XXVIII.DdP - centro Duns Scoto
Transcript
XXVIII.DdP - centro Duns Scoto
XXVIII.DdP La liturgia di questa XXVIII domenica del TO è quasi tutta incentrata sul ringraziamento, che è il sentimento più autentico dell’uomo che si sente “donato”. Il concetto di “donato” riguarda principalmente sia l’essere che l’avere, anche se in proporzione diversa. Il dono dell’essere è l’espressione di un Amore di benevolenza che non ha pari, perché dipende esclusivamente dalla liberissima Bontà del Donatore o Creatore; il dono dell’avere, invece, dell’Amore di misericordia o di Provvidenza, che, pur appartenendo alla liberissima Bontà divina come origine, richiede per la sua conservazione e maturazione la collaborazione responsabile dell’uomo. Il soggetto della Donazione è unico nell’intenzione e duplice nell’esecuzione. Con il termine “intenzione” si suole sia intendere il nome di Dio sia quello di Signore, nel suo significato comune e generico; con il termine “esecuzione”, invece, si suole indicare la persona di Cristo che ha eseguito la volontà di Dio alla perfezione. E dell’intero disegno di Dio (Ef 1, 3-6), Cristo, come fundamentum et forma, è “architetto e costruttore” (Eb 11, 10), e anche “giustizia”, come viene rivelato e liturgicamente dal R: “Il Signore ha rivelato ai popoli la sua giustizia”, ossia il suo Cristo. Intorno a questa breve premessa, si può tessere la riflessione domenicale che ha come tema generale il “ringraziamento” e come invito sia il “ricordo di Cristo” (2L) e sia il riconoscimento dei suoi “benefici” (V). La riflessione, tuttavia, può seguire due vie distinte: quella dall’alto o quella dal basso, a seconda della visione teologica e metodologica insieme. Un cenno. La via dall’alto. Si apre con il grandioso e profondo invito dell’A che a bruciapelo presenta “la volontà di Dio”: “rendete grazie a Cristo per ogni cosa!”, perché è la mia “Giustizia” e la mia “Immagine visibile” (Col 1, 15) sulla terra e nella storia; come confermerà poi lo stesso Cristo durante la sua avventura umana: “chi vede me vede il Padre” (Gv 12, 45); e “io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10, 30). E’ un invito che viene direttamente da Dio per mezzo del suo Cristo e come tale è un “dono” esclusivo riservato a ogni uomo creato proprio a immagine e somiglianza del Cristo: Cristo è immagine di Dio e l’uomo è immagine di Cristo, e indirettamente, in Cristo, è anche immagine di Dio. Proprio di questo personale invito divino Paolo nella 2L rammenta a Timoteo di “ricordarsi di Cristo Gesù”, perché, come “architetto e costruttore” di tale invito, è l’unico Maestro idoneo a insegnare e l’unica Guida sicura a guidare. Meravigliosa e sublime insieme è la potente identificazione che Paolo compie tra Cristo stesso e la “la parola di Dio”, che “non può essere incatenata”, nonostante lui sia praticamente “in catene come un malfattore”. E sull’esempio di Cristo, causa esemplare, Paolo, con perfetta letizia, afferma di sopportare ogni sofferenza per coloro che sono stati “scelti in Cristo a essere santi e immacolati al cospetto di Dio” (Ef 1, 4). Consapevole di questi stupendi meravigliosi e inaspettati “doni” - essere grazia e gloria - l’uomo responsabile di sé, come “lo straniero” del V, non può non ringraziare il suo Donatore, che è nello stesso tempo Creatore perché dona l’essere, Redentore perché dona la grazia e Glorificatore perché dona la gloria. Onde, la conclusione sublime di Cristo: l’accettazione dell’invito ti ha salvato! Grazie, Gesù che hai donato tutto quello che si poteva donare all’uomo! ^^^^ La via dal basso. La riflessione potrebbe iniziare dalla considerazione che l’umanità possa considerarsi una realtà “lebbrosa”, cioè bisognosa di aiuto. Riconoscimento che presuppone già qualche altra realtà che sia non solo sana ma che possa sanare, senza alcuna specificazione o personalizzazione. E si apre la via alla fede: accettare qualcosa o qualcuno di diverso e superiore che possa lenire la condizione umana. E’ la situazione descritta in nuce nel V, la cui scena è nota e anche l’amara constatazione di Gesù: “Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero”. Considerazione che fa notare l’importanza del “ringraziamento”. Si ricavano due cose: riconoscimento personale di un’autorità superiore all’uomo, che può compiere cose oltre il possibile, la cui accettazione rende la propria esistenza “personale”, onde il sentimento naturale del ringraziamento; la triplice azione umana – riconoscimento accettazione e ringraziamento – comporta come conseguenza la conquista della propria personalità, di essere cioè dipendente da questa autorità. Una volta raggiunta la propria personalità, l’uomo sente il bisogno di conoscere sempre di più questa Realtà, fino a scoprirne la sua volontà per metterla in pratica, con un continuo inno di ringraziamento, perché considera la stessa vita come suo “dono”. Questo infatti è il senso del versetto dell’A: “questa è volontà di Dio in Cristo Gesù: rendete grazie in ogni cosa” e sopra ogni cosa. Che è la meravigliosa interpretazione cristiana della vita! Scoperta la volontà divina sull’uomo, scatta automaticamente il sentimento della corrispondenza amorosa del contraccambio: amor con amor si paga, recita un antico proverbio che traduce il verso del Petrarca: “Amor con amor si paga, chi con amor non paga, degno di amar non è”. E l’amore con amore si alimenta. Questo, il senso del “ricordare” paolino della 2L. Il “ricordo di Cristo Gesù” è amore. Ricordo che investe tutta la vita nel conoscere tutti gli aspetti dell’Amato: “ampiezza lunghezza altezza e profondità, che supera ogni conoscenza” e così entrare in Cristo nella “pienezza di Dio” (Ef 3, 1819), ossia “santi e immacolati” (Ef 1, 4) nella “gloria eterna”. Benedetto Dio, in Cristo! Grazie, Signore!