mirror - WordPress.com
Transcript
mirror - WordPress.com
Tracce d’eternità La rivista elettronica del mistero Riservata agli utenti del portale Tracce d’eternità Numero 7 (Marzo 2010) LE FIRME DI QUESTO NUMERO IL SERPENTE BINARIO di Heinz Insu Fenkl (Traduzione di Sabrina Pasqualetto) "PARANORMAL ACTIVITY": L'IRRAZIONALITÀ DI ATAVICHE PAURE INTERIORI di Antonella Beccaria Philip Mantle Heinz Insu Fenkl J.Antonio Huneeus Yuri Leveratto Bruno Severi Luca Andrea La Brocca Andrea della Ventura Massimo Staccioli Roberto La Paglia Michele Proclamato Marco Zagni Domenico Dati Matteo Agosti Ines Curzio Noemi Stefani Antonella Beccaria Sabina Marineo Alateus Simonetta Santandrea Simone Barcelli Gianluca Rampini Isabella Dalla Vecchia TRA MITO, IPOTESI E STORIA di Alateus di Roberto La Paglia di Sabina Marineo LA NASCITA DELLA CIVILTA’ EGIZIA di Luca Andrea La Brocca SAULO DI TARSO (PAOLO) LA STORIA CHE NESSUNO RACCONTA OPERAZIONE ODESSA: TRA MITO E REALTA’ INTERVISTA A MICHAEL CREMO di Gianluca Rampini I DOGON E IL MITO DELLA STELLA NERA di Bruno Severi VENERE CHIAMA TERRA: QUALCUNO RISPONDE… di Matteo Agosti Questa rivista telematica, in formato pdf, non è una testata giornalistica, infatti non ha alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale, ai sensi della legge n. 62/2001. Viene fornita in download gratuito solamente agli utenti registrati del portale e una copia è inviata agli autori e ai collaboratori. Per l’eventuale utilizzo di testi e immagini è necessario contattare i rispettivi autori. GLI EMBLEMI DI MAIER di Simonetta Santandrea Note a margine pag.2 Il senso di Tracce Gianluca Rampini Gianluca Rampini ha 35 anni ed è un ricercatore indipendente che si occupa, in special modo, di ufologia e abductions. In rete collabora con Ufomachine, Ufoonline, Paleoseti e altri siti tematici. Un caro amico una volta mi disse “Che senso ha darsi tanta pena per cercare risposte che non troverai mai?” Non è facile rispondere onestamente ad una obbiezione del genere. Molto dipende da quali sono queste risposte e di conseguenza dalla nostra convinzione di poterle perseguire. Avrebbe senso la ricerca fine a se stessa? Un buddista direbbe certamente di sì, perché è il viaggio che conta e non la destinazione e per quanto condivisibile sia questa affermazione io credo non sia sufficiente, di certo non lo è per me e per tutti coloro che, tramite le pagine di questa rivista, mettono il proprio tempo ed il proprio impegno per provare a far chiarezza sui molteplici aspetti TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà della nostra realtà, presente e passata, che rimangono occultati dietro le appannate lenti della scienza ufficiale o altre volte occultati in piena vista. Detto questo bisogna anche ammettere che è pressoché impossibile desumere un quadro omogeneo dalla rivelazioni che emergono, sembra che per quanto ci si avvicini alla formulazione di una teoria “unificatrice” essa sfugga puntualmente, che ogni risposta che troviamo conduca inesorabilmente a nuovi quesiti. Soprattutto nel mondo dell’ufologia e del paranormale in senso più ampio potrebbe sorgere il sospetto che vi sia una regia dietro questa cangiante messa in scena. Un ricercatore statunitense dotato, a mio parere, di grande intuito ha riassunto tutto questo coniando il termine “tricksterish effect”, l’effetto trickster. Il trickster sarebbe quello spiritello dispettoso che si diverte a prendersi gioco delle persone, spostando gli oggetti, mostrando cose che non ci sono e così via. Le innumerevoli forme degli UFO, l’imbarazzante varietà somatica degli occupanti, perché è vero che vi sono alcuni elementi ricorrenti, ma se andiamo ad analizzare bene la questione troveremo che questi variano a seconda delle epoche e a seconda delle culture con cui si raffrontano. Con questo non voglio intendere che non vi sia nulla di concreto, perché la cicatrici dei rapiti, ad esempio, lo sono eccome, ma più passa il tempo più mi rendo conto che sia necessario rivedere l’intera questione aliena. Non che io sia il primo né l’unico a pensarla così, Vallee e Keel, per fare due nomi, si sono già espressi in passato sull’argomento ed entrambi sono giunti alla conclusione che la sola spiegazione extraterrestre, intesa come viaggiatori interplanetari, non può essere nemmeno lontanamente sufficiente a spiegare l’intero fenomeno. Al contrario vi sono “forze” che inducono l’opinione pubblica a focalizzarsi esclusivamente sull’aspetto fisico, tridimensionale, statistico della questione. Come se studiare il numero degli avvistamenti nel tempo abbia mai prodotto una qualche fruibile teoria sulla natura del fenomeno. Sono convinto che se vogliamo quanto meno provare a comprendere ciò che veramente si nasconde dietro il velo che abbiamo davanti agli occhi dobbiamo abbandonare l’empirismo ufologico ed azzardare qualcosa in più. E’ necessaria una gnosi, condivisa e diffusa, ma pur sempre una gnosi. Il diavolo sta nei dettagli, io direi sta nell’eccesso di dettagli che come fumo solforoso ci getta negli occhi. Da gnostico quale mi ritengo so di possedere la scintilla del divino TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà dentro di me, so che solamente io posso trovare il modo per rapportarmi con il Divino, che nella fattispecie è la Verità. Lascio a voi decidere chi sia il terribile Demiurgo che ha creato il mondo come lo vediamo per impedirci di percepire la nostra vera natura, tenendoci separati dalla fonte. Qualsiasi sia la vostra opinione in merito non posso che ringraziarvi per aver dato un senso al nostro primo anno di impegno, di notti insonni, di ore chini sulle tastiere. La ragione di esistere per Tracce d’eternità è che voi la leggiate e che siate sempre di più a farlo. Per questo i numeri ci confortano e ci spronano ad affrontare un altro anno cercando di migliorare numero dopo numero. I vostri consigli saranno sempre ben accetti, Tracce è una realtà aperta, aperta a tutti coloro ritengano di poter dare il proprio contributo. Il senso in definitiva è proprio questo. [email protected] AVVENTU Contenuti NOTE A MARGINE Marco Zagni DOCUMENTI Gianluca Rampini I Vichinghi in Groenlandia e in Nordamerica Domenico Dati Il senso di Tracce pag.54 pag.2 Amplificatori energetici dell’antichità COVER UP LIBRARSI Simonetta Santandrea Il Messaggio dei Costruttori di Cattedrali (di Cristian Jacq) pag.10 pag.99 Roberto La Paglia Philip Mantle La storia che nessuno racconta Autopsia di un alieno. Fine dei giochi pag.60 UFOLOGIA Gianluca Rampini XAARAN Tesla e gli extraterrestri Antonella Beccaria "Paranormal activity": l'irrazionalità di ataviche paure interiori pag.11 pag.65 Matteo Agosti Venere chiama Terra: qualcuno risponde… pag.107 LE INTERVISTE DI GIANLUCA RAMPINI ESOTERISMO Gianluca Rampini Heinz Insu Fenkl Michael Cremo Il serpente binario pag.14 MITOLOGIA Dèi, uomini e bestie pag.22 GLI ANELLI MANCANTI Ines Curzio Lo strano caso del popolo Dropas pag.117 LIFE AFTER LIFE Noemi Stefani La memoria dello spirito (traduzione di Anna Florio) pag.70 Marina Sabineo Simone Barcelli (traduzione di Sabrina Pasqualetto) pag.144 Operazione ODESSA: una pagina nera tra mito e realtà pag.87 ARCHEOLOGIA DI CONFINE pag.121 UFOONLINE Massimo Staccioli 20 luglio 1952: l’avvistamento di Washington. Una data memorabile per la casistica UFO pag.123 DREAMLAND Yuri Leveratto I misteri del Manoscritto 512 e della città perduta di Muribeca LUOGHI MISTERIOSI J. Antonio Huneeus Il primo rapimento polacco pag.77 pag.29 Andrea della Ventura EGITTOLOGIA Isabella Dalla Vecchia Le “Grotte delle Fate” in Italia pag.130 Spirali di luce pag.83 Luca Andrea La Brocca La nascita della civiltà egizia pag.33 ARCHEOASTRONOMIA Bruno Severi I Dogon e il mito della Stella Nera URBIS HISTORIA Alateus Simonetta Santandrea Sauro di Tarso (Paolo) Tra mito, ipotesi e storia Gli emblemi di Maier l’Atalanta fugiens, i rosacroce e l’alchimia alla corte di Praga pag.103 pag.42 CONFESSO, HO VIAGGIATO LO SPAZIO DELL’OTTAVA Michele Proclamato Noemi Stefani Il Parco Naturale dell'Adamello e del Brenta pag.49 ALTRE VERITA’ La Storia Millenaria dei Cerchi nel Grano (seconda parte) pag.93 TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà pag.137 Si ringrazia Maurizio Baiata e www.openminds.tv per aver concesso il permesso alla pubblicazione dello studio tematico qui proposto a pag.77. Tracce d’eternità Rivista elettronica di Storia Antica, Archeologia, Mitologia, Esoterismo ed Ufologia Riservata agli utenti del portale Tracce d’eternità REDAZIONE Simonetta Santandrea [email protected] Gianluca Rampini [email protected] Simone Barcelli [email protected] Traduzioni Sabrina Pasqualetto [email protected] Anna Florio [email protected] Antonio Nicolosi [email protected] Germana Maciocci [email protected] Numero 7 (Marzo 2010) Portale simonebarcelli.org Questa rivista telematica, in formato pdf, non è una testata giornalistica, infatti non ha alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale, ai sensi della legge n. 62/2001. Viene fornita in download gratuito solamente agli utenti registrati del portale e una copia è inviata agli autori e ai collaboratori. Per l’eventuale utilizzo di testi e immagini è necessario contattare i rispettivi autori. This electronic magazine, in pdf format, is not a newspaper, it has no periodicity. It can not be considered an editorial, under Law No. 62/2001. Is provided in a free download only for registered users of the portal and a copy is sent to the authors and collaborators. For the possible use of texts and images please contact the respective authors. COLLABORATORI ED AUTORI Christopher Dunn [email protected] Michael Seabrook [email protected] Marisol Roldàn Sànchez [email protected] José Antonio Roldàn [email protected] Yuri Leveratto [email protected] Agustìn Valverde [email protected] Philip Mantle [email protected] Paul Stonehill [email protected] Malcolm Robinson [email protected] Heinz Insu Fenkl [email protected] J. Antonio Huneeus www.openminds.tv Antonella Beccaria [email protected] Simone Barcelli [email protected] Teodoro Di Stasi [email protected] eSQueL [email protected] Enrico Baccarini [email protected] Gianluca Rampini [email protected] Simonetta Santandrea [email protected] Sergio Coppola [email protected] Antonio Crasto [email protected] Maurizio Giudice [email protected] Stefano Panizza [email protected] Giovanna Triolo http://blog.libero.it/Angoloprivato Noemi Stefani [email protected] Ines Curzio [email protected] David Sabiu [email protected] Massimo Pietroselli [email protected] Alessio Margutta urgiddi.wordpress.com Roberto La Paglia [email protected] Isabella Dalla Vecchia www.luoghimisteriosi.it Alessia Maineri [email protected] Michele Proclamato [email protected] Alateus [email protected] Monica Caron [email protected] David Lombardi [email protected] Massimo Bonasorte [email protected] Davide Amore [email protected] Marco Zagni [email protected] Enrico Vincenzi [email protected] Bruno Severi [email protected] Luca Andrea La Brocca [email protected] Domenico Dati [email protected] Massimo Staccioli [email protected] Andrea della Ventura [email protected] TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà In download gratuito dal portale simonebarcelli.org In libreria I primi 6 numeri di “Tracce d'eternità” Nr.1 (marzo 2009) Nr.4 (settembre 2009) Nr.2 (maggio 2009) Nr.5 (novembre 2009) Nr.3 (luglio 2009) Nr.6 (gennaio 2010) I primi 3 e-book selezionati dalla nostra redazione E’ fresco di stampa “Tracce d’eternità” - Un incredibile viaggio ai confini della Storia, tra le rovine di alcuni dei più misteriosi siti archeologici (169 pagine, ISBN 978-88-87295-66-5, prezzo Euro: 14,80 Edizioni Il David Sabiu “E’ nelle profondità dell’universo… che cerco l’impronta divina” (ottobre 2009) Maurizio Martinetti Marco Zagni “APU-AN Il Sole alato ritorna” (dicembre 2009) Bruno Severi “Ai confini della coscienza” (febbraio 2010) Cerchio della Luna www.cerchiodellaluna.it), di Simone Barcelli, webmaster del portale. Disponibile nelle librerie specializzate e in quelle on line. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà COMITATO GARANTE ANTONELLA BECCARIA ROBERTO LA PAGLIA SIMONE BARCELLI Giornalista Pubblicista Webmaster [email protected] [email protected] [email protected] I REFERENTI DI TRACCE D’ETERNITA’ RESPONSABILE DEI REFERENTI ROBERTO LA PAGLIA REGIONE PROVINCIA ABRUZZO CALABRIA CAMPANIA EMILIA ROMAGNA EMILIA ROMAGNA EMILIA ROMAGNA EMILIA ROMAGNA L’Aquila Cosenza Benevento Ravenna Forlì-Cesena Bologna Bologna Trieste Roma Roma Roma Latina Genova Brescia Milano Novara Torino Olbia Sassari Catania Palermo Carrara Rovigo Treviso Treviso FRIULI VENEZIA GIULIA LAZIO LAZIO LAZIO LAZIO LIGURIA LOMBARDIA LOMBARDIA LOMBARDIA PIEMONTE SARDEGNA SARDEGNA SICILIA SICILIA TOSCANA VENETO VENETO VENETO ESTERO ESTERO ESTERO ESTERO [email protected] REFERENTE INDIRIZZO E-MAIL [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] ANDREA DELLA VENTURA [email protected] [email protected] ENRICO VINCENZI [email protected] CLAUDIO FOTI LUCA ANDREA LA BROCCA [email protected] [email protected] MATTEO AGOSTI [email protected] eSQueL [email protected] NOEMI STEFANI [email protected] ALESSANDRO MARTINISI [email protected] STEFANIA MELIS [email protected] MAURIZIO GIUDICE PENGO ANTONIO REMIGIO [email protected] [email protected] DAVIDE AMORE VITO PIETRO DI STEFANO [email protected] [email protected] SABRINA PASQUALETTO [email protected] IRENE ANTONIOLI [email protected] MILENA BRESSAN MARIAGRAZIA LONGHINO [email protected] Gran Bretagna ANNA CATERINA FLORIO [email protected] Gran Bretagna MICHAEL SEABROOK [email protected] [email protected] Messico DANIEL MUNOZ [email protected] Colombia YURI LEVERATTO MICHELE PROCLAMATO PAOLO BOZZO ANTONIA TRAVAGLIONE SIMONETTA SANTANDREA CLAUDIO CACCHI ANTONELLA BECCARIA INES CURZIO GIANLUCA RAMPINI Chi ha aderito all’iniziativa, mediante il Gruppo COLLABORA COME REFERENTE PER TRACCE D’ETERNITA’ creato sulla piattaforma Facebook, è stato contattato dalla nostra redazione, al fine di confermare la disponibilità al progetto. Chi lo ha fatto è quindi inserito in elenco. L’impegno richiesto è minimo ma dovrà essere costante. Si tratta, in sostanza, di incentivare, nei modi ritenuti opportuni, quello che la redazione ritiene l’obiettivo primario, cioè la libera divulgazione delle tematiche qui trattate. Ogni collaboratore sarà quindi Referente di zona per ”Tracce d’eternità” nell’ambito della propria Regione e potrà contribuire attivamente alla buona riuscita dell’iniziativa. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà QUARTO E QUINTO NUMERO DELLA RIVISTA ON LINE DEL C.U.T. La rivista on line “Ieri, Oggi, Domani” del CENTRO UFOLOGICO TARANTO centroufologicotaranto.wordpress.com è giunta al quarto e quinto numero. Ecco i links per sfogliare come un vero e proprio giornale ed ingrandire la rivista del Centro Ufologico Taranto Numero 4 http://it.calameo.com/read/0000944438d57f306c1fb Numero 5 http://en.calameo.com/read/0000944432d2dc469139c Per richiedere la rivista in versione Pdf basta inviare una email a [email protected] Per contattare gli articolisti del Centro Ufologico Taranto Vincenzo Puletto [email protected] Antonio De Comite [email protected] Eugenio Palese [email protected] Franco Pavone [email protected] Antonello Vozza [email protected] TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà PRIMO NUMERO DELLA RIVISTA ON LINE NAUTILUS MAGAZINE 3.0 “Nautilus Magazine 3.0”, neonata rivista elettronica che si occupa, in parte, delle tematiche di “Tracce d’eternità”, è on line, sulla piattaforma Scribd, col primo numero. Sotto la geniale guida di Maurizio Decollanz, il mensile è uno spazio di approfondimento di Nautilus Truth Magazine e Nautilus Travel Magazine. Ecco il link per sfogliare la rivista: http://www.scribd.com/doc/26319374/Nautilus-Magazine-3-0-NUMERO-UNO TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Librarsi pag.10 Il Messaggio dei Costruttori di Cattedrali Autore Cristian Jacq Edizioni Età dell’Acquario Pagine 257 Anno pubblicazione 2009 Traduzione Cristina Cavalli Simonetta Santandrea Simonetta Santandrea ha 39 anni ed è la fondatrice del gruppo “Tracce d’eternità” sulla piattaforma Facebook, gruppo di cui tuttora è responsabile. Si occupa di Storia Antica e in rete collabora con Luoghi Misteriosi, Paleoseti ed altri siti tematici. Le cattedrali medievali sparse per l’Europa sono uno dei tesori più preziosi che i nostri antenati ci abbiano lasciato in eredità. Anche l’osservatore meno attento prova un’intensa emozione quando si trova di fronte a una di esse. Facciate, campanili, sculture, capitelli, vetrate, chiostri testimoniano un’epoca nella quale l’uomo raggiunse uno dei punti più alti della sua parabola. Della loro costruzione conosciamo in genere molti dettagli, e così delle successive vicende di cui sono state protagoniste. Eppure, scrive Christian Jacq, conosciamo poco il loro significato più autentico. Il nostro tempo dominato dal razionalismo e dall’individualismo confina questi capolavori in una dimensione esclusivamente artistica e storica. Eppure essi parlano all’uomo a un livello assai più profondo perché racchiudono misteri e TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà contengono simboli legati all’essenza stessa della vita spirituale. Le cattedrali gotiche sono scrigni di Saggezza, centri di quel sapere che va oltre i credo e le tradizioni e che appartiene a tutto il genere umano. Oscurato dalla civiltà grecoromana, questo patrimonio oggi negletto esprime la straordinaria ricchezza esoterica dell’Occidente, che trae la propria linfa dalle culture del bacino del Mediterraneo, in primo luogo dall’Egitto dei Faraoni. Ma chi furono allora i costruttori delle cattedrali? Geniali artisti, abili capimastro, eccellenti artigiani? Oppure soprattutto i depositari di una sapienza antica espressa in simboli capaci di attraversare i secoli e le culture, per parlare di Dio a ogni uomo e portare a tutti la Conoscenza? [email protected] Xaaran pag.11 "Paranormal activity": l'irrazionalità di ataviche paure interiori www.stardustmovies.com Antonella Beccaria Attenzione che potrebbe seguire uno spoiler. Il lettore è avvisato e se proseguirà lo farà a proprio rischio e pericolo. Perché, nelle righe che vanno a comporre questo articolo, si parla di un film che ha fatto molto discutere di sé. Si tratta di "Paranormal activity", la pellicola scritta e girata dal regista israeliano Oren Peli che se ne sta per uscire con un altro lavoro ai confini della mitologia più contemporanea, "Area 51". E iniziamo con una conclusione: il finale proposto sul grande schermo poteva essere più convincente. Dopo aver costruito tanta suspense, la sapienza messa in una storia che, anche quando non spaventa, per lo meno inquieta, avrebbe fatto sperare in qualcosa di più orrorifico di una pattuglia del 911 dal grilletto troppo facile. Ma su questo viene in soccorso la Rete perché esiste, nei meandri del web, un finale alternativo e più cruento. Torniamo però indietro e ripartiamo da una (seppur breve) tradizione inaugurata da un film per certi versi analogo. Era il 1999 quando nelle sale cinematografiche irrompeva "The Blair Witch Project", storia di una banda di irriverenti filmmaker sulle tracce di una strega nata dalla leggenda. Una leggenda in grado però di influenzare menti deboli, a dar retta alla vulgata popolare, quanto basta a regalare di che scrivere ai più sanguinari dei cronisti di nera. Avranno modo di ricredersi, gli studenti di cinema, dunque, e lo faranno fin troppo rapidamente: nel giro di pochi giorni, una serie di fenomeni – non si capirà se di umana o sovrumana origine – li farà uscire di testa abbastanza da annientarli nei boschi del Maryland. L'originalità di questo film, ai tempi, stava in due elementi. Il primo riguardava la tecnica di promozione, che in termini tecnici si chiama "guerrilla marketing". È quell'approccio tale per cui una campagna di comunicazione, per un'alchimia creativa, si trasforma da pubblicità in notizia. E "The Blair Witch Project", presentato fittiziamente come un fatto realmente accaduto e nato dal casuale ritrovamento del girato dei ragazzi, assumeva i contorni di un'indagine alla "Chi l'ha visto": che fine avevano fatto i ragazzi addentratisi nella foresta di Burkittsville e mai più ritrovati? Il secondo elemento, correlato al primo, stava nella tecnica di ripresa: inquadrature quasi amatoriali, assenza di luci artificiali, riprese mosse all'inverosimile nei momenti di fuga, trasformavano la finzione di un'agghiacciante realtà. Ecco, "Paranormal activity" ha seguito lo stesso schema. Inoltre, come il blasonato antecedente, ha ottemperato anche ai dettami della produzione "low budget". Non aspettatevi dunque effetti speciali né nomi d'oro della Hollywood più celebre. Gli attori sono degli sconosciuti, le location si riducono agli ambienti di una casa della media borghesia e il massimo dell'effettistica si riduce all'uso – peraltro dichiarato – di innocuo borotalco o degli scricchiolii che un'abitazione in legno naturalmente produce. Eppure lo spettatore, a fronte di tanta povertà di mezzi, il respiro lo trattiene almeno in qualche punto. Perché questo film, così come fece "The Blair Witch Project", fa leva su un aspetto insito nella maggior parte di noi: la paura dell'ignoto. Dell'ignoto persecutore, del rumore dalle origini sconosciute, della profonda solitudine. I protagonisti sono due, Katie e Micah, una giovane coppia che ancora lavora per realizzarsi e realizzare la propria vita insieme. Lui, del tutto scettico, sta muovendo i passi determinanti in qualcosa che sembra somigliare alla speculazione borsistica. Lei, invece, è quella perseguita da oscure presenze fin TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà dall'infanzia, ma poco ci bada e pare più concentrata invece sulla conclusione dei suoi studi per diventare un'insegnante e dedicarsi ai ragazzini. La loro unione, per quanto di fatto, sembra scatenare però la gelosia del malevolo spirito che da anni accompagna la ragazza: lei è terrorizzata e lui invece eccitato. Ne nasce così una sfida che contiene citazioni dall'“Esorcista” di Peter William Blatty, dall'“The Exorcism of Emily Rose” di Scott Derrickson e dall'horror paranormale della miglior tradizione. Ma, appunto, sono soli, Katie e Micah, tanto che sedicenti "specialisti" in affari ultraterreni li abbandonano al loro destino, una volta intuito che nella casa dei ragazzi forse qualcosa accade davvero. Un abbandono che non potrà tradursi in altro che nella tragedia finale. Ruffianeria narrativa e sapienza nel picchiare sulle paure ataviche dell'uomo sono dunque gli ingredienti alla base di questo film tutto sommato ben riuscito. Ben riuscito perché Micah sembra la trasposizione domestica dall'affermazione anglossonane "I want to believe", divenuta stracelebre con "X Files" valicando i confini di ufologi e ufologia. E ben riuscito anche perché mostra come – a fronte di videocamere digitali, software di elaborazione grafica, sistemi ingegneristici per l'interpretazione dei dati fisici – rimane una parte di noi oggetto – o forse soggetto – di antichi timori che sfuggono alla scienza e alle relative conoscenze. Insomma, non aspettativi di finire al pronto soccorso in preda a una crisi ansiosa, come hanno raccontato le più colorite cronache cinematografiche. Ma se siete alla ricerca di un buon film dell'orrore che qualche sobbalzo ve lo fa fare, ecco, "Paranormal activity" è consigliabile. Oltre che un viaggio nella casa stregata di Katie e Micah, sarà anche un viaggio dentro le vostre apprensioni più irrazionali. Per approfondimenti Paranormal Activity: http://www.imdb.com/title/tt117 9904/ Area 51: http://www.imdb.com/title/tt151 9461/ Interview: Oren Peli, WriterDirector of "Paranormal Activity": http://www.cinematical.com/200 9/10/09/oren-peli-paranormalactivity-interview/ The Blair Witch Project: http://www.imdb.com/title/tt018 5937/ The haunted history of “Paranormal Activity”: http://www.latimes.com/entertai nment/news/la-caparanormal202009sep20,0,843011,full.story The Exorcism of Emily Rose: http://it.wikipedia.org/wiki/The_ Exorcism_of_Emily_Rose [email protected] Antonella Beccaria scrive e pubblica con la casa editrice Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri e con Socialmente Edizioni. Questi i libri disponibili sia in libreria che online: "Il programma di Licio Gelli" (2009), "Pentiti di niente - Il sequestro Saronio, la banda Fioroni e le menzogne di un presunto collaboratore di giustizia" (2008), "Uno bianca e trame nere – Cronaca di un periodo di terrore" (2007), "Bambini di Satana – Processo al diavolo: i reati mai commessi di Marco Dimitri" (2006) e "NoSCOpyright – Storie di malaffare nella società dell'informazione" (2004). E’ curatrice dell'antologia "Creative Commons in Noir" (2008, collana Millelire), collabora con le riviste "MilanoNera" e "Thriller Magazine". Spesso lavora come editor e traduttrice e dal 2004 tiene un blog, Xaaraan, su cui racconta storiacce varie. ATTENTATO IM M IN E N T E d i A n t o n e lla B e c c a r ia e S im o n a M am m ano S ta m p a A lt e r n a t iv a C o lla n a S e n z a F in z io n e , n o v e m b r e 2009 w w w .s t a m p a lt e r n a t iv a .it Piazza Fontana, una strage che si poteva evitare - Pasquale Juliano, il poliziotto che nel 1969 tentò di bloccare la cellula neofascista veneta. Nella primavera del 1969 l’ennesima azione terroristica all’Università di Padova fa partire una nuova indagine. A coordinarla è un commissario di polizia, Pasquale Juliano, il capo della squadra mobile, che arriva a individuare un nucleo di estremisti neri che traffica in armi ed esplosivi. Ma i neofascisti gli preparano una trappola: Juliano si vedrà così scippare l’inchiesta, che verrà insabbiata, e finirà sotto processo accusato di aver costruito le prove contro i terroristi. Gli occorreranno dieci anni per dimostrare la sua innocenza, ma nel 1979, quando sarà assolto da tutti i capi d’imputazione, la stagione delle bombe avrà quasi concluso il suo tragico corso. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Le interviste di Gianluca Rampini pag.14 Michael Cremo © 2010 Gianluca Rampini Gianluca Rampini Benvenuto a Tracce d’eternità Michael, siamo orgogliosi di ospitarti. Iniziamo l’intervista parlando del tuo background culturale e come sei rimasto coinvolto nel campo specifico dell’antropologia alternativa, se così possiamo chiamarla. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Sono cresciuto in una famiglia di militari. Ogni tre o quattro anni la mia famiglia si trasferiva da un luogo a un altro negli Stati Uniti, nel Pacifico o in Europa. Questa esperienza mi ha aperto gli occhi, ho potuto conoscere le differenze culturali del mondo e le diverse modalità di approccio alle cose. Il “modo americano” è solo uno dei tanti. Inoltre, mio padre era un ufficiale dei servizi segreti, quindi sono cresciuto sapendo che nel mondo esistono segreti che la maggior parte della gente non conosce. Non parlo solo di segreti militari o politici, ma anche spirituali, conoscenze riservate a pochi. Nel corso di tutti questi viaggi ed esperienze, sono rimasto attratto dalle tradizioni spirituali dell’India. Ho trovato un maestro che mi ha ispirato, A. C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada, che era stato maestro anche di George Harrison dei Beatles. Diventato suo allievo, ho iniziato a studiare sotto la sua influenza gli antichi scritti indiani in sanscrito, specialmente i Purana, o storie. Parlano di civiltà umane che esistevano in tempi molto lontani, fino ad arrivare all’inizio della vita sulla terra, che non si erano evolute dalle scimmie. Tutto ciò era piuttosto diverso da quanto avevo imparato a scuola e all’università, pertanto iniziai a effettuare delle ricerche basate su queste idee. Il tuo primo libro si intitola “Forbidden archeology” (Archeologia Proibita). Qual è il motivo di questa scelta? Dalla lettura dei Purana, ho supposto che esseri umani come noi esistevano già decine, forse centinaia di milioni di anni fa su questa Terra. Mi sono chiesto se esistessero delle prove archeologiche a riguardo. Prima di tutto ho effettuato ricerche su testi aggiornati, nei quali non ho trovato nessuna testimonianza di tale antichità, solo conferme che supportano la teoria dominante attualmente, che afferma che esseri umani simili a noi esistono da 150.000 anni, e che i nostri antenati erano simili a primati. Quindi ho deciso di andare oltre, e ho effettuato personalmente delle ricerche su documenti originali di archeologia scientifica degli ultimi 150 anni, in diverse lingue, e ho scoperto diverse prove archeologiche dell’estrema antichità dell’uomo, e mi sono chiesto perché tali prove non erano state riportate nei libri di testo. Ho pensato si trattasse di un argomento proibito, in quanto contrario alle teorie dominanti. Così ho riportato tutti questi casi in un libro e gli ho dato questo titolo, Forbidden Archeology. Puoi darci un’idea generale riguardo alla teoria che sta dietro al tuo libro e a tutto il tuo lavoro? La teoria parte dalla letteratura sanscrita indiana che contiene idee e intuizioni che possono aiutare la ricerca scientifica. Come è nata dalla prima parte della tua ricerca questa idea della “involuzione”? TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà “Human devolution” (Involuzione Umana) che tra l’altro è il titolo del tuo ultimo libro. Nel mio libro “Forbidden Archeology”, ho presentato prove archeologiche sull’estrema antichità delle origini umane. Queste prove contraddicono la teoria corrente dell’evoluzione umana, e quindi, a seguito della lettura di questo libro, diverse persone mi hanno chiesto: “Hai presentato prove contrarie alle moderne teorie sull’evoluzione umana, qual è pertanto la tua idea riguardo alle origini dell’uomo?” Il mio libro Human Devolution: A Vedic Alternative to Darwin ’s Theory (Involuzione Umana: un’alternativa vedica alla teoria di Darwin) è la mia risposta a tale domanda. L’idea di base è che non ci siamo evoluti dalla materia, come crede oggigiorno la maggior parte degli scienziati, al contrario siamo devoluti, o discendiamo, da pura coscienza. La materia non produce coscienza, la coscienza ha una sua esistenza indipendente. Ma la coscienza può temporaneamente divenire materia, e tale processo io lo chiamo involuzione. La coscienza può in ogni modo essere riportata al suo stato puro originario. Con il progresso della scienza ordinaria e dell’apertura mentale in generale, è possibile che la tua teoria possa entrare a far parte della teoria scientifica della storia umana o si tratta di qualcosa che va oltre la scienza? Le cose si stanno muovendo lentamente in questa direzione. Ci sono diverse prove scientifiche riguardo all’estrema antichità dell’essere umano, e una possibile esistenza della coscienza indipendentemente dalla materia. Ma la maggior parte degli scienziati sono di altro avviso, e pochi condividono le mie idee. Ma a volte avvengono delle rivoluzioni nella scienza ordinaria. Nell’antropologia comune, l’evoluzione umana è rappresentata come un albero genealogico, secondo te tale “sequenza” che parte dai primati è definitiva o andrebbe rivista in modo differente? La teoria attuale dell’albero genealogico non è accurata. Afferma che gli esseri umani come noi sono apparsi sulla Terra per la prima volta 150.000 anni fa, e che prima esistessero solo antenati primitivi simili a scimmie. Io credo che tali antenati convivessero invece in parallelo con esseri come noi. Parlerei più che altro di coesistenza, non di evoluzione. Possiamo immaginare quindi in base al tuo lavoro se l’anello mancante sarà mai scoperto. La teoria di Darwin è quindi completamente sbagliata? La teoria di Darwin sull’evoluzione non è completamente errata. Implica l’idea che gli esseri viventi che vediamo intorno a noi oggi abbiano un antenato comune. Ogni specie non è stata creata separatamente. Nei Purana esiste una teoria simile, che tutte le forme degli essere viventi provengano da un antenato comune, ma non da un organismo unicellulare, bensì da un essere superintelligente chiamato Brahma, il primo essere che si è manifestato nell’universo. Da Brahma sono venuti altri esseri chiamati Prajapati, procreatori dei popoli. Hanno generato i corpi di piante e animali, inclusi gli esseri umani. Questi si manifestarono fin dal principio della storia dell’universo, non solo sul nostro pianeta ma in altre parti dell’universo. I corpi attraverso i quali si manifestano sono veicoli per la consapevolezza. Tale consapevolezza può trasferirsi quindi da un corpo a un altro, attraverso la reincarnazione. In base al proprio livello di consapevolezza, è possibile ricevere un certo tipo di corpo. Per cui si verifica un processo di evoluzione. Ma non si tratta dell’evoluzione del corpo, ma di un’evoluzione del sé consapevole attraverso diversi tipi di corpi, fino a ricevere una forma umana. E nel corpo umano è possibile verificare l’intero ciclo della reincarnazione, e ritornare al livello cosmologico dominato dalla pura consapevolezza, dove si trova il nostro luogo TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà ideale, dove non ci sarà più reincarnazione, e si interromperà il ciclo di nascita o di morte. Brahma Tornando indietro nella storia dell’umanità, qual è la prova più importante di queste teorie? Puoi farci degli esempi? Tale prova può essere riscontrata in diversi casi. Il più importante è la presenza di centinaia di ossa, impronte e manufatti umani che testimoniano la presenza di uomini come noi già diversi milioni di anni fa su questa terra. Ecco alcuni esempi. Nel 1979, Mary Leakey trovò diverse impronte di piedi umani in un luogo chiamato Laetoli, in Tanzania, Africa dell’est. Furono trovate sotto strati di roccia vecchi di 3,7 milioni di anni. In base ai suoi rapporti originali, tali impronte sono identiche a quelle degli esseri umani moderni. Credendo nella teoria dell’evoluzione, pensò che tali impronte fossero state lasciate da primati, con piedi di forma identica alla nostra. Ma verificando sugli scheletri dei primati di allora, che sono chiamati Australopitechi, si è riscontrato che il loro piede non è come quello dell’uomo moderno, è più simile a quello di una scimmia. Effettivamente, l’unica creatura conosciuta nella scienza che abbia un piede identico all’uomo moderno, è solo l’uomo moderno. Nel diciannovesimo secolo, fu scoperto dell’oro in California. Per raggiungerlo, i minatori scavarono gallerie nei dorsi delle montagne, come a Table Mountain, nella Sierra Nevada vicino a Sonora. In tali gallerie furono trovate ossa e manufatti umani. Tali scoperte furono studiate e documentate alla comunità scientifica da parte del Dott. J. D. Whitney, allora responsabile geologo del governo della California. Ossa e manufatti umani erano stati trovati all’interno di strati di rocce che risalivano a circa cinquanta milioni di anni prima. Una è riscontrabile negli strati di roccia. L’altra è data dagli scritti delle civiltà antiche. Gli antichi documenti sanscriti indiani riportano che milioni di anni fa, esistevano grandi città, le persone viaggiavano su aeroplani e astronavi chiamate vimana, potevano tenere conto del tempo in base al movimento degli atomi, erano in possesso di armi simili alle armi atomiche moderne. Se l’uomo era presente da così tanto tempo su questo pianeta, divenne anche tecnologicamente avanzato? Ci sono prove a riguardo? Esistono due tipi di prove riguardo un passato così remoto. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Il problema è che oggetti tecnologici di tipo avanzato come i computer non si mantengono bene attraverso milioni di anni. I metalli si ossidano, la plastica si decompone. Ma occasionalmente abbiamo trovato elementi che potrebbero indicare alti livelli di civilizzazione, ad esempio, nel 1870, a Lawn Spring, Illinois, negli Stati Uniti D’America, alcuni operai che stavano scavando un pozzo, trovarono quello che sembrava una moneta di rame alla profondità di circa 35 metri. Le formazioni del terreno a tale profondità si potevano far risalire tra 200.000 e 400.000 anni fa. Secondo gli storici moderni, le prime monete furono coniate solo 3.000 anni fa. Un esempio possono essere le pietre di Ica. Qual è la tua opinione al riguardo? Le pietre di Ica furono scoperte dal Dott. Cabrera in Peru. Queste pietre riportano scolpiti disegni di dinosauri ed esseri umani insieme. Secondo la scienza ufficiale, i dinosauri si estinsero circa sessantacinque milioni di anni fa, pertanto si potrebbe pensare che tali pietre risalgano a tale epoca, quando i dinosauri esistevano ancora. E dimostrerebbero anche che esseri umani come noi esistevano già sessantacinque milioni di anni fa. Unica alternativa a tale idea potrebbe essere che le pietre di Ica siano state scolpite recentemente. Qual è la verità? È difficile dirlo, perché il Dott. Cabrera non ha mai rivelato l’esatto luogo della scoperta, altrimenti sarebbe possibile verificare il contesto geologico. L’ideale sarebbe ritrovare una pietra con tali disegni di dinosauri e umani tra rocce vecchie di sessantacinque milioni di anni, il che proverebbe senz’ombra di dubbio la convivenza di umani e dinosauri oltre sessantacinque milioni di anni fa. In assenza di una simile prova, è sempre valida l’ipotesi che i disegni siano stati fatti più di recente. Quanto possiamo tornare indietro quindi nella ridatazione dell’origine della nostra specie? Secondo gli antichi testi in sanscrito indiani, la presenza umana risale a circa due miliardi di anni fa, in base al ciclo di creazione attuale. Presso diverse culture dell’antichità si credeva che la storia procedesse in circolo, che fosse divisa in cicli. Si può dire lo stesso della storia antica? Di sicuro il tempo si divide in cicli, diverse civiltà umane sono sorte e sono scomparse diverse volte nel corso dell’ampio ciclo del tempo. Una delle pietre di Ica della collezione Cabrera Diversi ritrovamenti insoliti in ogni parte del mondo contraddicono la storia ufficiale. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Questi manufatti sono chiamati “ooparts”. Quali sono secondo te gli ooparts più significativi? Il fatto più importante è che esistono centinaia di manufatti umani ritrovati presso strati di rocce vecchie di milioni di anni, e tra questi ce ne sono veramente di singolari. Ad esempio, nel 1852, Scientific American ha riportato un articolo riguardo un vaso in metallo molto bello, con motivi floreali in argento, scoperto a circa cinque metri di profondità all’interno di una roccia, vicino a Boston, Stati Uniti. Secondo gli studi geologici moderni, tale roccia a quella profondità può risalire a circa 600 milioni di anni fa. Il mito di Atlantide può rientrare in questa teoria di una storia antidiluviana? Atlantide riveste diversi significati per diverse persone. Per alcuni, indica un luogo specifico menzionato da Platone nei suoi libri. Per altri, qualsiasi civiltà altamente sviluppata che è stata sommersa dalle acque. Io credo in qualcosa del genere, per esempio, nei Purana si parla dell’antica città di Dwarka: cinquemila anni fa, esisteva una bella e sviluppata città presso la costa a nord ovest dell’India. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Purtroppo fu sommersa dall’acqua, e al giorno d’oggi, è possibile recarsi nella città attuale di Dwarka e vedere alcune rovine semisommerse di un’antica città. Nel corso di qualche migliaio di anni, il livello del mare si è alzato, e questo non può che significare che diverse terre una volta abitate da esseri umani sono finite sott’acqua. Come mai la razza umana ha perduto memoria del suo antico passato? Non tutti gli esseri umani l’hanno persa, in diverse culture è stata lasciata documentazione riguardo un remoto passato, solamente che alcuni la riconoscono come vera, altri no. Questa perdita di memoria può essere spiegata con una catastrofe mondiale? Potremmo chiamarla come una parziale perdita di memoria. È vero, ci sono state diverse catastrofi durante il corso della storia della vita sulla terra, e questo potrebbe aver causato tale perdita. La paleontologia moderna afferma che ci sono stati sei principali eventi che hanno causato estinzioni della vita sulla terra dalla sua comparsa, considerando fino a due bilioni di anni fa. Gli antichi documenti sanscriti indiani testimoniano sei devastazioni nello stesso arco di tempo. Tali fenomeni sarebbero accaduti al termine di cicli temporali chiamati manvantara. Ci troviamo attualmente durante il settimo ciclo manvantara, ce ne sono stati altri sei prima del nostro, e sei disastri, a seguito dei quali la Terra si è ripopolata. Perché la scienza ufficiale è così restia ad accettare punti di vista alternativi? Si tratta solo di un comportamento sclerotico o intenzionale? Da una parte, è insito nella natura umana, ad esempio, se amo qualcuno, e terzi mi dicono qualcosa di brutto a proposito di tale persona, mi rifiuto di crederci, posso arrivare anche ad arrabbiarmi con la persona che mi fornisce tali informazioni. Al giorno d’oggi, diversi scienziati sono talmente affezionati alle loro teorie, che non accettano di essere contraddetti. La resistenza alle alternative ha naturalmente anche a che fare con il potere, anzi con diversi tipi di potere: politico, militare ed economico. Esiste anche il potere intellettuale, un potere molto sottile ma reale. Naturalmente le persone che hanno potere non lo cedono facilmente. Ad esempio, se un partito politico ha il monopolio nella gestione di una città, regione o nazione, non desidera per niente cedere tale potere. Al giorno d’oggi, gli scienziati che sostengono l’attuale teoria sull’evoluzione delle origini umane posseggono un saldo monopolio governativo nei sistemi educativi di diversi Paesi. Pertanto, di sicuro vogliono mantenere il loro potere, e l’unica reale soluzione sarebbe accettare che alternative a tale teoria potessero subentrare nei sistemi educativi. Tornando all’“involuzione”: perché l’umanità è condannata a regredire, invece che a progredire? Uso il termine involuzione in diversi contesti. Quello principale riguarda il processo attraverso il quale la propria consapevolezza involve da pura coscienza al livello della materia, incarnandosi in corpi materiali. Originariamente il sé consapevole esisteva in armonia con la fonte di tutti gli esseri coscienti e insieme a essi, essendo il principio di tale livello di pura consapevolezza l’amore. Ma se il sé consapevole diviene egoista, non può più far parte TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà di tale armonia, ed entra a far parte del mondo materiale, dove riceve diverse tipologie di corpi materiali, nei quali può esercitare i suoi desideri egoistici, esplorando il mondo materiale in competizione con altri sé consapevoli incarnati in corpi materiali. A tale livello è pertanto riscontrabile una concorrenza egoistica tra individui, classi, nazioni, e anche religioni: il nostro compito in questo mondo è effettuare una scelta, mentre occupiamo la forma umana. Possiamo utilizzarla per essere coinvolti sempre più profondamente nella competizione materialistica per il controllo delle risorse materiali, o possiamo cercare di risvegliare la nostra consapevolezza originaria di esseri di pura coscienza. In questo stato, possiamo vedere che siamo tutti collegati, non è necessario nessun conflitto o competizione. Possiamo imparare a soddisfare i nostri bisogni materiali cooperando, nel modo più semplice e naturale possibile, impiegando la maggior parte della nostra energia nello sviluppo delle nostre risorse di consapevolezza. E se sempre più persone scelgono di diventare sempre più coinvolte in una competizione materialistica, possiamo aspettarci solo il peggio, come se, al contrario, sempre più persone si dedicano alla comprensione della propria esistenza come esseri di pura coscienza, le cose non possono che migliorare. Siamo quindi al limite o abbiamo già toccata il fondo? È ancora possibile un’inversione di tendenza? Secondo gli antichi testi sanscriti, il tempo trascorre in cicli di yuga: esistono quattro yuga, che si ripetono in continuazione, come le quattro stagioni dell’anno. Il primo yuga è l’età dell’oro, da dove tutto ha origine. Noi siamo al momento all’inizio dell’ultimo dei quattro yuga, chiamato Kali Yuga. Si tratta pertanto di un periodo negativo, e non può che peggiorare. Ma non è necessario bagnarsi per forza quando piove, è possibile aprire un ombrello, e proteggere se stessi e gli altri. Bene, Michael, ti ringraziamo per il tempo che ci hai dedicato, e, come facciamo di solito con i nostri ospiti, vorremmo conoscere la tua opinione riguardo al 2012. Tale data prende spunto dal calendario dei Maya, America Centrale. Tale popolo, come l’antico popolo indiano, credeva che il tempo si dividesse in grandi cicli, e nell’origine molto remota dell’uomo. Uno di tali cicli per i Maya sarebbe finito nel 2012. Alcuni pensano ci sarà una grande catastrofe, altri pensano sarà l’inizio di un’epoca illuminata. C’è chi pensa che accadranno entrambe le cose. Io prendo spunto dal calendario cosmologico indiano: siamo nel Kali Yuga, l’età oscura, pertanto potrebbero accadere delle catastrofi. Ma c’è anche da dire che questo periodo particolare del Kali Yuga costituisce una mini età dell’oro, come quando in inverno possono capitare alcuni giorni di calore, per poi tornare il freddo. Partendo da tale similitudine, durante il Kali Yuga potranno capitare delle catastrofi, ma trovandoci anche in una piccola età dell’oro, potrebbe anche essere un’epoca di particolare crescita di consapevolezza. [email protected] "Conosco personalmente, da molti anni, l'autore. Sono felice che il suo libro esca anche in Italia. Vi consiglio di leggere tuttp il libro di seguito per coglierne l'essenza e poi di rileggerlo lentamente per capire e studiare, pagina dopo pagina, che cosa ci hanno nascosto sulle nostre vere origini. Tutti abbiamo il diritto di sapere chi siamo. Cremo ha avuto il coraggio di andare controcorrente e denunciare le menzogne scritte sull'origine dell'umanità. Un giorno diventerà libro di testo nelle scuole." Raffigurazione del Kali Raffigurazione del Kali Yuga TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Giorgio Cerquetti Mitologia pag.22 Dèi, uomini e bestie © 2010 Simone Barcelli Leviatan, l’opera di Gustavo Dorè, 1865. Simone Barcelli Il dominatore dei mari “…il suo corpo è costituito come di scudi fusi insieme, composto di squame che combacino: l’una con l’altra è congiunta, neppure un soffio passa fra loro; l’una all’altra aderisce, e si tengono in guisa da non separarsi. Il suo starnuto è uno splendor di fuoco e gli occhi suoi come le TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà ciglia dell’aurora; dalla sua bocca escono faci, come fiaccole di vivo fuoco; dalle sue froge vien fuori fumo, come da caldaia accesa e bollente; il suo soffio accende tizzoni, e una vampa esce dalla sua bocca. Le membra delle sue carni sono compatte… Quand’esso si rizza tremano gli Angeli… Fa bollire come caldaia il profondo mare, lo riduce come un vaso d’unguento che spuma: dietro a lui risplende il sentiero…al suo interno grandi lampade sono sospese…” (Giobbe 41,1–20/24-27). La mostruosa figura che Giobbe cerca, in tutti i modi, di rappresentare ai posteri, sfugge ad ogni comprensibile spiegazione. Si tratta di una mastodontica ed invincibile creatura marina, plasmata, assieme ad un altro esemplare femmina, da Dio nei giorni della creazione. Si narra che, in seguito, il Signore fu costretto a sopprimere la femmina per evitare che i due Leviatani, bestie assai potenti, procreando, divenissero padroni del mondo intero. Ancor prima della Bibbia dovremmo forse dire, visti i precedenti, ‘come sempre…’ -, la figura mitologica del Leviathan trovava ampio spazio nel mondo fenicio (resa come una nube tempestosa che sconfiggeva il dio Baal) e, soprattutto in quello babilonese (qui era il dio Yahvè che si serviva della bestia, da lui stesso creata, per dominare i mari). Secondo i dettami contenuti nei Libri Profetici della Bibbia (si legga, in proposito, Isaia 27, 1), il Leviathan, infine, verrà ucciso dal Signore per mezzo di una “spada dura, grande e forte”. Non entriamo nel merito di questo atroce delitto (non è pur sempre il padre che uccide un figlio?) perché a noi il Leviathan interessa per la descrizione che ne dà il buon Giobbe che, senza volerlo, ci introduce nell’impressionante bestiario che i nostri avi utilizzavano per rappresentare le divinità. Città del Messico (Stati Uniti del Messico). Una rappresentazione del Serpente Piumato, conservata al Museo Antropologico. Un serpente di sapienza L’immagine del serpente, associata generalmente alle divinità e ai luoghi di culto, ricorre considerevolmente in ogni parte del mondo e trova diretto riscontro nei racconti mitologici. Nonostante il suo aspetto riluttante, è il simbolo della sapienza e della conoscenza. Viene rappresentato in modi diversi: a spirale, nel segno dell’infinito, rigido, alato o rostrato. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà La forma della spirale fa pensare alle galassie, che solitamente così si presentano e d’altronde questo simbolo, in tempi antichi, veniva associato sia alla creazione che all’universo. La simbologia rigida, come pure quella alata e rostrata, è invece una particolare prerogativa del dio considerato “civilizzatore”. Gli dèi, questi esseri illuminati che accesero la scintilla nel genere umano, erano spesso identificati nel “popolo dei serpenti”, come narrano le cronache americane circa l’arrivo per mare dei colonizzatori provenienti dalla mitica Aztlan. In India si ricordano i serpentiformi Naga che crearono l’universo mentre i Fenici chiamavano il serpente Agathodemon e la parola, in realtà, deriva dall’unione di due termini greci col significato letterale di “genio buono”. In Egitto gli corrispondeva Kneph, associato alla fecondità, quindi simbolo primario del Nilo: considerandolo l’ispiratore del mondo, era rappresentato con il corpo di rettile, la testa dello sparviero e gli arti come gli uomini. Il dio sumero Enlil era, guarda caso, considerato “Il serpente con gli occhi splendenti” e la sua consorte, la dea Ninlil, non v’era dubbio, “la signora serpente”. Lo stesso padre di Mosè, tale Amram, aveva a che fare con i cosiddetti Vigilanti ed uno di essi (l’altro era Michele, principe della luce) aveva l’aspetto di un serpente: si trattava del principe delle tenebre, Belial. Anche lui deve forzatamente farci pensare ad un rettile col suo viso allungato e sottile e gli occhi obliqui di colore giallo acceso. Infine, l’angelo caduto Lucifero appariva in tale veste nell’episodio della tentazione di biblica memoria, in cui Eva raccoglieva, guarda caso, proprio il frutto proibito della conoscenza. Non appare fuori luogo rammentare che l’usanza di deformare i crani dei neonati, allungandoli soprattutto con l’applicazione di stretti bendaggi, era una di quelle bizzarre tradizioni oggi riscontrabile in tutto il pianeta: si voleva forse assomigliare, anche solo fisicamente, agli dèi serpentiformi? Testimonianze in tal senso ci vengono, ad esempio, dai ritrovamenti a Merida, Ica e Abido. L’impressionante bestiario Il serpente non è l’unico animale che incontriamo nelle leggende o vediamo stilizzato nelle megalitiche costruzioni dei nostri antenati. Infatti, dobbiamo annoverare, in questo incredibile zoo del passato soprattutto fiere quali la tigre, il giaguaro e il leone, tutti felini che sembrano rappresentare, ad ogni latitudine, le sembianze degli dèi che solcavano il cielo con i loro “uccelli di fuoco”. Se gli Olmechi conoscevano gli “uomini-giaguaro”, i popoli stanziati in Mesopotamia, ma anche a Creta e in Egitto, raffiguravano le divinità prendendo a prestito le sembianze del leone. In Egitto la dea Hathor, che Ra trasforma nella malefica Sekhmet per distruggere il genere umano, era rappresentata con testa leonina ed era associata al potere del Sole. In Cina, invece, era in voga la tigre, come pure tra i Maya. Come vedete, il fatto di descrivere gli dèi con simili fattezze, o perlomeno in quelle di esseri ibridi, non era legato al caso, altrimenti non ci troveremo, oggi, ad avere similitudini così evidenti. Questa iconografia, girando il mondo, è veramente spaventosa se non grottesca. Ne nascono creature al di là di ogni immaginazione, in cui i nostri antenati volevano rappresentare, sovente, le qualità fisiche unite a quelle soprannaturali proprie degli dèi. Il Guardiano della Luce Huma, divinità persiana di quasi 3000 secoli fa, veniva rappresentato come il mitologico grifone, ossia con la testa dell’aquila ed il corpo del leone. Karnak (Egitto). Sfingi. New York (Stati Uniti d’America). Statua di Horus, conservata al Metropolitan Museum. Giza (Egitto). La Sfinge. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Sefert, colui che aveva il compito di badare alle membra del dio Osiride, era munito di corpo leonino mentre il capo era quello di un falco. Qui, beninteso, non si tratta di mera rappresentazione artistica bensì, a nostro parere, di un chiaro ed inequivocabile riflesso di idee e credenze, sia culturali che religiose, con l’intenzione ultima di fornire un’immagine, seppur semplificata, di tutte quelle forze elementari che sfuggono al controllo dell’uomo. Così facendo chi ci ha preceduto, in un contesto temporale che possiamo solo lontanamente immaginare, voleva descrivere l’aspetto fisico delle divinità ma, nel contempo, metterne in evidenza le qualità. Leone, giaguaro e tigre appartengono alla categoria dei felini carnivori e non per niente sono muniti di denti e artigli lungi ed affilati. Le caratteristiche sono numerose: questi mammiferi sono silenziosi, furtivi, forti, abili, con un acuto senso dell’olfatto, vedono nell’oscurità, sono in grado di attaccare le loro prede in quasi tutti gli elementi. abbigliavano con le sue pelli e, come dimostra l’arte pittorica murale rinvenuta in numerose località della Mesoamerica, i piedi venivano sostituiti con gli artigli. Il giaguaro è il più poderoso tra i felini del continente americano e con il puma e l’ocelot è la figura più rappresentata dalle civiltà precolombiane. Non per niente la prima epoca del mondo, il cosiddetto primo Sole, per gli Aztechi era anche quella dei “Quattro Giaguari”, associata a Tezcatlipoca, in cui la terra era abitata dai Giganti: quando Quetzalcoatl colpì con un pugno il suo “parigrado”, provocò la fine di quel ciclo e il nostro pianeta fu divorato dai giaguari. Gli uomini giaguaro… Una sorta di creature impossibili gli “uominigiaguaro”, che, come abbiamo accennato, appartengono alle credenze degli Olmechi. Secondo il parere di alcuni esperti, rappresentavano esseri soprannaturali ed erano effigiati un po’ dappertutto: gli dèi così rappresentati devono essere stati i primi in assoluto e con tali fattezze venivano adorati dagli indigeni del posto. Rappresentavano il potere dei regnanti e, al contempo, il concetto di fecondità. Non per niente i signori, per proclamare una relazione mitica con questo animale, si Bagdad (Iraq). Rappresentazione degli Annunaki. Già conservata al Museo, ora trafugata. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà …e quelli pesce Anche gli uomini e le donne “pesce” colorano, a pieno titolo, le leggende degli antichi popoli. Questi stranissimi personaggi, spesso descritti come esseri acquatici, sono infatti rammentati come i precursori della civiltà. La donna-pesce Orejona, nelle leggende della gente andina, è la madre del genere umano. Le antiche cronache narrano che discese dal cielo con un’imbarcazione luccicante come l’oro e si fermò nelle vicinanze dell’isola del Sole, sul lago Titicaca. Questa dea anfibia, oltre che bellissima, ci è stata tramandata come una donna a testa conica, con i piedi e le mani a quattro dita palmate come fosse una specie di pesce. Derivava il suo nome da una particolare caratteristica, l’avere cioè delle grandi orecchie, e proveniva, a suo dire, dal pianeta Venere, e lì pare tornò quando decise di andarsene. La mitica donna è, fra l’altro, effigiata sulla Porta del Sole, lo stupefacente megalite di Tiahuanaco, nel mentre discende per creare il genere umano. Gli uomini-pesce Oannes (in siriano antico “stranieri”), dalle notizie che abbiamo, comparvero invece in maniera simultanea nell’area del Golfo Persico e del Mar Rosso. Per quanto ci ha lasciato scritto lo storico Beroso nel III secolo a.C. queste creature dovevano essere veramente disgustose alla vista, tanto da essere soprannominate “annedotoi” (ripugnanti). Prontamente divinizzati dagli antichi popoli della Mesopotamia, avevano il corpo di un uomo ma anche di un pesce e ci vengono descritti muniti di due teste: quella a fattezze umane era posta sotto quella di pesce (ci pare di capire, quindi che indossassero un particolare copricapo o…scafandro!). Tiahuanaco (Bolivia). La Porta del Sole. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Sotto la coda anfibia, inoltre, dipartivano due piedi d’uomo e le parole che pronunciavano erano comprensibili al genere umano. Di giorno insegnavano la civiltà ai terrestri ma al tramonto tornavano nel loro habitat naturale, il mare. Al pari di altri strani esseri erano inizialmente discesi dal cielo, a bordo di quello che è stato tramandato come un “uovo cosmico” o “perla luccicante”. Così anche per i Dogon, che sostengono di aver ricevono la conoscenza, in tempi remoti, da una divinità acquatica scesa dalle stelle, poi ricordata come Nommo. Per quello che raccontano, questo fantomatico Nommo è assai simile a Osiride e a Gesù: infatti, le leggende di questo popolo ci dicono che, oltre a dividere il proprio corpo fra gli uomini per nutrirli, fu infine crocefisso su un albero per poi resuscitare. E’ giusto fare un cenno ai leggendari Kappas che, in Giappone, vengono ricordati come simili all’uomo ma decisamente deformi: i cosiddetti “uomini dei canneti”, che si muovevano a bordo di “conchiglie volanti”, avevano, infatti, arti palmati, teste sottili, occhi triangolari e orecchie grosse. Quello che impressiona maggiormente nella loro descrizione, così come ci viene propinata dall’archeologo e storiografo giapponese Komatsu Kitamura, è che in testa indossavano un ben curioso “cappello”, munito di quattro lunghi aghi e qualcosa simile ad una proboscide che, partendo dal naso, terminava in una specie di gobba sulla schiena. Provate ad immaginare… Gli uccelli di fuoco L’uccello è da sempre la personificazione del volo, a conferma che gli dèi avevano senz’altro questa bella prerogativa. Tra gli uccelli il curioso primato va senz’altro assegnato all’aquila, seguita a ruota dal falco e dallo sparviero: anche il condor è ben rappresentato, pur tuttavia la sua presenza simbolica si limita alla Mesoamerica. Teotihuacan (Messico). Il Viale dei Morti. Sopra Museo virtuale di Bagdad (Iraq). Figurina nutrice del periodo Ubaid – 5.200 a.C. Di fianco Teotihuacan (Messico). La Piramide del Sole troneggia in questo misterioso sito archeologico. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Fateci caso, quelli che abbiamo menzionato sono tutti rapaci e sono tra i più implacabili, una sorta di cacciatori. L’aquila, da sempre riconosciuta come il re degli uccelli, nel corso della storia ha degnamente rappresentato il potere e non per niente una testa bianca effigia ancor oggi gli Stati Uniti mentre una d’oro era l’emblema delle legioni romane. Non possiamo quindi stupirci di ritrovare questo animale anche nella simbologia degli antichi popoli. Il falco e lo sparviero sono di taglia più ridotta, quindi più agili nei movimenti, soprattutto nell’attacco ravvicinato. Gli dèi venivano quindi descritti e raccontati anche con le sembianze di questi uccelli, associati ad eventi della natura come il tuono o il fulmine. Chichen Itzà (Messico). Una rappresentazione del Serpente Piumato. Simone Barcelli ha 45 anni ed è un ricercatore indipendente di Storia Antica, Mitologia e Archeologia di confine. In rete collabora con Storia in Network, Tuttostoria, Edicolaweb, Acam, Esonet, OOPArt.it, Paleoseti e ArcheoMedia, sui cui portali sono pubblicati i suoi studi tematici. Il serpente piumato Fra le tante raffigurazioni quella che ci ha colpito maggiormente è certamente “il serpente piumato” di Quetzalcoatl o Kukulcan, il dio (così simile al Virachoca degli Incas) venerato da Toltechi, Maya ed Atzechi, la cui figura appare per la prima volta nell’iconografia immortalata a Teotihuacan, la mitica “città in cui nascono gli déi”. Mai una rappresentazione appare così sintomatica delle caratteristiche della divinità: la sapienza del serpente e la prerogativa del volo sono qui espresse in una idealizzazione estrema che non lascia alcun dubbio interpretativo. Verosimilmente, alla luce di quanto sinora disquisito, non dovremmo avere difficoltà insormontabili ad accettare termini quali “uccelli di fuoco”, TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà “uccelli tonanti”, “carri celesti”, “vascelli infuocati” o “barche solari”, che annotiamo dai testi mitologici di ogni dove, tanto più se l’immagine è accostata agli agenti atmosferici più comuni. La spiegazione per questo ed altri ancestrali (a volte confusi) ricordi appare estremamente semplice: i nostri avi hanno descritto, come meglio potevano, queste “divinità” dispensatrici di conoscenza, giunte su questo pianeta a bordo di apparecchi volanti. Tuttavia, in questo frangente storico e nel contesto della società in cui viviamo, siamo ben consci dell’impossibilità che tali “informazioni” possano essere avvalorate, soprattutto per le devastanti conseguenze che produrrebbero. L’obiettivo, per il momento, sarà quindi di continuare a raccogliere questa moltitudine di indizi per far riemergere, dalle maglie del nostro passato, una verità certamente scomoda ma degna di essere raccontata ai nostri figli. [email protected] Bibliografia essenziale AA.VV., Enciclopedia della Mitologia (Gribaudo/Parragon, np) AA.VV., Dizionario delle religioni (Mondadori, 2007) AA.VV., La Sacra Bibbia (Società San Paolo - Ilpe, 1971) Barcelli S., Tracce d’eternità (Cerchio della Luna, 2009) Botta S., La religione del Messico antico (Carocci, 2006) Eliade Mircea, Trattato di storia delle religioni (Boringhieri, 1976) Ferrari A., Dizionario di Mitologia (due volumi) (Gruppo Ed. L’Espresso, 2006) Lawton I., Le antiche civiltà antidiluviane (Newton & Compton, 2004) Archeologia di confine pag.29 I misteri del Manoscritto 512 e della città perduta di Muribeca © 2010 Yuri Leveratto Il Manoscritto 512 Yuri Leveratto . Nella Biblioteca Nazionale di Rio de Janeiro (sezione manoscritti, opere rare), esiste un documento risalente al XVIII secolo, denominato “Manoscritto 512”, nel quale si narra della scoperta di una meravigliosa città perduta, dove vi erano case di pietra e ampie strade, oltre a numerose TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà iscrizioni incise nelle rocce in una lingua completamente sconosciuta. Il documento, che fu scritto dal religioso J.Barbosa, fu diretto al Vicerè del Brasile Luis Peregrino de Carvalho Menesez Il viaggio di esplorazione avvenne nel 1753, quando un gruppo di uomini, guidati da Francisco Raposo e João Silva Guimaraes, s’inoltrarono nelle foreste dell’attuale Stato brasiliano di Bahia. Innanzitutto bisogna considerare che, circa 270 anni or sono, l’odierno Stato di Bahia era dominato da orde di Aimorés e Pataxò, nativi bellicosi le cui terre furono conquistate solo dopo molti anni. Avventurarsi all’interno della cosidetta “mata atlantica”, la selva tropicale che purtroppo ora è ridotta solo a piccoli tratti, era molto pericoloso. Francisco Raposo era in cerca delle fantasmagoriche miniere d’oro e d’argento di Muribeca, la cui localizzazione fisica era sconosciuta. La leggenda delle miniere di Muribeca risale al XVI secolo quando il portoghese Diego Alvarez fu l’unico soppravvivente di un disatroso naufragio presso la costa del Brasile. Fu salvato da alcuni indigeni Tupi-Guaraní e, nei mesi successivi, imparò l’idioma dei nativi e si sposò con una giovane, detta Paraguaçú. Alvarez ebbe vari figli e nipoti. Uno di questi, che visse a lungo con gli autoctoni Tupi, fu chiamato Muribeca. In seguito ad un viaggio nell’interno del continente, guidato da nativi Tapuais, Muribeca trovò una ricchissima miniera d’oro, argento, diamanti, smeraldi e rubini. Con il tempo organizzò lo sfruttamento della miniera e divenne ricchissimo, in quanto vendeva pepite d’oro e pietre preziose nel porto di Bahia (oggi Salvador). Il figlio di Muribeca, il cui nome era Roberio Dias, era molto ambizioso, e durante un viaggio in Portogallo, nei primi anni del 1600, chiese al re Pedro II il titolo di marchese. Il re promise di concedere l’agognato titolo, ma solo se Roberio Dias avesse rivelato il segreto di suo padre e avesse consegnato le miniere alla Corona portoghese. Roberio Dias accettò, ma quando la spedizione giunse a Bahia, poco prima d’iniziare il viaggio per le miniere, persuase l’ufficiale del re a farsi aprire la lettera che conteneva il titolo di marchese. Interno dello Stato di Bahia Si rese conto invece che conteneva solo un titolo di poca importanza, ovvero capitano di missione militare. Si rifiutò cosi d’indicare il cammino per le miniere, e fu imprigionato per lunghi anni. Quando morì, nel 1622, portò con sè nella tomba il segreto dell’esatta ubicazione delle miniere trovate e sfruttate da suo padre, Muribeca. Da allora molti partirono alla ricerca della favolosa vena d’oro, ma quasi tutti morirono nell’intento o tornarono senza aver raggiunto l’obiettivo del loro viaggio. Il documento più importante sulle miniere di Muribeca apparve casualmente nel 1839, nel I Tomo del giornale dell’Instituto Storico e Geografico brasiliano. Si trattava del racconto del viaggio dell’avventuriero Francisco Raposo, avvenuto nel 1753. Oltre ad aver trovato le famose miniere, Francisco Raposo giunse alle soglie di TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà un’antichissima città, le cui mura ciclopiche e ampie strade lo affascinarono e spaventarono. Ecco un estratto del manoscritto: Francisco Raposo partì al comando di diciotto coloni, e, dopo moltissime avventure, più in là di un’ enorme zona pantanosa, dovette attraversare delle aspre montagne. Una volta che riuscirono a passare dall’altra parte videro delle radure e in lontananza la selva vergine. Si inviò un manipolo di nativi in avanscoperta e quando tornarono riferirono di aver trovato le rovine di una città perduta Nel documento, si narra inoltre che gli avventurieri esplorarono la città perduta il giorno seguente. Entrarono meravigliati in una grande città di pietra, con muri ciclopici simili a quelli di Sacsayhuaman. Nella parte centrale dell’enigmatica città vi era una piazza con, al centro, un monolito nero molto alto, al culmine del quale vi era una statua di un uomo che indicava il nord. Ma ecco un altro passaggio dell’antica descrizione: Esplorammo la zona e ci rendemmo conto che stavamo entrando in una città antica, disabitata. Camminavamo tra le rovine della città ed osservavamo trepidanti quelle case diroccate pensando che nel passato lontano dovevano essere state fervide d’attività. All’entrata vi erano tre archi. Quello centrale era molto più alto dei due laterali e riportava alcuni segni sconosciuti incisi nella pietra. Quindi ci inoltrammo lungo le rovine della città ma non trovammo alcun segno di presenza umana recente. Tutto era abbandonato, da secoli, o forse da millenni. Al centro della cittadella vi era una piazza con la statua di un uomo che indicava il nord. In un lato della piazza c’era un grande edificio in rovina. Dall’aspetto esteriore sembrava essere un grande tempio caduto in rovina in seguito a un devastante terremoto. Davanti alla piazza principale scorreva un grande fiume, mentre dall’altra parte del corso d’acqua vi erano dei campi con una grande quantità d’animali:uccelli e caprioli, che stranamente non erano spaventati dalla nostra presenza. Navigammo lungo il fiume per tre giorni e trovammo varie pietre dove erano incisi strani segni, simili a quelli nell’arco all’entrata della città. Ci trovavamo nella zona delle miniere in quanto era facile individuare grosse pepite d’oro sulle sponde del fiume. A partire dalla scoperta del manoscritto, nel 1839, vari avventurieri si lanciarono nel profondo del Sertão alla ricerca della città perduta. Uno di loro fu Teodoro Sampaio, che nel 1878 affermò di aver trovato, nella zona del Rio San Francisco, varie caverne con petroglifi e strane incisioni, ma non la mitica città. Nel 1913 il tenente colonnello inglese O’Sullivan Beare dichiarò di essere giunto alle miniere di Muribeca, situate secondo lui nella sponda di destra del Rio San Francisco, a circa dodici giorni di cavallo da Salvador de Bahia. Disse anche di aver visto in lontananza le rovine della città perduta, quasi completamente occultate dalla spessa selva, ma ammise di non aver potuto avvicinarsi perché aveva finito i viveri e stava iniziando una tempesta. Percy Fawcett Il colonello inglese Percy Fawcett, che ebbe l’occasione di conoscere Beare in Brasile, rimase affascinato dalla sua relazione e dall’analisi del documento 512. Anch’egli pensò di cercare l’agognata città perduta di Muribeca, nell’attuale Stato di Bahia e quindi si decise ad organizzare una spedizione nel 1921. In realtà Fawcett era interessato principalmente alla zona del Mato Grosso, per vari motivi. Innanzitutto nei suoi viaggi precedenti aveva avuto modo di ascoltare varie leggende TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà indigene che descrivevano caverne, antiche città, fortificazioni e strade pavimentate. Inoltre aveva ricevuto in dono dall’amico scrittore Haggard, una statuetta particolare che proveniva dalla zona dello Xingú: in essa vi erano incise alcune strane lettere, che erano da lui state interpretate come “atlantidee”. L’attenta analisi del manoscritto 512 e la leggenda di Muribeca, però, lo affascinarono a tal punto che, nel luglio del 1921, organizzò una spedizione in alcune zone remote dell’attuale Stato di Bahia, nell’intento di trovare la città perduta. Esplorò la zona nell’occidente di Lençóis, nella remota Serra di Sincorá e Orobó dove supponeva si trovasse la mitica Muribeca. Nella zona chiamata Lapinha, Fawcett trovò molti petroglifi simili a quelli descritti nel Manoscritto 512, ma non riuscì a trovare l’agognata città perduta. Qualche anno dopo, nella sua famosa spedizione del 1925, dalla quale non fece mai più ritorno, Fawcett decise di partire da Cuiabá, nel Mato Grosso, con l’idea di esplorare le terre dello Xingú, e poi, con direzione est, attraversare la Serra del Roncador, giungere al Rio Araguaia (lat 9 sud), fino ad arrivare al Rio Tocantins, per esplorare quindi la Serra Geral e giungere quindi sulle sponde del Rio San Francisco, nella zona originariamente indicata come il luogo dove sorgeva la città perduta di Muribeca, quella descritta nel Manoscritto 512. L’esito della spedizione di Percy Fawcett, insieme al figlio Jack e all’amico Raleigh Rimmel è noto: i tre avventurieri scomparvero probabilmente vicino al Rio Culuene (affluente dello Xingu), mentre stavano dirigendosi verso la misteriosa Serra do Roncador. Perché Fawcett non concentrò i suoi sforzi nella zona della leggendaria Muribeca, nelle vicinanze del Rio San Francisco? Yuri Leveratto Interno dello Stato di Bahia A parte i racconti degli indigeni e la statuetta “atlantidea”, quale fu il motivo che lo spinse ad iniziare il suo ultimo viaggio nel Mato Grosso, tentando di esplorare una zona forestale smisurata, totalmente selvaggia ed abitata allora da tribù aggressive? In effetti alcuni studiosi e ricercatori hanno avanzato l’ipotesi che la fantastica città perduta di Muribeca si trovasse molto più a nord-ovest rispetto al Rio San Francisco, forse sulle sponde del Tocantins, dell’Araguaia o addirittura dello stesso Xingù. A mio parere la storia descritta nel Manoscritto 512 potrebbe essere stata veritiera, ma successivamente, l’intera città potrebbe essere stata inghiottita dalla Terra, in seguito a devastanti terremoti o lenti bradisismi, che avrebbero occultato per sempre il mistero della sua affascinate origine. [email protected] E' possibile riprodurre l'articolo citando chiaramente l'autore e la fonte www.yurileveratto.com 1542 I primi navigatori del Rio delle Amazzoni www.lulu.com E’ un libro storico e d'attualità nello stesso tempo. Nella prima parte l'autore racconta l'incredibile avventura di Francisco de Orellana, il primo europeo che esplorò il grande fiume, nel 1542. La seconda parte, la cronaca, è il resoconto del suo viaggio, terminato nel 2009, attraverso seimila chilometri di fiume, navigando da Puerto Ocopa (Perú), fino a Belem do Pará (Brasile). E' una guida particolareggiata, ma anche un'analisi di un mondo spesso dimenticato, ma di fondamentale importanza per il futuro del nostro pianeta. Prefazione di Lorenza Mazzetti, la celebre autrice de “Il cielo cade”. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Egittologia pag.33 La nascita della civiltà egizia © Luca Andrea La Brocca Luca Andrea La Brocca Non ho intenzione di puntare il dito contro gli storici ortodossi e le loro inamovibili teorie. I grandi egittologi del passato hanno dato un contributo fondamentale alla comprensione della civiltà egizia nel suo insieme ed io non me la sento di buttare in mare tutta questa mole di lavoro. Non voglio neppure cavalcare gli entusiasmi della cultura "new-age", non voglio vedere extraterrestri da tutte le parti, non voglio dar credito a teorie TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà astruse, apparse come funghi negli ultimi tempi. Non sono il primo a dirlo, ma lo studio di una civiltà complessa come quella egizia va affrontato diversamente da come hanno fatto gli egittologi fino ad oggi. C'è bisogno del filologo, dell'archeologo, dello studioso delle religioni, ma c'è bisogno anche di tecnici specializzati, astronomi, architetti, agrimensori, chimici, fisici, nonché studiosi non prorpio ortodossi, come esperti in alchimia, in astrologia, e in storia delle società segrete. Sono convinto che bisogna allargare il campo delle indagini, se si vuole una volta per tutte diradare le nebbie che avvolgono la storia dell'Egitto; se si vuole finalmente avere in mano qualcosa di più di semplici ipotesi che lasciano il tempo che trovano. I professori accademici ne trarranno chiari benefici, in quanto non dovranno più difendere teorie strambe, come quelle che riguardano il complesso di Giza, il periodo di Amarna, la stessa nascita della civiltà egizia, da visionari che vogliono assegnare tutto ciò che di grandioso si è fatto sulla terra ad una civiltà aliena. In particolare, vorrei qui esporre alcuni argomenti, che sono poi quelli che riassumo nel titolo. Argomenti che, secondo il mio modesto punto di vista, non sono stati affrontati dagli studiosi in modo approfondito, cosa che ha incoraggiato il proliferare di teorie bizzarre che confondono, più che chiarire, le idee di chi si avvicina all'Egitto. Sicuro che sarete in tanti a sfogliare questa rivista, spero che possiate trovarle quanto meno interessanti, magari stimolanti. Spero possano stuzzicare la vostra sete di sapere, e possano spingervi a cercare più in là, ma non troppo, la risposta agli inquietanti interrogativi circa il nostro passato. Nonostante l'enorme contributo dell'archeologia nell'acquisizione di informazioni che riguardano le origini della civiltà egiziana, "gran parte della storia di questo paese è avvolta nelle nebbie dell'incertezza". Le tante domande che ancora aspettano una risposta sono state oggetto di speculazioni, cosa che ostacola la ricerca della verità. La mancanza di documenti scritti contribuisce a non rendere chiaro il quadro della situazione nella Valle del Nilo. Sicuramente fu abitata, anche nelle zone oggi aride che un tempo erano occupate da una verdeggiante savana. Chiaramente gli uomini erano dediti alla caccia, alla pesca e alla raccolta, almeno fino al 5500 a.C. quando dalla Palestina giunse l'agricoltura. Questo è in parte vero, anche se gli storici sorvolano su quello che fu il primo caso di "rivoluzione agricola precoce" attestato al mondo, avvenimento che ha per protagonista proprio una cultura indigena della Valle del Nilo. E' un evento per alcuni aspetti misterioso, non ultimo il fatto che si colloca oltre i limiti temporali fissati dalla storiografia ortodossa. Probabilmente per questi motivi, non ne fanno menzione alcuni dei testi di storia dell'Antico Egitto più famosi. Alcuni studiosi ne parlano comunque nelle loro opere, come Hoffmann in "Egypt before the Pharaohs" e Schild in "Prehistory of the Nile Valley". precoce", per mano della cultura Isnan. In quattro siti sul Nilo superiore, gli archeologi hanno dissotterrato utensili agricoli in pietra, chiaro segno che questo popolo selezionava e coltivava cereali. Non solo, ma sembra che praticasse la domesticazione degli animali e disponesse di un'avanzata tecnologia di lavorazione. Ma sentiamo cosa hanno da dirci gli esperti: Ad un certo punto, tra il 13.000 e il 10.000 a.C. l'Egitto visse per un periodo quello che è stato definito "uno sviluppo agricolo "Altrettanto spettacolare della nascita nel tardo paleolitico della protoagricoltura nella Valle del Nilo fu evidentemente la sua precipitosa fine. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà "Poco dopo il 13.000 a.C., mole e lame di falce dai tagli lucidi e brillanti (dovuti all'aderenza di silice degli steli tagliati alla punta affilata della selce) compaiono fra gli arnesi da lavoro del tardo paleolitico... E' chiaro che le mole venivano utilizzate nella preparazione di cibo vegetale..." "Il declino della pesca come fonte di cibo è legata alla comparsa di una nuova risorsa alimentare rappresentata dai cereali macinati. Dal pollice associato si evince che con tutta probabilità il cereale in questione era l'orzo e, fatto significativo, questo grande polline di graminacea, ipoteticamente identificato con l'orzo, fa un'apparizione improvvisa nel profilo pollinico nel periodo immediatamente precedente l'epoca in cui i primi insediamenti si stabilirono in questa zona..." Nessuno sa esattamente perchè, ma dopo il 10.500 a.C. le antiche lame di falce e la macinatura scompaiono per essere rimpiazzate in tutto l'Egitto da popolazioni paleolitiche di cacciatori, pescatori e raccoglitori che usavano strumenti di pietra." Così l'agricoltura scomparve dall'Egitto per essere in seguito reintrodotta dalla Palestina intorno al 5000 a.C. Non solo, ma per almeno 1000 anni l'agricoltura non comparve più in nessun altro luogo della terra. Gli storici attribuiscono questo cambiamento di stile di vita ai cataclismi e ai mutamenti climatici che annunciarono la fine dell'ultima Era Glaciale. Dalle testimonianze emerge comunque che questa "rivoluzione" non fu un'iniziativa indigena, piuttosto una specie di "trapianto". E' improbabile che gli Isnan appartenessero ad una cultura capace di evolversi più rapidamente di altre culture. E' più facile pensare che acquisirono determinate conoscenze da una cultura più evoluta. La fine della loro esperienza coincise non con un loro spostamento, o con una loro decisione di abbandonare gli strumenti, ma con il fatto che chi li istruiva abbandonò l'Egitto. Così, incapaci di continuare da soli, ritornarono a forme primitive di caccia, pesca e raccolta. Purtroppo non abbiamo abbastanza dati a disposizione per poter tentare di seguire una eventuale migrazione, se mai avvenne, di questi primi colonizzatori. Sembrano sparire nel nulla, motivo per cui gli studiosi negano la loro esistenza. Probabilmente i cataclismi che accompagnarono l'ultima deglaciazione misero in difficoltà questi nostri "antenati", molti dei quali perirono durante quel periodo. Molti di loro, ma non tutti. Ci sono almeno due validi motivi per affermare che una parte di loro non si spostò mai dall'Egitto: il fatto che la civiltà egizia comparve dal nulla nella sua completezza e il fatto che i primi sovrani egizi appartenevano ad una razza diversa da quella indigena. R.A. Schawaller, uno studioso "poco ortodosso" della civiltà nilotica era convinto che l'Antico Egitto si configurava non come uno sviluppo, ma come un'eredità. Un attento studioso della civilta' egizia non può non rendersi conto che essa è pienamente sviluppata e definita gia' all'inizio della I Dinastia, circa 5000 anni fa. Ascoltate cosa hanno da dire alcuni famosi studiosi a tal proposito: "All'epoca di Menes (il leggendario fondatore della I Dinastia) - scrive Ignatius Donnelly nel suo Preadamites -, gli egiziani erano già un popolo civile e numeroso. Manetone ci dice che Athotis, il figlio del re, costruì il palazzo di Menfi; che era un medico e che lasciò dei libri TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà di anatomia. Tutte queste affermazioni indicano semplicemente che, già in quell'antico periodo, gli egiziani avevano raggiunto un alto grado di civiltà. All'epoca di Menes, gli egiziani erano da gran tempo architetti, scultori, pittori, mitologisti e teologi". "L'Egitto - afferma il professor Richard Owen appare dai documenti come una comunità civile e organizzata ancora prima del tempo di Menes. La comunità pastorale di un gruppo di famiglie nomadi ritratta nel Pentateuco può essere accettata come un primo passo nella civilizzazione. Ma quanto è avanzata rispetto a questo stadio una nazione amministrata da una monarchia, composta di diverse classi e strutturata secondo una divisione del lavoro, dove ai sacerdoti era assegnato il compito di registrare e di ordinare cronologicamente i nomi e le dinastie dei re, insieme alla durata e agli eventi principali dei loro regni!". "L'Egitto - osserva Ernest Renan - fin dall'inizio, appare maturo, vecchio, senza periodi mitici o eroici, come se il paese non avesse mai conosciuto la giovinezza. La sua civiltà non ha alcuna infanzia, nè la sua arte alcun periodo arcaico. La civiltà dell'Antico Regno non appare nella sua infanzia. Era già matura". Prendiamo come esempio per avvalorare questa ipotesi la sofisticata scrittura geroglifica. Gli egittologi dispongono di poche prove per poter seguire una eventuale linea di sviluppo della scrittura dai primi rozzi ideogrammi ai geroglifici completi di fonogrammi, ossia di segni con valore di suono. Ma l'assurda teoria dello sviluppo crolla davanti ai famosi "Testi delle Piramidi". La particolarita' di questi testi è che furono redatti durante un periodo di poco superiore ai cento anni, dalla fine della V Dinastia alla fine della VI, nelle camere funerarie delle piramidi di alcuni famosi faraoni. Il motivo di questa scelta non ci è noto, anche se probabilmente si volle creare un registro geroglifico di letteratura sacra. Secondo R.O.Faulkner, professore di lingua egizia presso l'University College di Londra, i Testi sono "il corpus piu' antico di letteratura religiosa e funeraria pervenuto fino a noi" e "sono fra tutte le raccolte simili i meno corrotti". Secondo J.H.Breasted "ci svelano vagamente un mondo scomparso di pensieri e parole, l'ultima delle innumerevoli eternità per le quali è passato l'uomo preistorico, prima…di fare il suo ingresso nell'era storica". Wallis Budge, ex sovrintendente alle antichità egizie presso il British Museum, e autore di un dizionario di geroglifici, con questa dichiarazione conferma l'ipotesi di un'eredità culturale: "I Testi delle Piramidi sono pieni di difficoltà di ogni genere. Non si conoscono i significati esatti di un gran numero di parole ivi contenute… Spesso la costruzione della frase impedisce ogni tipo di traduzione, e quando contiene parole assolutamente sconosciute diventa un enigma insolubile. Sarebbe logico supporre che questi Testi venissero frequentemente utilizzati in occasione dei funerali, ma è evidente che furono impiegati in Egitto per un periodo di poco superiore ai cento anni. Perchè il loro impiego iniziò repentinamente alla fine della V Dinastia per poi cessare alla fine della VI è un fatto inspiegabile… Vari passi provano che gli scribi che redassero le copie su cui si basarono gli incisori delle iscrizioni non capivano quel che scrivevano… L'impressione generale è che i sacerdoti che stilarono le copie presero degli stralci da componimenti diversi di epoche diverse e di contenuti diversi…" E' chiaro che i documenti sorgente o erano scritti in una forma arcaica della lingua egiziana, cosa che fa retrodatare la comparsa della scrittura egizia di parecchi secoli, o, probabilmente, erano scritti in una lingua diversa, che comprendeva terminologie tecniche e riferimenti a manufatti e a concetti per i quali non esistevano termini equivalenti nella lingua egizia. In entrambi i casi c'è la conferma che la scrittura egizia o la sua antenata erano antichissime, e che o si svilupparono in un arco di migliaia piuttosto che di centinaia di anni, cosa piuttosto improbabile, oppure che fu TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà introdotta, completamente sviluppata, da una cultura superiore a noi sconosciuta. In precedenza ho affermato che i primi sovrani egizi appartenevano ad una razza diversa dalla popolazione locale. Anche se l'affermazione può sembrare assurda, troverete conforto nelle parole del famoso professor W.B.Emery, autore di Archaic Egypt: "…verso la fine del IV millennio a.C. il popolo noto tradizionalmente con il nome di ‘Seguaci di Horus’ ci appare come un'aristocrazia altamente civile o una razza dominante che governa tutto l'Egitto. La teoria dell'esistenza di questa razza è confortata dalla scoperta, nelle tombe del tardo periodo predinastico nella parte settentrionale dell'Alto Egitto, dei resti anatomici di individui con un cranio e una corporatura di dimensioni maggiori rispetto agli indigeni, con una differenza così marcata da rendere impossibile qualsiasi ipotesi di ceppo comune. La fusione delle due razze deve essere assai stretta, ma non così rapida che, al tempo dell'Unificazione, si potesse considerarla in qualche modo compiuta, dato che, per tutto il periodo arcaico, la distinzione fra l'aristocrazia civilizzata e la massa di indigeni è assai pronunciata, specialmente per quanto riguarda le usanze funerarie. Solo alla fine della II Dinastia troviamo prove che dimostrano come le classi inferiori avessero adottato l'architettura funebre e il tipo di sepoltura dei loro governanti. L'origine razziale di questi invasori è ignota e ugualmente oscura rimane la via che seguirono nella penetrazione dell'Egitto". Gli stessi egiziani nel corso della loro storia fanno riferimento a coloro che li precedettero nel governo del paese: gli dei, i semidei, gli spiriti dei morti, e i re mortali, tra i quali i ‘Venerabili di Menfi’, ‘I Venerabili del Nord’ e gli ‘Shemsu Hor’ o ‘Compagni di Horus’, che regnarono sul paese durante un incredibile numero di anni. Per gli egittologi questi sono miti, ma per gli antichi egizi questa era storia, tant'è che tali dati comparivano sempre in liste di re contenenti anche i nomi di quei sovrani cosiddetti ‘storici’, dei quali abbiamo prove certe di un'esistenza. Sui miti egizi vi rimando ad una prossima trattazione. Vorrei ora soffermarmi su un argomento che reputo interessante: le conoscenze tecnologiche degli egiziani nei primi secoli della loro millenaria storia. Per strane circostanze, oserei dire misteriose, non è giunto fino ai nostri giorni nessuno strumento ‘tecnologico’ egizio. Di più, non conosciamo descrizioni o rappresentazioni dei medesimi su testi o raffigurazioni pittoriche, e quindi non conosciamo nemmeno i termini con cui questi strumenti venivano designati. Lo studio della tecnologia egizia si basa quindi su mere congetture, partendo dalla osservazione del prodotto finito e dei resti della lavorazione. Per questo motivo si sono formulate le conclusioni più azzardate, e spesso l'analisi tecnologica è stata influenzata dalle generali conclusioni archeologiche. Ciò non sarebbe un problema nel caso in cui analisi tecnologica e archeologica giungessero a comuni risultati. Ma nell'ambito dell'egittologia accade il contrario, e così mentre l'analisi archeologica mostra una linea ascendente di evoluzione culturale dalla I Dinastia all'Era Tolemaica, l'analisi tecnologica segnala una leggera involuzione dalla I Dinastia sino alla IV Dinastia, per mostrare poi un processo di evidente declino nei tre millenni successivi, fino all'epoca dei Tolomei. In effetti, il grado di perfezionamento, tanto rimarchevole quanto improvviso e senza precedenti che lo facciano presagire, nell'arte della costruzione nella III Dinastia e la risaputa incapacità dei costruttori dell'ipostilo di Karnak, che 1500 anni dopo non sapevano che gli edifici richiedevano di fondamenta, è un mistero del tutto inspiegabile. Dobbiamo chiederci se l'assoluta inesistenza di riferimenti alla scienza e alla tecnologia egizia è puramente casuale. Gli egittologi attribuiscono effettivamente al caso la mancanza di reperti tecnologici. Uno strumento molto usato dagli antichi egizi fu il trapano, che funzionava più o meno come il nostro. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Abbiamo molti resti di perforazioni, ma nessun reperto dello strumento. Siccome i resti che possediamo di queste perforazioni sono una minima parte dei lavori che poteva produrre un tale strumento, gli egittologi affermano che in questo modo si riducono ancor di più le possibilità di rinvenire lo strumento. Anche se vogliamo condividere questa affermazione, essa non ci può spiegare allora perchè nelle iscrizioni, pitture e papiri rimasti, non compaiono mai riferimenti, o almeno allusioni, alle conoscenze tecnologiche di questo popolo. Siamo ancora in presenza del caso? Lo stesso discorso vale per le minuziose osservazioni astronomiche, comprovate dalla perfezione del calendario e dal preciso orientamento degli edifici, ma delle quali non ci è rimasto nessun reperto. D’altronde, prima di noi, furono i classici a sorprendersi nell'osservare vicino alle grandi costruzioni la mancanza di qualsiasi reperto archeologico relativo agli strumenti che servirono alla loro costruzione. Per concludere, gli egizi delle prime Dinastie costruirono la Grande Piramide, incisero geroglifici su pietre di inaudita durezza come la diorite, lo scisto metamorfico, il basalto e il cristallo di quarzo, con le quali crearono sculture incredibilmente perfette, con le sole mani, perchè non conoscevano la ruota, il diamante, il ferro, e nessuno tipo di strumento. Vi pare una affermazione logica? Può darsi, ma andate a guardare i recipienti di pietra, quasi 30.000, trovati sotto la Piramide di Gioser, vasi alti con lunghi colli esili, urne monolitiche con delicati manici ornamentali lasciati attaccati dagli intagliatori, coppe con colli stretti, coppe aperte, addirittura fiale microscopiche ed altri oggetti non meglio identificati, tutti rigorosamente levigati e lucidi, realizzati con pietre che nei secoli successivi gli egiziani non sapranno più usare. O provate ad osservare la famosa statua del faraone Chefren, in diorite, la più alta espressione dell'arte scultorea egizia. Sono opere che nemmeno i più bravi scalpellini attualmente in circolazione, con le migliori tecnica a disposizione, sarebbero in grado di eguagliare. La massima espressione architettonica degli egizi è il complesso di Giza. Esso comprende tre piramidi attribuite ad altrettanti faraoni della IV Dinastia, con i relativi templi funerari collegati con strade rialzate ai templi a valle, nonchè la famosissima Sfinge. La Grande Piramide, l'unica delle sette meraviglie ancora in piedi, la Prima Piramide di Giza, per usare un termine tecnico, in realtà aveva un nome più poetico: "La Piramide che è il luogo dell'alba e del tramonto" o anche "L'Orizzonte di Cheope". Gli egittologi la attribuiscono appunto a Cheope, il secondo Faraone della IV Dinastia, il cui nome egizio Khufu (hwfw) significa "Che Egli (il dio sole Ra) mi protegga". Non ho intenzione in questa sede di annoiarvi con la sfilza di dati che provano la straordinaria perfezione di questo monumento, ma voglio soffermarmi su particolari sui quali bisogna riflettere. La piramide è priva di qualsiasi iscrizione, una caratteristica della necropoli di Giza, rispetto alle altre settanta piramidi egizie tappezzate di geroglifici. Purtroppo non possono essere considerati originali i "marchi di cava", geroglifici errati o di epoca successiva, che furono trovati in alcune delle camere di compensazione sopra la Camera del Re dal Vyse, una specie di pseudo-archeologo che probabilmente fu l'autore del falso. Il monumento non è quindi "firmato", per usare un termine moderno, fatto inusuale nella storia dei re egizi. Pensate, il grande Cheope realizzò l'opera più incredibile che si sia mai vista slla terra, senza farne un motivo di celebrazioni, senza una parola di autoelogio, priva persino di quei testi funerari che avrebbero dovuto accompagnare il re defunto nel viaggio verso l'aldilà. Purtroppo non ci sono indizi che possano provare che Cheope fu sepolto proprio lì, e la storiella che ci raccontano circa una profanazione è da scartare per vari motivi, non ultimo il fatto che di tale furto non ci sono rimaste tracce, tipo un brandello di stoffa, un coccio rotto o qualche piccolo oggetto di poco valore. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Reperti che collegano Cheope con la Grande Piramide sono stati trovati all'interno e all'esterno delle piramidi satellite che fiancheggiano il monumento, tra cui, ironia della sorte, l'unica statua che conosciamo del più famoso re d'Egitto. Se scartiamo le notizie che ci giungono dai classici greci, i quali non avevano accesso a determinate informazioni, possiamo soltanto affermare che la Grande Piramide è intimamente connessa con il faraone Cheope, ma non abbiamo uno stralcio di prova che dimostri che fu proprio lui a costruirla. La Seconda Piramide di Giza è la piramide attribuita a Chefren, "La Grande Piramide" o "Cheope è Grande", come la chiamavano gli egizi. Chefren, il Khafra' o Rakhaef egizio (R'khaef), era il figlio di Cheope, che regnò dopo un suo fratellastro, Gedefra', il quale stranamente costruì la sua piramide lontano da Giza. Anche questa piramide è priva di iscrizioni e, manco a dirlo, fu trovata vuota. Nel Tempio a Valle, sepolte sotto metri di sabbia, furono trovate alcune statue del faraone, tra cui quella di diorite-gneiss di cui vi parlavo in precedenza. La Terza Piramide di Giza è la piramide attribuita a Micerino, "La Piramide Divina" o "Micerino è Divino". Questo faraone, chiamato dagli egizi Menkaura' (R'mnk3w), "La potenza di Ra è stabile", fu dei tre il più ricco: di qui la stranezza della decisione di costruire la sua piccola piramide vicino ai giganti dei suoi predecessori. Avrebbe potuto benisimo scegliere un altro sito, vista comunque la perfezione del suo monumento. Anche questa piramide è priva di iscrizioni, ma fu trovata nella Camera del Re una sepoltura intrusiva di un epoca successiva. Probabilmente il sarcofago era di Micerino, ma andò perso in mare. Di lui ci rimangono delle bellissime statue che lo ritraggono in trittici con altre divinità, trovate sepolte all'interno del Tempio a Valle. Avrete sicuramente notato la mia pignoleria quasi ossessiva nell'indicarvi i nomi esatti dei faraoni con il loro significato. In questo cerco di imitare gli stessi egizi, i quali davano molta importanza al nome (rn). Questa parola si scrive con due semplici simboli: il primo è chiaramente la bocca, con la quale si pronunciano i nomi; il secondo è un rivolo di acqua, un simbolo che in geroglifico significa energia, in quanto nominare qualcosa voleva dire dargli forza. Chiusa questa parentesi, è chiaro che gli egittologi non hanno elementi che possano provare chi furono i costruttori di tali monumenti. Hancock e Bauval, rivolgendo lo sguardo in cielo sono riusciti in parte a diradare le nebbie del mistero che avvolgono questo sito. Le loro idee sono rivoluzionarie, ma penso che con il tempo verranno accettate dall'ortodossia. Chiarito che molto probabilmente la piramidi di Giza non furono costruite come tombe, lo stesso vale per le altre settanta piramidi sparse sul suolo egiziano. Per esempio Snefru (Snfrw), il padre di Cheope, costruì ben tre piramidi, e a tal proposito viene da chiedersi cosa doveva farci questo faraone con tre tombe. Era forse un megalomane? Se le piramidi egizie non furono costruite per preservare i corpi mummificati dei faraoni, per quale motivo furono erette? Adesso introduciamo un argomento "tabu'", quello del ringiovanimento che i faraoni riuscivano ad ottenere mediante l'utilizzo delle piramidi, costruite a tale proposito. La cosa più sorprendente è che tutte le piramidi egizie furono costruite con questo obiettivo. Tale recente conquista della scienza archeologica non viene divulgata perchè si contrappone all'idea stereotipata secondo cui la finalità delle piramidi era di servire da tombe ai sovrani. Gli egittologi, dichiarando che lo scopo delle piramidi risiedeva nel ringiovanimento dei faraoni, non solo negano una "verita'" accettata ormai da tempo, ma affermano un concetto apparentementre assurdo: chi può accettare una teoria secondo cui un farone poteva ringiovanire solo sistemandosi all'interno della piramide? TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Nonostante possa sembrare sorprendente, questa è la tesi accettata ufficialmente dalla scienza archeologica per spiegare la finalità di questi monumenti. Sentiamo cosa hanno da dirci in merito alcuni affermati egittologi: "In alcune tribu' nilotiche afferma A.Fakhry - ancora oggi un re può prolungare il proprio regno con metodi magici e cerimonie rituali. Agli albori della storia gli egizi probabilmente eseguivano pratiche simili. I faraoni celebravano l'Heb Sed (hb-sd) come mezzo per preservare il proprio vigore giovanile e prorogare nel tempo il loro regno. La pratica dell'Heb Sed continuò fino alla fine della storia egiziana… …Nelle pareti dei templi si trovano numerose rappresentazioni di tali cerimonie. Sfortunatamente, anche se conosciamo questi rilievi e possiamo tradurre i testi geroglifici che li accompagnano, dobbiamo ammettere che l'obiettivo fondamentale di queste pratiche ci sfugge ancora…” “Tutti i re egizi - dichiara I.E.S. Edward nel suo libro ‘Le Piramidi d'Egitto’ dovevano celebrare l'Heb Sed dopo aver regnato per un certo numero di anni. L'origine di questa festa è molto oscura, ma risale ad epoche lontane, quando il re, dopo un certo periodo, doveva morire ritualmente. E' evidente che il significato di questa tradizione consisteva nella convinzione che la felicità del regno potesse venir assicurata solamente da un re che fosse riuscito a mantenere intatto il prorpio vigore fisico… …Uno degli elementi più importanti dell'Heb Sed consisteva nella legalizzazione dell'incoronazione. Durante questa cerimonia una processione guidata da un sacerdote giungeva al tempio dell'atrio dell'Heb Sed, dove si trovavano gli dei delle ‘nomarchie’ dell'Alto Egitto. Dopo aver ottenuto da ogni dio il consenso per il prolungamento del regno, il re veniva condotto al trono sud, un complesso di due troni collocati sotto un baladacchino, per essere incoronato con la corona bianca dell'Alto Egitto. Una cerimonia simile si verificava nei templi degli dei delle nomarchie del Basso Egitto prima che il re ascendesse al trono nord per ricevere la corona rossa del Basso Egitto." Edward dedica molte pagine del suo libro alla descrizione dell'enorme e complessa architettura costituita da decine di immensi templi, corridoi, gallerie, patii situati a diversi livelli, che costituiscono un complesso monumentale di strutture che erano, come già assicurava Erodoto, ancora più importanti della stessa piramide. Se si considera che la finalità della piramide era l'Heb-Sed, è logico che anche i templi dell'Heb-Sed adossati alla piramide fossero edifici monumentali. E' possibile ricostruire, in linea generale, la successione delle cerimonie dell'Heb-Sed. Secondo i testi e i disegni egizi, la prima fase costituiva la morte rituale del faraone, il cui corpo veniva collocato in un lussuoso sarcofago all'interno della piramide. Non sappiamo quanto tempo durava la permanenza del faraone nel sarcofago, e non sappiamo nemmeno se ciò avvenniva per catalessi, ipnosi, o altro. Tale morte veniva accompagnata dalle cerimonie del dolore, e questo spiega perchè parte degli impianti dell'Heb-Sed è puramente funeraria. Trascorso il tempo necessario, il faraone resuscitava. Pur non avendo testimonianze dirette di questa fase, possiamo immaginare la festosità e l'allegria che accompagnavano la resurrezione del re. Poteva accadere che il sovrano uscisse dal sepolcro con tutti gli acciacchi di prima, per cui erano previste, prima dell'incoronazione, minuziose e prolungate ‘prove di gioventù’. Le prove di gioventù sono la dimostrazione che il processo di ringiovanimento era preso in seria considerazione. Una rappresentazione molto comune mostra il faraone mentre corre rapidamente con una stanga da trebbiatura in una mano e un piccolo oggetto nell'altra. Sul suolo si nota la traccia di un circuito che corre tra due file di pietre a forma di tronco di cono che il sovrano doveva percorrere quattro volte. Chiaramente solo un re TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà rinvigorito poteva superare una tale prova. La stanga da trebbiatura evidenzia un'altra prova di forza, perchè, quando le messi si trebbiavano a mano, solo i giovani vigorosi erano capaci di sgranare i covoni, non di sicuro un faraone anziano. Ignoriamo la natura di una successiva prova collegata al piccolo oggetto che il re porta in una delle mani. In una delle sale dell'Heb-Sed compare la figura del dio Min, il dio della fertilità, spesso rappresentato come un toro bianco con il fallo eretto. Ciò a testimoniare una prova associata al vigore sessuale, della quale ci sfugge il senso. Alcuni testi menzionano altre prove di gioventù, come violare una fortezza o distruggere una città, a dimostrazione che la cerimonia del Giubileo si sviluppava in un tempo molto lungo. Appare chiaro dalla complessità della festa e dall'enorme sforzo economico richiesto per la costruzione di templi ed edifici, che il contenuto dell'Heb-Sed era in qualche modo reale. Una festa che risaliva all'Egitto predinastico e che non subì variazione nei tremila anni della civiltà egizia. Fino a poco tempo fa era impossibile spiegare il problema del ringiovanimento del faraone utilizzando le conoscenze della biologia. In nostro aiuto sono giunte due nuove teorie, una del chimico fiorentino Piccardi e l'altra del profesore di informatica russo Trincher, entrambe basate sulla scoperta di alcune proprietà dell'acqua un tempo sconosciute. Prima di affrontare questi studi è bene spendere due parole in favore di questo liquido. L'acqua è un composto chimico totalmente anomalo, tant'è che non si concilia con le usuali regole della fisica e della chimica. Il grande idrologo fiorentino Piccardi era solito affermare che "l'acqua è il liquido più misterioso della creazione". D'altronde l'intima relazione tra acqua e vita è tale che si può affermare che "la vita è una delle proprietà anomale dell'acqua". Se fosse una sostanza come le altre, dovrebbe bollire a 230° sotto zero, ma per comparazione tra H2O e H2S, l'acqua bolle a 100° gradi sopra lo zero. Tutte le sostanze, raffreddate, contraggono il proprio volume, e così i metalli non fusi rimangono nel fondo, mentre il ghiaccio galleggia sull'acqua. Essa inoltre ha un potere dielettrico di 80, altissimo se confrontato alla media delle altre sostanze, che arriva a 10. Ed è quest'ultima anomalia ad originare tutte le altre. Ciò avviene perchè l'acqua presenta "valenze deviate". L'angolo delle valenze dell'ossigeno nell'acqua è 104°, per cui l'acqua non è H2O, ma è formata da cinque H2O. A tal proposito il premio Nobel Pauling afferma che "L'acqua è un polimero costituito da cinque molecole di H2O collocate in cinque angoli di una piramide di base quadrata, il cui angolo è di 52°”. Anche la Grande Piramide ha la base quadrata con gli angoli di 52°, per cui si può affermare con certezza che il monumento egizio non è altro che il simbolo dell'acqua. Piccardi collocò in una provetta una soluzione di cloruro di bismuto, aggiunse acqua e scoprì che la soluzione si intorbidiva producendo un liquido biancastro. In particolare scoprì che il grado di precipitazione variava con le ore del giorno, con i mesi dell'anno e ogni undici anni, seguendo il ciclo del giorno, delle stagioni e delle macchie solari. Piccardi scoprì anche che il composto precipitava più rapidamente in una provetta collocata sotto un recipiente di metallo, la quale evidentemente non subiva l'influenza delle onde elettromagnetiche che, al contrario, accelleravano il processo di precipitazione nella provetta sistemata all'aperto. La cosa sorprendente è che in una provetta collocata sotto una piramide che abbia le stesse proporzioni della Grande Piramide, la decantazione, nel caso del cloruro di bismuto, avveniva addirittura con quindici minuti di ritardo. Questa è la prova che esistono radiazioni universali che provocano il ritardo della precipitazione, radiazioni che vengono ottimamente captate dalla piramide. Il processo di invecchiamento è noto come un aumento di entropia, per cui con la creazione di antientropia tale processo viene ritardato. Il biologo russo Trincher riuscì a fare misurazioni dell'antientropia dell'acqua interstiziale dei glubuli rossi, la quale risiede "in stati cristallini metastabili dell'acqua". Da questa scoperta e da quella del Piccardi alcuni ricercatori hanno preso spunto per effettuare esperimenti circa TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà l'influenza che la forma piramidale esercita sul comportamento di enzimi e ormoni. Questi avvennero nello IEA, l'Istituto di Studi Avanzati dell'Argentina. Sappiamo che gli enzimi hanno la capacità, agendo come catalizzatori, di accellerare diversi processi di trasformazione chimica che avvengono nel nostro organismo. La piramide ha la proprietà di modificare questa capacità. Gli esperimenti all'IEA consistettero nel collocare provette contenenti un enzima e un substrato all'aperto, in un cubo e in una piramide. Si effettuarono esperimenti con tutti gli enzimi riscontrando trasformazioni con alte percentuali di rendimento sotto la piramide: il 150% per l'ureasi, che trasforma l'urea in ammoniaca; il 70% per i lipasi, che sdoppiano i grassi in acidi grassi e glicerina; il 50% per l'invertasi, che trasforma il saccarosio in glucosio; anche una diminuzione del 42% per l'amilasi, che sdoppia l'amido in glucosio. Con gli ormoni si ebbero variazioni qualitative, non quantitative, per cui si affermò il carattere puramente enzimatico dell'azione piramidale. Purtroppo gli esperimenti, suggeriti dal biochimico Varela, furono arrestati, non essendo stati giudicati interessanti dagli scienziati. [email protected] Archeoastronomia pag.42 I Dogon e il mito della Stella Nera © Bruno Severi Bruno Severi è nato a Bologna nel 1946. Laureato in Scienze Biologiche, ha lavorato all'Università di Bologna, presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia, come Microscopista Elettronico. Direttore Scientifico del Centro Studi Parapsicologici di Bologna http://cspbo.altervista.org/b, è uno dei 5-6 studiosi italiani che fanno parte della Parapsychological Association, la più importante ed esclusiva associazione parapsicologica esistente al mondo. Ha scritto vari articoli ed ha riferito in congressi di Parapsicologia o di Scienze di Frontiera. Bruno Severi http://www.nature-team.ch/media/img_mali_dogon_taenzer.jpg Q UES T A È U N A V E RS I O N E A MP L IA TA E D A G G IO R N A T A D EL L’ A RT I CO LO “ LA S TE L L A N E RA ” A P P A RS O S U I Q UA DE RN I D I P A R A P S IC O LO G IA , VO L . 2 2 , N .1 , 1 9 91 . I Dogon e Sirio Nella parte meridionale dell’excolonia francese del Mali, nella zona che fa perno sulla cittadina di Bandiagara, vive un popolo, il popolo Dogon, noto TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà in tutto il mondo per essere rimasto ancora in buona parte legato a sistemi di vita tradizionali e per avere mantenuto sino ad oggi vitale ed incontaminato il suo patrimonio culturale e religioso. Tra i fatti che più hanno dato da pensare ai vari studiosi che si sono interessati ai Dogon c’è la storia riguardante la stella Sirio. Questa stella entra profondamente nelle tradizioni più gelosamente custodite da tali genti e rappresenta uno degli elementi chiave della loro elaborata cosmologia. Fin qui nulla di eccezionale, in quanto risulta abbastanza prevedibile che un popolo primitivo, ma sensibile, sia affascinato e suggestionato dalla stella più luminosa della volta celeste e ne faccia un simbolo o conferisca ad essa significati e funzioni di primo piano nella visione ed interpretazione dell’universo e dei suoi misteri. Altre civiltà hanno popolato di significati e di funzioni del genere il Sole, la Luna o altri corpi celesti notevoli. Vediamo ora in dettaglio come si è aperto il caso Sirio ed i Dogon. Nel 1946 un antropologo francese di nome Marcel Griaule, che s’interessava da diversi anni delle tradizioni Dogon, fu avvicinato da un vecchio indigeno cieco chiamato Ogotommeli, uno dei personaggi di rilievo del villaggio per il suo profondo ed antico sapere. L’intenso e quasi immediato rapporto di amicizia che s’instaurò fra i due spinse il vecchio Dogon a confidare allo studioso bianco alcuni dei misteri che il suo popolo si trasmetteva, da tempi inenarrabili, lungo una linea ininterrotta di iniziati. E, tra le altre cose, parlò della stella nera chiamata, secondo la loro lingua, Po Tolo. Tolo è traducibile con stella, Po è un cereale il cui seme è estremamente piccolo ed ha un elevato peso specifico. Po Tolo sarebbe, per i Dogon, una stella molto piccola ed invisibile ad occhio nudo, fatta di un materiale speciale di peso inimmaginabile. Inoltre, Po Tolo sarebbe la compagna minore dell’astro Sirio e ruoterebbe attorno ad esso in 50 anni ed attorno a se stesso in un anno terrestre. Dalle rappresentazioni grafiche di questa coppia di stelle che si possono trovare tra i Dogon, si desume che Sirio B, o Po Tolo, ruoti attorno alla sua compagna più grande secondo un’orbita ellittica, dove Sirio occupa uno dei fuochi. Ciò che è stato rivelato dal vecchio Dogon si spinge oltre. Infatti, esisterebbe una terza stella invisibile associata a Sirio e a Sirio B e dotata di un pianeta che loro chiamano Emme Ya. Da questo pianeta, narrano i miti Dogon, sarebbero provenuti i Nommo, esseri anfibi che in tempi inenarrabili giunsero presso i Dogon trasmettendo ad essi alcune loro conoscenze. Tra queste, oltre quelle relative alla stella Sirio, c’è la conoscenza che i pianeti ruotano attorno al Sole con orbite ellittiche, la presenza di quattro satelliti di Giove e degli anelli attorno al pianeta Saturno. Infine, che le stelle formerebbero giganteschi ammassi vorticoidi, e che esisterebbero altre forme di vita nell’universo. La scienza ci dice… Vediamo che cosa la moderna astronomia ci dice in proposito. Ma prima ancora vorrei sottolineare come l’intuizione dell’esistenza di stelle doppie o triple, così come sostenuto dalla tradizione Dogon, è un fatto eccezionale, se non unico, tra le genti cosiddette primitive. Anche tra quelle più evolute questa conoscenza non è affatto comune, se non inesistente, ad eccezione della cultura occidentale. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Nel 1844 gli astronomi dedussero che Sirio appartenesse ad un sistema doppio in virtù di certe piccolissime oscillazioni della sua traiettoria. In seguito, si stabilì che la luminosità della sua compagna invisibile era di 10.000 volte inferiore a quella di Sirio e non era facilmente osservabile nemmeno con i più potenti telescopi perché nascosta dalla luce abbagliante dell’astro principale. Fu solo nel 1862 che gli astronomi furono in grado di vedere al telescopio quella stella che chiamarono Sirio B, mentre la prima fotografia astronomica fu fatta nel 1970. Il periodo di rivoluzione dell’astro più piccolo attorno al maggiore fu stimato in 49,98 anni. Sirio B, inoltre, fu inquadrato nel 1926, in virtù del tipo di luce emessa e dalla massa, come una stella della categoria delle nane bianche, con diametro all’incirca uguale a quello terrestre e dotato di una massa enorme, comparabile a quella del Sole. Ciò significa che la densità media di Sirio B è un milione e mezzo di volte superiore a quella dell’acqua. Un centimetro cubo di materia di quella piccola stella peserebbe, di conseguenza, oltre una tonnellata. L’orbita attorno a Sirio è di tipo ellittico, come quella della terra attorno al Sole, ma non se ne conosce il periodo di rotazione attorno al proprio asse. Infine, due astronomi francesi nel 1995 (1) hanno avanzato la possibilità che il sistema di Sirio sia composto da tre stelle distinte, formante cioè un sistema stellare triplo. Questa loro convinzione nasce ancora dal fatto che nell’orbita di Sirio e Sirio B si possono apprezzare delle piccole anomalie spiegabili solo facendo ricorso ad una terza stella, una nana rossa chiamata Sirio C, ruotante attorno all’astro principale. Quest’ultima scoperta, se confermata, suonerebbe come una non trascurabile conferma delle credenze astronomiche Dogon, conferma avvenuta, come vedremo in seguito, in tempi non sospetti. Facendo i confronti opportuni, è immediato riconoscere sorprendenti analogie, se non identità, tra quanto afferma la tradizione Dogon e quello che la scienza moderna ha di recente scoperto. Il mistero delle sconcertanti conoscenze dei Dogon è stato affrontato anche da astronomi professionisti che si sono espressi, talora in modo contrastante, su prestigiose riviste scientifiche. Vediamo ora che cosa hanno detto. Nel “Quarterly Journal of the British Astronomical Society” del 1972 (2), l’astronomo inglese W.H. McCrea, Presidente della “Royal Astronomical Society”, trattando del sistema doppio di Sirio, accenna brevemente alle conoscenze Dogon in materia. L’anno seguente, sul “Journal of the British Astronomical Association” (3), in una lettera all’editore dal titolo “Sirius. A conjuncture and an appeal”, lo stesso ricercatore tratta più approfonditamente il discorso lanciando un’ipotesi interpretativa e facendo, nello stesso tempo, un appello ad altri studiosi perché si esprimano, con l’apporto di nuovi elementi, a favore o contro le sue vedute. McCrea, dopo avere ribadito che le credenze Dogon riguardo alla stella Sirio ed alla sua compagna sono ben documentate, suggerisce una sua interpretazione spostando l’attenzione sugli antichi Egizi. Costoro, afferma, davano una grande importanza alla data del levare (e del tramonto) eliaco di Sirio. Questa data si riferisce a quell’unico giorno dell’anno in cui la stella Sirio appare bassa all’orizzonte nelle prime luci dell’alba, dopo essere stata invisibile per alcune settimane. L’autore suppone che, in corrispondenza dell’apparire di Sirio all’orizzonte, gli Egiziani osservassero, sia all’alba che al tramonto, con somma attenzione, la posizione da cui doveva comparire, o tramontare, la stella. L’osservazione del deserto, specialmente al tramonto quando la sabbia rovente si raffredda determinando un’inversione di temperatura nell’aria in prossimità del suolo, può essere caratterizzata dal comparire di miraggi. Una stella (Sirio, ad esempio) osservata all’orizzonte nelle prime ore della sera può sembrare, con un effetto di miraggio, doppia, con l’immagine irreale al di sotto di quella reale. Questo fatto può dare l’impressione che la stella accessoria sia più pesante di quella vera e, verosimilmente, che sia più densa. Naturalmente, questa situazione si può presentare una sola volta in un anno, nel giorno, appunto, del tramonto eliaco di Sirio. Nei restanti giorni, poiché la stella è sempre alta sull’orizzonte e non si presta ad alcun fenomeno di miraggio, essa apparirà sempre solitaria. Da qui la credenza dei Dogon che la compagna di Sirio, Po Tolo, sia una stella nera, ossia invisibile. Per l’astronomo inglese, il fatto che le due stelle (Sirio più il suo TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà miraggio) quando visibili possano apparire rosse (come affermano i Dogon), si può spiegare proprio in virtù del loro trovarsi basse sull’orizzonte, così come il sole e la luna appaiono rossi quando occupano la medesima posizione sulla volta celeste. In definitiva, McCrea ritiene che la possibilità di un miraggio in concomitanza del tramonto eliaco di Sirio possa fornire la spiegazione, nello stesso tempo semplice ed esauriente, del mistero di Sirio B. Ed è per pura coincidenza che Sirio sia effettivamente una stella doppia, in analogia con quanto suggerisce il miraggio. Nel 1975, sulla rivista inglese di astronomia “The Observatory” (4), lo scrittore americano Robert K. G. Temple risponde a quanto aveva precedentemente scritto W. H. McCrea. Anch’egli è d’accordo sulla possibilità che il culto di Sirio e di Sirio B abbia un’origine egizia. Infatti, il giorno del levare eliaco di Sirio era alla base del famoso antico calendario egiziano (“ancient egyptian Sothic calendar”, nel testo) essendo Sothis la versione greca del nome egiziano di Sirio. Nello stesso tempo, questo termine indicava la dea Iside (sembra, inoltre, che il culto egizio di Iside e di Osiride avesse un preciso riferimento con la stella Sirio e con la sua invisibile compagna, NDR). Il giorno del levare eliaco di Sirio era accolto dagli antichi Egiziani con feste solenni, sia civili che religiose. Temple dubita che la spiegazione del miraggio possa esaurire tutti i termini del problema. McCrea fa riferimento al tramonto eliaco di Sirio per invocare la possibilità del miraggio, quando in realtà la data importante per il culto di Sirio presso gli Egiziani sembra essere stata quella del levare eliaco della stella, cioè alle prime vaghe luci dell’alba, l’ora meno propizia perché si realizzi un miraggio. Ma, ammessa anche l’eventualità del miraggio, perché si ha la descrizione di una stella doppia solo per Sirio e non per le numerose altre stelle che si vengono a porre nella medesima posizione rispetto all’orizzonte? Come può un miraggio spiegare le altre conoscenze astronomiche dei Dogon? Certamente un miraggio non può avere rivelato che Sirio B sia una stella del tipo detta nana bianca con una densità spaventosa. Né può dirci come facevano i Dogon a conoscere così esattamente il periodo di rivoluzione di Po Tolo attorno a Sirio, e nemmeno può dirci nulla sull’orbita ellittica che i Dogon sapevano che Po Tolo seguiva. Ed altre cose ancora aspettano risposta. Temple termina il suo articolo dichiarandosi in attesa di ipotesi interpretative più esaurienti. Frattanto, lo stesso Temple non è rimasto inattivo, anzi, utilizzando i resoconti elaborati da Marcel Griaule e dalla sua collaboratrice G. Dieterlen (5,6,7), Temple scrive un suo libro dal titolo “The Sirius Mystery” (8) nel quale tratta, in modo spesso estremamente fantasioso, il problema di queste eccezionali conoscenze astronomiche dei Dogon. Infatti, vi si legge che queste rivelazioni sarebbero state fornite agli Egiziani preistorici da fantomatici abitanti di un pianeta facente parte del sistema di Sirio. Questo contatto con gli alieni sarebbe stata la causa dell’esplodere improvviso e travolgente della civiltà egizia nel quarto millennio a.C. Le spiegazioni riguardo l’esportazione nel territorio attualmente abitato dai Dogon del culto e delle conoscenze sulle due stelle in questione, così come ce le presenta lo scrittore americano, lasciano il lettore ugualmente in un mare di dubbi. Per esempio, si legge che gli stessi Dogon siano di origine egiziana e che dalle rive del Nilo siano migrati nel territorio in cui tuttora abitano. Ricordiamo, per chi non ne fosse informato, che i Dogon sono di razza negroide, a differenza degli antichi Egiziani. Un’ipotesi in proposito, che ho letto presso un’altra fonte, si rifà al misterioso popolo dei Garamanti, descritto da diversi autori antichi tra cui Strabone, Plinio ed Erodoto per spiegare l’esportazione dall’Egitto di queste antiche conoscenze. Dalle regioni del Fezzan, nell’attuale Libia, dove risiedevano già da tempi molto remoti, si ritiene che i Garamanti si siano spinti sino alle regioni nigeriane attraverso direttive nel deserto che in parte sono state identificate e che costituiscono la cosiddetta Via dei Carri (questo popolo si spostava attraverso le sterminate lande desertiche con carri a due ruote trainati da cavalli). Potrebbero, pertanto, essere stati i Garamanti a portare la storia ed il culto di Sirio e delle sue compagne ai Dogon dopo averla appresa dai vicini Egiziani. Ma anche questa ipotesi è tutta da verificare. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà L’intero libro è poi un’apoteosi di tutti i misteri dell’antichità, risolti naturalmente dall’acume di Temple stesso: il mistero della Sfinge e delle Piramidi, di Atlantide, degli antichi visitatori venuti dallo spazio, etc. Forse pochi sanno che il decimo satellite di Saturno, Febo, per Robert Temple potrebbe essere una enorme base spaziale (una sfera gonfiata con gas di 160-220 chilometri di diametro) dove bivaccherebbero i Nommo, gli alieni anfibi che hanno preso contatto con i Dogon tanto tempo fa. Al centro di questa enorme sfera naturalmente, secondo Temple, ci dovrebbe essere una grossa riserva d’acqua. Ricordiamo, infatti, che i Nommo sono anfibi e non possono stare all’aria aperta se non per poco tempo. In futuro poi ritorneranno a far visita ai Dogon a bordo di rombanti e scintillanti navicelle spaziali. Inoltre, i recenti voli interplanetari partiti dalla Terra ed arrivati nei pressi di Saturno (le sonde Voyager e Cassini) sono fonte di grosse preoccupazioni per Temple. Queste sonde potrebbero risvegliare i Nommo dal loro secolare letargo con tutte le conseguenze che ne potrebbero derivare. Anche noi siamo abbastanza preoccupati. Uguali preoccupazioni debbono averle avute le maggiori agenzie di sicurezza e controspionaggio. Temple dichiara esplicitamente di essere stato boicottato nel suo lavoro dalla CIA, dal KGB e dalla NASA che non gradivano che certe verità riguardanti gli extraterrestri fossero diffuse. Le ricerche in biblioteca ci riservano un’altra sorpresa. Leggiamo che due astronomi inglesi, L.W. Roxburg e T.P. Williams, sulla rivista “The Observatory” (9), nel 1975 hanno risolto, a loro modo di vedere, semplicemente e drasticamente tutto il mistero della stella nera. In una breve nota suggeriscono, senza alcun preciso riferimento a dati oggettivi, la seguente ipotesi. Negli anni che seguirono la scoperta di Sirio B da parte degli astronomi occidentali (meta del XIX secolo) è possibile che un missionario, un esploratore, o un agente governativo francese sia capitato tra questi adoratori di Sirio ed abbia riferito loro quanto era stato da poco scoperto su quella stella e sulla sua compagna. E’ facile che questo ipotetico personaggio avesse con sé un telescopio con cui mostrare agli stupiti Dogon le bellezze del cielo e le sue principali curiosità. I Dogon avrebbero assimilato prontamente queste informazioni inserendole nelle loro credenze religiose e cosmologiche per poi meravigliare gli antropologi che attorno al 1930 iniziarono a studiare assiduamente questo popolo. Anche il famoso astronomo americano Carl Sagan (10), e come lui lo scrittore K Brecher (11), ha affrontato il tema dei Dogon e delle loro stupefacenti conoscenze astronomiche. Egli è del parere dei due astronomi inglesi precedenti che così esprime: “Se un europeo avesse visitato i Dogon tra gli anni 1920 e 1930, la conversazione sarebbe facilmente caduta su argomenti di astronomia, compreso Sirio, la stella più luminosa del cielo ed il centro della mitologia Dogon. Inoltre, negli anni ’20 c’erano diverse discussioni sulla stampa scientifica internazionale riguardo Sirio cosicché, quando in seguito arrivò Griaule, i Dogon potevano esibire un corpo di conoscenze scientifiche acquisite da visitatori occidentali alcuni anni prima”. Un’ulteriore presa di posizione, senza possibilità d’appello, l’ho trovata nell’enciclopedia “L’Astronomia. Alla scoperta del Cielo”. Nel terzo volume dell’opera, l’astronomo P. Tempesti sposa senza riserve quest’ultima ipotesi, negando che esista una questione Dogon nei confronti del sistema doppio di Sirio (12). I più maligni, oltre criticarne aspramente la metodologia di lavoro, hanno ipotizzato che sia stato lo stesso Marcel Griaule a mettere in bocca a qualche sedicente saggio Dogon la storia di queste incredibili conoscenze (13, 14). Griaule, appassionato di astronomia, per convalidare in modo più o meno lecito certe sue teorie sui Dogon, avrebbe suggerito loro, o favorito, le risposte da dare alla sua intervista. Tra quelli che sostengono questo atroce sospetto l’antropologo W. E.A. Van Beek sembra essere quello con le armi più affilate (14). Egli ha studiato in loco il popolo Dogon per 11 anni e non ha mai, se non marginalmente, sentito parlare di Po Tolo e Emme Ya (Sirio B e Sirio C). Van Beek sottolinea, inoltre, diverse altre presunte incongruenze ed errori nei resoconti di Griaule non scartando una palese malafede da parte del francese. E’ difficile credere che uno studioso che ha trascorso 16 anni in Africa a studiare questo popolo di adoratori di Sirio, TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà come Marcel Griaule, abbia terminato la sua carriera in modo così misero e riprovevole. Se fosse stato un disonesto, probabilmente si sarebbe deciso molto prima a truccare le carte. Ricordiamo, a sua difesa, che la sua carriera di antropologo è sempre stata esemplare e stimata per gli alti meriti guadagnati sul campo. Una accorata e decisa difesa del lavoro di Marcel Griaule contro le critiche e le accuse di Van Beek è stata fatta dalla sorella e collega di Griaule stesso in un articolo del 1991 (15), essendo Griaule deceduto nel 1956. Se Van Beek ed altri studiosi (16,17) non hanno avuto le conferme sulle rivelazioni del vecchio Ogotemmeli riguardo Sirio B e Sirio C, ciò potrebbe dipendere anche dal fatto che essi non sono riusciti a conquistarsi la stima e la fiducia da chi quelle conoscenze poteva averle. Cose che Griaule sembra essersi invece guadagnate. Non poteva mancare l’autorevole parere del CICAP. Riporto un ampio brano, a firma di Gianni Comoretto (18): “Il lavoro di Griaule e Dieterlen è stato criticato per molti aspetti. I due hanno sempre lavorato con interpreti, e tutta la storia di Sirio deriva da interviste ad una singola persona. Non hanno tenuto conto del fatto che i Dogon tendono ad evitare ogni forma di contrasto, e quindi a non contraddire una persona stimata e rispettata (come erano loro) se questa fa ipotesi un po' strampalate. Griaule e Dieterlen affermano che i Dogon conoscono pure una terza compagna di Sirio, che non è conosciuta. L'interpretazione della stella compagna come una stella doppia è scarsamente documentabile anche dal lavoro dei due antropologi. Ma la cosa che fa crollare miseramente la teoria è che i Dogon non sono inaccessibili. Sono una delle etnie più studiate del centrafrica, e nessuno ha mai trovato traccia delle conoscenze anomale. Al di fuori praticamente dell'informatore di Griaule e Dieterlen, nessuno ha mai sentito parlare di stelle compagne, o di periodi di 50 anni, o di materia ultrapesante. Questo non è spiegabile con conoscenze segrete, perché i Dogon non hanno un corpo mitico segreto. La conoscenza è diffusa, senza una casta che custodisce i segreti religiosi”. C’è da chiedersi quali siano le fonti a cui si ispira questo Sig. Comoretto. Da quello che scrive, mi sembra di riconoscere nelle sue affermazioni alcuni brani estratti da due o tre articoli (non di più) presenti su Internet. Stranamente, egli ha colto dal WEB solo quello che risultava contrario al mito di Sirio e, con mezz’ora di lavoro, ha risolto un problema al quale diversi austeri studiosi hanno dedicato una parte non indifferente della loro vita. Un’altra spiegazione che non può essere scartata a priori è quella che prevede una straordinaria coincidenza. I Dogon avrebbero, in tempi antichi, elaborato i loro miti collegati alla stella Sirio i quali, solo per una incredibile coincidenza, conterrebbero dei dati astronomici coincidenti con quanto la scienza moderna ha di recente messo in evidenza (19, 20). Cito soltanto per dovere di cronaca due ultime ipotesi che non hanno nessun conforto né dalla storia, né dalla scienza, oltre che dal buon senso. La prima ipotesi sostiene che le stelline compagne di Sirio sarebbero state effettivamente osservate dai Dogon grazie a misteriose proprietà della melanina posseduta in grande quantità dalle razze negroidi. Questo pigmento naturale avrebbe il potere di aumentare notevolmente l’acuità visiva (21). C’è poi chi è convinto che gli antichi Egizi siano stati in grado di vedere Sirio B servendosi di fantomatici telescopi (22). E’ bastato il presunto ritrovamento di una sfera di cristallo di buona fattura tra i reperti archeologici egizi per arrivare a formulare questa ultima fantastica ipotesi. Conclusioni Un’intera generazione è stata colpita, nel bene o nel male, dalle rivelazioni inquietanti contenute nel libro di Robert Temple: The Sirius Mystery. Un libro di grande successo, tradotto in diverse lingue, che ha messo in moto reazioni contrastanti. Molte critiche, specialmente da parte degli ambienti accademici, ed alcune posizioni a favore. Anch’io ho letto questo libro e non ne sono rimasto per niente entusiasta. La critica principale che mi sento di fare a Temple è quella di avere utilizzato un tema di un certo interesse e di averlo TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà poi svilito con estrapolazioni ed aggiunte fantasiose e fantastiche. Una storia originariamente bella è diventata il pretesto per divulgare le proprie folli farneticazioni, il tutto con la pretesa di una profonda scientificità. E non c’è da stupirsi se la scienza ha ridicolizzato un tema che invece possiede un certo valore ed un certo fascino. Nulla conta se abbastanza di recente è uscita una nuova edizione di questa opera con il rassicurante sottotitolo: “New Scientific Evidence for Alien Contact 5.000 Years Ago” (23). Di veramente scientifico c’è assai poco. Messa da parte la spiegazione aliena proposta da Robert Temple, quella presentata dagli astronomi sopra citati (Roxburg, Williams, Sagan e Tempesti) per spiegare il mistero di Sirio, anche se possibile, mi lascia notevoli perplessità. In primo luogo essa si basa su delle semplici congetture non confortate da alcun riscontro oggettivo. Un’altra ragione che mi fa apparire poco plausibile l’ipotesi di questi astronomi è legata alla geografia del mondo Dogon che conosco per avervi soggiornato per quasi tre mesi nel 1990. I Dogon vivono in piccoli villaggi disseminati su un vasto altopiano roccioso, spesso senza reciproche vie di comunicazione. I contatti tra i vari villaggi sono scarsi o nulli tanto che gli abitanti dei villaggi più distanti non si comprendono per il diverso dialetto impiegato. Una storia che giunge in un villaggio ha, per queste ragioni, scarse probabilità di diffondersi a macchia d’olio negli altri abitati dell’altopiano e, a maggior ragione, di essere accettata ed inserita nella loro tradizione e nei loro miti. Non mi sento di escludere del tutto la malafede di Griaule, anche se vorrei tantissimo che così non fosse. Che più di temi mitologici di un lontano passato, non si tratti invece di esagerazioni od invenzioni dell’antropologo francese. Anche le altre ipotesi presentate in questo lavoro non sembrano in grado di esaurire in modo convincente l’intero problema. Già il fatto che di possibili spiegazioni ce ne siano diverse conferma che stiamo ancora brancolando in un buio intenso. Buio intenso che permette ad un libro, come quello di Robert Temple, con tutte le sue imprecisioni e fantasticherie, di diventare un libro di successo incredibile e sollevare discussioni a non finire tra gli studiosi di tutto il mondo. Se un merito lo vogliamo trovare in questo libro, a mio parere esso riguarda il fatto di avere portato alla ribalta internazionale un piccolo popolo africano di cui quasi nessuno aveva mai sentito parlare prima. Un piccolo popolo mite ed estremamente sensibile la cui storia merita di essere conosciuta e diffusa anche se, alla fine, si troverà che i loro miti non sono altro che miti, e che la storia di Sirio B e di Sirio C appartiene ad una realtà che a noi occidentali nulla riguarda o poco interessa. [email protected] Bibliografia Benest, D., and Duvent, J.L. (1995). Is Sirius a Triple Star? Astronomy and Astrophysics, Vol. 299, pp. 621-628. McCrea, W.H. (1972). Quesito in: Quart. J. Roy. Astron. Soc., 13, 506. McCrea, W.H. (1973). Lettera al Direttore. J. Brit. Astron. Ass., 84, 63. Temple, R.K.G. (1975). Response toAppeal from W.H. McCrea concerning Sirius. The Observatory, 95, 52. Griaule, M., et Dieterlen, G. (1950). Un système Soudanais de Sirius. J. de la Societé des Africanistes, XX, 2, 273. Griaule, M., et Dieterlen, G. (1965). Le Renard Pale. Tome 1, Fasc. 1 (Institut d’Ethnologie, Musèe de l’Homme, Paris. Griaule M. (1965). Conversations with Ogotemmeli. London: Oxford University Press, p.57. Temple,R.K.G. (1976). The Sirius Mystery, Sidgwick&Jackson, London. Roxburg, I.W., Williams I.P. (1975). The Observatory, 95, 215. Sagan, C. (1979). Broca’s Brain. New York: Random House, ch. 6, "White Dwarfs and Little Green Men". Brecher, K. (1979). Sirius Enigmas. In K. Brecher and M. Feirtag, eds., Astronomy of the Ancients. 91-115. Cambridge: MIT Press. Tempesti, P. L’Astronomia. Alla scoperta del cielo. Curcio Ed., Vol. 3, pp. 790-791. Peter J., e Thorpe N.(1999). Ancient Mysteries. (Ballantine Books). Van Beek W.E.A. (1991). Dogon restudies. A field evaluation of the work of Marcel Griaule", Ancient and Modern, I. Van Settima ed., 7-26. New Brunswick: Transaction Books. Calame-Griaule, G. (1991). On the Dogon Restudied. Current Anthropology 32:5, Dec 1991, p.575577. . Boujou, J. (1991). Comment. Current Anthropology 12: 159. Lane, P. (1991). Comment. Current Anthropology 12: 162. Comoretto, G. http://www.cicap.org/enciclop/at100 246.htm http://www.geocities.com/martinclut t/index.html Roberts, A. E. (1987/1988).The Serious Business of Dogon Cosmology. Archaeoastronomy 10: 148-153. Welsing, F. C. Lecture 1st Melanin Conference, San Francisco, September 16-17, 1987. Adams, H. H. (1983). "African Observers of the Universe: The Sirius TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Question." In I. Van Sertima, ed. Blacks in Science. Ancient and Modern. 27-46. New Brunswick: Transaction Books. Temple, R.G.K. (1998). The Sirius Mystery: New Scientific Evidence for Alien Contact 5.000 Years Ago. Destiny Books. Programma delle attività culturali del Centro Studi Parapsicologici di Bologna http://cspbo.altervista.org/b/ Sede: C/O Famiglia Cassoli Via Valeriani, 39 - 40134 Tel. e FAX: 051/614.31.04 E-mail: [email protected] Anno sociale 2009-2010 Conferenze ad ingresso libero - 6 Marzo 2010, ore 16.30. "Parliamo di Parapsicologia ed altro..." con un intervento del Prof. Maurizio Deoriti su "La bussola spirituale". Seguiranno altri interventi e discussioni. Presso la Biblioteca Bozzano-De Boni, Via Marconi, 8 (Bo) - 17 Aprile 2010, ore 16,30. Il Dr. Massimo Biondi terrà una conferenza dal titolo: "Osservare i processi della mente: la nuova frontiera della parapsicologia". Presso la Biblioteca Bozzano-De Boni, Via Marconi, 8 (Bo) Confesso, ho viaggiato 1 pag.49 Il Parco Naturale dell'Adamello e del Brenta Valle di Breguzzo Noemi Stefani Una vecchia canzone diceva "Io trascino negli occhi, dei torrenti d'acqua chiara dove poi berrò… Io cerco boschi per me e vallate col sole più caldo che c'è". Non trovo una definizione migliore di questa per descrivere quello che la natura ci rivela. Situato nel Trentino occidentale, con i suoi 620,51 kmq. comprende i gruppi montuosi dell'Adamello e del Brenta, separati dalla Val Rendena e compresi tra le valli di Non, di Sole e Giudicarie. E' la più vasta area protetta del Trentino. La flora e la fauna di questo parco si mantiene ancora il più possibile aderente alle sue origini, quando la mano dell'uomo non aveva ancora iniziato a modificare o a distruggere l'ambiente. Ancora risplende in tutta la sua bellezza e naturalezza. L'orso ci viveva da padrone, condivideva con l'uomo lo stesso territorio. Ambedue carnivori, ambedue bisognosi di ricoveri invernali, prede e predatori l'uno dell'altro. Perseguitato con ogni mezzo per secoli, l'orso rimase qui confinato. Era praticamente estinto quando nel 1996 si decise di importare alcuni esemplari di orso bruno dalla Slovenia che si sono ben adattati e riprodotti nel nuovo ambiente italiano. Ci sono molte credenze a proposito degli orsi. La popolazione dei Gilyak nella Siberia occidentale ha tramandato la leggenda che se un orso uccide un uomo si approprierà anche della sua anima. E che dire della mamma orso, che diventò anche simbolo di maternità e protezione per la cura e l'attenzione che da sempre riserva alla sua prole. L'orso è anche considerato uno dei cosiddetti animali totem. Secondo credenze collettive che Jung definirebbe archetipi, agli orsi era attribuito un potere ancestrale. Grandi costellazioni presero il nome di Orsa maggiore e Orsa minore. Reperti archeologici mostrano tracce evidenti di culti dell'orso come una divinità benefica (dio Artaios). Anche il nome del leggendario re Artù ha radice indoeuropea "arth" orso. Onnivoro, all'occasione bipede, goloso e improvvisamente iracondo come "l'om selvadegh" (uomo selvatico) ci assomiglia molto. Mi ricorda alcuni personaggi che ho avuto occasione di incontrare più volte sulla mia strada. recarsi a Trento per incontrare il vescovo Vigilio. Quando giunse l'ora di sellare il suo cavallo per partire, venne informato che era morto. Un orso lo aveva sbranato. San Romedio non si scompose affatto. Chiese che venisse imbrigliato l'orso assassino, che da allora sarebbe stata la sua cavalcatura. L'orso non si oppose. Abbassò il capo e si fece imbrigliare. I pellegrini che si recano a S.Romedio potranno ancora leggere “Fatto stupendo o cosa strana! L'orso la belva si fa umana. Stupor maggiore, che l'uomo nato, in belva cerchi d'esser cangiato...” Uomini belva, sono stati innumerevoli nella storia. Nei secoli bui del medioevo infine, l'orso rappresentò nel misterioso mondo degli alchimisti la “nigredo”, la mistica essenza che in contrapposizione al “albedo” dava origine alla pietra filosofale. Nel 300-400 d.C. si narra che un santo trentino, San Romedio, avesse una certa familiarità con questo animale. Il santo si era ritirato sulla montagna come eremita e ormai in tarda età voleva TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Val di Genova Di qui sono passati i romani, e poi i celti, e anche il grande re Carlo Magno. In questa valle nel medioevo venivano confinate quelle donne che erano allontanate dalla comunità perchè guardate con diffidenza. Curavano uomini e bestie conoscendo le proprietà delle erbe, e venivano definite "le strie" (le streghe), bastava una parola o un sospetto e l'inquisizione con la sua mano lunga arrivava a colpire fino a qui. Se ti addentri in questa valle incontaminata, a un certo punto resterai stupito dal rombo che preannuncia le cascate. Scendendo verso Pinzolo, c'è Carisolo. All'interno della chiesetta cimiteriale intitolata a Santo Stefano, vi è un affresco attribuito con certezza alla famiglia di pittori Baschenis de Averara che hanno lavorato molto quassù in Trentino nel tardo medioevo. All'interno della chiesa, accanto alle immagini del Cristo, degli Apostoli e della Vergine, figura un bellissimo affresco, che apparentemente non ha nulla a che spartire con il resto delle composizioni pittoriche, ma che suscita grande fascino e curiosità. Si tratta della rappresentazione dell'antico "privilegio di Santo Stefano di Rendena", che descrive il leggendario passaggio di Carlo Magno attraverso queste montagne. Il famoso condottiero franco è accompagnato dal Papa, da sette vescovi, nobili, monaci e guerrieri, alla testa di un esercito, dice il documento, di ben "quattromila lance". La chiesa di S. Vigilio (detta della danza macabra) Si aprono all'improvviso spettacolari, fragorose nella loro maestà, con due rami d' acqua che scrosciando rimbalza sulle rocce scure. E' l'acqua dei ghiacciai della Vedretta di Nardis. La valle la raccoglie e poi la riversa nel Fiume Sarca di Val Genova, che poi a Pinzolo confluisce nel Fiume Sarca di Campiglio. Queste non sono le uniche cascate della Val di Genova, ma sono comunque le più famose e le più belle. La Val Genova prosegue ancora continuando ad inoltrarsi nel Parco Naturale Adamello Brenta. La chiesa di S. Vigilio si trova a Pinzolo, subito fuori dal centro, sulla strada verso Carisolo. Fu eretta in onore di S.Vigilio, vescovo martirizzato in Valle Rendena all'inizio del V secolo, risale probabilmente a prima del Mille. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Noemi Stefani, sensitiva e ricercatrice della storia delle religioni, indaga da più di 20 anni nel paranormale ricevendo numerose conferme alle sue tesi. Le sue esperienze l’hanno portata a visitare i posti più misteriosi e ricchi di spiritualità della terra. Ha preso parte a convegni con tematiche riguardanti “ la vita oltre la vita “ facendo da tramite per le persone che erano in attesa di risposte e conferme dall’aldilà. Ha tenuto conferenze, intervenendo anche a trasmissioni radio (RTL 102,5) e televisive (Maurizio Costanzo show). La chiesa subì poi diversi ampliamenti uno dei quali avvenne nel 1515. Si possono ammirare importanti affreschi, che già stupiscono chi non conosce l'arte locale, per il fatto che sono posti anche sulle facciate esterne della chiesa oltre che in quelle interne. Uno di questi è la Danza Macabra, opera di Simone Baschenis, terminato il 25 ottobre del 1539, come è riportato nella stessa facciata. La danza si apre con tre scheletri che suonano, segue Cristo Crocefisso e poi altri scheletri che portano ciascuno con sé persone rappresentanti gruppi sociali distinti: il Pontefice, un cardinale, un vescovo, un sacerdote, un fraticello, l'imperatore, il re, la regina, un duca, un medico, un guerriero, un riccone avaro, un giovane, un mendicante zoppo, una monaca, una donna bella e ben vestita, una vecchia, un fantolino. Ancora la morte a cavallo con l'arco e le frecce, a cui nessuno sfugge, che invita tutti a "far bene" (fati bene) fin che si è in vita; segue l'Arcangelo Michele e il demonio che tiene in mano un libro su cui sono scritti i vizi capitali. Esplicito è il messaggio di uguaglianza davanti alla morte contenuto in questo lungo affresco di 20 metri. La morte dice Io sont la morte che porto corona Sonte signora de ognia persona Et cossi son fiera forte et dura Che trapaso le porte et ultra le mura Et son quela che fa tremare el mondo Revolgendo mia falze atondo atondo O vero l'archo col mio strale Sapienza beleza forteza niente vale Non e Signor madona ne vassallo Bisogna che lor entri in questo ballo Mia figura o peccator contemplerai Simile a mi tu vegnirai No offendere a Dio per tal sorte Che al transire no temi la morte Che più oltre no me impazo in be ne male Che l'anima lasso al judicio eternale E come tu averai lavorato Cossi bene sarai pagato La Val Rendena A questa valle sono legata in modo particolare. Qui ci son le mie radici, all'ombra del campanile riposano i miei affetti più cari sempre vivi nella memoria e nel cuore. Ricordo le lunghe, interminabili vacanze estive (come cambia il concetto della misura del tempo invecchiando, come tutto si riduce nello scorrere del tempo), i giochi, gli amici nuovi che cambiavano ogni anno... E poi quelli che sono rimasti da sempre. Ogni estate ci guardiamo ancora invecchiare e ci confrontiamo con un sorriso. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà E che fatica con mio padre, con il suo passo uguale e inesorabile che mi lasciava sempre indietro senza fiato, le nostre lunghe camminate per funghi nei boschi. Favolose le prime uscite serali con l'impegno tassativo di non rientrare oltre le 10. Che dire della polenta, fatta con la famosa farina di Storo, le trote salmonate, gli strangolapreti, e i canederli affogati nel buro fuso. Magari con un contorno di brise e finferli, e poi uno strudel di mele tipico dolce trentino. Il tutto accompagnato da un buon bicchiere di Teroldego o Marzemino. Yummy yummy, esclamerebbero in America... da sballo. E' una valle ricca di acque, pascoli, boschi e animali, piena di fascino arcano ed insieme aperta e ridente. Conserva i suoi valori naturali primitivi, tipici di una zona alpestre ancora integra e di un ambiente umano originale per costumi, tradizioni e linguaggio. I primi residenti risalgono all'età del bronzo. Ci sono resti preistorici a Verdesina, Pelugo, Massimeno e Giustino. Abitata da popolazioni retiche e celtiche, di qui passarono anche i romani. La tradizione vuole che i valligiani di religione pagana abbiano ucciso nel V secolo il vescovo di Trento, Vigilio che era arrivato fin qussù per convertirli al cristianesimo. Tre secoli più tardi è transitato per la valle Carlo Magno coi suoi paladini. Una caratteristica accompagna la storia di queste genti, un orgoglio ed uno spirito di autonomia che si identifica nell'insofferenza a qualsiasi forma di giogo. Recita un antico detto popolare: guardavono da estranei dicendo un pò per scherzo (non so quanto) “l'è arivà i Talian” "'n Rendéna sióri no ghe regna!". D'altra parte, mi ricordo che quando arrivavamo lì per le vacanze, persino i parenti ci forse perchè lì era Austria. Eravamo un pò come i terroni per i lumbard, e dovevano abituarsi alla presenza di questi intrusi. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Quando però alla fine c'erano riusciti, ci eravamo integrati, era ormai ora di partire, e si lasciavano andare a grandi abbracci e raccomandazioni. Cuore trentino; il freddo nordico e il caldo solare che scioglie i ghiacci, così piano piano si sciolgono anche loro. [email protected] Confesso, ho viaggiato 2 pag.54 I Vichinghi in Groenlandia e in Nordamerica © Marco Zagni L’archeologo norvegese Helge Ingstad Marco Zagni Marco Zagni Ricercatore e scrittore; autore de “L’Impero Amazzonico”, MIR Firenze, 2002 e “Archeologi di Himmler. Ricerche, spedizioni e misteri dell'Ahnenerbe”, Editore Ritter, 2004. La storia che stiamo per raccontare, come si sa, non ha mai avuto vita facile nel nostro Paese dato che, campanilisti come siamo e come è naturale, dalle nostre parti si è fatto sempre e letteralmente di tutto per farci dimenticare che invece sono circa quarant’anni che la faccenda in questione è stata dimostrata nel modo più completo. Chi scrive ha già da tempo compiuto due lunghi viaggi in Canada e può confermare senza ombra di dubbio che tali avvenimenti sono da decenni materia di insegnamento nelle TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà scuole elementari di quell’immensa nazione. In effetti è proprio così: è dai primi anni sessanta che l’archeologo norvegese Helge Ingstad (con 5 spedizioni archeologiche, fino al 1965) riuscì efficacemente a dimostrare che resti di insediamenti vichinghi datati intorno all’anno mille esistevano realmente lungo la costa nordamericana e in Canada. E pertanto quasi 500 anni prima di Cristoforo Colombo, degli Europei avevano raggiunto l’America. Di fatto però risultò anche che gli esploratori nordici, da un certo punto di vista, non si erano nemmeno accorti della grande scoperta che avevano fatto. Come in tante altre occasioni nella storia avventurosa dell’esplorazione, tutto era avvenuto praticamente per caso. I Vichinghi (Jomsvikings – pirati vichinghi) erano un fiero popolo medievale di predoni del Nord Europa, capaci di costruire battelli straordinari con i quali compivano le loro scorrerie per mare e fiumi. Erano anche dotati di armi eccellenti per l’epoca e partendo dalla loro mitica capitale, Jomsborg, ricolma di ori e preziosi depredati, e il cui porto era capace di contenere fino a 300 navi per la guerra di corsa, sciamavano per ogni dove: a Occidente verso l’Inghilterra e l’Islanda, a Sud fino al Mediterraneo ed in Sicilia, a Ovest risalendo addirittura il corso del fiume Volga. Man mano che si susseguivano queste incursioni, le loro imprese, comunque sanguinarie e portatrici di lutti in ogni dove, diventavano sempre più leggendarie, tant’è vero che furono trascritte in runico come Saghe e le più importanti sono la Saga di Erik il Rosso (Eiriks Saga) e la Saga della Groenlandia (Groenlendinga Saga). Esse in sostanza descrivono la scoperta dell’America, il primo contatto con i nativi americani originari, abitanti di quella che fu poi chiamata dai Vichinghi “Vinland“ (la “Terra del Vino di bacca“, o meglio, la “Terra Fertile“, che forse è la traduzione più esatta) e in definitiva la dimostrazione che, a differenza di Colombo, tale “scoperta” era avvenuta per metodici “salti” geografici e nell’arco di un centinaio di anni. Tutto avvenne per balzi successivi: il punto di partenza per raggiungere l’America fu ovviamente la Norvegia ed in seguito attraverso le Isole Farøer, l’Islanda già colonizzata e la Groenlandia. Quello che generalmente spingeva i Norvegesi verso la navigazione in Occidente, a colonizzare le isole atlantiche minori e poi l’Islanda e la Groenlandia fino ad arrivare al tentativo di insediarsi in America del Nord, era stato il costante bisogno di terra, pascoli e nuovi spazi di pesca. Il primo vichingo a scorgere la Groenlandia, per esempio, fu probabilmente un uomo di nome Gunnbjörn , la cui nave il maltempo aveva trascinato fuori rotta dall’Islanda, verso Occidente, intorno al 960 d.C. Ma senz’altro il primo ad insediarsi in Groenlandia fu il capo vichingo e predone Erik il Rosso. Erik il Rosso, frontespizio da Gronlandia, di Arngrímur Jónsson, 1688, con armi e armature anacronistiche (Wikipedia) TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Erik (o meglio Eirik) era nativo dello Jaeder, che si trova nella Norvegia Sud-Occidentale. Il nostro uomo non era certo un santo anzi, semmai l’esatto opposto. Nel 982 d.C. dopo che questo predone con i suoi degni compari si era lasciato andare ad un’ennesima serie di saccheggi ed omicidi, i suoi stessi concittadini lo misero al bando per tre anni, col divieto di rimanere in Norvegia ed in Islanda. Il Rosso aveva dimostrato di essere un sanguinario, ma non era affatto uno stupido ed in più era un marinaio navigatore di razza come ce ne sono pochi, e con un manipolo di fedeli al seguito, conoscendo quello che era successo precedentemente al suo conterraneo Gunnbjörn almeno vent’anni prima, riuscì a raggiungere per primo la Groenlandia (la Terra Verde) , un posto glaciale e non molto ospitale e che quindi non era verde per niente, se non per il fatto che, avvistata durante il periodo estivo, lasciava intravvedere erbe, muschi e licheni, sotto la neve. L’esploratore non perse tempo e con i suoi uomini, trovato un fiordo favorevole per installare una prima base e alcune piccole fattorie (zona di Tunugdliarfik), cominciò a rifornirsi di legname e alimentari con la caccia, la pesca ed il commercio con gli Eschimesi, i veri nativi del luogo da tempo immemorabile. In questo vero e proprio luogo di frontiera, ai confini del mondo, la vita dei primi colonizzatori era durissima, molto più vicina alle prime gesta norvegesi dei Vichinghi e Normanni di due secoli prima, con i Drakkar sempre in mare a pescare, ed in terra gli uomini intenti a costruire abitazioni di legno. Queste abitazioni, che spesso si trovavano ai bordi dei corsi d’acqua, ricordavano molto le palafitte costruite in oriente che erano molto simili se viste dall’alto a grandi distese di case tra piscine interrate e risaie. In confronto, la vita bucolica e agricola dei Vichinghi islandesi sembrava un paradiso. Ma Erik il Rosso ce la fece e, scaduto il periodo dell’esilio forzato triennale, tornò in Islanda a raccontare quello che aveva fatto. Proprio in quegli anni l’Islanda aveva subito una grave carestia agricola ed Erik non fece pertanto molti sforzi per convincere molte persone, ricchi e poveri, agricoltori e pescatori, cacciatori e sfaccendati a veleggiare con lui per colonizzare definitivamente la Groenlandia, convivendo con gli Eschimesi. Si armò una flotta di trentacinque navi, con 2000 persone e centinaia di capi di bestiame, e si salpò dall’Islanda. In mare ci fu purtroppo una tempesta e solo una quindicina di Drakkar riuscirono a raggiungere la Groenlandia. Ma avventure e disgrazie del genere allora erano praticamente nella norma ed Erik con la sua gente riuscì a costituire in Groenlandia, nel giro di poco tempo, il primo efficace luogo di insediamento stabile, ricordato ancora oggi dagli esperti con il nome di Insediamento Orientale (l’attuale Julianehab) a Eiriksfjord. Qui Erik crebbe i suoi tre figli, il maggiore Leif Eriksson e gli altri due figli Thornvald e Thornstein. Ma è Leif il personaggio che ci interessa di più perché, secondo le saghe, fu proprio lui il primo a scoprire l’America. Non appena Leif aveva dimostrato di cavarsela da solo (e cioè guidare un’imbarcazione in mare aperto, secondo la buona tradizione Vichinga) i suoi genitori lo mandarono in Norvegia per studiare ed apprendere l’arte del commercio marittimo. Leif era in gamba, aveva voglia di affermarsi ed inoltre, dato che non era così rigido e duro come suo padre, voleva anche studiare. Pietra con rune che raccontano il viaggio di Leif Erikson (http://www.mondimedievali.net/Ba rbar/vichinghi03.htm) Immancabile ci fu allora l’incontro con la Chiesa di Roma, e Leif si fece battezzare, diventando cristiano. Eriksson tornò così in Groenlandia con un prete, che aveva lo scopo di cristianizzare gli insediamenti Vichinghi in quel luogo sperduto. Nonostante la freddezza dimostrata da suo padre, che non ne voleva sapere del cristianesimo, con i suoi preti “buoni a nulla” (si espresse proprio in questi termini) e perditempo, Leif riuscì, con i favori di sua madre, a far TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà erigere delle chiese sia nell’Insediamento Orientale che in quello “Occidentale“, che nel frattempo era stato creato. In questo periodo siamo ormai intorno all’anno 1000, proprio il periodo in cui Leif decise di intraprendere alcuni viaggi di esplorazione a Ovest. Da tempo si vociferava negli insediamenti che più in là della Groenlandia doveva esserci “qualche cosa”. Un tale, di nome Bjarne Herjolfsson, sviato dalla solita improvvisa tempesta e spinto sempre più a Ovest, aveva avvistato tempo prima una terra, ma non vi era approdato veramente. Era riuscito comunque a ritornare e a raccontare la sua avventura. Questo era tutto quello che Leif sapeva, ma per il momento gli bastava. Con una ciurma di 35 uomini, tra i quali alcuni di coloro che erano stati sull’imbarcazione di Bjarne testimoni dell’avvistamento della terra sconosciuta, partì (la data esatta non si conosce) e veleggiò verso Occidente in esplorazione. Con loro vi era anche uno “del Sud” (secondo i Vichinghi), un tedesco di nome Tyrkir e amico di Eriksson. Dopo quattro giorni di navigazione durissima, pericolosa e contrastata aspramente dai marosi, Leif si imbattè dapprima in un ampio costone pietroso, una zona assolutamente inospitale che venne chiamata “Helluland” (la Terra delle Pietre) . Sarebbe l’odierna Terra di Baffin. Continuando a veleggiare in direzione Sud questa volta, scoprì una ampia costa lussureggiante e ricca di boschi. Questa zona certamente più invitante venne poi chiamata “Markland” (la Terra dei Boschi): corrisponde all’attuale Labrador. Ma Leif voleva andare ancora più a Sud, e aveva ragione. Proseguendo nella navigazione costiera Leif Eriksson raggiunse una terza terra che gli sembrò così ricca e promettente che decise di sbarcare e tutti insieme vi si stabilirono, costruendo dapprima dei ripari di fortuna e poi delle capanne vere e proprie in un accampamento che venne chiamato Leifsbudir (Le Capanne di Leif). Nel frattempo si decise insieme di esplorare l’interno e altre parti della costa. Da queste prime ricerche all’interno scaturì l’episodio che pare abbia avuto a che fare con il nome che fu scelto in seguito per battezzare questo terzo territorio, Vinland, appunto (con la massima probabilità la parte settentrionale di Terranova, chiamata così da Giovanni Caboto nel 1497). Ma potrebbe essere solo una leggenda. Il tedesco Tyrkir, uno strampalato mattacchione, si era perso nei boschi e non lo si trovava più. Ma Leif voleva trovarlo: non voleva assolutamente perdere i suoi uomini in un modo così stupido, e poi aveva bisogno sempre di braccia da impiegare nel lavoro, perchè erano in pochi. Dopo un po’ Tyrkir fu ritrovato, ma si comportava stranamente, diceva cose senza senso e non si reggeva in piedi. Sembrava ubriaco. Quando si riprese sostenne di avere trovato nel bosco delle viti e delle bacche con le quali aveva tratto un succo che, una volta bevuto, lo aveva inebriato. Ecco che da questo aneddoto la leggenda vuole che sia nato il nome di Vinland, la Terra del Vino. Vinland Map http://strangemaps.wordpress.com/2006/12/30/56-the-vinland-map/ TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà In realtà in quelle zone di Terranova la vite non avrebbe mai potuto attecchire e pertanto gli esperti si sono limitati ad osservare che, per i primi esploratori Vichinghi, quella terra sembrava così fertile che addirittura, a loro parere, si sarebbero potute coltivare delle viti e quindi il termine Vinland dovrebbe essere meglio tradotto con il significato di “Terra molto fertile“ o “Terra fertile da vino”. In ogni caso Leif e la sua piccola spedizione svernarono nel Vinland in un clima tutto sommato accettabile e l’estate successiva ritornarono in Groenlandia a raccontare la loro impresa, tutti pieni di apprezzamento per quelle terre, per l’assenza di gelo, per l’erba, i boschi e i frutti, per il legname ed i salmoni. Leif Eriksson avrebbe voluto ritornare al più presto nel Vinland ma, purtroppo, nel frattempo suo padre il Rosso era morto e, come figlio maggiore, doveva subentrare necessariamente nella direzione del clan famigliare, come da buona tradizione nordica. Fu deciso che si sarebbe sobbarcato l’onere dell’impresa suo fratello Thornvald, che comunque era un uomo di valore. Seguendo le indicazione di suo fratello, Thornvald riuscì a raggiungere l’accampamento nel Vinland che Leif aveva costruito nella prima spedizione e, senza indugio, condusse una spedizione esplorativa lungo la costa occidentale di Terranova. Raggiunse l’imbocco di un grande estuario e vi si diresse all’interno, in direzione Ovest. Poco dopo avvenne il primo incontro con i fieri indigeni nordamericani. Purtroppo le cose non andarono molto bene, dopo i primi tentativi di approccio. Gli indiani d’America non erano docili come gli Eschimesi e, in breve tempo, visto che i Vichinghi non erano certo tipi che ci pensavano due volte a tirar fuori asce e spadoni, il tutto finì in una violenta zuffa. L’unico caduto da parte vichinga fu proprio Thornvald, colpito da una freccia indiana. Senza altre perdite l’equipaggio tornò alle capanne di Leif dove vi trascorse l’inverno senza altri incidenti e la primavera successiva rifece vela per Eiriksfjord in Groenlandia, dove raccontarono a Leif tutto quanto era loro accaduto. La brutta avventura con gli indigeni americani (soprannominati Skraelingar dai vichinghi, termine dispregiativo che significa “bruttoni urlanti”) aveva lasciato il segno, e Leif, con suo fratello morto, non se la sentì di dare il via ad un vero e proprio tentativo di colonizzazione del Vinland in prima persona. Chi allora tentò veramente di colonizzare quella parte dell’attuale Nordamerica fu un Normanno islandese di nome Thorfinn Karlsefni, un commerciante vichingo che aveva sposato tale Gudrid, una figliastra di Erik il Rosso. Circa 160 uomini e donne tentarono l’avventura portandosi dietro nella traversata anche parecchi animali e riuscirono tutti a raggiungere il Vinland. Ma la vita per loro non fu per niente facile. Da un’analisi comparata che i vari esperti e studiosi hanno tratto dalle descrizioni delle due Saghe nordiche, possiamo dire con certezza che il tentativo di colonizzazione del Vinland durò tre anni, tre anni molto difficili. Non si riuscì a stabilire una vera pace tra i nativi americani ed i vichinghi anzi, nell’ultimo periodo di permanenza scoppiò TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà una vera e propria guerra tra gli “Skraelingar“ e i Nordici. Le linee di collegamento con la Groenlandia erano poi molto esili e molto lunghe, vi erano molti malumori e liti tra le stesse famiglie dell’insediamento ed infine il potenziale umano era veramente insufficiente per resistere sia alle pressioni degli indiani ostili che per rendere vivibile quel territorio. Karlsefni, sia pure a malincuore decise alla fine di andarsene. Essendo un uomo di buon senso l’islandese si era veramente reso conto che non poteva continuare a far vivere il suo gruppo nella paura di essere totalmente annientato dagli indigeni in combattimento. Questo tentativo di colonizzazione del Nord America si risolse pertanto in un sanguinoso e drammatico esperimento che in sostanza non ebbe seguito. Diversi ricercatori sono concordi nel sostenere che tutti questi viaggi cessarono completamente al più tardi nel 1020 d. C. Altri archeologi sostengono che sporadici ulteriori approdi per meri motivi di caccia e pesca continuarono fino al XIII secolo ma possiamo sostenere che, in realtà, veri e propri tentativi di colonizzazione non si verificarono più e anzi, in seguito, nel corso del medioevo in Europa si perse completamente il ricordo di questi approdi avventurosi e delle tracce dei Vichinghi in Nordamerica. Questi coraggiosi navigatori nordici potrebbero essere stati veramente i primi nell’era cristiana a raggiungere il Nuovo Mondo anche se, a dire la verità, negli ultimi tempi si sostiene da più parti, e con insistenza, che in quello stesso periodo, o poco dopo, dall’altra parte del continente Nordamericano, sulle coste del Pacifico, potrebbero essere approdati degli esploratori cinesi del Celeste Impero. Ma ovviamente tutto questo, come si è soliti dire, è un’altra storia. I LIBRI DI MARCO ZAGNI [email protected] Bibliografia Essenziale C.W. Ceram, Il Primo Americano, Einaudi , Torino, 1972. Roberto Bosi, I Miti dei Vichinghi, Convivio / Nardini , Firenze , 1993. Gwin Jones, I Vichinghi, Newton Compton, Roma, 1995. L' impero amazzonico. Cento anni di ricerche dal colonnello Fawcett ai giorni nostri Anno: 2002 Editore: MIR Edizioni Partendo dalle ricerche e dalle spedizioni di studiosi legati in modo omogeneo da un medesimo filo conduttore, e cioè la ricerca di un "regno amazzonico", o in senso più allargato, la ricerca di una cultura Madre primigenia del Sud America, forse legata ad Atlantide, Zagni è giunto fino ai giorni nostri includendo le sue personali esperienze derivanti dagli studi e dalle spedizioni effettuate, di cui l'ultima dell'Agosto-Settembre 2000. Nella prima parte del saggio, oltre ai capitoli riguardanti il Col. Fawcett ed il Prof. Homet, l'autore, per la prima volta in Italia, ha voluto includere la vita e le scoperte di un archeologo ed esoterista peruviano, il Dr. Daniel Ruzo, i cui studi sono sempre stati tenuti sotto silenzio dalla comunità internazionale. E, primo italiano a farlo, l'autore si è recato nel 1998 nella località dell'altipiano di Marcahuasi, che tanto influì sul lavoro di Ruzo, a 4500 metri sulle Ande, scattando interessanti fotografie. Nella seconda parte del saggio, Zagni prende in considerazione gli studi più recenti descrivendo, oltre alle sue, le spedizioni e le ricerche di esploratori con cui ha avuto anche esperienze comuni, sia sul piano teorico che sul campo. Il testo si conclude con una panoramica riguardante lo stato attuale della ricerca e le future spedizioni, che dovranno necessariamente essere svolte per risolvere definitivamente il mistero dell'esistenza dell'Impero Amazzonico. Archeologi di Himmler. Ricerche, spedizioni e misteri dell'Ahnenerbe Anno: 2004 Curatore: Galli G. Editore: Ritter I nazisti si impegnarono in una serie di ricerche archeologiche, volte a ricostruire l'origine dei popoli germanici, con spedizioni anche in zone molto remote, come il Tibet e l'Amazzonia. Ci si avvicina anche al campo esoterico e ovviamente si parla di figure come Otto Rahn, impegnato addirittura nella ricerca del sacro Graal. Il più completo volume disponibile in italiano su questi specifici temi. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Cover Up pag.60 La storia che nessuno racconta © Roberto La Paglia Roberto La Paglia Roberto La Paglia, oltre ad essere giornalista freelance, è scrittore e ricercatore. Mente fervida, alimentata da un intenso ed inesauribile desiderio di ricerca, attraverso le sue opere, accompagna i lettori in un viaggio verso l'ignoto, guidandoli nei meandri più nascosti delle dottrine occulte ed esoteriche. Uno dei suoi ultimi libri è “Archeologia Aliena” (Ed. Cerchio della Luna, 2008). Si parla spesso di Cover Up, di tentativi più o meno riusciti, a volte profondamente messi in atto da personaggi e associazioni spesso avvolte in una fitta coltre di misteri, che tentano in tutti i modi di frenare le conquiste dell’ingegno umano. Questa sorta di “censura” storica è spesso verificabile e sicuramente attribuibile al bisogno di mantenere posizioni consolidate nel tempo, atteggiamenti che generano e tramandano potere proprio in virtù del fatto che monopolizzano le verità. In questo senso, tentare di ricostruire l’intero arco dell’evoluzione umana, spesso non è così semplice come si potrebbe pensare; ovviamente abbiamo a disposizione le nuove tecnologie, biblioteche, archivi, ed una estesa rete di mezzi di informazioni, ma quante testimonianze sono giunte integre dal passato e quante invece, vittime della censura e del silenzio imposto, hanno ritardato enormemente il cammino dell’uomo? TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Le scienze ritrovate Una delle maggiori conquiste dell’umanità, è stata di certo la scrittura, eppure proprio questa grande invenzione, di riflesso, ha rappresentato un enorme pericolo. Questa affermazione potrebbe stupire molti dei lettori, ma riflettiamo un attimo su cosa anticamente rappresentò la scrittura e cosa rappresenta ancora oggi; l’immagine di popoli dediti a tramandare attraverso i propri caratteri alfabetici le loro memorie non è storicamente corretta, in realtà la scrittura rappresentò per molti un dono divino, e come tale poteva essere usata soltanto da pochi eletti. Il popolo, tranne una sparuta minoranza, non si dedicava certo alla scrittura, quest’arte era propria dei sacerdoti e degli scribi, affrancati al potere, che la usavano per tramandare le gesta dei potenti e lasciare ai posteri una immagine del loro signore non sempre corrispondente alla realtà. La scrittura era quindi un mezzo del potere, e tale rimase fino a quando non si diffuse maggiormente nel quotidiano dei cittadini. Proprio in concomitanza con questa diffusione divenne pericolosa; se chiunque poteva mettere per iscritto i propri pensieri, trascrivere le idee di altri pensatori, veniva meno quello strumento di controllo delle masse che sacerdoti e re avevano da sempre adottato; da questo l’esigenza di censurare, e da questo i fatti che stiamo per raccontare. Socrate, il grande filosofo ateniese, consigliava sempre di diffidare dall’idea che dagli scritti possa derivare qualcosa di chiaro, la scrittura infatti è un mezzo di comunicazione ma anche di dissimulazione, e pur presentandosi in maniera più chiara rispetto alla tradizione orale, non possiede in ogni caso un significato univoco. Anche gli alchimisti dimostrarono la loro sfiducia nella comunicazione in forma scritta, proprio per questo preferivano la comunicazione orale e facevano uso di simboli; tutta questa serie di diffidenze ci porta a pensare che l’idea di una nascita improvvisa e prorompente del cosiddetto “Secolo dei Lumi” non sia del tutto corretta, sarebbe forse meglio parlare di una riscoperta e abbracciare l’ipotesi che larga parte delle conoscenze moderne siano in realtà riscoperte fatte in ritardo. Restano ovviamente da capire i motivi di questo ritardo, ma da questo punto di vista non mancano certo le risposte: persecuzioni politiche e ideologiche, censure religiose, ci sarebbe soltanto l’imbarazzo della scelta, così come una vasta serie di esempi si possono portare a riprova di quanto appena ipotizzato. Caio Terenzio Marrone, storico romano, già prima del 43 a.C. adombrava l’idea dei batteri quali causa di molte malattie; venne messo in esilio e la sua biblioteca venne data alle fiamme, con il risultato che la microbiologia nacque soltanto a metà dell’Ottocento. Lo stesso “misterioso” ritardo è visibile nei campi dell’astronomia e dell’architettura: i babilonesi si dilettavano in osservazioni astronomiche, i cinesi scoprirono le costellazioni 16.900 anni prima di Cristo, mentre allo stesso tempo seguivano le eclissi e misuravano il cielo. Gli egizi possedevano strumenti che puntavano sulle stelle, costruivano piramidi con una precisione, a parità di mezzi, non ancora superata, i Maya usavano il mese lunare e le fasi di Venere furono osservate dai babilonesi prima di Galileo. Sempre in tema di osservazioni celesti, Seneca aveva già scritto del moto della terra e dell'immensità dell'universo, affermando che la terra è un pianeta tra tanti; lo stesso aveva fatto Hiceta d Siracusa affermando che la terra era sferica e ruotava intorno al suo asse. Perché nessuno proseguì sulla scia di queste affermazioni? Perché rimasero sepolte per secoli, coperte dal più assoluto silenzio? Mentre Laplace si ostinava ad accostare i meteoriti al materiale proveniente da vulcani attivi, a nessuno venne in mente che il poeta Cecco d’Ascoli, morto nel 1327, aveva già parlato di meteoriti ferrose e del processo di fossilizzazione; e sempre lo stesso Laplace, dimostrando la teoria dell’attrazione del sole e della luna, dimenticò che alle stesse conclusioni era già TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà pervenuto il nostro Dante Alighieri. Perché tutte queste dimenticanze? Non certo per una colpevole complicità, semplicemente per mancanza di fonti, per quello stesso motivo che in apertura ci ha portato a discutere sulla censura e la persecuzione dei testi “scomodi”. La biblioteca di Alessandria In molti, oggi, pensano che i libri di storia andrebbero riscritti, rivisitati alla luce di un nuovo bisogno di rapportarsi con gli avvenimenti, non più dettato dal protagonismo o dal bisogno di usare i fatti come attestazioni di verità personali: il pensiero non ha il compito di creare i fatti; i fatti esistono e l’unico dovere del pensiero dovrebbe essere quello di inserirli nella storia del nostro passato. Seguendo questo semplice modo di operare scopriremmo, ritornando ancora a Dante, che il sommo poeta conosceva già le quattro stelle che formano la Croce del Sud, che Eudosso aveva già circumnavigato l’Africa e che prima di lui, Antipatro aveva navigato dalla Spagna all’Etiopia. Tutto questo lavoro di ricerca sarebbe stato, ovviamente, molto più semplice in assenza della cecità umana, cecità unita alla barbarie; molte delle nostre fonti sono cadute vittime del pensiero distorto di chi temeva la cultura e l’informazione, intere biblioteche quali quella di Alessandria, Pergamo e Costantinopoli vennero date alle fiamme con conseguenze disastrose per il sapere. A questa vera e propria strage di notizie, contribuì enormemente anche l’oggetto stesso che era deputato alla funzione di tramandare, il libro; anticamente i libri erano considerati alla stessa stregua delle cose più preziose, erano infinitamente costosi e venivano pubblicati in pochissimi esemplari. Tutto il sapere veniva affidato alle biblioteche, spesso contenute in edifici sacri e proprio per questo esposte all’intolleranza religiosa; tra tutti i mali quest’ultima fu però quella che si espresse in maniera minore, la Chiesa era infatti molto più propensa ad occultare i testi che non a distruggerli, cosa che invece faceva indiscriminatamente il potere politico. La tradizione racconta di come la biblioteca perduta di Alessandria custodisse l’intero scibile umano, migliaia e migliaia di volumi andati perduti dopo il suo disastroso incendio, forse una piccola parte salvata fortunosamente e rimasta come retaggio e monito in mano ai saggi ed alle caste sacerdotali. Storicamente, si può collocare la sua fondazione all’inizio del III Secolo a.C.; l’idea di rendere Alessandria depositaria del sapere tramite una biblioteca fu di Tolomeo I, grande cultore delle arti letterarie; egli intuì quanto fosse importante preservare, ma allo stesso tempo mettere a disposizione dei dotti, tutto il sapere dell’umanità, anche al fine di tramandarlo ai posteri. Per dare vita alla propria idea, Tolomeo si avvalse della collaborazione di un illustre letterato dell’epoca, il greco Dimetro Falereo; grazie a questa sinergia di intenti presero vita due importanti istituzioni in Alessandria, la Biblioteca ed il Museo. Possiamo benissimo comprendere quanto ardua fosse l’illuminazione del sovrano, in quel periodo la conservazione dei testi era per lo più affidata a privati oppure ai sacerdoti; la diffusione dei testi era molto limitata anche a causa del costo proibitivo di tavolette, papiro e pergamene. Il primo a concepire l’idea di una trasmissione dei testi sotto forma di raccolta fu Aristotele, il filosofo tramandò la sua opera letteraria ai propri allievi, tra i quali c’era Teofrasto, a sua volta molto amico di Demetrio Falereo. Sull’esempio di quanto detto sopra, la Biblioteca di Alessandria fu proprio di tipo aristotelico, cioè basata sulla raccolta sistematica dei testi che venivano in seguito messi a disposizione di un più vasto pubblico. La Biblioteca ed il Museo furono costruiti molto vicini l’una all’altro, i testi venivano materialmente raccolti nella Biblioteca, mentre nel Museo venivano redatte le rispettive relazioni critiche; lo scopo iniziale era quello di raccogliere i soli testi greci, ma ben presto la collezione si arricchì di opere che spaziavano in ogni campo e che provenivano da ogni parte del mondo; in virtù della sua enorme popolarità la Biblioteca venne ingrandita, fino ad avere dieci enormi sale e molte altre salette più piccole riservate agli studiosi. Divenne in breve tappa obbligata per gli studiosi, la frequentarono assiduamente Euclide, il padre della geometria, Aristarco di Samo ed Erone di Alessandria; giunta al massimo del proprio splendore accadde però l’imprevisto, dopo quasi un migliaio d’anni dalla sua fondazione, nel 47 a.C. i romani di Giulio Cesare incendiarono una delle sezioni della Biblioteca trasformando in TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà cenere circa quarantamila rotoli; seguirono gli incendi ad opera di Zenobia, sovrana di Paimyra, di Diocleziano nel 295 d.C., fino alla completa distruzione da parte del Generale Amr Ibnel-as, agli ordini del Califfo Omar I. In quell’occasione il destino della Biblioteca di Alessandria si compì tragicamente e definitivamente; era il 646 d.C. quando Omar I pronunciò le famose parole: “…Se i libri non riportano quanto scritto nel Corano allora vanno distrutti, poiché non dicono il vero. Se i libri riportano quanto scritto nel Corano vanno distrutti ugualmente perché sono inutili”. La Biblioteca, tutto il suo contenuto ed il sogno che essa rappresentava, vennero per sempre avvolti dalle fiamme. Non sappiamo esattamente quali opere contenesse e quale fosse il loro reale valore, è ovvio comunque pensare che buona parte delle conoscenze antiche è stata per sempre sottratta agli studiosi e che tra queste conoscenze c’erano sicuramente le risposte a tante di quelle domande che oggi tormentano l’uomo di fronte ai misteri ancora insoluti della storia. Tra i libri contenuti nella Biblioteca, parte dei quali, come dicevamo, vennero probabilmente sottratti all’incendio, ma andati ugualmente perduti, primeggiavano una Storia del Mondo, opera del sacerdote Babilonese Beroso, dove si parlava dell’incontro tra le civiltà mesopotamiche e gli Apkallus, semidei anfibi discesi dalle stelle, oltre che riportare avvenimenti accaduti prima del diluvio universale. Era conservata anche l’intera opera di Manetone, il sacerdote egizio vissuto ai tempi di Tolomeo I e, secondo la tradizione, in possesso del favoloso Libro di Toth; per non parlare poi dei testi del fenicio Moco, dove si parlava di teoria atomica; oltre a rarissimi libri provenienti dall’india e numerosi manoscritti alchemici. Una grande perdita per l’umanità, ma anche un monito per il futuro, questo oggi rimane della Biblioteca perduta di Alessandria. I rotoli di Qumran Nel 1947, in alcune giare, nelle grotte di Qumran, vennero scoperti dei manoscritti; si trattò di una vera e propria avventura, con tanto di colpi di scena e veri e propri misteri. Le esplorazioni continuarono fino al 1956, rintracciando ben 800 manoscritti in undici grotte, nell’insieme si individuarono anche venticinque testi biblici e altri del tutto sconosciuti. I manoscritti contenevano il libro d'Isaia, ma si trattava di un testo vecchio di mille anni rispetto a quello conosciuto, probabilmente collocato nelle grotte per timore dei legionari romani; cosa raccontavano esattamente questi testi, tanto da diventare oggetto di un vero e proprio caso di cover up e da far scendere in campo anche i servizi segreti? La città di Qumran era un centro di vita comunitaria con una sua regola ben precisa, ma era anche il centro che ospitava la Confraternita degli Esseni, seguaci della legge mosaica, che seguivano la castità e la povertà, praticavano la comunione dei pasti e dei beni e credevano nell'immortalità dell'anima, nella resurrezione dei morti e nella predestinazione. Durante la fine del II secolo a.C., (data ancora da accertare), un sacerdote di Gerusalemme promosse uno scisma religioso e fondò la comunità di Qumran; si trattava del misterioso Maestro di Giustizia, che aveva come seguaci i Figli della Luce e che instaurò una nuova alleanza con Dio. Altro particolare interessante riguarda invece l’aspettativa degli Esseni; dopo un conflitto di quaranta anni, (termine chiaramente da intendere in chiave simbolica), durante i quali i Figli della Luce avrebbero lottanto contro i Figli delle Tenebre, sarebbero arrivati due Messia: il primo di stirpe sacerdotale, discendente da Aronne, il secondo di stirpe regale, discendente da Davide. Nel 1953 venne costituito un gruppo di studio internazionale, composto da cattolici e protestanti; a questo gruppo, stranamente, venne vietato l’ingresso agli ebrei e agli israeliani. Nel 1960 Rockefeller interruppe il finanziamento al gruppo; nel 1967 l'esercito israeliano, nel corso di una guerra, occupò la zona, e nel 1971 gli israeliani entrarono in possesso degli ultimi rotoli rimasti. Tra alterne vicende, si registrò un ritardo di quaranta anni nella pubblicazione dei manoscritti, un periodo durante il quale non sappiamo esattamente cosa accadde, anche se i dubbi su una vasta censura dei contenuti vengono espressi da più parti. Si rifiutò, in pratica, che Qumran rappresentasse la culla del Cristianesimo, un movimento religioso molto diverso da quello conosciuto fino ad oggi; si rifiutò di divulgare che nei rotoli erano rintracciabili le basi dell'ultima TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà cena, del Padre Nostro, dell'insegnamento di Gesù e, soprattutto, che si parlava di un misterioso Maestro di Giustizia condannato a morte, che probabilmente non era Gesù. I maggiori studiosi dei rotoli, tra i quali John Allegro e Roberto Eisenman, affermarono che la comunità di Qumran era cristiana, che Gesù aveva fratelli e che la chiesa primitiva fu in realtà una continuazione della congregazione degli Esseni. Nel 1990 il governo israeliano inserì nella direzione del gruppo internazionale un ebreo, nel dicembre del 2001 terminò la pubblicazione dei libri, dopo 54 anni dalla loro scoperta, mentre ancora oggi non si è riusciti a risolvere questa controversa vicenda. La cultura proibita Prima che la rivoluzione incendiasse il territorio di Francia, i libri erano tutti, costantemente, soggetti a censura; nessuno scritto poteva circolare senza avere impresso il privilegio reale; proprio per questo motivo molte opere venivano stampate all’estero e introdotte clandestinamente nel paese. Si trattava di testi ritenuti proibiti, che minavano le fondamenta del potere e portavano nuova luce su teorie scientifiche e mediche, oppure di manoscritti contro il pudore, la morale e la Chiesa. Per chi violava la legge erano previste la prigione, l'interdizione dal commercio, la multa, il sequestro dei libri oppure, alternativa non certo allettante, le terribili mura della Bastiglia. Proprio per questi motivi le opere di Voltaire vennero pubblicate in Svizzera, mentre quelle di Moliere finirono quasi subito nel voluminoso indice dei libri proibiti, alimentando il malcontento che avrebbe in seguito portato alla rivoluzione. La situazione comunque non subì grandi modifiche, esaurita l’onda filosofica che aveva portato alla rivoluzione, stabiliti i nuovi poteri politici, economici e religiosi, la scrittura e la cultura tornarono nuovamente a fare paura. In tema di censura, così come di volontà tesa a frenare la libera circolazione delle idee attraverso la carta stampata, fa molto riflettere il fatto che furono i protestanti i primi ad abolire la censura, non certo la Chiesa Cattolica! Questo tipo di operazioni venivano solitamente affidate ai monaci, in seguito ai Gesuiti, e la pressione era talmente forte che a Napoli, nel 1544, si arrivò a stipulare un concordato che garantiva ai Vescovi il diritto di censurare liberamente sia le stampe che i libri. Furono messe all'indice le opere di Dante, Croce, Gentile, Voltaire, Bruno e Galileo, venne bruciato il Talmud e molti libri pregiati della prima cristianità. Nel 1659 a Cremona furono bruciati 10.000 copie del Talmud ebraico, altrettanto accadde a Venezia, in Germania e a Roma, sotto l’ala protettrice e ispiratrice della Santa Inquisizione. Ancora oggi gli spettri della paura si agitano furtivi, impedendo che la conoscenza possa trovare spazi aperti per rivelarsi completamente agli uomini. [email protected] Roberto La Paglia STREGONERIA MODERNA Roberto La Paglia IL GRANDE LIBRO DEI TAROCCHI http://www.cerchiodellaluna.it http://www.xenia.it Stregoneria: un nome che evoca storie oscure, terribili segreti e un senso di malcelato timore che ancora oggi sopravvive nell’immaginario collettivo. Cosa si intende esattamente per Stregoneria? Quante delle notizie e dei resoconti storici corrispondono esattamente alla realtà? Stregoneria Moderna tenta di dare una risposta a questi e molti altri quesiti, muovendosi in un ambiente non sempre facilmente decifrabile, nel quale storie di semplice umanità si intrecciano con terribili intrighi e complotti, frutto spesso di menti malate e di ignoranza. Da questo punto di vista, l’intera ricerca dell’autore tende ad assumere il ruolo di un punto di incontro che, finalmente, metta a nudo le vere origini di questa antica pratica, le sue radici storiche, accanto ad una aggiornata esposizione delle implicazioni moderne, sia storiche che operative. Seguendo queste indicazioni di fondo scopriremo moderni rituali, antiche verità volutamente taciute, in una lunga cronistoria che analizza la Stregoneria in ogni sua sfaccettatura, cercando di riportare il discorso alle sue giuste e dovute proporzioni. Incontreremo le prime intuizioni che portarono l’uomo a cercare i mezzi per interagire con i misteri e le forze invisibili che lo circondano, viaggeremo all’interno della Stregoneria Medioevale e gli orrori dell’inquisizione, scoprendo verità e bugie di uno dei periodi più bui della storia. Dalla Stregoneria tradizionale alla Wicca, attraversando i vari movimenti magici che hanno lasciato ampie tracce della loro presenza nel pensiero spirituale moderno. Il punto di arrivo sarà un pratico vademecum ricco di informazioni, esempi pratici, incantesimi, invocazioni, segreti delle erbe e delle pietre; un utile compendio per chiunque voglia approfondire e, perché no, mettere alla prova le proprie potenzialità. Perché i tarocchi attirano così tanto l’attenzione delle persone e sono sempre popolari a dispetto del passare del tempo? Il grande libro dei tarocchi si propone di svelare tutti i segreti della cartomanzia, dalla sua storia e dai diversi tipi di carte e mazzi, al ricco valore simbolico ed esoterico delle carte secondo la Cabala e la psicologia. Con i 22 Arcani Maggiori - presentati dettagliatamente uno per uno, dal Bagatto al Matto - si possono realizzare innumerevoli tipi di letture divinatorie e perfino meditare, poiché la forza degli archetipi in essi contenuti fa sì che ogni Lama rappresenti una tappa dell’esistenza umana e ci metta nelle condizioni migliori per analizzare i nostri stati d’animo. Anche gli Arcani Minori – dieci carte per i quattro semi di Bastoni, Coppe, Denari e Spade più le quattro figure di Fante, Cavaliere, Regina e Re - possiedono una simbologia che, se ben interpretata, ci consente di “vedere” la situazione con chiarezza. Se infatti gli Arcani Maggiori rappresentano un punto di vista profondo, soggettivo e qualitativo, gli Arcani Minori indicano eventi connessi alla persona ma non sempre originati dalla stessa, ovvero rappresentano un punto di vista oggettivo, mancante però del necessario approfondimento. Ecco perché qualora si vogliano ottenere previsioni relative ai grandi avvenimenti della vita è necessario utilizzare il mazzo per intero. Infine l’ultimo capitolo presenta, con esempi pratici, i diversi metodi lettura – tra cui il Grande e il Piccolo Gioco, il Ventaglio, la Croce Celtica, l’Albero della Vita, il Metodo Astrologico - che ci permettono, con diversi gradi di difficoltà, di interrogare il mazzo. Il grande libro dei tarocchi è un’opera ricca di consigli e suggerimenti perché il lettore possa impadronirsi di tutti gli strumenti per comprendere il passato e presagire il futuro mediante la conoscenza e la lettura dei Tarocchi. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Ufologia pag.65 Nicola Tesla e gli extraterrestri © 2010 Gianluca Rampini Gianluca Rampini La mente di Tesla Nikola Tesla, il genio ed inventore serbo, ha fatto molto parlare di sé sopratutto per i suoi progetti che ora si associano all'HAARP Project ed alle chemtrails. Naturalmente i suoi meriti si spingono ben al di là di questo e sono ben noti alla comunità scientifica ma forse meno alla gente comune. Dobbiamo al suo lavoro, ad esempio, la corrente alternata che ha TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà dato lo spunto alla seconda rivoluzione industriale e molti altri sviluppi tecnologici moderni quali la robotica o la radioastronomia ai quali ha dato lo spunto iniziale in taluni casi inconsapevolmente. Nikola Tesla però possedeva alcuni lati che possiamo definire misteriosi o quanto meno decisamente originali. Uno di questi era il modo in cui nascevano i suoi progetti: egli infatti non metteva mai per iscritto le sue idee, non disegnava mai schemi o proiezioni ma si limitava a creare nella sua mente l'immagine della macchina che voleva costruire. Riusciva ad essere così dettagliato e preciso che immancabilmente le apparecchiature poi funzionavano. Con il passare degli anni si disse convinto che l'origine di queste sue idee fosse esterna alla sua mente e che il suo stesso comportamento fosse simile a quello di un automa che riceve gli impulsi ed agisce di conseguenza. Questa peculiare capacità di visualizzazione si manifestava anche in modi meno utili e che hanno fatto dubitare della sua salute mentale. Egli ha raccontato che molto spesso vedeva lingue fiammeggianti, generalmente associate ai momenti in cui aveva le sue eccezionali idee, oppure che prima di addormentarsi vedeva davanti ai suoi occhi persone ed oggetti perfettamente definiti. Qualcuno sostiene fosse affetto da una malattia che si chiama sinestesia per la quale una stimolazione viene percepita con due manifestazioni sensoriali coesistenti. (esempio: vedere le note musicali). Quel che è certo è che in gioventù, subito dopo aver finito gli studi al Politecnico di Graz, soffrì di un esaurimento nervoso ed inoltre che fosse affetto da alcune manie compulsive per le quali ad esempio esigeva che i numeri delle sue stanze d'albergo fossero divisibili per tre. Indubbiamente ciò ha permesso ai suoi detrattori di trovare terreno fertile per criticarlo. Alcune persone sostengono anche che molte delle sue ulteriori peculiarità, che vedremo in seguito, siano state causate dalla sua situazione psicologica. Noi sospettiamo invece che forse ne fossero la conseguenza, fossero la valvola di sicurezza, di sfogo per qualcosa che forse premeva dentro di lui. Voci aliene Tutta la sua carriera di inventore e la sua vita personale è costellata di riferimenti e fatti che lo mettono in stretta correlazione con la questione extraterrestre. In ordine di tempo il primo esempio di questo rapporto avviene nel 1901 quando già si era trasferito nel Colorado per portare avanti le sue ricerche. Intervistato dal Cowler's Weekly raccontò che durante gli esperimenti sulle onde stazionarie si accorse di alcune interferenze elettriche e che tali interferenze seguivano uno schema intelligente. Nell'analizzarle si convinse che esse fossero una sorta di segnale di origine extraterrestre poiché nel corso degli anni aveva studiato ogni tipo di interferenza terrestre od atmosferica e sarebbe stato in grado di riconoscerle. Ammise di non essere in grado di decifrare quel messaggio ma TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà era convinto che in futuro ci sarebbe riuscito. Arthur H.Matthews, ingegnere elettrico, fu suo aiutante per molti anni e venne coinvolto in molti dei suoi progetti tra cui proprio quello del tentativo di comunicare con gli extraterrestri. Quello che inizialmente fu un “effetto collaterale” divenne un programma vero e proprio e portò alla realizzazione di uno strumento che venne definito il Teslascopio, basato sullo sfruttamento dei raggi cosmici, creato proprio con l'intenzione di ricevere ma anche inviare messaggi su altri pianeti. Durante gli anni 20 Tesla si mostrava fiducioso di riuscire a decifrare i messaggi che continuava a ricevere ma contemporaneamente in lui crebbe il timore per eventuali cattive intenzioni di questi “extraterrestri”. Approfondendo i suoi studi inizialmente si concentrò su Marte come possibile fonte di questi messaggi ma poi si convinse che fosse necessaria un'energia troppo elevata per giustificare questa ipotesi e che quindi essi dovessero provenire da un punto più vicino come la Luna. E' interessante notare che stiamo parlando di un periodo della nostra storia in cui ancora non circolava l'idea dei dischi volanti o di possibili astronavi che compissero viaggi interstellari e quindi l'idea che i messaggi provenissero da corpi celesti trova la sue perfetta collocazione. Matthewes sostenne nel 1947, dopo la morte di Tesla, di aver riprodotto questo strumento ma che a causa della limitata potenza poteva comunicare solamente con astronavi orbitanti attorno alla terra. Riguardo alle dichiarazioni di Matthewes si può notare già un nuovo approccio all'ipotesi extraterrestre, nel 1947 infatti l'idea dei dischi volanti si era già diffusa tra la gente sopratutto grazie al racconto di Kenneth Arnold. Non più comunicazioni con altri mondi ma contatti con velivoli spaziali. Nel 1918 Tesla poté sfruttare il progresso della tecnologia ed il raffinamento della sua strumentazione e ciò portò ad un’ evoluzione nei messaggi che riceveva e vale la pena leggere le sue testuali parole a questo riguardo: “I suoni che ascolto ogni notte sembrano essere voci umane che comunicano in una lingua che non conosco. Trovo difficile immaginare che siano voci reali di esseri non terrestri. Ma non ho ancora trovato una spiegazione migliore”. Per meglio comprendere questo argomento bisogna ricordare che la prima trasmissione radio con messaggi vocali avvenne nel 1924 in Australia, ad opera di Marconi. Marconi stesso sulle pagine del New York Times dichiarò di aver ricevuto segnali che avrebbero potuto essere di origine extraterrestre. Negli anni successivi, attorno al 1925, ritenne di aver capito che alcuni di quei messaggi erano in inglese, in tedesco e francese ma che le frequenze su cui li rintracciava non erano utilizzabili per trasmissioni terrestri. EVP Erano quindi realmente voci di esseri extraterrestri? Vi è un altro fenomeno riscontrato a tutt'oggi che può offrire un'ulteriore chiave di lettura: l'Eletronic Voice Phenomena o E.V.P, per il quale alcune persone sono in grado di registrare su supporti magnetici voci non udibili nel nostro spettro uditivo. Questo fenomeno è normalmente associato a luoghi così detti infestati ma il nesso con il soprannaturale ed il mondo spirituale è puramente circostanziale, per non dire soggettivo. Nulla vieta che l'origine di questo fenomeno sia simile a quello rilevato da Tesla. L'opzione “spiritica” non appare la più credibile e non sono quindi da escludere altre possibili spiegazioni come il casuale o non causale contatto con universi paralleli o con effettive civiltà extraterrestri. Certamente i parametri sono differenti ma una tale ipotesi, quella extraterrestre, non può essere considerata campata per aria se ad esempio ne è nato un colossale progetto come il Seti. E quale obiettivo ha il SETI se non quello di stabilire una comunicazione con civiltà extraterrestri? Bisogna poi aggiungere che altre volte nella storia recente messaggi “alieni” si sono infilati nei nostri sistemi di comunicazione. Alcuni di questi episodi hanno minori crismi di credibilità, come quando nel 1954 migliaia di persone, nel midwest americano, sentirono alla radio un messaggio da una supposta entità extraterrestre che intimava l'umanità di abbandonare i suoi propositi guerrafondai. Altri invece sono più interessanti perché vissuti da persone estremamente credibili e preparate come poteva essere John Keel. Egli nel 1977 si trovava presso una radio VLF (very low frequency) dove udì delle voci gutturali su una frequenza che TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà non avrebbe dovuto portare trasmissioni vocali. Un po' il principio del babymonitor del film Signs per fare un esempio fittizio ma più recente. Secondo il mio parere l'ipotesi che esistano comunicazioni, che per comodità definiamo aliene, nascoste tra le nostre frequenze non deve stupire poi tanto. Il lato ottico del fenomeno ufo ci ha insegnato che per studiarlo e comprenderlo non dobbiamo fermarci allo spettro del visibile ma spingerci verso l'infrarosso e oltre. E' più che possibile che lo stesso avvenga per ciò che concerne i nostri apparati audio. Qui non si tratta forse di cercare nelle frequenze uditive a noi non concesse ma sopratutto di farlo tra le onde radio e quindi negli strumenti che a questo sono preposti. Cosa potrebbe succedere se il grande orecchio del SETI si volgesse ad ascoltare un po' più vicino alla Terra? Pur rimanendo convinto della sostanziale inutilità del SETI devo citare quello che a tutt'oggi è il suo unico risultato ottenuto: il Wow Signal. Per una qualche ragione che non analizzeremo qui si è diffusa la convinzione che in esso non vi sia nulla di interessante, che fosse un buco nell'acqua. L'episodio risale al 1977 quando l'astronomo Jerry R. Ehman lavorando sul radio-telescopio dell'Università dello Stato dell'Ohio ( The Big Ear ) ricevette un forte segnale a banda stretta che durò per 72 secondi e proveniva da oltre il sistema solare. Tale segnale non si ripeté più e le stazioni successive non furono in grado di ascoltarlo. Nonostante questo e nonostante tutte le ricerche svolte in seguito nessuno fu mai in grado di confutare la sua possibile origine extraterrestre. Buoni o cattivi? Torniamo ora a Tesla. Egli concesse dichiarazioni anche più ardite e che ci fanno supporre che il suo interesse per la questione fosse più che meramente “radioastronomico”. Ad esempio si disse convinto che esseri provenienti da altri pianeti fossero in effetti già sulla Terra ma che noi non siamo in grado di vederli. Altre dichiarazioni ci mostrano invece il lato “cospirazionista” di Tesla, egli infatti temeva che questi “esseri” ci controllassero operando alle nostre spalle e che gli umani non siano altro che un loro esperimento dalla lunghissima durata. E' sempre bene ricordare che stiamo parlando della fine dell'ottocento e della prima metà del novecento. Matthewes, il suo aiutante, era invece più positivo nella sua interpretazione poiché era convinto che all'indubbio avanzamento tecnologico di queste civiltà si accompagnasse un altrettanto avanzato sviluppo sociale. Tale tendenza venne poi ripresa pochi anni più tardi da contattisti quali Adamski e Menger e a dire il vero, secondo l'autrice Margaret Storm, lo stesso Matthews fece una dichiarazione che lascerebbe pensare che lui stesso fosse, o si ritenesse, un contattato. Dai visitatori spaziali con cui era entrato in contatto disse di aver saputo che Tesla fosse loro figlio e che venne affidato alle cure del Reverendo Tesla e di sua moglie. Ma i collegamenti tra Tesla e gli extraterrestri non finiscono qui: Al Bielek nel contesto del controverso Rainbow Project, meglio conosciuto come Philadelphia Experiment, racconta che nei suoi ultimi anni, Tesla venne coinvolto nel progetto e che avrebbe espresso seri dubbi sulla pericolosità di tale esperimento e che tale preoccupazione gli derivava dai suoi contatti extraterrestri. Bielek aggiunse anche che Tesla lasciava la Terra insieme agli extraterrestri. di Marte alla Terra, venne allestita una prova d'ascolto globale. La Marina Militare Statunitense mise a disposizione dell'esperimento personale tecnico ed un dirigibile sul quale venne montato un ricevitore. Il prof. David Todd, responsabile del progetto, utilizzò anche uno strumento chiamato Radio-camera che convertiva i segnali radio in punti trascrivendoli su un nastro fotografico. Il risultato che ottennero fu a dir poco sorprendente. Come confermato anche dal New York Times del 28 agosto del 1924 tali punti ed intervalli sulla pellicola erano disposti in modo tale da sembrare un volto rozzamente disegnato. Se il segnale proveniva realmente da Marte possiamo immaginare che un volto misterioso fosse il suo “biglietto da visita”? Una coincidenza davvero insolita, dove abbiamo già sentito che un volto sia stato associato a Marte? Il rapporto con gli scienziati dell'epoca Indubbiamente tutte le sue dichiarazioni, i suoi comportamenti egocentrici ed i suoi supposti disturbi non deposero a suo favore ed infatti venne spesso osteggiato ed in qualche modo ostracizzato. Ma sarebbe sbagliato pensare che fosse solo. Lord Kelvin, ad esempio, fu suo amico e si dichiarò sempre d'accordo con lui riguardo a questi argomenti. Altrettanto vale per le sue idee. Che la comunità scientifica non le ritenesse poi così strampalate lo si deduce dal fatto che nell'agosto del 1924 , in corrispondenza della vicinanza TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Il volto su Marte come ripreso dal Viking nel 1978 Le fonti La maggior parte di queste informazioni, ma non tutte, provengono dal libro di Swartz “ The lost journal of Nikola Tesla” che si basa su documenti scampati all'attenzione che il governo americano riservò a tutta la documentazione del genio serbo dopo la sua morte. I documenti superstiti finirono casualmente all'asta e furono acquistati nel 1976 da un collezionista di nome Dale Alfrey. Questi li dimenticò per una ventina d'anni fino a quando poi rileggendoli si accorse di cosa avesse per le mani. Cominciò allora un paziente lavoro di scannerizzazione di tutte le pagine in suo possesso. Nel corso di questo lavoro egli racconta di essere stato visitato da tre individui che in tutto e per tutto ricordano i Men in Black. Questi si offrirono di acquistare tutto il materiale ma poiché Alfrey rifiutò tale proposta ne nacque un'accesa e lunga discussione dopo la quale, apparentemente, se ne andarono senza ciò che volevano. Quando se ne furono andati Alfrey però ebbe la sensazione di essersi risvegliato da uno stato ipnotico, corse a controllare se il materiale ci fosse ancora e scoprì che era sparito tutto, hard disk compreso. Ciò che compare nel libro di Swartz è ciò che Alfrey, avendolo letto più volte, riuscì a ricordarsi e a trascrivere. Tenuto conto del periodo storico in cui si concluse la vita di Tesla, durante la prima guerra mondiale e prima di Roswell, è possibile che l'interesse del governo per le sue idee fosse stato innescato dal fenomeno dei foo-fighters ed è plausibile che tutti i suoi documenti ritenuti interessanti fossero stati sequestrati per ragioni di sicurezza nazionale. suo cervello era un'antenna sensibilissima, un ricevitore eccezionale per tutto ciò che si pone di poco al di fuori della nostra percezione, sia in termini di esperienza che di potenzialità dell'essere umano. [email protected] Considerazioni finali Siamo ben lontani da poter affermare con certezza che Tesla fosse realmente in contatto con gli extraterrestri o che fosse lui stesso di origine extraterrestre. Però ci sono molti aspetti della sua personalità e molte sua caratteristiche che, in qualche modo, vanno in questa direzione. Egli stesso più volte dichiarò di sentirsi uno straniero in questo mondo, il che alla luce di tutte le altre cose dette, mi ricorda il disagio espresso e vissuto da molte persone ignare di essere vittime di rapimento. La sua idiosincrasia per la trasposizione bidimensionale dei propri progetti potrebbe far pensare alla difficoltà di chi sia abituato ad immagini olografiche, o qualcosa di simile,e debba utilizzare un sistema limitato ed obsoleto come la carta e la penna per trasporre le proprie idee. Per avere un quadro più completo di Tesla va anche ricordato che, nonostante tutte le sue abilità, era estremamente critico nei confronti di chi credesse in poteri psichici o negli spiriti. La sua era una mente razionale il cui campo di esplorazione non era però limitato dall'ottusità. Fosse o non fosse in contatto con gli extraterrestri di certo il TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Fonti: “The lost journal of Nikola Tesla” by Tim Swartz “Our hunted planet” by John Keel “Nikola Tesla and the planetary radio signals” by K.L.Corum and J.F.Corum Ph.D. Www.sardinianetwork.it “Lord Kelvin now believes Mars signals America” by Philadelphia North American 18 05 1902 www.alienimisterialtervista.org www.nytimes.com “How to signals to Mars” by N.Tesla www.ufodigest.com www.wikipedia.it www.teslasociety.com www.bibliotecapleyades.net Esoterismo pag.70 Il Serpente Binario © 2000 Heinz Insu Fenkl (Traduzione di Anna Florio) Heinz Insu Fenkl (autore, editore, traduttore e studioso di mitologia), è direttore del Programma Scrittura Creativa presso l'Università dello Stato di New York, New Paltz nonché direttore di ISIS (Interstiziale Studies Institute a SUNY New Paltz). Il suo libro di narrativa Memories of My Brother Ghost gli è valso la nomina a Barnes and Noble "Great New Writer" e finalista Pen/Hemingway nel 1997. Il suo secondo romanzo, Ombre Bend (pubblicato sotto pseudonimo), è stato un innovativo, 'romanzo dark di strada' su HP Lovecraft, Robert E. Howard e Clark Ashton Smith. Ha inoltre pubblicato racconti in diverse riviste e periodici, nonché numerosi articoli sul folklore e sul mito, molte delle quali possono essere trovate sul Endicott Studio per le Arti Mythic Heinz Insu Fenkl Ora il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche create da Dio. Genesi 3:1 Come accade alla maggior parte dei bambini, mi era stato insegnato che i serpenti sono pericolosi e crudeli. Visto che sono nato in Corea – luogo non particolarmente noto per i suoi serpenti velenosi – TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà sarebbe stato difficile che io incontrassi un serpente pericoloso, sempre che non mi fossi trovato in qualche area rurale esterna; di sicuro, non eravamo in India, dove il pericolo serpenti è sempre vivo, viste le migliaia di morti l’anno che avvengono ancora oggi a causa dei cobra. Eppure, anche se mi venivano raccontate un mucchio di storie orribili su questi animali, da una parte queste rivelavano un certo fascino tradizionale, contrapposto a una paura terribile e irrazionale. Una delle mie zie amava raccontarci di quella volta che, caduta in un crepaccio durante una primavera, si era ritrovata in un covo di quello che pensò da principio fossero “intestini attorcigliati”. Mia madre mi avvisava sempre di correre in linea retta nel caso in cui fossi stato inseguito da un serpente, poiché i serpenti strisciano lateralmente, salvo che, naturalmente, non mi fossi trovato a correre in discesa, in tal caso avrei dovuto correre io lateralmente, poiché un serpente determinato si sarebbe potuto anche trasformare in un cerchio, prendendo la coda in bocca per rotolare giù ad inseguirmi. Nella tradizione coreana, la parola per serpente, sa, è omonima casualmente della stessa che indica il numero quattro e di quella che significa morte. In Corea nella numerazione di armadietti, corridoi di alberghi, e palazzi in genere, spesso non si trova il numero quattro (come il tredici in Occidente), e una delle creature più temute del folklore coreano, nella stessa categoria dei demoni volpe, è la donna serpente. Durante l’adolescenza iniziai ad avvertire le contraddizioni inerenti la rappresentazione dei serpenti in Corea. Mia madre mi aveva allora raccontato il sogno che aveva fatto poco prima che io nascessi, giurando che si trattava di un sogno sia importante sia di buon auspicio. Tale sogno sarebbe stato per me così significativo da diventare l’apertura del mio primo libro, Memories of My Ghost Brother: Sta camminando lungo le mura di un palazzo, su una strada resa bianca da petali di fior di ciliegio caduti. Respira l’aria primaverile e canta una canzone folcloristica quando, girando l’angolo, ammutolisce alla vista dell’enorme cancello del palazzo; si ferma quindi ad ascoltare, dopo aver avvertito uno strano suono. Un serpente gigantesco, spesso come un tronco di pino, fa dondolare la testa da sopra il cancello e le bisbiglia in lingua umana ‘Ho qualcosa da dirti’. Il serpente è talmente lungo che il suo corpo lucente circonda l’intera area del palazzo; la coda arriva ad abbracciare la sua testa. ‘Vieni qui, ho qualcosa da dirti’ dice. ‘Qualcosa di molto importante.’ La maggior parte dei lettori avrà pensato subito al simbolo dell’uroboro, il serpente che forma un cerchio prendendo in bocca la coda. È difficile non conoscerlo oggigiorno in quanto logo dello spettacolo televisivo Millennium e anche della società di high-tech Lucent Technologies (anche se il cerchio rosso è piuttosto stilizzato e facilmente scambiato per un cerchio buddista/taoista). Gli Uroboro rappresentano diversi aspetti collegati al serpente: rigenerazione, rinascita, ciclo naturale, completezza, saggezza, illuminazione. La sua configurazione circolare rinforza qualità già di solito associate alle TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà interpretazioni positive del serpente, praticamente universali nelle diverse tradizioni culturali. Mia madre era solita interpretare i sogni; anche se lo faceva in famiglia, spesso i suoi amici le chiedevano consiglio riguardo dettagli particolarmente complicati dei loro sogni. Per quanto riguarda il mio sogno di nascita, l’interpretazione di mia madre risultava singolare anche per la mia fantasia adolescenziale, poiché lei si era concentrata sul particolare delle mura del palazzo, e affermava che il fatto che il serpente le circondasse significava che in futuro avrei avuto un lavoro nell’ambito governativo, forse diplomatico. Per lei si trattava di un sogno di buon auspicio perché vedere un serpente in sogno porta fortuna. Sapevo, senza doverlo chiedere, che nel folklore coreano dell’interpretazione dei sogni, spesso vedere una cosa negativa è di buon auspicio, ad esempio, sognare che la propria casa brucia è uno dei sogni migliori che si possa fare. Chi fa questo sogno spesso compra un biglietto della lotteria il giorno dopo (o, più spesso, viene convinto a fare un investimento sbagliato). Il sogno migliore in assoluto riguarda i draghi – fare un “sogno del drago”. Quello che non sapevo da adolescente era che draghi e serpenti enormi sono spesso associati nelle culture coreane e orientali in generale. Secondo una credenza popolare, i serpenti che vivono virtuosamente sopportano migliaia di anni di privazioni, e quando alla fine ne vengono ritenuti degni, sono trasformati in draghi che ascendono al cielo su di un arcobaleno. Di fatto, sia nell’iconografia cinese sia in quella coreana (spesso nei motivi decorativi di palazzi e templi) è possibile trovare il simbolo di un drago che forma un cerchio tenendo la coda nelle fauci. Spesso tiene tra gli artigli una gemma circolare, che rappresenta l’immortalità e l’illuminazione. Uno dei miei zii dovette affrontare la contraddittorietà propria della rappresentazione dei serpenti nella cultura coreana. Quando gli chiesi perché nelle farmacie si trovavano bottiglie con dentro serpenti vicino a quelle con radici di ginseng (a quei tempi sia in quelle tradizionali sia in quelle occidentalizzate), mi spiegò che spesso le cose velenose possono essere utilizzate come potenti medicine. Io collegai subito mentalmente questa spiegazione alla logica riguardante l’interpretazione dei sogni, ma mio zio intendeva dire che il ginseng – che tutti ritenevano fosse la più potente delle medicine – ha un sapore particolarmente sgradevole, e che siccome tutte le medicine hanno un sapore cattivo, potrebbero facilmente essere scambiate per veleno, se non fossero note ai dottori che conoscono le piante, anche nella medicina occidentale – anche l’aspirina ad esempio ha un sapore sgradevole. Ho ancora vivo il ricordo di quei pallidi serpentelli, conservati in vasi farmaceutici pieni di alcool. Le farmacie erano in competizione sulla selezione e la varietà sia di serpenti sia di radici di ginseng; tale mostra risultava realmente grottesca e inquietante, e le immagini magnifiche e distorte dei serpenti e delle radici nella scolorita sospensione alcolica, rievocavano un misto primordiale di paura e rispetto, ad aggiungere efficacia alle medicine che se ne ricavavano. Dopo aver visto tale esibizione nelle botteghe coreane, la particolare contraddizione del simbolo occidentale del caduceo – i due serpenti attorcigliati intorno ad un bastone – che vedevo ricamato su tutto l’equipaggiamento del Corpo Medico dell’Esercito degli Stati Uniti non mi sembrava per niente insolito. Nella cultura occidentale i significati diametralmente opposti legati al serpente – quello che io chiamo il fenomeno del “serpente binario” – non è così differente da quanto ho sperimentato durante la mia infanzia in Corea. Le contraddizioni non sono forse così evidenti nella vita quotidiana, ma esistono – e radicate profondamente, rievocando l’antica tradizione della Dea Madre nella quale quella giudeocristiana è radicata. Ciò che m’interessa in particolare è la scoperta che tracciando la fonte legata al simbolo del serpente, sia in occidente sia in oriente, è possibile risalire a origini comuni. E’ facile ritrovare la prima TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà immagine del serpente nella cultura occidentale. Nel libro della Genesi, che sia la religione Ebraica sia quella Cristiana ritengono essere il primo libro della Bibbia, il serpente è responsabile della tentazione di Eva e Adamo e della loro cacciata dal Giardino dell’Eden. Il Signore permette ad Adamo ed Eva di mangiare i frutti di qualsiasi albero del Giardino, ma è chiaro nel vietare quanto segue: "Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti". Il serpente, tentando Eva, le rivela di fatto – anche se indirettamente – che Dio l’ha ingannata; afferma "Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male". Come tutti sappiamo, Eva mangia il frutto e convince anche Adamo a mangiarlo, e non muoiono immediatamente. Dio scopre presto la loro trasgressione, ma punisce per primo il serpente. Dichiara "Poiché tu hai fatto questo, sii tu maledetto… sul tuo ventre camminerai, e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe". Da qui l’inimicizia ininterrotta tra serpenti e umani, che i biologi reputano origini dalla paura istintiva dei rettili, a partire da quando i nostri antenati ominidi avevano a che fare con i serpenti nella savana africana. Come legame tra la nostra eredità biologica e la maledizione di Dio sul serpente, usiamo nel nostro linguaggio attributi e modi di dire come "serpente", "serpe in seno", "covo di vipere" e "occhi di serpente" – tutti attributi negativi che fanno riferimento a pericolo, inganno e morte. Ma chi era, esattamente, il serpente? La Genesi non rivela la sua identità. (Infatti, anche il suo genere rimane un mistero: si presume sia maschile, ma in diversi dipinti che raffigurano la tentazione di Adamo ed Eva, il serpente attorcigliato intorno all’albero è dotato di seni – ulteriore riferimento alla tradizione sottostante della Dea Madre). Interpretando comunemente i testi biblici, possiamo dedurre che il serpente sia Satana, un nome che significa "avversario" in ebreo; ma oltre al problema relativo alla traduzione, viene inoltre erroneamente associato a uno degli Arcangeli di Dio, nient’altro che Lucifero (traducibile come "Figlio del Mattino", "Luce del Mattino" e "Portatore di Luce"), il più alto in grado nelle schiere angeliche. "Lucifero" era inteso all’inizio come versione latinizzata di "Helal, figlio di Shahar", con riferimento ad un re babilonese, ma il nome rimase associato a Satana, e la sua storia (motivo centrale del poema di John Milton Paradise Lost) è sopravvissuta nell’immaginario popolare. Lucifero è l’Arcangelo che provò a usurpare il posto di Dio in Paradiso, e fu scacciato nell’Inferno come punizione. Il paradiso perduto È possibile incappare spesso in errori di traduzione, ma questo errore e le risultanti associazioni tra il Diavolo, Lucifero, Satana e il serpente dell’Eden rivelano qualcosa di più significativo e interessante relativo a simboli e tradizioni. Durante i secoli, a seguito di una logica superiore alle intenzioni individuali o a quelle combinate d’interi gruppi di persone, la società ha generato simboli TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà significativi che sono denominati "simboli collettivi", immagini che rapidamente rappresentano strati e strati di significati collegati – a volte anche contraddittori. Il serpente binario è un esempio classico di tale fenomeno. Nella storia della Genesi, effettivamente, il serpente (conosciuto come Satana, il Principe dell’Inganno) in realtà svela a Eva la verità sul frutto proibito; espone la bugia di Dio (quella che potremmo chiamare "bugia bianca"). La cosa più importante è che Adamo ed Eva mangiando il frutto della conoscenza del bene e del male hanno imparato a giudicare sia Dio sia il serpente. Dio si sente quindi piuttosto minacciato, ora che il frutto ha aperto gli occhi agli umani e li ha resi simili a dèi; prima che possano mangiare dall’albero della vita e diventare immortali, li scaccia dall’Eden e pone la spada folgorante per tenerli alla larga. Non è scopo di quest’articolo discutere o anche riassumere tutti i particolari di tale scenario – volumi e volumi sono stati scritti sulla dottrina biblica che analizzano lo stesso argomento da uno stupefacente numero di punti di vista diversi. Quello che io voglio dimostrare è qualcosa di più semplice: che anche senza approfondire il discorso, possiamo capire che il serpente è strettamente associato alla rivelazione umana della conoscenza del bene e del male, qualità divina insita all’idea dell’illuminazione o dell’illuminismo. Allo stesso tempo, è chiaro che l’illuminazione dell’uomo può fargli guadagnare l’immortalità, associando il serpente all’idea della conquista della vita eterna. Tutte queste associazioni sono proprie delle proprietà positive attribuite al serpente prima della Bibbia nella tradizione della Dea. Il Libro della Genesi può essere uno dei migliori esempi di una cultura che tenta di modificare i simboli di una tradizione precedente; dalle mie speculazioni è possibile dedurre che ciò è quasi impossibile. Il significato originario dei simboli (in questo caso il serpente) tenderà a riaffiorare comunque nonostante le interpretazioni posteriori, in particolare nel caso di tentativi di attribuzione di valori opposti. Un’occhiata più approfondita all’etimologia di alcune delle associazioni lessicali può chiarire questa qualità binaria (e anche renderla più complicata). La parola "serpente" in realtà ha la stessa radice di un altro termine biblico, seraph, ovvero il più alto livello tra le schiere angeliche. "Seraph" può essere tradotto come "fiero serpente." Il significato sottostante al significato della parola "diavolo" è lo stesso per deva, un angelo del pantheon induista, ed entrambi i termini significano "divino." Satana risale addirittura alla XIX dinastia egizia, al faraone Set, il cui simbolo è il serpente. Il serpente di fuoco della Kundalini Secondo alcune fonti il nome "Satana" deriva dall’adattamento ebraico dell’egizio Set-En o Set-An. Sia en che an potrebbero addirittura fare riferimento a fonti ancora più antiche, l’Annunaki sumero ("Colui che scese sulla Terra dal Cielo") ed Enki, che spesso viene rappresentato come metà serpente e metà umano (nella tradizione sumera è avversario del fratello Enlil, che alcuni studiosi pensano abbia dato origine all’ebraico Jehovah). I primi gnostici cristiani, come i praticanti dello yoga Kundalini (che si concentrano sulla liberazione del "serpente di fuoco" per raggiungere l’illuminazione), associa il serpente con la colonna vertebrale umana e il midollo. (I biologi contemporanei fanno riferimento a tale struttura, che è alla base del sistema limbico, come al "cervello rettile" sui quali il cervello dei mammiferi più TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà evoluti è strutturato come schema di riferimento). Gli gnostici associavano inoltre il serpente a Cristo. Tra i simboli gnostici più interessanti troviamo il serpente crocefisso con il volto di Cristo. Fino al sedicesimo secolo, era facile trovare monete tedesche che mostravano il Cristo crocefisso su una faccia e un serpente crocefisso sull’altra. La logica di tale connessione avrebbe bisogno di un intero libro per un’esplorazione esaustiva, ma possiamo fare riferimento a un passo biblico per chiarirla immediatamente. Nel vangelo di Giovanni, troviamo il verso: "E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo". Ciò fa riferimento al fatto che, durante l’Esodo, Mosè aveva innalzato un serpente di rame sopra un’asta per guarire la sua gente e curarla dai morsi dei serpenti. La logica del Cristo - serpente gnostico ha un senso inoltre se consideriamo che il serpente, attraverso la muta, non rinasce solo in modo figurato, ma da anche vita al suo nuovo essere. Questo significa che il serpente nuovo è prodotto di una nascita vergine, e contemporaneamente è proprio genitore e figlio. Cristo, come tutti sappiamo, nasce da una vergine e contemporaneamente è Padre e Figlio; dopo la crocifissione, inoltre, risorge. Come l’uroboro, Cristo è l’Alfa e l’Omega – l’inizio e la fine. (Naturalmente, la madre di Cristo è Maria, una figura corrispondente alla Grande Dea Madre). Nella mia redazione di un saggio a proposito del serpente, è ora di tornare ad alcune questioni che ho lasciato sospese nelle mie reminiscenze iniziali riguardo la mia infanzia. Ulteriore ironia: è studiando le tradizioni occidentali che alla fine ho trovato una spiegazione adeguata al legame tra serpente, guarigione, morte e il numero quattro nella cultura coreana. Forse si tratta solo di una coincidenza, ma il dio greco Ermes, anche lui associato al Cristo, riporta tutti questi elementi insieme: porta il caduceo (due serpenti arrotolati attorno ad un bastone), che è il simbolo del guaritore; è la guida dei morti per l’aldilà, e il suo simbolo è la croce ermetica, il numero quattro posto su una luna crescente (simbolo per Maria e per la Dea). Mia madre sarebbe inoltre entusiasta di sapere che Ermes è legato alla diplomazia, destino che aveva previsto per me interpretando il suo sogno di nascita. Potrebbe essere meno contenta del fatto che è inoltre collegato ai ladri (anche se Cristo potrebbe essere collegato singolarmente a ciò poiché crocefisso tra due ladroni). Il drago e il serpente sono collegati nella figura di Ermes in quanto orientali: la parola "drago" viene dal greco drakon, che significa "serpente." Ma ero all’oscuro di tutto ciò durante la mia giovinezza, e feci anch’io la mia parte nel maltrattamento dei serpenti. A dodici anni, costretto da quei delinquenti dei miei compagni, decisi di verificare se, come si diceva, un serpente non muore fino al tramonto. Avevamo tutti ascoltato la storia secondo la quale se si decapita un serpente, questo non muore fino al calar del sole. In un angolo delle foreste contadine della Germania del sud, catturammo un piccolo serpente giarrettiera verde, e gli tagliammo la testa con un coltellino dell’esercito statunitense. Ed effettivamente, il corpo non sembrò giacere morto. Uno dei miei amici decise di rendere utile il nostro test – aveva bisogno di un cinturino per l’orologio, per cui decise di spellare il serpente. Eravamo tutti affascinati nel vedere che il cuore batteva ancora all’interno della carcassa traslucida, che avevamo appeso a un bastoncino. Ma la nostra pazienza non era così tenace come la nostra colpa o repulsione, seppellimmo il serpente spellato e andammo a casa molto prima del tramonto. Il cinturino non fu mai fabbricato. Quando ripenso a tale disavventura, non posso che sorridere dell’ironia insita in tale avvenimento. Il ricordo infatti mi è tornato in mente, mentre ragionavo per scrivere questo saggio, ripensando al fatto che qualcosa ci spinse inconsciamente a fare della pelle del serpente un uroboro simbolico, associando la sua morte al TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà tempo, alla circolarità e alla rinascita. E nel corso degli anni, attraverso il senso di colpa e la curiosità legati a tale vivo ricordo, quel povero serpente ha anche contribuito, a suo modo, alla mia ricerca della saggezza. Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi: siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. Matteo 10:16 [email protected] Approfondimenti: Coloro che vogliono approfondire il motivo del serpente in altre leggende su spose animali provenienti da tutto il mondo possono leggere The Serpent and the Swan: The Animal Bride in Folklore and Literature di Boria Sax. Come riferimento generico all’immaginario riguardante i serpenti, posso raccomandare: Serpent Imagery and Symbolism di Lura Pedrini; The Worship of the Serpent Traced Throughout the World and Its Traditions Referred to the Events in Paradise di John Bathurst Deane; Indian Serpent-Lore or the Nagas in Hindu Legend and Art di J. P. Vogel; Ophiolatreia: An Account of the Rites and Mysteries Connected With the Origin, Rise and Development of Serpent Worship di Hargrave Jennings; e The Encircled Serpent: a study of serpent symbolism in all countries and ages di M. Oldfield Howey. Serpent Myth di W. W. Westcott (redatto da Darcy Kuntz), è una discussione affascinante sul simbolo del serpente dal punto di vista di un iniziato della Golden Dawn Society (della quale W. B. Yeats fu membro per lungo tempo). The Wisdom of the Serpent: The Myths of Death, Rebirth, and Resurrection, redatto da Joseph L. Henderson, offre un panorama generale oltre ad un esame più strettamente psicologico del ruolo del serpente nelle iniziazioni sciamaniche, in poesia, nell’arte e nel sogno; coloro che sono interessati alle opere di Joseph Campbell potrebbero apprezzarne particolarmente la lettura. Un’ulteriore lettura psicologica viene compiuta in The Rainbow Serpent: Bridge to Consciousness di Robert L. Gardner; questo libro parla del mito aborigeno australiano su sogni, archetipi e inconscio collettivo. Per coloro particolarmente interessati al serpente nella dottrina biblica, posso raccomandare: Adam, Eve, and the Serpent di Elaine Pagels, autrice di The Gnostic Gospels; The Serpent of Paradise: The Incredible Story of How Satan's Rebellion Serves God's Purposes di Erwin W. Lutzer; The serpent was wiser: a new look at Genesis 111 di Richard S. Hanson; Serpent symbolism in the Old Testament: a linguistic, archaeological, and literary study di Karen Randolph Joines; e Trail of the Serpent: The Story of Satan Told in the Bible, from the Fall to the Lake of Fire di Robert Peterson. A coloro interessati al serpente e la sua relazione con la tradizione femminile consiglio Power of Raven, Wisdom of Serpent: Celtic Women's Spirituality di Noragh Jones, che esamina i legami tra tradizione pagana e cristiana nel folklore scozzese. The Serpent and the Goddess: Women, Religion, and Power in Celtic Ireland di Mary Condren parla della tradizione legata alla figura celtica di Santa Brigida, tracciando similitudini e differenze tra cultura pagana e cattolica. Esistono inoltre diversi libri che esaminano il simbolo del serpente in relazione a kundalini: Serpent of Fire: A Modern View of Freschi di portale Kundalini di Darrel Irving, e altri autori, è una guida per l’attivazione della kudalini (e comprende avvertimenti utili). Per un resoconto diretto riguardo i pericoli e le trasformazioni legati al risveglio della kundalini, leggere Dancing with the Serpent, di Patricia Anne Bloise, che fornisce anche una panoramica generale e la storia del mito. The Green Serpent and the Tree di James N. Judd analizza i paralleli tra il concetto dei chakra nello yoga kundalini e le dieci sefirot della Kabbalah. Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Realms of Fantasy magazine, 2000. E’ proibita la sua riproduzione in qualsiasi forma senza espressa approvazione da parte dell’autore. pag.76 LO SPLENDORE DI UR (postato da Simonetta Santandrea). Con il paese devastato dalla guerra cominciata nel 2003, il debole governo di Baghdad (Iraq) ha avuto ben altre priorità che finanziare scavi su larga scala a Ur – ritenuto il paese di nascita di Abramo e una delle culle della civiltà -. Dal 2005 lavorano solo piccole squadre. “Quando riprenderanno gli scavi (su larga scala), tonnellate di oggetti antichi verranno portate alla luce, riempiendo interamenti i musei. Questo sito diventerà forse più importante di Giza”, dice entusiasta Dhaif Moussin, il cui compito è proteggere il sito dai tombaroli. All’inizio del’900 l’archeologo inglese Charles Leonard Woolley fece delle scoperte sbalorditive dissotterrando 16 tombe dell’élite di Ur. All’interno erano conservati alcuni dei più grandi tesori dell’antichità, inclusi un pugnale tempestato di lapislazzuli, una statua dorata di capra (associata da Wolley al biblico Ariete nel boschetto, foto sotto), una lira decorata con testa di toro e un copricapo di piume d’oro della regina Sumera Puabi. Dal punto di vista archeologico, la scoperta più straordinaria di Ur è stata una ziqqurat (o ziggurat) eccezionalmente ben preservata. È datata al III millennio a.C., quando faceva parte di un complesso di templi che servivano come centro amministrativo. Fino a oggi, appena il 20% del sito è stato scavato. “Alcuni archeologi stimano che ci vorranno più di 30 anni per scavare l’intera città”, dice Moussin. “Ur dei Caldei”, com’è menzionata nel Vecchio Testamento, era uno dei grandi centri urbani della civiltà sumera e rimase una città importante fino alla conquista di Alessandro Magno. Si pensa che Ur raggiunse il suo apogeo sotto il re Ur-Nammu (2112-2095 a.C.), un abile guerriero e fondatore della terza dinastia di Ur (o sumera). Durante il suo dominio, la capitale sumera vantava strade lastricate, viali alberati, scuole, poeti, scribi, e favolosi lavori di arte e architettura come quelli scoperti da Woolley. Il regno era governato da una reale amministrazione e da un “codice” di leggi. La scrittura sumera cuneiforme è il primo sistema di scrittura conosciuto al mondo. Si spera di provare che Ur fu il luogo di nascita di Abramo; Woolley ne scoprì il nome su un mattone lì dissotterrato. Comunque, per il momento, Ur rimane sepolta sotto il sito protetto da una fragile barriera e da alcune guardie, persa in un paese scosso dalla violenza e più preoccupato di ricostruire la sua attuale capitale. Nella sola provincia di Dhi Qar, oltre a Ur, ci sono 47 altri siti di grande valore archeologico. Fonte: The Telegraph http://ilfattostorico.com TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Dreamland 1 pag.77 Il primo rapimento polacco © J. Antonio Huneeus Si ringrazia Maurizio Baiata e www.openminds.tv per aver concesso il permesso alla pubblicazione di questo studio tematico. Il reporter investigativo della Open Minds, J. Antonio Huneeus, ha coperto il campo degli UFO da un punto di vista internazionale per oltre 30 anni. I suoi articoli sono apparsi in decine di pubblicazioni negli Stati Uniti, America Latina, Europa e Giappone. Egli è stato anche co-autore del "Documento sulle direttive UFO - la migliore prova disponibile", finanziato dalla Laurance Rockefeller e ha curato il libro "una guida allo studio degli UFO, fenomeni psichici paranormali in URSS". Huneeus ha studiato francese presso l'Università della Sorbona a Parigi e Giornalismo presso l'Università del Cile a Santiago nel 1970. Ha insegnato presso decine di conferenze UFO in tutto il mondo ed è stato intervistato da molti mezzi di informazione tra cui il Washington Post, la Sy-Fy e Canali Storia, Nippon TV, ecc Ha ricevuto il premio per "Ufologo dell'anno" assegnato alla Conferenza Nazionale UFO a Miami Beach nel 1990 e il coraggio "del Giornalismo" consegnato presso la Conferenza-X a Gaithersburg, nel Maryland, nel 2007. Il contadino polacco Jan Wolski Fonte: Openminds.tv J. Antonio Huneeus Il rapimento del 71enne Jan Wolski nella piccola comunità agricola di Emilcin nella parte orientale della Polonia, il 10 maggio 1978, è stato il primo rapimento UFO segnalato in Polonia ed è stato seguito da un flap di avvistamenti in cui sono stati segnalati una serie di piccoli umanoidi simili tra loro che indossavano uniformi nere, come le tute dei subacquei. Gli scettici forse respingerebbero la faccenda TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Wolski come una fantasia, perché il testimone principale era un vecchio contadino di umili origini e l’altro solo un bambino di sei anni. Essi potrebbero anche far notare i dettagli strani come la pelle verde della fronte e delle mani degli umanoidi e la descrizione quasi primitiva dell'UFO, paragonato da Wolski a un autobus "con una piattaforma che sembrava fatto di legno”. Eppure il caso Wolski è molto più di una fantasia. Al contrario, esso costituisce un punto di riferimento utile per lo studio di una relazione sul sequestro con ben poca, se non addirittura nessuna, contaminazione sociale proveniente dal mondo esterno, cioè con nessuna esposizione mediatica trendy (come quella) che caratterizzava la ricerca americana contemporanea sui rapimenti. L'ufologia polacca stava appena emergendo come un'entità indipendente, quando l'incontro ravvicinato di Emilcin si è verificato nel 1978, eppure sembrava pronta alla sfida. La Polonia è stato il primo paese del mondo comunista di allora a sviluppare un movimento civile ufologico con organizzazioni, conferenze e bollettini, che fosse sia legale sia indipendente dallo stato. Nel caso di Wolski, un gruppo di psicologi, sociologi e medici presso l'Università di Lodz ha testato il testimone, controllando il suo contesto sociale e esaminando attentamente il suo racconto. Gli scienziati si sono convinti che Wolski stesse dicendo davvero la verità e che si fosse verificato qualcosa di inspiegabile a Emilcin. Ho sentito parlare di Wolski per la prima volta nei primi anni '80, quando Colman von KEVICZKY del ICUFON mi ha mostrato una lettera di sei pagine scritta in inglese scadente, con foto e illustrazioni allegate,dedicata in gran parte a questo caso, scritta dall'ufologo di Varsavia Michael Groszkoewicz. Ho controllato alcuni articoli brevi su riviste americane e internazionali che descrivevano l'incidente, ma non fornivano un resoconto di prima mano sull'inchiesta. In Polonia nel 1982 hanno anche pubblicato un libro a fumetti sul caso Wolski (potete vederlo alla fine di questo articolo). Infine ho acquistato due rapporti completi che hanno posto rimedio a questa situazione. La prima era una selezione di diversi rapporti scientifici, lettere e trascrizioni di interviste di uno dei principali investigatori, il sociologo Zbigniew Blania Bolnar, inclusa nel quinto volume della serie scritta dal Prof. Felix Zigel's sugli sbarchi UFO in URSS ed altri paesi, tradotta recentemente dal russo da Dimitri Ossipov e rilasciata in congiunzione dal Dr. Richard Haines e dalla USA-CIS Federazione sulle Anomalie Aeree. La seconda fonte è un rapporto completo sul caso Wolski, basato non solo sulle indagini di Bolnar, ma anche sulla ricerca di vari club UFO e di persone polacche. E' stato preparato dal Club di Wroclaw per la divulgazione e l'esplorazione degli UFO (WCPE-UFO) e pubblicato in inglese nel Regno Unito dal Periodico sui Dischi Volanti “Flying Saucer Review” (Vol. 36, No. 1, marzo 1991). Anche se ci sono varie discrepanze minori, la struttura di base del resoconto è valida e coerente. Proprio la personalità e il buon senso di Wolski, con i suoi tratti folkloristici, ci offrono una storia affascinante (e vera!). Vediamo il dettaglio. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Una corsa insolita Emilcin, Polonia (Image credit: Google Maps) Emilcin è un piccolo borgo agricolo di circa 70 fattorie in provincia di Lublino nella Polonia orientale, non lontano dal confine con la Bielorussia e l'Ucraina. Secondo la relazione WCPEUFO, al momento dell'incidente Emilcin non aveva "nessuna scuola, nessun club, nemmeno un giornalaio, e solo un singolo negozio!". Nato il 29 maggio 1907, Wolski non aveva mai lasciato la nativa Polonia ad eccezione di una visita in Ucraina prima della seconda guerra mondiale. Inoltre, Wolski non aveva nè il televisore nè una radio, e leggeva i giornali solamente quando glieli portavano a casa i figli. Da giovane Wolski aveva letto la Bibbia e i libri di storia, ma, come aveva osservato il dottor Bolnar, Wolski essenzialmente non aveva tempo libero, perché era il capo famiglia e, nonostante la sua età, la maggior parte dei compiti connessi con l'agricoltura dipendevano da lui. "Giuro solennemente davanti a Dio che il mio resoconto sull'incontro con gli extraterrestri, il 10 maggio 1978, è assolutamente vero. Dio mi è testimone che sto dicendo la verità". Questo è stato il giuramento firmato da Wolski, un devoto cattolico romano, alla presenza di due testimoni, che ha convinto il sacerdote locale, quasi centenario, che Wolski stava davvero dicendo la verità. Nella sua relazione Bolnar ha affermato che "si è scoperto più tardi", che "il testimone non sapeva cosa volesse dire la parola 'extraterrestre' ". Allo stesso modo, egli non ha dato alcun significato religioso alla sua esperienza, essendo semplicemente perplesso dal fatto che gli esseri - solo stranieri - forse orientali dati i loro occhi a mandorla, avevano la pelle verde. “Non vi è dubbio che il testimone è profondamente convinto che tutto ciò che gli e' accaduto è stata una realtà oggettiva”, ha scritto Bolnar. Interpretazione artistica degli umanoidi dai visi verdi incontrati da Wolski (immagine: Nautilus Foundation) Wolski aveva lasciato la sua azienda agricola verso le 5 in un carretto tirato da una cavalla di 4 anni. Qualche tempo dopo le 7 stava percorrendo una strada di campagna, quando vide due persone camminare nella (sua) stessa direzione. Inizialmente pensò che fossero cacciatori. Gli esseri rallentarono e si misero a camminare in cerchio, come se stessero aspettando il carretto. A questo punto Wolski è stato colpito dalla sfumatura verdastra dei loro volti, afferma il rapporto WCPE UFO. “Il modo in cui camminavano era simile al modo in cui i subacquei camminano sul fondo del mare: stavano facendo dei 'salti leggeri'”. Gli esseri camminarono accanto al carro per un tratto breve e poi saltarono ai due lati del contadino. Wolski poi descrisse quegli esseri come umani, ma con gli occhi a mandorla e gli zigomi prominenti. Indossavano una tuta attillata, con cappuccio e con una specie di pinne sui piedi. “La gente dice che questi abiti sono indossati dai subacquei, ma non ho mai visto un subacqueo, quindi non posso dire”, ha detto Wolski al dottor Bolnar . Quando il ricercatore ha chiesto che cosa pensasse degli esseri, Wolski ha risposto: "Niente, cosa c'è da pensare? Vedo alcuni (esseri) strani. E allora?”. L'agricoltore non si senti' mai minacciato dagli esseri. “Non si sono rivolti a me, hanno parlato tra loro, ma chi sarebbe riuscito a capire quel linguaggio?”. Wolski ha detto a Bolnar, imitando qualcosa come 'ta-tata-ta' senza interruzione. Il carretto continuò con tutti e tre per un tratto breve fino a quando raggiunsero una radura dove un aggeggio strano aleggiava in prossimità del suolo. Si potrebbe descrivere come un veicolo rettangolare con un tetto leggermente ricurvo. Nelle parole di Wolski, non un UFO o una navicella spaziale, ma “un un autobus sospeso in aria, a circa 3 o 4 metri da terra, piu' basso della cima delle betulle. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Era vicino ad una parete di alberi (molto) fitta in un angolo appartato della radura, indicando che era (ben) nascosto agli osservatori esterni” ha detto Wolski. L'imbarcazione vista da Wolski con le dimensioni ( immagine: archivi ICUFON) Le dimensioni dell'oggetto variano leggermente a seconda delle diverse fonti polacche. Le stime nella relazione della WCPE-UFO (suggerivano) che fosse di circa 5 metri di lunghezza, 3 m di larghezza e 2,5 m di altezza; altre stime arrivavano fino ad una lunghezza di 10 m. Una caratteristica interessante del cosiddetto 'autobus' era la canna a forma di barile presente in ogni angolo, con coppie di viti rotanti (in movimento) ad alta velocità, che emettevano un ronzio. Gli umanoidi comandarono a gesti il vecchio contadino e lo fecero salire su una piattaforma liscia sospesa. I dispositivi ad alta tecnologia sono decisamente fuori luogo in questo racconto. Nelle parole di Wolski “Mi fece segno di andare con loro. Scesi e ci avvicinammo all'autobus e da lì, dall'alto, scese una piccola piattaforma su corde. Uno di loro mi invito' a salirci. Salii e lui venne accanto a me, mentre il secondo si voltò verso il cavallo, che in quel momento inizio' a pascolare”. Uno strano esame Nonostante il caso Wolski abbia una sequenza narrativa sostanzialmente simile a quella di molti casi di rapimento l’ho trovato particolarmente interessante perché il contadino non si riferisce mai alla sua esperienza usando termini ufologici o connessi con lo spazio. Ci ha detto che, dopo un passaggio veloce sulla piattaforma, entrò in una stanza rettangolare buia e vuota con muri del colore della Bakelite, senza mobili se non alcune basse panche. All'interno c'erano altri due esseri simili con le facce verdi e fecero segno a Wolski di spogliarsi. Giacché il clima era ancora freddo (Wolski) aveva una giacca, un maglione e una camicia. “(Lui) mi segnalo' di spogliarmi completamente” ha detto Wolski a Bolnar, aggiungendo "mi sono tolto tutto e sono rimasto lì (in piedi). E l'altro teneva in mano qualcosa come due piatti ... si fermò davanti a me e mise queste tavole insieme in modo da farle cliccare. Poi, quello che era venuto con me, mi ha girato su un lato, mi ha sollevato le braccia e l'altro ha fatto di nuovo clic." Questo è sostanzialmente il racconto fatto da Wolski sull'esame. Tuttavia notò anche delle cose non comuni nelle storie di altri rapimenti. Per esempio, ha descritto gli esseri che mangiavano “qualcosa come un ghiacciolo” che si ruppe in pezzi come i pasticcini. “Anche quello che è venuto con me ne ha preso un pezzo e me l'ha offerto” ma Wolski ha rifiutato. Anche di interesse (un altro fatto interessante) è stato un certo numero di uccelli, una decina di corvi neri, sul pavimento che sembravano vivi ma paralizzati. Secondo la relazione della WCPE-UFO, Wolski ha osservato che l'entità che non aveva partecipato al suo esame stava camminando nella camera e “di tanto in tanto, metteva un bastoncino nero in due buchi in una delle pareti ... l'entità continuava a girare il bastoncino in ogni buco, come quando si gira una chiave in una serratura”. La forma delle calzature della creatura stimato dalle impronte (immagini: archivi ICUFON) Dopo l'esame hanno detto a Wolski, ancora una volta a gesti, in quanto (Wolski) non ha mai provato la comunicazione telepatica con gli esseri, di rivestirsi e “mi hanno fatto cenno che potevo andare. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Sono andato verso la porta, ma mi sentivo a disagio ad andarmene così. Avevo il cappello in testa, così (arrivato alla) la porta me lo sono tolto e ho detto: Arrivederci (qui fa un profondo inchino). Anche loro hanno fatto un inchino e hanno sorriso” Wolski passo' ancora una volta sulla piattaforma “e di colpo ero giù!” Si sono fermati davanti alla porta e mi hanno guardato, sono salito sul carretto, ho frustato la cavalla, ma lei aveva paura dell'autobus. Il cavallo si allontanò dalla macchina e si mise al galoppo verso casa, ci sono voluti una decina di minuti (per arrivare). Solo sua moglie era lì quando Wolski è arrivato verso le 8. I figli tornarono un po’ più tardi e, dopo aver saputo quanto era successo, si precipitarono verso la radura dove trovarono molte tracce che sembravano essere state fatte da calzature strane. Giacchè aveva piovuto da poco e c'era un sacco di fango sulla strada sterrata e nella radura, i due figli di Wolski insieme a quattro vicini poterono verificare la presenza di queste impronte” Un investigatore le ha descritte come “di forma trapezoidale, quasi rettangolare” e “leggermente più lunghe di un piede umano di una dimensione normale corrente”. Purtroppo, non sono stati fatti calchi o fotografie delle impronte. Quando gli investigatori arrivarono a Emilcin due settimane più tardi, le impronte erano state cancellate e poterono creare disegni basati solamente su testimonianze oculari. Gli investigatori furono in grado di trovare un'ulteriore testimone, Adas Popiolek, un bambino di 6 anni, che stava giocando con la sorellina di 4 anni in una fattoria situata a 800 m ad ovest dal sito dell' incontro. La madre dei bambini, che era all'interno della casa per preparare un pasto, ricorda di aver sentito "un tremendo rumore come un tuono" la mattina del 10 maggio. “Poco dopo”, riferisce il WCPEUFO “il figlio Adas è venuto in casa a dirle che aveva visto un aereo simile a un autobus, che volava molto basso sul granaio. Questo aereo aveva un solo finestrino, da cui (attraverso cui) Adas aveva visto il pilota ... Dopo essere passato vicino al cortile della fattoria, l'aereo era salito in verticale in aria ed era scomparso. E 'stato in quel momento che il suono del tuono è stato sentito anche da altre due persone, oltre ad Adas e a sua madre.” Un'indagine approfondita Questi sono sostanzialmente i fatti fondamentali della narrazione di Wolski, anche se i rapporti di Bolnar e della WCPE-UFO sono molto più ricchi di dettagli di quanto lo spazio di questo articolo ci permetta. La profondità delle indagini svolte dal sociologo dottor Blania Bolnar e dal Dott. Ryszard Kitlinsky, psicologo presso l'Università di Lodz, è veramente ammirevole. Alcuni dei test eseguiti su Wolski includono un test di percezione tematica, un test del QI nella scala di Wechsler per adulti, una misura psicogalvanometrica della tensione psichica (la macchina della verità), oltre ai test oculistici e clinici. Questo monumento è stato costruito nella zona di osservazione per commemorare l'esperienza di Wolski Inoltre è stato inserito un controllo fisico completo , rivelando che Wolski era in ottima salute, nonostante la sua età e che aveva “una vista di qualità eccezionale, raramente riscontrabile in quella fascia d'età”. La relazione di Bolnar nel libro del Prof. Zigel è di oltre 30 pagine compilate a spazio singolo. “La valutazione psicologica e sociologica di Jan Wolski” comprende sezioni sui “Motivi dal punto di vista di una ipotetica menzogna” (nessuna, secondo la relazione), le sue emozioni, la memoria, lo sviluppo mentale, la suscettibilità alla suggestione, la capacità di fantasticare, l'inclinazione a mentire, il testimone in quanto membro di un gruppo sociale, il testimone e i mass-media, il tempo libero, gli interessi, i vizi, la religione e, infine, una valutazione del testimone dal punto di vista del risultato della sua esperienza. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Gli scienziati hanno scoperto che Wolski è stato un testimone straordinariamente credibile. Per esempio, ha scritto Bolnar, “i risultati della prova di percezione tematica indicano senza ombra di dubbio che il testimone non ha alcuna capacità di inventare storie di alcun genere. Non dispone di creatività mentale. Non è in grado di raccontare una storia fittizia, anche se semplice”. Allo stesso modo, dopo lunghe interrogazioni e controlli del contesto sociale è emerso che il testimone era una persona onesta, veritiera, brava e questo è stato confermato durante gli esami delle prove. Era molto considerato all'interno della sua comunità e non era noto come bevitore di alcolici, fumatore o con qualsiasi altro vizio sociale. Soprattutto è la sua personalità pratica e con i piedi per terra ad essere convincente. Il testimone ha mostrato in genere una bassa inclinazione alla paura e non ha riconosciuto la situazione in cui si trovava come una minaccia. Per quanto riguarda il comportamento degli esseri, il soggetto ha sottolineato a più riprese che sono stati educati e lo hanno trattato con cortesia e considerazione. Kitlinsky e Bolnar infine hanno esaminato e valutato diverse ipotesi tra cui una bufala, un'allucinazione o un sogno, un'apparizione religiosa, una suggestione, una coercizione da parte di terzi, l'atterraggio di un elicottero o imbarcazioni sperimentali, ecc. Tutte queste ipotesi sono state stimate con percentuali molto basse dagli scienziati (in genere entro l'1 o il 2%). L'eccezione era ciò che essi chiamavano “Riepilogo dell'ipotesi: l'evento con la testimonianza è stata una realtà oggettiva. Nel momento cruciale, ha notato e ha dichiarato la sua esperienza in conformità con la realtà, ha descritto un comportamento degli esseri, la disposizione e il comportamento del veicolo, lo sviluppo degli eventi, ecc…” Questa ipotesi è stata valutata al 90% da Kitlinsky e al 98% da Bolnar. La loro ipotesi conclusiva è che questo caso, indica l'esistenza di un fenomeno sconosciuto alla scienza. La prima pagina della trasposizione a fumetti dell’episodio www.openminds.tv TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Dreamland 2 pag.83 Spirali di luce Misteriosi fenomeni in Norvegia e in Cina © 2010 Andrea della Ventura Andrea della Ventura Il 9 dicembre 2009 alle 8.45 una strana luce spiraliforme è stata avvistata e ripresa sui cieli di una cittadina norvegese. L'oggetto ha immediatamente scatenato il dibattito; chi dice che si potesse trattare di una meteora, chi parlava invece di un missile sperimentale lanciato da un sottomarino russo. La luce misteriosa ha sbalordito anche gli esperti, che credono si sia trattato di un TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà evento del tutto nuovo; un fenomeno atmosferico, visto che in qualche modo ricordava un'aurora boreale, anche se le aurore boreali sono preventivabili con approssimazione più che buona? Oppure un oggetto volante non identificato? Migliaia di norvegesi hanno bombardato di telefonate l'Istituto Meteorologico per chiedere della spirale comparsa all'alba. La tesi del missile è molto gettonata, anche per la scia che appare nelle immagini: peraltro, sembra che la marina russa abbia precisato di non aver avuto manovre in corso. Un fenomeno comunque mai visto prima, una luce roteante su se stessa che presentava un 'buco nero' centrale. Molti hanno pensato ad un'attività Aliena. attorcigliato, improvvisamente ha generato una spirale che è diventata sempre più grande. Test Russo Spirale Tutto è cominciato quando l'oggetto è apparso da dietro una montagna; si è fermato a mezz'aria ed ha poi cominciato a muoversi in circolo. Dall'aeroporto di Tromse gli addetti al controllo del traffico aereo, facevano sapere che non poteva trattarsi di aurora boreale o comunque un fenomeno naturale che è durato una dozzina di minuti prima di scomparire completamente. Le luci di colore bluastro hanno stupito molte persone e alimentato una vera e propria psicosi di massa, amplificata anche dalle tv locali. Nel giro di pochi secondi la gigantesca spirale era visibile per diversi chilometri nei cieli a nord del Paese, dalla provincia di Trøndelag fino a Finnmark. La tv nazionale norvegese NKR ha mostrato il video e in rete sono comparse foto, si diceva potesse essere un razzo sparato da un sottomarino russo nel Mar Baltico, ma da Mosca arrivavano solo smentite. «Non ho mai visto una cosa simile», ha detto Erik Tandberg, uno dei massimi esperti di aurore boreali. Un testimone ha raccontato di un raggio verdognolo simile al colore del fenomeno ottico dell'atmosfera, però stranamente regolare e Per alcuni testimoni il misterioso fenomeno era un meteorite; altri giurano siano stati degli Ufo. L'Istituto Metereologico è stato bombardato di chiamate. La luce era l'oggetto più grosso presente in cielo, più grosso della Luna, e visibile a centinaia di chilometri di distanza. Nel frattempo si è rafforzata l'ipotesi che potesse trattarsi di un fallito lancio di un razzo russo da un sommergibile nel Mar Baltico. Già battezzato "star Gate", "wormhole", "Buco nero" o altri termini vicini alla fantascienza cinematografica, il fenomeno non ha ancora avuto nessuna spiegazione da parte della scienza e degli apparati militari. La teoria del missile Russo è stata sostenuta da Pål Brekke dello Space Center norvegese, che ha sottolineato tuttavia che al momento dell'apparizione della misteriosa luce vigeva un divieto assoluto di navigazione in quell'area. In realtà, la Norvegia è già nota per una località in cui luci misteriose ed ancora prive di spiegazione compaiono quasi quotidianamente. Dal canto suo, la flotta russa del Mare del Nord non ha però finora comunicato lo svolgimento di test, sebbene gli TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà accordi internazionali in materia obblighino i militari ad informare in anticipo di imminenti lanci. Hessdalen è quella che pare una tranquilla località della Norvegia, con poco più di un migliaio di abitanti. Una cittadina come altre, se solo non fosse che ha una media di circa 20 avvistamenti di luci misteriose ogni settimana. Le luci vanno da globi luminosi che appaiono e scompaiono, volando in formazione e cambiando colore, ad anelli luminosi che compaiono improvvisamente nel cielo, allargandosi fino a svanire nell'oscurità della notte. Stargate dimensionali Sergio Bertolucci, italiano con l’incarico di Director of Research and Scientific Computing al CERN di Ginevra, dichiarò tempo fa che: "La macchina [LHC] potrebbe creare o scoprire dei fenomeni scientifici mai immaginati prima, o "misteri sconosciuti", per esempio dimensioni alternative, porte spaziotemporali ed altro ancora. Da queste porte potrebbero uscire cose misteriose, o potremmo inviare qualcosa attraverso di esse". L'Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare, conosciuta con l'acronimo CERN, è il più grande laboratorio al mondo di fisica delle particelle. Si trova al confine tra Svizzera e Francia alla periferia ovest della città di Ginevra. Qui i fisici cercano di esplorare i segreti della materia e le forze che regolano l'universo. Ma cosa sta succedendo nei cieli di tutto il mondo? Una spirale simile a quella apparsa nel cielo notturno della Norvegia infatti due giorni dopo è comparsa anche in Cina. Non si tratterebbe quindi di missili, ma al contrario potrebbe trattarsi di varchi spazio-dimensionali molto simili ai Worm-Holes attivati da concentrazioni di particelle di antimateria generate dall'LHC a nostra insaputa. Uno scorcio dell’LHC La spiegazione ufficiale riportata dai media è quella di essere stati dei fenomeni originatisi da test militari di lanci missilistici falliti, che tra l'altro non convince molto, mentre fino a poco prima le più disparate teorie hanno preso il sopravvento tra le genti confuse e stupite. Se l’ipotesi sembra fantascientifica, in realtà non si sa bene quale potrebbe essere il risultato della sperimentazione che ha come scopo quello di rilevare il Bosone di Higgs, la "particella di Dio" che promette di aiutarci a scoprire alcuni dei misteri della fisica che rimangono impermeabili alle nostre indagini. Alcuni fenomeni inaspettati sono previsti dalla serie di esperimenti che vedranno coinvolto il Large Hadron Collider. Di certo però si esclude la creazione di un buco nero che possa inghiottire l’umanità intera e la Terra, o la liquefazione del nostro pianeta e di tutte le forme di vita che ospita. Ipotesi olografica L'ipotesi UFO, Stargate o varchi dimensionali per poi finire con le supposizioni di apparizioni mistiche e divine. E se invece tutte queste fossero immagini olografiche create grazie alla tecnologia del Project Blue Beam, un progetto ideato e creato dal Governo Ombra americano e avente dei fini e degli scopi ben precisi sul genere umano? La maggiore ambizione del Progetto Bluebeam sarebbe convincere la gente che la Terra sta per essere invasa dagli extraterrestri. Nel 1938, l'attore Orson Welles fece finta di trasmettere in diretta radiofonica la cronaca di uno sbarco di "alieni" nel New Jersey. In realtà non si trovava là, ma si servì di attori ed effetti speciali all'interno di uno studio radiofonico. Il programma, una versione radiofonica del "romanzo" Guerra dei mondi di H.G. Wells, provocò terrore e panico nei luoghi in cui si diceva si trovassero gli invasori marziani. Ecco come il dottor Richard Boylan si è espresso in merito all'apparizione della spirale in Norvegia: "Questa spirale ovviamente falsa nel cielo è un ologramma 3-D generato dalla Cabala per: 1) un'esercitazione di immissione di false luci nel cielo, in preparazione di una successiva proiezione di immagini di guerra psicologica, come "l'arrivo degli invasori alieni"; 2) per distrarre i media dalla consegna del Nobel per la Pace al Presidente Obama avvenuta ad Oslo, in Norvegia; 3) per generare speculazioni tra i cittadini disinformati che "gli UFO avessero qualcosa a TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà che fare con questi fenomeni", mentre poi gli esperti della Cabala se ne vanno in televisione a farsi beffe di queste "credulità" e offrono spiegazioni "scientifiche" alternative". Stesso discorso dell'ipotesi olografica vale per la gigantesca "piramide" apparsa sulla Piazza Rossa del Cremlino in Russia il 10 Dicembre 2009. Il filmato è stato girato da dentro un'auto ma a quanto sembra non è un riflesso nei vetri. Il video mostra la piramide di notte e l'altro alla luce del sole. Ovviamente, come accade sempre in questi casi, la polizia si è rifiutata di fare commenti. Come riporta il Telegraph, Nick Pope consulente del ministro della Difesa della Gran Bretagna, esperto di Ufo, ha affermato che si è trattato del video «più straordinario sugli avvistamenti di Ufo» che lui abbia mai visto: “All'inizio pensavo si trattasse di un riflesso di luce ma poi ho notato che l'oggetto si muoveva in un modo tale da poter scartare questa ipotesi”. Secondo testimoni l'oggetto potrebbe essere stato profondo un chilometro e mezzo. La piramide nei cieli di Mosca Il Project Blue Beam sarebbe quindi una tecnologia olografica usata insieme con altre tecnologie, armi di controllo della mente che utilizzano gli effetti delle onde di radiofrequenza sul cervello. Sarebbe capace di proiettare delle immagini nel cielo e di indurre il pensiero collettivo a convincere la gente che stanno vedendo un’invasione aliena. In linea di principio, userà il cielo come uno schermo, generando le immagini simultanee di un progetto dai satelliti ad ogni parte del pianeta. Lo studioso del fenomeno UFO, nonché professore, Norio Hayakawa (Su uno dei prossimi numeri di Tracce d’eternità sarà pubblicata un’esclusiva intervista a Noryo Hayakawa NDR) dice che questo piano si chiama "Progetto Panico" e che verrà usata una tecnologia sofisticata per creare l'illusione ottica di un'invasione da parte degli UFO. Ciò potrebbe dare ai governi e alle Nazioni Unite la scusa per proclamare uno Stato globale di emergenza e tutti i poteri straordinari e i decreti presidenziali saranno attuati. In tale contesto, potrebbero inquadrarsi i singolari fenomeni in Norvegia, in Cina ed a Mosca: nei cieli dei primi due Paesi è stato osservato un vortice azzurro, sulla capitale russa una piramide. E che altro dovremo aspettarci in futuro? [email protected] Fonti: The SUN www.corriere.it www.tecnocino.it noiegliextraterrestri.blogspot.c om www.cospirazione.net Freschi di portale pag.86 Spiaggiata la carcassa decapitata di una misteriosa creatura (postato da Gianluca Rampini). La carcassa di questa misteriosa creatura decapitata è stata trovata sulle spiaggie della costa orientale statunitense, presso Lower Cove. L’animale è lungo circa 5 metri ma ne manca della testa. Dispone apparentemente di una sola pinna e si allunga in una coda ripiegata sulla sabbia. Il pescatore che per primo ha scoperto il corpo lo aveva inizialmente confuso per quello di una foca. Sbarcato dalla sua imbarcazione si è presto reso conto che certamente una foca non era. Il Dipartimento della Pesca locale sta conducendo le indagini necessarie per scoprire di cosa si tratti, per ora nessun pescatore interpellato ha saputo fornire una qualche ipotesi plausibile. Ma questo ritrovamenti non sono rari, in fin dei conti il mare ricopre la maggior parte del pianeta e le sue profondità sono per lo più inesplorate. Il particolare più inquietante è però la mancanza della testa. Considerate le sue dimensione viene da chiedersi quale altra creatura sia la causa di tale mutilazione. Sempre che il colpevole sia un animale. Dovremo aspettare per saperne di più, però una riflessione si può già fare: sono ben conosciuti gli episodi di mutilazioni animali che normalmente si associano all’attività aliena sul nostro pianeta. Mi sembrerebbe strano se questa attenzione fosse riservata ai soli animali terrestri, tenuto conto del fatto che il mare ospita anche molte specie di mammiferi, target preferenziale del fenomeno delle MAM. Sperando che la cosa non finisca in nulla come accade spesso, seguiremo per quanto possibile le notizie e le comunicheremo prontamente. fonte: www.thewesternstar.com TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Esoterismo pag.87 Operazione ODESSA: una pagina nera tra mito e realtà © Sabina Marineo www.sabina-marineo.net Sabina Marineo è nata a Venezia, dove ha studiato Lingue e Letterature Straniere e Lettere e Filosofia. In Italia ha lavorato come attrice di teatro, traduttrice di pezzi teatrali e autrice di romanzi e racconti. Attualmente vive a Monaco di Baviera in qualità di autrice e traduttrice. Storia, Egittologia, Mitologie e Dottrine esoteriche occidentali costituiscono da anni i suoi ambiti di ricerca. Sabina Marineo Nel libro “Doch die Mörder leben“ (“Gli assassini vivono ancora”) il cacciatore di nazisti Simon Wiesenthal racconta di aver avuto tra le mani un protocollo stilato nell’agosto 1944, il cui contenuto era – a dir poco – incredibile: "Nella primavera del 1946 un ufficiale americano si presentò alla nostra sede di Linz con un pesante zaino e ne estrasse una grossa busta blu. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà I documenti custoditi nella busta, così disse, li aveva presi ad un certo colonnello Keitel nel campo di concentramento di Ebensee, vicino a Bad Ischl. Gli americani non avevano notato, come del resto nemmeno io, che si trattava di uno dei documenti più sorprendenti che mai fossero caduti nelle mani degli alleati alla fine della guerra.” Il contenuto del protocollo riguardava l’Operazione Odessa. Verso la fine della Seconda Guerra Mondiale, e cioè proprio mentre un capitolo vergognoso della storia stava per giungere alla sua conclusione, iniziò un’altra pagina nefasta: l’Operazione ODESSA (“Organisation Der Ehemaliger SS Angehöriger” che significa: Organizzazione degli ex-membri delle SS). Tenuto segreto per ovvie ragioni, questo piano mirava al trasporto del capitale finanziario del Terzo Reich all’estero e al contempo all’espatrio clandestino dei maggiori criminali di guerra nazisti. Personaggi dalla triste fama come Klaus Barbie, Josef Mengele, Adolf Eichmann e Martin Bormann figuravano tra i nomi di coloro che sarebbero stati sottratti alla giusta pena e avrebbero finito la propria esistenza in qualche posto al sole, nei panni comodi di cittadini benestanti. Klaus Barbie Dopo la guerra, l’attività dell’Odessa continuò per diversi anni. Ignare di ciò, le vittime dell’Olocausto speravano di ottenere giustizia, mentre le polizie internazionali operavano instancabili in una corsa contro il tempo, per riuscire a scovare e ad arrestare gli assassini. Evidentemente ciò non impressionava per nulla alcune delle personalità più in vista della Chiesa. Josef Mengele Al contrario, vescovi e prelati si premuravano di fornire sicuri nascondigli ai latitanti. In cambio incassavano denaro. L’inquietante meccanismo del progetto Odessa si era messo in moto – così Wiesenthal nell’agosto 1944, nel salone blu dell’albergo “Maison Rouge” di Strasburgo. Qui ebbe luogo in tutta segretezza un convegno che non aveva eguali nella storia. Decine di gerarchi del Terzo Reich, importanti industriali e membri del servizio segreto nazista SD si riunirono in questa città francese al confine con la Germania. Credevano in una rinascita del governo hitleriano dopo la fine della guerra, rinascita che il patrimonio delle casse naziste avrebbe dovuto abbondantemente finanziare. Banche svizzere e argentine, organizzazioni internazionali come la World Commerce Corporation avrebbero preso in consegna e più tardi investito i miliardi del capitale accumulato in Germania, tenendo conto che TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà una parte di esso sarebbe stato impiegato subito per organizzare la fuga dei capi SS ed assicurarne le future esistenze. Le mete previste erano in prima linea USA, Canada, Argentina, Marocco, Spagna, Bolivia. Simon Wiesenthal si diceva convinto che esistesse un’unica organizzazione internazionale alla base di questo traffico infame: l’Odessa. E l’autore inglese Frederick Forsyth contribuì con il suo thriller “Dossier Odessa” alla diffusione di tale teoria. Oggi, grazie al paziente lavoro di giornalisti come l’argentino Uki Goni, si tende invece a considerare la teoria di Wiesenthal un mito. Ma… solo fino ad un certo punto. Alla luce di un’indagine durata sei anni e condotta in archivi europei e americani, Goni sostiene che non si trattò di un’unica organizzazione centralizzata, bensì di diverse reti indipendenti l’una dall’altra che però avevano tutte uno scopo comune: aiutare i criminali nazisti a fuggire. Inoltre il suggestivo scenario dell’incontro che sarebbe avvenuto nell’agosto 1944 all’albergo “Maison Rouge” non appare verosimile. I magnati che vi avrebbero preso parte, tra cui i giganti dell’acciaio Thyssen e Krupp e il re dell’industria del carbone Kirdorf, in realtà non possono essere stati a Strasburgo nel ‘44. Thyssen si trovava allora nel campo di concentramento di Sachsenhausen, Kirdorf era già morto sei anni prima e Krupp, affetto da demenza senile, si era ritirato un anno prima dalla vita d’affari. Comunque è sicura l’esistenza – confermata dallo stesso Uki Goni - di un percorso internazionale fisso che rendeva possibile ai nazisti l’espatrio. Il percorso era suddiviso in diversi itinerari, le cosiddette “ratlines” (vie dei ratti) che, partendo dalla città tedesca di Memmingen, passavano attraverso l’Austria e l’Italia. Adolf Eichmann Strade che portavano altresì da un convento all’altro. In questi luoghi di preghiera, i nazisti venivano nascosti. Indossavano la tonaca, si armavano di messale e si mescolavano ai frati come se niente fosse. Coordinatore delle ratlines in Italia era il vescovo austriaco Alois Hudal, un antisemita fervente ammiratore di Hitler e rettore dell’Istituto Pontificio di Santa Maria dell’Anima, a Roma. Mentre l’arcivescovo Giuseppe Siri, attivo a Genova, accoglieva i fuggitivi e li aiutava a imbarcarsi per l’America. Agenti segreti inglesi e americani, membri della Croce Rossa e impiegati degli uffici d’immigrazione provvedevano a fornire i passaporti falsi e i visa necessari all’espatrio. Nel 1947, le attività poco ortodosse di monsignor Hudal minacciarono di venire alla luce e si provvide subito a sospenderlo dall’incarico. Ma la fuoriuscita dei nazisti continuava. Considerando questi gravi dati di fatto, la domanda sull’esistenza di Odessa passa, a mio avviso, in secondo piano. Che un’unica organizzazione con tale nome sia realmente esistita o che vi siano state invece più reti attive incentrate su di uno stesso scopo, non fa molta differenza. Il risultato rimane, più inquietante che mai: migliaia di capi nazisti sono riusciti a dileguarsi all’estero e a passare il resto della loro vita in tranquillità, alcuni di loro addirittura nel lusso. Bisogna pensare che soltanto in Argentina, con l’appoggio del generale Juan Perón e di sua moglie Eva – il cui personaggio, oggi, è avvolto da un’aura di dubbiosa santità -, hanno trovato asilo almeno 300 gerarchi e migliaia di altri iscritti al partito nazionalsocialista. All’inizio dell’Olocausto, afferma Goni, l’Argentina di Perón chiuse le porte ai fuggiaschi ebrei, mentre dopo la fine della Seconda Guerra le aprì, segretamente, ai criminali nazisti. Perón seguiva un piano ben preciso. Il dittatore intendeva formare un’élite d’ingegneri e scienziati nazisti, uomini che avrebbero potuto un giorno occupare posti di rilievo nella politica internazionale. Tutto questo, naturalmente, dopo la vittoria finale del Reich contro il comunismo, sancita da una terza guerra mondiale. Per fortuna ci furono uomini come Simon Wiesenthal, provato dai campi di concentramento, che decisero di dare la caccia a questi delinquenti. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Alois Hudal Non per vendetta, ma per un profondo senso di giustizia. Famoso è il successo riportato da Wiesenthal con l’arresto di Adolf Eichmann. L’Obersturmbannführer delle SS era responsabile dell’organizzazione globale della deportazione di ebrei dalla Germania e da tutti i territori occupati. Sulla sua coscienza pesavano le morti di sei milioni di persone. Eichmann fu colui che stipulò il protocollo della Conferenza di Wannsee, in cui si dibatteva la “soluzione finale del problema della razza ebraica”. Nel 1945, dopo la fine della guerra, Eichmann riuscì a fuggire da un campo di prigionia americano e visse per un certo periodo nel villaggio tedesco di Altensalzkoth, dove lavorava come taglialegna nascondendosi dietro la falsa identità di Otto Henninger. Nel 1950, con l’aiuto del Vaticano e, in particolare, del solito vescovo Hudal, fuggì attraverso la ratline italiana in Argentina. Sotto la protezione del parroco di Sterzing, si era rifugiato dapprima in un convento francescano di Bolzano. Poi la Croce Rossa gli aveva procurato un passaporto falso con il nome di Ricardo Klement, e infine a Genova era riuscito a imbarcarsi per l’Argentina. Poco tempo dopo la famiglia lo aveva raggiunto. La cosa più incredibile è che già nel 1954 sia il governo tedesco che la CIA sapevano benissimo che Eichmann viveva in Argentina, conoscevano anche il nome della località in cui egli si trovava e la sua nuova identità, ma non fecero nulla per arrestarlo. Per quale motivo? È probabile che si sia temuto uno scandalo internazionale in grado di coinvolgere altri personaggi politici di alto livello. La possibilità che durante il Terzo Reich vi fossero stati dei contatti tra Adolf Eichmann e il noto giurista tedesco Hans Globke costituì un ostacolo alla cattura. Globke, infatti, aveva partecipato attivamente con il governo nazista alla compilazione di leggi e decreti che interessavano il “problema della razza ebraica”. Alla fine della guerra, Globke dovette ammettere di essere stato a conoscenza dello sterminio di massa del popolo ebreo. Eppure questo non gli impedì di assumere, negli anni ’50 e nella Repubblica Federale Tedesca, addirittura la funzione di segretario del cancelliere di Stato Konrad Adenauer. (sic!) È chiaro che, qualora Eichmann fosse stato arrestato dai servizi segreti e durante gli interrogatori avesse fatto delle deposizioni imbarazzanti nei riguardi di Globke e delle implicazioni di quest’ultimo nella politica hitleriana, il governo tedesco si sarebbe trovato in una situazione oltremodo scabrosa. Dunque si preferì ignorare le voci che denunciavano le attività del segretario di Stato a favore del partito nazionalsocialista e anzi si smentì a priori qualsiasi possibilità di contatto diretto tra lui e Eichmann. E si lasciò scivolare Eichmann nel dimenticatoio. Soltanto nel maggio 1960, grazie alle indagini di Simon Wiesenthal che individuò il domicilio argentino del nazista, Eichmann fu rapito sotto casa da agenti del MOSSAD che lo condussero in Israele. Qui fu sottoposto a processo. Simon Wiesenthal Nonostante si rifiutasse sino all’ultimo di ammettere i propri crimini, lo si giudicò colpevole e lo si condannò alla pena di morte. Il 31 maggio 1962 Adolf Eichmann fu impiccato nel carcere di Ramleh. Finalmente, dopo la morte di Eichmann, il giornalista tedesco Albert Norden, attivo nella Repubblica Democratica Tedesca e acceso comunista, istituì una campagna contro il giurista Hans Globke, intesa a dimostrare la delittuosa collaborazione di questi con il TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà regime del Terzo Reich. Processato in Germania, Globke fu condannato all’ergastolo. Anche Josef Mengele, detto “angelo della morte”, era riuscito a fuggire in Argentina. Il dottor Mengele aveva condotto terribili esperimenti medici nel campo di concentramento di Auschwitz servendosi di zingari e detenuti ebrei. Aveva inoltre mandato ben 40000 persone nelle camere a gas. Anche Mengele, come Eichmann, seguì la ratline organizzata dal Vaticano che conduceva da Sterzing a Genova, dove s’imbarcò con un passaporto fornitogli dalla Croce Rossa. Il suo nome falso era Helmuth Gregor. Nel 1949 giunse a Buenos Aires, più tardi si stabilì in Paraguay e in seguito in Brasile. Nel 1960, al MOSSAD mancava poco per catturare Mengele, ma gli agenti israeliani si trovarono di fronte ad un dilemma: se lo avessero arrestato, avrebbero messo in allarme Eichmann che si sarebbe dato alla fuga. Dunque optarono per la cattura di Eichmann e persero purtroppo di vista Mengele. Quest’ultimo morì in Brasile nel 1979, colto da un malore mentre faceva il bagno. Klaus Barbie, capo della Gestapo a Lione, fu soprannominato “il macellaio di Lione” per le crudeltà da lui operate nella città francese. Violente orge, torture, deportazioni di bambini ed efferati massacri erano stati i tragici frutti della sua malvagità. E tuttavia anch’egli riuscì a fuggire, nel 1951, in Bolivia. Il suo nome falso era Klaus Altmann; la rotta che seguì, ancora una volta, una ratline. Barbie fu accolto dal governo boliviano a braccia aperte e lavorò per il Ministero degli Interni come consigliere del dittatore Suaréz. Agli inizi degli anni ’70 i servizi segreti riuscirono a scovarlo, però l’operazione di cattura fallì. Tredici anni dopo, sotto il governo democratico del presidente Zuazo, s’intraprese un secondo tentativo che questa volta andò a segno. Fu estradato in Francia, processato e condannato all’ergastolo. Morì di cancro nel carcere di Lione, nel 1991. Un triste bilancio, che potrebbe continuare per decine di pagine accompagnato da analoghe condizioni di fuga, dalle medesime ratlines, e dagli stessi taciti aiutanti - per non usare il termine sicuramente pertinente ma più accusatore di “complici”. Rimane una domanda scottante: che cosa spinse il Vaticano a collaborare alla fuoriuscita di questi criminali? Si può parlare di movente umanitario? Perché questa è la motivazione addotta dai ministri della Chiesa. Una giustificazione alquanto vacillante e incomprensibile, giacché non si può definire “azione umanitaria” l’estradizione di pericolosi criminali, uomini privi di scrupoli che hanno torturato e mandato a morte migliaia – se non milioni! – di persone innocenti. Uomini che continuavano a propagare idee razziste e che potevano nuocere ancora. Purtroppo la Chiesa, se in un primo momento non si mostrava propensa a sostenere il movimento nazionalsocialista perché quest’ultimo fondava religiosità e filosofia di vita sul paganesimo germanico, in un secondo tempo mutò il proprio atteggiamento. Riconobbe ben presto negli esponenti fascisti un potente punto d’appoggio contro il pericolo dell’ateismo comunista. Una scelta, quindi, non certo dettata dal movente umanitario, ma da una “necessità” esclusivamente politica. In parole povere: il Vaticano era pronto a scendere a patti col diavolo pur di salvare l’esistenza della Chiesa. Il giornalista Uki Goni afferma: “Per il Vaticano e i servizi segreti degli alleati il salvataggio di collaboratori nazisti e criminali SS era parte di un comune programma anticomunista.(…) Cardinali come Montini – il futuro papa Paolo VI – erano il cervello dell’organizzazione di espatrio. Vescovi e arcivescovi come Hudal, Siri e Barrere spianavano la via ai procedimenti burocratici. Sacerdoti come Draganovic, Heinemann e Dömöter firmavano le richieste di lasciapassare. Di fronte a queste prove inconfutabili, c’è da chiedersi se papa Pio XII fosse al corrente di tali manovre.” Cardinale Giuseppe Siri TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Inoltre, durante un’udienza Una domanda estremamente privata con l’ambasciatore imbarazzante, quella di Goni. tedesco Bergen, il papa Tanto più che, sin dal 1933, manifestava “il suo pressante personalità religiose importanti desiderio di pace tra Chiesa e del Giudaismo indirizzarono Stato”. missive a Pio XII, affinché egli In questo senso una forma di condannasse pubblicamente le governo dittatoriale non persecuzioni hitleriane. disturbava affatto il pontefice, Eppure Pio XII non reagì. “dato che la Chiesa non era Al contrario. tenuta a scegliere tra un Nel 1939, in occasione di un sistema politico e un altro.” incontro con alcuni cardinali Sono dichiarazioni incredibili tedeschi, egli ribadì la propria che pesano negativamente sulla aderenza al Concordato storia della Chiesa, soprattutto stipulato con il Reich, se lette nel contesto dichiarando: “Il mondo deve dell’Olocausto. riconoscere che abbiamo fatto il Il silenzio di papa Pio XII è possibile per vivere in pace con ancora oggi materia di dibattiti, la Germania.” tema scabroso di pubblicazioni e conferenze. Che sarebbe successo se il pontefice avesse parlato per tempo? Se egli avesse condannato apertamente, dinanzi al mondo intero, le malefatte naziste? Se si fosse coraggiosamente schierato dalla parte del Bene, contro la follia diabolica di Hitler? Un atto del genere avrebbe forse potuto evitare gli orrori dell’Olocausto? [email protected] Alla ricerca di uno dei più misteriosi e controversi enigmi dell’antichità: l’eresia dei templari, attraverso inedite rivelazioni sulla ricerca del Graal e la vera identità della Maschera di Ferro. L’Eresia templare offre un contributo insolito e molto originale al dibattito sulle rivelazioni storico-religiose dell’inizio dell’era cristiana, ricomponendo un puzzle storico estremamente complesso, basato sull’incredibile mistero contenuto nella storia dei Templari. L’autrice si addentra in un labirinto fatto di luci e ombre che porta a svelare l’identità del Gesù storico e di quello leggendario, e di coloro che lo hanno accompagnato. Non mancano nuove rivelazioni, tra cui spicca la figura della Maschera di ferro. Un libro che è un po’ un saggio e un po’ un thriller, in cui i protagonisti (Giovanni Battista, Giacomo, il Priorato di Sion, Qumran, i Vangeli apocrifi, il Sacro Graal e i Cavalieri del Tempio) non mancheranno di svelare aspetti nascosti, raccontati dalla voce accattivante di una scrittrice appassionata. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Lo Spazio dell’OTTAVA pag.93 La storia Millenaria dei Cerchi nel Grano (Parte Seconda) Cerchio di luce concentrica riflesso dal rosone centrale sul pavimento del labirinto Michele Proclamato Esce il “72” sulla ruota dell’Aquila Avevo dei numeri, delle date, degli eventi, dei personaggi, un fenomeno assiale e una basilica ma continuavo a brancolare nel buio più assoluto dei miei perché. Soprattutto il mio vivere quotidiano ormai aveva subito un sostanziale contraccolpo da TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà ciò che ormai stava diventando una ragione di vita. Finalmente, dopo mesi di affannose letture, spesso senza un’apparente logica, mi resi conto di come, sempre quel rosone, avesse una ragione d’esistere direttamente collegata al Sole. Il 21 Giugno infatti al Solstizio (F6a) “esso” veniva riassunto e riflesso all’interno di una zona della basilica definita impropriamente “Labirinto”, presente fra la Navata e il Transetto della basilica. F6a Pensai quindi che, forse il senso della presenza precessionale nel rosone potesse essere compiutamente “capito” studiando e interpretando in qualche modo quella zona in cui il suo riflesso veniva ospitato. “Era giunto il momento di entrare nella casa di Celestino”. Dovete sapere che da tempo possedevo una foto del Labirinto (F 7), che ostinatamente avevo dimenticato in un cassetto, ma trovarsi di fronte realmente a quei 6 “cerchi” intimamente uniti e bicolori, nell’assoluto e assordante silenzio di Collemaggio vi assicuro è un’esperienza inattesa, intensa, quasi sofferta. F7 Labirinto di Collemaggio Quei quasi cinquanta metri quadri, contraddistinti solo da cerchi concentrici, almeno così mi apparivano in quel momento, sapevo essere la Culla del mio rosone, ma non sapevo che tipo di significato potessero avere nell’economia conoscitiva dell’evento solstiziale. Dovetti quindi anche questa volta trattenermi a lungo sulle panche che proditoriamente occupavano il luogo, prima di capire come e cosa avrei fatto per portare avanti i miei futuri studi. Fino a quando, quasi disperato, decisi una “mossa” a me per primo inaspettata: volli a tutti i costi “misurare” il Labirinto. Ero conscio di volere qualcosa di assurdo poiché sicuramente il sistema metrico utilizzato per edificare la basilica non avrebbe potuto coincidere con un’unità di misura come il “metro”, la cui storia si era conclusa, come unità di misura universalmente condivisa, solo nel 1969, ma sentivo di non avere altre strade per giungere a qualsivoglia conclusione. Riuscii quindi nell’impresa di spostare le sempiterne panche grazie all’aiuto del direttore delle Belle Arti locali, il quale condivise le mie accurate misurazioni con lo sguardo accondiscendente di chi esaudisce l’ultimo desiderio di un “condannato” alla follia pura. Come se avessi rubato alla storia stessa qualcosa di terribilmente importante, giunsi a casa trafelato, e senza indugio cercai di dare logica alla mia azione analizzando le misure prese con così tanta caparbietà. Il risultato mi lasciò a dir poco basito, poiché tutti e 6 i Cerchi presenti nel Labirinto, presentavano un diametro di 2 metri e 88 centimetri, mentre gli spazi intermedi tutti riportavano una misura di 1 metro e 44 centimetri. Com’era possibile? TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà In quel momento la cosa mi sconvolse, ma documentandomi venni a sapere che molte erano le cose inspiegabili sulla Terra quando ad essere coinvolti erano frazioni o multipli del numero “72”. Per esempio migliaia di anni prima che l’uomo “riscoprisse” la Longitudine, qualcuno, aveva disposto su tutto il globo opere enigmatiche come Ghiza, Stonhenge, Angkor, ecc. secondo riferimenti longitudinali rappresentanti multipli o frazioni di 72 . Come se non bastasse, sempre multipli o frazioni del valore in questione apparivano in tutti i testi sacri del mondo, mentre, come il professor Santillana aveva ipotizzato nel suo libro “Il Mulino d’Amleto”(1969), gli stessi, potevano essere “un modo” per ricordare, terribili eventi, occorsi alla terra e al suo illustre ospite nell’alternarsi delle ERE Precessionali. Se poi si aggiungeva il fatto che la fisiologia stessa dell’uomo è numericamente precessionale (normalmente utilizziamo in media 26000 atti respiratori al giorno, sostituiamo il tessuto epiteliale intestinale in 72 giorni, nasciamo con un peso medio neonatale di 2 chili e 600 grammi, l’ampiezza massima di un gesto atletico non può superare i 72 gradi ecc.) il quadro Solstiziale del mio rosone all’interno del Labirinto, poteva delinearsi in quel momento, semplicemente “CAOTICO”. Oggi quando ripenso alla bellezza scompaginata di quelle ricerche mi rendo conto di quanto esse fossero felici e fortunate soprattutto ora che metri e metri di detriti occupano quel meraviglioso luogo, ricettacolo sferico di un sapere senza tempo (F8). Volete sapere perché? Per un semplicissimo motivo, nel “sapere” dei Crop nulla può esistere, compreso il TEMPO, senza una chiara suddivisione frazionaria di tipo maschile e femminile. Tutto ciò che ora ostinatamente è numero vedrete diventerà geometria, suono, luce, tempo, F8 Le rovine di Collemaggio dopo il dna, ma soprattutto “sentire” un Terremoto del 6 Aprile 2009 sentire in grado di giustificare uno straordinario Universo Lo so, sicuramente tutti questi ordinato, figlio di un DIO numeri potranno procurarvi un stupendamente androgino, malcelato disappunto, se non un capace di ospitare molte più chiaro malessere, ma vorrei intelligenze di quante siamo sapeste che uno dei modi con abituati solo ad immaginare. cui i Crop “parlano” sono Passato il fastidio numerico? proprio i “Numeri”, spesso Lo spero perché, la mia corsa celati da meravigliose conoscitiva avrà anche un geometrie. andatura sostenuta, ma del Concedetemi un esempio , tutto simile a quella dei quello della foto numero 9. gamberi, in quanto la Lista dei RE ci sta ancora aspettando per aprirci le porte del mondo dei Crop. Lo stesso Leonardo da Vinci condusse esperimenti in merito sottoponendo la sabbia a determinati suoni, ed osservando come essa fosse in grado di disporsi spesso interpretando un repertorio geometrico presente in molti simbolismi esoterici. Vero era che tali studi erano passati di mano in mano perfezionandosi nei secoli, fino ad arrivare al 1969, anno in cui Hans Genny riuscì ad ottenere dei risultati sperimentali estremamente significativi tanto da costringere anche il mondo accademico a considerarli. In tale ambito anche l’acqua fu sottoposta a determinate frequenze appartenenti a note musicali ben precise. In quel contesto apparvero alcune foto riguardanti la reazione di “una” goccia d’acqua esposta ai cicli di un DO (F 10). La goccia del sapere I dati in mio possesso cominciavano a diventare rilevanti, fra questi mi colpiva il fatto che secoli prima di Einstein qualcuno, e sappiamo chi, era stato in grado di unire il F9 tempo Precessionale allo spazio costruttivo di un luogo sacro Anche voi state osservando 18 come il Labirinto. cubi avvolti dalle spire Restava comunque il problema concentriche di 144 triangoli. di stabilire di cosa Ebbene scomponete ancora effettivamente mi stessi questa immagine in lati, potete occupando con tanta frenesia farlo ve lo assicuro, avrete 216 indagante, poiché lati per i cubi e 432 lati per i effettivamente in “mano” avevo triangoli. solo una sequenza numerica. Nuovamente osservate i dati Questa volta venne in mio aiuto ottenuti, non vedete forse lo la Cimatica. stesso processo numerico pari a Come molti ormai sapranno, 1/3 e 2/3 applicato per il con questo nome, viene Rosone aquilano? designata un tipo di scienza Ebbene in questo caso le Braccia semiufficiale la quale ormai da e i Mezzibusti, sono diventati tempo studia come il SUONO palesi riferimenti temporali alle sia in grado di interagire con la Ere Precessionali con un Materia. frazionamento ben preciso. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà F10 La Goccia d’Acqua Una di quelle foto mi colpì terribilmente in quanto nettamente si poteva desumere come la conformazione assunta dall’acqua in quell’occasione, rispettasse fedelmente la struttura di un Rosone, anzi, esattamente come il Rosone da me codificato, era possibile scomporre quel rosone acqueo ottenendo gli stessi riferimenti numerico-temporali dell’Asse Terrestre. A quel punto dedussi che molto probabilmente non era la congiunta attrazione luni-solare a dettare l’ellisse assiale del nostro pianeta ( F11) ma qualcosa di diverso, forse qualcosa di simile più a un suono o più suoni, inoltre era ormai chiaro che i Rosoni tutti e senza tema oltre a parlare numericamente, potevano rappresentare con chiarezza, “frequenze” sonore ben precise, in un momento del sapere umano, universalmente accreditato come dei più oscuri. Ancora una volta una sola immagine mi chiarì mesi e mesi di letture ed elucubrazioni. Da essa infatti si evinceva come i 68 tasti appartenenti alle OTTAVE fra i Bassi e gli Acuti avessero un livello in cicli ben preciso. Potete immaginare quale fu la mia meraviglia quando constatai come il RE della prima OTTAVA fra gli Acuti fosse in grado di palesarsi a 288 Hz (F 12) dopo aver considerato come, di nuovo un RE, nella seconda OTTAVA, fra i bassi, fosse in grado di vibrare a 72 Hz. F11 Precessione degli Equinozi Chiaramente dentro di me si fece strada l’idea che la progressione numerica a cui tanta passione conoscitiva stavo dedicando, forse poteva indicare una sorta di scala vibrazionale in Hertz. Forse tutti quei numeri non erano altro che “suoni”. Forse il piccolo Eremita aveva nascosto nelle sue date qualcosa di estremamente importante per l’umanità. F12a Un RE della prima OTTAVA fra gli Acuti per ospitare un matrimonio solare d’eccezione. Non tardai, sincronicamente, ad esaminare vari testi dedicati alla figura anche esoterica del grande Pitagora. Appresi quindi che centinaia di anni prima di Cristo il maestro si rivolgeva ai suoi adepti, i più stretti e leali, proponendo una “spiegazione” alla nascita dell’Universo e quindi della materia, che nulla aveva da invidiare alle più moderne teorie quantistiche. Non solo, elaborava il suo insegnamento proponendo una vera e propria TEORIA del TUTTO fatta di vibrazioni o suoni ben precisi. Egli infatti in terra calabrese, in quel di Crotone, affermava che DIO aveva CREATO tutto ciò che vediamo attraverso pochissimi intervalli musicali esattamente “CINQUE”, tutti di QUINTA (F13). F13 L’intervallo di Quinta Divorato dalla curiosità dovetti Dal pianoforte di Celestino in fretta e furia documentarmi alle Tre Ottave di Pitagora Ora potevo aver le prove di con grande umiltà a quel mondo come tutto ciò che Celestino V del “suono” a cui appartiene la aveva fatto durante il suo musica terrestre, per poter Per la prima volta potevo Papato era stato dettato da un capire cosa fossa un intervallo dirigere il mio intuito, come la sapere strettamente collegato di Quinta, da cui: data una mia ferrea volontà verso un alla codifica di un “suono” dalle corda vibrante e divisa in TRE argomento ben preciso e non caratteristiche, come appurai, tardai a scoprire altri aspetti parti uguali pari a 1/3zi , 2/3zi camaleontiche. “musicali” degni di nota. e 3/3zi, l’intervallo in questione Ma in questo contesto rappresenterà esattamente i Riuscii infatti ad entrare in vibrazionale quale era l’effettivo 2/3 della stessa. possesso di un uno studio Se si applica tale intervallo ad vibrazionale capace di decifrare peso conoscitivo del Labirinto? Cosa poteva rappresentare una OTTAVA avremo un salto di gli Hertz emessi da ogni tasto di quella multipla simbologia QUINTA calcolando la distanza un pianoforte classico. sferica visto che era stata scelta posta fra il DO e il SOL. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Di conseguenza CINQUE intervalli da 2/3zi erano, secondo PITAGORA, la matrice creativa di tutto, un tutto che, sempre il mondo della musica, agevolmente sintetizzava attraverso un numero di OTTAVE ben preciso, TRE per la precisione, così graficamente riassunte: 888. Volendo essere precisi CINQUE QUINTE non erano esattamente TRE OTTAVE, musicalmente parlando, ma la simbologia utilizzata nella descrizione del sapere pitagorico, mi permise di vedere ciò che fino ad allora non avevo visto, ma solo “intuito”. Ore e ore trascorse, spesso seduto, sulle panche di quel Labirinto non mi avevano dato la giusta visione d’insieme, che ora come un fulmine attraversava la mia mente. Raggiunsi immediatamente Collemaggio, attraversai lentamente la navata centrale, fino a quando le RIVIDI, dopo averle viste, ignaro, migliaia di volte, le rividi immobili, splendidamente silenziose, pronte a riparlare, dopo centinaia di anni, di una Scienza solo apparentemente dimentica dall’uomo. Quei 6 CERCHI intimamente uniti non erano altro che TRE OTTO, TRE OTTAVE (F14) offese da secoli da quegli ingombranti sedili, TRE OTTO rappresentanti la testimonianza, falsamente muta, di una scienza in grado di dare alla Creazione una spiegazione praticamente sconosciuta al nostro sapere ufficiale. F14 Il Labirinto Pitagora probabilmente doveva il suo sapere alla stessa radice conoscitiva che io stavo riscoprendo. Non che le cose a quel punto mi fossero più chiare ma almeno certe simbologie, come quelle dell’OTTO avevano ora più senso, soprattutto ripensando ai vescovi eletti da Celestino o al cuore del Rosone centrale di Collemaggio, era come se il piccolo Eremita volesse voluto sottilmente dire a tutti che DIO era probabilmente un grande direttore d’orchestra capace di utilizzare un’ OTTAVA fatta di note speciali in grado di vibrare fino a TRE OTTAVE per darci tutto ciò che vediamo. Sembrava essere una spiegazione “sonica” del creato, che comunque non mi soddisfaceva, volevo di più, intuivo che molto ancora mi era oscuro, mentre osservavo incantato le meravigliose geometrie del pavimento di Collemaggio. Sapete cosa mi ha scosso di più nel momento in cui sono rientrato nella basilica di CelestinoV a poche ore dalla Grande Scossa? La POLVERE, una polvere, ottusa, pesante, ingombrante, inattesa, posatasi ovunque, e la LUCE, meravigliosa, abbagliante, penetrante, quasi dimensionale, che oggi penetra direttamente da tutta la zona posta sul Transetto, crollata completamente sulle TRE OTTAVE. Come se Inferno e Paradiso si fossero dati appuntamento in un unico luogo. Scusatemi a volte quei momenti ritornano prepotenti nella mia memoria. Ora ritorniamo a noi, integrando quest’ultima mia parte descrittiva con un operazione piuttosto pratica in grado di porre a disposizione TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà quello che ora è anche il “vostro” sapere. Osservate quindi la foto numero 15, è un Cerchio apparso alcuni anni fa a Nuerstead in Inghilterra, tenendo sempre presente che i solchi che vedete paralleli attraversare lo stesso, sono quelli lasciati da un trattore, giusto per rendersi conto della sua grandezza e della stupidità di chi per anni ha detto e dice come i Cerchi siano indubbiamente falsi, per i più svariati motivi. F15 Fatto? Benissimo, ora penso riusciate a vedere TRE OTTO congiunti secondo DIREZIONI ben precise. Ora nuovamente andate con la memoria al momento in cui il ROSONE centrale di Collemaggio si sposa al Solstizio con il Labirinto. Perfetto. In quel momento le TRE OTTAVE potranno ospitare un SETTIMO CERCHIO. Nuovamente osservate il Cerchio inglese, ha Sette Cerchi credo, di cui quello centrale caratterizzato da un Fiore particolare di cui parleremo. Benissimo da questo momento state osservando il Solstizio di Collemaggio, consumato all’interno del Labirinto, riproposto in un prato inglese attraverso un Cerchio nel Grano definito ancora oggi un mistero. State osservando la creatività delle TRE OTTAVE completata da un settimo cerchio, le cui caratteristiche sferiche ben si potrebbero riassumere attraverso sette semplici note, “DO RE MI FA SOL LA SI”. State osservando il sunto simbolico di una scienza in grado di descrivere la creazione in modi e sistemi completamenti differenti dai “Nostri”. State osservando e di conseguenza, utilizzando, una parte del vostro cervello capace di apprendere “senza ufficialmente sapere”. Forse vi state rendendo conto di come da più di Settecento anni da “noi” si facessero i Cerchi, non nel Grano, ma nella pietra solstiziale di un Labirinto, all’apparenza sonico. Ora potete capire perché “probabilmente” un semplice aquilano potrà dire la sua sui Crop, ed essere ascoltato, in un mondo di pseudo esperti a volte piuttosto discutibili. Volendo riassumere il tutto, storicamente potremmo dire che, se Carlo D’Angiò avesse proposto l’immagine di Nuerstead a Pietro da Morrone, lui avrebbe sorriso e con il cuore colmo di felicità avrebbe detto: “Gioisci figlio mio, il sapere della CREAZIONE è di nuovo fra noi”. Bè, se non proprio così, qualcosa di simile. [email protected] Michele Proclamato ha iniziato i suoi studi attraverso la riscoperta misterica di alcuni monumenti della sua città, L’Aquila. Dopo aver individuato nel SAPERE dell’OTTAVA il cuore del sapere esoterico, oggi presente in tutto il mondo, ha scritto per le edizioni Melchisedek le seguenti opere: “Il Segreto delle TRE OTTAVE”, “L’OTTAVA il Sapere degli DEI”, “Il GENIO SONICO” e “IL SEGRETO MILLENARIO DEI CERCHI NEL GRANO”. L’ULTIMO LIBRO DI MICHELE PROCLAMATO Quando Le Stelle fanno l’Amore Ossia: La Teoria Eterica del tutto Quando, alcuni anni fa, ho iniziato la mia ricerca non avevo la più pallida idea di dove questa mi avrebbe portato. Durante il tempo trascorso, neanche tanto tra l’altro, ho pensato spesso che tutto potesse finire, sono stato preso dallo sconforto, dalla rabbia, anche derivata dalla contrapposizione tra il vivere quotidiano, con tutti i suoi problemi e questa mia “febbre” che nasce da dentro e che diventa sempre più forte, man mano che si delinea, per me, il mio futuro. Forse la mia forza sta proprio qui, nell’equilibrio tra l’essere umano a tutti gli effetti e la capacità di andare oltre, di vedere ciò che, forse, altri non vedono. Più volte, dopo l’ennesima scoperta, ho temuto che non ci fosse più niente dietro l’angolo, sentendomi quasi orfano di quella sensazione così fantastica che mi porta a cercare, conoscere e scoprire, con assoluta certezza, il filo conduttore. Alcuni potranno pensare che io sia presuntuoso, ma non è così, o almeno non è così che io vivo la cosa: dentro di me, dopo aver ragionato, letto, assimilato, comparato, ma soprattutto essermi posto una marea di domande, si materializza la risposta, la soluzione, ed io, in quel momento, non ho nessun dubbio circa la sua esattezza, è una certezza, direi, assoluta. La mia presunta presunzione, si sposa, comunque, sempre, con la voglia di conoscere ancora e mi spinge sempre più in là, ai confini del sapere, ai confini del mio sapere, così, attraverso internet, stando seduto sulla mia piccola sedia, alla mia microscopica scrivania, viaggio e scopro nuovi personaggi e nuovi mondi senza fine, nella speranza che un giorno, mi auguro molto vicino, magari questi luoghi e questi personaggi potrò incontrarli davvero. Mai e poi mai avrei potuto immaginare di passare da un rosone alle superstringhe ed alle più recenti scoperte della fisica quantistica, apparentemente non hanno nulla in comune ed invece no, e se vorrete leggere questo libro, scoprirete il perché. Ciò che apprendiamo ed elaboriamo dentro di noi è un processo complesso, fatto di tantissimi infiniti passaggi, dei quali, a volte, non siamo neppure totalmente consapevoli e così, attraverso le prime scoperte numeriche, sono approdato a Leonardo da Vinci, avvicinandomi al mondo della scienza. La teoria del tutto nasce da quello che, oggi, ritengo essere, almeno una parte, del mio compito: cercare di unire Esoterismo e Scienza. E’ un compito difficile, ma io credo che i tempi siano maturi, le barriere che si sono erette tra i due mondi, in effetti, non esistono, e solo nella collaborazione tra i due, si potrà creare una nuova possibilità per l’umanità. Questo è quello che io spero, in cui credo e mi auguro che anche tutti quelli leggeranno il mio libro avranno la possibilità di vedere il tutto da un’altra angolazione, con altri occhi, più simili ai miei. Quello che ardentemente spero, è anche che qualcuno, appartenente al mondo scientifico, mi contatti, abbia voglia di scambiare con me opinioni ed idee, poichè il confronto è sempre crescita. Buona lettura a tutti Michele Proclamato TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Documenti pag.99 Amplificatori energetici dell’antichità 2010 Domenico Dati Coddu Vecchju interno camera funeraria Domenico Dati Risalenti a circa 3.700 anni fa (età nuragica), sono strutture presenti solo nell'isola di Sardegna. Costruite sulle linee magnetiche della Terra dette “ley line” si presentano come un monumento funerario caratteristico della cultura nuragica. Utilizzate come luogo di sepoltura ed ossario successivamente la tradizione popolare sarda le ha definite TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà “domu'e s'orcu” ossia casa dell'orco, poichè si pensava che il grosso quantitativo di ossa rinvenute al loro interno fossero i resti dei banchetti di un gigante. Il nome è stato poi italianizzato. Si possono trovare in tutta la Sardegna e attualmente quelle conosciute sono 321. Sono anche fonti di guarigione: viene praticata la “Gigantoterapia” rimedio per dolori articolari e carenze d'energia vitale. Di particolare interesse sono quelle di Capichera, nei pressi di Arzachena (Li Longhi e Coddu Vecchju). Il monumento megalitico (vedi schema a fianco) è composto da una lunga camera funeraria (7)(lunga dai 5 ai 15 metri ed alta da 1 a 2 metri), che poteva contenere un gran numero di inumazioni, coperta da lastre di pietra disposte orizzontalmente. La facciata è costituita al centro da una grossa stele di pietra (5)(molte volte alta anche fino a 4 metri) disposta verticalmente e ai lati da due archi di stele (4)che formano una specie di parabola orientata verso il menhir(3). Alla fine della camera funeraria è posizionato un dolmen (8). Per comodità prenderemo in considerazione la struttura di Coddu Vecchju Schema di una Tomba dei Giganti dal sito Reikinet.it Coddu Vecchju interno camera funeraria Coddu Vecchju TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Video di Coddu Vecchju dal sito neroargento.com Teoria sulle Tombe dei Giganti La teoria che sostengo è che le Tombe dei Giganti siano degli amplificatori energetici per risonanza, gli antichi che l'hanno realizzata conoscevano bene le energie magnetiche della Terra e sapevano come servirsene. Secondo la legge del ritmo elaborata da Pier Luigi Ighina ho teorizzato che il corpo del corridoio funebre (7) sia stato realizzato e costruito in modo da realizzare nei fatti una spirale (come quella d'una conchiglia). APPROFONDIMENTO Definizione di "Ritmo": Successione regolare con cui un fenomeno si ripete nel tempo Legge del ritmo di Pierluigi Ighina tratto da "I Segreti di Marconi": "Il sole, o meglio l'energia solare nello scendere verso il globo terrestre ha una rotazione destrorsa identica a quella osservata nella spirale della lumaca.Tale movimento ha lo scopo di fare penetrare l'energia solare all'interno della terra rendendola satura, ed in un secondo tempo di rilanciare l'energia superflua nuovamente verso il sole tra mite il magma interno che è nel centro della terra. Essendo questa energia una riflessione, il suo moto rotatorio verso il sole sarà così in senso contrario a quello antecedente. Queste due energie rotative contrarie una dall'altra producono un ritmo costante. Dentro questo ritmo si possono prelevare tutti i ritmi corrispondenti alle cellule delle materie esistenti sul nostro pianeta." ed inoltre (fonte www.ascensione.org) : "Rapporti dell'energia con la materia In genere l'energia magnetica penetra in tutte le materie esistenti nel nostro pianeta ed in tutto il cosmo, quindi è impossibile poterla schermare. Si può solo diminuire o aumentare la sua potenza, la sua penetrazione o il suo assorbimento, con catene di materie più o meno assorbenti. L'energia magnetica non possiede una direzione propria, ma unita ad una sorgente di energia magnetica luminosa può essere da quest'ultima guidata." TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà La posizione della spirale che realizza la costruzione consente di raccogliere l'energia magnetica solare positiva (asiatico Yang o monopoli positivi +) che viene direzionata tramite la doppia ala di 7 stele (parabola) (4) verso il suo centro o punto di fuoco dov'è posizionato il menhir (3). Il menhir a sua volta si satura d'energia positiva che subisce una inversione e riflessione, si trasforma cioè in energia negativa terrestre (asiatico Yin o monopoli negativi -). Quest'energia riflessa e d'inversa direzione s'incunea nel buco della stele centrale (5) (vedi foto n.2) ed arriva a colpire il dolmen (8) situato alla fine del corridoio funebre. Il dolmen a sua volta dovrebbe saturarsi e l'energia subire un'ulteriore inversione e riflessione questa volta tornando come energia positiva chiudendo il processo d'amplificazione/risonanza. Possiamo concludere che : Se si ci posiziona ad esempio davanti al menhir (3) si viene investiti principalmente da energia solare positiva (Yang) calda. Se si ci posiziona davanti la stele centrale l'energia vitale viene equilibrata dallo scambio delle due energie. Se si ci posiziona davanti al dolmen (8) si viene investiti principalmente da energia terrestre negativa (Yin) fredda. Sembra inoltre che questo gioco di rimpallo tipo “ping – pong” tra saturazione e riflessione sia l'unico modo per ottenere naturalmente un'amplificazione dell'energia del ritmo sole (+) / terra (-) (Yang/Yin). [email protected] Pierluigi Ighina TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Fonti: http://www.reikinet.it/ http://www.uomoterra.it/ http://ighina.66ghz.com/ http://it.wikipedia.org/wiki/To mbe_dei_giganti http://www.neroargento.com/ page_main/tombe.htm Ringraziamenti: Si ringrazia il Sig.Alberto Tavanti per i consigli, la pazienza ed attenzione dedicatomi. Dichiarazione: E' possibile copiare, duplicare e diffondere il presente documento. Urbis Historia pag.103 Gli emblemi di Maier l’Atalanta fugiens, i rosacroce e l’alchimia alla corte di Praga Michael Maier Il giovane Arciduca Rodolfo d’Asburgo Atalanta Fugiens frontespizio Foto Wikipedia Simonetta Santandrea Nell’Europa rinascimentale dei secoli XVI e XVII, alla corte di Rodolfo II a Praga, personaggi come John Dee, Heinrich Khunrat e Michael Maier, esponenti della “tradizione ermetica” contribuirono a rendere fertile il terreno per lo sviluppo del movimento dei “Rosa-Croce”, corrente filosofica che tradizionalmente si vuole originata da due anonimi manifesti, la “Fama Fraternitas”¸e la “Confessio Fraternitas”, pubblicati a Kassel per la prima volta TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà rispettivamente nel 1614 e nel 1615. I Rosa-Croce si servivano dell’alchimia per accrescere la loro conoscenza e purezza interiore, usandola come “Ars-Regia” delle metamorfosi psichiche: il movimento, attribuendo un ruolo fondamentale all’Uomo nell’Universo, secondo le teorie neoplatoniche rinascimentali che aprirono indubbiamente il cammino all’”Uomo”, ormai in grado di operare mediante il suo sapere scientifico, promosse un vasto programma di ricerche e di riforme in campo scientifico e soprattutto medico. Il simbolo dell'ordine è una croce con al centro una sola rosa rossa. Il termine designa uno stato spirituale che corrisponde ad una conoscenza d'ordine cosmologico, che può avere rapporti con l'ermetismo cristiano: il concetto centrale è doppiamente indicato dalla Croce e dal cuore, mentre le gocce di sangue che cadono dalla piaga aperta nel costato di Gesù Cristo si dispongono a forma di rosa. Esistono anche altre interpretazioni del simbolo, che si riferiscono all'evoluzione spirituale dell'uomo: la Croce ne rappresenta il corpo fisico e la rosa la personalità psichica e mentale in sviluppo, come la rosa che si apre lentamente alla luce. Michael Maier nacque nel 1568 a Rindsberg, nell'Holstein, da una famiglia di origine protestante (ma si trovano anche notizie riguardo un’origine ebraica). Nel corso della sua vita, comunque, Maier si dichiarerà profondamente cristiano. Il Tempio della Rosa Croce," Teophilus Schweighardt Constantiens, 1618 Dopo gli studi in medicina, nel 1596, si laureò a Basilea, luogo ancora intriso delle teorie filosofiche del «magomedico» Paracelso; nell'anno successivo conseguì la laurea in filosofia a Rostock. Nell'anno 1608 venne chiamato dall'imperatore alchimista Rodolfo II a Praga, per ricoprire la carica di medico di Corte. L’inclinazione intellettualistica e allo stesso tempo «empirista» di Maier, nonché il suo prediligere tutto ciò che è «arcano» ed «esoterico», stimolarono notevolmente l'attenzione di Rodolfo, appassionato fautore delle «scienze occulte», soprattutto negli ultimi anni di vita, tanto che Maier fu insignito del titolo di Conte palatino e nominato segretario privato dell'imperatore. Durante i quattro anni precedenti la morte di Rodolfo II, Maier ebbe modo di assorbire la singolare atmosfera della Corte, ancora permeata dalle "teorie" di John Dee, Tycho Brahe e Keplero. Dopo la morte di Rodolfo II, Maier lascò Praga, intorno al 1612, per viaggiare attraverso l'Europa. Visitò più volte l'Inghilterra, dove entrò certamente in contatto con i più importanti esponenti del "neoplatonismo" alchemico. Nel periodo 1617-1619 Maier pubblicò il De Circulo Physico Quadrato, opera che si avvicina indubbiamente alle concezioni fluddiane, nonché la famosa Atalanta Fugiens, importante libro di "emblemi" in cui l'alchimia spirituale è realizzata in modo insolito. Tornato in Germania, Maier diventò medico di Corte di TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Maurizio d'Hesse, Langravio d' Assia, entrando così in stretti rapporti con la cerchia dell'elettore palatino, profondamente legato al misticismo alchemico dei Rosa-Croce, dei quali Maier divenne indubbiamente uno dei portavoce ufficiali. Sorpreso a Magdeburgo dalla guerra dei Trent'anni, Maier scomparve nel 1622 senza lasciare alcuna traccia. La sua produzione letteraria presenta opere di grande interesse soprattutto per una maggiore comprensione della «tradizione-alchemica" dell'era barocca. Così tutte le sue opere, a partire dalla prima Arcana Arcanissima, del 1614, fino alla Septimana Philosophica o al Cantilenae intellectuales de Phoenice redivivo, entrambe del 1620, presentano una particolare forma di “misticismo” per lo più a carattere “neoplatonico”, espresso con immagini simboliche intese come una rilettura in chiave sia ermetica che alchemica del mito e della leggenda. La stessa Atalanta Fugiens propone l'uso della "simbologia-alchemica" come sostegno di un “movimento” sia religioso che spirituale derivante dal "neoplatonismo" ermetico, ossia una “nuova religione” segreta, simile indubbiamente a quella di Giordano Bruno. L’Atalanta Fugiens rappresenta un unicum nella storia dell' alchimia in quanto si può considerare il solo testo noto dove le arti della «grafica», della «poetica» e della «musica» risultino strettamente legate alla trattazione ermetica vera e propria. Il Libro di emblemi era un particolare genere letterario, del quale fu iniziatore l'italiano Andrea Alciati e che si diffuse in tutta Europa nel corso del Rinascimento. Un "emblema" era costituito da un disegno simbolico, accompagnato da un motto e da una didascalia. L'Atalanta ne contiene 50, ognuno corredato da un epigramma, seguito da un canone musicale a tre voci che accompagnano il testo e, ancora, seguito, da un discorso esplicativo. Gli emblemi dell’Atalanta sono 50. Orbene, il numero 50 indica la remissione dei peccati ma pure la Grazia dello Spirito Santo, ovvero la Pentecoste. Ogni canone (fuga) è poi composto da 21 note, dove il numero è simbolo solare. Si deve tenere a mente che molti esponenti dell'entourage di Rodolfo II si dedicarono allo studio delle connessioni tra “meccanica” e “musica”. In questo periodo, infatti, ebbe grande valore una compiuta “teoria metafisica” contenuta nell’ Harmonces Mundi (opera pubblicata da Keplero nel 1619): questa “teoria” sulla “musica” fu ripresa in modo interessante dagli alchimisti, che la considerarono atta a creare quell'atmosfera propizia occorrente per operare le “trasmutazioni” dei metalli. Maier, seguendo anche queste “teorie” degli alchimisti medievali, che denominavano il loro “magisterio” Arte della Musica, divenne uno degli esempi più importanti di questa connessione musicaalchimia. Nella Atalanta Fugiens già il titolo sottolinea le valenze musicali del testo, anche se a prima vista esso non è che un riferimento al mito della ninfa Atalanta e del suo pretendente Ippomene. Atalanta, velocissima nella corsa, sfida i suoi corteggiatori a gareggiare con lei mettendo in palio la sua illibatezza in caso di vittoria, oppure il sacrificio della loro vita in caso di sconfitta. Ippomene vuole a tutti i costi "congiungersi" con lei, ma ha timore di fallire, di perdere la scommessa e con essa la vita. Afrodite, Dea della percezione cognitiva, accorre in suo aiuto e gli dona tre mele d'oro da disseminare lungo il percorso allo scopo di attrarre la curiosità della ninfa, abile nella percezione rapida degli elementi in gioco e curiosa di scoprire tutte le "ultime novità". TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Emblema XXVII Xilografia da Atalanta Fugiens, 1617 La ninfa è sicura della vittoria e concede a Ippomene un certo vantaggio, sufficiente al giovane per "collocare" le tre mele lungo il "sentiero" (della conoscenza di sè), riuscendo così a "frenare" la corsa di Atalanta e vincere la gara. La vicenda è una metafora del processo di evoluzione della percezione psichica (la velocità della ninfa) in consapevolezza, conoscenza e coscienza di sé (le tre mele d'oro). Il titolo della Atalanta Fugiens, libro di emblemi, allude quindi alla storia di Atalanta che “fugge”, mito che per gli ermetisti aveva significato particolare, ma al tempo stesso è un' allusione alla parte «musicale" del testo, basata su quella forma musicale chiamata appunto “fuga” (elaborazione contrappuntistica di uno o più temi). Più precisamente Maier ha usato “canoni musicali” a “tre voci” ricorrenti in cinquanta “fughe” che accompagnano altrettanti emblemi; le une e gli altri costituiscono un insieme permeato di un complesso simbolismo. Gli emblemi presenti nell'Atalanta Fugiens vanno considerati indubbiamente i più belli della "tradizione ermetica", e sono da attribuire quasi sicuramente al famoso Matthaus Merian, abile incisore svizzero. Che si tratti di un libro di “Emblemi Chimici" riguardanti i segreti della “Natura” è annunciato già nel peculiarissimo frontespizio dell'Atalanta Fugiens, dove appunto Maier scrive: Atalanta Fugiens, (traducendo liberamente) ovvero Nuovi Emblemi Chimici sui Segreti della Natura, adatta in parte agli occhi e all’intelletto attraverso immagini incise su rame con annesse sentenze, epigrammi e note, in parte al piacere dell’udito e alla ricreazione dell’animo attraverso circa 50 fughe musicali a tre voci, delle quali due corrispondono ad una semplice melodia adatta ad accompagnare dei distici cantati, non senza un singolar diletto nel vedere, nel leggere, nel meditare, nel capire, nel giudicare, nel cantare, nell’ascoltare” (hoc est Emblèmata Nova ne Secretis Naturae Chymica, Accommodata partim oculis et intellectui, figuris cupro incisis, adjectisque sententiis, Epigrammatis et notis, partim auribus et recreationi animi plus minus 50 Fugis Musicalibus trium Vocum, quarum duae ad unam simplicem melodiam distichis canendis peraptam, correspondeant, non absq,. singulari jucunditate videnda, legenda, meditanda, intelligenda, dijudicanda, canenda et audienda). Maier, sintetizzando in sette specifiche fasi il percorso “ermetico” che “l’attento lettore” deve idealmente perseguire, si riferisce fin dal frontespizio dell’Atalanta Fugiens ai sette gradi del magistero alchimistico. Da notare inoltre come, in questo frontespizio, così come in altre sue esposizioni, tenda ad usare il termine di “scienza chimica” al posto di scienza “alchemica”. La «teoria» di Maier di una «utopia» intellettuale comprendente una totale perfezione «cosmica» rappresenta un caso unico nella storia dell'alchimia; ed è una teoria ancor oggi verificabile assecondando le intenzioni del «philosophusalchimista» Maier che sono quelle di condurre il lettore all'interno di una storia ad episodi, partendo dal «Frontespizio» dell'opera e seguendo un percorso «ideale» fino al suo interno, dove appunto ogni singola figura contenuta negli emblemi, accompagnata da un «brano musicale», corrisponde ad uno scopo ben preciso: «parlare» un suo proprio codice segreto «simbolico-mitico-ermetico» a chi vuole avventurarsi nella sua esplorazione. Il sogno del «medicoumanista» Michael Maier di realizzare un mondo «ideale» come quello descritto da Johann Valentin Andreae TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà nella sua «utopistica» città di Christianopolis, permea l'intera composizione dell'Atalanta Fugiens. Ma il concetto maieriano di una conoscenza «tout-court», prendendo forma nel momento in cui stava per nascere il moderno pensiero scientifico, rappresentato da personalità quali Francis Bacon e Isaac Newton, era perciò fatalmente destinato a dissolversi, anche se gradualmente. E nonostante si cominci ad avvertire nell' Atalanta Fugiens la difficile situazione storica del momento, nelle sue pagine troviamo gli ultimi echi di una atmosfera che conclude un ciclo «ideale» di pensiero filosofico: pochi anni dopo, infatti, la guerra dei Trent'anni distruggerà ogni speranza di rinnovamento. [email protected] http://www.levity.com/alchem y/atalanta.html: qui sono presenti i 50 emblemi dell’Atalanta Fugiens (in inglese) http://levity.com/alchemy/mus ic.html: qui si possono ascoltare 18 delle 50 fughe, con relativi emblemi ed epigrammi (in inglese) Ulteriori approfondimenti in merito sulla rivista Abstracta, nr.17, art. di S.Quattrone Vita intelligente su Venere pag.107 Venere chiama Terra: qualcuno risponde… 2010 Matteo Agosti Matteo Agosti Il 28 ottobre 2009, un collega freelance mi telefonò comunicandomi: TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà “stasera il programma Voyager di Roberto Giacobbo parlerà di Venere” (fig1). Figura 1 Figura 2 Matteo Agosti, reporter freelance from 1987. From 2010 writer on book. Indipendent researcher, discoverer of intelligent life and civilization on VENUS. My works comes from original files by Jpl Nasa Web Site of Pasadena. Already I'have founded some important elements on Mars, as artifacts, creatures & humanoids, clouds, water and many other. And Venus? It's my greatest world news. Venus is a planet with big megalithic buildings, castles, towers, castle-towers, houses and life forms on little and maybe titanic dimensions. About the venusian and martian contest, exist videodocument produced by Zablafter YouTube channel of my friends. At this address http://de.youtube.com/user/zablafter you can see venusian and martian video made with my pictures extracted from original Nasa files. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Durante la visione del programma, con sorpresa appurai che il capitolo relativo al secondo pianeta del sistema solare, riguardava proprio la mia ricerca: la mia faccia (sx, fig2)” e alcuni dei miei rilevamenti venusiani apparvero in tv. Mi rallegrai constatando che l'esca venusiana che mesi fa gettai al conduttore di Rai 2, sembrava aver funzionato. Non sempre però, il pescato può rivelarsi del tutto digeribile; su Venere, il menù di Voyager proponeva due ospiti: Enrico Flamini (Agenzia Spaziale Italiana) ed un altro che per motivi di privacy, cito nell'articolo con lo pseudonimo di “EGO”. Giorni a seguire in sede privata, il succitato freelance mi domandò: “nessuno ti ha avvisato che avrebbero parlato della tua scoperta?”; risposi: no, non è accaduto. “Ma è normale non essere avvisati? La tua ricerca, il tuo nome e la tua foto li hanno visti molti italiani”; Non è prassi ed è scorretto, avrebbero dovuto permettermi un confronto con EGO, se non altro per ridimensionare la sua delirante opinione. “Deluso?”; “Un po' infastidito sì; tuttavia, ringrazio egualmente Giacobbo… quanto a EGO, su YouTube è stato redarguito a sufficienza grazie alla collaborazione di Karl Heimann (Zablafter Channel). “Sei passato da Area di Confine alla concorrenza che nel 2009 hai lasciato, perchè?”; “Per ovvi motivi non posso rispondere nello specifico”; nel 2008, da Area di Confine dirottai per 6 mesi la mia ricerca su un tabloid fantascientifico (con 5 articoli) del clan di EGO. Fu un madornale errore che ancora oggi non riesco a perdonarmi, poichè la linea editoriale non sposava il mio tipo di ricerca; con i rischi del mestiere, abbandonai il tabloid per tornare (grazie a Giovanni Francesco Carpeoro) in Acacia Edizioni. Un grazie anche Roberto Pinotti, che ho citato (idem Piccaluga) nel libro venusiano che sto scrivendo e che dovrei riuscire a pubblicare prima che si concluda il 2010”. Viste le domande del collega, passo ai fatti del 28/10/2009: Enrico Flamini (centro fig2), con pacatezza descrive Venere similmente ad astrofisici di trent'anni fa, e nulla più che possa aver sforato l'obsoleto standard accademico della “scienza ufficiale”. Figura 3 TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà L'altro intervistato (EGO, dx fig2), durante la sua “oratoria”, si dimena con assurde quantità di ammoniaca, a suo dire presenti nell'atmosfera venusiana, quando invece detto elemento, su Venere è inesistente! Per russi e statunitensi, sarebbe il biossido di carbonio l'elemento prevalente nell'atmosfera (oltre il 95%), dato su cui però, nutro non poche perplessità. Più volte mesi addietro, EGO mi ringraziò congratulandosi per la scoperta venusiana, ma, durante l'intervista di Voyager (successiva al rientro in Acacia Edizioni) egli fa un “dietrofront” discriminando la mia ricerca con “opinioni” da disinformazione. Dalle sue parole emerse: quelle strutture artificiali, probabilmente sono un “ERRORE” di lettura da parte della sonda Magellano (fig3), che avrebbe inviato sulla Terra un segnale “DISTURBATO”, causato dal fatto che Venere è un pianeta piuttosto “BURRASCOSO”. Ma le burrasche, come noi le conosciamo sulla Terra (o tempeste su Marte), non sono mai state registrate sulla superficie venusiana, che piuttosto, sarebbe soggetta a sporadiche eruzioni vulcaniche. Inoltre, azzardando la tempestosa ipotesi di “burrasche venusiane”, non immagino come possano manifestarsi a 90 atmosfere di pressione (se realmente esistono! Resto dubbioso). Più saggio sarebbe stato, ipotizzare un “segnale disturbato” emesso dai precedenti Lander sovietici classe Venera 9-10 e 13-14, approdati sulla superficie venusiana nel 1975 e 1982; ma anche detti Lander, se pur in un tempo non superiore a 2 minuti, riuscirono ad inviare sulla Terra immagini soddisfacenti. Inoltre, la sonda Magellano non sostava sulla superficie di Venere, ma orbitava intorno a esso, inviando un segnale che perveniva a Cape Canaveral in tutta la sua magnificenza. Detta sonda funzionava fin troppo bene! Riuscì addirittura a rilevare ciò che si “nasconderebbe” tra le crepe rocciose. Ed è ancora un mistero irrisolto come, da un giorno all'altro la Magellano cessò di trasmettere dati alla Nasa, scomparendo dall'orbita venusiana senza scientifiche ragioni. I telescopi terrestri non rilevarono più la sua posizione orbitale, che dapprima, fu resa sicura con test sulla Terra, avente forza gravitazionale poco superiore a Venere. La sonda non poteva schiantarsi al suolo, e la sua scomparsa, rimane un inquietante interrogativo. Qualcosa di tangibile però sappiamo, o almeno, questa è la mia certezza. All'orizzonte di Alpha Regio, alcune delle stranissime singolarità di fattura artificiale, potrebbero trasmettere o ricevere segnali di ignota utilità (fig4). Figura 4 Figura 5 TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Durante la puntata di Voyager, un episodio destò la mia preoccupazione: nel preciso istante in cui EGO citò ipotetici “errori di lettura” della Magellano (causati da “burrasche venusiane”), al posto della sonda, la regia mostrò un tempestoso attraversamento atmosferico di Venere (simulazione 3D) da parte del Lander sovietico Venera 9, che in nulla riguarda la sonda Magellano! Immedesimiamoci: mentre una voce (EGO) cita un “segnale disturbato” (Magellano) in “ambiente burrascoso” (Venere), simultaneamente è proiettata l'erronea immagine del Lander Sovietico (fig5, Venera 9) attraversante una “tempestosa atmosfera venusiana”. Quale imput riceve un ignaro osservatore in tale frangente? Un messaggio distorto. A puntata conclusa, chi ha osservato e ascoltato, concluderà con amici o familiari che su Venere esistono tempeste, e che nulla esiste su cui indagare. Perdoni lo stimato Giacobbo… ma in questa maniera, un osservatore attento potrebbe gridare alla disinformazione; nessuna accusa, è solo una “svista” che, si sarebbe potuta evitare con la consulenza del diretto interessato. Frittate a parte, il conto aperto con la disinformazione rimane: questa politica partorita e diffusa dai mass media Usa, ha contagiato il mondo e sopratutto l'Italia, paese che vanta l'alta classifica in fatto di censure. Quindi, diventa sempre più difficile ottenere dai network, quella trasparenza e coraggio che tutti noi vogliamo. Non dimentichiamo però, altri grattacapi di ignobile entità: internet e cellulari sotto controllo (di chiunque), radiogiornali-tv all'insegna della politica del terrore (scelsi di NON vaccinarmi), burocrati e politici specializzati nel vendere parole per garantirsi pensioni stellari, “giornalisti” che fanno propaganda uccidendo il giornalismo con notizie filtrate, falsate e distorte. Obama con le pillole di Matrix (rossa o blu), suggerisce: prenderei quella per non conoscere la realtà, perchè è meglio non sapere” (no comment). Cìò conferma quanto ho sempre sospettato: là verità che ci circonda, è più spaventosa di un incubo notturno; una verità che a mio avviso, va cercata nel contesto ufo-alieno, ove peraltro, MISTERO di Enrico Ruggeri, complica le cose con feti di coniglio abortiti da una tremante “addotta”, che innanzi la telecamera asseriva: Enrico, ho paura a dire questa cosa (più appetibile il silenzio); “esperti ufologi” (mai sentiti nominare) sbucati dal nulla, foto di colossali falsi ufologici e lunari, e poche immagini genuine, in parte RAPINATE dal canale YouTube Zablafter del collega Karl Heimann (complimenti). Ha ragione Pinotti, occorre derattizzare l'ufologia italiana, e se lo Stato è d'accordo, proporrei di utilizzare il lanciafiamme. A differenza di molti, non inveisco contro Ruggeri, ma piuttosto a chi gli propone materiale da macero… gente che in vita sua, senza aver mai scoperto un sasso trae TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà conclusioni di stampo hollywoodiano. Di sassi su Venere c'è ne sono molti, levigati e scolpiti a regola d'arte (da “burrasche intelligenti” si intende), tanto da sembrare (alto fig6) alienanti edifici o piattaforme (basso fig6) grandi come una portaerei. Ieri senza antagonisti appariva il cauto Giacobbo con Voyager, rivaleggiato poi, da un Ruggeri più spericolato (in tutti i sensi). Non ne abbia il team ufologico di Italia 1, ma ho la sensazione che dietro le quinte di Mistero, si aggiri l'ombra di qualcuno avverso al veleno per topi. Non faccio di tutta un'erba un fascio, anche sull'altra sponda qualche onesto ricercatore c'è! Quindi, al fine di tutelare l'informazione, consiglierei a un'emittente (quale essa sia) di chiamare in causa tutte le parti (non solo una come oggi accade) e ascoltare tutte le campane. Se ieri gettai l'amo a Giacobbo, oggi potrei rilanciarlo a Ruggeri, nella speranza di assaporare notizie Marziane, magari attinenti a l'Ossimoro Marte di Ennio Piccaluga, al Nibiru di Roberto Boncristiano, all'esperienza di Roberto Pinotti e… perchè no, alle RICERCHE ERETICHE “dell'esobiologo”(così un blog mi definisce) Matteo Agosti? Illustri colleghi quelli che ho citato, di gran lunga più blasonati del sottoscritto. Colleghi che raccontano scomode verità? Che una scienza omertosa troppo spesso ignora? Ma allora, cos'è che spaventa di più? Enormi teste a punta (fig7) emergenti da una fossa venusiana o morire soffocati con la testa ficcata nella sabbia? Figura 6 Figura 7 TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Meglio la conoscenza o l'ignoranza? Timore di un “virus letale” o paranoia di essere manipolati da nanotecnologie nascoste in un vaccino? Se la Bibbia non è eresia, questa non è paranoia. Il “marchio”, dovrebbe portarlo tutta l'umanità, e senza di esso non si potrebbe accedere al supermarket. Meditate gente. Da secoli disperatamente cerchiamo di capire chi siamo, da dove veniamo o COSA siamo, eppure, c'è sempre qualcuno pronto a tapparci la bocca e renderci ciechi. Molti agiscono così per proteggere la propria cattedra o una reputazione gorda di mentalità conservatrice (es: Zahi Hawass), propria di ortodossi incollati a schemi mentali da inquisizione. Ma come fa un programma tv, ad accettare e proporre l'immagine di una città lunare (fig8) creata con photoshop? E' un coraggio che non accetto. Ben altro coraggio invece, occorrerebbe per comunicare: Gentili telespettatori, sta per andare in onda il programma “I sassi di Venere hanno gli occhi” (fig9). Trent'anni fa o poco meno, una giovane Band varcava la soglia di una agenzia fotogiornalistica in via Mario Giuriati a Milano; si chiamavano “Decibel”, capitanati da una voce coraggiosa che cantava… “Contessa”, una hit resa celebre dal loro cantante Enrico Ruggeri. All'epoca l'artista, era considerato un personaggio innovativo e promettente, certamente non privo dell'intraprendenza che serviva per sfondare sul vinile. Dentro lo studio ad attenderlo, mio padre, un certo “Ghigo”. Proprio lui, che mezzo secolo fa cantava “co-co-co-cococcinella”, un sincopato vocale emulato dal “co-co-co contessa” di Ruggeri. Io ero lì, che osservavo e carpivo, mentre mio babbo immortalava i Decibel con le sue reflex. Più o meno ero quattordicenne, in un apprendistato fotografico che, oggi, mi regala apprezzabili frutti in analisi grafica, perlopiù Nasa. Se occorre coraggio nella musica, quanto più coraggio occorre per parlare in tv di Abduction, e più ne occorre per tendere la mano a chi esprime disaccordo nel vedere cose che, rovinano il lavoro di altri ricercatori. Più specificatamente, mi riferisco a chi, molti anni addietro pubblicò ricerche sfociate su fiumi di libri, mai o appena menzionate dal piccolo schermo. Figura 8 Figura 9 TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Le immagini venusiane che Voyager mise in onda con frammentarietà (fig10, immagini sane), forse non sbalordirono gli spettatori, non certo meritevoli di ascoltare le parole di un EGO in stile Cicap. Nel n°38 di Area di Confine, intervistai il ricercatore canadese Dave Beamer, che nel dare consigli ai ricercatori, suggeriva: “il mio miglior consiglio è quello di fare buone ricerche, ben documentate e di contattare tutti i media che possono dare ascolto. I ricercatori indipendenti dovrebbero creare unità senza discriminarsi, senza lottare per la supremazia; dico questo perchè purtroppo accade esattamente il contrario, a causa di egoismo ed egocentrismo…”. Figura 11 Figura 10 TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Sfortunatamente, le parole di Beamer rispecchiano la attuale situazione ufologica in Italia. Non si tratta di mettersi in mostra per la gloria, ma di aver rispetto della gente comune, di chi nella sua ignoranza (non è un'offesa) davanti alla tv si beve tutto ciò che vede (fig11, pagina precedente). Si tratta di difendere la ricerca, quella concreta, operata da persone che, per eccesso di lavoro, fondono un pc all'anno. I seri ricercatori, lavorano per il bene della sana divulgazione (pochi), compromettente alle volte anche per la vita privata. Mai denunciare in un bar, ciò che spunta dal terreno venusiano (fig12), verresti considerato un fenomeno da baraccone. Egualmente, ciò può accadere se le tue generalità appaiono in tv, come è accaduto con Voyager, a cui stringo la mano con un lieto arrivederci. Eppure tra i media, c'è chi ancora corre dietro all'ufo di Pordenone (un falso coi fiocchi abilmente costruito con adobe after effect), chi insinua che uno dei vimana lunari è circa 4km di lunghezza (non passerebbe i 250mt, se occorre lo dimostrerò), e c'è invece chi, cade nel tranello delle favolette peruviane: EGO avrebbe prova che (avendoli toccati con sue mani) i famigerati crani sudamericani dal capo allungato (fig13), furono il prodotto di bendaggi aditi a modellare la scatola cranica dei bimbi. Tale rituale in opera, avrebbe emulato l'aspetto degli Dei (sospetti venusiani). Idea: perchè non lanciare una moda? Si potrebbe sperimentare detto bendaggio sui nostri nascituri! E chissà che non gli imploda il cervello incorrendo in gravi lesioni cerebrali. Con cautela, suggerirei di proporre tale trattamento a un neurochirurgo… attenzione però, nel caso potreste essere internati in psichiatria. Anche un network sudamericano, riuscì a spacciare un fantoccio per un alieno ritrovato in una discarica; meglio sorvolare e prendere in esame “qualcosa” che non è un pupazzo, ma una realtà venusiana che rilevai nella foto sovietica (alto fig14) sonda Venera 14 camera 1 del 05/05/82: le frecce blu indicano il punto esatto dove, individuai la piccola singolarità venusiana emergente a mezzo busto dal terreno (basso fig14). Figura 12 TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Figura 13 Benchè l'ingrandimento non eccelle in qualità, la prova dimostrerebbe che quello non è un busto marmoreo da museo. I miei colleghi d'oltreoceano lo affermano ed io lo ribadisco: su Venere c'è vita, ma non come la conosciamo sulla Terra; questa con molta probabilità, albergherebbe nel sottosuolo. Poco a lato del soggetto/oggetto venusiano alto circa 50 cm, si scorgerebbero altri tre piccoli soggetti di minuta fisionomia. Detta immagine, potrà mai essere divulgata in tv? Cosa può impedire a un network di mostrare determinate eloquenze? Forse il terrore di scoprire che, ad una torre venusiana ci sarebbe attraccato un vettore (sx fig15) capovolto? Oppure una torre (dx fig15) rimembrante la geometria di Cape Canaveral? Ho un sogno nel cassetto: ascoltare al tg le parole di Obama che al mondo intero rivela: “è vero, sino ad oggi abbiamo nascosto al mondo intero la verità. La vita come noi NON la conosciamo, esiste in tutto il sistema solare”. Se un giorno dovessimo ricevere “visitatori” in massa, che accadrebbe? Panico? Nel caso, la colpa non sarebbe degli alieni, ma di chi, con incoscienza ha reso impreparata l'umanità sulla realtà che ci circonda. Che nessuno si scoraggi; se la disinformazione è letale… imparando a conoscerla, si può evitare. Figura 14 Figura 15 [email protected] TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Gli anelli mancanti pag.117 Lo strano caso del popolo Dropas 2010 Ines Curzio Ines Curzio Nella remota zona di Nimu, provincia di Sichuan, confinante con le montagne di Bayan Kara Ula oggi ribattezzata Bayan Har Shan esiste un ceppo di circa trecento individui non classificabili etnologicamente. Un caso che di certo meriterebbe molta più attenzione da parte degli studiosi e forse meno TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà oscurantismo da parte del governo cinese. Sembra si tratti di una minoranza etnica composta da individui non più alti di un metro e trenta, che parla una lingua sconosciuta e incomprensibile, installatasi in un accampamento situato all'interno di un'antichissima foresta, a circa 5.000 metri di altitudine. Sono stati inoltre rinvenuti manufatti, mummie e antichissime conoscenze tecnologiche e scientifiche, quali volani senza attrito, troppo avanzati per la loro epoca e del tutto anacronistici. La divulgazione di questo caso si deve al giornalista austriaco Peter Krassa, in collaborazione con il collega tedesco Hartwig Hausdorf; il loro punto di partenza fu un articolo in cui, per la prima volta, si era parlato dei cosiddetti "piatti di pietra", sulla base di una relazione stilata da un ricercatore inglese. Questi, nel 1947, riuscì a penetrare nella zona, scoprendo come l'archeologo cinese Chi Pu Tei avesse rinvenuto nel 1937, nelle caverne del massiccio di Bayan Kara Ula, 716 tombe, al cui interno giacevano resti di esseri con caratteristiche anatomiche non comuni. Il cranio provvisto di cavità oculari molto larghe, si presentava enorme e molto sproporzionato rispetto all'esile corpo, non più lungo di un metro e trenta, e con delle braccia lunghissime. Vennero ritrovati, in ogni tomba, dischi di pietra con un foro centrale da cui iniziava, per finire all'orlo, in forma di spirale, un doppio solco di incisioni e simboli ritenuti una forma di scrittura sconosciuta. Inoltre, sulle pareti delle caverne, l'archeologo si ritrovò a contemplare alcune pitture raffiguranti il sole, la luna e le stelle. Fu proprio durante lo studio degli scheletri, che uno dei ricercatori inciampò su un disco di pietra, largo e rotondo, dello spessore di circa 2 cm, che giaceva quasi sepolto nella polvere della caverna. Il team si mise a studiare l'oggetto, tentando di dargli un senso. Esso appariva come una specie di disco di pietra per un grammofono. Era dotato di un foro al centro e di un sottile solco a spirale sulla superficie, che andava dal centro verso il margine. Ad un'analisi più approfondita, il solco spiraliforme risultò essere un'inscrizione formata da una doppia riga di caratteri molto compressi. Dopo un’esauriente ricerca nelle caverne, vennero rinvenuti ben 715 dischi con le stesse caratteristiche! Ogni disco aveva le stesse dimensioni: 22,7 cm di diametro e 2 cm di spessore; inoltre ogni disco aveva al centro un foro perfettamente circolare di 2 cm di diametro. Il bordo esterno era dentellato per tutta la circonferenza. Infine ogni disco aveva un doppio solco che, iniziando dal centro, si muoveva in senso antiorario verso il bordo esterno, esattamente come il disco di un fonografo. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Ines Curzio, Laureata in Discipline del Teatro, diplomata in Flauto traverso e Direzione d'Orchestra per l'opera lirica, si divide tra la carriera artistica e la sua attività di Antiquaria. La naturale curiosità, la passione per lo studio di tutte le scienze di confine, unite ad uno spiccato senso critico, l'hanno portata ad esplorare terreni misteriosi e ad analizzare temi affascinanti e suggestivi da cui sono nati numerosi articoli e sono culminati nella sua prima pubblicazione "Gli Anelli Mancanti". Quanto al messaggio inscritto, nessuno fu in grado di decifrarlo. Molti esperti hanno tentato di tradurre le inscrizioni, ma senza successo. Fino a quando un altro professore cinese, il Dr. Tsum Um Nui riuscì a comprendere il codice ed iniziò a tradurre i messaggi. A questo punto, egli si rese conto che sarebbe stato meglio divulgare il messaggio solo a poche selezionate persone. Il mondo esterno rimase quindi all'oscuro, mentre le conclusioni sul significato dei dischi erano talmente eccezionali che furono ufficialmente soppresse. Il Dipartimento di Preistoria dell'Accademia di Beijing gli proibì di pubblicare le sue scoperte. Nel 1963 il Dr. Tsum Um Nui decise di pubblicare la sua scoperta, nonostante il divieto dell'Accademia. La pubblicazione apparve con un titolo prolisso ma destinato a sollevare curiosità ed interesse: "I manoscritti incisi riguardanti le navi spaziali arrivate sulla Terra 12.000 anni fa". In occidente non venne preso seriamente e, in poco tempo, l'intera vicenda sembrò svanire nell'oblio. Con la collaborazione di geologi, e dopo un'analisi spettrografica, si scoprì che i dischi possiedono un alto contenuto di cobalto e di altro metallo (non viene riferito di quale metallo si tratta). Questo implica un’origine artificiale dei dischi. Gli scienziati russi chiesero di poter esaminare i dischi; diversi furono spediti a Mosca dove furono ripuliti dalle particelle di roccia che, nel tempo, avevano aderito alla superficie e successivamente sottoposti ad analisi che confermarono quanto dichiarato dagli scienziati cinesi. Ma non era tutto. Posti su una speciale piattaforma girevole, essi generavano un suono ad alta frequenza e questo fece pensare che fossero stati sottoposti ad un'alta tensione; o, come dichiarò uno degli scienziati, “come se facessero parte di un circuito elettrico”. Dopo lunghe ricerche e confronti si giunse a capire che tali dischi inseriti in particolari congegni magnetici funzionavano come accumulatori di energia in grado di muovere motori molto potenti. Accumulatori simili sono stati creati solo negli anni ’60, funzionano con 16 dischi in grado di dare energia ad un motore di Formula uno. C’è da chiedersi cosa possono muovere 715 dischi? Il silenzio su queste scoperte durò fino al 1967, quando il filologo russo Dr. Viatcheslav Zaitsev pubblicò un estratto della storia contenuta nei dischi sulla rivista Sputnik. Presumibilmente, l'intera "storia" viene conservata all'Accademia di Beijing e negli archivi storici di Taipei. La traduzione dei dischi contiene un messaggio che può sembrare assurdo. La storia riporta la registrazione di una navetta spaziale con abitanti di un altro pianeta, costretti ad un'improvvisa fermata sulle montagne di Bayan Kara-Ula. Le scritture dei dischi spiegano come le intenzioni pacifiche dei "visitatori" furono fraintese e molti di essi furono catturati e TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà uccisi dai membri della tribù di Kham, che viveva nelle caverne limitrofe. Secondo il Prof. Tsum Um Nui, una delle linee incise dice: "I Dropas vengono dalle nuvole con il loro velivolo. I nostri uomini, donne e bambini si nascosero nelle caverne dieci volte prima dell'alba. Quando alla fine essi (i Kham) compresero il linguaggio mimico dei Dropas, si resero conto che i nuovi venuti avevano intenzioni pacifiche". In un altro disco si esprime rammarico da parte della tribù dei Kham per la navetta aliena precipitata su quelle montagne remote e inaccessibili, e del fatto che non ci fosse la possibilità di ricostruirne una nuova, in modo che i Dropas potessero ritornare sul loro pianeta. Negli anni successivi alla scoperta degli scheletri e dei dischi, archeologi ed antropologi hanno appreso molte informazioni riguardo l'area isolata di Bayan KaraUla. Questi studi sembrano convalidare la sorprendente storia registrata sui dischi. Le leggende ancora vive presso le tribù del luogo, parlano di persone piccole, con visi gialli, venuti dal cielo, tanto tempo fa. Queste persone avrebbero teste grosse e prominenti e un corpo esile. Curiosamente, la descrizione degli alieni, concorda con il ritrovamento degli scheletri fatto dal Prof. Chi Pu Tei. Sia i dischi, sia i graffiti nelle caverne e gli scheletri sono stati datati intorno al 10.000 a.C. Al tempo della scoperta, alcune delle caverne erano ancora abitate da due tribù conosciute come Khams e Dropas, i cui membri, peraltro, avevano un'apparenza quantomeno singolare. Semplicemente le due tribù non corrispondevano ad alcuna categoria razziale stabilita dagli antropologi. Entrambi avevano una statura simile ai pigmei; la loro statura andava dal metro e 15 al metro e 40 cm., ma la statura media era di 1,25 m. Il peso degli adulti oscillava tra i 17 e i 24 Kg. La loro pelle tendeva al giallo e le loro teste erano sproporzionatamente grandi e con pochi capelli sparsi; i loro occhi erano grandi, ma non di tipo orientale, di colore blu chiaro. La struttura del viso era ben formata, simile alla razza Caucasica e i corpi erano estremamente sottili e delicati. E’ scontato paragonare questa descrizione alle tante circolanti sui grigi e sugli extraterrestri E’ un vero piacere presentare ai nostri lettori il libro d’esordio di Ines CURZIO, collaboratrice di Area di Confine e di Tracce d’eternità. Beninteso, la nostra amica coltiva tanti altri interessi ma qui vogliamo segnalarne l’impegno nel campo di ricerca a noi più congeniale. “Gli anelli mancanti”, edito da La Riflessione Davide Zedda Editore, fresco di stampa, è un viaggio a ritroso nel tempo, alla ricerca delle origini dell’uomo, tra mitologia, scienza e archeologia. Per saperne di più è d’obbligo il rimando al sito www.glianellimancanti.com ove troverete anche un video di presentazione. L’autrice si interroga su diversi argomenti: l’esistenza dei Giganti, la loro asserita provenienza dalla mitica Atlantide, il diluvio universale, le similitudini esistenti nei resoconti mitologici di tutto il mondo. Tematiche controverse, che da sempre fanno discutere studiosi e appassionati. Ben venga, quindi, lo scritto di Ines, se non altro per ridestare l’attenzione ed aprire di nuovo il dibattito, alla ricerca di qualcosa che pare sfuggirci di mano: gli anelli mancanti, appunto. (SB) TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà dalla testa grande e corporatura esile, motivo per cui lasciamo ironicamente che il lettore sia libero di trarre le proprie conclusioni. Resta indubbio che un’attenta analisi del genoma di questo ceppo etnico tutt’ora vivente potrebbe forse fornire risposte a domande fin troppo scomode. [email protected] Life after Life pag.121 La memoria dello spirito Noemi Stefani C'è un'ora della notte, un'ora particolare che definirei speciale. E' quella in cui i muezzin saliti in cima al minareto lanciano nel vuoto la loro prima preghiera. E' il grido di saluto al nuovo giorno che si affaccia dalla porta delle tenebre… TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà E' l'ora in cui arrivano i sogni che hanno un senso, quelli da ricordare. O meglio, lo è per quelli che ci fanno caso e che ci credono. Una notte, tra il sonno e la veglia, mi arrivano all'orecchio strane parole che si ripetono. Mi sforzo di comprendere ma è una lingua che non conosco. Le sento ripetere ancora e ancora, sembra una filastrocca. Percepisco che si tratta di qualcosa di importante, lo sento... Poi nel buio ecco che appare il viso di una bambina. E' piccola, minuta, occhi scuri che ridono, la pelle ambrata, e so che canta questa filastrocca per me... Peccato, non capisco! E mi dispiace tanto. Sento una voce fuori campo dietro alla spalla destra. La riconosco, è quella del mio angelo custode Serafino, il mio Sè Superiore che mi accompagna e interviene da tanti anni nella mia vita. Lui spiega in un sussurro... "Non puoi capire, è aramaico. Stai attenta, è l'altra ‘te’!” Me? Che vuol dire ‘me’? “Ti sta spiegando il mistero della vita” Sì ma non capisco! “Tu sei già stata, eri vicina a Gesù. Troppo piccola per comprendere la grandezza delle Sue parole, sei riuscita però a percepire la Sua misericordia e l'immenso amore per tutte le creature. Te ne sei andata troppo presto prima di Lui altrimenti l'avresti seguito. Scrivi quello che ti dico, questa è la traduzione: - Brandelli di vita sospesa rimangono attaccati a un filo. Poi il filo si spezza... E la vita riprende -" La preoccupazione di potermi dimenticare mi fa svegliare di colpo… Mi sono alzata barcollando al buio per non svegliare gli altri e ancora intontita dal sonno ho cercato una penna e un pezzo di carta per fermare quelle parole, prima che si dissolvessero o cambiassero forma. Che peripezie… Non la trovo, una penna c'è ma non scrive, l'altra nemmeno, poi ne rimedio una ma manca la carta che al solito c'è sempre ma quando serve non c'è mai. Come Dio volle alla fine sono riuscita a salvare questa frase che è il senso di tutto. Noi umani quando veniamo al mondo, ci vestiamo di carne che è destinata a decomporsi e a diventare polvere, terra. Non importa quanto tempo si vive: se pochi istanti o più di cent'anni sarà uguale... Noi ci spoglieremo di questo guscio scalciandolo via come un vestito vecchio e lo abbandoneremo con la stessa noncuranza. Ma lo spirito che è l'altra nostra vera componente, conserva memoria di pensieri e azioni che rimangono "appesi" al "filo" della vita. Come la memoria dell'acqua. Sicuramente saprete già che certi studiosi recentemente hanno dimostrato come l'acqua nelle sue trasformazioni da stato liquido - gassoso e solido, mantiene inalterate dentro di sé le sue proprietà. Così pensieri e azioni nel bene e nel male conservano le loro proprietà anche quando la vita finisce (il filo si spezza). La morte fisica che ci atterrisce tanto è soltanto un passaggio, un transito che lo spirito compie per passare da una dimensione all'altra. Poi trascorrerà del tempo. Non importa quanto, ha poco a che fare con il nostro concetto di tempo fisico lo spazio temporale. Rimane la memoria "sospesa" di pensieri e azioni che si ripresenterà con la nuova vita che deve nascere. Se l'anima è evoluta, come è stato ampiamente dimostrato da una vasta documentazione in merito, molto facilmente manterrà la memoria di frammenti di vita precedenti. [email protected] Noemi Stefani, sensitiva e ricercatrice della storia delle religioni, indaga da più di 20 anni nel paranormale ricevendo numerose conferme alle sue tesi. Le sue esperienze l’hanno portata a visitare i posti più misteriosi e ricchi di spiritualità della terra. Ha preso parte a convegni con tematiche riguardanti “ la vita oltre la vita “ facendo da tramite per le persone che erano in attesa di risposte e conferme dall’aldilà. Ha tenuto conferenze, intervenendo anche a trasmissioni radio (RTL 102,5) e televisive (Maurizio Costanzo show). TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Ufoonline pag.123 ufoonline.it 20 luglio 1952: l’avvistamento di Washington Una data memorabile per la casistica UFO Massimo Staccioli è nato a Roma il 9 Febbraio 1944. Ex Sott/le dell’Aeronautica Militare; RADARISTA (Difesa Aerea, per 35 anni. Basi Intercettori Teleguidati della 1° Aerobrigata Missili). Ufologo dal 1954. Attualmente collabora con lunexit.it e curo la Rubrica Stranezze Spaziali nella community Il Mondo Ufo del sito Ufoonline.it Massimo Staccioli Hanno collaborato alla revisione Catia Felici e Davide Veraldi Quello avvenuto nel 1952 sui cieli di Washington è un classico esempio di come è sempre stato evidente il fenomeno UFO e quanto sia vero che ci siano testimonianze più che documentate, anche dalle autorità, oltre che da normali cittadini. Questo episodio, fu un classico negli anni 50/60, ma non tutti ne sono al corrente. Quella notte gli U.F.O. sfrecciavano nei cieli sopra la Capitale a velocità incredibile, come 5.000 miglia orarie, quando i più moderni jets di allora erano in grado di TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà superare appena la barriera del suono, cioè i 1.250 Km/h. Quella notte nei cieli di Washington successe qualcosa di assolutamente inaspettato, che riguardò non solo la Capitale ma anche i dintorni. I controllori del Centro Controllo Traffico aereo dell’Aeroporto Nazionale di Washington erano intenti a mantenere sotto sorveglianza sia gli aerei in avvicinamento e in decollo fino a 10 miglia dall’aeroporto, che seguire gli aerei in volo, per centinaia di miglia, in modo da affiancare i piloti nelle manovre di avvicinamento o di partenza in aerovia, di assicurarne le procedure e di prestare assistenza in caso di necessità. Le condizioni meteorologiche erano ottimali e gli otto esperti del Traffico Aereo insieme al capo controllore Harry G. Barnes, intorno alla mezzanotte di quel 20 luglio, si sistemarono per il loro turno. Tutte le strumentazioni erano assolutamente funzionanti ed il segnale radar scandiva con un “bip” ogni 10 secondi (il tempo necessario per un giro dell’antenna radar) la nuova posizione dell’aereo che stavano monitorando, potendone così stabilire posizione, velocità e direzione. In questa pagina Lettera originale inviata da Albert M. Chop all’editore presso cui Keyhoe pubblicò il suo libro, a titolo della serietà e della veridicità di quanto riportato riguardo l’avvistamento di Washington. Chop conferma implicitamente che il nostro Pianeta è costantemente visitato da entità evolute e quindi dell’esistenza dei dischi volanti. L’immagine 2 è la traduzione in italiano riportata sul libro “La verità sui dischi volanti” edita in italiano nel 1954 TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Erano le 00.30 quando il controllore Barnes prese servizio presso il tavolo del capo, lasciando il monitoraggio del radar agli altri controllori Ed Nuggent, Jim Ritchey e James Copeland. Ma alle 00.40 esatte qualcosa comparve sul radar principale: ben sette tracce a netti contorni apparvero improvvisamente sullo schermo. I controllori rimasero sbigottiti: quei velivoli per comparire dal nulla sarebbero dovuti penetrare ad una velocità vertiginosa per poi rallentare in direzione sud-ovest del quadrante, dove il radar li aveva rilevati. Scattò immediatamente l’allarme e il controllore Barnes si affrettò a chiamare la Torre di Controllo per avere conferma. L’operatore Howard Cocklin gli rispose confermando la presenza delle sette strane macchine volanti sui loro schermi e che addirittura, con il binocolo, era possibile vederne una che emanava un vivido colore arancione. Immediatamente partì la comunicazione al Comando di Difesa Aerea e nel frattempo le macchine si erano distanziate: due si trovavano sulla Casa Bianca e una sul Campidoglio, entrambe aree da sempre proibite al sorvolo da parte di qualsiasi velivolo. Il capo controllore Barnes, tenendo continuamente sotto controllo il radar, si mise in contatto con l’aeroporto di Andrews, di là di Potomac, nel Maryland, chiedendo se anche loro rilevavano qualcosa: ovviamente la risposta fu affermativa. In questa pagina Le due immagini rappresentano la ricostruzione del tracciato radar degli UFO intercettati la notte del 20 luglio 1952 su Washington. La seconda immagine in particolare: il punto A rappresenta i 7 UFO che comparvero improvvisamente: due si mossero in direzione della Casa Bianca (B) e uno sopra al Campidoglio. Il punto C rappresenta un UFO che abbandona la rotta di un aereo di linea in direzione nord-ovest. Il punto D rappresenta 10 UFO radunati sopra il Campo di Andrews. E illustra la virata di 90° di un UFO comparata con quella di un normale aereo. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Chiese allora di effettuare lo Scramble (decollo su allarme di caccia intercettori) ma gli venne risposto che i caccia erano momentaneamente a Newcastle, poiché l’aeroporto di Andrew era in riparazione. In realtà però, dopo una mezz’ora, dei caccia sarebbero arrivati da Delaware e testimonianze suggeriscono che degli aerei da Andrews decollarono per intercettare altri UFO rilevati in una zona secondaria. Il controllore Barnes monitorava gli schemi radars quando, insieme al collega Jim Ritchey, si accorse che uno di quei velivoli si era messo ad inseguire un aereo di linea della Capital decollato da poco. La notizia venne immediatamente comunicata al pilota dell’aereo, un ex capitano combattente, tale Casey Pireman, il quale venne informato della posizione dell’oggetto e dei dati vettoriali per cercare di avvicinarlo. Ma ad un tratto, con grande stupore, dal radar scomparve ogni segnale. Le tracce indicatrici avevano infatti smesso di segnalare la presenza degli oggetti, il che dimostrava l’incredibile velocità a cui viaggiavano. Se infatti fino a quel momento era stata stimata intorno ai 130 miglia orari, per uscire dal campo controllato dal raggio radar in soli 4 secondi, significava che la stessa era salita a più di circa 500 miglia al secondo; tant’è che il pilota dell’aereo di linea non ebbe modo di avvicinarsi al velivolo perché si era alzato e sparito in un batter d’occhio, impiegando dai 3 ai 5 secondi. Ma passarono pochi minuti che sul tracciato radar comparve una traccia che mostrava una virata netta di 90° (cosa impossibile per qualsiasi tipo di aereo, pilota compreso) e ad un secondo giro di antenna radar, si vide chiaramente come il velivolo aveva invertito la direzione di marcia arrestandosi improvvisamente, impiegando solo 5 secondi. In questa pagina Giornali dell’epoca descrivono l’avvistamento della notte del 20 luglio 1952 sui cieli di Washington. L’immagine a fianco è tratta dalla testata del New York Times. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà A questo si aggiunse la segnalazione di Joe Zacko, operatore che prestava servizio presso un radar ARS, utilizzato per seguire velivoli ad alta velocità, quando sullo schermo comparve questo oggetto che si trovava sopra Andrews e si dirigeva verso Riverdale, ed improvvisamente sparì dal tracciato. La velocità del Disco quindi doveva spaziare intorno alle[.1] 2 miglia per secondo, con una velocità di spostamento pari a 7.200 miglia orarie, mentre il movimento effettuato era quello di scendere verticalmente, intersecando il fascio radar ARS, stazionando a quella altezza per qualche secondo, per poi schizzare di nuovo verticalmente verso l’alto uscendo dal campo radar. Alberto Chop (in piedi sulla destra) insieme al suo team di controllori, monitora il radar che rileva la presenza di vari UFO sopra i cieli di Washington. Il caccia con i quali cercarono d'intercettare gli UFO su Washington: F-94 c "Starfire" (non ancora in grado di essere supersonici), erano armati di razzi e cannone. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà In tutto quelle strane macchine volanti avevano spaziato sopra Washington per ben due ore, lasciando poco spazio all’immaginazione: era evidente che gli spostamenti e le manovre effettuate facevano capo ad esseri dotati di una intelligenza superiore, che quella notte compirono una ricognizione dimostrativa sulla capitale, dimostrando la loro netta superiorità equiparata all’impotenza dei controllori e di quanti assistettero a quello spettacolo. Nessuno dei piloti degli aerei in volo riuscì ad avvicinarsi ad almeno uno di essi; addirittura il capo controllore Barnes ebbe la sensazione che i visitatori ascoltassero le loro conversazioni, in quanto si dileguavano in maniera preventiva ogni volta che ai piloti venivano date precise istruzioni per cercare di avvicinarli. I caccia invece giunsero a Washington intorno alle 03.30 quando i dischi erano spariti. Ma dopo nemmeno 5 minuti che i caccia stessi si erano allontanati, eccoli di ritorno e continuare a scorrazzare sui cieli della capitale, addirittura “scortando” un aereo di linea fino all’aeroporto; il tutto è proseguito fino alle prime luci dell’alba: 5 ore pressoché continuative di sorvolo da parte di oggetti volanti non identificati su uno spazio aereo proibito. Considerato l’orario in cui accadde la vicenda, furono pochi i testimoni civili, ma il giorno dopo la notizia divenne di dominio pubblico. L’Aviazione si inerpicò in imbarazzanti quanto ridicole giustificazioni, asserendo che gli addetti ai lavori non avevano osservato dei dischi volanti ma che i radars erano difettosi; altri sostennero che nessun caccia era stato visto sorvolare la città e addirittura il Dott. Menzel arginò l’evidente stato di agitazione e preoccupazione popolare dichiarando che le luci che qualcuno poteva aver visto furono provocate dall’inversione termica di quella notte, come risultante delle luci delle auto proiettate verso il cielo. Ma i giornali, i sindacati e i radio-commentatori insistettero affinché si fosse tenuta una conferenza stampa in cui la verità veniva palesa: ovviamente i Servizi Segreti preferirono tacere pur di ammettere l’esistenza di altre forme di vita intelligenti, ma il 26 luglio i dischi tornarono a farsi vedere su Washington. Erano infatti le 09.08 del mattino quando una corposa formazione di 9 dischi sorvolò i cieli della capitale per ben due ore. L’altezza elevata non permise il loro avvistamento da parte della popolazione ma solo di essere intercettati dai tracciati radar del Centro di Controllo di Washington e di quelli di Andrews, che confermarono manovre di oggetti non identificati. Gli intercettori, anche in questo caso, arrivarono anche in ritardo, ma alcuni dischi li aspettarono, permettendo al Tenente William L. Patterson, pilota del suo F-80 “Shootingstar”, di avvicinarne uno alla distanza di un miglio e di seguirlo per qualche minuto, potendone stimare le dimensioni intorno ai 30 mt. Nel frattempo anche il Servizio Segreto dell’USAF era stato allertato ed era entrato in azione: il Maggiore Dewey Fournet jr., il principale TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà investigatore del Pentagono e due controllori, tra cui Albert M. Chop, monitoravano la situazione. Anche in questo caso la notizia dilagò per tutto il Paese e per 48 ore l’Aeronautica Militare venne presa d’assalto da quotidiani e network in cerca di spiegazioni. Nonostante le pressioni interne ed esterne al Pentagono, il Generale Samford, capo dell’intelligence dell’Air Force, continuò ad opporsi ad una conferenza stampa, sostenendo che quello che si era visto in cielo erano solo illusioni ottiche causate dalla rifrazione atmosferica. Ovviamente furono in pochi a credergli ma il tutto nel giro di poco venne messo a tacere e la popolazione si accontentò delle dichiarazioni rilasciate, senza approfondire. Fu così che gli avvenimenti di Washington entrarono a far parte di quegli accadimenti dai contorni poco chiari, ma purtroppo non così “importanti” da essere ricordati come si deve. BIBLIOGRAFIA Donald E. Keyhoe, 1953, “Flying sources from the outer space”, TRAD. IT. “La verità sui dischi volanti”, 1954, ed. Atlante (Milano). www.NICAP.org e www.nicap.org/wnsdir.htm www.wikipedia.it PICCOLA BIOGRAFIA Donald Edward Keyhoe: aviatore statunitense del Corpo della Marina degli Stati Uniti, scrittore di racconti e articoli e direttore del tour promozionale di Charles Lindbergh. Ricercatore responsabile ed accurato, ha condotto fin dal 1955 uno studio approfondito e sistematico sugli UFO, fondando in seguito il NICAP . Lavorò con l'USAF quando ancora le Forze Aeree degli USA non avevano una linea decisa di condotta riguardo l'informazione per il pubblico riguardo gli UFO. Pubblicò alcuni in merito volumi con parziale e implicita approvazione dell'USAF. Albert M. Chop: Direttore Ufficiale della Stampa della NASA e portavoce di D.E. Keyhoe. Esperto civile dell'Aeronautica Militare degli Stati Uniti, in fatto di UFO, e portavoce Stampa dell'A.T.I.C. e dell’USAF. In una dichiarazione ufficiale disse: “Sono convinto da molto tempo che i dischi volanti sono reali e di origine interplanetaria. In altre parole, noi siamo osservati da esseri che vengono da un altro pianeta". [email protected] Ufoonline collabora con i principali portali ufologici italiani, e con siti di prestigio come Lunexit.it, Italian Research, AlienUfos e Tracce d’eternità.Inoltre è attiva una collaborazione con la rivista Area di Confine cui direttore editoriale è l'Ing. Ennio Piccaluga, che per Ufoonline ha curato numerosi articoli e approfondimenti.Altre personalità di prestigio hanno scritto e scrivono per il nostro portale.Ad oggi UfoonLine ha superato i 5.000.0000 di pagine visitate segno che l'apprezzamento per il nostro lavoro è sempre notevole. La media giornaliera dei visitatori unici è costantemente sull'ordine delle migliaia. Il brand Ufoonline rappresenta oggi uno dei più importanti siti ufologici italiani, il primo in assoluto secondo Google. Oggi questo sito/forum vuole essere un punto d incontro per parlare di ufo, misteri, e confrontarci in maniera costruttiva per raggiungere lo scopo unico la Verità. Ufoonline il portale di Ufologia dal 1999 - Ufo, Abduction, Crop Circle, Misteri, Cover-Up. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Luoghi Misteriosi pag.130 www.luoghimisteriosi.it Le “Grotte delle Fate” in Italia Isabella Dalla Vecchia Alcuni luoghi della nostra penisola ospitano grotte, presumibilmente abitate nella preistoria, simili tra loro per una piccola coincidenza, che non è il loro utilizzo, la forma o quantomeno la posizione. Per un motivo ad oggi ignoto, queste cavità sono “identiche” nel nome, perchè si chiamano tutte “Grotta delle Fate”. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Ne esistono molte in Sardegna e nella Lunigiana (la zona settentrionale della Toscana), motivo questo che accomunerebbe ulteriormente le due regioni; in altre occasioni infatti, sono stati ritrovati reperti eccezionalmente simili come la famosa Stele della Lunigiana, che ricorda molto i menhir scolpiti sardi. Tutto ciò conduce alla certezza che vi sia stato uno scambio culturale e commerciale tra le due regioni, nonostante la presenza del mare che poteva mettere in difficoltà le comunicazioni. La tradizione vuole che il nome di “Grotta delle Fate” sia stato attribuito dai contadini certi che in quelle cavità rocciose abitassero gli “spiriti dei boschi”. Venivano utilizzate a volte per riparare le greggi dalle intemperie, pur con un certo timore per il fatto che fossero in un certo senso “magiche”. Addirittura si pensava che la Grotta di Angera nascondesse un passaggio dimensionale, attraversando il quale non si avrebbe più fatto ritorno… Nonostante in Sardegna vi siano moltissime Domus de Janas (nome sardo di “Casa delle Fate”) sparse in tutto il territorio, analizzeremo quella considerata come la più importante dal punto di vista storico-archeologico. Per quanto riguarda le grotte toscane, riporteremo un estratto di Rino Barbieri, ricercatore della Lunigiana. Inoltre parleremo di quella presente ad Angera in Lombardia e di una particolarissima Grotta delle Fate, per via della presenza di una misteriosa vasca votiva al suo interno, a Coreno Ausonio nel Lazio. SARDEGNA: DOMUS DE JANAS O “CASA DELLE FATE” DI SANT’ANDREA PRIU Sant’Andrea Priu si trova nei pressi di Bonorva (SS), nella piana di S. Lucia ed è costituita da una ventina di tombe ipogeiche, sotterranee e scavate durante la fase del neolitico lungo il ripido costone di trachite. I primi riferimenti relativi a S.Andrea Priu risalgono al sec. XIII. Questo genere di tombe in Sardegna vengono chiamate “domus de janas” ed erano utilizzate per seppellire ed onorare i defunti. La parola “domus de janas” (=Casa delle Fate) è abbastanza recente, quando nell’immaginario collettivo sardo si era ormai persa memoria della loro funzione originaria e si credeva fossero abitate da streghe, fate e gnomi; esistono anche diverse leggende che dicono di aver visto alcune ninfe apparire in questi luoghi. Domus de Janas deriva infatti da Diana, la dea della caccia. La parte più importante è denominata “Tomba del Capo” ed è costituita da 18 vani, di cui 3 molto vasti (i principali), distribuiti lungo lo stesso asse e 15 cellette più piccole disposte attorno ai tre principali. Risale al 3000 a.C. ed è stata così chiamata non perché ospitasse un re o qualche personaggio importante, ma perché è la più ampia tra tutte le altre tombe. L’interno di questi luoghi mantiene l’aspetto delle coeve abitazioni: architravi, stipiti, pilastri di sostegno laterale e zoccolatura perimetrale, questo perché si credeva che il defunto ritornasse a nuova vita, che avesse necessità di continuare a vivere in un luogo simile alle capanne in cui aveva trascorso l’intera esistenza. Infatti, notevoli quantità di utensili e oggetti di vita TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà quotidiana, i corredi funerari, venivano accostati al corpo. Interno della domus de janas – si vedono le “architravi” scolpite Si credeva insomma, anche in questi luoghi, in una sorta di resurrezione, proprio come il popolo egizio, la cui similitudine è sorprendente. Sono stati ritrovati scheletri di uomini in posizione fetale, così disposti perché potessero rinascere direttamente dal grembo della Madre Terra, identificato come la grotta in cui venivano deposti. L’ambiente era anche interamente colorato di ocra rosso, il colore del sangue, ma qui inteso come fluido che porta la vita, l’energia per risorgere. All’entrata della grotta è possibile vedere una sorta di solchi rotondi, erano coppelle votive per raccogliere le offerte destinate ai defunti, cibo, olio, grano. coppelle votive Questo luogo fu riutilizzato come chiesa bizantina nel 535 d.C, intitolata a S.Andrea dal Vescovo di Sorres Guantino di Fanfara. Venne intonacata di bianco, affrescata e i pilastri interni furono levigati e trasformati in colonne. Inoltre le nicchie di sepoltura furono chiuse lasciando solamente i tre vani principali: nartece per i catecumeni, aula per i fedeli già battezzati e presbiterio per i sacerdoti. Sopra l’altare fu aperto un pozzo luce per illuminare il sacerdote con la luce del sole, così da dargli un’immagine divina di fronte a tutti i fedeli che invece restavano al buio. Anche la pioggia era importante perché proveniva dal cielo e, entrando direttamente in Chiesa, toccava l’altare e defluiva in due canali che finivano in un pozzetto utilizzato come fonte battesimale, perché così l’acqua era già considerata benedetta. All’interno troviamo diversi affreschi, un Cristo pantocratore nella mandorla con i quattro evangelisti ai lati, i 12 apostoli alla sua destra e una scena della sua infanzia alla sua sinistra. Questo luogo è considerato una delle prime chiese nel tempo delle persecuzioni e l’ennesima dimostrazione di un tempio cristiano costruito su un tempio pagano. In cima è presente una statua del dio toro al quale i cristiani hanno tagliato la testa. NOTE: Articolo e fotografie di Isabella Dalla Vecchia – www.luoghimisteriosi.it ad eccezione di: Fotografie della vasca votiva di Coreno Ausonio di Costanzo Salvatore Articolo e fotografie delle Grotte delle Fate in Lunigiana di Rino Barbieri Interno “trasformato” in luogo cristiano TOSCANA: GROTTE DELLE FATE IN LUNIGIANA Sunto tratto dal libro di prossima stampa di Rino Barbieri “ Lunigiana: la terra del sole” - casa editrice "PILGRIM EDIZIONI di TESCONI Maura - Aulla" La Grotta delle Fate a Turlago A Turlago esiste un luogo denominato da sempre “Grotta delle Fate” (nel linguaggio dialettale della zona per “grotta” si intende una parete di roccia affiorante) con grosse e ripetute nicchie che a prima vista sembrerebbero naturali. Si trova a sud est e gode di una grande insolazione. Sono Rino Barbieri, ricercatore della Lunigiana e vi parlerò della mia personale visita al sito effettuata con l’aiuto di una guida del posto che mi ha condotto per un sentiero che attraversa il Monte Grosso, in TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà prossimità del versante di Turlago e delle Apuane. Arrivammo di fronte alla “pietra solare” per eccellenza, il “ Monte Sagro” che, a mio parere, “sacro” è divenuto perché il sole di mezzogiorno, alla sua massima potenza, è perfettamente perpendicolare alla sua cima. Procedemmo scendendo dal versante verso la cava di arenaria della “Costìa” dalla quale, nel cinquecento, furono estratte le colonne della Chiesa di Fivizzano. Arrivammo infine alla “Grotta delle Fate”, una parete rocciosa di arenaria affiorante, sulla quale si estende una folta vegetazione di eriche. Da qui è possibile osservare un panorama sulle Apuane eccezionale, godibile al meglio se si riesce anche a difendersi dal sole implacabile. Questo masso ci stupì subito per la sua struttura non naturale e per le sue numerose cavità scavate e levigate dall'uomo nella preistoria. Sulla superficie ci apparivano diverse nicchie, a volte multiple, scolpite nella roccia. Cavità scolpite Ve n’erano alcune non raggiunte dagli agenti atmosferici e per questo motivo mantenevano ancora una certa colorazione di nero che, per gli antichi, era il colore della fertilità. Esattamente in fronte a noi ci siamo ritrovati due sedili di pietra, mentre un altro con forma anatomica era scavato alla base di due pareti convergenti. Il gioco di luce ed ombra sulle rocce sapeva creare un’autentica suggestione. A stento si riusciva ad entrare a contatto del masso per la presenza di rovi ed arbusti che lo avvolgevano, ma ciò non mi ha impedito di accorgermi di un piccolo altarino con due gradini scavato dentro la viva roccia. L’intero sito richiama l'idea delle “Domus de Janas” sarde, le “case delle fate”, tombe ricavate nella pietra granitica da popolazioni che vissero nel neolitico. In questo caso però non si può parlare di esistenza di sepolcri, nonostante sia un luogo sacro. Non posso fare a meno di riflettere sulla pazienza dei nostri antichi antenati che, con tecniche sconosciute, hanno saputo modellare la roccia chissà con quale strumentazione. (Mi è stato riferito che durante la Resistenza in questi buchi asciutti i Partigiani nascondevano le armi). Osservando i sedili di pietra immaginavo donne primitive e scapigliate che qui venivano a ricevere il potere rivitalizzante dei raggi solari per affrontare meglio una nuova maternità o che qui si recavano semplicemente a pregare il Dio Sole che esaudisse qualche loro segreto desiderio. Arrivò la sera e c’era bisogno di rientrare...lasciammo il masso con una non soddisfatta curiosità e con la promessa di ritornarci presto ad osservare la zona più nel dettaglio con la sensazione, credo di chiunque, che ci fosse sfuggito qualcosa. Il masso roccioso affiorante purtroppo è stato scavato e tagliato quando fu costruita la strada carrozzabile che da Luscignano conduce a Casola: quindi la parte più bassa è solo pura roccia e quindi sono state asportate le eventuali opere umane. Ma qualche metro più in alto e per un'altezza di circa 15/20 metri abbiamo a ripetizione cavità, nicchie, fori: la stessa situazione della “grotta delle fate” di Turlago. Ancora un santuario della fecondità! La Grotta delle Fate di Luscignano a Casola Lunigiana Il sito è segnalato dalla insistenza proprio sulla strada asfaltata di una edicola votiva, una Madonnina che ci dice della trasformazione nel cristianesimo di antichi culti religiosi. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà A circa 12 metri di altezza dalla strada asfaltata ho visionato una triplice nicchia che ha ancora le volte dipinte di nero che come ho già detto è il colore della fecondità. Ho fatto ancora una rapida escursione, aggirando il masso, fino alla sommità ove ho trovato pietre disposte a probabili sedili ove ci si poteva collocare in seduta proprio davanti al sole, che in quel punto batte impietosamente essendo il masso disposto a mezzogiorno. Sotto scorre il fiume ed il rumore dell'acqua copre il silenzio. Ancora una volta sono a ripensare a tutto quello che ha rivelato il Monte Grosso, cioè quel monte che va da Casola a Fivizzano: nel passato, tre statue stele , punte di freccia, selci; ed ora, compresa la Grotta di S. Caterina già da me rivelata, abbiamo tre “santuari della fecondità” che aspettano la visita dell'uomo moderno in cerca di emozioni. LAZIO: LA GROTTA DELLE FATE E L’ENIGMATICA VASCA VOTIVA A CORENO AUSONIO Coreno deriva da KORA OINOU (terra del vino) e da KORINEM (clava di Ercole, dio qui molto venerato, vi è anche un tempio a lui dedicato non lontano dal paese), mentre Ausonio è stato aggiunto di recente e deriva dal popolo che abitava queste terre, gli ausoni o aurunci. Il luogo era per i romani di prestigio, perché ricco di un particolare marmo, il noto "perlato di Coreno" con il quale vennero edificati famosi monumenti tra cui la Via Appia, colonne e strade di Pompei e l’anfiteatro di Miturnae. Questa zona ospita un luogo molto interessante, il più antico di queste zone, si chiama "Grotta delle Fate", ed è sito in Contrada Jagna. E’ un’insolita grotta a ridosso del Monte Schiavone, scavata e modellata a scalpello nella roccia, non facile da individuare. Sotto l’entrata vi sono una serie di terrazzamenti coltivati che ospitano anche due pozzi. La porta della grotta è larga 2,50 metri per 2 metri di altezza, ma l'ingresso è ostruito ed è molto arduo accedervi. Oltre l’entrata vi è un atrio che è stato scalpellato nel tentativo di rendere le pareti regolari, da cui si diramano due cunicoli che potrebbero portare ad altre stanze, mai trovate per la loro inagibilità. Essi infatti si aprono larghi per ridursi a piccoli vani chiusi. Mancanza di fondi ed investimenti per gli scavi hanno lasciato la grotta in un inevitabile e deleterio abbandono. Sul lato sinistro è presente un’enigmatica vasca votiva scavata in un unico blocco di marmo di 2,15 metri di lunghezza per 1,15 di larghezza e 0,90 metri di profondità. La forma di questo monumento è perfettamente squadrata ed è proprio da qui che si avviano i nostri enigmatici interrogativi. vasca votiva all’interno della Grotta delle Fate La vasca comprende un incavo sul lato breve dal chiaro richiamo di sedile o poggiatesta, 4 scanalature sui TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà lati lunghi per l'appoggio di sbarre o di un coperchio, 2 forme per contenere due "cerniere", un foro per contenere un presunto cero o torcia, una croce sicuramente postuma. L’ipotesi della Tomba Questa “vasca” dai lineamenti regolari, è stata ipotizzata come un sarcofago entro il quale si presume fosse stato deposto il cadavere. Vi è la presenza di un piccolo avvallamento identificato come poggiatesta e di alcuni incastri per l'appoggio di una lastra di chiusura. Sicuramente non di fattura romana per la sua struttura unica nel suo genere, è stato ipotizzato che risalga all'VIII secolo a.C. epoca in cui la zona sarebbe stata abitata dal popolo degli Osco-Sabelli che avrebbero costruito questo "sepolcro" ad imitazione di quelli etruschi. Molti popoli ricreavano nella tomba l’ambiente quotidiano della capanna, non solo riempiendolo di utensili, ma scolpendo la roccia a imitazione della propria casa, credendo così nel risveglio del defunto dopo la morte. Ricreare l'ambiente familiare all'interno della tomba era il rituale non solo degli etruschi ma anche del popolo sardo, ad avvalorarlo sono le famose Domus de Janas, guarda caso traduzione in sardo di "Case delle fate". Questa è una coincidenza davvero incredibile che collegherebbe questa grotta anche con la Sardegna. Altra "particolarità" è la similitudine di Janas con "contrada Jagna" nome dell'area in cui si trova il sito. Un'antica vasca votiva? Il monumento ha anche un'altra chiave di lettura, sicuramente più interessante di quella precedente. Esso è stato visto come una vasca votiva, ipotesi più veritiera per diversi importanti particolari. Primo fra tutti la presenza di una scanalatura della roccia lungo tutta la parete dell’atrio che serviva molto probabilmente a portare l’acqua verso una spaccatura nella parete di sinistra, fin dentro la vasca. L'incavo sul lato breve che abbiamo visto come “poggiatesta” diventa in questo caso un sedile, funzione più veritiera dato che nessun uomo potrebbe appoggiarvisi la testa essendo rialzato dal fondo della vasca di 40 cm. Le quattro scanalature sui lati lunghi potevano contenere delle sbarre o un coperchio ormai scomparso che poteva fungere da altare "contenitore di acqua" elemento sacro per ogni forma di rituale antico. Un’acqua sacra perchè estratta direttamente dalla montagna, dalla Madre Terra, che sarebbe giunta con trasporto capillare fin direttamente alla vasca, un utero simbolico, al cui interno ci si immergeva per rinascere a nuova vita. Il “poggiatesta” o “sedile Inoltre le due scanalature sul lato esterno sembrerebbero due cerniere per far scorrere il presunto coperchio, ipotesi però da scartare, essendo le cerniere sul lato "aperto", cosa che renderebbe impossibile e quantomeno scomoda l'apertura dell'altare. Vi è anche un foro che poteva fungere da porta-candela o torcia per illuminare l’altare e i presunti rituali. Vasca o tomba, ciò che è prezioso è il monumento in se stesso, dalla perfetta fattura, indice di un lavoro intenso e preciso. Elementi di tale fattura sono alquanto rari e per questo il sito, nonostante sia abbandonato, ha un profondo valore archeologico che speriamo possa avere un giorno il giusto merito. Per ora è stato il centro dell’interesse solo dei tombaroli che purtroppo non sappiamo cosa abbiano realmente trovato e trafugato, speriamo non siano riusciti a rubare il tesoro più prezioso, ovvero la risposta alla domanda "Cosa realmente avveniva qui dentro?". TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà LOMBARDIA: LA “PORTA DELLE FATE” AD ANGERA Questa cavità, che si trova ai piedi dell’arroccato castello di Angera, era anticamente un mitreo, ossia un tempio dove veniva venerato il Dio Mitra, unico esempio in tutta la Lombardia. Essa era chiamata Tana del Lupo, Antro di Mitra e Grotta delle Fate. All’esterno sono ancora presenti delle tracce di rilievi alquanto misteriosi legati ad antichi rituali e incavi che dovevano contenere lapidi o oggetti votivi. E’ un’apertura naturale della roccia di 7,50 metri x 4,70 con un’altezza di circa 5 metri. Una leggenda narra che all’interno della grotta, ogni 100 anni si aprirebbe una porta magica che condurrebbe ad un’altra dimensione popolata da fate ed esseri soprannaturali. Nessuno ha mai varcato la soglia affinchè potesse raccontare cosa questo mistico luogo nasconda. La Rocca di Angera La leggenda potrebbe essere un’interpretazione “popolare” del percorso iniziatico che gli adepti ai culti di Mitra dovevano intraprendere. E’ possibile che il Tempio sia stato utilizzato per questo tipo di culto fino a tempi relativamente recenti ed è anche presumibile che “l’attraversamento della porta” di un iniziato, un rituale semplicemente mistico, doveva essere visto dal contadino di turno come un evento fortemente magico. Il Dio Mitra da sempre è il riflesso pagano di Cristo, per via delle notevoli somiglianze. Anche Mitra nasce da una vergine in una grotta, ecco perché i luoghi a Lui dedicati sono simili a quello di Angera. E’ la divinità del sole e della luce con lo scopo di sconfiggere il male e salvare l’umanità e anticamente veniva festeggiato il 25 dicembre. Mitra muore a 33 anni ed è sempre affiancato da 12 compagni. Epilogo Le Grotte delle Fate potrebbero risultare banali, superficiali, quasi “divertenti” per via del nome che di certo richiama alla mente il genere “Fantasy”, che poco ha a che fare con l’archeologia. Ma anche la dottrina del fantastico nonostante oggi sia manipolata fino all’eccesso, ha diverse provenienze dalla storia, perché reinterpreta secondo fantasie popolari, eventi realmente accaduti. Re Artù è esistito, i draghi venivano “usati” dalla chiesa per spaventare i fedeli , rassicurati che questo animale spaventoso, simbolo del male, veniva sempre sconfitto dal cavaliere San Giorgio. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Nell’antico Orlando Furioso si narrava di maghi, anelli prodigiosi, ippogrifi, personaggi che vivevano intorno alla nobile corte di Carlo Magno e conosciamo bene il successo che l’Ariosto ebbe tra i nobili del tempo. Un po’ di magia affascina anche noi, è per questo che ci occupiamo di “luoghi misteriosi”. E noi, come tutti voi, recandoci ad Angera, dopo aver visitato il castello con l’obiettivo di aumentare la propria cultura medievale, non possiamo fare a meno di cercare quella Grotta delle Fate e nel nostro intimo, di sperare di poter essere gli unici a poter in quel momento vedere il portale magico aperto… www.luoghimisteriosi.it Altre verità pag.137 Saulo di Tarso (Paolo) Tra mito, ipotesi e storia Alateus Alateus www.alateus.it Per quanto riguarda la nascita si dice sia nato a Tarso in Cilicia (Anatolia) ma la data di nascita è incerta. Probabilmente è nato intorno al 760 a.u.c. 1, 13 1 (a.u.c. = ab urbe condita TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà anni dopo la nascita di Gesù. Comunque san Gerolamo non è d'accordo e indica come luogo di nascita il borgo di Giscala in Galilea 2. 2 TAYLOR R. - The Diegesis Secondo santa Tecla: era di persona corta e robusta, largo di spalle e con le gambe piegate (deformi), quando camminava le sue ginocchia si toccavano ed era costretto a procedere a piccoli passi. Aveva fronte larga, la testa calva, soppraciglie unite e naso aquilino. Non si può quindi dire che fosse un adone 3. Non si conosce molto riguardo la famiglia. Si ipotizza fosse una famiglia aristocratica e molto facoltosa, (tribù di Beniamino?) da sempre legata a Roma e che quindi godeva della cittadinanza romana, quella cittadinanza che Saulo sa sfruttare molto bene nei momenti più significativi della sua storia. Detto per inciso, i romani erano molto cauti nel concedere la cittadinanza di Roma agli stranieri, perciò si può supporre che la famiglia fosse legata a Roma da particolari e forti interessi (tra l'altro: fabbricanti-fornitori di tende militari per l'esercito imperiale). Resta però da considerare il fatto che Tarso è diventata colonia romana, sotto l'imperatore Caracalla, verso il 970 a.u.c., e cioè 150 anni dopo la presunta morte di Paolo. Da dove veniva dunque questo ambìto privilegio di cittadino romano? Si trattava alfine di una famiglia giudea di tendenze farisaiche. 3 Atti di Paolo e Tecla …il tribuno gli disse: "Dimmi, tu sei romano?" Ed egli rispose: "Sì". "Io - riprese il tribuno ho acquistato questa cittadinanza a caro prezzo". E Paolo: "Io invece vi sono nato" 4. La sua cultura doveva essere molto vasta. Educato dalla famiglia in base ai precetti della Torah e della Legge Mosaica, la sua educazione è stata sicuramente integrata con quella cultura di stampo ellenistico allora assai diffusa in Cilicia. Inviato nella sua prima giovinezza a Gerusalemme, frequenta la prestigiosa scuola di Gamaliele. Pare avesse una totale padronanza della lingua greca, della lingua ebraica e di quella aramaica. Ancora molto giovane, grazie probabilmente agli appoggi di cui godeva, diventa un agente fiduciario del sommo sacerdote del Tempio. Occupava quindi una posizione di rilievo e se in quel periodo ha conosciuto Gesù, lo ha conosciuto stando in campo opposto ed operando per il controllo ed il contenimento delle rivendicazioni messianiche degli essenozeloti. Resta comunque legittimo il sospetto che non abbia conosciuto effettivamente Gesù. In effetti solo dopo tre anni dalla morte del Cristo 4 Luca-Atti degli Apostoli TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà entrerà in contatto e cercherà di confrontarsi con quelli che si ipotizza lo abbiano conosciuto. Saulo è molto zelante nel compimento dei suoi doveri acquistando così una fama pesantemente negativa tra i sostenitori del movimento messianico. Tutto questo sino al 789 (a.u.c.) anno in cui Saulo riflette seriamente sul proprio avvenire. Prossimo ai 30 anni, ambizioso, arrivista, profondamente umiliato dal suo ex maestro Gamaliele, che gli rifiuta la figlia in sposa a causa delle sue deformità, si rende conto: a) che al servizio del Tempio le prospettive per il suo futuro non sono poi tanto esaltanti; b) che la marea montante del movimento essenozelota ha in sè qualcosa che la sua intelligenza è in grado di incanalare e mettere a frutto. Questo considerato, parte alla chetichella alla volta di Kirbet Qumran (Damasco) e chiede di entrare a far parte della comunità. Si può solo immaginare la sorpresa degli esseni di fronte a tanta richiesta da parte di un personaggio con una fama come la sua. Comunque alla fine viene battezzato (rito di ingresso) e si assoggetta pazientemente al noviziato di tre anni, durante i quali assorbe i principi del movimento esseno e, a tutti gli effetti, diventa egli stesso esseno (o almeno così pare). Le peripezie che seguono al suo primo ritorno a Gerusalemme, gli incarichi ricevuti dalla Nuova Chiesa ebraica, i viaggi e le polemiche sono già stati riportati nei rispettivi anni della cronologia. Quello che occorre rilevare è che sin dall'inizio Paolo (ora lo si può chiamare così) si rende conto che la cosidetta "Nuova Chiesa di Gerusalemme" è solo una conventicola di zombi che si alimenta di sterili polemiche e di battibecchi con la casta sacerdotale del Tempio, mentre lui, Paolo, ha idee ben più grandiose: creare una nuova corrente religiosa che, pur essendo di matrice ebraica, possa essere diffusa ed accettata anche da altri popoli. La Nuova Chiesa Ebraica di Gerusalemme, per quella orgogliosa forma di chiusura mentale e sociale (che sarà, nei secoli, causa di infinite persecuzioni) "noi siamo il popolo eletto" si rivolge esclusivamente alle comunità ebraiche, sparse un po' dovunque nel bacino del Mediterraneo, per aizzarle contro l'autorità del Tempio; Paolo invece vuole rivolgersi anche ai "non circoncisi" proponendo loro un nuovo culto su basi che non contrastino e non mettano in allarme l'attento e sospettoso governo di Roma. E poi, a proposito di "popolo eletto", stando a quanto riporta la Bibbia (Giosuè 24,2-24) Jahvè non ha eletto gli ebrei come suo popolo prediletto ma sono stati gli ebrei a eleggere Jahvè come loro dio, su sollecitazione di Giosuè, nella grande radunanza di tutte le tribù d'Israele a Sichem. Bisognava pure definire un qualcuno a cui tutto attribuire e da cui tutto derivare 5. Per quanto si possa dire, l'ipotetico Gesù era un ebreo ortodosso e come tale sarebbe rimasto sino all'ultimo; non ha mai avuto l'intenzione di creare una nuova religione. S a n P a o l o , Ch i esa di S a n P a o l o i n S po nt ri c c i o l o S . Lo r enzo – Ri c c i o n e Gesù mirava al sodo ed aveva obiettivi molto terreni ed assai poco celesti: avrebbe puntato al trono di Israele e a null'altro. Paolo è persona intelligente e scaltra. Sa benissimo che le masse possono essere governate, più che con lo scettro (o le armi), con i miti, le paure indotte e le grandi illusioni. 5 La Bibbia (Emmaus) - Ed. S.Paolo 1998 TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Si mette perciò alacremente all'opera e pesca, a piene mani, nel ricco repertorio dei miti del passato, da quelli egizi a quelli della Mesopotamia, a quelli dell'insorgente messianesimo. Si inventa una quantità di miracoli che attribuisce a Gesù trasformandolo, poco alla volta, in una specie di dio. Fa esattamente ciò che facevano i romani divinizzando i loro imperatori anche se poi, a volte, si dimostravano degli emeriti citrulli, per non dire bestie! Una occhiata alle FONTI MITICHE può chiarire da dove sono derivate determinate basi della teologia cristiana-paolina. Nel fare questo Paolo entra inevitabilmente in conflitto con la classe dirigente della Nuova Chiesa di Gerusalemme, ancorata al rigido rispetto della legge mosaica, ma non dell'autorità del Tempio. Le predicazioni di Paolo, di natura deviante e con poco in comune con le idee conservatrici coltivate in seno alla Chiesa di Gerusalemme, preoccupano molto il gruppo dirigente della comunità. Lo scontro è violento; Paolo viene accusato di inventare, di sana pianta, una nuova teologia che ha sempre di meno in comune con la fede giudaica e la Legge di Mosè; viene accusato di attribuire a Gesù, che non ha mai conosciuto, parole ed atti che quest'ultimo non si sarebbe mai sognato di dire o fare. Il problema per Giacomo il Giusto, che ormai è il capo indiscusso della comunità di Gerusalemme, è quello di capire sino a che punto sia utile convertire i pagani alla dottrina ebraica della Nuova Chiesa di Gerusalemme. Come conservatore è probabilmente più propenso a riservare questo "privilegio" agli appartenenti al "Popolo Eletto". Per Paolo invece il problema è un altro: espandersi anche tra i pagani o accettare un inevitabile declino. Paolo non capisce, o non accetta, l'idea settaria e ristretta del messia di Aronne che dovrebbe risolvere le beghe con i sacerdoti del Tempio; Paolo pensa ad un messia da proporre, a livello mondiale, basato su altri presupposti e con finalità di ampio respiro. Comunque il concilio di Gerusalemme del 58 e.v. 6 si chiude senza grandi decisioni; in pratica ognuno resta ancorato alle proprie idee 7. A parte ciò, la Nuova Chiesa di Gerusalemme esita a liberarsi di un "apostolo tanto scomodo" e questo per un buon motivo. Qualsiasi setta, culto o credenza per affermarsi ha bisogno di una struttura, di una organizzazione per la era volgare. Opinioni diffuse e/o contestualmente indotte. diffusione del credo e quindi ha bisogno di denaro. E Paolo è la persona adatta per fare quattrini. Affabulatore spigliato, energico e convincente, nei suoi tre lunghi viaggi, raccoglie una quantità considerevole di contributi che versa regolarmente nelle casse della Nuova Chiesa di Gerusalemme. Gli ebrei, fuori dalla Palestina, avevano mantenuto il loro legame con il Tempio di Gerusalemme, legame che, al lato pratico, si concretizzava con il versamento di un contributo annuale di mezzo siclo d'argento. Paolo, con la sua abilità, riesce a deviare in parte questo flusso di denaro raccogliendolo per la Nuova Chiesa di Gerusalemme. Tutto questo potrà apparire poco apostolico ma Luca, negli Atti degli Apostoli (11,29), implicitamente ne dà conferma: le chiama "elemosine" 8. Paolo nelle sue epistole le definisce esplicitamente "collette". E' difficile stabilire sino a che punto Paolo sia riuscito a portare avanti le sue bugie ed il suo progetto di fondatore di un nuovo culto; un fatto è certo: dopo di lui alcuni altri (evangelisti) hanno raccolto il testimone ed hanno proseguito nella realizzazione del progetto continuando a divinizzare, 6 7 8 Luca-Atti degli Apostoli. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà a tappe e per circa tre secoli, la figura di Gesù. Una cosa che ha sempre messo in fastidioso imbarazzo sia i cristiani che gli ebrei, è il fatto che, malgrado tutto, Paolo, come Gesù, è sempre stato fondamentalmente ebreo. Anche se con le sue predicazioni ha messo in discussione alcuni principi della legge mosaica non vuol dire che abbia rinnegata la sua primitiva matrice di stampo farisaico. Tra le altre cose occorre segnalare che "secondo lo storico della chiesa Eusebio di Cesarea ed altri, Paolo si sarebbe (non si sa bene quando) sposato con una certa Evodia." Che fine abbia fatto Paolo realisticamente non lo sa nessuno. http://semperamicus.blogspot.com Dopo le ultime disavventure a Gerusalemme ed il suo trasferimento a Roma, sembra svanito nel nulla. Lo stesso Luca, che negli Atti degli Apostoli ne esalta le gesta, termina la sua presunta testimonianza lasciando aperta la questione 9. Un fatto è innegabile; durante il suo soggiorno a Cesarea e durante gli "arresti domiciliari" a Roma ha goduto di strani inconsueti privilegi. Di quale considerazione godeva Paolo presso il governo romano e perchè? Dopo due anni di permanenza a Roma Paolo, che ormai ha 56-57 anni, sparisce dalla circolazione. Che fine abbia fatto resta dunque un mistero. L'ipotesi più accreditata, ma sempre opinabile, è che il governo di Roma (Nerone) lo abbia trasferito in un soggiorno definitivo e più "tranquillo" in Spagna 10. Durante gli ultimi anni è certo che abbia affinato le basi della sua costruzione teologica, fondando una setta proto-cristiana, dagli imprevedibili sviluppi e meno "esclusiva" dell'ebraismo, lasciando ad altri seguaci il compito di formalizzarla e diffonderla. In fondo la dottrina di Paolo, che predicava la Luca-Atti degli Apostoli. Secondo R.H. Eisenmann: Paolo, aristocratico e molto agiato, godeva di conoscenze in alto loco con il potere dirigente. In confidenza con i governatori di Cesarea e con Erode Agrippa II, poteva essere un agente di Roma. Fornisce informazioni ed il potere lo protegge, gli attribuisce una nuova identità e denaro e questo spiegherebbe la definitiva sparizione, non giustificata negli Atti degli Apostoli (EISENMANN R. -James the brother of Jesus – 1997). Da considerarsi come una battuta: forse la CIA ha origini antichissime. 9 10 sopportazione agli oppressi, agli schiavi ed ai reietti, in vista di una immancabile ricompensa post-mortem, non doveva dispiacere al governo di Roma, sempre in lotta contro le rivendicazioni e gli aneliti di libertà delle popolazioni sotto il giogo dell'impero. E' ora necessario ed opportuno tornare coi piedi per terra. In questi ultimi anni i dubbi, le perplessità e le incongruenze che sono sorte su questo singolare "missionario" mettono in forse la sua "reale esistenza" ed insinuano il dubbio che si tratti di un personaggio di pura invenzione, dietro al quale siano state mascherate ben altre realtà. Una analisi attenta ed accurata dei Rotoli di Qumran e dei Vangeli gnostici di Nag Hammadi, ha recentemente indotto lo studioso R.H. Eisenmann alla formulazione di una nuova suggestiva tesi. Paolo sarebbe stato "l'Uomo di Menzogna" che, nell'ambito della setta essena, si sarebbe contrapposto a Giacomo, fratello di Gesù e "Maestro di Giustizia" della stessa setta 11. Paolo avrebbe quindi provocato uno scisma nella setta e, dopo essere stato cacciato dalla comunità, avrebbe dato origine ad un nuovo movimento "La Setta degli Apostolici" di matrice fortemente gnostica. 11 EISENMANN R. -James the brother of Jesus – 1997. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Qualche secolo dopo la burocrazia clericale di Roma avrebbe ripulito le idee di Paolo dalla loro componente gnostica, trasformandolo nel personaggio di comodo oggi a tutti noto. Resta sempre il fatto che tesi e supposizioni sul personaggio Paolo sono tante e tali da indurre, in definitiva, a mettere in dubbio la sua stessa esistenza. Fino a che punto i documenti di Qumran e di Nag Hammadi hanno una valenza storica oltre che mitica? Considerando le cose da un altro punto di vista e fermi restando alla favola evangelica, Paolo non sarebbe quindi uno dei tanti Apostoli, ma il più eminente convertito dopo la morte di Gesù. Egli avrebbe operato come missionario e pastore ed anche come un instancabile raccoglitore di quattrini dei Gentili che consegnò poi alla Nuova Chiesa di Gerusalemme, di matrice esseno-cristianogiudaica. In realtà non esiste la minima prova storica che questo personaggio sia nato, vissuto e morto come Luca ci racconta nel suo "Atti degli Apostoli". Anzi, certe reticenze dello stesso Luca confermano che si tratta di un personaggio inventato, presumibilmente intorno al 180-220 d.C., dopo la stesura dei primi vangeli. E' quasi certo che il nome fittizio di Paolo costituisca solo un punto di aggregazione e di riferimento in cui convergono idee e principi maturati nei primi secoli di un cristianesimo ancora incerto e privo di precise identità. Nessun storico ne parla; Giuseppe Flavio (37-95 e.v.), che ha vissuto a Roma nello stesso periodo di tempo, attribuito all'analoga permanenza di Paolo, non ne fa alcun cenno. Lo stesso si può dire di Plinio il Giovane (62-113 e.v.), Tacito (55-120 e.v.) o Svetonio (69-140 e.v.). Le epistole di Paolo, che sono una parte importantissima del Nuovo Testamento e che dovrebbero essere i primi documenti cristiani, per uno strano caso non parlano quasi mai di Gesù, anche se si vuol far credere che Paolo sia vissuto durante e dopo l'avvento di questo cristo e che quindi avrebbe dovuto conoscere bene la sua vita ed i suoi miracoli. Si può invece facilmente constatare come queste epistole siano una farraginosa miscela di concetti spirituali ripresi da vari culti, sette, religioni e scuole misteriche esistenti da centinaia o migliaia di anni prima del cristianesimo. Paolo non parla mai di Pilato, dei romani, di Caifa o del Sinedrio, di Erode o di Giuda, delle pie donne o di qualsiasi altra persona od eventi, tanto menzionati nei vangeli "ufficiali" della chiesa, e tantomeno della nascita straordinaria del Salvatore, delle parabole e dei suoi strabilianti miracoli. Come si può pensare che un predicatore del nuovo messia possa andare per il mondo a convertire la gente nel nome di Gesù senza citare una sola volta i suoi detti o le sue parabole? Il fatto in se stesso che non ci sia un solo detto di Gesù, riportato dai vangeli e che sia stato citato da Paolo nelle sue lettere è inammissibile e fatale per la storicità sia di Gesù che del suo presunto apostolo/missionario. (Ci sono poi delle cose veramente eclatanti. Nella prima lettera a Timoteo, Paolo parla del lavoro di Marcione intitolato "Antitesi". Questa lettera, secondo la chiesa, sarebbe stata scritta intorno al 6566 e.v. Posto che Marcione è vissuto dall' 85 al 160 e.v., ed è stato espulso dalla chiesa di Roma nel 144 e.v. per eresia, se ne deduce che la letterina a Timoteo è stata scritta prima che Marcione stesso nascesse!). Una ipotesi abbastanza attendibile, ma da dimostrare, è quella che attribuisce le lettere paoline all'opera di Marcione. (H. DeteringDer Gefaelschte Paulus1995) Recenti studi propendono oggi ad attribuire a Marcione l'invenzione del personaggio di Paolo di Tarso 12. E, per quello che è dato capire, gli eventi della vita di Paolo sono stati 12 Libro di Giovanni Evangelista. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà integrati, solo successivamente, nel Nuovo Testamento ed i particolari sono stati derivati anche dalla vita di APOLLONIO DI TIANA, (detto il "Nazareno"). L'intero gruppo dei documenti "paolini" costituirebbe dunque una rozza falsificazione. Nessuna lettera può essere attribuita a questo "Paolo": si tratta unicamente di esercizi mal riusciti di pseudoepigrafia basati sul presupposto che la maggior parte della gente "beve tutto" senza minimamente ragionare. Lo storico Seneca era fratello di Gallio, proconsole di Acaia, precisamente nell'epoca in cui Paolo avrebbe predicato in tali contrade. Malgrado Seneca abbia descritto minuziosamente gli avvenimenti del suo tempo, non fa il minimo cenno di questo "straodinario predicatore". La storia della vita di Paolo ha lo stesso senso mitologico di quella di altri personaggi che lo hanno preceduto. Come altri personaggi Paolo è una finzione, una delle tante "pie frodi". Recentemente, alcuni studiosi hanno creduto ravvisare la reale esistenza del personaggio Paolo, attraverso l'analisi e l'interpretazione degli scritti ritrovati a Qumran ed a Nag Hammadi. Si tratta di stabilire sino a che punto questi documenti, di tipo miticocultuale, possono essere ritenuti validi e probatori sul piano storico. Già a partire dal secolo XIX, parecchi studiosi hanno iniziato a mettere in dubbio l'autenticità delle lettere 1 e 2 a Timoteo e la lettera a Tito sostenendo siano state scritte, a suo nome, da altri seguaci cristiani. Quello che era stato aggiunto, di inedito, è il presunto titolo di "cittadino romano", nell'intento di rendere il nuovo personaggio gradito ai potenti di Roma. A confermare il sospetto che la figura di Paolo possa essere solo una mera invenzione, occorre chiarire la figura di Apollonio di Tiana, nato il 13 Marzo del 2 (a.e.v.) a Tiana (Thyana), in Cappadocia e morto vecchissimo, presumibilmente nel 102 (e.v.). E' uno di quei personaggi eccezionali passato attraverso le più straordinarie esperienze che, spesso, sconfinano nella leggenda e che molto fastidio hanno creato agli "indottrinati" del cristianesimo "ufficiale". La prima storia della vita di Apollonio, filosofo neopitagorico, venne scritta da Filostrato (c.a. 165-245 e.v.), molto tardi, nel 210 e.v., al tempo di Settimio Severo, su commissione dell'imperatrice Giulia Domna e sulla base di precedenti racconti, tradizioni orali e su appunti scritti dal suo discepolo Damis di Ninive; caso strano, Filostrato non fa nessuna menzione di un qualsiasi Gesù Cristo che avrebbe dovuto essere un contemporaneo molto importante di Apollonio, se non un rivale; anzi Filostrato attribuisce ad Apollonio alcuni presunti miracoli che successivamente i Vangeli attribuiranno a Gesù. Presente a Roma, Apollonio ne fu cacciato due volte, per ordine di Nerone e di Domiziano, che non gradivano le sue predicazioni. In seguito, fu paragonato ad un "Cristo pagano", secondo quanto riferisce Eusebio di Cesarea, nella sua "Storia Ecclesiastica"; Caracalla fece costruire un tempio in suo onore mentre Alessandro Severo gli fece erigere una statua nella sua cappella privata. http://librisenzacarta.it Molti particolari della vita di Paolo coincidono con quelli della vita di Apollonio, compresi i percorsi dei viaggi, che sono del tutto identici. Il fatto stesso che si suppone Paolo nativo di TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Tarso si accorda con la circostanza che Apollonio ha passato una parte della sua giovinezza, per motivi di studio, in questa città. Come per Paolo, i viaggi di Apollonio partivano da Antiochia. Apollonio visitò anche le regioni orientali dove raccolse diversi libri incluso quello (il Diesegis) contenente la storia di Krishna. Al suo ritorno dall'India risalì l'Eufrate su di un battello sino a Babilonia e poi via terra raggiunse Antiochia. I viaggi successivi fatti ad Efeso, Atene, Corinto ed altre località della Grecia descrivono lo stesso percorso attribuito ai viaggi di Paolo. Come Paolo, Apollonio fu arrestato a Roma ed espulso per le sue idee; come Paolo, non ha mai predicato ai giudei in Palestina ma solo ai gentili. Gli sono state attribuite un sacco di definizioni quali: gimnosofita, buddista, bramano, nazareno, terapeuta, gnostico e mago. Si isolò dal mondo all'eta' di 80 anni vivendo segretamente, presumibilmente ad Efeso, sino a 102 anni e, come per Mosè, Gesù e Pitagora, la sua tomba non è mai esistita oppure non è mai stata trovata 13. alat eus @t in . it Luca-Atti degli Apostoli; ACHARYA_S - The Christ conspiracy; GRAHAM L. - Deception and myths of the Bible; WHELESS J. - Forgery in christianity. 13 Documenti pag.144 Autopsia di un alieno: fine dei giochi Il diavolo è nei dettagli - La storia di Spyros Melaris Philip Mantle (traduzione Sabrina Pasqualetto) Philip Mantle Philip Mantle è autore, ricercatore, docente e giornalista televisivo internazionale specializzato sul tema UFO. Il suo libro “Inchiesta sull’autopsia aliena” è ora disponibile tramite Amazon. Può essere contattato per e-mail all'indirizzo: [email protected] Era il 1993 quando fui contattato per la prima volta da Ray Santilli, un imprenditore di Londra. Il 1995 quando uscì in tutto il mondo il controverso video di Santilli “Alien Autopsy”. Ho coperto gli eventi che circondano questo video in numerose pubblicazioni in tutto il mondo e nel mio libro “Inchiesta sull’autopsia di un alieno”, quindi perdonatemi se qui non faccio nessun tipo di copertura. Il 22 giugno 2007 ho viaggiato in treno fino a Londra per incontrarmi con Ray Santilli e TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà il suo socio in affari Gary Shoefield. Abbiamo fatto una piacevole colazione insieme e Ray Santilli mi ha mostrato alcuni fotogrammi di pellicola rinchiusi in un materiale del tipo perspex, simile al plexiglass. Santilli sosteneva che questi erano i fotogrammi originali della pellicola “ Autopsia aliena” del 1947. Dal momento che erano usciti senza sigillo ufficiale di approvazione nè erano stati autenticati da nessuno erano da considerarsi inutili. Dopo un paio di giorni dall’incontro il mio amico e collega Russel Callaghan, direttore della rivista UFO DATA, ricevette una telefonata da un uomo che si presentò come Spyros Melaris. L'uomo sosteneva di aver diretto la squadra che aveva contraffatto tutto il video dell'autopsia aliena. Era un mago e regista ed era pronto a vuotare il sacco. Diede a Russel tutti i dettagli sul chi, cosa, perché e dove di tutta la faccenda. A causa del mio coinvolgimento in questa vicenda Russel mi comunicò telefonicamente tutti i dettagli. Non passò molto tempo prima che potessi parlare con Spyros Melaris e che mi raccontasse le cose nel minimo dettaglio. Durante le settimane successive ebbi varie conversazioni telefoniche con Spyros Melaris e lo misi in contatto, su sua richiesta, con il produttore televisivo statunitense Robert (Bob) Kiviat. Spyros stava valutando il modo migliore per rendere pubblica la sua storia, aveva un libro progettato e pensava che un documentario televisivo sarebbe stato una buona idea. Insieme con i miei colleghi Russel Callaghan, Michael Buckley e Steve Johnston, fui uno dei co-organizzatori della conferenza annuale UFO DATA. E così successe, la conferenza del 2007 ebbe un tema per commemorare il 60 ° anniversario della Incidente di Roswell. I miei colleghi e io discutemmo sulla possibilità di chiedere a Spyros Melaris di fare la sua prima dichiarazione pubblica su questa faccenda alla nostra conferenza e alla fine Spyros accettò. La conferenza si tenne il 20 e 21 ottobre 2007 a Pontefract, West Yorkshire. Un pubblico gremito vide Spyros sul palco il 21 Ottobre. Lo incontrai di persona per la prima volta la sera prima, presso l'hotel e presi accordi formalmente per poterlo intervistare a casa sua nel corso dell'anno. Come promesso, Spyros salì sul palco e disse del suo coinvolgimento nella realizzazione del video “Alien Autopsy“. Una piccola parte del pubblico apparve piuttosto sconvolta nel sentire tutto questo, ma la stragrande maggioranza era affascinata da ciò che Spyros aveva da dire. Presi accordi per visitare la casa di Spyros Melaris il 16 novembre 2007 e andai a casa sua in Hertfordshire con la mia partner Christine. Prima della formale audiointervista registrata pranzammo con Spyros e la sua bella moglie Anne. In seguito Spyros ci mostrò alcune delle prove documentali per sostenere le sue affermazioni. Ciò includeva il suo diario dal 1995, gli schizzi disegnati a mano dallo straniero, un elenco completo di immagini disegnate a mano riguardanti il video, messaggi fax originali provenienti dalla Kodak negli Stati Uniti che forniscono copie di etichette del l947 e di materiale di ricerca. Questo materiale proveniva soprattutto da una raccolta (del l940) di fotografie mediche di veicoli militari Usa. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà L'intervista durò circa due ore e toccammo solo la punta di un iceberg. L'intervista completa può essere trovata on-line su: http://www.outtahear.com/be yond_updates/index.html (Alien Autopsy sezione "Informazioni"). Vorrei ringraziare il mio collega Steve Johnston per aver trascritto interamente questa intervista. Il seguito è basato su questo colloquio. Chi è Spyros Melaris Philip Mantle e Spyros Melaris Come è possibile capire dal nome, Spyros è originario di Cipro. Da ragazzo gli fu insegnato un trucco magico da suo nonno e da quell’evento nacque il suo amore per la magia. Un’altra passione, comune a ogni ragazzo cresciuto nel Regno Unito, è fare film. A scuola diceva che voleva diventare un attore, ma in questo fu scoraggiato. Un lavoro vero, ecco di cosa aveva bisogno. Così si trovò un lavoro adeguato e, dopo aver lasciato la scuola, divenne un apprendista meccanico. Tuttavia, il suo amore per la magia e i film alla fine vinse e così divenne un mago e un regista. Ora possiede uno studio televisivo a Londra e fa spettacoli televisivi per tutte le principali reti del Regno Unito e per società di produzione indipendenti. In breve, usando parole sue: facciamo programmi per "tutti coloro che ci ingaggiano". Come ha incontrato Ray Santilli Nel gennaio 1995 stava partecipando ad una manifestazione musicale MIDEM a Cannes, in Francia. Stava girando un film là e, avendo un po’ di tempo libero cominciò ad inviare messaggi via fax a 4 società di produzione. Sostanzialmente chiedeva loro se volevano ingaggiare sia lui che il suo equipaggio, mentre si trovavano a Cannes. Una di queste società era il Gruppo Merlin di proprietà di Ray Santilli. Spyros e Ray Santilli ebbero alcune conversazioni telefoniche, ma non si incontrano mai così si diedero appuntamento a Cannes. Per puro caso si imbatterono l'un l’altro in un ristorante a Cannes e fu qui che Ray Santilli disse a Spyros Melaris che aveva ottenuto i filmati di un alieno. Trattenendo un sorrisetto Spyros chiese a Santilli se diceva sul serio e lui rispose di si, non solo, voleva che Spyros ne facesse un documentario. Rimasero d’accordo che si sarebbero incontrati presso la sede di Ray Santilli a Londra. Pochi giorni dopo Spyros si incontrò con Santilli nel suo ufficio di Londra. Qui incontrò un Ray Santilli alquanto sconvolto, che gli disse che aveva comprato questo film, ma si era rivelato essere di qualità molto scarsa. A Spyros fu mostrato il filmato e subito riconobbe come era stato girato. Il nastro era in formato VHS. Santilli sembrava sorpreso dal fatto che avesse riconosciuto così rapidamente e capì che il gioco era finito. Usando le parole dello stesso Spyros: "Se non posso farla franca con questo tizio, non la farò franca con nessun altro”. Si rese conto che era tutto finito. E’ stato quello il momento in cui la riunione finì. “Pensai che il ragazzo era pazzo. Sta cercando uno veloce. A quel punto pensai che era finita". In poche parole Melaris diede l'idea a Humphreys. "John, avresti voglia di scolpire un alieno?" Melaris disse a Humphreys del suo incontro con Santilli e venne fuori che voleva fare questa cosa. Parlarono delle cose più da un punto di vista giuridico e di come avrebbe potuto aiutarli a penetrare in altri progetti, anche a Hollywood. L'idea era quella di farlo, renderlo pubblico e poi fare un secondo programma subito dopo nel quale si mostrava come lo avevano fatto. Humphreys concordò e Melaris girò l'idea a Santilli. Santilli sembrò quasi rinascere e acconsentì. Il bilancio presentato da Melaris fu di circa £ 30.000, fu il partner in affari e amico di Santilli, Volker Spielberg, a mettere i soldi. Il finanziamento era approvato, i contratti e l’accordo di riservatezza erano stati firmati ed erano in ballo. L'equipe dietro la realizzazione del film Uno degli schizzi rivelatori Allora come è nata l'idea di un falso Melaris si incontrò con il suo amico e collega John Humphreys. Humphreys è uno scultore della Royal Academy il cui lavoro a volte viene trasmesso in televisione in collegamento agli effetti speciali. Melaris e Humphreys si conoscevano da molto tempo e avevano lavorato insieme su diverse cose in passato. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Per primo c’era Spyros Melaris. Ha progettato e diretto il film, diretto, istruito e pagato il resto della squadra, fatto il tavolo dell'autopsia e altre cose utili, ha anche fatto le 'tute anti-contaminazione' e ha ottenuto le telecamere. Il ricercatore principale dietro a tutto ciò fu l’ allora fidanzata di Spyros, Geraldine. Fu lei a controllare i libri di medicina, a parlare con chirurghi e patologi, nonché ad interpretare il ruolo dell’infermiera nel film. Ovviamente per mantenere l’anonimato Geraldine non è il suo vero nome. Naturalmente John Humphreys ha fatto gli organi dell’alieno. Lo stampo è stato fatto sul corpo di Giovanni, il figlio di dieci anni che era piuttosto alto. Essendo uno scultore esperto Humphreys aveva anche studiato anatomia così egli prese il ruolo del chirurgo. Un altro amico di Spyros ha fatto Greg Simmons. Si vedeva di tanto in tanto nel film in una tuta anticontaminazione e recitava anche la parte del soldato. Gareth Watson, un collega di Santilli e Shoefield era l'uomo della mascherina chirurgica dietro il vetro, e, infine, il fratello di Spyros, Peter, aiutava dietro le quinte. Il set è stato costruito in casa di Geraldine a Camden, Londra. La struttura era in procinto di essere trasformata in tre appartamenti quindi era vuota. Gli oggetti di scena sono stati ottenuti da alcune conoscenze di Spyros negli Stati Uniti. Non le era stato detto a cosa servivano tutte quelle cose, sono state ordinate separatamente e consegnati a indirizzi diversi in modo da non destare sospetti. Le telecamere sono state ottenute da Spyros, una comprata e una presa in prestito da un amico. Perché ci sono due filmati distinti dell’autopsia Secondo Spyros il primo film 'Alien Autopsy' andò più o meno come previsto. Tuttavia, dopo il completamento, Geraldine notò che alcune delle procedure mediche non erano corrette. Essi hanno quindi dovuto fare un'altra creatura e filmarla nuovamente. A quanto pare Santilli era pronto per il completamento della cosa visto che non c’erano più soldi per filmare di nuovo. Non si diedero per vinti e fecero un altro film finanziato personalmente da Spyros il giorno successivo. Ma ci furono ugualmente problemi. La schiuma di lattice utilizzata per riempire il manichino non aveva funzionato bene e una bolla d'aria aveva lasciato uno spazio vuoto nella gamba della creatura. Humphreys fu inviato ai macellai locali da Spyros per cercare una gamba di una pecora. E’ stata inserita nella parte vuota della gamba destra dell’alieno, sono state aggiunte un paio di cose, la parte esterna della gamba è stata leggermente bruciata con una fiamma ossidrica e oplà, ecco una gamba ferita. Alcuni degli organi interni erano stati fatti da Melaris, e gli organi interni di alcuni animali sono stati usati per le interiora dell’alieno, alterati e ricoperti di lattice. Il cervello dell’alieno è stato ottenuto dal cervello di tre pecore e di un maiale. In questo modo ottenemmo due diversi film autopsia uno dei quali è stato mostrato nella sua interezza, mentre il secondo è stato mostrato solo in parte. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Il relitto e le travi Questi sono stati tutti disegnati da Spyros stesso. Alla conferenza di ottobre 2007 UFO DATA, Spyros mi ha fatto vedere come aveva progettato la 'scrittura' sulle travi e ciò che dicevano. Il relitto è stato fatto da John Humphreys, Spyros e suo fratello, Peter. Mi ha detto che si era basato su alcuni caratteri greci, un po’di egiziani antichi con qualche licenza artistica. Sulla trave principale, se tradotta correttamente, si legge la parola 'LIBERTA'. Spyros pensava che sarebbe stato un nome perfetto per un veicolo spaziale alieno. Durante la scrittura delle lettere per la parola 'libertà', Spyros notò che se la parola veniva capovolta, si poteva tradurre la parola VIDEO. Ha modificato alcune delle lettere per ovviare a questo problema, in modo da creare una falsa pista. La traduzione della trave più piccola è stata trattenuta per il libro di Spyros. Intervista al Cameraman Secondo Melaris, Ray Santilli è stato messo sotto pressione da varie parti per fissare un colloquio con il finto cameraman dal quale egli avrebbe comprato il film. Ovviamente secondo Melaris non c'era nessun venditore, così inventò tutta la cosa. Lo scenario di base è che Melaris andò a Los Angeles e si incontrò con il partner di Santilli, Gary Shoefield. Melaris voleva trovare un vagabondo ottantenne per le strade di Los Angeles, dargli qualche centinaio di dollari e metterlo davanti ad una telecamera con un copione. Santilli e Shoefield erano nervosi e non erano sicuri che avrebbe funzionato, ma Spyros era fiducioso e andò avanti. Trovò un vecchio che viveva per la strada, gli offrì 500 dollari e una notte in hotel e lui accettò. Per puro caso il tizio era stato un attore molti anni fa. Melaris prese il suo nome e il nome di un film in cui era apparso. Questi dettagli saranno letti nel suo libro. Egli lo ripulì, gli fece la barba, aggiunse un po'di trucco e un naso e mento posticci e il lavoro era fatto. L'uomo non sapeva che cosa stava leggendo né per cosa sarebbe stato utilizzato. C'era solo una minima possibilità che avrebbe visto la trasmissione. E nessuno lo avrebbe mai riconosciuto nemmeno in un migliaio di anni. E così è stato. Questo film è stato consegnato di persona a New York al produttore televisivo statunitense Bob Kiviat da Gary Shoefield e da un uomo che avrebbe dichiato di essere il figlio del cameraman. Alla fine il film in questione è stato trasmesso in TV solo in Giappone e da lì è stato copiato e distribuito ai ricercatori UFO in tutto il mondo. La manovra è riuscita, nessuno ha identificato l'uomo in questione e Melaris afferma di essere l'unico a poterlo fare. autentico, non per il film in sé, ma a causa del luogo dello schianto. Ray Santilli ha comunicato i dettagli, presumibilmente dal suo cameraman, del luogo preciso del deserto dove l’incidente è accaduto. Come hanno fatto? Ebbene, secondo Spyros è stato molto semplice. Nel 1995 andò a Roswell dove intervistò molta gente del luogo, tra cui Loretta Proctor. La signora Proctor era vicina di ranch di Mac Brazel e fu lei a suggerire a Mac di portare alcuni detriti dell’UFO in città. Spyros incontrò e ingaggiò il pilota Rodney Corn. Gli domandò di portarlo sul luogo dello schianto dell’UFO, la risposta fu “Quale?”. Ci sono infatti almeno tre siti del genere. Così, Spyros li sorvolò tutti e li filmò. Rodney Corn mostrò a Spyros molte cose e le riprese dall’alto, risultarono di gran lunga migliori di quelle possibili da terra. Incluse le piccole strade sterrate e luoghi di interesse a lungo dimenticati. Prima che l'intervista avesse luogo Spyros mi informò che aveva ottenuto le mappe della zona, sia vecchie che nuove. Tutte queste informazioni furono date a Ray Santilli e fu Santilli, e non Spyros, che mise tutto insieme per creare un sito inesistente. Il luogo dell'incidente C’è un certo numero di persone che ritengono che il film Alien Autopsy sia Melaris mostra lo “storyboard” TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Il Grande Piano Chiesi a Spyros qual era il grande piano. La ricerca era fatta, il film era fatto, e dopo? A quanto pare si trattava di un piano piuttosto semplice. Rilasciare il film ad una emittente, chiedere loro di analizzarlo e vedere cosa succede. Erano sicuri che non sarebbe passato come un falso. Poi, dopo pochi mesi il piano era quello di arrendersi e raccontare tutto. La ragione per cui questo non è avvenuto è il denaro. Spyros aveva firmato un accordo di riservatezza con Ray Santilli e Santilli era ancora fermamente convinto che avesse bisogno di recuperare il suo investimento iniziale, servito per pagare le riprese. Santilli disse a Melaris che aveva investito un sacco di soldi per questo film e che voleva rientrare dei soldi spesi prima di rendere il tutto pubblico. Santilli ricordò a Spyros che era vincolato dal patto di riservatezza e non poteva fare nulla finché Santilli non l’avesse autorizzato. Oltre a un assegno di circa £ 10.000, che Spyros divise con il suo team, non era stato pagato nulla. Santilli disse che, a causa del fatto che egli aveva dichiarato pubblicamente che si trattava di un film militare, il film era stato semplicemente copiato da terzi senza permesso, e senza alcun pagamento tutti i diritti d'autore sarebbero andati all'Esercito degli Stati Uniti e non a Santilli. Alla fine il tempo passava e Spyros proseguì con la sua vita. Lavorò costantemente su altri progetti con Santilli guadagnandosi così da vivere e il film “Alien Autopsy“ fu quasi dimenticato. Uscita allo scoperto La prima cosa che chiesi a Spyros fu il motivo per cui aveva deciso di pubblicare queste informazioni proprio ora. Erano passati dodici anni da quando il film “Alien Autopsy” era stato fatto. Melaris ruppe il suo accordo di riservatezza. Da un punto di vista giuridico, per questo comportamento avrebbe potuto essere citato in giudizio. Tuttavia, nel 2005, fu accusato da Santilli e da Shoefield di essere coinvolto in tutta la faccenda del film. Egli disse ad entrambi che era l’ora di raccontare la verità e di rivelare che era tutto un falso, ma loro dissero di no, anzi continuarono a sostenere di possedere la pellicola originale. Santilli e Shoefield dichiararono che non era una questione di soldi ma che lo facevano per "puro divertimento", furono fatte pressioni e fu offerta una percentuale sui profitti. Melaris rifiutò la loro offerta. Lasciò la riunione con l'impressione che il film non sarebbe mai stato fatto. Tuttavia, il film è stato fatto e distribuito dalla Warner Bros e così Melaris sentì di essere libero di parlare, visto che la storia era ormai di dominio pubblico. I dubbiosi Per completare l'intervista ho chiesto a Spyros Melaris quello che aveva da dire ai dubbiosi là fuori, quelli che ritengono che il film “Alien Autopsy” sia l' originale. Non farò la parafrasi, userò, invece, le sue stesse parole: PM: Il tempo è contro di noi, Spyros. Ti farò un'ultima domanda. Ci sono alcuni che credono al 100% in questo film e in Santilli e pensano che tu sia una specie di bugiardo patologico, giocando all'avvocato del diavolo, quindi, per favore, non essere offeso. SM: No. Vai avanti. PM: Che cosa diresti ai dubbiosi là fuori? C'è una cosa che si può dire che faccia pensare che Spyros Melaris è chi dice di essere e ha veramente fatto questo film? SM: Non credo che ci sia alcun dubbio che qualcuno lo abbia fatto. Che sia giusto dire che qualcuno ha realizzato il film e che Santilli dice che è un falso, ma è stato fatto dal film originale. Penso che questa sia la questione. La questione non è se l'ho fatto, perché sarei in grado di dimostrare che l'ho fatto. John Humphries vi dirà che l'ho fatto. Ray probabilmente vi direbbe che l'ho fatto! Non potrebbe negarlo. Ci sono troppe prove. La domanda è: l’ho fatto dal film originale? E la semplice risposta a questa domanda è NO. Non c'è mai stato un film originale se non il falso stesso. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà Non ho mai visto nessun altro film. Ray sostiene che lui ha pellicola originale. La mia domanda a Ray è: cosa ha quel film in comune con ciò che ho fatto io? Nulla. Non ho visto il film. Ora potrete dire: "Forse stai mentendo e hai prima visto il film e poi lo hai fatto." La storia sarebbe stata molto più grande se ci fosse stato un vero film. Ci sarebbero voluti più soldi. Non ci sarebbe stata ragione di far partecipare me e Ray. Come avremmo fatto ad entrarci? L‘argomento deve essere trattato con buon senso. Io sono stato parte di un qualcosa di grande proprio come il film di un vero alieno. Perché dovrei ammettere di farne parte per poi uscirne da solo? Non c'è motivo per farlo. Questa è la prima cosa. La seconda cosa. Vi giuro, qualcosa è accaduto a Roswell. Io non sono una persona semplice…io sono scettico. Io non sono una persona facile da convincere. Una trentina di persone con cui ho parlato, persone intelligenti, medici, docenti, tutti i tipi di persone mi dicono che hanno visto qualcosa. E io ci credo. Qualcosa è successo. Un sacco di gente comune ha visto. Qualcosa è successo. Quindi, non credo ci sia una disputa sul fatto che sia successo o no qualcosa a Roswell o ci siano stati o no avvistamenti o ci sia un falso o no di qualcosa. Non credo sia tutto falso. Credo che se Ray avesse il film originale, farebbe i salti mortali per farlo analizzare. Mi dispiace, ma è quello che fareste anche voi. Direste: "Dateci miliardi di sterline per questo." Questo è quello che direste. Direste: "Non ho niente di cui preoccuparmi. Il cameraman non vuole parlare, ma guardate il film". Questo è quello che fareste! Questo è quello che avreste fatto. PM: Non dire altro [FINE DELL’ INTERVISTA] Ancora una volta vorrei ribadire che questa è solo una parte di ciò che Spyros Melaris mi disse. L’intera e inedita intervista si può trovare nella sezione Alien Autopsy del nostro sito Web all'indirizzo: http://www.outtahear.com/be yond_updates/index.html Controllando i fatti Allora come facciamo a controllare che ciò che Spyros Melaris ci sta dicendo è corretto? Non è un compito facile, vi assicuro. Il materiale documentario mostratomi da Spyros è intrigante, ma non una prova positiva. Il mio collega Mark Center negli Stati Uniti, ha controllato il pilota Corn Rodney e ha scoperto che esiste. Ha parlato con lui al telefono, ma non ricorda di aver mai lavorato per Spyros Melaris. La ragione potrebbe essere, perché è stato assunto da Geraldine e stiamo parlando di un evento che è accaduto 12 anni fa. In occasione della conferenza UFO DATA del mese di ottobre nel 2007 un ricercatore tedesco, Michael Hesemann, fu uno degli oratori. Michael studiò il film “Alien Autopsy” dal 1995 fino al 1997 e ritiene che sia autentico. Dopo la conferenza, quando Michael tornò in Germania, mi inviò una e-mail che francamente mi ha lasciato sbalordito. Ha confessato, per la prima volta, che nel 1996 qualcuno gli aveva inviato una e-mail dicendogli che Spyros Melaris era un imbroglione. Hesemann non aveva mai condiviso queste informazioni con nessuno. Gli chiesi cosa fece e lui semplicemente mi rispose che telefonò a Ray Santilli e gli chiese se conosceva quell'uomo, Santilli rispose di no. Michael mi ha detto che lasciò le cose come stavano. Parallelamente, Spyros Melaris mi informò che nel l996 aveva ricevuto una telefonata da qualcuno con un accento tedesco che gli chiese se era lui l’imbroglione, ovviamente negò. Lui non sapeva chi fosse al telefono fino a quando incontrò Hesemann alla nostra conferenza. Ho fatto un po’ di pressione a Michael su questa cosa e alla fine ammise di aver telefonato a Spyros nel 1996. Perché mai Michael Hesemann non condivise queste informazioni con nessun altro a parte me? A sua difesa, Michael dichiarò che c’erano altri nomi da fare ma al momento non voleva diffondere false notizie, questi TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà nomi erano stati diffusi ed eliminati. Devo essere onesto, non riesco a capire perché Hesemann ha taciuto queste informazioni e non ne ha mai parlato con nessuno. Lascio a voi la risposta. Un mio collega, che è un veterano della TV e di film con effetti speciali, ha anche dato uno sguardo all’intervista con Spyros. A suo parere le tecniche ed i materiali utilizzati da Melaris e dal suo team per fare l’alieno sono corrette al 100%. Non vi è alcun dubbio che i manichini siano stati fatti nella maniera descritta. Egli ha alcune cose da chiedere, ma sono piccoli chiarimenti e non c'è nulla di sbagliato in quello che Melaris ha avuto da dire. L'altra persona coinvolta in tutto questo è, naturalmente, il produttore televisivo statunitense Bob Kiviat. Diversi anni fa il mio collega Tim Mathews e io ricevemmo una soffiata su John Humphreys. Humphreys faceva parte della squadra e fece i manichini. Bob aveva sperato per anni di lavorare con Humphreys alla telecamera e fare un documentario televisivo, ma fu tutto inutile. Alla fine Bob fece uno show televisivo per Channel 5 senza Humphreys. Questo show non è mai stato trasmesso. Sia Humphreys che Melaris parlarono a lungo con Bob Kiviat del loro coinvolgimento in tutta la faccenda, così colsero l'occasione per fare a Bob alcune domande, il 4 Dicembre del 2007. Questa domanda e risposte sono riprodotte integralmente qui di seguito: D: Quante volte ha parlato con lo scultore britannico John Humphreys? R: Una volta dell’uscita del film Ant & Dec. All’incirca nel 2003. D: E’ stato messo a conoscenza di quale fu la fonte sulla quale Humphreys si basò per la progettazione delle sue creature aliene? R: Sì, solo sulla propria attività di ricerca, libri e cose del genere. Nessun altro aiuto. D: Humphreys ha mai visto qualche film originale, immagini o qualcosa d‘altro? R: No, mai. Egli affermava che provenivano tutte dalla sua creatività e dalla ricerca sui libri. D: Durante le sue conversazioni con Humphreys ha mai fatto il nome di Spyros Melaris? R: Sì…ha detto che fu Spyros ad assumerlo da parte di Santilli e che lo incontrò due volte e una volta anche sul set. Tutto il denaro veniva da Spyros. Inoltre, Spyros era il cameraman. D: Humphreys ha fornito altri nomi di persone coinvolte? Se sì quali sono questi nomi? R: Non ci furono altri nomi. D: Perché Humphreys cercava di lavorare con voi su un documentario? R: Humphreys voleva che io gli facessi ottenere uno show TV basato sulle rivelazioni riguardanti il filmato dell'autopsia, con Spyros in qualità di finanziatore e cameraman, che credeva lavorasse per Santilli. D: Era volontà di Humphreys dire a tutti la verità e sabotare tutto ciò che era uscito allo scoperto? R: Sì, ma non avrebbe fatto dichiarazioni fino a quando io non gli avessi procurato un contatto con una rete e il denaro per la sua esclusiva. D: Hai parlato con l’agente/consulente di Humphreys? R: Sì, il suo manager è stato il mio contatto principale per tutto il 2003/2004, fu lui ad informarmi che John stava per fare il film “Ant & Dec”, senza darmi i dettagli. Ci sarebbe stato anche un documentario che, disse, “sarebbe stato il mio peggior incubo”. D: Cosa ti disse a proposito del coinvolgimento di Humphreys e le ragioni per cui vuotava il sacco? R: A proposito di ciò, il suo manager disse chiaramente che John aveva perso la pazienza e aveva visto una fonte di guadagno altrove. D: Lei ha fatto un documentario televisivo di Channel 5 nel 2006 in cui io compaio, potrebbe dirci perché non è mai stato trasmesso? R: Channel 5 stava prendendo istruzioni per i miei uffici LA dall'Inghilterra dicendomi come doveva essere lo stile dello show e decisero di spostare la prima ad una scadenza improbabile. Stavamo lavorando tutto il giorno quando una delle persone ai vertici mise in lista lo show su una guida TV. E’ stato quando Gary Shoefield contattò il canale e mentì dicendo che Ray Santilli era coinvolto nella proprietà del mio show per Fox e che il nuovo show su Channel five veniva fuori da lì. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà E 'stata una pura e semplice macchinazione, per la mia azienda ha diritto ai diritti d'autore sia per lo spettacolo che per il film “Alien Autopsy”! Mentre stavamo cercando di comprendere questa affermazione, la abbiamo intervistata. Quando i rappresentanti del canale videro che nominava Humphreys, come il tizio che aveva fatto il manichino e che è stato dietro al filmato, ne vollero la conferma così chiamarono ILLEGALMENTE Humphreys. Humphreys uscì di testa e disse che non voleva avere niente a che fare con lo spettacolo e disse che doveva contattare la Warner Bros. In definitiva il canale rifiutò l’accordo con il mio distributore, il quale non lottò per la messa in onda e le cose furono lasciate così. Sto ancora discutendo le azioni da intraprendere per recuperare le mie perdite notevoli e i danni! D: Lei ha parlato a lungo al telefono con Spyros Melaris. E’ convinto che stia dicendo la verità? R: Per la maggior parte, non riesco a trovare cose così bizzarre da rendere la sua storia incredibile. Ma mi chiedo come abbia potuto essere così ingenuo sulla quantità di denaro che Santilli stava facendo in tutto il mondo. Questa parte mi sembra strana, come se stesse facendo finta di essere stupido. Al contrario, sembra molto brillante. E se Ray gli diede da lavorare quel tanto che basta per tenerlo calmo, ancora mi chiedo perché abbia permesso a Ray di incassare tutto il denaro e non abbia chiesto la sua parte. C‘è qualcosa che non torna. D: Lei è stato coinvolto con il film “Alien Autopsy” dal 1995, ha intervistato o parlato con la maggior parte, se non tutti, i principali attori: allora qual è la sua conclusione? R: Avrò bisogno di più tempo per rispondere a questa domanda. Le azioni di Spryros in tribunale avranno molto a che fare con questo, e io vedo la cosa da un altro angolo. (Robert Kiviat. Fine dell'intervista). E 'chiaro da questa breve intervista con Bob Kiviat che ci sono piccole differenze tra ciò che John Humphreys dice sul suo ruolo nella falsificazione del film e ciò che dice Melaris. Tuttavia, Humphreys afferma con chiarezza che Spyros Melaris era il finanziatore, è stato Melaris ad assumerlo per conto di Santilli. Humphreys conferma senza alcun dubbio che non c'è mai stato un film originale. E 'stata una completa e totale fabbricazione. Potrei continuare, ma credo di aver fatto il punto. Nel 1996 Spyros Melaris è stato etichettato come un imbroglione dal ricercatore tedesco Michael Hesemann. Nel 2003, il produttore televisivo statunitense Bob Kiviat ha parlato con lo scultore britannico John Humphreys, che ha confermato che Spyros era l'uomo in carica e che non vi era nessun film originale. Nel 2007 Spyros Melaris va in registrazione per la prima volta e racconta come è stato fatto il tutto. Beh, forse non tutto. Spyros tiene alcune cose per il suo libro, che sarà disponibile all'inizio del 2008. E per quanto riguarda Ray Santilli, anche lui è abbastanza tranquillo per il momento, ma mi domando se ammetterà mai la vicenda. Il tanto atteso libro di Spyros Melaris 'Alien Autopsy: il mito dichiarato” viene fornito con un DVD di accompagnamento. Se siete interessati ad ottenere una copia del libro è disponibile dal 2008, gli ordini anticipati possono essere collocati con DIGInet UK Publications, PO Box 60908, London W12 7UT o da Amazon. Le E-mail per ordinare devono essere inviate al [email protected] [email protected] Appuntamento a maggio per il nr.8 di Tracce d’eternità TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà