, Puttini Giuseppe, Violati Carlo, imputati non ricorrenti; rigetto nel resto del ricorso dello stesso P.G.; rigetto dei ricorsi degli imputati e della parte civile; sentiti i difensori presenti degli imputati ricorrenti, nonche' l'avvocato dello Stato, per la costituita parte civile, i quali hanno insistito per l'accoglimento dei rispettivi ricorsi; sentiti i difensori presenti degli imputati non ricorrenti, i quali hanno chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi il ricorso del P.G. proposto nei confronti dei loro assistiti; avendo ritenuto che: Svolgimento del processo Balsano Francesco, Brenna Antonio, Ferretti Carlo, Frajese Gaetano, Nicolini Marino e Poggiolini Duilio vennero tratti a giudizio davanti al tribunale di Napoli per rispondere del delitto di associazione per delinquere aggravata ( art. 416 c.p., commi primo, secondo e terzo), originariamente configurato anche a carico di altri soggetti nei confronti dei quali si era proceduto separatamente o si erano verificate cause di improcedibilita' (Boccia Antonio, Manzoli Francesco Antonio, Muzzio Pier Carlo, Rondanelli Elio Guido, Varrone Stelio, Patane' Santo, De Lorenzo Francesco, Marone Giovanni), perche' - secondo quanto si legge nel capo d'imputazione - "in numero superiore a dieci, essendo rispettivamente il Brenna, presidente, ed il Vittoria (deceduto), il Balsano, il Boccia, il Manzoli, il Rondanelli, il Poggiolini, il Muzzio, il Frajese, il Varrone, il Patane', il Nicolini, componenti del CIP farmaci, nonche' il Ferretti componente dell'ufficio di segreteria del predetto CIP, organismo tra l'altro preposto alla trattazione delle pratiche di revisione dei prezzi dei farmaci, avendo altresi' il Manzoli ricoperto la carica di direttore dell'Istituto superiore di sanita' ed il Poggiolini quella di direttore generale del Servizio farmaceutico del Ministero della sanita', si associavano tra loro nonche' con De Lorenzo Francesco, deputato del PLI e ministro della sanita', quale promotore della organizzazione criminale di cui trattasi, e con Marone Giovanni, segretario del De Lorenzo, al fine di commettere piu' reati di corruzione e di finanziamento illecito dei partiti politici, in relazione alla indebita percezione di somme di danaro erogate dalle ditte farmaceutiche perche' fossero assicurate la celere trattazione e la positiva definizione delle pratiche dei prodotti farmaceutici, ed in particolare le pratiche di revisione dei prezzi dei farmaci cui le ditte erano interessate, a tal fine dandosi una stabile organizzazione con una precisa articolazione di compiti, con accordi stabili in base ai quali il De Lorenzo ed il Marone segnalavano, previa sollecitazione delle ditte interessate, le pratiche da agevolare; il De Lorenzo, il Vittoria ed il Marone definivano l'ammontare preciso che le ditte dovevano versare a titolo di "contribuzioni" per le agevolazioni richieste; il Vittoria e il De Lorenzo indicavano al Brenna le pratiche cui assicurare la celere trattazione e la positiva definizione; il Brenna poneva all'ordine del giorno le pratiche segnalate e nominava di volta in volta relatori i vari componenti del CIP che assicuravano l'esito positivo delle pratiche; il Ferretti curava l'organizzazione delle pratiche; il Marone, il Vittoria, il Balsano, il Manzoli, il Rondanelli, il Poggiolini, il Boccia, il Varrone, il Patane', il Muzzio, il Frajese, il Nicolini, oltre agli stessi Brenna e Ferretti materialmente percepivano le somme erogate dalle ditte per le agevolazioni - Accertato in Napoli e Milano nel maggiogiugno 1993 e commesso in epoca precedente in Napoli e Roma fino a tutto il 1992". Oltre che di tale reato associativo i suddetti imputati erano chiamati a rispondere anche di singoli episodi di corruzione passiva per atti contrari ai doveri d'ufficio, in relazione a somme di danaro o altre utilita' loro fatte percepire da titolari o rappresentanti di ditte farmaceutiche. In particolare, per quanto accusati di aver ricevuto: ancora d'interesse, gli imputati erano Balsano: - lire 20 milioni da Fontana Tommaso e Humpert Bernt, per conto della ditta Pfizer italiana, nell'anno 1991 (capo 102); - lire 100 milioni da Zambeletti Gianpaolo, per conto della ditta Ellem, nell'anno 1991 (capo 104); - lire 300 milioni, in piu' riprese, da Poli Stefano, per conto della ditta Poli industria chimica, tra il 1989 ed il 1992 (capo 105); - lire 140 milioni, in piu' riprese, da Aleotti Alberto per conto della ditta Menarini, tra il 1990 ed il 1992 (capo 106); - lire 20 milioni, in piu' riprese, da Dompe' Sergio, per conto della ditta Dompe' farmaceutici, nell'anno 1991 (capo 108); - lire 10-15 milioni, sotto forma di compenso per ricerche farmaceutiche, da Cavazza Claudio, per conto della ditta Sigma Tau, intorno alla fine del 1990 (capo 110); - lire 455 milioni, in piu' riprese, da Miglio Giuseppe per conto della ditta Sandoz, tra il 1989 ed il 1992 (capo 111); - dollari USA 25.000 da Ricordati Giovanni, omonima, intorno alla fine del 1990 (capo 113); per conto della ditta - lire 20 milioni, in piu' riprese, da Pancera Massimiliano per conto della ditta Boehringer Mannheim, tra il 1990 ed il novembre 1993 (epoca dell'accertamento) (capo 114); - lire 30 milioni da Girotti Giampaolo per conto della ditta Alfa Wassermann, nei primi mesi del 1992 (fatto contestato all'udienza del 5 luglio 1999); Brenna: - lire 50 milioni da Poli Stefano, per il tramite di Rondanelli Elio Guido, tra il 1991 ed il 1992 (capo 103); - lire 250 milioni piu' quadri ed un orologio d'oro per un valore complessivo di circa lire 172 milioni, in piu' riprese, da Zambeletti Giampaolo, negli anni 1990-1992 (capo 122); - lire 400 milioni circa, piu' altri 60 milioni circa sotto forma di acquisto di copie di una rivista, in piu' riprese, da Cavazza Claudio, tra il 1986 ed il 1991 (capo 123); - lire 100 milioni, in piu' riprese, da De Santis Francesco, per conto della ditta Italfarmaco, con particolare riferimento alla revisione dei prezzi dei prodotti denominati Clitoven Endoprost, Triasporin, e Sumadol, tra il 1991 ed il 1992(capo 124); - lire 240 milioni, in piu' riprese, da Aleotti Alberto, negli anni 19871991 (capo 125); - alcuni quadri, di valore non precisato, consegnati in piu' riprese da Fontana Tommaso ed Humpert Bernt tra il 1988 ed il 1992 (capo 126); - lire 122 milioni, in piu' riprese, da Florimente Cesare, per conto della ditta Istituto farmacologico Serono, e da Bertarelli Fabio, per conto della ditta Ares-Serono, tra il 1987 ed il 1992 (capo 127); - lire 30 milioni circa, in piu' riprese, da Dompe' Sergio, tra il 1990 ed il 1992 (capo 128); - lire 30 milioni circa, in piu' riprese, da Miglio Giuseppe, tra il 1989 ed il 1992 (capo 129); - lire 100 milioni circa, in piu' ripresa, da Maffeis Flavio, per conto della ditta Glaxo, tra il 1990 ed il 1991 (capo 130); - lire 100 milioni circa, da distribuire poi fra gli altri componenti del CIP, da De Reviziis Giuseppe, per conto della ditta Damor di Riccio Vincenzo e Riccio Antonio, con particolare riferimento alla revisione del prezzo del prodotto denominato "fitostimoline", nel maggio del 1992 (capo 131); - un soggiorno omaggio di otto giorni in Corsica, del valore di circa lire 4 milioni, nell'anno 1990 (capo 132); Ferretti: - lire 20 milioni circa, in piu' riprese, da Lapeyre Daniel, per conto della ditta LIRCA, tra il 1989 ed il 1992 (capo 133); - lire 15-30 milioni circa, in piu' riprese, da Cavazza Claudio, tra il 1988 ed il 1991 (capo 134); - lire 50 milioni, destinate ad essere distribuite fra i componenti del CIP, da De Reviziis Giuseppe, nel maggio-giugno del 1992 (capo 135); - lire 30 milioni circa, in piu' riprese, da Recodati Arrigo, tra il 1989 ed il 1991 (capo 136); - lire 10 milioni circa, in piu' riprese, da Dompe' Sergio, tra il 1990 ed il 1992 (capo 137); - lire 60 milioni, in piu' riprese, da De Santis Francesco, per il tramite di Zoni Giorgio, da epoca imprecisata fino al 1992 (capo 138); - somme imprecisate, per "diversi milioni di lire", fino al 1992, da Miglio Giuseppe (capo 139), da Torricelli Ernestina, titolare della ditta CT di Sanremo (capo 140), da Bolasco Francesco, titolare della ditta Ripari Gero (capo 141), da Secondi Ambrogio, titolare della ditta ISF (capo 142), da Formenti Sergio, titolare della ditta omonima (capo 143), da esponenti non identificati delle ditte Giuliani (capo 144), Geygi (capo 145), Bioresearch (capo 146), Glaxo (capo 147); - lire 5-6 milioni da Germani Claudio e Bianchi Roberto, per conto della ditta Farmitalia Carlo Erba, nell'anno 1990 (capo 148); - somme imprecisate per "diversi milioni di lire", in piu' riprese, da Golinelli Marino, Golinelli Stefano e Girotti Giampaolo, per conto della ditta Alfa Wassernann, negli anni precedenti al 1994 (capo 149); - lire 10 milioni circa, in piu' riprese, da Pancera Massimiliano, negli anni 1990-1991 (capo 150); - lire 1.400.000.000 circa da altre ditte farmaceutiche non identificate, diverse da quelle indicate in precedenza, fino al 1992 (capo 151); Frajese: - lire 50 milioni da Zambeletti Gianpaolo, nell'anno 1991 (capo 152); - lire 20 milioni da Aleotti Alberto, nel 1990 (capo 153); - lire 70 milioni circa, in piu' riprese, sotto forma di finanziamento per un congresso di psichiatria e pubblicazione dei relativi atti, da Miglio Giuseppe, fra il 1990 ed il 1991 (capo 154); - un viaggio-soggiorno negli USA, del valore di lire 10-12 milioni, offerto da Cavazza Claudio (capo 156); - lire 30 milioni da De Santis Francesco nell'ottobre-novembre del 1992 (capo 157); Nicolini: - lire 20 milioni, in piu' riprese, da Florimente Cesare e Bertarelli Fabio, negli anni 1990-1991 (capo 172); - lire 50 milioni circa, in piu' riprese, da Miglio Giuseppe, nel 1992 (capo 173); - lire 35 milioni circa, in piu' riprese, da Ricordati Ricordati Arrigo, tra il 1989 ed il 1992 (capo 174); Giovanni e Poggiolini: - lire 120 milioni circa, in piu' riprese, da Poli Stefano, negli anni 1990-1991 (capo 176); - gioielli e quadri d'autore (fra cui un De Chirico) per un valore complessivo di lire 420 milioni circa, in piu' riprese, da Zambeletti Gianpaolo, tra il 1988 ed il 1991 (capo 177); - lire 1.100 milioni circa, in piu' riprese, da Aleotti Alberto, tra il 1982 ed il 1991 (capo 178); - un quadro d'autore (D'Orazio) del valore di circa lire 16 milioni da Fontana Tommaso e Humpert Bernt, nell'anno 1988 (capo 179); - finanziamenti per oltre lire 100 milioni per convegni e pubblicazioni, piu' messa a disposizione di aerei privati, per un costo complessivo di oltre lire 100 milioni, in piu' riprese, da Florimonte Cesare e Bertarelli Fabio, tra il 1986 ed il 1992 (capo 180); - oggetti di valore per circa lire 20 milioni, piu' messa a disposizione di aerei privati, da Dompe' Sergio, in piu' riprese, tra il 1991 ed il 1992 (capo 181); - lire 400 milioni da De Reviziis Giuseppe, con particolare riferimento alla pratica di registrazione del prodotto "fitostimoline", nell'anno 1989 (capo 182); - lire 100 milioni da De Reviziis Giuseppe, con particolare riferimento alla pratica di registrazione del prodotto "Clarema", nell'anno 1991 (capo 183); - lire 180 milioni circa, piu' oggetti di valore per circa 130 milioni, ed uso gratuito di circa 60 voli con aereo privato, da Ricordati Arrigo e Ricordati Giovanni, in epoca imprecisata precedente all'accertamento, avvenuto nell'agosto-settembre del 1993 (capo 184); - lire 500 milioni circa, in piu' riprese, da Mantovani Azio, per conto della ditta Segena, fino all'anno 1991 (capo 185); - lire 800 milioni circa, in piu' riprese, da Sala Bernardino, per conto della ditta Shering, tra il 1983 ed il 1992 (capo 186); - lire 90 milioni circa, in piu' riprese, da Pancera Massimiliano, negli anni 1990-1992 (capo 187); - lire 300 milioni circa da Torricelli Ernestina, in piu' riprese, negli anni 1989-1991 (capo 188); - lire 80 milioni circa, in piu' riprese, da Secondi Ambrogio, fino all'anno 1989 (capo 189); - lire 500 milioni circa, in piu' riprese, da Camozzi Livio e Pinamonti Giovanni, per conto della ditta Bioresearch, fino all'anno 1989 (capo 190); - lire 200 milioni circa, in piu' riprese, da De Angelis Enrico, per conto della ditta Errekappa, fino all'anno 1991 (capo 191); - lire 280 milioni circa, in piu' riprese, da Rinaldi Edo, per conto della ditta ISI, tra il 1982 ed il 1990 (capo 192); - lire 300 milioni circa, in piu' riprese, da Golinelli Marino, tra il 1980 ed il 1989 (capo 193); - lire 260 milioni circa, in piu' riprese, da Spiti Giovanni, per conto della ditta Boehringer Mannheim, negli anni dal 1978 al 1989 (capo 194); - lire 220 milioni circa, in piu' riprese, nonche' tre quadri d'autore per un valore complessivo di lire 200 milioni circa, da Maffeis Flavio e, prima ancora, da Fertonani Mario, per conto della ditta CIP farmaci, negli anni dal 1975 al 1988 (capo 195); - lire 2.050 milioni circa, in piu' riprese, piu' sovvenzionamento di convegni ed uso gratuito di aerei privati, per un importo non precisato, da Cavazza Claudio e, in parte, da Angelini Igino (poi defunto) e Bertarelli Fabio, negli anni dal 1980 al 1991 (capo 196); - uso gratuito, in piu' occasioni, di due aerei privati, per un costo non precisato, da Miglio Giuseppe, negli anni 1989 e 1990 (capo 197); - lire 80 milioni circa, in piu' riprese, da Zambon Roberto, titolare della ditta omonima, fino all'anno 1988 (capo 198); - lire 50 milioni circa, in piu' riprese, da Cerchiai Piero, per conto della ditta Firma, negli anni 1987-1991 (capo 199); - lire 50 milioni da Catelli Pietro, per conto della ditta Artsana, negli anni 1989/1990 (capo 200); - lire 50 milioni circa, in piu' riprese, da Moroni Adolfo, per conto della ditta Magis Farmaceutica, negli anni 1988-1989 (capo 201); - lingotti d'oro per un valore complessivo di lire 110 milioni, in piu' riprese, da Bolasco Francesco, per conto della ditta Ripari-Gero, fino agli anni 1990/91 (capo 202); - due quadri d'autore, per un valore complessivo di lire 60 milioni circa, da Bracco Diana, per conto della ditta Bracco,, in epoca imprecisata anteriore all'accertamento, avvenuto "nell'ottobre 1993 e nel 1994" (capo 203); - preziosi per un valore complessivo di oltre lire Zambeletti Gianpaolo, nel Natale del 1991 (capo 204); 100 milioni da - lire 18 milioni, in piu' riprese, per il tramite della moglie Di Maria Pierr, da Antonetto Carlo, per conto della ditta Marco Antonetto, con particolare riferimento alle pratiche di registrazione del prodotto denominato "modula", negli anni 1990-1991 (capo 205); - lire 4.000 milioni circa, in piu' riprese, per il tramite della moglie Di Maria Pierr, da De Santis Francesco, per conto della ditta Italfarmaco, tra il 1984 ed il 1992 (capo 206); - somme di danaro non precisate, in piu' riprese, per il tramite della moglie Di Maria Pierr, da Chiesi Paolo e da Formenti Sergio, titolari delle omonime ditte, fino all'anno 1992 (capi 207 e 208); - quadri per un valore di circa lire 507 milioni, monete d'oro per un valore di circa lire 1.267 milioni, monete antiche per un valore di circa lire 48 milioni, lingotti d'oro e preziosi per un valore di circa lire 600 milioni, da esponenti di diverse ditte farmaceutiche non identificate, per il tramite della moglie Di Maria Pierr, fino all'anno 1992 (capo 209). Si addebitava, inoltre, al Poggiolini, di aver concorso, unitamente alla moglie di Maria Pierr nei seguenti altri episodi: - corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio in relazione al pagamento, da parte di De Santis Francesco, di fatture per un importo complessivo di lire 101 milioni emesse per fittizie prestazioni di ricerche e studi, nell'interesse di De Lorenzo Francesco, al cui partito la somma era poi destinata, nell'anno 1990 (capo 248); - illecito finanziamento, per il suddetto importo di lire 101 milioni, in favore del P.L.I., nell'anno 1990 (capo 249); - corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio in relazione al pagamento, da parte di Lapeyre Daniel, di una fattura dell'importo di lire 200 milioni emessa il 26 aprile 1990 per prestazioni effettuate in favore del P.L.I. (capo 250); - illecito finanziamento, per la somma anzidetta, in favore del P.L.I. (capo 251); - illecito finanziamento, per un importo di lire 50 milioni, corrispondente ad altra fattura emessa il 26 aprile 1990, in favore del P.L.I. (capo 252); - corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio in relazione al pagamento, da parte di Chiesi Paolo, di due fatture per complessive lire 75 milioni emesse per fittizie prestazioni di ricerche e studi, nell'interesse di De Lorenzo Francesco, al cui partito la somma era destinata, nell'anno 1990 (capo 253); - illecito finanziamento, per il suddetto importo di lire 75 milioni, al P.L.I. (capo 254); illecito finanziamento, per l'importo di lire 100 milioni, corrispondente ad altra fattura emessa il 30 aprile 1990, in favore del P.L.I. (capo 255). Oltre ai nominati Balsano, Brenna, Ferretti, Frajese, Nicolini e Poggiolini, vennero tratti a giudizio, davanti al medesimo tribunale di Napoli: Binda Emilio, Garofano Giuseppe e Michetti Roberto, per rispondere di corruzione attiva per atti contrari ai doveri d'ufficio in relazione alla dazione della complessiva somma di lire 600 milioni circa da essi effettuata, nell'anno 1990, per conto della Montedison o societa' ad essa collegate, in favore di De Lorenzo Francesco mediante accredito dell'equivalente in franchi svizzeri su conti correnti accesi presso istituti bancari elvetici, onde ottenere "la celere trattazione e la positiva definizione delle pratiche di revisione del prezzo dei farmaci Ibustrin e Farmorubicina, prodotti dalla Farmitalia (capo 30); Catelli Pietro, per rispondere di corruzione attiva per atti contrari ai doveri d'ufficio, in relazione al fatto di cui al capo 200, gia' indicato fra quelli addebitati al Poggiolini; Della Valle Francesco, per rispondere di corruzione attiva per atti contrari ai doveri d'ufficio in relazione alla dazione della complessiva somma di lire 300 milioni da lui effettuata, quale titolare della ditta Farmaceutica Fidia, in favore di De Lorenzo Francesco, negli anni 1990 e 1991 (capo 13); Di Maria Pierr, per rispondere: - di concorso con il Poggiolini nei fatti di cui ai capi 204, 205, 206, 207, 208, 248, 249, 250, 251, 252, 253, 254, 255; - di ricettazione continuata per avere, a fine di profitto, ricevuto cose provenienti dai delitti di corruzione commessi dal Poggiolini e, segnatamente, sei quadri nonche' lingotti d'oro e d'argento, monete ed oggetti preziosi vari, per un valore complessivo di circa lire due miliardi, occultati nella cassaforte della propria abitazione; fatti accertati il 29 settembre ed il 7 ottobre 1991 (capo 210); - di diversi addebiti di favoreggiamento reale per avere aiutato Poggiolini ad assicurarsi il profitto ed il prodotto dei reati di corruzione da lui commessi: - ponendo in essere, d'intesa con un consulente finanziario ed un funzionario di banca, "una serie artificiosa di operazioni bancarie", dettagliatamente descritte nel capo d'imputazione, volte ad occultare la provenienza e la disponibilita' di ingenti somme di danaro; fatti commessi tra il luglio ed il settembre del 1993 (capo 211); - trasformando le disponibilita' di danaro esistenti su svariati conti correnti bancari in titoli al portatore che occultava poi in un "puff" sito nella propria abitazione; fatti commessi tra il luglio ed il novembre del 1993 (capo 212); - versando in piu' riprese su di un conto corrente intestato al Poggiolini presso il Banco di Roma la somma complessiva di lire 775 milioni, proveniente da illecite dazioni di vari imprenditori farmaceutici; fatti commessi negli anni 1990-1992 (capo 213); Gironda Gianpaolo, per rispondere di concorso in corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio, avendo emesso, secondo l'accusa, una fattura da lire 91.650.000 (piu' IVA) ed un'altra da lire 120 milioni (piu' IVA), per prestazioni mai effettuate a favore della destinataria Sigma Tau, onde coprire la effettiva destinazione di dette somme a De Lorenzo Francesco, negli anni 1991 e 1992 (capo 37); Golinelli Marino, per rispondere di corruzione attiva in relazione ai fatti di cui ai capi 149 e 193, gia' indicati fra quelli addebitati, rispettivamente, al Ferretti ed al Poggiolini; Mantovani Azio, per rispondere: - di corruzione attiva per atti contrari ai doveri d'ufficio, con riguardo alla dazione, in piu' riprese, per conto della ditta Inverni Della Beffa, della somma complessiva di lire 300 milioni destinata a De Lorenzo Francesco onde ottenere la positiva definizione delle pratiche interessanti la predetta societa'; fatti commessi negli anni 1990-1991 (capo 11); - di illecito finanziamento, per il suddetto importo di lire 300 milioni, in favore del P.L.I. (capo 12); - di corruzione attiva in relazione ai fatti di cui al capo 185, gia' indicato fra quelli addebitati a Poggiolini; Masi De Vargas Machuca Claudio Maria, per rispondere: - di corruzione attiva per atti contrari ai doveri d'ufficio, in relazione alla dazione, in piu' riprese, della complessiva somma di lire 360 milioni (in parte sotto forma di pagamento di fatture per prestazioni fittizie), destinata a De Lorenzo Francesco, onde ottenere l'aggiudicazione di un appalto per l'effettuazione di campagne pubblicitarie anti AIDS; fatti commessi negli anni 1991-1992 (capo 88); - di illecito finanziamento, per il suddetto importo di lire 360 milioni, in favore del P.L.I. (capo 89); Paderni Sergio, per rispondere di corruzione passiva per atti contrari ai doveri d'ufficio, addebitandoglisi di avere, nella sua qualita' di direttore generale della programmazione sanitaria del Ministero della sanita', ricevuto in piu' riprese da Cavazza Claudio la somma complessiva di lire 30 milioni onde sostenere, nell'elaborazione delle bozze programmatiche di spesa sanitaria, in vista della preparazione della legge finanziaria, "tesi maggiormente favorevoli alle aspettative della Farmindustria, pur dopo aver redatto previsioni di spese aderenti alle esigenze economiche dello Stato"; fatti commessi negli anni 1989 - 1991 (capo 247); Puttini Sergio, per rispondere: - di vari episodi di concorso in corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio, in relazione al pagamento, da parte di ditte farmaceutiche, onde ottenere una "trattazione privilegiata" delle pratiche di revisione prezzi che le riguardavano, delle seguenti somme che venivano fatte fittiziamente figurare come destinate al centro studi Rimez, di esso imputato, per prestazioni effettuate in favore delle ditte medesime, si' da coprire la loro effettiva destinazione a De Lorenzo Francesco: - lire 60 milioni pagate in piu' riprese da Maiatico Alberto per conto della ditta Lepetit, nel primo semestre del 1991 (capo 59); - lire 70 milioni circa, pagate da Porporati Guido, titolare della ditta Bristol Mayers Squibb, nel febbraio-marzo 1992 (capo 61); - lire 100 milioni pagate in piu' riprese da De Santis Francesco per conto della ditta Italfarmaco, negli anni 1991-1992 (capo 63); - lire 40 milioni pagate da Fontana Tommaso e Humpert Bernt, per conto della ditta Pfizer, nell'anno 1990 (capo 65); Rinaldi Edo, per rispondere: - di corruzione attiva per atti contrari ai doveri d'ufficio, in relazione all'erogazione, sotto forma di pagamento di una fattura emessa per operazioni inesistenti dalla tipografia "Simeone" di Blasi Ulisse, della somma di lire 30 milioni destinata a De Lorenzo Francesco e Marone Giovanni, onde ottenere un "trattamento privilegiato" per le pratiche interessanti l'Istituto sierovaccinogeno italiano; fatto commesso nel 1992 (capo 52); - di corruzione attiva, in relazione ai fatti di cui al capo 192, gia' indicato fra quelli addebitati a Poggiolini; Santagata De Castro Carlo, per rispondere di favoreggiamento reale continuato per avere, ricevendo da De Lorenzo Francesco e dal suo segretario Marone Giovanni somme per il complessivo importo di lire 350 milioni circa, costituenti provento dei reati di corruzione e di finanziamento illecito a partito politico, che poi facevano figurare come contribuzioni volontarie versate da varie persone al "Comitato di sostegno e garanzia per De Lorenzo", da essi costituito, aiutato gli stessi De Lorenzo e Marone ad assicurarsi il profitto dei suddetti reati nonche' di quelli, ad essi connessi, di illecito finanziamento ad un partito politico; fatti commessi dal marzo al giugno del 1992 (capo 101); Torricelli Tessitore Ernestina, per rispondere di corruzione attiva in relazione ai fatti di cui ai capi 140 e 188, gia' indicati fra quelli addebitati, rispettivamente, a Ferretti ed a Poggiolini. Con sentenza in data 20-21 luglio 2000 il tribunale di Napoli cosi' provvedeva: - dichiarava colpevoli: - Balsano Francesco dei reati di cui ai capi 102, 104, 105 (limitatamente all'importo di lire 60 milioni), 106, 113, 114, nonche' del reato contestato all'udienza del 5 luglio 1999, tutti riuniti per continuazione, condannandolo alla pena di anni quattro e mesi sei di reclusione; - Binda Emilio del reato di cui al capo 30, condannandolo alla pena di anni due e mesi sei di reclusione; - Brenna Antonio dei reati di quadri ed all'orologio), 123 milioni), 126, 131, 132, tutti alla pena di anni cinque e mesi cui ai capi 103, 122 (limitatamente ai (limitatamente all'importo di lire 400 riuniti per continuazione, condannandolo sei di reclusione; - Catelli Pietro del reato di cui al capo 200, condannandolo alla pena, condizionalmente sospesa, di anni due di reclusione; - Della Valle Francesco del reato di cui al capo 13, condannandolo alla pena di anni due di reclusione; - Di Maria Pierr dei reati di cui ai capi 206, 211 e 212, uniti per continuazione, condannandola alla pena di anni quattro di reclusione; - Ferretti Carlo dei reati di cui ai capi 133, 134, 135, 136 (limitatamente all'importo di lire 12 milioni), 137, 139, 141, 142, 143, 148, 149, 150, tutti uniti per continuazione, condannandolo alla pena di anni quattro e mesi due di reclusione; - Frajese Gaetano dei reati di cui ai capi 152 e 153, uniti continuazione, condannandolo alla pena di anni tre di reclusione; per - Golinelli Marino dei reati di cui ai capi 149 e 193, indicati come commessi fino al 1989 (oltre che di altro reato, contestato al capo 21, per il quale vi e' poi stata assoluzione in appello, senza successivo ricorso del Pubblico Ministero), tutti uniti per continuazione, condannandolo alla pena di anni due e mesi tre di reclusione; - Mantovani Azio dei reati di cui ai capi 11 e 185 (limitatamente, per quest'ultimo, all'importo di lire 300 milioni), uniti per continuazione, condannandolo alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione; - Masi de Vargas Machuca Claudio Maria del reato di cui al capo 88, condannandolo alla pena, condizionalmente sospesa, di anni due di reclusione; - Michetti Roberto del reato di cui al capo 30 (limitatamente all'importo di lire 300 milioni), condannandolo alla pena di anni due e mesi due di reclusione; - Nicolini Marino del reato di cui al capo 172, condannandolo alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione; - Poggiolini Duilio dei reati di cui ai capi 176, 177, 178, 179, 180, 181, 182 (limitatamente all'importo di lire 300 milioni), 184 (limitatamente all'importo di lire 180 milioni), 185 (limitatamente all'importo di lire 300 milioni), 186, 187, 188, 189, 190, 191, 192, 193, 194, 195, 196, 198, 200, 201, 202, 206, tutti uniti per continuazione, condannandolo alla pena di anni sette e mesi sei di reclusione; - Rinaldi Edo del reato di cui al capo 192, condannandolo alla pena di anni due e mesi due di reclusione; - Torricelli Tessitore Ernestina del reato di cui al condannandola alla pena di anni due e mesi due di reclusione; capo 188, - assolveva Balsano Francesco, Brenna Antonio, Ferretti Carlo, Frajese Gaetano, Nicolini Marino e Poggiolini Duilio dal reato di associazione per delinquere per non aver commesso il fatto; - assolveva inoltre: - Balsano Francesco dai reati di cui ai capi 105 (per il residuo importo della somma contestata), 107, 108, 109, 110, 111, 112, con la formula "il fatto non sussiste"; - Brenna Antonio dai reati di cui ai capi 122 e 123 (relativamente ai fatti residui), 124, 125, 127, 128, 129, 130, con la formula "il fatto non sussiste"; - Di Maria Pierr dai reati di cui ai capi 248, 253, con la formula "il fatto non all'art. 249 con la formula "il fatto non di cui ai capi 250, 251, 252, 254, 255, commesso il fatto"; 204, 205, 207, 208, 210, 213, sussiste"; dal reato di cui costituisce reato"; dai reati con la formula "per non aver - Ferretti Carlo dai reati di cui ai capi 136 (per il residuo della somma ivi indicata), 140, 144, 145, 146, 147, 151, con la formula "il fatto non sussiste"; - Frajese Gaetano dai reati di cui ai capi 154, 155, 156, 157, con la formula "il fatto non sussiste"; - Garofano Giuseppe dai reati di cui ai capi 30 e 31 con la formula "per non aver commesso il fatto"; - Gironda Giampaolo dai reati a lui ascritti (ivi compreso quello di cui al capo 37) con la formula "il fatto non sussiste"; - Mantovani Azio dal reato di cui all'art. 185 (per il residuo della somma ivi indicata), con la formula "il fatto non sussiste"; - Michetti Roberto dal reato di cui al capo 30, per il residuo della somma ivi indicata, con la formula "per non aver commesso il fatto"; - Nicolini Marino dai reati di cui ai capi 173 e 174 con la formula "il fatto non sussiste"; - Poggiolini Duilio dai reati di cui ai capi 182 (per il residuo della somma ivi indicata), 183, 184 e 185 (per il residuo delle somme ivi indicate), 197, 199, 203, 204, 205, 207, 208, 209, 248, 253, con la formula "il fatto non sussiste"; dal reato di cui al capo 249 con la formula "il fatto non costituisce reato"; dai reati di cui ai capi 250, 251, 252, 254, 255 con la formula "per non aver commesso il fatto"; - Puttini Giuseppe dai reati di cui ai capi 59, 61, 63, 65, con la formula "perche' il fatto non sussiste"; - Rinaldi Edo dal reato di cui al capo 52 con la formula "il fatto non sussiste"; - Torricelli Tessitore Ernestina dal reato di cui al capo 140 con la formula "il fatto non sussiste"; - dichiarava estinti per prescrizione il reato di cui al capo 12, ascritto al Mantovani Azio e, previa concessione delle attenuanti generiche, quello di cui al capo 101, ascritto al Santagata de Castro. Su appelli proposti, per quanto di rispettivo interesse, dal Pubblico Ministero e dagli imputati condannati, la corte d'appello di Napoli, con la sentenza di cui in epigrafe, in parziale riforma della decisione di primo grado, cosi' provvide, confermando nel resto la suddetta decisione: - assolse: - Balsano Francesco dai reati di cui ai capi 113 e 114 con la formula "il fatto non sussiste"; - Binda Emilio dal reato di cui al capo 30 con la formula "il fatto non costituisce reato"; - Brenna Antonio dai reati di cui ai capi 103, 131 e 132 con la formula "il fatto non sussiste"; - Ferretti Carlo dai reati di cui ai capi 136, 139, 141, 142 e 143 con la formula "il fatto non sussiste"; - Frajese Gaetano dal reato di cui all'art. 153 con la formula "il fatto non sussiste"; - Michetti Roberto dal reato di cui al capo 30 con la formula "il fatto non costituisce reato"; - Paderni Sergio dal reato di cui al capo 247 con la formula "il fatto non sussiste"; - Poggiolini Duilio dal reato di cui al capo 192 con la formula "il fatto non costituisce reato" e da quelli di cui ai capi 198 e 202 con la formula "il fatto non sussiste"; - Rinaldi Edo dal reato di cui al capo 192 con la formula "il fatto non costituisce reato"; - Torricelli Tessitore Ernestina dal reato di cui al capo 188 con la formula "per non aver commesso il fatto"; - dichiaro' estinti per prescrizione, previa loro riqualificazione come fatti di corruzione per atti non contrari ai doveri d'ufficio ( art. 318 c.p.): - i reati di cui ai capi 102, 104, 105 (per la parte per cui vi era stata condanna), 106, nonche' quello contestato all'udienza del 5 luglio 1999, nei confronti di Balsano Francesco; - i reati di cui ai capi 122 (per la parte per cui vi era stata condanna) e 126, nei confronti di Brenna Antonio; - il reato di cui al capo 200, nei confronti di Catelli Pietro; - il reato di cui al capo 13, nei confronti di Della Valle Francesco; - il reato di cui Poggiolini Duilio; al capo 206 nei confronti di Di Maria Pierr e - i reati di cui ai capi 133, 134, 135 (limitatamente alla somma di lire 5 milioni), 137, 138, 148, 149 e 150 nei confronti di Ferretti Carlo; - il reato di cui al capo 152 nei confronti di Frajese Gaetano; - i reati di cui ai capi 149 e 193 nei confronti di Golinelli Marino; - i reati di cui ai capi 11 e 185 nei confronti di Mantovani Azio; - il reato di cui al capo 172 nei confronti di Nicolini Marino; - i reati di cui ai capi 177, 179, 180, 181, 184, 185, 187, 193, 194, 195, 200 (oltre a quello gia' ricordato di cui al capo 206), nei confronti di Poggiolini Duilio; - ridetermino' come segue le pene inflitte agli imputati a carico dei quali rimanevano pronunce di condanna: - anni tre di reclusione per Brenna Antonio, relativamente alla residua imputazione di cui al capo 123; - anni uno e mesi dieci di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale, per Di Maria Pierr, relativamente ai reati di cui ai capi 211 e 212; - anni quattro e mesi quattro di reclusione per Poggiolini Duilio, relativamente ai residui reati di cui ai capi 176, 178, 182, 190, 196, 201; - dispose trasmettersi al Pubblico Ministero, ai sensi dell'art. 521 c.p.p., comma 2, , gli atti relativi ai capi 186, 188, 189 e 191, ritenendo che concussione; i fatti ivi descritti fossero da qualificare come - rigetto' le domande risarcitorie (accolte invece in primo grado) delle costituite parti civili (Ministero della salute ed altri). A sostegno di dette statuizioni di riforma osservo', in sintesi, la corte d'appello: - quanto all'assoluzione di Balsano Francesco dai reati di cui ai capi 113 e 114, che, per il primo di tali reati, essa costituiva la necessaria conseguenza della ritenuta inutilizzabilita' delle dichiarazioni predibattimentali di Ricordati Giovanni, poi avvalsosi della facolta' di non rispondere, e delle dichiarazioni dei testi Muller e Bergamini, assunte per rogatoria, atteso che le prime non erano comprese nel fascicolo del P.M. quando da esso erano stati tratti gli atti per la formazione del fascicolo per il dibattimento e le seconde erano state rese da soggetto del quale non poteva dirsi che fosse risultato assolutamente impossibile l'esame dibattimentale, come previsto dall'art. 512 bis c.p.p.; per il secondo reato, le dichiarazioni rese dal coimputato Pancera, su cui si basava essenzialmente l'accusa, oltre ad apparire prive di adeguati riscontri, non erano neppure tali da rendere configurabile il "pactum sceleris", avendo il Pancera dichiarato di essersi indotto alla dazione per mero "timore reverenziale" nei confronti del Balsano, senza alcun collegamento con la prospettiva dell'esame di una pratica riguardante la ditta Boerhinger Mannheim; - quanto all'assoluzione del Binda dal reato di cui al capo 30, che ad essa doveva pervenirsi considerando che l'imputato, pur avendo ammesso di essersi adoperato per l'effettuazione del versamento della somma di cui all'imputazione sul conto svizzero di De Lorenzo, aveva pero' sostenuto, non implausibilmente, di non essere stato a conoscenza dell'origine di detta somma; assunto, questo, al quale non si sarebbe potuta validamente contrapporre l'affermazione del coimputato Barbaro, secondo cui questi avrebbe fatto presente che si trattava di "una tangente", in quanto priva dei riscontri che sarebbero stati necessari, tenendo anche conto trattandosi di soggetto che si era avvalso della facolta' di non rispondere in dibattimento - del disposto di cui all'art. 1, comma 2, della legge n. 35/2000; - quanto all'assoluzione di Brenna Antonio dai reati di cui ai capi 103, 131 e 132, che, per il primo di detti reati, le dichiarazioni accusatorie del coimputato Rondanelli erano rimaste del tutto prive di riscontri, non avendo esse trovato conferma in quelle del Poli, del Marone e del Vittoria; per gli altri reati erano parimenti rimaste prive di riscontri le dichiarazioni accusatorie del De Reviziis, peraltro avvalsosi in dibattimento della facolta' di non rispondere; - quanto all'assoluzione del Frajese dal reato di cui al capo 153, che, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale, le dichiarazioni accusatorie dell'Aleotti, su cui si basava essenzialmente l'addebito, non solo non avevano trovato riscontro alcuno in altre risultanze, incontrando invece smentita in quelle di un teste (tale Malandrino) addotto dalla difesa, ma non contenevano neppure una chiara indicazione circa un collegamento tra le pretese dazioni e l'esame di pratiche interessanti la ditta Menarini; - quanto all'assoluzione del Michetti dal reato di cui al capo 30, che anche per lui, come per il Binda, non vi erano elementi atti a smentire il suo assunto che egli, pur dando il suo contributo per l'effettuazione di una "operazione riservata" in Svizzera, non fosse a conoscenza della illecita provenienza della somma di cui all'imputazione, basandosi la contraria tesi accusatoria unicamente su indimostrate e non riscontrate affermazioni del coimputato Morrione; - quanto all'assoluzione del Paderni dal reato di cui al capo 247, che, sulla base di quanto riferito, a conferma delle dichiarazioni dell'imputato, dal teste Monorchio, gia' ragioniere generale dello Stato, a fronte di dichiarazioni "estremamente generiche" del Marone, non era in alcun modo sostenibile che il Paderni avesse avuto la possibilita' e l'intenzione di influire sulla formazione della legge finanziaria in modo da far da essa derivare uno specifico, indebito vantaggio per le ditte farmaceutiche; - quanto all'assoluzione del Poggiolini dai reati di cui ai capi 192, 198 e 202, che, per il primo di tali reati, dalle dichiarazioni concordanti dell'imputato e del Rinaldi, emergeva con chiarezza come le dazioni di quest'ultimo, ancorche' censurabili sotto il profilo dell'opportunita', non erano finalizzate al compimento di atti d'ufficio, ma costituivano solo un compenso, spontaneamente elargito, per una attivita' di consulenza effettivamente svolta dal Poggiolini, in un settore assai specifico e delicato qual'era quello della produzione di farmaci emoderivati (il che valeva anche a giustificare l'assoluzione dello stesso Rinaldi); per il secondo ed il terzo reato, non poteva riguardarsi come "confessione" la semplice ammissione, da parte dell'imputato, dell'avvenuta ricezione della somme di cui alle imputazioni, in assenza di elementi atti a dimostrare che detta ricezione fosse collegata alla stipulazione di un patto corruttivo; - quanto all'assoluzione della Torricelli Tessitore dal reato di cui al capo 188, che la stessa derivava dalla ritenuta configurabilita', sulla base delle dichiarazioni della stessa imputata, del reato di concussione a carico del Poggiolini; - quanto alla ritenuta configurabilita', nei casi precedentemente indicati, della meno grave ipotesi di reato di cui all'art. 318 c.p., in luogo di quella originariamente contestata, che andava in essi fatta applicazione, per le ragioni di volta in volta specificamente indicate, del criterio di fondo illustrato alle pagg. 136 e segg. dell'impugnata sentenza, secondo cui non potrebbe parlarsi di corruzione per atti contrarsi ai doveri d'ufficio per il solo fatto che l'accettazione dell'indebita promessa o dazione di danaro o altra utilita' comporta violazione dei doveri di fedelta' e imparzialita' del pubblico ufficiale, occorrendo invece che promessa o dazione siano finalizzate al compimento di atti specificamente contrastanti con i doveri d'ufficio, non riconoscibili come tali quando essi consistano in una mera "accelerazione della pratica" o in una "garanzia del suo buon esito", ove questo non sia contrario agli interessi della P.A. o ai diritti dei terzi e ad esso altro non si frapponga se non un eventuale atteggiamento ostruzionistico del pubblico ufficiale; - quanto al rigetto delle domande risarcitorie, che l'interesse direttamente tutelato dalle norme che prevedono come reato la corruzione e' soltanto quello "'generale' dello Stato come collettivita' di persone, non gia' un interesse individuale dello Stato persona giuridica, per cui in caso di violazione del comportamento imposto a tutela di tale interesse generale si realizza solo un illecito penale e lo Stato subisce solo un danno sociale che va restaurato con la sanzione penale. Non si realizza anche un illecito civile perche' non vi e' la violazione di un diritto soggettivo dello stato-persona giuridica". A sostegno, per converso, delle statuizioni di conferma della sentenza di primo grado osservo', in sintesi, la corte d'appello: - quanto all'assoluzione degli imputati dal reato associativo cui il medesimo era stato contestato, che, alla stregua delle acquisite risultanze probatorie, posto che doveva darsi per acquisito, nella prospettazione accusatoria, che esistesse un'associazione per delinquere formata da De Lorenzo, Marone e Vittoria, non vi erano tuttavia elementi di sorta per ritenere provato che di essa avessero fatto parte anche Balsano, Brenna, Ferretti, Frajese, Nicolini e Poggiolini, i cui rapporti illeciti con le ditte farmaceutiche, se ed in quanto esistenti, prescindevano totalmente dalle finalita' e dagli interessi sottesi alla suddetta associazione; - quanto alle assoluzioni per i singoli episodi di corruzione, che mancasse, per le ragioni di volta in volta indicate, la prova di accordi corruttivi correlati ad atti d'ufficio, ovvero della consapevole adesione ad essi da parte degli imputati (e' il caso dei capi 108, 110, 111 addebitati a Balsano; dei capi 128, 129, 130 addebitati a Brenna; dei capi 154, 156 e 157, addebitati a Frajese; dei capi 173 e 174 addebitati al Nicolini; dei capi 197, 203, 204, 205, 207, 208, 209, 248, 250, 251, 252, 253, 254, 255, addebitati a Poggiolini e, in parte, alla Di Maria, conseguente assolta, per insussistenza del reato presupposto, anche dall'addebito di ricettazione di cui al capo 210; del capo 30 addebitato al Garofano e al Michetti; del capo 37 addebitato al Gironda; dei capi 59, 61, 63, 65 addebitati al Puttini; del capo 140 addebitato alla Torricelli Tessitore), oppure che mancassero i necessari, specifici elementi di riscontro a dichiarazioni genericamente confessorie rese dall'imputato (e' il caso dei capi 140, 144, 145, 146, 151, addebitati a Ferretti); - quanto alle pronunce di condanna per gli altri episodi, che le stesse trovavano giustificazione nelle acquisite risultanze probatorie e, segnatamente: - per il Brenna (capo 123), nelle dichiarazioni accusatorie del Cavazza, ampiamente riscontrate dalle ammissioni dello stesso Brenna, dalle quali emergeva che quest'ultimo, in cambio delle somme ricevute, era in grado non solo di "accelerare" (cosa di per se' non contraria ai doveri d'ufficio) il corso delle pratiche interessanti la ditta Sigma Tau, ma anche di "scavalcare" (cosa da ritenersi invece contraria ai suddetti doveri) le pratiche di altre ditte; - per la Di Maria (capi 211 e 212), nella incontestata effettuazione delle descritte operazioni, accompagnata dalla consapevolezza, che l'imputata, per i suoi stretti rapporti con il Poggiolini, non poteva non avere circa la illecita provenienza delle somme e dei valori di cui alle imputazioni; - per il Poggiolini, nella ritenuta, accertata esistenza di situazioni nelle quali solo il prezzolato appoggio dell'imputato avrebbe potuto garantire un esito favorevole, altrimenti assai incerto, o peggio, delle pratiche cui le ditte pagatrici erano interessate, avuto riguardo ai dubbi ed alle riserve oggettivamente prospettabili sulla effettiva validita' dei farmaci proposti e sull'assenza in essi di controindicazioni gravi (e' il caso, in particolare, dei capi 176, 178, 190, 196, 201), ovvero nel ritenuto, indebito "scavalcamento, anche in questo caso, di altre pratiche da parte di quelle "accelerate" (e' il caso del capo 182): - per il Masi de Vargas (capo 88), nelle convergenti dichiarazioni accusatorie del Marone e del Giannotti (gia' coimputato del Masi de Vargas) avvalorate anche da quelle del teste a difesa Donzelli, dal complesso delle quali risultava smentita la tesi difensiva secondo cui l'imputato avrebbe solo inteso versare un contributo, senza contropartita, in favore del P.L.I.; - quanto alla declaratoria di estinzione per prescrizione del reato di favoreggiamento reale ascritto al Santagata de Castro, che essa andava confermata, dovendosi escludere, sulla base delle convergenti dichiarazioni del Marone e di tali Giovagnoni Modestino e De Vivo Claudio (gia' coimputati nel medesimo reato), la asserita inconsapevolezza, da parte del Santagata de Castro, tanto della provenienza delle somme fatte fittiziamente figurare come contributi di privati quanto delle finalita' di copertura dell'operazione. Avverso la sentenza d'appello hanno proposto ricorso per Cassazione il Procuratore Generale presso la corte d'appello di Napoli, l'Avvocatura dello Stato e gli imputati Balsano, Brenna, Di Maria, Ferretti, Frajese, Golinelli, Mantovani, Masi De Vargas, Nicolini, Poggiolini e Santagata. Il Procuratore Generale ricorrente ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata relativamente a tutte le statuizioni assolutorie dianzi ricordate, sulla base tanto di argomentazioni di ordine generale contestando, in particolare, la validita' del criterio di distinzione seguito dalla corte di merito tra corruzione propria e corruzione impropria - quanto di diffuse argomentazioni basate, per i singoli addebiti, sulle risultanze processuali, a sostegno di denunciati vizi di motivazione. E' stato anche chiesto l'annullamento della disposta trasmissione degli atti al P.M. relativamente ai capi per i quali la corte d'appello ha ritenuto configurarle la concussione. L'avv. Alfonso Stile, nell'interesse degli imputati Rinaldi Edo e Binda Emilio, l'avv. Nerio Dioda', nell'interesse dell'imputato Brenna Antonio, e l'avv. Corso Bovio, nell'interesse dell'imputato Gironda Gianpaolo, hanno prodotto memorie con quali chiedono che il ricorso del P.G. sia dichiarato inammissibile o, in subordine, rigettato. Balsano Francesco, con atto a firma del difensore di fiducia avv. Alfonso Furgiuele, ha denunciato come ingiustificata la ritenuta configurabilita', relativamente ai reati di cui ai capi 102, 104, 105, 106 ed al capo relativo al reato contestato in udienza, del reato di cui all'art. 318 c.p., sostenendo che anche con riguardo a detti reati si sarebbe dovuto pervenire ad un'assoluzione con formula ampiamente liberatoria; tesi, poi, ulteriormente illustrata in successive, ampie note difensive. Brenna Antonio ha denunciato: - con atto a firma dell'avv. Nerio Dioda': 1) manifesta illogicita' di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita' per il reato di cui al capo 123, sostenendo che, in realta', da nessun elemento sarebbe stato possibile ricavare la prova del preteso "scavalcamento" di altre pratiche a favore di quelle favorite dietro compenso; "scavalcamento" che, d'altra parte, sarebbe stato negato, in via generale, con riguardo a tutti gli episodi oggetto di giudizio, dalla stessa sentenza d'appello; 2) 3) violazione di legge processuale e carenza di motivazione, unitamente ad erronea applicazione della legge penale, sostenendo che erroneamente, con riguardo ai capi 122, 123 e 126, le dichiarazioni rese, rispettivamente, da Zambeletti, Cavazza e Fontana, sarebbero state ritenute riscontrabili sulla base di quelle rese da esso imputato e che sarebbe stato pertanto da escludere ogni prova della responsabilita' di quest'ultimo, anche sotto il profilo di cui all'art. 318 c.p.; 4) carenza generiche; di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti - con atto a firma dell'avv. Antonio Fiorella, difetto di motivazione, prospettato sotto diversi profili (in larga parte coincidenti con quelli illustrati nel ricorso a firma del codifensore), in ordine alla ritenuta configurabilita' tanto della corruzione propria, relativamente al capo 123, quanto di quella impropria, relativamente ai capi 122 e 126, come pure in ordine al diniego delle attenuanti generiche; Di Maria Pierr, denunciato: con atto a firma dell'avv. Carlo Marchialo, ha 1) violazione della legge cost. 16 gennaio 1989 n. 1, della legge 5 giugno 1989, n. 219 e degli artt. 34 c.p.p. e art. 178 c.p.p., lett. a), sull'assunto che, anche alla, luce della recente sentenza n. 134/2002 della Corte costituzionale, sarebbe stata da riconoscere la nullita' del rinvio a giudizio disposto dallo speciale collegio per i reati ministeriali anziche' dal giudice dell'udienza preliminare; 2) inosservanza od erronea applicazione dell'art. 1, comma 2, del D.L. 7 gennaio 2000, n. 2, conv. con modif. in legge 25 febbraio 2000 n. 35, nonche' dell'art. 26, comma 4, della legge 1 marzo 2001 n. 63 e degli artt. 500, 511 4 e segg. e 526 c.p.p., sull'assunto che erroneamente le dichiarazioni del coimputato Poggiolini, poi avvalsosi della facolta' di non rispondere, sarebbero state considerate acquisite alla data in cui erano state utilizzate per contestazioni anziche' a quella, successiva, del 4 maggio 2000, in cui l'acquisizione era stata formalmente disposta con ordinanza del tribunale, ed erroneamente, quindi, essendo quest'ultima data posteriore a quella del 25 febbraio 2000, prevista dal citato art. 26, comma 4, della legge n. 63/2001, le suddette dichiarazioni sarebbero state ritenute utilizzabili nei confronti della ricorrente; 3) violazione od erronea applicazione degli artt. 318 c.p. e art. 129 c.p.p., sull'assunto che, in assenza di qualsivoglia prova di colpevolezza anche in ordine al reato di cui all'art. 318 c.p., la ricorrente sarebbe stata da assolvere con formula piena dall'addebito contestato al capo 206; 4) violazione od erronea applicazione dell'art. 379 c.p., unitamente a mancanza o manifesta illogicita' di motivazione, sull'assunto che erroneamente ed ingiustificatamente sarebbe stata affermata la responsabilita' dell'imputata per i fatti di cui ai capi 211 e 212, attese la oggettiva inidoneita' della condotta addebitatale a costituire "aiuto" per il Poggiolini e l'assenza di valida prova in ordine all'elemento psicologico del reato; 5) inosservanza od erronea applicazione degli artt. 210, 235 e 240 c.p. in ordine alla mantenuta confisca, nonostante il proscioglimento dal reato di cui al capo 206, della somma di lire 10.526.000.000; 6) violazione dell'art. 62-bis c.p. per il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche. Ferretti Carlo, con atto a firma degli avv.ti Vincenzo Siniscalchi e Luigi Ferrante, ha denunciato violazione di legge e vizio di motivazione sull'assunto, in sintesi, che erroneamente sarebbe stata affermata la "penale responsabilita'" dell'imputato in assenza di elementi indicativi degli atti d'ufficio ai quali le indebite dazioni sarebbero state collegabili e, quindi, della stessa esistenza degli accordi corruttivi. Frajese Gaetano, denunciato: con atto a firma dell'avv. Giuseppe Gianzi, ha 1) "violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b), c) ed e) in relazione all'art. 129 c.p.p. nonche' all'art. 318 c.p. ed agli artt.1, comma 2, della legge n. 35/2000, 26 della legge n. 63/2001 e art. 192 c.p.p. n. 3", sull'assunto, in sintesi, che l'ipotizzata responsabilita' del ricorrente per il reato di cui al capo 152, ancorche' derubricato in corruzione impropria, sarebbe stata comunque da escludere per la non utilizzabilita' delle dichiarazioni predibattimentali di Zambeletti, avvalsosi della facolta' di non rispondere, in assenza di altri elementi di prova che le confermassero; 2) "violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b), c) ed e), in relazione agli artt. 357 e 318 c.p. nonche' all'art. 129 c.p.", per essersi erroneamente ritenuta la sussistenza, in capo al ricorrente, della qualita' di pubblico ufficiale, atteso il carattere meramente consultivo della commissione per la determinazione del prezzo dei farmaci, di cui egli faceva parte. Golinelli Mario, con atto a firma dell'avv. Luigi Cavalli, ha denunciato la nullita' della "vocatio in jus" per le stesse ragioni, sostanzialmente, gia' indicate nel motivo n. 1 del ricorso proposto nell'interesse della Di Maria. Con successive note illustrative la difesa del Golinelli, oltre a ribadire la suddetta ragione di doglianza, ha sostenuto la inammissibilita' del ricorso del P.G., nella parte in cui censura la ritenuta sussistenza della corruzione impropria in luogo di quella propria, come pure l'inammissibilita' o, comunque, l'infondatezza del ricorso della parte civile. Mantovani Azio, con atto a firma degli avvocati Simon Pietro Ciotti e Claudio Botti, ha denunciato mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta configurabilita' del reato di corruzione, sia pure impropria, sull'assunto che sarebbero state indebitamente ignorate le risultanze, indicate nell'atto di gravame, dalle quali sarebbe stata desumibile l'assenza di qualsivoglia accordo corruttivo. Masi de Vargas Machuca Claudio M., con atto a firma dell'avv. Marinella De Nigris, ha denunciato: 1) incompetenza territoriale del tribunale di Napoli, sull'assunto che l'attivita' addebitata ad esso ricorrente sarebbe stata posta in essere a Roma; 2) incompetenza funzionale del collegio per i reati ministeriali a disporre il rinvio a giudizio, per ragioni analoghe a quelle esposte dalle difese dei ricorrenti Di Maria e Golinelli; 3) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al confermato giudizio di responsabilita' dell'imputato basato - si afferma - su motivazione "insufficiente e contraddittoria", che non valutava adeguatamente e correttamente le risultanze, ampiamente illustrate nell'atto di gravame, in base alle quali, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, sarebbe stata pienamente attendibile la versione dei fatti fornita dal ricorrente e sarebbe stata comunque da escludere la figura della corruzione propria; 4) vizio di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche e di quelle di cui agli artt. 114 c.p. e art. 62 c.p.n. 6, nonche' in ordine all'applicazione della pena accessoria dell'incapacita' di contrattare con la pubblica amministrazione per la durata di un anno. Nicolini Marino, con atto a firma dell'avv. Diego Abate, poi seguito da ulteriori note illustrative, ha denunciato violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. d) ed e), sull'assunto che sarebbe stata ingiustificatamente disattesa la richiesta di audizione di un teste indicato dalla difesa, il quale avrebbe dovuto riferire dell'avvenuta corresponsione, da parte del ricorrente, della complessiva somma di lire 15.000.000 al comitato organizzativo di convegni scientifici effettivamente tenutisi, con conseguente esclusione della configurabilita' della corruzione, sia pure impropria, anche con riguardo ai fatti di cui al capi 172. Poggiolini Duilio, con atto a firma propria e degli avv.ti Vincenzo Siniscalchi e Luigi Ferrante, poi seguito da ulteriori note illustrative, ha denunciato: 1) nullita' dell'instaurazione del giudizio di primo grado, per violazione dell'art. 3, comma 1, della legge n. 219/1989, per ragioni sostanzialmente identiche a quelle poste a base delle analoghe doglianze espresse nei ricorsi proposti nell'interesse di Di Maria, Golinelli e Masi de Vargas; 2) mancanza di prove, tanto con riguardo ai casi di ritenuta responsabilita' dell'imputato per i reati di corruzione propria originariamente contestati quanto con riguardo a quelli in cui vi e' stata derubricazione nella meno grave ipotesi di reato di cui all'art. 318 c.p., di un riconoscibile nesso fra la percezione di danaro o altre utilita' e l'attivita' di pubblico ufficiale del ricorrente; 3) inesistenza di elementi atti a rendere configurabile, relativamente ai fatti di cui ai capi 186, 188, 189, 191, per i quali vi e' stata trasmissione degli atti al P.M., l'ipotizzato reato di concussione; 4) ingiustificato ed immotivato rifiuto della rinnovazione parziale del dibattimento, chiesta in particolare per l'acquisizione, gia' richiesta e non ottenuta in primo grado, di importante documentazione indicata dalla difesa, volta a porre in chiaro le effettive funzioni e competenze del ricorrente, nonche' per l'effettuazione di perizie sulla movimentazione dei conti correnti di cui il ricorrente aveva la disponibilita' e sui ritmi di trattazione delle pratiche, onde verificare se taluna di esse fosse stata indebitamente accelerata o favorita; 5) erroneita' della mancata revoca della confisca disposta dal tribunale su somme di danaro in sequestro; 6) ingiustificatezza della mancata derubricazione anche dei reati di corruzione per atto contrari ai doveri d'ufficio relativamente ai quali e' stata invece confermata la responsabilita' del ricorrente; 7) ingiustificatezza del mantenuto diniego delle attenuanti generiche (nonostante l'ampia e decisiva collaborazione prestata dal Poggiolini nel corso del procedimento e le sue dimostrate, pregresse benemerenze scientifiche e amministrative), come pure del mantenuto diniego dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p. n. 6, a fronte della messa a disposizione di una somma addirittura maggiore di quella contestata, nonche' mancanza di motivazione in ordine al mancato accoglimento di applicazione della pena ex art. 448 c.p.p.. Il primo motivo di ricorso e' stato poi ulteriormente illustrato con memoria datata 23 giugno 2003, a firma dei soli difensori. Santagata de Castro Carlo, con atto a firma dell'avv. Massimo Krogh, ha denunciato: 1) erronea applicazione dell'art. 379 c.p., in relazione all'art. 4 della legge n. 659/1981, sull'assunto che la condotta addebitata al ricorrente sarebbe stata, tutt'al piu', qualificabile come concorso nel reato di finanziamento illecito del partito, ma non come reato di favoreggiamento reale; 2) ulteriore erronea applicazione delle stesse norme, sull'assunto che, essendo stato depenalizzato il reato di cui all'art. 4 della legge n. 659/1981, non sarebbe stato piu' configurabile, per mancanza del reato presupposto, neppure quello di favoreggiamento reale; 3) mancanza di motivazione in ordine al mancato accoglimento del motivo d'appello con il quale il Santagata aveva rappresentato "di essersi determinato ad aiutare il De Lorenzo in quanto lo stesso gli aveva rappresentato una realta' storica diversa da quella reale". L'Avvocatura dello Stato, nell'interesse del Ministero della salute, costituitosi parte civile, ha denunciato come ingiustificata e giuridicamente erronea la ritenuta esclusione, da parte della corte territoriale, del diritto di detto Ministero al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, conseguenti ai reati per i quali vi e' stata condanna, contestando, al riguardo, l'assunto di detta corte secondo cui tali reati, comportando lesione soltanto di interessi generali, sarebbero stati insuscettibili di produrre danni di cui la P.A. potesse invocare il risarcimento. La difesa di Catelli Pietro ha prodotto memoria, poi seguita da note d'udienza, con la quale chiede che il ricorso dell'Avvocatura dello Stato sia dichiarato inammissibile. Analoga richiesta e' stata avanzata con altre memorie prodotte dalla difesa di Porporati Guido e Vailati Carlo, figuranti fra gli imputati nel giudizio di primo grado, ma non fra gli attuali ricorrenti o fra coloro nei confronti dei quali risulta proposto il ricorso del Procuratore Generale. Motivi della decisione Iniziando l'esame dei ricorsi da quello proposto dal Procuratore Generale, ritiene anzitutto la Corte, con riguardo alle principali (se non uniche) censure in punto di diritto portate alla sua attenzione, e cioe' quelle concernenti il criterio di distinzione tra corruzione propria e corruzione impropria, che esse non colgano nel segno. Nei casi, infatti, nei quali e' stata ritenuta la configurabilita' della corruzione impropria, prevista dall'art. 318 c.p., la condotta posta in essere dagli imputati, secondo la insindacabile ricostruzione in fatto operata dalla corte territoriale, era essenzialmente consistita in una mera accelerazione delle pratiche interessanti le ditte che avevano comprato il favore dei pubblici ufficiali, senza che da cio' derivasse danno ne' per la pubblica amministrazione ne' per altre ditte, nel senso di una loro pretermissione o posposizione rispetto a quelle favorite. Non puo' dunque dirsi che una tale condotta desse luogo a quella congiunta violazione di specifici doveri di fedelta', imparzialita' ed onesta' che caratterizza l'atto contrario ai doveri d'ufficio (in tal senso, fra le altre, Cass. 6°, 15 febbraio-25 marzo 1999 n. 3945, P.G. in proc. Di Pinto ed altri, RV 213884), dovendo essa piuttosto qualificarsi come violazione di un generico dovere di correttezza, suscettibile, come tale, di assumere rilevanza, se frutto di indebite prestazioni o promesse di danaro o altre utilita', soltanto sotto il profilo della corruzione impropria (si vedano, in proposito, fra le altre: Cass. 6°, 15 marzo-20 maggio 1993 n. 5227, D'Annibale, RV 194036; Cass. 6°, 15 novembre 1994-11 maggio 1995 n. 5403, Roncaglia ed altri, 201815; Cass. 6°, 12 novembre 1998-1 febbraio 1999 n. 3529, Sabatini, RV 212566; Cass. 6°, 16 ottobre11 dicembre 1998 n. 12990, P.G. in proc. Berlusconi ed altri, RV 212315, la quale ultima, in particolare, riguarda proprio un caso in cui l'attivita' posta in essere dal corrotto consisteva nell'"agevolare e velocizzare" le pratiche a lui affidate). Ne', d'altra parte, la corruzione impropria sarebbe stata escludere (come sembrerebbe essersi voluto sostenere da parte del ricorrente ufficio con riguardo a talune specifiche posizioni quali, in particolare, quelle di Balsano, Ferretti, Frajese), per il solo fatto che l'attivita' dei pubblici ufficiali presentasse margini piu' o meno ampi di discrezionalita'. Basti ricordare, in proposito, come questa Corte abbia gia' piu' volte chiarito che la suddetta ipotesi di reato e' configurabile anche con riguardo ad atti discrezionali, ben potendo questi risultare comunque idonei alla migliore soddisfazione dell'interesse pubblico, nonostante che il loro compimento sia dipeso dall'accettazione di una indebita retribuzione (cosi', in particolare, Cass. 6°, 8 novembre-17 dicembre 1996 n. 10851, Malossini ed altri, RV 206225; nello stesso senso, Cass. 6°, 12 giugno-15 dicembre 1997 n. 11462, Albini, RV 209699). Semmai, posto che (sempre secondo la insindacabile ricostruzione dei fatti operata dalla corte di merito), nei casi anzidetti i privati avrebbero operato essenzialmente al fine di evitare eventuali atteggiamenti ostruzionistici da parte dei pubblici ufficiali (dei quali, quindi, deve ritenersi che vi fosse una qualche ragione di aver timore), sarebbe stato piuttosto ipotizzabile, in via puramente astratta, il reato di concussione, nella forma, in particolare, della c.d. "concussione ambientale". Nessuna doglianza risulta tuttavia proposta in tal senso, avendo, anzi, il ricorrente ufficio censurato anche l'ordinanza con la quale la corte d'appello, come si e' visto, ha disposto la trasmissione degli atti all'ufficio del Pubblico Ministero relativamente a talune posizioni per le quali era stata appunto ritenuta configurabile l'ipotesi della concussione; censura, quella anzidetta, la cui inammissibilita' appare, d'altro canto, manifesta, in quanto avente ad oggetto un provvedimento di natura meramente ordinatoria, la cui attuazione lascia aperto ogni possibile esito in ordine al merito degli addebiti, anche sotto il profilo della loro qualificazione giuridica. Per il resto, le doglianze espresse nel ricorso con riguardo alle singole posizioni, come pure con riguardo all'addebito di associazione per delinquere, contestato agli imputati investiti di funzioni pubbliche, si presentano chiaramente inammissibili, in quanto caratterizzate dalla prospettazione non di veri e propri vizi di legittimita' (e, in particolare, del pur denunciato vizio di motivazione), ma di elementi e valutazioni di puro fatto, sulla base dei quali, ad avviso del ricorrente ufficio, si sarebbe dovuto pervenire ad una affermazione di penale responsabilita' in tutti i casi nei quali vi era stata invece pronuncia di assoluzione o proscioglimento. E che tali siano in effetti le connotazioni delle proposte censure risulta pressoche' confessato "apertis verbis" nella stessa formulazione dell'atto di gravame, in cui sistematicamente si denuncia che la motivazione dell'impugnata sentenza sarebbe "non aderente" (o altra analoga espressione), alle "risultanze processuali", in genere costituite da dichiarazioni rese dagli imputati o da altri soggetti nel corso dell'istruttoria dibattimentale, di cui si lamenta la mancata o distorta valutazione da parte della corte di merito (ved. ad es., pagg. 16, 19, 27, 31, 53, 58, 63, 67, 70, 77, 85, 90, 93, 98, 100, 122, 127, 133, 164, 166, 175, 177, 182, 184, 187, 190, 195, 197, 199, 204, 207, 213), senza porsi neppure lontanamente il problema di come un siffatto genere di doglianze possa conciliarsi con il chiaro e tassativo disposto dell'art. 606, comma 1, lett. e), per il quale il vizio di motivazione e' denunciabile solo in quanto esso consista in "mancanza o manifesta illogicita'" della motivazione stessa (laddove nel ricorso, onestamente ma anche significativamente, si parla quasi sempre di motivazione soltanto "inadeguata", "insufficiente" o "contraddittoria") e detta mancanza o manifesta illogicita' emerga non dagli atti o dalle "risultanze processuali" ma "dal testo del provvedimento impugnato"; il che esclude - come questa Corte ha innumerevoli volte ripetuto - che sotto l'egida del vizio di motivazione possa proporsi una rilettura critica delle valutazioni operate dal giudice di merito sovrapponendo ad esse quelle, sia pur plausibili, espresse dal ricorrente, quando le prime, a loro volta, si presentino anch'esse come non prive di ragionevolezza e plausibilita' logico-giuridica; e cio' tanto piu' in quanto la decisione impugnata sia stata di assoluzione giacche', mentre la pronuncia di condanna deve basarsi su di una ricostruzione del fatto e dell'elemento soggettivo da cui emerga la prova della responsabilita' dell'imputato "al di la' di ogni ragionevole dubbio" (ved. per tutte, in tal senso, Cass. S.U. 10 luglio-11 settembre 2002 n. 30328, Franzese) il che implica che detta ricostruzione deve anche risultare come l'"unica" ragionevole e plausibile, ad esclusione di tutte le altre astrattamente prospettabili - nel caso invece di pronuncia assolutoria e' necessario e sufficiente che l'apparato argomentativo che la sostiene non presenti lacune o salti logici evidenti, nulla rilevando che ad esso possa ragionevolmente contrapporsi un altro apparato argomentativo teoricamente idoneo a sostenere l'ipotesi della colpevolezza. La non irragionevolezza del primo, infatti, esclude di per se', "per la contraddizion che nol consente", l'idoneita' del secondo ad accreditarsi come l'unico dotato di ragionevolezza e, quindi, tale da giustificare l'affermazione di responsabilita'. E, d'altra parte, non puo' non valere, anche per le impugnazioni proposte dalla pubblica accusa, il principio di carattere generale costantemente affermato da questa Corte secondo cui il giudice del merito non ha l'obbligo di prendere in esame e confutare tutte indistintamente le deduzioni delle parti, essendo invece necessario e sufficiente che egli dia conto del suo convincimento basandosi su elementi ed argomentazioni validi a sostenerlo, tra cui debbono essere presenti tutti e soltanto quelli oggettivamente dotati di potenziale decisivita'. (in tal senso, fra le altre, Cass. 2°, 10 novembre 2000-2 aprile 2001 n. 13151, Gianfreda ed altri, RV 218590). Passando quindi all'esame dei ricorsi proposti dagli imputati, ritiene la Corte che nessuno di essi possa essere accolto, per le ragioni di seguito indicate. Ricorso Balsano: In esso si lamenta unicamente la mancata assoluzione nel merito in luogo della dichiarata estinzione, per prescrizione, del reato di cui all'art. 318 c.p., alle cui previsioni, piuttosto che a quelle della piu' grave ipotesi di reato originariamente contestata, prevista dall'art. 319 c.p., e' stata ritenuta riconducibile la condotta addebitata all'imputato ai capi 102, 104, 105, 106 ed a quello contestato all'udienza del 5 luglio 1099. Al riguardo va anzitutto ricordato il principio gia' affermato piu' volte da questa Corte secondo cui: "In presenza di una causa di estinzione del reato non sono rilevabili in Cassazione vizi di motivazione della sentenza, perche' l'inevitabile rinvio della causa all'esame del giudice di merito dopo la pronuncia di annullamento e' incompatibile con l'obbligo dell'immediata declaratoria di proscioglimento per intervenuta estinzione del reato, stabilito dal primo comma dell'art. 129 c.p.p." (Cass. 5°, 24 giugno-7 agosto 1996 n. 7718, P.M. in proc. Battaglia, RV 205548; negli stessi termini, ma con riferimento alla corrispondente disposizione di cui all'art. 152 del codice di rito previgente, Cass. S.U. 21 ottobre 1992-22 febbraio 1993 n. 1653, Marino ed altri, RV 192471). Di tale principio ha mostrato di essere ben consapevole anche l'accorta difesa del ricorrente la quale, proprio facendo ad esso riferimento, ha chiesto l'annullamento senza rinvio della gravata decisione, con pronuncia di proscioglimento nel merito, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., comma 2, postulando la rilevabilita', dalla sola lettura dell'impugnata sentenza - attesa la riconosciuta inaccessibilita', da parte della Corte di Cassazione, degli atti del procedimento - degli elementi dimostrativi di un qualsivoglia accordo corruttivo, sia pure per il compimento di atti non contrari ai doveri d'ufficio. In particolare, la difesa ha posto in luce come, sulla base di quanto risultava accertato dalla corte di merito, il Balsano non avesse in alcun modo accelerato ne' avesse possibilita' alcuna di accelerare l'esame delle pratiche a lui affidate, essendo fissato l'ordine del giorno dal comitato di presidenza di cui egli non faceva parte; quanto, poi, all'ipotesi che il preteso accordo corruttivo avesse ad oggetto non (o non soltanto) l'accelerazione, ma anche l'agevolazione di un buon esito delle pratiche, ha sostenuto che la stessa sarebbe stata parimenti da escludere, atteso che i pur ammessi versamenti di danaro di cui ai singoli capi d'imputazione, poi pacificamente destinati dal ricorrente alla fondazione scientifica A. Cesalpino, di cui egli era presidente, sarebbero stati finalizzati soltanto ad una generica "captatio benevolentiae" del Balsano in detta sua ultima qualita', e non in quella di componente della Commissione farmaci, peraltro neppure in carica all'atto in cui taluni dei versamenti in questione erano avvenuti. Ritiene la Corte - senza nulla togliere alla plausibilita' di siffatte prospettazioni - che esse non possano, tuttavia dar luogo all'unico sbocco favorevole alla difesa che, come da essa stessa riconosciuto, sarebbe, in questa fase, possibile, e cioe' la riconoscibilita' non "ex actis" ma dalla sola motivazione della sentenza impugnata di quella "evidenza" della non colpevolezza richiesta dall'art. 129 c.p.p., comma 2, perche', pur in presenza di una causa estintiva del reato, possa addivenirsi al proscioglimento dell'imputato nel merito. In particolare, per quanto riguarda la rappresentata estraneita' del ricorrente all'attivita' di fissazione dell'ordine del giorno e l'assenza, quindi, da parte sua, della concreta possibilita' di accelerare l'esame di talune pratiche, va anzitutto ricordato che l'art. 318 c.p., prevede come reato la ricezione di retribuzione non dovuta, o della relativa promessa, "per compiere" atti d'ufficio, nulla rilevando, quindi, ai fini della configurabilita' dell'illecito, al pari di quanto si verifica nella corrispondente ipotesi di cui all'art. 319 c.p., che gli atti in questione siano poi effettivamente compiuti o meno (in tal senso, fra le altre, Cass. 6°, 16 maggio 1997 n. 1972, Pacini Battaglia, RV 210048). Il fatto poi che gli atti cui la retribuzione o la promessa si riferiscono non rientrino nelle specifiche mansioni del pubblico ufficiale non e', di per se', determinante ai fini della esclusione del reato, essendo necessario e sufficiente che trattisi di atti rientranti comunque nella competenza dell'ufficio cui il pubblico ufficiale appartiene ed in relazione ai quali egli abbia o possa avere una qualche possibilita' di ingerenza, sia pure di mero fatto (ved., in proposito, ad es.: Cass. 6°, 9 dicembre 1989-24 agosto 1990 n. 11737, Micoli; Cass. 6°, 3 dicembre 1993-8 febbraio 1994 n. 1449, Bonetto, RV). E non appare ragionevolmente contestabile che chi, come il ricorrente, faceva parte della Commissione, potesse, di fatto, nell'ambito dei rapporti con gli altri componenti ed addetti all'ufficio, ivi compresi quelli del comitato di presidenza, rappresentare quanto meno l'opportunita' di una piu' o meno sollecita trattazione di determinate pratiche. Per quanto riguarda poi l'ipotesi dell'"agevolazione" delle pratiche, cioe' di un loro positivo esito (ancorche' non contrastante con gli interessi della P.A.), rileva la Corte come la difesa del ricorrente, nel sostenere la propria tesi, si sia largamente posta in contrasto con le premesse da essa stessa correttamente individuate, in punto di diritto. Ed infatti, con riguardo anzitutto al capo 102, si lamenta, nel ricorso, in via prioritaria, il fatto che siano state "inspiegabilmente del tutto ignorate" determinate prove testimoniali e documentali e siano stati altresi' "completamente ignorati i numerosi elementi obiettivi specificamente e analiticamente prospettati con l'atto di appello", al pari della deposizione, ritenuta fondamentale, della prof.ssa Santucci e del prof. Mangiapelo; il che equivale, con ogni evidenza, alla rappresentazione, ne' piu' e ne' meno, di un ipotetico vizio di motivazione, non rilevabile, come si e' visto, in sede di legittimita' quando sia gia' presente una causa di estinzione del reato. Vero e' che, subito dopo, la difesa ripropone la tesi della rilevabilita' dalla sola sentenza degli elementi indicativi dell'insussistenza del reato, ma lo fa con argomentazioni da riguardarsi, ad avviso della Corte, come del tutto inidonee a sostenere l'assunto, essendosi essa richiamata alla riconosciuta (in sentenza) esistenza di precedenti e successive elargizioni da parte della soc. Pfizer italiana alla fondazione Cesalpino, per il tramite del prof. Balsano, nonche' alla parimenti riconosciuta inesistenza di indizi dai quali potesse desumersi che la pratica interessante la suddetta societa', relativa ad un farmaco denominato "zooloft", fosse stata "agevolata illegittimamente". In proposito, basti osservare che delle precedenti e successive elargizioni, effettuate nell'agosto del 1990 e nel gennaio del 1992 (quale che fosse il significato ad esse attribuibile), si parla, a pag. 292 dell'impugnata sentenza, come di fatti non accertati obiettivamente, ma riferiti dallo stesso Balsano all'udienza del 23 dicembre 1999. Che poi non vi fossero elementi atti a far ritenere che la pratica in questione fosse stata "agevolata illegittimamente" (come effettivamente si afferma a pag. 293 della stessa sentenza) appare del tutto ininfluente, atteso che l'ipotesi della corruzione impropria e' stata configurata proprio in considerazione di detta circostanza, in assenza della quale sarebbe rimasta configurabile l'originaria ipotesi della corruzione propria. E cio' senza considerare che, come gia' precedentemente ricordato, il reato di corruzione, anche impropria, non richiede affatto che l'atto correlato alla indebita retribuzione sia poi effettivamente compiuto. Quanto al capo 104, si pone in luce, nel ricorso, come, una volta dato per certo che la dazione della somma ivi menzionata fosse avvenuta non nell'anno 1991, ma nell'estate del 1990, allorche' essendo stata "sciolta", dopo il febbraio dello stesso anno, la commissione di cui il Balsano aveva fatto parte, non si sapeva ancora se egli sarebbe stato chiamato a far parte della nuova commissione, poi nominata soltanto il 25 ottobre del 1990, non sarebbe stato possibile collegare detta dazione con prospettive di agevolazione della pratica concernente il farmaco "leucotrofina" prodotto dalla soc. Ellem, di cui lo Zambeletti aveva acquistato o si apprestava ad acquistare il controllo. Dovendosi pero', ancora una volta, aver riguardo, per le ragioni giuridico - formali gia' piu' volte ricordate, al solo contenuto della impugnata sentenza, non puo' non rilevarsi che dal testo della medesima (pag. 289), risulta soltanto che la prima commissione, dopo il febbraio 1990, "aveva interrotto l'attivita'" ma non che fosse stata "sciolta", come invece si afferma nel ricorso. Non potendosi, quindi, dare per oggettivamente acquisito il dato dello scioglimento, ne deriva che non puo' neppure escludersi la permanenza, in capo al ricorrente, della qualita' di pubblico ufficiale anche dopo il febbraio del 1990 e fino alla nomina della nuova commissione, di cui pure lo stesso ricorrente fu nuovamente chiamato a far parte. E tanto dell'insussistenza del reato. basta ad escludere l'"evidenza" Relativamente al capo 105, ci si duole espressamente, nel ricorso, del fatto che la sentenza sarebbe "priva di motivazione in ordine alla deposizione testimoniale resa dal prof. Levrero (verb. ud. del 23.3.2000, p. 27)", da riguardarsi come "determinante rispetto a un quadro indiziario estremamente vago ed opinabile, da cui si dovrebbe desumere l'illiceita' della corresponsione", aggiungendosi ancora che nella medesima sentenza "non si offre alcuna motivazione in ordine ad una ulteriore emergenza processuale da cui e' possibile desumere in maniera inequivocabile l'assoluta assenza di un 'tacito accordo' in virtu' del quale Balsano avrebbe dovuto dare un 'occhio di favore' alle pratiche della ditta Poli". Appare quindi evidente come, sul capo in questione, la deduzione del vizio di motivazione sia addirittura conclamata, con conseguente esclusione della possibilita' di applicazione, in questa sede, dell'art. 129 c.p., comma 2, . Lo stesso e' a dire con riguardo al capo 106, avendo anche in questo caso la difesa fatto essenzialmente leva su vizi di motivazione da essa individuati nella "evidente contraddizione" fra la ritenuta configurabilita' del reato di cui all'art. 318 c.p. e premesse metodologiche di carattere generale espresse nella medesima sentenza, come pure nella mancata valutazione della deposizione testimoniale di tale Dott. Iuliano, da ritenersi "di estremo rilievo, poiche' il testimone aveva riferito dell'attivita' da lui personalmente svolta nella ricerca effettuata nell'interesse della Menarini", fornendo la spiegazione del ritardo del pagamento"; cio' con riferimento alla ritenuta inattendibilita', da parte della corte d'appello, dell'assunto difensivo secondo cui il danaro versato dall'Aleotti nel 1991 sarebbe stato il compenso di una ricerca scientifica effettuata dal Balsano su incarico della ditta Menarini nel 1988. A cio' aggiungasi che la suddetta contraddizione tra premesse metodologiche e giudizio non appare neppure sussistente giacche', se e' vero che la sola finalita' di una generica "captatio benevolentiae" non puo' dar luogo alla configurabilita' del reato di cuiall'art. 318 c.p. (come si dice riconosciuto nelle suindicate premesse), e' altrettanto vero che proprio nel brano dell'impugnata sentenza riportato, a sostegno dell'assunto difensivo, nell'atto di ricorso si afferma che l'intento delle dazioni di danaro da parte dell'Aleotti era quello di "veder sollecitamente e favorevolmente esaminate le istanze presentate al predetto organismo" (cioe' alla Commissione di cui faceva parte il Balsano); il che dimostra che, nella ricostruzione della corte di merito (adeguatamente motivata o meno che essa fosse), lo scopo non era quello della generica "captatio benevolentiae" ma quello, ben piu' concreto e specifico, del sollecito e positivo esito delle pratiche in corso interessanti la ditta Menarini. Ed infine, anche per quanto riguarda il fatto contestato all'udienza del 5 luglio 1999 (ricezione della somma di lire 30 milioni versata da Girotti Gianpaolo per conto della ditta Alfa Wassermann), si e' ancora una volta in presenza di argomentazioni del tutto inidonee a sostenere l'assunto dell'applicabilita', in questa sede, dell'art. 129 c.p., comma 2, essendosi fatto richiamo, nel ricorso, oltre che ad un preteso "travisamento dei fatti" nel quale sarebbe incorsa la corte di merito (addirittura improponibile, in linea di massima, secondo l'assolutamente prevalente giurisprudenza di questa Corte, pur come vizio di motivazione), anche al mancato accertamento, da parte della stessa corte di merito, delle finalita' per le quali la somma era stata versata ed accettata nonche' alla mancata spiegazione di quello che sarebbe stato l'elemento probatorio atto a dimostrare la consapevolezza, da parte del Balsano, della pendenza presso la commissione farmaci di una pratica di revisione del prezzo di vendita di un farmaco prodotto dall'Alfa Wassermann. Il mancato accertamento di fatti o circostanze ritenuti essenziali ai fini del decidere come pure la omessa indicazione degli elementi probatori atti a dimostrare il fondamento, in linea di fatto, della decisione assunta, costituiscono, infatti, come appare del tutto evidente, dei tipici vizi di motivazione in presenza dei quali puo' darsi luogo soltanto, in assenza di cause di estinzione del reato, ad annullamento con rinvio, ma non puo', per converso, ove sia presente una di tali cause, farsi applicazione, in sede di legittimita', del disposto di cui all'art. 129 c.p.p. , comma 2, per la cui operativita', nella sede anzidetta, occorre che dal solo testo della sentenza impugnata emerga non la mancata dimostrazione, ma la non dimostrabilita', in assoluto, della fondatezza dell'assunto accusatorio, quando manchi la prova positiva dell'infondatezza. Ricorso Brenna: Con riguardo alla ritenuta responsabilita' dell'imputato in ordine al reato di corruzione propria di cui al capo n. 123, rileva anzitutto la Corte che effettivamente, come segnalato da entrambi i difensori del ricorrente, la corte di merito, a pag. 167 dell'impugnata sentenza, nell'illustrare quanto emerso dagli atti circa il funzionamento del CIP farmaci e della CUF (Commissione unitaria del farmaco), afferma, tra l'altro, che "in molti casi e' stata raggiunta la prova della velocizzazione e della generale agevolazione delle pratiche, ma in nessun caso e' stato possibile stabilire sia stata anche favorita nel senso di aver avuto una precedenza nella trattazione rispetto ad altra ed in danno di questa". Di qui, secondo i difensori, la palese illogicita' della ritenuta responsabilita' del Brenna a titolo di corruzione propria per avere egli accettato le somme versategli dal Cavazza non solo per "accelerare" l'iter delle pratiche interessanti la ditta Sigma-Tau, ma anche per "scavalcare" indebitamente le pratiche delle altre ditte. L'argomentazione e' indubbiamente assai suggestiva ma, ad avviso della Corte, non tale da consentire l'accoglimento del gravame. E', infatti, del tutto pacifico il principio che la "manifesta illogicita'" della motivazione, quale prevista dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), rileva soltanto in quanto riscontrabile all'interno dell'apparato argomentativo concernente la singola posizione ed il singolo capo d'imputazione oggetto d'impugnazione, restando per converso irrilevante la eventuale contraddittorieta' tra quanto ritenuto ed affermato con riguardo a posizioni e capi diversi. E detta regola non puo' non valere anche nel rapporto - come si verifica nella specie - tra affermazioni (non di principio ma meramente ricognitive di risultanze fattuali) indistintamente riferite alla generalita' delle posizioni ed affermazioni contenute nella motivazione specificamente attinente ad una di tali posizioni, la cui logicita', correttezza e completezza dev'essere quindi verificata unicamente al suo interno. Sotto un diverso profilo, va poi anche osservato che, stando al testuale tenore della riportata proposizione tratta dalla pag. 167 dell'impugnata sentenza, quella che viene esclusa e' soltanto la prova che vi sia stata di fatto l'attribuzione di una indebita precedenza a determinate pratiche rispetto ad altre, rimanendo quindi impregiudicata l'eventualita' che, in determinati casi, risultasse tuttavia provato che l'attivita' corruttrice avesse come finalita', poi non realizzata, quella appunto dello "scavalcamento". E si e' gia' avuto occasione di ricordare che il reato di corruzione, propria o impropria che sia, sussiste indipendentemente dall'effettivo compimento o meno dell'atto d'ufficio o contrario ai doveri d'ufficio cui si riferisce la dazione o la promessa dell'indebita retribuzione. La difesa del Brenna ha anche denunciato, sempre con riguardo all'addebito di cui al capo 123, la mancata dimostrazione, da parte della corte d'appello, della effettiva sussistenza del preteso "scavalcamento" o comunque di un accordo volto alla sua realizzazione, dimenticando pero' di ricordare gli elementi di fatto dai quali la corte di merito mostra di aver tratto il ragionevole convincimento della esistenza, quanto meno, del suddetto accordo; elementi costituiti essenzialmente: dalla entita' e continuita' delle elargizioni da parte del Cavazza; dallo specifico potere del Brenna, nella sua qualita' di presidente della commissione di fissare l'ordine del giorno (oltre che di designare i relatori); dalla espressa ammissione da parte del medesimo ricorrente, all'udienza del 28 ottobre 1999, di avere, secondo quanto si legge a pag. 342 dell'impugnata sentenza, "molte volte ricevuto dal Cavazza sollecitazioni su prodotti da registrare o su pratiche riguardanti prodotti della 'Sigma Tau'". E tale ultima affermazione giustifica anche, sotto il profilo motivazionale, il convincimento espresso dalla corte territoriale circa il fatto che il Cavazza agisse non solo e non tanto nell'interesse della generalita' delle imprese farmaceutiche aderenti alla "Farmindustria" di cui era presidente, ma anche e soprattutto nell'interesse della sua impresa, che era la Sigma Tau, nulla rilevando in contrario che, come si argomenta nel ricorso a firma dell'avv. Fiorella, il Brenna avesse anche negato di aver accolto le suddette sollecitazioni ed il Cavazza di averle fatte, avendo egli sostenuto di aver invece sempre agito nell'interesse esclusivo della Farmindustria. Trattasi, all'evidenza, di motivazione che non presenta riconoscibili lacune o "manifeste illogicita'", e tanto basta per escludere l'accoglibilita' della proposta censura. Parimenti inaccoglibile risulta poi l'ulteriore censura attinente alla ritenuta riscontrabilita' delle dichiarazioni accusatorie del Cavazza, avvalsosi in dibattimento della facolta' di non rispondere, con quelle rese dallo stesso ricorrente. Detta riscontrabilita' viene esclusa essenzialmente per l'esistenza di divergenze tra quanto sostenuto dal Cavazza e quanto ammesso dal Brenna, per cui - come affermato, in particolare, nel ricorso a firma dell'avv. Dioda' - l'unico elemento riscontrato dell'ipotesi accusatoria sarebbe solo quello costituito dalla "dazione". Si dimentica, pero', nella formulazione di tale censura, che, secondo il noto e consolidato orientamento di questa Corte, i c.d. "riscontri" richiesti dall'art. 192 c.p.p., comma 3, , non debbono avere autonoma valenza probatoria ai fini della dimostrazione del fondamento dell'accusa, ma devono solo corroborare in modo significativo il narrato del chiamante in correita', si' da rendere quest'ultimo, per la parte che interessa, ragionevolmente credibile, nonostante la sua provenienza. E non puo' certo negarsi che, con riguardo a un addebito di corruzione originariamente basato su di una chiamata in correita', costituisca significativo elemento di riscontro l'ammissione, da parte del presunto corrotto, del fatto materiale costituito dalla effettiva percezione della indebita retribuzione, pur quando detta ammissione si accompagni a giustificazioni contrastanti con la versione del chiamante; giustificazioni di cui il giudice dovra' valutare la obiettiva validita' o meno senza che pero' esse possano, per il solo fatto della loro esistenza, escludere la validita' del riscontro. Cosi' esaurito (si ritiene) l'esame delle censure attinenti l'affermata responsabilita' del ricorrente in ordine al reato di cui al capo 123, rimane da dire, relativamente a quelle riguardanti i capi 122 e 126, per i quali vi e' stata declaratoria di intervenuta prescrizione, previa derubricazione degli addebiti da corruzione propria a corruzione impropria, che trattasi di censure del tutto inammissibili, in quanto dichiaratamente e sostanzialmente basate sulla prospettazione di vizi di motivazione di cui, per le ragioni gia' indicate nella trattazione del ricorso Balsano, e' preclusa la rilevabilita' nel giudizio di Cassazione, in presenza di una causa di estinzione del reato. Per quanto concerne, infine, il lamentato diniego delle attenuanti generiche, ritiene la Corte che, vertendosi in materia caratterizzata, per sua natura, da un ampio margine di discrezionalita', non possa censurarsi, in questa sede, la decisione del giudice di merito il quale, come si rileva dalla lettura dell'impugnata sentenza, ha ritenuto (opinabilmente ma non senza motivazione o con motivazione "manifestamente illogica"), di considerare l'imputato immeritevole delle attenuanti in questione facendo riferimento alla specifica gravita' del fatto ed all'intensita' del dolo, quali emergenti dalla durata della condotta illecita, posta in essere a fini di profitto personale in danno della P.A. e di terzi. Contrapporre a tale valutazione - come si fa da parte delle difese - l'esistenza di elementi favorevoli all'imputato, quali l'incensuratezza, il comportamento processuale ed il profilo professionale, non significa dedurre un vizio di motivazione ma solo prospettare come piu' valida e giusta una valutazione diversa, che il giudice di merito avrebbe sicuramente potuto operare, senza che pero' gli si possa rimproverare, in sede di legittimita', di non averlo fatto. Ne', d'altra parte, possono valere, ai fini che qui interessano, le affermazioni contenute nell'atto di ricorso a firma dell'avv. Fiorella, in cui si contesta l'esistenza di prova che il ricorrente abbia favorito le pratiche della Sigma Tau a scapito di altre, non avendo cio' attinenza al trattamento sanzionatorio ma alla sussistenza stessa del reato, a proposito della quale vale quanto gia' osservato, a suo luogo, in precedenza. Meno ancora puo' attribuirsi valenza alla pretesa contraddittorieta', rilevata nel medesimo atto di ricorso, tra l'affermazione contenuta a pag. 361 della sentenza, secondo cui il Brenna avrebbe ritenuto "quasi legittima e giustificata l'accettazione di dazioni provenienti da industriali farmaceutici" e le dichiarazioni dello stesso Brenna, quali riportate alla precedente pag. 341, secondo cui dette dazioni erano da lui considerate come una sorta di "rimborso spese", dovendo egli rinunciare, a cagione delle sue funzioni pubbliche, allo svolgimento di attivita' professionale privata. Un "rimborso spese", se tale e' effettivamente, non puo' infatti riguardarsi se non come prestazione del tutto legittima e, anzi, doverosa per il rimborsante, di tal che non si vede in quale contraddizione sia incorsa la corte di merito nell'affermare che, secondo il Brenna, l'accettazione da parte sua delle dazioni in questione era "legittima e giustificata". Ricorso Di Maria: Con riguardo al primo motivo non appare dubbio che esso sarebbe stato sicuramente da considerare infondato alla stregua del consolidato orientamento espresso, sulla scorta della sentenza n. 265/1990 della Corte costituzionale, dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui allo speciale collegio per i reati ministeriali spettava il compito non solo di condurre le indagini preliminari, in luogo del Pubblico Ministero, ma anche quello di decidere l'eventuale rinvio a giudizio, in luogo del giudice dell'udienza preliminare (in tal senso, fra le altre: Cass. 1°, 4 marzo-21 aprile 1994 n. 1099, confl. comp. in proc. Prandini, RV 197439; Cass. 6°, 14 dicembre 1995-15 gennaio 1996 n. 4999, confl. comp. in proc. Lattanzio, RV 203855; Cass. 1°, 2 luglio-26 settembre 1996 n. 4464, confl. comp. in proc. Formion, RV 205696; Cass. 6°, 17 febbraio9 aprile 1999 n. 564, confl. comp. in proc. De Lorenzo, RV 213670). L'unica ragione per la quale ci si potrebbe oggi discostare da tale orientamento e' quindi rappresentata dalla sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 134/2002 (cui si e', infatti, puntualmente richiamata la difesa della ricorrente), la quale, dichiaratamente ripudiando la linea interpretativa adottata nella precedente pronuncia del 1990, ha affermato che risulterebbe incompatibile con il principio della netta separazione tra funzioni inquirenti e funzioni giudicanti una interpretazione della normativa vigente in materia di reati c.d. "ministeriali" (in particolare, dell'art. 3, comma 1, della legge 5 giugno 1989, n. 219, specificamente oggetto della riproposta questione di legittimita' costituzionale), la quale consentisse ad uno stesso organo di esercitare entrambe le suddette funzioni. Cio' rappresenterebbe, infatti - si afferma - una "rottura evidente" del principio in questione, "in quanto l'organo che ha compiuto le indagini preliminari e ha richiesto l'autorizzazione parlamentare avendo escluso la possibilita' di procedere all'archiviazione della notizia di reato sarebbe investito della celebrazione dell'udienza preliminare: dovrebbe cioe', sulla base delle risultanze delle indagini da esso stesso condotte, adottare la sentenza di non luogo a procedere o il decreto che dispone il giudizio". Di qui, secondo la Corte costituzionale, la necessita' di interpretare (anche alla luce dei richiamati lavori parlamentari), l'inciso "perche' continui il procedimento secondo le norme vigenti", contenuto nell'art. 9, comma 4, della legge costituzionale 16 gennaio 1989 n. 1, non nel senso che dovrebbe essere il collegio per i reati ministeriali, una volta chiesta ed ottenuta l'autorizzazione a procedere, a "continuare" nella conduzione del procedimento, esercitando le funzioni che altrimenti sarebbero proprie del Pubblico Ministero e del giudice per le indagini preliminari", ma invece nel senso che il procedimento (inteso come soggetto dell'espressione sopra riportata), deve continuare secondo le norme vigenti, "vale a dire per impulso del Pubblico Ministero e davanti agli ordinari organi giudicanti competenti". E con tale interpretazione - si sostiene ancora nella sentenza della Corte costituzionale - appare del tutto collimante quella che puo' e deve darsi dell'art. 3, commi 1 e 2, della legge 5 giugno 1989, n. 219, ove si stabilisce che "quando gli atti siano stati trasmessi ai sensi del comma 4 dell'art. 9 della legge 16 gennaio 1989, n. 1, al collegio ivi indicato, il procedimento continua secondo le norme vigenti al momento della rimessione" e, in tali casi, "il collegio provvede senza ritardo a trasmettere gli atti al Procuratore della Repubblica presso il tribunale indicato nell'art. 11 della legge 16 gennaio 1989, n. 1". Ora, ad avviso del collegio, pur non volendosi disconoscere il fondamento della linea interpretativa adottata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 134/2002 - il cui grado di autorevolezza, peraltro, non puo', formalmente, ritenersi superiore a quello della precedente sentenza n. 265/1990, considerando che anch'essa venne comunque pronunciata nella vigenza dell'attuale codice di procedura penale - deve tuttavia aversi riguardo al fatto che, nel caso di specie, non risulta affatto, dalla sentenza, dai ricorsi e dagli atti in possesso della Corte, che il collegio per i reati ministeriali abbia chiesto alcuna autorizzazione a procedere (peraltro non necessaria) nei confronti degli attuali ricorrenti, ne' che abbia concretamente effettuato attivita' d'indagine preliminare relativamente agli addebiti loro contestati, per i quali e' poi intervenuto il rinvio a giudizio. Manca, quindi, di fatto, la condizione in considerazione della quale la Corte costituzionale ha ritenuto, come si e' visto, che il principio di terzieta' del giudice imponesse di interpretare la norma nel senso della esclusione del potere del collegio per i reati ministeriali di disporre il rinvio a giudizio degli imputati. Passando quindi all'esame del secondo motivo di ricorso, rileva anzitutto la Corte che le dichiarazioni predibattimentali del Poggiolini nei confronti della Di Maria, di cui si lamenta la indebita utilizzazione, risultano richiamate e (almeno implicitamente) utilizzate soltanto con riguardo all'addebito di cui al capo 206, per il quale e' intervenuta derubricazione da corruzione propria a corruzione impropria, con conseguente declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Ammesso e non concesso, quindi, che dette dichiarazioni fossero effettivamente da considerare inutilizzabili, tale inutilizzabilita' darebbe luogo soltanto ad un difetto di motivazione in ordine alla mancata applicazione, da parte del giudice di merito, avuto riguardo alle residue risultanze probatorie, dell'art. 129 c.p.p., comma 2; e, come gia' si e' ricordato nella trattazione del ricorso Balsano, un tale difetto di motivazione, comportando di necessita' un annullamento con rinvio, non sarebbe rilevabile - presente una causa di estinzione del reato - in sede di legittimita'. Ma, ad avviso della Corte, la dedotta inutilizzabilita' appare comunque insussistente, dovendosi condividere, nella sostanza, l'assunto della corte di merito secondo cui l'acquisizione delle dichiarazioni predibattimentali del Poggiolini, usate per contestazioni secondo il disposto dell'art. 500 c.p.p., comma 4, (nel testo allora vigente), doveva considerarsi avvenuta all'atto in cui dette contestazioni erano state effettuate, prima del 25 febbraio 2000, nulla rilevando che la loro materiale allegazione al fascicolo per il dibattimento fosse stata disposta in data successiva. Al riguardo vale ricordare che nel citato comma 4 dell'art. 500 c.p.p. si stabiliva che, in caso di difformita', "le dichiarazioni utilizzate per le contestazioni sono acquisite nel fascicolo per il dibattimento", e non che esse "potessero" essere acquisite. Si trattava, in altri termini, di un atto dovuto, fermo restando che la loro successiva valutazione come prova da parte del giudice sarebbe dipesa - sempre sulla base del testuale tenore della norma - dalla esistenza o meno di altri elementi che ne confermassero l'attendibilita'. Cio' posto, sarebbe quindi del tutto incongruo attribuire rilevanza, ai fini dell'osservanza o meno del termine del 25 febbraio 2000 previsto dall'art. 26, comma 4, della legge 1 marzo 2001, n. 63, non al momento in cui si siano verificate le condizioni per la necessaria acquisizione, ma a quello in cui quest'ultima sia stata formalmente disposta con un provvedimento al quale non potrebbe attribuirsi altra valenza se non quella di mera ricognizione, "ex post", della sussistenza delle suddette condizioni. Per quanto riguarda il terzo motivo di ricorso, vi e' da dire che esso, pur prospettato sotto l'egida della violazione od erronea applicazione di norme di legge e, segnatamente, degli artt. 318 c.p. e art. 129 c.p.p., con riferimento, peraltro, oltre che alla lett. b), anche alla lett. e) dell'art. 606 c.p.p., in altro non consiste se non nella denuncia di pretesi vizi di motivazione in cui la corte di merito sarebbe incorsa nel ritenere sussistente il prescritto reato di corruzione impropria anziche' dar luogo ad una pronuncia di proscioglimento totale nel merito; vizi di motivazione essenzialmente riguardanti il supporto probatorio del convincimento espresso dalla suddetta corte in ordine alla presenza di un "consapevole e deliberato contributo causale" della Di Maria all'instaurarsi, tra il Poggiolini e il De Santis, di "un'intesa finalizzata al compimento da parte del primo di atti contrari a suoi doveri d'ufficio, di cui il secondo e la sua impresa farmaceutica avrebbero dovuto esserne i beneficiari". E si richiamano, in proposito, nell'atto di ricorso, quelle che sarebbero state le testuali dichiarazioni del Poggiolini, acquisite agli atti del procedimento, onde dimostrare come da esse dovesse trarsi la conclusione dell'innocenza dell'imputata. Non occorre altro, ad avviso della Corte, per rendersi conto di come - sempre alla luce dei principi richiamati nella trattazione del ricorso Balsano - esuli ogni possibilita' di accoglimento delle doglianze in questione, in presenza della gia' rilevata causa di estinzione del reato. Relativamente al quarto motivo di ricorso, rileva la Corte che, pacifica risultando l'avvenuta realizzazione, da parte dell'imputata, delle condotte materiali sulla cui base sono stati configurati gli addebiti di favoreggiamento reale contestati ai capi 211 e 212, le censure proposte dalla difesa hanno essenzialmente per oggetto l'idoneita' di dette condotte a costituire l'"aiuto" previsto dalla norma incriminatrice e la consapevolezza che l'imputata avrebbe avuto della provenienza penalmente illecita delle somme di danaro in questione. Sotto il primo profilo, si sostiene, in sintesi, che, contrariamente a quanto affermato nell'impugnata sentenza, le operazioni bancarie poste in essere dalla Di Maria non avevano alcun carattere di artificiosita', ma erano del tutto chiare e lineari, tanto che, seguendo le loro tracce, con estrema facilita' sarebbe stato possibile giungere alla destinazione finale delle somme; il che avrebbe dovuto escludere la qualificabilita' di dette operazioni come "aiuto" prestato al Poggiolini per occultare il prodotto degli illeciti da lui asseritamente commessi. Sotto il secondo profilo, si sostiene che, a fronte della rappresentata, assoluta inconsapevolezza, da parte della ricorrente, della pretesa provenienza illecita del danaro, la corte di merito si sarebbe limitata all'apodittica ed indimostrata affermazione secondo cui ella, invece, "non poteva non essere a conoscenza" dell'illegittima attivita' del Poggiolini, "avendo per molti anni operato nello stesso ambito ed essendo stata a lungo legata sentimentalmente al Poggiolini, prima di unirsi in matrimonio con il predetto". Si aggiunge poi che l'affermata responsabilita' dell'imputata per i fatti di cui ai capi 211 e 212 sarebbe in contraddizione logica con la sua assoluzione per i fatti, del tutto analoghi, di cui al capo 213. Ora, con riguardo alla prima di dette censure, va osservato che, in linea di principio, l'"aiuto" richiesto dall'art. 379 c.p. per la configurabilita' del reato di favoreggiamento reale, analogamente a quello richiesto dall'articolo precedente per la configurabilita' del favoreggiamento personale, non deve, per assumere rilevanza penale, consistere in condotte caratterizzate da particolare callidita' ed astuzia, essendo, al contrario, necessario e sufficiente che tali condotte siano idonee a determinare un apprezzabile ostacolo, anche di ordine meramente temporale, al pieno ed efficace dispiegarsi dell'azione dell'autorita' volta, a seconda dei casi, al recupero di quanto costituisca prodotto, profitto o prezzo di reato ovvero all'accertamento di fatti di reato ed alla identificazione e, se del caso, alla cattura degli autori. E non appare ragionevolmente contestabile che lo spostamento di somme da un conto corrente bancario ad un altro, intestato a diversa persona, ed altre consimili operazioni, ancorche' formalmente del tutto regolari e facilmente individuabili, possano tuttavia comportare un apprezzabile allungamento dei tempi tecnici necessari perche' possa essere individuata la precisa ed attuale collocazione delle somme medesime ed effettuarsene il sequestro; allungamento, quello anzidetto, suscettibile di essere sfruttato, da chi sia vigile e accorto, per l'effettuazione di ulteriori ed eventualmente piu' efficaci e risolutive operazioni di "salvataggio". Ne' va taciuto che, comunque, nel caso di specie, si precisa, da parte della corte di merito, che l'operazione di "prosciugamento" dei conti correnti intestati al Poggiolini, da parte della ricorrente, fu anche accompagnata da veri e propri artifizi, quali "la retrodatazione di documenti e la loro sottoscrizione da parte di incauti personaggi"; circostanze, queste ultime, di non trascurabile rilievo ma delle quali, nel ricorso, non si fa menzione alcuna. Quanto poi alle censure concernenti la ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato in questione, rileva la Corte che nell'impugnata sentenza non ci si limita a desumerne l'esistenza sulla sola base dei rapporti esistenti tra la ricorrente ed il Poggiolini ma si aggiunge che la consapevolezza, da parte della Di Maria, della illecita provenienza delle somme appariva dimostrata anche "dalle stesse modalita' della condotta" da lei posta in essere; argomentazione, questa, che non puo' certo definirsi "manifestamente illogica" si' da poter essere censurata in questa sede ed a fronte della quale, d'altra parte, la difesa si limita a sostenere, del tutto genericamente ed apoditticamente, che dette modalita' sarebbero state invece da considerare "comunque perfettamente compatibili con le giustificazioni addotte dall'imputata con riferimento all'intento (non di favoreggiamento) da lei perseguito attraverso i prelievi ed i successivi reimpieghi delle somme", aggiungendo (valutazione meramente soggettiva) che esse, "in ogni caso, in mancanza di altri elementi di conferma", non potrebbero "giammai considerarsi univocamente dimostrative della" (secondo la corte d'appello) "sua perfetta consapevolezza dell'illecita provenienza delle somme movimentate o almeno della maggior parte di dette somme". Vi e' infine da dire che non appare sussistente (e sarebbe comunque irrilevante, alla stregua del gia' ricordato principio dell'autonomia dell'apparato motivazionale relativo ad ogni singolo capo d'imputazione), la denunciata contraddittorieta' fra la ritenuta responsabilita' della ricorrente per i fatti di cui ai capi 211 e 212 e la sua assoluzione per quelli di cui al capo 213. Questi ultimi, infatti, a differenza degli altri, consistevano non in operazioni volte all'occultamento delle somme gia' accreditate sui conti del Poggiolini, mediante "prosciugamento" degli stessi, ma in operazioni di segno inverso, costituite dal versamento, in epoca precedente, su detti conti, di somme costituenti provento di illecite dazioni da parte di imprenditori farmaceutici. Trattavasi quindi di operazioni, in se' e per se', del tutto normali, relativamente alle quali poteva quindi darsi credito, secondo la corte d'appello, sia pur dubitativamente, alla protestata buona fede della Di Maria, cui si contrapponevano solo le non altrimenti riscontrate dichiarazioni predibattimentali del Poggiolini, secondo cui la donna sarebbe stata a conoscenza del fatto che le somme in questione erano state versate "al nero" dalle imprese; il che, tra l'altro, non significava necessariamente che costituissero il corrispettivo di favori illeciti. Sul quinto motivo di ricorso, concernente la mantenuta confisca delle somme in sequestro, ritiene la Corte sufficiente osservare che dette somme risultano confiscate in quanto ritenute, secondo quanto si riferisce nello stesso atto di ricorso, "profitti dei reati di corruzione" e non quindi del solo reato di corruzione di cui al capo 206, per cui vi e' stata declaratoria di intervenuta prescrizione nei confronti tanto della Di Maria quanto del Poggiolini. La confermata condanna di quest'ultimo, quindi, per i fatti di corruzione di cui ai capi 176, 178, 182, 190, 196 e 201, a fronte di una censura unicamente basata sull'assunto che l'eliminazione della condanna per il capo 206 avrebbe dovuto dar luogo alla revoca "in toto" della confisca, non puo' che comportare il rigetto del gravame. Con riguardo, infine, al sesto motivo di ricorso, concernente il diniego delle attenuanti generiche, ritiene la Corte che esso, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, risulti adeguatamente motivato con il riferimento alle peculiari caratteristiche della condotta posta in essere dall'imputata, ragionevolmente ritenute come indicative di una particolare intensita' del dolo; elemento, quest'ultimo compreso tra quelli indicati nell'art. 133 c.p., di tal che non puo' convenirsi con l'argomento centrale della proposta censura, secondo cui mancherebbe, nella specie, "ogni cenno alle specifiche previsioni del citato art. 133 c.p.". Ed e' la stessa difesa della ricorrente ad aver, correttamente, ricordato, nell'atto di ricorso, che "secondo il piu' recente orientamento della giurisprudenza di legittimita', ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, e' sufficiente che il giudice faccia riferimento ad uno solo degli elementi indicati nell'art. 133 c.p.". Ricorso Ferretti: Si prospettano, nell'atto di ricorso, unicamente vizi di motivazione, con richiamo, addirittura, ad elementi fattuali ricavabili non dalla sentenza impugnata o da quella di primo grado, ma dagli atti del procedimento, la cui corretta valutazione, secondo la difesa, avrebbe dovuto comportare l'esclusione non solo della corruzione propria, originariamente contestata, ma anche di quella impropria in ordine alla quale non vi e' stata, peraltro, affermazione di "penale responsabilita'", come si legge nel ricorso, ma, pacificamente, declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Anche in questo caso, quindi, non puo' che darsi luogo a rigetto del gravame in base al principio, gia' piu' volte richiamato, della non rilevabilita' in Cassazione di vizi di motivazione quando sia gia' operante una causa estintiva del reato. Ricorso Frajese: Con riguardo al primo motivo, vale, ancora una volta, al principio al quale si e' appena fatto richiamo, nella trattazione del ricorso Ferretti, considerando che, anche in questo caso, quello che viene denunciato e' sostanzialmente un difetto di motivazione (ed infatti, nella enunciazione del motivo in esame, vi e' anche il richiamo all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E), avendo la corte di merito, nella prospettazione difensiva, ritenuto configurabile il reato di cui all'art. 318 c.p. (ed escluso, quindi, implicitamente, l'applicabilita' dell'art. 129 c.p.p., comma 2), senza indicare elementi probatori diversi da quello, ritenuto non utilizzabile, costituito dalle dichiarazioni di Zambeletti. E, per la verita', quanto a tali dichiarazioni, non viene neppure denunciata, di fatto, una vera e propria inutilizzabilita' dovendosi per tale intendere solo quella che colpisce atti di cui sia vietato, esplicitamente o implicitamente, l'inserimento nel materiale probatorio - ma soltanto una loro inidoneita' ad assumere piena valenza probatoria, in quanto non confermate da "altri elementi di prova, assunti o formati con diversa modalita'", come previsto dall'art. 1, comma 2, del D.L. 7 gennaio 2000, n. 2, conv. con modif. in legge 25 febbraio 2000, n. 35, richiamato dall'art. 26, comma 4, della legge 1 marzo 2001, n. 63; il che, peraltro, non appare neppure esatto, dal momento che la stessa, non contestata ammissione, da parte del Frajese, di aver effettivamente ricevuto dallo Zambeletti le somme da questi indicate, sia pure in epoca e con finalita' diverse da quelle riferite dallo stesso Zambeletti (ved. pagg. 393 e segg. dell'impugnata sentenza), ha la oggettiva valenza di un riscontro, sia pure parziale ma non per questo meno significativo, della chiamata in correita', attesa la nozione di "riscontro" alla quale si e' costantemente attenuta la giurisprudenza di questa Corte nell'interpretazione dell'art. 192 c.p.p., comma 3. Si rimanda, in proposito, a quanto gia' osservato, con riguardo ad analoga situazione, nella trattazione del ricorso Brenna. Quanto al secondo motivo, incentrato sulla ritenuta assenza, in capo al ricorrente, della qualita' di pubblico ufficiale, in considerazione, essenzialmente, del carattere consultivo ed anzi - si afferma "meramente consulenziale", dell'organismo di cui il Frajese faceva parte, vale anzitutto ricordare che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, spetta la qualita' di pubblico ufficiale anche ai componenti di organi collegiali di natura consultiva (cosi', specificamente, Cass. 6°, 10 luglio-27 settembre 1995 n. 9909, Startari, RV 202649; sulla stessa linea: Cass. 5°, 27 aprile-13 settembre 1990 n. 12329, Volpi, RV 185285; Cass. 6°, 16 ottobre 1997-27 gennaio 1998 n. 1052, Fusella ed altri, RV 210577). Ne' rileva la circostanza che, secondo quanto si afferma nel ricorso, l'organismo in questione, non previsto espressamente dalla legge, fosse stato costituito con provvedimento amministrativo, atteso che esso era comunque legalmente operante nell'ambito della pubblica amministrazione, di tal che il suo asserito carattere "meramente consulenziale" e non "consultivo in senso tecnico" non poteva in alcun modo assumere rilievo ai fini penalistici. Vale anche ricordare, a tale ultimo proposito, quanto affermato da Cass. 6°, 20 ottobre 1994-25 gennaio 1995 n. 4102, Crespi, RV 200851, la quale, come si legge nella massima ufficiale, "ha ritenuto che rivestisse la qualifica di pubblico ufficiale un soggetto nominato 'esperto' dalla Presidenza del consiglio dei ministri, osservando che il contributo che lo stesso era chiamato, con atto di specifica destinazione, a fornire all'organo massimo della pubblica amministrazione, pur non concretandosi in funzione tipicamente consultiva, concorreva ad influenzare le scelte discrezionali di tale organo rispetto agli atti di alta amministrazione che partecipano del regime riservato a quelli amministrativi". Ricorso Golinelli: Avendo la difesa del ricorrente dedotto, come suo proprio motivo di doglianza, solo la nullita' dalla originaria "vocatio in jus", per le stesse ragioni addotte a sostegno del primo motivo del ricorso Di Maria, non vi e' che da rimandare a quanto gia' osservato nella trattazione di detto motivo. Ricorso Mantovani: La presenza della gia' operante causa di estinzione dei reati ritenuti configurabili a carico del ricorrente esclude, come gia' piu' volte osservato con riguardo ad analoghe posizioni, la rilevabilita' in questa sede del dedotto vizio di "mancanza di motivazione". Ne' puo' riconoscere l'esistenza dell'altro vizio di legittimita', costituito dall'erronea applicazione della legge penale, dedotto con riguardo al capo 185, basandosi tale censura esclusivamente sul richiamo a taluni precedenti giurisprudenziali, del tutto apoditticamente assunti come configgenti con la motivatamente ritenuta configurabilita' della corruzione impropria. Ricorso Masi De Vargas: Con riguardo al primo motivo, nel quale si censura la ritenuta infondatezza della proposta eccezione di incompetenza per territorio, assumendosi che l'intervenuta assoluzione di tutti gli imputati dal reato di associazione per delinquere, commesso, secondo l'accusa, in Napoli, avrebbe dovuto comportare lo spostamento della competenza territoriale, quanto alla posizione del ricorrente, a Roma, ivi essendo stata posta in essere l'attivita' a lui addebitata, ritiene la Corte sufficiente richiamare il consolidato e pacifico orientamento giurisprudenziale secondo cui, per il principio della "perpetuatio jurisdictionis", la competenza determinata da ragioni di connessione, una volta radicatasi davanti al giudice del dibattimento, rimane ferma quali che siano le successive vicende dei singoli procedimenti connessi e quindi, ad esempio, anche nel caso di dichiarata improcedibilita' per mancanza di querela del reato che aveva esercitato la "vis actractiva" (Cass. 6°, 12 dicembre 1996-6 febbraio 1997 n. 1131, Cama); ipotesi, questa, alla quale appare del tutto assimilabile, ai fini che qui interessano, quella, ricorrente nella specie, dell'assoluzione nel merito. Quanto al secondo motivo, concernente la dedotta nullita' della "vocatio in jus" per ritenuta incompetenza funzionale del collegio per i reati ministeriali, si rimanda alla trattazione dell'analogo motivo dedotto nel ricorso Di Maria. Relativamente al terzo motivo, concernente la ritenuta responsabilita' dell'imputato in ordine al reato di corruzione propria a lui contestato, rileva la Corte che detta affermazione di responsabilita', dalla lettura dell'impugnata sentenza (al cui testo, in materia di vizi di motivazione, deve farsi, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E, , esclusivo riferimento), appare sostenuta da una motivazione tutt'altro che manchevole o manifestamente illogica (come richiesto dalla disposizione normativa ora citata). La corte d'appello, infatti, ha fatto puntuale e specifico riferimento agli elementi probatori costituiti dalle dichiarazioni del Marone (segretario del ministro De Lorenzo), e del Giannotti (addetto all'organizzazione delle campagne pubblicitarie curate dall'impresa facente capo al ricorrente), nonche' a quelle del Donzelli (teste addotto dalla stessa difesa), criticamente raffrontandole con la tesi dell'imputato (secondo cui egli avrebbe solo inteso autorizzare un contributo "al nero" al partito liberale, senza alcuna prospettiva di illecita contropartita), per giungere alla conclusione che detta tesi non poteva essere accolta, avendo, tra l'altro, lo stesso imputato ammesso che l'assenso al contributo finanziario chiesto dal Marone per conto del ministro De Lorenzo era stato dato "per fare contento il segretario o il ministro; non e' che glielo davamo cosi', perche' eravamo usciti pazzi". E lo scopo effettivamente perseguito con l'elargizione del suddetto contributo era, secondo l'insindacabile accertamento in fatto operato dai giudici di merito, sulla base delle richiamate dichiarazioni (in particolare quelle del Marone e del Giannotti), quello di far si' che l'esito di una gara proprio in quell'epoca indetta per l'assegnazione di una campagna pubblicitaria anti AIDS fosse favorevole all'impresa del Masi del Vargas. A fronte di tale ricostruzione ben poco possono valere, in sede di legittimita', le contrarie deduzioni contenute nell'atto di ricorso, significativamente (ed onestamente) prospettate, peraltro, sotto l'enunciazione di un vizio neppure consistente nella "mancanza o manifesta illogicita'" ma solo nella "insufficienza e contraddittorieta'" della motivazione; il che gia' basterebbe a denunciare la non inquadrabilita' della censura nel rigoroso e ristretto ambito del gia' citato art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), ; conclusione, questa, che trova conferma, ad avviso della Corte, nello specifico contenuto delle proposte doglianze, basate, per un verso, su frammentarie citazioni di dichiarazioni rese dal Marone e da altri soggetti, non verificabili ed apprezzabili in questa sede e comunque, di per se' tutt'altro che decisive (siccome afferenti a circostanze marginali quali, in particolare, l'esistenza o meno di accordi fra l'impresa pubblicitaria del ricorrente ed altre, in vista di una spartizione degli incarichi); per altro verso, sulla svalutazione delle dichiarazioni accusatorie del Giannotti, apoditticamente definite come non utilizzabili, ai sensi della legge 23 novembre 1999, n. 2 e comunque non attendibili perche' - si afferma - "non v'e' conferma in altri elementi di prova", assumendosi, a quest'ultimo proposito, che, pur parlandosi nella sentenza di "riscontro documentale offerto dal P.M.", l'organo dell'accusa non avrebbe, in realta', "portato alcun documento a sostegno di presunte attivita' del Masi che possano essere contrarie alla legge". Mette conto osservare, con riguardo a tali affermazioni, che esse, oltre a passare del tutto sotto silenzio la rappresentata (in sentenza) convergenza, nel nucleo essenziale, delle dichiarazioni del Giannotti con quelle del Marone, come pure il parziale riscontro che dette dichiarazioni hanno trovato nella deposizione testimoniale del Donzelli e nelle ammissioni dello stesso ricorrente (il che gia' varrebbe ad escludere che manchi ad esse ogni conferma in altri elementi di prova), attribuiscono erroneamente alla sentenza impugnata un riferimento, che in essa non si rinviene, a quel "riscontro documentale offerto dal P.M.", di cui si lamenta poi la mancanza. Cosi' come non si rinviene, nella sentenza impugnata, l'espressione "guazzabuglio societario" che ad essa viene invece attribuita, nel ricorso, per contestarne la fondatezza, con riferimento alla posizione del ricorrente, quale presidente di una "holding" della quale faceva parte l'impresa direttamente interessata alla campagna pubblicitaria in questione. Quanto, poi, alla pure denunciata erroneita' della qualificazione del fatto attribuito al ricorrente come corruzione propria, sulla base dell'assunto che il ricorrente stesso si sarebbe limitato ad esprimere "solo un consenso, a posteriori, per un finanziamento al PLI", rileva la Corte che tale assunto altro non rappresenta se non la riproposizione pura e semplice della tesi difensiva gia' sostenuta nelle fasi di merito e motivatamente disattesa in primo ed in secondo grado, con puntuale riferimento agli elementi (gia' sopra ricordati) dai quali i giudici, con insindacabile valutazione in fatto, hanno tratto il convincimento che il Masi de Vargas fosse stato invece preventivamente informato, dal Giannotti, del carattere strumentale della richiesta contribuzione finanziaria rispetto al conseguimento dell'incarico per la campagna anti AIDS, mediante indebito "pilotaggio" delle procedure di gara. Per quanto riguarda infine il quarto motivo di ricorso, concernente il diniego dell'attenuante di cui all'art. 114 c.p., di quella del risarcimento del danno e delle attenuanti generiche, rileva la corte che detto diniego appare, contrariamente all'assunto difensivo, adeguatamente motivato, avendo la corte di merito fatto riferimento: per l'attenuante di cui all'art. 114 c.p., al fatto, emergente dalle dichiarazioni del Giannotti e del Donzelli, che il versamento del contributo finanziario in questione era stato reso possibile solo dalla specifica autorizzazione rilasciata dal ricorrente; per il risarcimento del danno, alla circostanza che esso risultava effettuato solo dal Giannotti, senza alcuna partecipazione del ricorrente; per le attenuanti generiche, alla peculiare gravita' del fatto, caratterizzato dal perseguimento di indebiti vantaggi patrimoniali, a scapito dell'interesse pubblico, nell'ambito di una lodevole iniziativa di pubblica utilita' quale era quella costituita dalla campagna pubblicitaria anti AIDS. A fronte di tale motivazione la difesa del ricorrente si e' limitata, nell'ordine: alla mera riproposizione dell'assunto difensivo (gia' motivatamente disatteso, come si e' visto, dalla corte di merito), secondo cui l'autorizzazione dello stesso ricorrente all'effettuazione del contributo non sarebbe stata necessaria; all'affermazione che l'attenuate del risarcimento del danno sarebbe stata riconoscibile, atteso che la somma versata dal Giannotti sarebbe stata da considerare "totalmente esaustiva"; all'assunto che, nel confermare il diniego delle attenuanti generiche, la corte di merito non avrebbe fatto specifico riferimento ad alcuno dei criteri indicato nell'art. 133 c.p. e si sarebbe, inoltre, posta in contraddizione con il favorevole giudizio prognostico circa il futuro comportamento dell'imputato, da essa stessa espresso nel motivare il rifiuto dell'aggravamento di pena sollecitato dal Pubblico Ministero. Ora, ad avviso della Corte, appare anzitutto manifesta l'inammissibilita' della prima doglianza, siccome basata su di una mera asserzione in fatto, contrastante con la motivata ed insindacabile ricostruzione effettuata dal giudice di merito. La seconda doglianza mostra di non tenere in alcun conto il principio gia' affermato da questa Corte (ed al quale il collegio ritiene debba prestarsi piena adesione), secondo cui: "In tema di attenuante del risarcimento del danno, quando quest'ultimo sia stato cagionato da piu' persone concorrenti nel reato, la circostanza non puo' essere riconosciuta al singolo che non abbia contribuito all'adempimento. Ne deriva che se uno solo dei correi abbia provveduto, in modo integrale, al risarcimento stesso, l'altro concorrente, per fruire della menzionata attenuante, deve almeno dimostrare la sua concreta tempestiva volonta' di riparazione del danno cagionato, non piu' direttamente verso la parte lesa - che non ha piu' titolo a ricevere altro - ma indirettamente, provando di avere - prima del giudizio - rimborsato al complice piu' diligente la propria quota". E, nella specie, non risulta neppure adombrata, nel ricorso, l'avvenuta rappresentazione, al giudice di merito, della sussistenza di taluna fra le condizioni sopra indicate. A cio' aggiungasi che, comunque, non potendosi certo ritenere vincolante per il giudice chiamato a conoscere della posizione dell'attuale ricorrente l'eventuale riconoscimento dell'attenuante in parola effettuato nel separato giudizio a carico del Giannotti, detta attenuante non sarebbe stata riconoscibile anche (e prioritariamente) per la ritenuta inesistenza, secondo la corte d'appello, di un danno risarcibile derivante dai fatti di corruzione. Si rimanda, in proposito, alla trattazione dell'analoga doglianza contenuta nel ricorso Poggiolini, Quanto al lamentato diniego delle attenuanti generiche, ritiene la Corte sufficiente osservare che gli elementi fattuali indicati nell'impugnata sentenza a sostegno del diniego di dette attenuanti ben si inquadrano nelle previsioni di cui all'art. 133 c.p. (nulla rilevando che esse non vengano specificamente richiamate), e che nessuna contraddizione, sul piano logico-giuridico, appare rilevabile tra la ritenuta immeritevolezza delle attenuanti generiche, che attiene alla valutazione del comportamento passato del soggetto, e la favorevole prognosi in ordine alla futura condotta del medesimo, espressa in funzione non del diniego di un aggravamento di pena (come inesattamente affermato nel ricorso), ma della ritenuta concedibilita' della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna. Va da ultimo osservato che, con riguardo alla pena accessoria applicata al ricorrente, la difesa non ha espresso alcuno specifico motivo di doglianza, essendosi limitata ad affermare, puramente e semplicemente, che "si impugna, inoltre, la parte finale della sentenza nella parte (scil.: in cui - N.d.R.) vi e' la conferma della pena accessoria per il Masi della incapacita' di contrattare con la P.A. per un anno". Trattasi, quindi, di censura chiaramente inammissibile per la sua totale genericita'. Ricorso Nicolini: Il gravame si limita a denunciare come immotivato il mancato accoglimento, da parte della corte d'appello, della richiesta, avanzata nei motivi di gravame, di assunzione di un teste il quale avrebbe dovuto riferire in ordine a fatti che avrebbero escluso la configurabilita', a carico del ricorrente, di ogni illecito penale, ivi compreso quello, ritenuto nell'impugnata sentenza, di corruzione impropria. Si e' quindi, anche in questo caso, in presenza di una doglianza che non puo', in questa sede, trovare accoglimento, attesa l'intervenuta operativita' della causa di estinzione del reato costituita dalla prescrizione, dal momento che, anche ad ammettere che essa fosse fondata, cio' non potrebbe che dar luogo ad un annullamento con rinvio, reso giuridicamente impraticabile, alla stregua del principio gia' richiamato nella trattazione del ricorso Balsano, proprio dalla presenza di detta causa di estinzione. Ricorso Poggiolini: Con riguardo al primo motivo di gravame, nel quale si denuncia la pretesa nullita' della "vocatio in jus", vale quanto osservato nella trattazione dell'analogo motivo dedotto con il ricorso Di Maria. Sul secondo motivo, vale anzitutto precisare che la Corte non puo' che prescindere dalle diffuse argomentazioni (pur ipoteticamente apprezzabili in altra sede), di carattere prevalentemente socio-politico, contenute nel ricorso, volte a dimostrare come l'imputato, nonostante l'ampia collaborazione prestata all'attivita' d'indagine, in gran parte addirittura scaturita dalle sue rivelazioni, abbia subito un trattamento deteriore rispetto a quello riservato agli esponenti dell'industria farmaceutica, economicamente potenti e politicamente appoggiati. Al riguardo puo' solo osservarsi (per quanto valga), che, sulla base di quanto rappresentato nello stesso atto di ricorso, il preteso miglior trattamento riservato agli industriali farmaceutici in altro non e' consistito se non nell'essere stato loro consentito, in piena ed incontestata conformita' a quanto previsto dalla legge, di avvalersi dell'istituto processuale del c.d. "patteggiamento". Cio' premesso, va poi ricordato che, secondo l'ormai consolidato orientamento di questa Corte, la configurabilita' della corruzione propria non richiede necessariamente l'individuazione di singoli atti che siano contrari ai doveri d'ufficio del corrotto, ben potendosi essa riconoscere, specialmente nel caso di condotte protratte nel tempo, in quello che e' stato talvolta definito "l'asservimento costante della funzione, per denaro, agl'interessi del privato", con conseguente, programmata violazione del primario dovere di imparzialita' (in tal senso, fra le altre: Cass. 6°, 15 febbraio-25 marzo 1999 n. 3945, P.G. in proc. Di Pinto, RV 213884; Cass. 6°, 14 luglio-16 ottobre 1998 n. 10786, Nottola, RV 213054). Una volta riconosciuta, infatti, l'esistenza di una tale finalita' (sulla base di valutazioni di fatto non sindacabili in questa sede se non nei rigorosi e ristretti limiti di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E, , e senza possibilita' - come gia' si e' avuto occasione di ricordare - di attribuire rilevanza a vere o presunte difformita' di dette valutazioni tra una posizione e l'altra o anche tra un capo d'imputazione e l'altro), rimane indifferente che, nel suo concreto operare, il pubblico ufficiale non abbia poi posto in essere atti specificamente contrari al dovere di imparzialita'. Si e' gia' avuto occasione, infatti, di ricordare (ved. supra, ricorso Balsano), che, in tema di corruzione, quel che conta e' la finalita' per la quale l'indebita retribuzione viene corrisposta ed accettata, e non la sua effettiva realizzazione o meno. In quest'ottica, risulta quindi, in linea di principio, del tutto inconferente l'insistito richiamo della difesa alla ritenuta, mancata individuazione dei singoli comportamenti che il Poggiolini avrebbe posto in essere in contrasto con i suoi doveri d'ufficio. A cio' aggiungasi che, comunque, relativamente ai capi d'imputazione per i quali e' stata affermata la penale responsabilita' del ricorrente in ordine al reato di corruzione propria, la corte di merito si e' preoccupata di indicare i comportamenti ritenuti contrastanti con i doveri d'ufficio (e, in particolare, con il dovere di imparzialita'), cui lo stesso ricorrente avrebbe dovuto attenersi. Ed infatti: - per il capo 176, e' stato messo in luce come fossero state espresse, secondo quanto risultava dal c.d. "memoriale Vittoria" (redatto dal defunto imputato prof. Vittoria, in cui era descritto il sistema corruttivo oggetto d'indagine), "severe riserve" sulla opportunita' di consentire la registrazione di un farmaco denominato "Pitodimod" prodotto dalla ditta Poli; registrazione poi ottenuta grazie alla "precostituzione di una maggioranza favorevole", frutto del "prezzolato intervento del Poggiolini"; - per il capo 178, e' stato, analogamente, messo in luce, tra l'altro, come tra i farmaci di cui veniva caldeggiata la registrazione vi fosse anche quello denominato "Omeprazolo", relativamente al quale "vi erano grosse discussioni nel mondo scientifico poiche' degli studi gli attribuivano la possibilita' di insorgenze di neoplasie collegate a eccessivi dosaggi"; - per il capo 182, e' stato rilevato che il ricorrente "favori' la registrazione del farmaco garantendo una rapidissima trattazione della pratica a scapito di altre pratiche giacenti", per cui appariva sussistente il caso del c.d. "scavalcamento"; - per il capo 190, e' stato osservato che dalle dichiarazioni non solo del Camozzi e del Pinamonti, ma anche dello stesso Poggiolini si ricavava che l'esito favorevole della pratica di registrazione del farmaco interessante la Bioresearch s.p.a "non era affatto scontato, comportando una complessa attivita' di studio", per cui il ricorrente, "lasciando intendere che in ogni caso sarebbe stato conseguito il risultato sperato", aveva assicurato un comportamento contrario ai doveri d'ufficio, nulla rilevando che poi lo scopo perseguito dai corruttori non fosse stato raggiunto; - per il capo 196, e' stato osservato (sulla scorta, pure in questo caso, anche delle dichiarazioni rese dallo stesso Poggiolini), che il ricorrente, a fronte dei cospicui e continuativi versamenti effettuati in suo favore (e da lui pacificamente ammessi), aveva fatto si', sfruttando "l'alta competenza scientifica riconosciutagli anche a livello internazionale", che fosse attribuita "dignita' di farmaco a prodotti sollecitati dal Cavazza che, in realta', non avevano i necessari requisiti o che, almeno, li possedevano solo in parte"; - per il capo 201, e' stato osservato che le pratiche interessanti la Magis farmaceutica erano rimaste indietro "anche per il giudizio negativo sui farmaci prodotti, confermato anche dal parere negativo poi espresso su almeno uno dei farmaci in questione", e pertanto l'intervento del Poggiolini "non venne richiesto solo per sollecitare l'iter delle pratiche, ma proprio per superare il prevedibile rigetto delle istanze presentate"; di qui la logica conclusione che "il Poggiolini accetto' quelle dazioni nella piena consapevolezza di dover agire attraverso manovre illecite - e quindi in maniera difforme ai doveri d'ufficio - per favorire il Moroni, in modo da consentirgli dei risultati positivi che altrimenti non avrebbe mai ottenuto". A fronte di tali motivazioni, di per se' non qualificabili certamente come manchevoli o manifestamente illogiche, si rappresentano, da parte della difesa del ricorrente, nient'altro che rilievi critici di mero fatto, sulla base, essenzialmente, di frammentari richiami a dichiarazioni del Poggiolini e di altri, delle quali, di volta in volta, si lamenta la mancata o distorta valutazione; richiami che, oltre ad essere del tutto incontrollabili in questa sede, postulando essi un diretto esame degli atti, non consentito al giudice di legittimita' se non quando venga dedotto un vizio "in procedendo" (quale, ovviamente, non puo' definirsi il vizio di motivazione, che, nella specie, si e', piu' o meno dichiaratamente, inteso dedurre), si mostrano, talvolta, del tutto inconferenti, rispetto all'assunto che si vuole sostenere. E' il caso, ad esempio, del richiamo, relativamente al capo 190, all'affermazione attribuita al Camozzi il quale, riferendosi al Poggiolini, avrebbe detto: "io ritengo che lui non abbia fatto alcunche' per seguire la pratica"; espressione, questa, il cui letterale significato e', all'evidenza, ben diverso da quello che la difesa ha inteso trarne allorche', dopo poche righe, si duole che la corte d'appello non abbia motivato "sulla rilevantissima affermazione del Camozzi il quale dice che Poggiolini non fece promesse in relazione al buon esito della pratica". Non e' chi non veda, infatti, che un conto e' dire che taluno non ha fatto qualcosa; un altro conto e' dire che non ha promesso di farla. Fin qui per quanto riguarda i capi d'imputazione per i quali vi e' stata condanna. Relativamente poi a quelli per i quali, previa derubricazione da corruzione propria a corruzione impropria, vi e' stata declaratoria di estinzione del reato (capi 177, 179, 180, 181, 184, 185, 187, 193, 194, 195, 200, 206), non puo' che richiamarsi, ancora una volta, il principio che, in presenza di una tale declaratoria, non possono prendersi in esame, in sede di legittimita', dedotti vizi di motivazione finalizzati all'applicazione dell'art. 129 c.p.p., comma 2. Ed appunto questi risultano i vizi denunciati, anche con riguardo ai capi in questione, dalla difesa del ricorrente, la quale, premesso che "in atti" (e, quindi, non nel corpo delle sentenze, alle quali deve farsi, in sede di legittimita', esclusivo riferimento), "sussistevano gli elementi comprovanti l'estraneita' del ricorrente ai fatti in contestazione o comunque la insussistenza della fattispecie di cui all'art. 318 c.p.", ha poi sistematicamente lamentato, per ciascun capo preso in esame, che essi non fossero stati adeguatamente presi in esame o non se ne fossero tratte le asseritamente dovute conseguenze. Passando quindi all'esame del terzo motivo di ricorso, ritiene la Corte sufficiente osservare (analogamente a quanto si e' gia' fatto con riguardo alla corrispondente doglianza espressa dal ricorrente Procuratore Generale), che trattasi di censura del tutto inammissibile, in quanto avente ad oggetto un provvedimento non di natura decisoria. Con riguardo al quarto motivo, rileva la Corte che, dalla stessa formulazione del ricorso, risulta ammesso che le prove documentali di cui si lamenta la mancata assunzione da parte del giudice di primo grado avrebbero dovuto essere assunte, non essendo esse nella disponibilita' della parte, ai sensi dell'art. 507 c.p.p.. Vale, quindi, al riguardo, il principio gia' affermato da questa Corte, sez. 6°, 12 ottobre-1 dicembre 2000 n. 12539, RV 218171, secondo cui: "La mancata assunzione di una prova decisiva - quale motivo di impugnazione per Cassazione - puo' essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l'ammissione a norma dell'art. 495 c.p.p., secondo comma, sicche' il motivo non potra' essere validamente invocato nel caso in cui il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l'invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all'art. 507 c.p.p. e da questi sia stato ritenuto non necessario ai fini della decisione". E cio' a prescindere dalla ulteriore considerazione che, nella specie, non puo' neppure dirsi acclarata la decisivita', almeno potenziale, delle prove in questione a favore del ricorrente, risultando esse essenzialmente finalizzate a dimostrare come egli, nell'ambito degli organismi di cui comunque faceva parte, non fosse investito di competenze tali da far si' che potesse, di fatto, accelerare o favorire l'esito di determinate pratiche. Giova, in proposito, richiamare i principi gia' illustrati nella prima parte della trattazione del ricorso Balsano con riguardo tanto al problema della competenza specifica del pubblico ufficiale quanto a quello dell'effettivo compimento o meno, da parte del pubblico ufficiale, dell'attivita' cui si riferisce la indebita retribuzione o la relativa promessa. E, d'altra parte, appare ben difficile pensare, sul piano delle piu' comuni nozioni di logica e di esperienza, che, nel caso specifico, le imprese farmaceutiche avrebbero continuato a versare per lungo tempo ingenti somme di danaro a soggetto del tutto privo della concreta possibilita' di far loro conseguire i vantaggi sperati. Va da se', naturalmente, che la non deducibilita' come motivo di ricorso per Cassazione della mancata assunzione di prove ex art. 507 c.p.p. comporta anche, a maggior ragione, la incensurabilita' della mancata rinnovazione del dibattimento in sede di appello per l'assunzione delle medesime prove. Parimenti incensurabile deve inoltre ritenersi la stessa mancata rinnovazione del dibattimento per l'effettuazione dell'accertamento peritale chiesto dalla difesa, secondo quanto rappresentato nel ricorso, onde verificare "la sussistenza o meno di velocizzazione delle procedure" e "l'agevolazione o meno, in sede di valutazione, operata sulla qualita' tecnica dei farmaci e sulla loro registrazione". A parte, infatti, il noto e consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in appello ha sempre carattere eccezionale, attesa la presunzione di completezza di quella effettuata in primo grado (e, nella specie, non risulta neppure rappresentato, nel ricorso, che un accertamento peritale del genere dianzi accennato fosse stato chiesto in primo grado), vi e' poi da ribadire ancora una volta il concetto che, ai fini della configurabilita' del reato, non conta la condotta effettivamente posta in essere dal pubblico ufficiale, ma quella che egli si e' impegnato a porre in essere a fronte della illecita retribuzione, nulla rilevando che detto impegno sia poi stato da lui osservato o meno. Di tal che, in linea puramente teorica, potrebbe anche darsi per ammesso che nessuna condotta specificamente contraria ai doveri d'ufficio fosse stata, nella specie, realizzata, rimanendo peraltro configurarle il reato di corruzione propria per il solo fatto che il pubblico ufficiale aveva comunque mostrato di essere disposto a realizzarla a titolo di corrispettivo della retribuzione da lui accettata. Quanto poi alle censure, pure espresse nel ricorso, in ordine agli accertamenti effettuati sui conti correnti del Poggiolini, a parte che da esse non risulta neppure chiaro se la difesa intenda riferirsi ad una consulenza disposta direttamente dal Pubblico Ministero o ad una perizia disposta dal giudice ex art. 507 c.p.p., ritiene la Corte sufficiente osservare che esse appaiono del tutto assertive e generiche, sia per quanto riguarda i pretesi pregiudizi in danno del diritto di difesa, sia per quanto riguarda il contenuto della relazione, di cui ci si limita ad affermare "il carattere approssimativo" e "l'incapacita' di dare delle risposte concrete e sicure rispetto ai quesiti che venivano posti". Relativamente al quinto motivo, concernente la mancata revoca della disposta confisca, vale, sostanzialmente, quanto gia' osservato a proposito dell'analoga doglianza contenuta nel ricorso Di Maria, dovendosi qui solo rilevare la palese erroneita' del presupposto da cui muove la difesa del Poggiolini, costituito dall'assunto secondo il quale si sarebbe in presenza di una "confermata assoluzione del ricorrente da tutti gli episodi di corruzione propria", laddove, come si e' visto, per alcuni di detti episodi, e non dei meno gravi, vi e' stata conferma della condanna. Con riguardo al sesto motivo, in cui ci si duole della mancata derubricazione anche degli episodi per i quali e' stata mantenuta ferma la qualificazione come corruzione propria, ritiene la Corte che, a fronte del carattere assolutamente generico delle proposte censure, essenzialmente consistenti in interrogativi retorici circa l'avvenuto assolvimento dell'obbligo di motivazione e l'osservanza dei principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte in ordine alla configurabilita' del reato in questione, sia sufficiente richiamare quanto gia' precedentemente illustrato nella trattazione del secondo motivo di ricorso, avente sostanzialmente il medesimo oggetto, nella parte in cui lamenta come ingiustificata la confermata pronuncia di condanna del Poggiolini per corruzione propria relativamente ai capi ivi indicati. Passando, infine, all'esame dell'ultimo motivo di ricorso, ritiene la Corte che il diniego delle attenuanti generiche, di cui si duole la difesa del ricorrente, non possa certamente dirsi privo di adeguata motivazione, avendo la corte di merito fatto riferimento, non certo pretestuoso ed arbitrario, alla incontestabile, specifica gravita' dei fatti ed all'intensita' del dolo mostrato dal ricorrente nel perseguire per tanti anni ed in modo pressoche' sistematico ingenti profitti con violazione dei suoi piu' elementari doveri di pubblico funzionario. La difesa del ricorrente illustra, dal canto suo, ampiamente, con dovizia di argomentazioni, le ragioni per le quali, a suo avviso, l'imputato sarebbe stato meritevole di ben maggiore indulgenza. E ben puo' riconoscersi che trattasi di ragioni sulla base delle quali, teoricamente, le attenuanti generiche avrebbero anche potuto essere concesse. Il che non significa, pero', che tale teorica concedibilita' possa ridondare in motivo di censura, da parte del giudice di legittimita', nei confronti di quello di merito il quale ha invece ritenuto di privilegiare, nell'ambito dell'ampio margine di discrezionalita' a lui spettante, connaturato alla natura stessa dell'istituto in questione (non a caso l'art. 62-bis c.p. definisce le attenuanti ivi previste come "generiche"), le diverse e non meno logiche e plausibili ragioni che inducevano ad escludere la necessita' e l'opportunita' di una mitigazione del trattamento sanzionatorio, peraltro gia' contenuto nell'ambito di una fascia media tra minimi ed i massimi edittali. Quanto al mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p.n. 6, e' vero che la sentenza impugnata risulta, sul punto, priva di motivazione, ma tale mancanza non assurge, ad avviso della Corte, a motivo di annullamento poiche' sono individuabili, anche in questa sede, le ragioni di puro diritto per le quali detta attenuante non sarebbe stata comunque riconoscibile. Escluso, infatti, come ammesso nello stesso atto di ricorso, che potesse parlarsi di "risarcimento del danno", attesa l'inesistenza, secondo la impugnata sentenza, di un danno risarcibile riconducibile ai fatti di corruzione, sarebbe stata da escludere - diversamente da quanto sostenuto dalla difesa - anche la configurabilita' dell'ipotesi di cui alla seconda parte del citato art. 62 c.p. n. 6, dal momento che le "conseguenze dannose o pericolose del reato", in caso di corruzione, sono essenzialmente quelle che consistono nella lesione dell'affidabilita' e del prestigio della pubblica amministrazione, e non si vede come una tale lesione possa essere elisa od attenuata mediante versamento di somme alla stessa pubblica amministrazione. Relativamente, poi, al difetto di motivazione in ordine alla mancata applicazione dell'art. 448 c.p.p., lo stesso appare del tutto irrilevante, considerando che - come si ammette anche nel ricorso - l'entita' della pena inflitta avrebbe comunque escluso detta applicazione. Ne' si vede quale rilevanza possa assumere il fatto, pure lamentato nel ricorso, che nella sentenza di primo grado fosse stato erroneamente affermato che, da parte del Poggiolini, non era stata avanzata richiesta di patteggiamento. Ricorso Santagata de Castro: Il primo ed il secondo motivo di ricorso, nel contestare la configurabilita', a carico del ricorrente, del reato di favoreggiamento reale a lui ascritto, prendono in esame solo il rapporto fra tale reato e quello di finanziamento illecito a partiti politici, trascurando completamente di considerare che, secondo quanto chiaramente enunciato nel capo d'imputazione, le somme di danaro in questione costituivano provento non solo del finanziamento illecito a partiti politici ma anche, e prioritariamente, dei reati di corruzione. Risulta quindi del tutto inconferente l'assunto secondo il quale, dovendosi ritenere il finanziamento illecito come temporalmente coincidente con il preteso favoreggiamento reale, la condotta posta in essere dal ricorrente sarebbe stata, tutt'al piu', da qualificare come di concorso nel primo di detti reati. E neppure puo' dirsi - per quanto valga - che esso sarebbe stato poi da considerare depenalizzato. La depenalizzazione, per effetto dell'art. 32 della legge 24 novembre 1981, n. 689, riguardava soltanto gli illeciti, originariamente puniti soltanto con pena pecuniaria, di cui all'art. 4, comma sesto, della legge 18 novembre 1981, n. 659, correlati al solo obbligo di dichiarazione alla presidenza della Camera dei deputati di erogazioni regolarmente disposte in favore di partiti politici, e non certo il reato, punibile con reclusione e multa, previsto dall'art. 7, comma 3, della legge 2 maggio 1974, n. 195, relativo all'ipotesi di erogazioni da considerarsi, come nel caso di specie, effettuate in violazione del divieto di cui al precedente comma 2 dello stesso art. 7, in quanto provenienti da societa' commerciali senza che vi fosse stata regolare deliberazione ed iscrizione in bilancio. Per quanto concerne il terzo motivo, rileva la Corte che, contrariamente a quanto in esso si assume, l'impugnata sentenza contiene una specifica motivazione a sostegno della ritenuta inattendibilita' della tesi difensiva secondo cui l'imputato non sarebbe stato posto a conoscenza della possibile provenienza illecita dei fondi fatti affluire alle casse del comitato. Si osserva, infatti, al riguardo (pp. 287, 288), che lo stesso imputato, alle udienze del 30 settembre e del 4 ottobre 1999, pur negando di essere stato a conoscenza di detta provenienza, aveva tuttavia ammesso di aver saputo che il ministro De Lorenzo "non poteva giustificare nella propria dichiarazione dei redditi l'erogazione delle ingenti somme necessarie a finanziare la campagna elettorale e che, comunque, aveva interesse a che queste somme figurassero come fornite da privati sottoscrittori". Pertanto - prosegue la sentenza - "lo stesso Santagata ha finito col riconoscere di aver ben compreso che le contribuzioni non provenivano solo da privati ma anche da enti e societa' che, per la loro capacita' economica, erano in grado di fornire contribuzioni di ben maggiore consistenza, rispetto a quelle dei privati". Trattasi, come si vede, di rilievi ed argomentazioni del tutto pertinenti e non "manifestamente illogici", di tal che l'essere stati, gli stessi, del tutto ignorati nel ricorso rende quest'ultimo, sotto questo profilo, addirittura inammissibile. E tutto cio' senza considerare, poi, che si e', anche in questo caso, in presenza di una declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, sia pur dovuta, in questo caso, alla ritenuta operativita' di circostanze attenuanti, per cui - non risultando queste ultime oggetto di impugnazione da parte del Pubblico Ministero - dovrebbe ritenersi comunque valido il principio piu' volte in precedenza richiamato della non rilevabilita', in sede di Cassazione, di vizi di motivazione, il cui riconoscimento imporrebbe l'annullamento con rinvio. Ricorso della parte civile: L'Avvocatura dello Stato, a sostegno del ricorso proposto nell'interesse del Ministero della Salute, costituitosi parte civile, prospetta la configurabilita', quale conseguenza del reato di corruzione, tanto del danno non patrimoniale quanto (limitatamente alla corruzione propria), di quello patrimoniale, rilevando, a proposito di quest'ultimo, come detta configurabilita' risulti ammessa anche nell'impugnata sentenza, la quale, pero', avrebbe erroneamente limitato la sua rilevanza alla sfera del c.d. "danno erariale", riservato alla giurisdizione esclusiva della Corte dei conti. Ora, con riguardo al danno non patrimoniale, derivante - sembra intendersi - dalla lesione dell'interesse collettivo all'imparzialita' della pubblica amministrazione, la cui immagine e credibilita' verrebbero appannate presso l'opinione pubblica da episodi di corruzione, tanto propria che impropria, ritiene la Corte opportuno richiamare il principio da essa gia' piu' volte affermato in ipotesi di corruzione di magistrati, secondo cui "l'interesse della collettivita' all'esercizio imparziale e indipendente della funzione giurisdizionale non puo' essere rappresentato da un'entita' organizzativa dello Stato apparato, quale il Ministro della giustizia, ma solamente dal soggetto che rappresenta la sintesi politica e di governo dello stato-comunita', ovvero dal Presidente del consiglio dei ministri" (cosi', in particolare, sez. 6°, 13 aprile-27 luglio 1999 n. 9574, Curto' ed altri, RV 214539; nello stesso senso, sez. 6°, 13 luglio-5 agosto 2000 n. 8849, Castellucci ed altro, RV 220535). Tale principio, al quale il collegio ritiene debbasi prestare piena adesione, non puo' non valere, per evidente identita' di "ratio", anche per il caso di corruzione di pubblici funzionari diversi dai magistrati, atteso che la regola della "imparzialita'" non riguarda soltanto l'esercizio della funzione giurisdizionale ma anche la pubblica amministrazione in generale, essendo essa esplicitamente affermata, unitamente a quella del "buon andamento", dall'art. 97 Cost., comma primo. Pertanto, senza entrare, a questo punto, nel merito della questione circa la configurabilita' o meno del danno non patrimoniale subito dalla pubblica amministrazione in conseguenza di fatti corruttivi, rimane comunque esclusa la titolarita' del Ministero della rifusione di un tale danno, eventualmente Presidenza del consiglio dei ministri. salute a pretendere la reclamabile solo dalla Per quanto riguarda poi l'ipotetico danno patrimoniale la cui rifusione, invece, potrebbe, teoricamente, essere reclamata anche da una singola amministrazione (come, nella specie, il Ministero della salute), puo' convenirsi con la ricorrente parte civile che esso puo' esulare dai limiti oggettivi e soggettivi del c.d. "danno erariale", di competenza della Corte dei conti. Rimane pero' il fatto che, prospettandosi nel ricorso come possibile causa produttrice di danno patrimoniale solo quella costituita da "indebiti aumenti dei prezzi dei farmaci" ovvero da "piu' contenute riduzioni", non risulta in alcun modo provato, nell'impugnata sentenza, (ne' il contrario si sostiene da parte della ricorrente), l'effettivo verificarsi di tali eventi, di tal che viene anche a mancare la prima condizione di quella che avrebbe potuto essere, teoricamente, soltanto una condanna generica al risarcimento di danni da accertarsi, non solo per il "quantum" ma anche per l'"an", in separata sede. Se e' vero, infatti, che, come piu' volte affermato da questa Corte, "ai fini della condanna generica al risarcimento dei danni non e' necessario che il danneggiato dia la prova della loro effettiva sussistenza e del nesso di causalita' fra questi e l'azione dell'autore dell'illecito" (per tutte, Cass. 1°, 28 febbraio-18 marzo 1992 n. 3220, Simbula, RV 189917), e' altrettanto vero che, nelle medesime pronunce, si indica come non solo sufficiente ma anche, implicitamente, come necessario "l'accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose"; fatto che non puo' identificarsi, "sic et simpliciter", nella condotta integratrice del reato, quando questa non sia tale da dimostrare, "ex se", la propria attitudine lesiva di diritti altrui, occorrendo invece, al di fuori dell'ipotesi ora accennata, che, secondo i principi generali in materia di onere della prova, sia la parte civile a dimostrare l'esistenza del fatto anzidetto. Nella specie, quindi, posto che la corruzione propria e' configurabile (come piu' volte, ad altro proposito, gia' ricordato), indipendentemente dalla effettiva realizzazione o meno, da parte del pubblico ufficiale, della condotta contraria ai doveri d'ufficio in vista della quale gli e' stata corrisposta o promessa l'indebita retribuzione, sarebbe stato onere della parte civile, in quanto interessata al risarcimento del presunto danno, dimostrare anzitutto che quella condotta era stata posta in essere (e quindi, in particolare - per rimanere alla sua stessa prospettazione che effettivamente erano stati consentiti indebiti aumenti o mancate riduzioni del prezzo dei farmaci), e poi ulteriormente dimostrare la sua potenziale attitudine a produrre conseguenze economicamente negative per il Ministero della salute, non potendo queste presumersi senza un'adeguata illustrazione, quanto meno, dei meccanismi amministrativi mediante i quali i maggiori prezzi di determinati medicinali sul mercato avrebbero potuto dar luogo a maggiori esborsi da parte dello stesso ministero, direttamente o sotto forma di sovvenzioni ad altri enti competenti per l'assistenza sanitaria. Dell'avvenuto assolvimento di tali oneri probatori non si fa, nel ricorso, cenno alcuno, per cui deve ritenersi, non facendosene cenno neppure nell'impugnata sentenza, che esso non abbia avuto luogo. Pur prescindendosi dalla ragione indicata nell'impugnata sentenza, puo' e deve quindi riconoscersi la legittimita' della ritenuta inesistenza di un danno patrimoniale per il quale potesse pronunciarsi, in sede penale, condanna generica al risarcimento in favore del Ministero della sanita'. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso del Procuratore Generale; rigetta il ricorso della parte civile e i ricorsi degl'imputati e condanna tutti i predetti in solido al pagamento delle spese processuali. Cosi' deciso in Roma, il 27 ottobre 2003. Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2004