GUATEMALA - Voci della resistenza e corpi della libertà Festival

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GUATEMALA - Voci della resistenza e corpi della libertà Festival
GUATEMALA - Voci della resistenza e corpi della libertà
Festival regionale della memoria “Yo soy voz de la resistencia y cuerpo de la libertad”
per ricordare le vittime di violenza sessuale. Da Chimaltenango.
250 donne, provenienti da Guatemala, Cuba, Messico, Brasile, Salvador, Equador, Colombia, India,
Italia, Francia, Spagna, Serbia, per quattro giorni a Chimaltenango per affrontare la memoria delle
violenze sessuali durante la guerra. Un argomento tabù, in un contesto in cui le ferite sono ancora
aperte e tenute nascoste, e in cui i responsabili del genocidio, dei massacri e delle torture
continuano a ricoprire cariche politiche e a gestire l’economia di un paese dilaniato da quasi 40
anni di guerra civile. Ci vuole coraggio, e la forza di far fronte al dolore che riemerge, e che in
realtà non si è mai sciolto. A organizzare la seconda edizione del Festival por la memoria e a
proporre dei percorsi terapeutici di trasformazione della soggettività e recupero della memoria è
Actoras de Cambio, un collettivo femminista che da alcuni anni lavora in diverse zone del
Guatemala con gruppi di donne che hanno vissuto gli orrori della guerra, trovandosi spesso tra
l’esercito e la guerriglia e che tutt’ora si trovano a fronteggiare situazioni di violenza strutturale e
di genere. Yo soy voz de la resistencia y cuerpo de la libertad è il grido composto che dà il nome a
questa edizione ed è la chiave di lettura della politica di Actoras che lavora integrando l’esigenza di
rompere il silenzio individualmente, intimamente, con la dimensione collettiva, per affermare dei
diritti e la necessità dei corpi di trovare un senso alla sofferenza, non dimenticando ma
condividendo e socializzando le storie.
Ad aprire il Festival è stata la cerimonia tenutasi a Iximché, un luogo sacro per i popoli maya
(nonché sito archeologico in mezzo alla foresta per i gruppi di turisti). Hanno partecipato tutte le
donne presenti, condotte da guide spirituali di diversa provenienza che con il rituale Maya della
‘conta dei giorni’ che corrisponde alla chiamata di ogni nahual, hanno risvegliato la loro funzione
spirituale e il loro luogo nel cosmo e nei corpi.
A momenti di conferenze, dibattiti e spettacoli sul tema e di riflessione e costruzione di modalità creative di
espressione e trasformazione del dolore in gruppi, si sono alternate occasioni di evasione, festa e scambio
ludico tra le partecipanti e i pochi temerari partecipanti, con musiche e danze.
Molte le testimonianze delle donne indigene Maya, che hanno preso la forma di racconti in prima
persona, di denunce e anche di performance teatrali, musicali e grafiche. Erano inoltre presenti,
per un confronto di esperienze e un rafforzamento internazionale di istanze, le testimonianze di chi
fa parte di organizzazioni simili in Colombia, Equador, India e Serbia, e che lavorano in contesti di
violenza sessuale e di genere durante la guerra. Analizzare criticamente i processi attraverso cui le
diverse forme di violenza sessuale sono utilizzate come strategia di guerra, come torture fisiche,
psicologiche e culturali, e quali conseguenze devastanti lasciano nelle vite individuali e comunitarie
e nella costruzione sociale e culturale della donna, è fondamentale per capire e affrontare e
modificare le condizioni di stigmatizzazione e colpevolizzazione che investono le stesse donne dopo
‘aver perduto’ l’integrità del loro corpo.
La forza di un evento così innovativo e disarmante è stata di dare la possibilità di emergere a un
tema troppo spesso relegato al silenzio e alla vergogna, di socializzare le esperienze anche
geograficamente distanti di donne segnate da una sofferenza individuale, ma condivisa da troppe
persone, tessendo reti di consapevolezza e comunicazione. Ricomporre la dignità della figura della
donna, minacciata fisicamente e culturalmente, interrogandoci sulle scie di forme di esercizio del
potere che toccano anche la nostra società spesso cieca di fronte a concezioni della donna e del
sesso inferiorizzanti. Una forza promotrice di una lotta per la pace e per la giustizia, perché come
dice Rosalina Tuyuc, fondatrice del Coordinamento Nazionale delle Vedove Guatemalteche,
bisogna ‘intrecciare le speranze affinché tutte possiamo andare avanti’, e perché ‘dal dolore può
nascere l’allegria’.
Giulia Maero – servizio civile Guatemala