Quando il luminoso giorno si spegne nella tetra

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Quando il luminoso giorno si spegne nella tetra
QUANDO IL LUMINOSO GIORNO SI SPEGNE NELLA TETRA NOTTE
I vecchi e la vecchiaia, tra mortificazione e orgoglio
di Cristiana Bullita
«Una volta non li guardavo mai, i vecchi; li consideravo dei morti che muovessero ancora le gambe; adesso li
vedo: sono uomini, sono donne, appena un po’ più vecchi di me».
(S. De Beauvoir, Una donna spezzata)
Simone de Beauvoir al Café Flore di Parigi (1950)
Nel romanzo del 1967, De Beauvoir racconta, tra l’altro, di una vecchina che chiede al macellaio degli scarti
per i gatti. Lui la schernisce perché sa bene che lei non possiede nessun gatto: ci fa il lesso per sé, con quelle
frattaglie puzzolenti. Negli anni Sessanta, in Francia, un milione di persone, come lei, doveva sopravvivere
con centottanta franchi al mese, e altri tre milioni vivevano in condizioni appena migliori. Anche oggi, in Italia,
non è infrequente vedere persone anziane che razzolano tra le cassette abbandonate di frutta e di verdura,
nei mercati rionali, quando i camion ripartono e le strade sono ingombre di rifiuti.
«I vecchi che portano il mangiare per i gatti, e come i gatti frugano tra i rifiuti », cantava Claudio Baglioni nel
1981; ad oggi nulla è cambiato.
La vecchiaia, però, come la morte, non riguarda solo gli indigenti: è una faccenda trasversale alle classi sociali.
E se i soldi possono attenuare o mascherare alcuni degli aspetti più incresciosi dell’età, il suo nucleo gravoso
di consapevolezza e rimpianto non può essere eluso in alcun modo.
Se «a venti, trenta, quaranta, cinquanta, sessanta [anni], un individuo poteva dire senza compromettersi:
rimandiamo la faccenda all’estate prossima», oltre quell’età significa «davvero scherzare con il destino»:
oltre quell’età si è vecchi.
«Erano lontani quei giorni in cui i sentimenti prorompevano oltre i loro confini e colavano roventi come
acciaio fuso, quando il cuore pareva voler scoppiare, tanto era gonfio di desideri complessi e contraddittori;
ora non restava nulla, se non un paesaggio senza sfumature; il disegno era ancora identico, ma tutti i colori
erano svaniti».
(V. Sackville-West, Ogni passione spenta)
È dunque questo la vecchiaia, un paesaggio sbiadito?
«La sessualità, per me non esiste più. Quest’indifferenza la chiamavo serenità; ma poi, d’un tratto, ho capito
che era tutt’altra cosa: è un’infermità, è la perdita di un senso, che mi rende cieca ai bisogni, ai dolori, alle
gioie di coloro che lo possiedono».
(S. De Beauvoir, Una donna spezzata)
La vecchiaia è una menomazione del corpo e dello spirito? Un male sottile che s’insinua sotto la pelle e la
raffredda, la spegne senza che noi ce ne accorgiamo, e intanto la segna irreparabilmente?
«Lasciami tutte le rughe, non me ne togliere nemmeno una. C’ho messo una vita a farmele venire!»: così
Anna Magnani si rivolse un giorno al suo truccatore. Lei era portatrice di una bellezza verace e lontana dallo
stucchevole stereotipo della grazia muliebre e della perfezione immobile dei lineamenti; su quel viso si
leggeva la vita, con tutti i suoi vertiginosi tornanti. E quando il tempo ha segnato i begli occhi con falci di luna
grigia, la bellezza non è svanita ma è divenuta ancora più intensa e struggente.
Come scrive Vita Sackville-West, nessuna giovinezza ha «la bellezza incomparabile di un vecchio volto»; un
viso giovane è solo una pagina bianca e dunque è ancora muto, è pura potenzialità inespressa. E poi non
sempre gli anni spengono la passione.
«L’amore mi colpisce ancora con il suo sguardo
azzurro e mi scioglie con mille incantesimi e con
i capelli grigi, mi getta nelle reti di Venere
Afrodite. Io tremo quando viene come il cavallo
che un tempo era campione e, vecchio ormai a
malincuore, scende nella pista».
(Ibìco)
Però è necessario stare in guardia perché lo spettacolo peggiore, il più avvilente, è quello «di un vecchio che
si tiene in esercizio sul corpo di una donna»:
«A che età […] Origene si è castrato? Non è certo una soluzione elegante, ma che cosa c’è di elegante
nell’invecchiare? Se non altro servirebbe a sgombrare il terreno, in modo da rivolgere la mente
all’occupazione precipua dei vecchi: prepararsi a morire […] Eppure anche i vecchi […], con l’impermeabile
macchiato, i denti falsi screpolati, il ciuffo di peli che spunta dall’orecchio, sono stati figli di Dio, con arti dritti
e occhi limpidi. Si può forse biasimarli se, al dolce banchetto dei sensi, si aggrappano alla sedia fino
all’ultimo?».
(J. M. Coetzee, Vergogna)
Chi è anziano viene troppo spesso ammonito a «non far rumore, anche se hai tanto amore, da dare a chi vuoi
tu […] Ma sei vecchio. T’insulteranno: vecchio! Con tutta quella smania che sai tu…» (R. Zero, Spalle al muro).
È invece possibile vivere la dimensione fisica dell’amore a dispetto del tempo, esorcizzando il suo tremendo
imperativo di decadenza:
«Viviamo, moglie mia, come una volta,
diamoci i dolci nomi della prima notte. Non
cambi nulla, per noi, il tempo che fugge: io
sono il tuo ragazzo e tu la mia fanciulla.
Non pensiamo alla vecchiaia e alla prudenza.
Godiamo i nostri anni e non contiamoli».
(Decimo Magno Ausonio)
L’amante soffre al pensiero che lo splendore della sua donna venga un giorno sciupato dalle «ore scandite
dal pendolo»:
«Allora per quella bellezza ch’è tua mi do pena: tu pure all’opera edace del tempo dovrai pur soccombere un
giorno».
(W. Shakespeare, Sonetto XII)
Talvolta il tempo crudele concede “reliquie” di bellezza:
«È una bellezza, la tua, non estinta dagli anni: reliquie serbi tuttora della bella età; restano immuni dal tempo
le grazie, dai pomi ridenti dileguàti non sono il bianco, il rosa. Quanti, una volta, gli incendi di quelle pupille
divine» (Rufino)
Non commuoviamoci troppo: è lo stesso Rufino che, in un significativo epigramma, si rivolge a Prodice
indicando come «distruttori dell’amore […] le rughe, i capelli bianchi, il corpo avvizzito e la bocca priva della
grazia antica» e rendendole noto che, mentre una volta la sua altera bellezza provocava adulazione e
preghiere, «ora ti passiamo accanto come ad una tomba»…
Se l’amore può in alcune circostanze ancora sopravvivere, tuttavia è difficile, in età avanzata, frequentare
compagnie sincere e disinteressate. Almeno secondo Aristotele, il quale ha descritto l’amicizia tra vecchi
come quella più adatta a perseguire l’utile.
«Ma non è che costoro vivano molto in compagnia gli uni degli altri. Talora, infatti, non riescono piacevoli gli
uni agli altri: perciò non sentono neppure il bisogno di tale compagnia, a meno che questi amici non siano
utili».
(Aristotele, Etica Nicomachea)
Non sempre i vecchi stanno bene insieme, perché ciascuno vede nell’altro il riflesso del suo stesso declino,
della sua stessa sconfitta, vede la morte appollaiata sulle spalle ricurve, come un vorace avvoltoio.
E poi, la vecchiaia è davvero sinonimo di saggezza, di maturità? De Beauvoir riporta nel romanzo succitato
una folgorante intuizione di Sainte-Beuve: «In certi punti c’induriamo, in altri fradiciamo, non maturiamo
mai».
Al limitare della vecchiaia, c’è un segreto per non angosciarsi troppo:
«Non bisogna guardare troppo lontano. In lontananza […ci sono] gli orrori della morte e degli addii; […ci sono]
le dentiere, le sciatiche, le infermità, la sterilità mentale, la solitudine in un mondo estraneo che non
comprenderemo più e che continuerà il suo corso senza di noi».
(S. De Beauvoir, Una donna spezzata)
Allora sforziamoci di vivere pienamente il presente, cogliendone tutte le sfumature:
«Ho scoperto la dolcezza di avere un lungo passato dietro di me. Non ho il tempo di raccontarmelo, ma
spesso, d’improvviso, lo scorgo in trasparenza nel fondo del momento presente; gli dà il suo colore, la sua
luce, come le rocce o le sabbie si riflettono nei balenii del mare».
È ancora Simon De Beauvoir che, con un’immagine molto suggestiva, ci regala una preziosa verità: gli anni
passati non sono scomparsi per sempre ma connotano in modo assolutamente specifico, unico, il tempo
presente. Noi siamo tutti permeati del nostro passato, che giunge a colorare l’attimo con un’emozione
improvvisa, a conferire una nota dolce e nostalgica a un pensiero che attraversa la mente. Capita a volte che
l’orgoglio del passato galleggi sulla mortificazione del presente; lo vediamo affiorare inaspettatamente,
quell’orgoglio tenace, epifania nel lampo di uno sguardo antico.