fissare gli obiettivi

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fissare gli obiettivi
FISSARE
GLI OBIETTIVI
Destinatari
MANAGEMENT AZIENDALE
TEAM LEADER
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Indice
1. L’Azienda è un campo da football?
2. “Andare verso …” o “Andare via da … ?”
3. Quando fissare l’obiettivo?
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Un aspetto significativo del lavoro in azienda, per chi occupa ruoli dirigenziali, è
fissare gli obiettivi verso cui convogliare le energie materiali, intellettive e
professionali di cui l’azienda dispone.
Non è tanto una questione di mission e di visione creativa, stile anni ’90, bensì
di numeri: quanto produrre entro un dato periodo di tempo, quanto spendere e
quanto incassare. Semplice.
In apparenza. Quest’attività, infatti, deve tenere conto di molteplici aspetti:
tempi e costi di produzione, iniziative dei competitors, andamento del mercato,
ecc.
Per ciò che riguarda le aziende di Teleselling , un fattore rilevante è il tempo: gli
obiettivi, a volte, sono da raggiungere nell’arco della settimana, il che,
escludendo il weekend, significa cinque giorni. Se consideriamo che, spesso, il
venerdì è dedicato a tirare le somme, la produzione è “settimanale” per modo di
dire … il team ha a disposizione non più di quattro giorni per produrre contatti
di qualità, che possano cioè tradursi in vendite.
Diventa perciò estremamente rilevante non solo la definizione di obiettivi
congrui alle effettive risorse disponibili (es. numero e livello di esperienza dei
Venditori), ma anche come gli obiettivi sono presentati al team dalla leadership,
come il gruppo viene motivato work in progress, come la stessa leadership
monitora la tensione del team verso la meta.
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Entriamo, così, nella dimensione relazionale in cui si incontrano (a volte si
scontrano) le istanze dei Team Leader e quelle dei Venditori/ Telemarketer.
Mettendo da parte, perciò, ogni considerazione “tecnica” in merito agli obiettivi
ed alla loro definizione, portiamo l’attenzione su quello che accade, o può
accadere, tra leadership e team in termini comunicativi quando entrano in ballo
gli obiettivi.
1. L’Azienda è un campo da football?
Prima di parlare di obiettivi e di come presentarli al team, è opportuno fare un
po’ di marketing interno, ossia dedicare attenzione al “chi è” del Venditore/
Telemarketer (V/T).
Prima di tutto, è una persona che lavora. Sembra ovvio, di fatto lo è, eppure il
rischio che la leadership se ne dimentichi è alto.
Il V/T è un lavoratore/ una lavoratrice, non un giocatore di football, né qualsiasi
altro genere di atleta (può esserlo nella vita privata, ma a noi interessa il fatto
che non lo sia nel momento che fa il suo ingresso in azienda).
Diventa altrettanto ovvio, allora, che l’obiettivo gli deve essere posto in modo
del tutto diverso da come il coach fissa la meta per l’atleta o per la squadra.
Eppure in alcuni contesti aziendali si continua a pretendere dal V/T un
atteggiamento da “centravanti”, invece che di chi è ben calato nel suo ruolo di
lavoratore. Di chi, insomma, si alza al mattino non tanto per realizzare i suoi
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“sogni” quanto per andare a lavorare, far bene il suo mestiere, compiere fino in
fondo il suo dovere e ricavarne quanto si merita.
Su cosa si basa, essenzialmente, la differenza tra il V/T e il “centravanti”? Su un
elemento fondamentale quanto prevedibile: il V/T non necessariamente ha scelto
il lavoro che svolge, non necessariamente gli piace. Forse, in passato, non aveva
mai immaginato che un giorno avrebbe svolto attività di Teleselling e
Telemarketing. Eppure ora sta lì, ha un compito da compiere e un obiettivo da
raggiungere, per sé e per l’azienda.
L’atleta, al contrario, in linea di massima ha deciso liberamente di praticare
quella particolare disciplina, si suppone che gli piaccia.
Inoltre, in un momento come quello attuale, caratterizzato da una forte
contrazione delle possibilità occupazionali, i Call Center costituiscono ormai
una sorta di ammortizzatore sociale. Può non piacere al management, ma è
inutile prendersi in giro: chi approda al Call Center è generalmente convinto di
non avere altre chance professionali, almeno in quella fase della sua vita.
Dunque, è bene che la leadership tenga conto di questo fattore socio-economico.
Non si tratta di persone senza capacità e senza motivazioni, anzi. Si tratta di
individui che portano in sé un nucleo emotivo-cognitivo fatto di sentimenti e
pensieri negativi su sé e su come vanno le cose in questo mondo. Sbaglieranno o
meno, non ha importanza. Non è compito della leadership modificare il loro
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sistema di riferimento, bensì che lavorino bene nonostante quel sistema di
riferimento (che modificheranno autonomamente, attraverso i risultati personali
e professionali).
E’ questa la realtà umana e sociale in cui la leadership deve svolgere il suo
ruolo.
2. “Andare verso …” o “Andare via da … ?”
Nel momento che il Team leader si accinge a comunicare gli obiettivi ai V/T
deve chiedersi che genere di gruppo vuole favorire, ossia un team che “ va verso
…” o un team che “ va via da …”. I due scenari contengono implicazioni
diverse tra loro ed entrambi sono connessi al discorso motivazionale.
Vediamo di distinguere le due tipologie, fermo restando che nella pratica un
orientamento contiene alcuni tratti dell’altro, e viceversa.
a) Gruppo che “va verso …” : si tratta di un team a cui l’obiettivo viene posto
come fase di un processo di crescita. Dunque la meta è un’opportunità per
cambiare, guadagnare di più, ottenere un maggiore riconoscimento sociale e
aziendale. E’ insomma una sorta di premio che la leadership attribuisce ad un
team che “già” funziona. Non c’è una situazione negativa da cui allontanarsi, dal
momento che le circostanze di partenza sono già positive in sé.
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Un eventuale insuccesso sarà ritenuto momentaneo, dunque oggetto di revisione
e non di critica negativa. L’eventuale insuccesso, insomma, sarà considerato una
tappa verso il successo.
In simili circostanze, il team svilupperà autonomia e senso di responsabilità
verso se stesso e verso l’azienda. Si riduce fortemente, così, il rischio che
possano emergere dinamiche manipolative tra leadership e team. Si lavora sotto
pressione, certo, ma si tratta di una pressione fisiologica, che anzi alimenta
giorno per giorno la spinta “verso… “.
E’ abbastanza ovvio che la realizzazione della meta comporterà come inevitabile
conseguenza l’allontanarsi da una situazione negativa, che si tratti di guadagno
economico, riprovazione sociale ed aziendale, precarietà del lavoro.
Pur procedendo “verso…”, insomma, la spinta ad “allontanarsi da…” resta,
anche se sullo sfondo del sistema di riferimento cognitivo ed emotivo dei V/T.
Un compito del leader è proprio monitorare il comportamento del team affinché
tale spinta continui a restare sullo sfondo, e non prenda il sopravvento sul
procedere “verso …” la meta.
b) Gruppo che va via da … : l’obiettivo, in tal caso, è allontanarsi da una
condizione di precarietà, che può riguardare il singolo, il team, l’azienda nel suo
insieme.
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Bisogna produrre, insomma, altrimenti … ecco, quest’altrimenti è sempre
presente nel sistema di riferimento di ogni componente della squadra, mentre si
procede verso la meta. In più, tale condizione alimenta sensibilmente il rischio
che possano instaurarsi dinamiche manipolative tra leadership e team, basate, di
fronte all’insuccesso, sulla ricerca del colpevole piuttosto che della soluzione.
La meta, praticamente, in questi casi è la sopravvivenza, non la crescita. Se si
centra il bersaglio, si resta così com’è, infatti. Lo status quo, in sostanza, è la
condizione a cui si auspica.
Sia chiaro che in alcuni momenti della vita aziendale, piaccia o no, può risultare
necessario ed inevitabile porsi come obiettivo risolvere una condizione di
instabilità.
Superata questa fase, poi ci si può porre obiettivi intesi come un “andare verso
…”.
Detto questo, è anche vero che, in circostanze di relativa stabilità, la leadership
impone gli obiettivi al team come se la loro realizzazione costituisse l’ultima
spiaggia, instillando un clima aziendale imperniato sulla insicurezza, la
precarietà, la negatività. A dispetto di ogni intenzione positiva, nonostante tutti i
discorsi motivanti e tutti i video motivazionali che vengono propinati al team.
L’intenzione positiva viene praticamente inficiata dall’erronea convinzione che
la paura (di licenziamento, di disapprovazione da parte dell’azienda, ecc.) sia
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motivante. La paura, se non si è addestrati a tradurla in attenzione, ha un solo ed
unico effetto: è bloccante! Il che significa che assorbe e svuota tutte le risorse
intellettive del V/T.
Se poi l’obiettivo viene raggiunto, il team vive una situazione di scampato
pericolo. Ci si rilassa. Ed è a questo punto che emerge forte il rischio di essere
risucchiati nella condizione di partenza. L’insuccesso, in pratica, è solo rinviato.
3. Quando fissare l’obiettivo?
Fatte queste considerazioni, valutiamo a questo punto quali sono le variabili di
cui la leadership, nel fissare e nel comunicare gli obiettivi alla squadra, deve
tenere conto per evitare quanto più possibile di produrre una spinta ad “andare
via da …”.
Diciamo, inoltre, che fissare gli obiettivi può significare riproporre al team mete
già acquisite, dunque non perdere terreno rispetto a quanto già realizzato.
Oppure può significare fissare l’asticella un po’più in alto, essere insomma un
po’ più ambiziosi.
Pur se si tratta di situazioni diverse, in entrambi i casi il messaggio trasmesso al
team può essere o “andare via da …” o “andare verso “.
Un fattore di cui tenere conto è lo stato della produzione del team
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Se è buona e, dunque, l’obiettivo è un’opportunità, allora è necessario che la
leadership valorizzi il buon livello raggiunto dalla squadra, ne evidenzi la tenuta
motivazionale e professionale.
Senza enfasi, però, in modo da non far apparire i buoni risultati raggiunti come
evento eccezionale (evitiamo, ad esempio, l’applauso dopo la chiusura di un
contratto. Bastano i complimenti del team leader e dei colleghi. L’applauso
sottende un messaggio tanto inconsapevole quanto infido e cioè: “ E’ cosi
difficile vendere (per te o in genere) che ora che l’hai fatto meriti un applauso”).
Se, al contrario, il team sta vivendo un calo di produttività, l’obiettivo più alto
può essere vissuto come una punizione.
In questa circostanza, è opportuno che la leadership evidenzi la funzione dello
spostamento dell’asticella, cioè a cosa serve essere più ambiziosi proprio quando
le cose vanno così così, o proprio male. Può essere, ad esempio, che l’obiettivo
più alto, in un momento di crisi, serva alla verifica delle effettive potenzialità
individuali e di gruppo.
Anche in tal caso, insomma, l’obiettivo deve essere presentato come
un’opportunità, come momento di un percorso verso il successo. Guai ad
instillare, nel team, lo spettro dell’ultima spiaggia.
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