Contesto Francese del XVI sec

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Contesto Francese del XVI sec
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Data: 04/10/2015 21:42:39
CONTESTO FRANCESE NEL XVII SEC.
Premessa all’avvento di Luigi XIV
1 - Introduzione generale
All’indomani della Pace di Cateau-Cambresis (siglata tra Francia e la
Spagna di Filippo II, erede del dimissionario imperatore Carlo V) e
della morte del sovrano Enrico II (figlio di Francesco I, rivale storico
di Carlo V), entrambe avvenute nel 1559, la Francia conobbe un
periodo di quasi un secolo di vuoti di potere, tensioni interne di
stampo sociale, politico e religioso, fino all’avvento di Luigi XIV nel
1660.
Dobbiamo quindi tracciare le tappe di quella che è stata una stagione
di anarchia e disordini le cui radici sono innanzitutto riconducibili
alle lotte di religione tra i Cattolici (Monarchia, Antica nobiltà
feudale e Clero) e i protestanti calvinisti francesi, detti “Ugonotti” (i
cui aderenti erano in gran parte esponenti del nuovo ceto emergente
e produttivo dell’alta borghesia imprenditoriale e amministrativa).
Il termine “ugonotto” si riferisce presumibilmente al fatto che in un
clima di intolleranza cattolica qual era quello della Francia e altri
paesi europei, dopo l’ufficializzazione della Riforma Protestante
luterana avvenuta nel 1555, i calvinisti francesi individuarono come
base associativa la chiesa sconsacrata parigina di San Ugo ma, d’altro
canto, si tratta sicuramente di un termine dispregiativo scelto proprio
dai cattolici per contrassegnare i loro rivali come “congiurati” (questo
è infatti il significato etimologico del termine tedesco “Eidgenossen”,
poi francesizzato – italianizzato in “ugonotti”).
Va infatti specificato che, rispetto al Luteranesimo, il Calvinismo non
aveva ancora un riconoscimento ufficiale in Europa che, proprio per
ottenere ciò, sarà traumatizzata da una delle più grandi Guerre di
religione di tutti i tempi che vedrà schierate Nazioni cattoliche contro
Nazioni protestanti in difesa del Calvinismo: la Guerra dei Trent’anni
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(1618 – 1648). Il Calvinismo, infatti, si ufficializzerà solo alla fine di
questa guerra, con la Pace di Westfalia del 1648.
Nel linguaggio della storiografia francese , i vecchi nobili sono
chiamati “Nobili di Spada” (appartenenti al cosiddetto Ancien
Regime, legati alla tradizione di stampo feudale e ai vecchi privilegi
dinastici a partire dalla Monarchia); la nuova aristocrazia borghese,
invece, si chiama “Nobiltà di Toga” (la Toga come simbolo dei
Giudici e della sfera amministrativa-tecnica-finanziaria, in generale):
altrove detti anche “Officiers” per gli Uffici e competenze tecnicheimprenditoriali che la vecchia nobiltà, legata al parassitismo dei
privilegi feudali, non possedeva.
2 - Parentesi sul Calvinismo
Un’ulteriore premessa va fatta sul nesso Calvinisti – Nobili di Toga,
ovvero: dobbiamo preliminarmente capire perché non è casuale che
un ceto che abbracciava il Calvinismo fosse anche il ceto più
economicamente avanzato della società europea del XVI-XVII sec.
Per esempio il Calvinismo era penetrato nei Paesi europei più potenti
del mondo: Scozia, Inghilterra (e più avanti gli Stati Uniti
d’America), Paesi Bassi e Olanda, parte del Nord Europa (le grandi
città portuali – commerciali).
Insomma: non è casuale che i Paesi a base calvinista saranno anche i
Paesi economicamente più moderni e avanzati e all’opposto, i paesi
rimasti fortemente cattolici (Spagna, Portogallo e Italia soprattutto
quella dominata dagli spagnoli) abbiano conosciuto con grande
ritardo il fenomeno del capitalismo e protagonismo economico.
A sostenere questa tesi è il sociologo e storico Max Weber nell’opera
“L’Etica protestante e lo spirito del Capitalismo” (pubblicata nel
1904/1905) in cui si dice che l’essenza del calvinismo ha contribuito
ad incoraggiare lo spirito del capitalismo e del profitto.
In che senso?
Nel senso che, differentemente dal Luteranesimo che inchioda l’uomo
al suo essere peccatore e predestinato alla salvezza se non per grazia
di Dio a prescindere dal suo operato in terra, il Calvinismo, pur
mantenendo l’idea della predestinazione e della salvezza, pone
l’accento sul fatto che l’uomo, grazie al suo “talento” (termine che
insieme a “vocazione” traduce il tedesco “Beruf”) e alla sua iniziativa
attraverso il lavoro, non solo può ma deve guadagnarsi la salvezza in
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questo mondo attraverso i frutti del suo lavoro, producendo
ricchezza e benessere, a patto che questa ricchezza non sia
accumulata come fine a se stessa ma sia reinvestita ai fini del
miglioramento della condizione umana.
Insomma l’etica del lavoro per il Calvinismo si traduce, senza che ciò
generi contraddizione, nel dovere morale dello spirito di
imprenditoria e dinamicità in contrapposizione all’accumulo passivo
che sarebbe il vero peccato dell’uomo in questo mondo.
3 – La Francia dopo Enrico II
Dal 1560 al 1593
Quando il trono è lasciato vuoto, o a causa della morte di un re o a
causa della minore età del diretto erede, si instaura il periodo di
“reggenza”. In un clima di lotte di fazione sia religiose sia sociali, i
periodi di reggenza si espongono per loro stessa natura ad accentuare
questo clima.
Detto questo, dopo il 1559 la reggenza del trono, essendo il
primogenito morto e il secondogenito, Carlo IX, avendo appena 10
anni, fu presa dalla moglie del defunto Enrico II: Caterina de Medici.
Caterina de Medici puntò ad una politica moderata, in mezzo alle
lotte di fazione tra a) Ultracattolici, che facevano capo alla famiglia
dei Guisa e b) gli Ugonotti , rappresentati dalla famiglia dei Borbone.
L’orientamento dei cattolici moderati su cui si appoggiava Caterina,
costituiva il blocco dei cosiddetti “Politici”.
Il tentativo di pacificazione fu ufficializzato con l’Editto di SaintGermain nel 1562: ma questo fu neutralizzato dalla reazione
violentissima dei Cattolici (dato che l’Editto si apriva per la prima
volta ad una tolleranza religiosa verso gli Ugonotti) in una cornice di
attentati e complotti che durò almeno fino al 1598.
Tra questi episodi violenti è passata alla storia la “notte di San
Bartolomeo” (25 Agosto del 1572), come reazione al matrimonio
diplomatico organizzato da Caterina tra sua figlia Margherita e il
principe ugonotto Enrico di Borbone (futuro re col nome di Enrico
IV). Lo scopo di questo matrimonio diplomatico fu ridimensionare la
forza estremista dei Guisa sostenuti dal Papa ma, soprattutto, dalla
Spagna, l’antica rivale francese.
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Nella “notte di San Bartolomeo” un influente esponente dei Guisa
(anche questo si chiamava Enrico) fa uccidere un leader ugonotto
(l’ammiraglio di Coligny): ciò che ne seguirà sarà una strage di
ugonotti che parteciparono al matrimonio voluto da Caterina.
Nel 1574, morto il re Carlo IX, sale al trono il terzogenito di Caterina
ed Enrico II, Enrico III, che tentò di imporsi contro i capi-fazione
Enrico di Guisa da una parte e Enrico di Borbone dall’altra.
La storia parla, in questo senso, della cosiddetta “Guerra dei 3
Enrichi”.
In questa lotta per il potere lo stesso Re Enrico III, nel 1588, è il
mandante dell’omicidio del cattolico Enrico di Guisa, nell’intento di
realizzare una convergenza e apertura verso la famiglia dei Borbone:
Enrico III infatti sfruttò l’improvviso indebolimento del partito
cattolico che aveva perso l’appoggio decisivo della Spagna che
proprio in quell’anno vide annientata la sua “Invincibile Armada” nella
guerra marittima contro l’Inghilterra.
L’effetto a catena che ne seguì fu l’attentato ad Enrico III, ucciso da
un frate domenicano perché il sovrano, allontanandosi dal partito
cattolico, venne considerato un rivoluzionario e un eretico.
N.B.: in effetti Enrico III fu a suo modo rivoluzionario.
La sua apertura verso gli ugonotti non significa che si convertì al
protestantesimo, ma piuttosto che l’apertura era necessaria affinché
la Francia si avviasse ad un processo di modernizzazione. Tra l’altro,
Enrico III si attirò le opposizioni cattoliche perché avviò, nella stessa
volontà di modernizzazione, una politica culturale di tipo
rinascimentale nella stessa direzione che ormai da mezzo secolo
aveva percorso l’Inghilterra di Elisabetta I.
Si tenga presente, per esempio, che nella sua politica culturale Enrico
III fu molto sensibile agli aspetti più moderni della filosofia
rinascimentale, tanto che accolse e divenne il protettore di Giordano
Bruno, filosofo italiano che dovette girovagare per mezza Europa
lontano dalla inquisizione della Controriforma cattolica italiana
finché, tornato in patria, fu processato come eretico e bruciato vivo
nel febbraio del 1600 a Campo de’ Fiori, a Roma.
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4 – Avvento di Enrico IV e l’Editto di Nantes:
Tra Tradizione e Modernità
In questa continua turbolenza e anarchia, nel 1593 la famiglia Borbone
(un cui ramo era nell’albero genealogico della Monarchia) si ritrova
ad occupare il trono proprio con Enrico IV di Borbone.
L’evento in sé è rivoluzionario perché per la prima volta un
protestante diventa re anche se formalmente, data la tradizione
cattolica della monarchia, il nuovo re dovette convertirsi al
Cattolicesimo (da qui la famosa affermazione attribuita ad Enrico IV
“Parigi val bene una messa”, ossia pur di diventare re la conversione
“forzata” non costituiva un problema).
Come aveva già tentato di fare Caterina de Medici, anche Enrico IV
alla luce del periodo sanguinoso di lotte di fazione, volle instaurare
una politica all’insegna della pacificazione ed equilibrio tra gli
estremi quindi, al di là della sua appartenenza alla confessione
protestante, il vero motivo che lo animava era la modernizzazione
della Francia, in un’epoca in cui buona parte dell’Europa stava
conoscendo una trasformazione moderna delle istituzioni
monarchiche e in cui si stavano affermando teorie politiche sullo
“Stato Moderno” fortemente condizionate dallo spirito
rinascimentale e dalla razionalità filosofica.
Proprio in questa prospettiva nel 1598 Enrico IV emana l’ Editto di
Nantes.
L’Editto di Nantes è l’espressione del fine ultimo della politica di
Stato Moderno, ovvero la realizzazione del principio della “Ragion di
Stato”.
I punti che ne stanno alla base e che comunque determinano ulteriori
focolai di forte opposizione cattolica sono sinteticamente i seguenti:
 Concessione della libertà di culto e associazione agli Ugonotti,
secondo il principio moderno di Tolleranza religiosa;
 Concessione agli Ugonotti dell’autodifesa militare, attraverso il
riconoscimento e mantenimento di un centinaio di fortezze;
 Possibilità di accesso alle cariche pubbliche (ma non in
Parlamento) comunque sotto il criterio ancora tradizionale
della fedeltà al sovrano.
Come si vede si tratta di un Editto da una parte rivoluzionario, nella
evidente apertura alla Nobiltà di Toga; dall’altro esso mantiene fermo
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un piede nella tradizione feudale perché esclude dalle cariche la
possibilità che i nuovi nobili potessero decidere sulle leggi e quindi
avere un ruolo parlamentare. In questo caso, insomma, vennero
mantenuti i vecchi privilegi aristocratici del Vecchio Regime.
Questo spiega non solo il perché l’Editto, nella sua ambiguità, non
decollò dall’inizio in maniera omogenea e forte, ma anche il perché
esso inasprì il contrasto delle fazioni, soprattutto da parte cattolica
che si vedeva diminuire il tradizionale protagonismo.
Al di là della sua mancata o totale realizzazione comunque Enrico IV
avvia un processo ormai irreversibile.
Se diamo un’occhiata, a titolo di esempio, alla sua politica economica
si vede come egli segua i criteri di modernità che erano teorizzati a
partire dal XVI e lo sarebbero stati per tutto il XVII sec. e che diversi
paesi europei avrebbero applicato nell’ottica di politiche illuminate,
razionali e moderne. (Primi tra tutti Inghilterra e Olanda e più tardi
Prussia e Austria).
4.1 - Politica di Enrico IV: “Mercantilismo” e “Paulette”
La difficoltà della Francia a causa delle Guerre di religione e conflitti
di fazione, fu l’isolamento rispetto alle grandi dinamiche
internazionali, rimanendo arretrata in una sorta di macchina del
tempo rispetto al processo di modernizzazione che parte dell’Europa
borghese stava conoscendo.
L’Ancien Regime infatti conservava ancora la sua solidità e tradizione
nella dei suoi privilegi nobiliari.
Sotto Enrico IV, nell’ottica della pacificazione e Ragion di Stato, ci fu
il primo tentativo di modernizzazione almeno sul versante
economico.
La sua politica, su questo versante, inaugurò il meccanismo di
“mercantilismo”.
Il Mercantilismo è una dottrina sviluppatasi tra XVI – XVII sec, basata
sulla teoria per cui la ricchezza delle nazioni è direttamente
proporzionale alla quantità di metalli preziosi posseduti e incamerati.
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In funzione di ciò, lo Stato interviene:
 nella Politica economica;
 incoraggiando le esportazioni dei prodotti interni e imponendo
dazi/tasse doganali alle importazioni dei prodotti esteri
(questo per sconfiggere la concorrenza delle altre nazioni);
 in generale, questo segna la logica di “protezionismo” dello
Stato sul Mercato interno e sui suoi soggetti (in genere sono
privati, riuniti in Compagnie mercantili: si pensi al ruolo
egemonico delle Compagnie delle Indie).
Inoltre lo Stato favorì l’incentivazione e incremento dei settori
alternativi ed emergenti rispetto all’agricoltura (che comunque
continuava ad essere la base dell’economia nazionale):
 Settore della industria tessile;
 Settore del Commercio (che implicò il potenziamento
dell’industria navale per le nuove rotte commerciali verso
l’Oriente);
 Settore delle Infrastrutture con il miglioramento delle vie di
comunicazione.
Altro elemento di risanamento dello Stato sotto il regno di Enrico IV:
l’introduzione del meccanismo della “Paulette” (il cui nome deriva
dal Ministro delle Finanze Paulet).
La Paulette, introdotta nel 1604, è uno strumento che mirava a
rafforzare la presenza delle competenze tecniche, amministrative e
burocratiche tipiche della Nobiltà di Toga e, fondamentalmente, si
basa su due elementi:
1. Compravendita delle Cariche pubbliche;
2. Ereditarietà delle stesse cariche.
Soprattutto il criterio dell’ereditarietà mirava ad assicurare una
continuità nel tempo del processo di costruzione di una
amministrazione efficiente per lo Stato. Ma è anche il criterio alla base
dell’esplosione di nuove guerre intestine di fazione.
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La vendita delle cariche (detta anche “Venalità delle cariche”)
rientrava nel piano di realizzazione di una efficiente macchina
amministrativa e burocratica affidata ai Tecnici e esponenti della
Borghesia più avanzata.
Comincia così il processo di assolutizzazione dello Stato anche dopo
l’assassinio di Enrico IV (avvenuto nel 1610), con il nuovo Re –
bambino Luigi XIII. La reggenza fu presa dalla moglie di Enrico IV,
Maria de Medici, attraverso una politica di contenimento dei ceti
aristocratici, soprattutto quelli ugonotti – borghesi, dal momento che
Maria era fedele alla tradizione cattolica e dei privilegi dell’antica
nobiltà.
Un esempio di questo Assolutismo conservatore fu la chiusura
dell’Assemblea degli Stati generali nel 1614, nell’ottica di un potere
tendenzialmente arbitrario e incentrato sulla corona anziché allargato
agli altri ceti.
Va detto, infatti, che questa Assemblea riuniva di tanto in tanto, in
periodi di emergenza, tutti gli “Stati” sociali (ovvero i ceti) che erano
tre: 1) Antica Nobiltà – 2) Clero cattolico e 3) la Nuova Borghesia
(Nobiltà di Toga, detta poi per questo anche “Terzo Stato”).
Chiuderla significava voler rendere inoffensiva la Borghesia
emergente.
Nel 1624 il re, divenuto maggiorenne, decise di allontanare dalla
politica monarchica sua madre e affidarsi alla diplomazia
organizzativa del suo Primo Ministro, il Card. Richelieu che, sulla
scia della politica di Enrico IV non rinunciò al progetto di
modernizzazione dello Stato e, anzi, riescì a realizzare un capolavoro
amministrativo seguendo i principi della dottrina dello Sato
Moderno.
5 – L’Età di Richelieu (1624 – 42)
Vediamo da vicino ma schematicamente i fattori che caratterizzano
l’Età di Richelieu, che ebbe una considerevole continuità temporale,
1624 – 1642), considerando che fino ad allora la precarietà e instabilità
erano state la regola.
L’obiettivo principale di Richelieu si condensa tutto nella formula
(attribuita a lui e poi seguita anche da Luigi XIV) “Uno Stato, una
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Legge, una Religione”, in direzione di una compattezza assoluta che
eliminasse le tensioni interne e i rischi di instabilità continua.
Per far ciò dovette strutturare una politica razionale che
accontentasse sia nobili di spada sia nobili di toga, ma
inevitabilmente anche impedendo il prevalere dell’una o dell’altra
fazione, “abbassandone l’orgoglio” ed evitare che si formasse “uno
Stato nello Stato” (espressioni entrambe di Richelieu).
Alla luce di queste premesse, i punti della sua politica furono:
 Mantenimento dell’Editto di Nantes e del maccanismo della
compravendita delle cariche ma “smilitarizzazione” delle Basi
militari degli ugonotti rendendoli così inoffensivi e più
controllabili; e per smilitarizzazione si intende che le basi
militari ugonotte furono rase al suolo.
 Tollerenza religiosa verso i calvinisti ma Religione Cattolica
come Religione di Stato, cioè direttamente controllata dallo
Stato e sottratta al controllo della Chiesa di Roma e del Papa;
 Mantenimento della politica economica di Mercantilismo,
avviata da Enrico IV;
 Creazione di nuove figure politico-amministrative: gli
“Intendenti”. Gli Intendenti costituiscono l’autentica novità e
capolavoro politico di Richelieu, perché il loro ruolo doveva
essere quello di controllo fiscale, amministrativo e politico
(quasi come dei vice-Re), imponendosi come longa manus del Re
e di Parigi nelle varie province francesi (che erano un’ottantina).
Insomma: la figura dell’intendente era l’applicazione del
principio di Centralismo amministrativo dello Stato e doveva
dar conto solo al Re.
5.1 – Parentesi di Filosofia Politica:
J. Bodin e la dottrina dello “Stato Moderno”
La politica centralista di Richelieu non si comprende bene se non si
tiene conto che sullo sfondo storico agisce lo sfondo filosoficoculturale che, dal XVI sec è basato sull’interesse per la politica e la
formazione degli Stati.
La cultura filosofica politica non è una caratteristica solo francese ma
europea: le correnti e scuole di pensiero più importanti saranno
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affrontate a parte nel nostro programma ma, in questo caso, è
necessario tratteggiare brevemente il modello a cui Richelieu, come
del resto lo stesso Enrico IV, si erano ispirati.
Si tratta del filosofo della politica Jean Bodin, il teorico dello “Stato
Moderno” e autore del testo del 1575 intitolato “I Sei libri della
Repubblica”.
Il titolo è importante e va subito chiarito: il termine “repubblica” non
allude alla volontà di instaurare una istituzione repubblicana o
addirittura democratica al posto della Monarchia.
Il termine “Repubblica” è usato da Bodin nell’accezione etimologica
latina di Res Publica, “la cosa pubblica” e questo per un paio di
ragioni:
 In primo luogo, come ha insegnato la cultura rinascimentale (per
esempio con Machiavelli), il modello romano era considerato
un punto di riferimento per la razionalità politica, in
opposizione a modelli di potere feudale, arbitrario, vassallatico
per il quale lo Stato è solo un mezzo per una politica assoluta e
personale. La Res Publica romana invece fornisce la base per
un potere “impersonale”, ossia un potere organizzato
razionalmente attraverso organi di rappresentanza o, si dice, di
“collegialità”, pur rimanendo fermo il ruolo del sovrano (anche
se in età romana a comandare erano i Consoli, prima
dell’avvento dell’impero augusteo).
 In secondo luogo il termine Res Publica rimanda al fine ultimo
della politica: non la persona o il capriccio dei singoli, fazioni o
privilegi di sangue, bensì lo Stato nella sua globalità. Lo stato,
la sua stabilità e sovranità dunque devono essere intesi come
fini a se stessi: le strategie del governo sono solo dei mezzi per
il raggiungimento del fine (più o meno questo è il senso della
frase attribuita a Machiavelli – anche se non compare mai nei
suoi scritti – “Il fine giustifica i mezzi”).
Riassumendo, l’opera di Bodin (sicuramente ispirata a quella di
Machiavelli: per esempio Il Principe e I Discorsi sopra la prima deca di
Tito Livio) riflette l’oggetto filosofico per eccellenza attraverso i
concetti di “Sovranità” e “Ragion di Stato” e per cui la politica, a tutti
gli effetti, diventa una scienza e una costruzione razionale a partire
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dallo studio della “realtà effettuale” come aveva insegnato proprio
Machiavelli.
Gli assi teorici che definiscono lo Stato Moderno e Assoluto in Bodin
sono:
1.
Assolutismo (non arbitrario)
2.
Centralismo (in questa categoria rientrano i mezzi attraverso
cui realizzare il Centralismo: forte apparato burocratico-amministrativo;
Fiscalismo; presenza di un Esercito Permanente. Non è casuale che per
Bodin l’Assolutismo e la sovranità moderna dello Stato debbano
prevedere la presenza dei Ministeri più importanti ai fini delle sorti
dello Stato stesso: Ministero delle Finanze e Ministero della Guerra;
3.
Tolleranza religiosa. (Abbiamo visto come questo principio
sia stato alla base dell’Editto di Nantes e anche fonte di ulteriori
dissidi tra le fazioni cattoliche e ugonotte. Secondo una visione
razionale dello Stato l’intolleranza porta inevitabilmente alla guerra
civile ed è la malattia mortale dello Stato stesso).
6 – Dalla morte di Richelieu all’avvento di Luigi XIV:
La fase delle “Fronde”
Il 1642 è un anno chiave perché muoiono il card. Richelieu e il re Luigi
XIII: si tratta di un pericoloso vuoto di potere, considerando che il
nuovo re ha appena 5 anni ed è Luigi XIV.
Anche in questo caso si è alla presenza di una reggenza ed è tenuta
dal nuovo Primo Ministro, il card. Mazzarino con la partecipazione
(marginale) di Anna d’Austria, la mamma di Luigi XIV.
Richelieu nel suo progetto di centralismo politico - amministrativo,
aveva aumentato la pressione fiscale ma anche i contrasti tra la
vecchia nobiltà e la nobiltà di toga.
Mazzarino ereditò una situazione turbolenta destinata ad esplodere
in scontri, soprattutto a due riprese, meglio noti alla storiografia col
termine di “Fronde”.
L’italianizzazione del termine “Fronda” rimanda, nella lingua
francese, al gioco della “fionda” dei bambini e metaforicamente
significa la “sassaiola” e scontri che si traducono con una guerra
civile.
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Le fazioni opposte all’interno della cornice delle “Fronde” sono
ancora una volta i nobili tradizionali, detti in questo contesto
“Cavalieri”, come richiamo all’antica carica feudale con la quale
venivano investiti gli aristocratici, “di spada” appunto, da una parte,
e dall’altra i nobili di toga che in questo contesto sono chiamati
“Parlamentari”, perché rivendicavano il potere parlamentare di fare
o comunque decidere sulle leggi (soprattutto quelle in materia
fiscale).
Per la precisione: il potere di decidere o opporsi su o alle leggi si
chiama tecnicamente “potere di veto” sulle leggi stesse.
Entrambe le fazioni colsero il pretesto di violente agitazioni popolari
– contadine e della piccola borghesia che complessivamente
costituivano il 90% della popolazione francese ed erano le reali
vittime sacrificali delle pressioni fiscali inaugurate da Richelieu.
 La 1^ Fronda dei Parlamentari scoppia tra il 1648 e il 1649;
 La 2^ Fronda dei “Cavalieri” scoppia tra il 1650 e il 1653.
Entrambe le fazioni erano mosse dal comune obiettivo antiassolutistico, perché entrambe erano state controllate e fortemente
ridimensionate dalla logica della Ragion di Stato e del Centralismo
monarchico:
a) I Parlamentari, infatti, reclamavano più diritti politicolegislativi e l’eliminazione delle figure opprimenti degli
Intendenti;
b) I Cavalieri, invece, rivendicavano il ritorno ai vecchi privilegi
di sangue e feudali, chiedendo l’eliminazione della Paulette
che, come abbiamo visto, con l’ereditarietà delle cariche dava
un potere stabile e duraturo alla nuovo ceto dei nobili di toga.
L’esito delle Fronde fu fallimentare per entrambe le fazioni perché,
anche se ci fu un momento in cui Mazzarino e la Corte scapparono da
Parigi, Mazzarino stesso e la Monarchia ne uscirono ristabiliti
sfruttando il fatto che la lotta tra i due fronti li neutralizzò e indebolì
vicendevolmente.
Quando Luigi XIV ormai maggiorenne prenderà il potere nel 1660
costruirà la sua macchina statale-politica proprio traendo lezione
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dalle Fronde e determinando un Assolutismo che aveva come
presupposti
a) il modello di Richelieu/Bodin;
b) la totale eliminazione della libertà di manovra delle fazioni.