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David Foster Wallace
Una cosa divertente che non farò mai più
titolo originale: A Supposedly Fun Thing I’ll Never Do Again
traduzione di Gabriella D’Angelo e Francesco Piccolo
© David Foster Wallace, 1997
© minimum fax, 2010
Tutti i diritti riservati
Edizioni minimum fax
piazzale di Ponte Milvio, 28 – 00135 Roma
tel. 06.3336545 / 06.3336553 – fax 06.3336385
[email protected]
www.minimumfax.com
I edizione nella collana Sotterranei: settembre 1998
II edizione nella collana Sotterranei: marzo 2001
I edizione nella collana I Quindici: marzo 2010
ISBN 978-88-7521-312-1
DAVID FOSTER WALLACE
UNA COSA DIVERTENTE
CHE NON FARÒ MAI PIÙ
traduzione di
GABRIELLA D’ANGELO E FRANCESCO PICCOLO
1.
E allora oggi è sabato 18 marzo e sono seduto nel bar strapieno di gente
dell’aeroporto di Fort Lauderdale, e dal momento in cui sono sceso dalla nave da
crociera al momento in cui salirò sull’aereo per Chicago devono passare quattro
ore che sto cercando di ammazzare facendo il punto su quella specie di puzzle
ipnotico-sensoriale di tutte le cose che ho visto, sentito e fatto per il reportage che
mi hanno commissionato.
Ho visto spiagge di zucchero e un’acqua di un blu limpidissimo. Ho visto un
completo casual da uomo tutto rosso col bavero svasato. Ho sentito il profumo che
ha l’olio abbronzante quando è spalmato su oltre dieci tonnellate di carne umana
bollente. Sono stato chiamato «Mister» in tre diverse nazioni. Ho guardato
cinquecento americani benestanti muoversi a scatti ballando l’Electric Slide. Ho
visto tramonti che sembravano disegnati al computer e una luna tropicale che
assomigliava più a una specie di limone dalle dimensioni gigantesche sospeso in
aria che alla cara vecchia luna di pietra degli Stati Uniti d’America che ero abituato
a vedere.
Ho partecipato (molto brevemente) a un trenino a ritmo di conga.
Devo dire che ho vissuto il reportage commissionatomi con una sorta di fobia
della prestazione. L’anno scorso una certa rivista patinata dell’East Coast aveva
deciso di mandarmi a una di quelle vecchie e tranquille fiere locali, a farmi fare
una specie di reportage, senza darmi nessuna indicazione precisa, ed è rimasta
soddisfatta dei risultati. Così adesso mi è stata offerta quest’altra ciliegina
tropicale, anche qui senza nessuna indicazione o richiesta specifica. Ma questa
volta mi sento più a disagio: il rimborso spese della fiera locale era di ventisette
dollari esclusi i giochi a premi. Questa volta Harper’s ha sganciato più di tremila
dollari senza aver letto neanche una delle mie succose descrizioni ipnoticosensoriali. Mi continuano a dire – con grande pazienza, al radiotelefono della nave
– di non affliggermi per questioni del genere. Credo davvero che questa gente che
lavora nei giornali sia in malafede. Dicono che tutto quello che vogliono è una
specie di cartolina turistica gigante scritta da uno che ci è stato – vai, ti fai i Caraibi
alla grande, torni e racconti quello che hai visto.
Ho visto un sacco di navi bianche veramente enormi. Ho visto frotte di pesciolini
con le pinne luccicanti. Ho visto un parrucchino in testa a un ragazzo di tredici
anni. (Ai pesci luccicanti piaceva ammucchiarsi tra la carena e il cemento delle
banchine ogni volta che attraccavamo.) Ho visto la costa settentrionale della
Giamaica. Ho visto e ho sentito la puzza di tutti i 145 gatti che vivono nella villa di
Ernest Hemingway a Key West in Florida. Ora conosco la differenza tra Bingo e
Superbingo, e cosa significa quando il jackpot del Bingo va «a palla di neve». Ho
visto videocamere che praticamente richiedevano un carrello; ho visto valigie
fosforescenti e occhiali da sole fosforescenti con cordicelle fosforescenti e più di
venti tipi diversi di ciabatte infradito. Ho sentito tamburi da banda di paese e ho
mangiato frittelle di sgombro e ho visto una donna in lamé argentato che vomitava
a getto dentro un ascensore di vetro. Ho tenuto il ritmo di due quarti puntando il
dito verso il cielo esattamente sulla stessa disco music sulla quale odiavo puntare il
dito verso il cielo nel 1977.
Ho imparato che in realtà ci sono intensità di blu anche oltre il blu più limpido
che si possa immaginare. Ho mangiato più che mai e piatti più sofisticati che mai,
per di più nella stessa settimana in cui ho imparato anche la differenza
trabeccheggiare nel mare agitato e rollare nel mare agitato. Ho sentito un comico
professionista dire seriamente al pubblico: «A parte gli scherzi». Ho visto completi
fucsia e giacche rosa mestruo e scaldamuscoli viola e marrone e mocassini bianchi
senza calzini. Ho visto croupier professioniste così carine che ti facevano venire
voglia di fiondarti al loro tavolo e perdere fino all’ultimo centesimo a blackjack.
Ho sentito cittadini americani maggiorenni e benestanti che chiedevano all’Ufficio
Relazioni con gli Ospiti se per fare snorkeling c’è bisogno di bagnarsi, se il tiro al
piattello si fa all’aperto, se l’equipaggio dorme a bordo e a che ora è previsto il
Buffet di Mezzanotte. Ora conosco l’esatta differenza mixologica fra uno Slippery
Nipple e un Fuzzy Navel. So cos’è un Coco Loco. Sono stato oggetto in una sola
settimana di oltre 1500 sorrisi professionali. Mi sono scottato e spellato due volte.
Ho fatto tiro al piattello sul mare. È abbastanza? In quei momenti non sembrava
mai abbastanza. Ho sentito quanto pesa la cappa del cielo subtropicale. Almeno
una dozzina di volte il suono della sirena della nave, un’assordante flatulenza degli
dei, mi ha fatto prendere un colpo. Ho assimilato i fondamenti del mah-jong, mi
sono visto a stralci una due giorni di bridge contratto, ho imparato come si allaccia
il giubbotto salvagente sopra lo smoking e ho perso a scacchi con una bambina di
nove anni.
(Per la verità, ho fatto tiro verso il piattello, sul mare.)
Ho mercanteggiato per dei gioielli senza valore con ragazzini malnutriti. Ora
conosco ogni possibile giustificazione o scusa per chi spenda tremila dollari per
andarsi a fare una crociera ai Caraibi. Mi sono mangiato le mani per aver rifiutato
autentica marijuana giamaicana da un giamaicano autentico.
Una volta ho visto dalla balaustra del ponte scoperto, molto più in basso e a
destra della coda della carena, una cosa che mi è sembrata essere la pinna di uno
squalo, mimetizzata nella scia del motore di dritta, violenta come le cascate del
Niagara. Ho sentito – e non ho parole per descriverla – una musichetta da
ascensore in versione reggae. Ho capito cosa significa avere paura del proprio
water. Ho imparato ad avere il «piede marino» e ora mi piacerebbe perderlo. Ho
assaggiato il caviale e mi sono trovato d’accordo con il giudizio del bambino che
mi sedeva accanto: fa schifo.
Ora ho capito bene cosa significa duty free.
Ora conosco la velocità massima in nodi di una nave da crociera. Ho mangiato
escargot, anatra, salmone affumicato dell’Alaska, salmone con finocchi, pellicano
al marzapane e un’omelette fatta con quelle che venivano definite «tracce di tartufo
etrusco». Ho sentito persone sedute sulle sdraio sul ponte dire che non è tanto il
caldo, ma l’umidità. Sono stato – completamente, professionalmente e come mi era
stato promesso – viziato.
Ho osservato e catalogato, con ribrezzo, ogni tipo di eritemi, cheratinosi, lesioni
pre-melanoma, macchie da mal di fegato, eczemi, verruche, cisti papulari,
pancioni, celluliti femorali, vene varicose, trattamenti al collagene e al silicone,
tinture orribili, trapianti di capelli malriusciti – insomma, ho visto un sacco di
gente seminuda che avrei preferito non vedere seminuda. Mi sono sentito depresso
come non mi sentivo dalla pubertà e ho riempito quasi tre taccuini per capire se era
un Problema Mio o un Problema Loro.
Ho acquisito e nutrito un rancore che potrebbe anche durare tutta la vita verso il
direttore d’hotel della nave – il cui nome era signor Dermatis e che io da allora in
poi ho battezzato signor Dermatitis – un rispetto quasi ossequioso per il mio
cameriere e un’ardente passione per la cameriera della mia cabina del corridoio sul
ponte 10, Petra, Petra dalle fossette e dalle sopracciglia ampie e candide, che
indossava divise sempre bianche inamidate e fruscianti e profumava del
disinfettante al cedro norvegese che passava nei bagni; e che puliva ogni
centimetro praticabile della mia cabina almeno dieci volte al giorno, ma che non si
è mai fatta sorprendere nell’atto di pulire – una figura di eleganza magica e
duratura, meritevole di una cartolina tutta dedicata a lei.
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1. Anche se non ho ancora ben capito cos’è un nodo.
2. In qualche modo aveva l’impressione che io fossi un giornalista ficcanaso, così non mi lasciava vedere la cambusa, il ponte di comando, le cabine del
personale di bordo, niente di niente, né mi lasciava intervistare qualcuno dell’equipaggio o del personale con il registratore acceso; e poi portava gli occhiali da
sole all’interno della nave, e aveva le spalline, ed è rimasto un sacco di tempo a parlare al telefono in greco mentre aspett avo nel suo ufficio dopo che mi ero
perso le semifinali del karaoke nel salone Rendez-Vous per andare all’appuntamento che mi aveva dato lui; spero che si ammali.
2.
Più precisamente: dall’11 al 18 marzo 1995 io, volontariamente e dietro compenso,
mi sono sottoposto alla crociera «7 Notti ai Caraibi» ( 7NC) a bordo della
m.n. Zenith, una nave da 47.255 tonnellate, di proprietà della Celebrity Crociere,
una delle oltre venti compagnie di crociera che attualmente operano fra la Florida e
i Caraibi. La nave e i servizi, da quello che ora so della qualità media dell’industria
delle crociere, erano assolutamente di prim’ordine. Il cibo era superbo, il servizio
impeccabile, le escursioni a terra e le attività di bordo organizzate fin nei minimi
dettagli per il massimo dell’eccitazione. La nave era così bianca e pulita che
sembrava sterilizzata. Il blu del mare dei Caraibi variava dal color copertadineonato-maschio fino al fosforescente; lo stesso per il cielo. Le temperature
erano uterine. Persino il sole sembrava programmato secondo le nostre esigenze. Il
rapporto equipaggio-passeggeri era di 1,2 a 2. Era una crociera extralusso.
A parte le lievi varianti adattative a seconda della nicchia, la «Crociera
Extralusso 7NC » costituisce un genere uniforme. Tutte le megacompagnie offrono lo
stesso prodotto di base. Questo prodotto non consiste in un servizio o in una serie
di servizi. Non è neanche tanto il divertimento (anche se si capisce subito che uno
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dei grandi compiti del direttore di crociera e del suo staff è di continuare a
rassicurare tutti che tutti si stanno divertendo): è più, come dire, una sensazione.
Ma rimane un prodotto basato sulla buona fede – cioè, cercano davvero
di produrla in te, questa sensazione: una miscela di relax ed eccitazione, di
appagamento senza stress e turismo frenetico, quella fusione particolare di
servilismo e condiscendenza che viene propagandata attraverso tutte le forme del
verbo viziare. Le brochure delle megacompagnie sono addirittura tempestate da
questo verbo: «...come non vi hanno mai viziati prima», «...a viziarvi nelle nostre
jacuzzi e saune», «Lasciatevi viziare», «Fatevi viziare dai caldi zeffiri delle
Bahamas».
Il fatto che gli americani adulti degli anni Novanta tendano ad associare la
parola pamper, «viziare», a un particolare prodotto di consumo non è casuale, non
credo, e la connotazione non si perde in queste megacompagnie di massa e nelle
loro pubblicità. E se ripetono e sottolineano di continuo questa parola, avranno le
loro buone ragioni.
3. Nessun burlone farebbe a meno di ribattezzarla mentalmente Nadir nel momento stesso in cui sulla brochure della Celebrity legge lo stupidissimo
nome Zenith, così concedetemi di farlo anch’io, ma il fatto che l’abbia ribattezzata non vuol dire che abbia qualcosa contro la nave.
4. Ci sono anche le compagnie Windstar e Silversea, Tall Ship Adventures e Windjammer Barefoot, ma sono esageratamente aristocratiche e usano
imbarcazioni più piccole. Le venti e più compagnie di crociera di cui parlo usano le «meganavi», vere e proprie torte nuziali galleggianti, numero di passeggeri a
quattro cifre e motori a elica grandi quanto una filiale di banca. Tra le megacompagnie che operano a sud della Florida ci sono la Commodore, la Costa, la
Majesty, la Regal, la Dolphin, la Princess, la Royal Caribbean e la cara vecchia Celebrity. Poi ci sono la Renaissance, la Ro yal Cruise Line, la Holland, la
Holland America, la Cunard, la Cunard Crown, la Cunard Royal Viking. C’è la Norwegian Cruise Line, c’è la Crystal, c’è la Regency. C’è il discount delle
crociere, la Carnival, che le altre compagnie qualche volta chiamano la «Carnivore». Non riesco a ricordarmi a quale compagnia apparteneva la Pacific
Princess di Love Boat (probabilmente, però, faceva la rotta California-Hawaii, anche se mi sembra di ricordare che andasse un po’ ovunque), ma ora la Princess
ne ha acquisito il marchio e usa il povero vecchio Gavin MacLeod in alta uniforme per gli spot in televisione.
La nave da crociera extralusso 7NC è un tipo, un genere di nave tutto particolare, come il cacciatorpediniere. Tutte le megac ompagnie hanno più di una nave.
L’industria nasce da quei vecchi affari transatlantici tra nobili dove l’opulenza si fondeva con necessità reali di raggiungere delle mete – vedi
ilTitanic, la Normandie, eccetera. Le diverse nicchie di mercato della crociera nei Caraibi – single, persone anziane, serate a tema, interessi particolari, viaggi
premio delle società, festeggiamenti, famiglie, vacanze di massa, lusso, lusso assurdo, lusso grottesco – sono ormai ben fisse e delineate e oggetto di una
competizione ai limiti della perversione (sullo scontro tra Carnival e Princess, a registratore spento, mi hanno detto cose d a far accapponare la pelle). Si
preferisce progettare le meganavi in America, costruirle in Germania e immatricolarle in Liberia; e sia i capitani sia i proprietari sono per la maggior parte
scandinavi o greci, e questo è interessante, visto che sono gli stessi popoli che dominano i mari più o meno da sempre. La Ce lebrity è di proprietà del gruppo
Chandris; la X che campeggia sulle ciminiere delle tre navi ho scoperto che non è una X, ma una chi greca, che sta per Chandris, una famiglia greca di
tradizione marittima così antica e potente che, pare, considera Onassis un poveraccio.
3.
C’è un episodio che ha fatto notizia a Chicago. Qualche settimana prima che mi
sottoponessi alla crociera extralusso, un ragazzo di sedici anni fece un capitombolo
dal ponte più alto di una meganave – mi pare della Carnival o della Crystal: un
suicidio. Secondo il tg si trattava di pene d’amore adolescenziali, una di quelle
romantiche storie che nascono in crociera e finiscono male, eccetera. Secondo me
c’era qualcos’altro sotto, qualcosa che nessun servizio del telegiornale sarà mai in
grado di raccontare.
In queste crociere extralusso di massa c’è qualcosa di insopportabilmente triste.
Come la maggior parte delle cose insopportabilmente tristi, sembra che abbia cause
inafferrabili e complicate ed effetti semplicissimi: a bordo dellaNadir – soprattutto
la notte, quando il divertimento organizzato, le rassicurazioni e il rumore
dell’allegria cessavano – io mi sentivo disperato. Ormai è una parola abusata e
banale, disperato, ma è una parola seria, e la sto usando seriamente. Per me indica
una semplice combinazione – uno strano desiderio di morte, mescolato a un
disarmante senso di piccolezza e futilità che si presenta come paura della morte.
Forse si avvicina a quello che la gente chiama terrore o angoscia. Ma non è
neanche questo. È più come avere il desiderio di morire per sfuggire alla
sensazione insopportabile di prendere coscienza di quanto si è piccoli e deboli ed
egoisti e destinati senza alcun dubbio alla morte. E viene voglia di buttarsi giù
dalla nave.
Sono sicuro che questa parte verrà tagliata, ma credo sia necessario partire da
lontano. Io, che prima di questa crociera, si può dire, non ero mai stato sull’oceano,
ho sempre associato l’oceano al terrore e alla morte. Quand’ero piccolo imparavo a
memoria tutti i dati delle morti violente causate dagli squali. Non gli attacchi. Le
morti violente. Albert Kogler a Baker’s Beach in California nel 1959 (squalo
bianco gigante); il banchetto della Indianapolis nelle Filippine nel 1945 (molte
specie diverse, gli esperti pensano soprattutto squali-tigre e squali blu); la serie di
incidenti con più morti attribuiti a un singolo squalo nell’area Matawan/ Spring
Lake, New Jersey, nel 1916 (ancora uno squalo bianco gigante; questa volta
catturarono un carcharias nella Raritan Bay con resti umani in gastro (e mi ricordo
quali resti e di chi)). A scuola sono arrivato al punto di scrivere tre relazioni sul
capitolo «Il naufrago» di Moby Dick, che è il capitolo dove Pip il mozzo cade in
mare e impazzisce per l’immenso vuoto in cui si ritrova a galleggiare. E ora che
insegno, parlo sempre della storia orribile di «The Open Boat» di Crane, e rimango
molto deluso quando i ragazzi trovano il racconto noioso o semmai del genere
avventuroso-brillante: voglio che provino lo stesso terrore oceanico a livello
spinale che ho sempre provato io, la percezione del mare come
un nada primordiale, senza fondo – abissi popolati da esseri con denti affilati che
risalgono verso di te alla velocità di una piuma che cade. Insomma, di qui il mio
atavico feticismo per gli squali – che, devo ammettere, è tornato alla carica con un
desiderio di vendetta a lungo represso, durante questa crociera extralusso – e per
questo ho fatto tanto di quel casino per quell’unica (presunta) pinna dorsale che ho
visto giù a dritta, che i miei compagni del tavolo 64 alla fine mi hanno dovuto dire,
con il massimo tatto, di farla finita con questa storia della pinna.
Non penso sia un caso che le crociere extralusso 7NC attraggono perlopiù persone
anziane. Non parlo di vecchi decrepiti, parlo di persone sopra i cinquant’anni, per
le quali sentirsi mortali è qualcosa di più di un’astrazione. La maggior parte dei
corpi in mostra che si potevano incontrare a tutte le ore del giorno
sulla Nadir erano in vari stadi di decomposizione. E l’oceano stesso (che ho
trovato salato come l’inferno, come un collutorio per il mal di gola; e il suo
spruzzo era così corrosivo che probabilmente dovrò sostituire un perno dei miei
occhiali) mi si è rivelato fondamentalmente una gigantesca macchina di
decomposizione. L’acqua del mare corrode le navi a una velocità impressionante –
le arrugginisce, scrosta la vernice, mangia lo smalto, le rende opache; la carena è
costellata di crostacei e resti di alghe e una qualche forma ubiquitaria di moccio
marino che sembra incarnare la morte. Abbiamo visto dei veri orrori nei porti,
barche immerse in un misto di acido e merda, incrostate dalla ruggine e dalla
melma, devastate proprio da ciò che permette loro di galleggiare.
Questo non riguarda le navi delle megacompagnie. Non è un caso che siano così
bianche e pulite, poiché è evidente che devono rappresentare il trionfo calvinista
del capitale e dell’industria sulla primitiva forza corrosiva del mare.
LaNadir sembrava avere un intero battaglione di instancabili ragazzi del terzo
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mondo che giravano per la nave in tuta blu navy alla ricerca del minimo indizio di
decadenza. Lo scrittore Frank Conroy, autore dell’articolo pubblicitario della
brochure della Celebrity Crociere 7NC, racconta di come «diventò per me una sfida
personale riuscire a scovare un angolo opaco, un bordo scheggiato, una macchia
sul ponte o una cima allentata, o qualsiasi altra cosa che non fosse perfettamente in
ordine. Alla fine, nelle ultime ore di viaggio, trovai un cabestano con una macchia
di ruggine della misura di mezzo dollaro, sul lato che guardava il mare. La mia
soddisfazione per questa piccola imperfezione fu interrotta, mentre ero addirittura
ancora sul posto, dall’arrivo di un uomo dell’equipaggio con un pennello e un
secchio di vernice bianca. Lo osservai mentre dava una mano di vernice fresca
all’intero cabestano; poi si allontanò con un cenno di assenso».
Questo è il fatto. Una vacanza è una tregua dalle cose sgradevoli, e poiché la
coscienza della morte e della decadenza è sgradevole, può sembrare strano che la
più sfrenata fantasia americana in fatto di vacanze preveda che si venga schiaffati
in mezzo a una gigantesca e primordiale macchina di morte e decadenza. Eppure,
sulla crociera extralusso 7NC, veniamo coinvolti con abilità proprio nella costruzione
di svariate fantasie di trionfo sulla morte e sulla decadenza. Un modo di mettere in
atto questo «trionfo» è la disciplina del miglioramento di se stessi; e la
manutenzione anfetaminica della Nadir da parte dell’equipaggio è sfacciatamente
analoga alla cura ossessiva dell’organismo: dieta, ginnastica, integratori
ipervitaminici, chirurgia cosmetica, seminari sultimemanagement e tutto il resto.
C’è anche un’altra strada per il trionfo sulla morte. Dall’organismo
all’onanismo. Dalla fatica del lavoro alla fatica del divertimento. Le attività
ininterrotte della 7NC, i giochi, le feste, l’allegria e le canzoni; l’adrenalina,
l’eccitazione, l’iperstimolazione. Ti esaltano, ti fanno sentire vivo. Ti danno
l’impressione che la tua esistenza sia libera dalle contingenze. L’opzione della
fatica del divertimento non promette tanto il superamento del terrore della morte
quanto piuttosto di allontanarlo per un po’ di tempo: «Mentre vi fate delle grandi
risate con i vostri amici nel salone dopo cena, darete uno sguardo all’orologio e
direte che è quasi ora dello spettacolo... Quando calerà il sipario, dopo una
grande standing ovation, fra i vostri amici qualcuno dirà: “E ora che facciamo?”
Magari una puntatina al casinò o quattro salti in discoteca? Magari un bicchierino
tranquillo al piano bar o una passeggiata sul ponte al chiaro di luna? Dopo aver
discusso tutte le possibili alternative, urlerete tutti insieme: “Facciamo tutto!”»
Certo non è Dante, ma la brochure «Crociere 7NC » della Celebrity è comunque un
esempio estremamente efficace e ingegnoso di comunicazione pubblicitaria. La
brochure ha il formato di un settimanale, è pesante e patinata, con una bella
grafica, con il testo corredato da primi piani artistici di coppie benestanti
abbronzate e bloccate in una paresi di piacere. Ogni megacompagnia ha la sua
brochure, e sono tutte sostanzialmente intercambiabili. La parte centrale della
brochure entra nel dettaglio dei diversi pacchetti e itinerari. Gli itinerari base
delle 7NC sono Caraibi occidentali (Giamaica, Grand Cayman, Cozumel) o Caraibi
orientali (Portorico, Isole Vergini), oppure una cosa chiamata i Profondi Caraibi
(Martinica, Barbados, Mayreau). Ci sono anche pacchetti che offrono dieci o
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undici notti nei Caraibi e che toccano tutta la costa esotica tra Miami e il canale di
Panama. La parte finale della brochure, il piatto forte, è dedicata ai costi
dettagliati, a documenti, leggi doganali, avvertenze e penalità.
Ma è la prima parte di queste brochure che davvero ti conquista, le foto e gli
slogan in corsivo tratti da Fodor’s Cruises e Berlitz, le sognanti mises en scène e la
prosa mozzafiato. E la brochure della Celebrity, in particolare, ti fa davvero
sbavare. A margine ci sono dei piccoli riquadri ipertestuali, incorniciati in oro, che
dicono cose come LA FELICITÀ A PORTATA DI MANO, IL RELAX DIVENTA LA VOSTRA SECONDA NATURA, LO STRESS È
SOLO UNO SBIADITO RICORDO . E queste promesse ci portano al terzo tipo di sconfitta del
terrore della morte che offre la Nadir, quello che non richiede né lavoro né
divertimento, quel tipo di lusinga che nelle 7NC è proprio come il bastone e la carota.
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5. Sto andando a memoria. Non ho bisogno di libri. Posso dirvi il nome di ogni singolo morto riconosciuto della Indianapolis, compresi alcuni numeri d’ordine e
le città natali (centinaia di morti, di cui ottanta ufficialmente attribuiti agli squali, 7-10 agosto 1945; la Indianapolis aveva appena consegnato nell’isola di Tinian
la «Little Boy» destinata a Hiroshima, come ricordano alcuni con sarcasmo. L’intero episodio fu ripreso, con Robert Shaw nei panni di Quint, nello Squalo del
1975, che per me, a tredici anni, come potete immaginare, fu un vero e proprio porno -fetish).
6. E devo ammettere che già la prima sera della 7NC ho chiesto al personale del Caravelle, il ristorante a cinque stelle della Nadir, se per caso gli avanzava un
secchio di scolatura della carne al sangue, in modo da provare a socializzare con gli squali dal ponte più alto a poppa, e che tutti, dal maître in giù, hanno visto
questa richiesta come un disturbo, arrecato per di più da un disturbato, il che si è rivelato un brutto faux pas dal punto di vista giornalistico, perché sono quasi
sicuro che il maître ha passato l’increscioso bocconcino al signor Dermatitis e sospetto che questa sia la ragione principale per cui mi è stato negato l’accesso a
reparti come la cambusa della nave, impoverendo in tal modo la portata ipnotico-sensoriale di questo reportage (in più questo fatto ha dimostrato quanto poco
fino a quel momento avessi capito le dimensioni reali della Nadir: i ponti erano dodici ed era alta più di quarantacinque metri, quindi la scolatura di carne al
sangue, una volta a contatto col mare, si sarebbe dispersa in un’acqua di colonia appena rossastra, con una concentrazione di sangue del tutto inadeguata ad
attrarre o a stimolare uno squalo che si rispetti, la cui pinna, in ogni caso, da quell’altezza, mi sarebbe sembrata una capo cchia di spillo).
7. (che a quanto pare è una specie di ascensore nautico, come una carrucola anabolizzata)
8. La Nadir ha letteralmente centinaia di piantine in sezione della nave su ogni ponte, in ogni ascensore o passaggio, ognuna con un punto rosso e un VOI
SIETE QUI – e non ci vuole molto per capire che, più che per l’orientamento, servono a dare qualche strana forma di rassicurazione.
9. Ci sono continui riferimenti a questi «amici» nel testo della brochure; parte della promessa di sfuggire al terrore della morte consiste nel fatto che nessun
passeggero resterà mai da solo.
10. Visto?
11. Ci sono sempre coppie in questa brochure, e anche se ci sono foto di gruppo, sono sempre gruppi di coppie. Non mi è capitato di sfogliare una brochure di
una crociera per single, ma ora che mi ricordo c’è stata una serata dal titolo «Tutti i single insieme» (sic) sulla Nadir il primo sabato sera, tenuta alla discoteca
Scorpio sul ponte 8, e dopo un’ora di autoipnosi e training autogeno mi sono fatto coraggio e sono andato, ma anche in questa serata di «tutti single» il
settantacinque per cento erano coppie fisse, e quei pochi single al disotto dei settanta – me compreso – avevano un’espressione da ebeti e sembravano tutti sotto
l’effetto dell’autoipnosi, e l’intera serata faceva venire voglia di tagliarsi le vene, così dopo mezz’ora ho battuto in ritirata perché per quella notte il programma
della tv segnalava Jurassic Park, e io non avevo ancora controllato il programma di tutta la settimana e quindi non sapevo ancora che Jurassic Park l’avrebbero
dato almeno una cinquantina di volte.
12. Da 2500 a 4000 dollari per le meganavi di massa come la Nadir, a meno che non vogliate la suite presidenziale con vista sul cielo, un intero bar con
superalcolici, palme automatiche, eccetera, nel qual caso il prezzo raddoppia.
4.
«Vi basterà affacciarvi dalla nave e guardare il mare per sentirvi già
profondamente sollevati. Mentre vi lascerete trasportare come una nuvola
sull’acqua, il peso della vita quotidiana svanirà come per magia e vi sembrerà di
galleggiare sopra un mare di sorrisi. Non soltanto quelli dei vostri amici
passeggeri, ma anche quelli del personale di bordo. Mentre uno steward vi servirà
con piacere da bere, gli accennerete qualcosa circa i sorrisi dell’intero equipaggio.
Lo steward vi spiegherà che ogni membro dello staff Celebrity trae piacere dal
compito di rendere la vostra crociera un’esperienza completamente libera da
preoccupazioni e dal trattarvi come un ospite d’onore. Inoltre, aggiungerà, non
esiste altro posto al mondo dove vorrebbero stare. E voi, voltandovi a guardare il
mare, sarete completamente d’accordo con lui».
La brochure della Celebrity 7NC usa sempre la seconda persona plurale. È una
scelta assolutamente appropriata. Perché nella concezione della brochure
l’esperienza della 7NC non è descritta, ma evocata. La vera seduzione della brochure
non consiste tanto nell’invito a sognare quanto nella vera e propria costruzione del
sogno. Questa è sì pubblicità, ma con uno strano risvolto autoritario. Nei normali
spot rivolti a un pubblico adulto, fanno vedere persone bellissime in un momento
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di felicità che rasenta l’illegale, con dialoghi che includono il nome di un certo
prodotto, e si suppone che voi sogniate di essere proiettati nel mondo perfetto della
pubblicità attraverso l’acquisto di quel prodotto. Nelle solite pubblicità, in cui la
vostra capacità d’azione e la vostra libertà di scelta devono essere manipolate,
l’acquisto è presupposto del sogno; è il sogno che viene venduto, e non una vera e
propria proiezione nel mondo della pubblicità. Non si ha mai la sensazione che ti
stiano facendo una vera promessa. È questo che rende la solita pubblicità
fondamentalmente fiacca.
Fine dell'estratto Kindle.
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