Capitolo N. 8 BIODIVERSITA` E SPECIE PROTETTE

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Capitolo N. 8 BIODIVERSITA` E SPECIE PROTETTE
CAPITOLO 8: BIODIVERSITA’ E SPECIE PROTETTE
RETI ECOLOGICHE E BIODIVERSITÀ NEL VENETO
Rete Natura 2000
Il precedente rapporto sullo stato dell’ambiente della provincia di Verona (R.S.A. 2004)
conteneva la descrizione della rete ecologica Natura 2000 della nostra provincia.
Come indicato nella direttiva 92/43/CE, gli obiettivi di Rete Natura 2000 sono la
promozione, la tutela e la conservazione della diversità biologica presente nel territorio
degli Stati membri.
Come noto la rete ecologica si compone di ambiti territoriali designati come Siti di
Interesse Comunitario (S.I.C.), che al termine dell'iter istitutivo diverranno Zone
Speciali di Conservazione (Z.S.C.), e Zone di Protezione Speciale (Z.P.S.) in
funzione della presenza e rappresentatività sul territorio di habitat e specie animali e
vegetali indicati negli allegati I e II della Direttiva "Habitat" e di specie di cui all'allegato I
della direttiva 79/409/CEE e delle altre specie migratrici che tornano regolarmente in
Italia.
La Giunta Regionale del Veneto, con lo scopo di applicare la normativa comunitaria in
materia di SIC e ZPS, recepita dallo Stato Italiano con D.P.R. N. 357 DEL 1997, oltre
ad aver fornito delle disposizioni procedurali in riferimento alla Valutazione di
Incedenza Ambientale (V.Inc.A.) di piani e progetti, ad aver individuato a più riprese gli
ambiti territoriali regionali di interesse comunitario, ha individuato, con D.G.R. N. 3766
DEL 2001, nel Segretario Regionale per il Territorio, l'autorità competente per
l'attuazione nel Veneto della rete ecologica europea Natura 2000 e delle relative
valutazioni di incidenza.
Con delibera n. 2636 del 2004, è stato istituito il servizio Rete Natura 2000,
successivamente modificato con D.G.R. 30 dicembre 2005 n. 4444 in servizio reti
ecologiche e biodiversità, quale struttura deputata allo svolgimento dei compiti
assegnati alla Segreteria al Territorio ed inquadrata alle dirette dipendenze della
medesima Segreteria.
Con nota n. DPN/2D/2004/18179 in data 24/06/2004 il Ministero dell’Ambiente e della
Tutela del Territorio ha comunicato che la Commissione Europea considera alcune
specie ittiche fortemente minacciate ed in particolare le specie Petromyzon marinus e
Lethenteron zanandreai, ancora insufficientemente rappresentate per l’Italia e per il
Veneto; a tale proposito il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio ha a suo
tempo richiesto alla Regione Veneto di individuare entro il 15 luglio 2004 e di
approvare entro il 23 agosto dello stesso anno nuove aree SIC (ampliamento e
collegamento di siti già segnalati e/o nuove proposte) al fine di evitare che venga
attribuita all’Italia la “riserva” per le specie in questione e conseguentemente l’elenco
dei Siti Natura 2000 continentali non sia considerato definitivo.
Con D.G.R. n. 2673 del 6 agosto 2004 la regione Veneto ha rielaborato l’elenco dei
SIC.
L’allegato A alla DGR. 1180 del 18/04/2006 riporta in sintesi le modifiche al contenuto
del formulario standard e al perimetro di alcuni siti in relazione alla precedente
designazione.
In provincia di Verona, sono stati inseriti due nuovi territori ricompresi nella tipologia di
ambiti fluviali dei corsi d’acqua.
Si tratta del SIC IT3210042 :”Fiume Adige tra Verona Est e Badia Polesine” avente una
superficie di 2.090 ha e del SIC IT3210043 :”Fiume Adige tra Belluno Veronese e
Verona Ovest” avente una superficie di 476 ha.
Allo stato attuale la Regione Veneto ha individuato 67 zone di protezione speciale e
100 siti di importanza comunitaria per un totale, considerando che spesso c’è
sovrapposizione delle due tipologie, di 131 siti natura 2000.
La superficie a SIC è in regione Veneto pari a 367.781 ha e di 331.513 per le ZPS. La
superficie totale è di 403.737 ha pari al 22% del territorio regionale.
La tabella riporta la percentuale di territorio destinato a sito natura 2000 per ogni
provincia e l’ estensione in ettari.
VR
7%
22.914
PD
10%
21.493
TV
14%
33.665
RO
15%
27.982
VI
18%
49.505
VE
21%
51.093
BL
54%
197.085
I dati evidenziano come la provincia di Verona sia ampiamente al di sotto della
percentuale di territorio regionale.
La Commissione Europea è ormai giunta alle fasi conclusive del processo di
approvazione dell’elenco definitivo dei Siti di Importanza Comunitaria (S.I.C.) e delle
Zone di Protezione Speciale (Z.P.S.).
PROGETTO CARTA DELLA NATURA
Premessa
Il progetto Carta Natura nasce con la Legge Quadro sulle aree naturali protette - n°
394/91 -, che dispone la realizzazione di uno strumento conoscitivo dell’intero territorio
nazionale con la finalità di “individuare lo stato dell’ambiente naturale in Italia,
evidenziando i valori naturali ed i profili di vulnerabilità”.
Carta Natura è un elaborato di natura cartografica a due diverse scale di analisi che
può essere di ausilio alla stesura delle linee di assetto del territorio, cosi come previsto
dalla legge urbanistica regionale del 23 aprile 2004, n.11 e diventare parte integrante di
tutti gli strumenti atti alla salvaguardia e alla gestione del territorio stesso come, ad
esempio, la valutazione di impatto ambientale, la valutazione di incidenza e la
valutazione ambientale strategica.
Il progetto è stato avviato in tutto il territorio nazionale dall’APAT (Agenzia Nazionale
per la protezione dell’ambiente e i servizi tecnici) è ha permesso la realizzazione di una
elaborazione cartografica a scala 1:250.000 dei paesaggi italiani. Con il supporto
operativo delle Agenzie Regionali e delle Regioni si sta ora procedendo, in quasi tutte
le regioni, alla realizzazione della cartografia a scala 1:50.000.
Nel Veneto il progetto è realizzato da ARPAV con la collaborazione delle Province e
del Servizio Forestale Regionale, attualmente lo studio è rivolto alle aree montane
delle province di Belluno, Treviso, Vicenza e Verona verrà poi esteso al restante
territorio regionale.
Faggeta (inverno 2005-M.te Baldo, Val Trovai-foto N. Giarola)
Metodologia
La cartografia degli habitat, ovvero la cartografia degli ambiti territoriali omogenei alla
scala di analisi 1:50.000, costituisce il primo tassello dell’intero progetto e risponde al
primo obiettivo di Carta della Natura, ossia quello di rappresentare lo stato
dell’ambiente.
Questa fase ha previsto un primo inquadramento del territorio, secondo caratteri
ecologici, utilizzando come riferimento gli habitat della Classificazione Corine
Biotopes 1 leggermente modificata. A questo studio, condotto prevalentemente
utilizzando informazioni bibliografiche, è seguita un’attività di verifica in campo
attraverso rilievi delle caratteristiche della vegetazione e ulteriori elaborazioni con
l’utilizzo di foto satellitari e foto aeree.
Le elaborazioni vengono realizzate attraverso un programma informatizzato che
consente di gestire banche dati complesse e georiferite e di elaborare informazioni
aggiuntive di carattere geologico, morfologico e pedologico, come ad esempio
l’altitudine, la pendenza, l’esposizione dei versanti e le tipologie di suolo.
Il risultato è una cartografia della vegetazione a scala 1:50.000 (carta degli Habitat) in
grado di rappresentare fedelmente la varietà di habitat presenti nel territorio.
Lecceta a punta San Vigilio (foto N. Giarola)
Il secondo momento di realizzazione di Carta della Natura è costituito da uno studio
modellistico-qualitativo che permette, attraverso l’applicazione di un set predefinito di
indicatori ecologio-ambientali di attribuire a ciacun habitat individuato e cartografato
un insieme di informazioni ambientali che consentono il raggiungimento del secondo
e ben più impegnativo obiettivo associato al progetto: la valutazione della qualità
ambientale e della fragilità territoriale.
1 programma CORINE: nel 1985 il Consiglio della Commissione Europea decise di intraprendere
un progetto sperimentale per raccogliere in modo coordinato i dati sullo stato dell'ambiente e delle
risorse naturali negli stati membri della Comunità Europea (Official Journal L 176, 6/7/1985).
Da esso prese il via il Programma CORINE (Coordination of Information on the Environment) i cui
scopi fondamentali sono:
•
•
•
compilare informazioni sullo stato dell'ambiente in particolare su alcuni argomenti di
maggiore priorità per gli stati membri;
coordinare la raccolta dei dati e organizzare l'informazione non solo all'interno degli stati
membri, ma anche a livello internazionale;
assicurare validità e compatibilità dei dati.
Torbiera in Val Fredda – M.te Baldo (foto N. Giarola)
Gli indicatori della carta della natura
•
Il valore ecologico, inteso come insieme di caratteristiche che
determinano la priorità di conservazione di un determinato habitat; si considerano di
alto valore quelle tipologie di vegetazione che contengono al loro interno specie
animali e vegetali di notevole interesse o che sono ritenute particolarmente rare.
•
La sensibilità ecologica, interpretata in base alla predisposizione di un
habitat a subire un danno alla propria integrità. I rischi possono essere di varia natura
ad esempio l’isolamento da altri della sua tipologia, la sua composizione
vegetazionale ecc..
•
La pressione antropica, analizza i disturbi all’habitat dovuti ad attività
legate alla presenza dell’uomo, come ad esempio il numero e il tipo di infrastrutture,
la tipologia di vie di comunicazione (strade, ferrovie ecc…).
•
La fragilità ecologica, direttamente associata alla pressione antropica e
alla sensibilità ecologica; mette in relazione la pressione che l’uomo esercita su un
determinato habitat e la predisposizione di questo a subire un danno.
CARTA DELLA NATURA IN PROVINCIA DI VERONA
Per la realizzazione di Carta della Natura il territorio della Provincia di Vicenza è stato
suddiviso, per esigenze operative, in tre macro aree :
-
Monte Baldo e Val d’Adige
Lessinia
Pianura,
Area del Monte Baldo e Val d’Adige :
La catena del Monte Baldo è il rilievo più occidentale delle Prealpi Venete, lunga circa
37 km e larga in media 11 km – è orientata in direzione Nord-Nord-Est/Sud Sud-Ovest
e separa due grandi valli di origine glaciale: una percorsa dal fiume Adige (la Val
Lagarina, a Est), l’altra occupata dal Lago di Garda (a Ovest).
Sia il versante occidentale che quello orientale del Monte Baldo sono molto ripidi e i
sentieri che li percorrono consentono di passare in pochi chilometri dai 65 m sul livello
del mare della sponda del lago, ai 2218 m della Cima Valdritta, il picco più alto della
catena. Questa orografia particolare, unitamente alla presenza dell’ampio bacino
lacustre del Garda, fa sì che in un’area relativamente piccola siano concentrate specie
vegetali caratteristiche di latitudini diverse: dalla flora di tipo mediterraneo, a quella
alpina delle quote più elevate, La peculiarità della vegetazione baldense non è legata
solo alle odierne caratteristiche climatiche dell’area, ma anche alle antiche vicende
glaciali del Quaternario. Il lungo isolamento geografico ha determinato la presenza
attuale di numerose specie vegetali endemiche.
All’interno dell’area sono presenti i SIC: Monte Luppia Punta San Vigilio, Val dei Mulini
Senge della Marciaga Rocca di Garda, e i SIC/ZPS: Monte Baldo Ovest e Monte Baldo
Est le Riserve Naturali Lastoni Selva Pezzi e Gardesana Orientale e le Oasi di
Protezione Rocca del Garda, Monte Baldo, Monte Luppia Punta san Vigilio i cui confini
si sovrappongono in tutto o in parte con i menzionati siti di importanza comunitaria.
La Lessinia:
Negli alti Lessini sono comprese le tre principali aree boscate che sono sopravvissute
ai tagli compiuti dal medioevo fino all’epoca veneziana: quella del Corno d’Aquilio a
ovest, la Foresta dei Folignani nella zona centrale del parco e la foresta di Giazza ai
limiti
orientali
del
parco.
Di grande impatto paesaggistico e naturalistico quali serbatoi di biodiversità sono i vaj
che si diramano verso sud, assumendo la caratteristica forma dei "canyon carsici", le
cui ripidissime pareti sono interamente boscate.
Decisamente più selvaggi sono i vaj della Marciora, dei Falconi e dell’Anguilla
compresi tra Sant’Anna d’Alfaedo e Bosco Chiesanuova, più imponente, e con diverse
caratteristiche
paesaggistiche
il
Vaio
Squaranto.
Nella zona di alta quota dell’altopiano, invece, i boschi lasciano spazio a vaste zone di
pascolo con la presenza di numerosissime malghe, pozze, fontane, muretti, strade e
sentieri segno di un’antica e continua presenza dell’uomo su tutto il territorio.
La Pianura:
Nella pianura l’uomo ha sicuramente esercitato nel corso dei secoli un’azione
modificatrice del territorio più incisiva rispetto alla montagna. Disboscamenti, bonifiche,
regimazione dei corsi d’acqua ecc..
La pianura veronese si caratterizza ad ovest dal basso Garda con le sue rive adatte
all’insediamento della tipica vegetazione palustre, le zone intramoreniche a sud del
Lago di Garda, dove sono presenti gli ultimi lembi palustri anche di interesse
comunitario (sic Laghetto del Frassino), le regioni a nord e ad est della riva sinistra
dell’Adige un tempo ampiamente paludose (palude Zerpa). Da ricordare altri territori a
vocazione umida situati tra l’Adige e il Canal Bianco (Grandi Valli Veronesi). Le valli
che fiancheggiano i fiumi Tione, Tartaro, Menago e Bussè.
La linea di demarcazione tra alta e bassa pianura si caratterizza con la linea delle
risorgive caratterizzate da risorgive e fontanili che alimentano ciò che resta delle zone
umide del veronese.
Habitat presenti in provincia di Verona
Il progetto è stato avviato nel 2005 da parte del gruppo di lavoro appositamente
costituito in ARPAV con la collaborazione del Servizio Forestale Regionale.
Alla data di stampa del presente rapporto si è realizzata la cartografia degli habitat per
i territori del Monte Baldo, della Lessinia e della Valle dell’Adige per la cui visione si
rimanda ad una prossima pubblicazione dei dati.
Nelle schede sono elencati gli habitat riscontrati e cartografati nella nostra provincia
seguendo la classificazione Corine Biotopes 1.
SCHEDA 8.1: LE ACQUE NON MARINE
22 Acque ferme
22.1 Acque dolci (laghi, stagni)
Isoeto-Nanojuncetea, Littorelletea, Bidentetea (riferiti alle sponde)
Sono incluse in questo habitat tutti i corpi idrici in cui la vegetazione è assente o
scarsa. Si tratta quindi dei laghi di dimensioni rilevanti e di certi laghetti oligotrofici di
alta quota. La categoria, oltre ad un’articolazione sulla base del chimismo dell’acqua
(22.11-22.15), include le sponde soggette a variazioni di livello (22.2) nonché le
comunità anfibie (22.3) di superficie difficilmente cartografabile. Queste ultime sono
molto differenziate nell’ambito dei laghi dell’Italia settentrionale e delle pozze
temporanee mediterranee. In realtà quindi si considera l’ecosistema lacustre nel suo
complesso. Alcune delle sottocategorie sono comunque rilevanti in quanto habitat
dell’allegato I della direttiva Habitat.
24 Acque correnti
24.2 greti fluviali
24.221 Greti subalpini e montani con vegetazione erbacea DH
Epilobietalia fleischeri
Sono incluse le associazioni dei greti (e gli aspetti di greti nudi) del piano subalpino e
montano del margine delle Api e degli Appennini centro settentrionali. Le quote
superiori sono caratterizzate da Chondrilla chondrilloides, Epilobium fleischerii e
Scrophularia hoppii (=S. juratensis), quelle collinari da Epilobium dodonaei,
Scrophularia canina, accompagnate da numerose specie ruderali.
SCHEDA 8.2: CESPUGLIETI E PRATERIE
31 Brughiere e cespuglieti
31.5 formazioni a pinus mugo
31.52 Mughete esalpiche delle Alpi centro-orientali DH
Erico-Pinion mugo, Rhododendro-Vaccinion
Si tratta di cenosi che nei sistemi orientali alpini ricoprono superfici molto vaste. Pinus
mugo domina nettamente e a lui si accompagnano su substrati basici Rhododendron
hirsutum ed Erica carnea, su quelli acidi (dove l’associazione è molto più limitata)
Rhododendron ferrugineum. Vengono qui incluse anche le mughete più endalpiche
(31.51) di difficile distinzione
31.8 cespuglieti
31.88 Formazioni a Juniperus communis DH
Berberidion
Si tratta di stadi di incespugliamento a Juniperus communis su pascoli di diverso tipo
dei Festuco-Brometea. Si sviluppano dal piano collinare a quello montano; al ginepro
molto spesso si accompagnano le rose. Sono formazioni a nuclei separati che poi
tendono a confluire. Vengono tenuti separati dal resto del Berberidion (a cui
appartengono) perché sono gli unici dominati da conifere.
34 Pascoli Calcarei Secchi e Steppe
34.7 praterie mediterraneo montane
34.75 Prati aridi sub-mediterranei orientali DH
Scorzoneretalia
A questa categoria viene dato un significato ampio in quanto tutti i recenti studi hanno
confermato la penetrazione dei pascoli a carattere illirico lungo il margine meridionale
delle Alpi su substrati calcarei. Questa diffusione è certa fino all’area insubrica. Per
questo tutte le praterie xeriche e mesoxeriche dei Festuco-Brometea di questi territori
vanno riferite a questa tipologia
36 Praterie Alpine E Subalpine
36.3 pascoli alpini e subalpini acidofili
36.31 Nardeti montani e subalpini e comunità correlate
Nardo-Agrostion tenuis (Calluno-Ulicetea), Nardion strictae (Caricetea curvulae)
Sono qui inclusi i pascoli a nardo della fascia montana e subalpina. Si tratta quindi di
formazioni di sostituzione di peccete acidofile (fascia altimontana) e di pascoli subalpini
primari, anche se parzialmente modificati dal pascolamento. Sono dominati da Nardus
stricta, cui si accompagnano Arnica montana, Leontodon helveticus, Geum montanum,
etc. In alcuni casi risulta difficile la distinzione fra alcuni nardeti subalpini e i pascoli
ricchi del Poion alpinae. Oltre a questi due aspetti altitudinali sono inclusi aspetti
mesofili (36.311), più igrofili (36.312) e le formazioni chionofile ad Alopecurus alpinus
(=Alopecurus gerardii) (36.313).
36.4 PASCOLI ALPINI E SUBALPINI SU CALCARE
36.43 Seslerieti
36.431 Seslerieti delle Alpi DH
Seslerion albicantis
Rappresentano la vegetazione prativa zonale del piano subalpino in buona parte dei
rilievi calcareo-dolomitici delle Alpi. Nei sistemi esterni vengono vicariati dal Caricion
australpinae. Sono dominati da Sesleria varia (=Sesleria albicans) e Carex
sempervirens.
36.4 PASCOLI ALPINI E SUBALPINI SU CALCARE
36.43 Seslerieti
36.431 Seslerieti delle Alpi DH
Seslerion albicantis
Rappresentano la vegetazione prativa zonale del piano subalpino in buona parte dei
rilievi calcareo-dolomitici delle Alpi. Nei sistemi esterni vengono vicariati dal Caricion
australpinae. Sono dominati da Sesleria varia (=Sesleria albicans) e Carex
sempervirens.
36.433 Tappeti a Carex firma DH
Caricion firmae
Si tratta delle cosiddette praterie a zolle che costituiscono o formazioni poco compatte
legate a substrati poco evoluti o la vegetazione zonale della fascia superiore a quella
dei seslerieti. Oltre a Carex firma, sono presenti numerose specie legnose quali
Globularia cordifolia, Salix serpyllifolia e Dryas octopetala.
38 Praterie mesofite
38.2 Prati falciati e trattati con fertilizzanti DH
Arrhenatherion
Sono qui inclusi tutti i prati stabili con concimazioni (ed eventuali irrigazioni) non troppo
intense che permettono una certa biodiversità al loro interno. Sono dominati da
Arrhenatherum elatius, Dactylis glomerata, Poa pratensis e Centaurea nigrescens. Vi è
una certa variabilità altitudinale (forme planiziali-38.22 e forme collinari- 38.23) ed
edafica (da forma secche con molti elementi di brometi alle marcite della pianura
Padana).
38.3 Prati falciati montani e subalpini DH
Polygono-Trisetion, Cirsetalia vallis-demonis
Si tratta dei prati da sfalcio del piano montano ben diffusi nei più alti fondovalle alpini.
Rispetto agli arrenatereti si differenziano per la scomparsa di Arrhenatherum elatius e
compaiono specie quali Bistorta officinalis (=Polygonum bistorta), Silene vulgaris
subsp. commutata (=Silene vulgaris subsp. antelopum), Centaurea transalpina. Sono
inclusi i prati
stabili delle montagne dell’Italia meridionale e della Sicilia. Più complessa è la
distinzione con alcune forme di 36.5.
SCHEDA 8.3: FORESTE
41.B Betuleti
Corylo-Populion
Si tratta di formazioni alto-arbustive arboree che spesso costituiscono pre-boschi e
sono domiati da Betula pendula. Sono inclusi due aspetti altitudinali: quello planiziale e
collinare (41.B1) e quello invece delle quote superiori (41.B3). Sono qui incluse anche
le formazioni endemiche a Betula etnensis (=B. aetnensis) dell’Etna (41.B6).
41 Boschi decidui di latifoglie
41.13 Faggete neutrofile e mesofile delle Alpi
Es. Dentario-Fagetum
Faggete su substrati calcarei ma con suoli ben evoluti e con carattere di mesofilia, che
si sviluppano nella fascia montana. Questa tipologia si riferisce all’Europa centrale e
viene adattata alle Alpi. In realtà vi è una forte articolazione fitogeografica con
l’alleanza illirica Aremonio-Fagion che si sviluppa fino alle Alpi centrali. In queste
faggete mesofile mancano le specie termofile, mentre sono ricche di felci. Le
sottocategorie non sono applicabili alla realtà italiana.
41.2 querco-carpineti
41.281 Querco-carpineti dei suoli idromorfi con Q. robur DH
Asparago tenuifolii-Quercetum roboris
Si tratta di boschi che si sviluppano su suoli idromorfi con falda freatica molto
superficiale. Erano diffusi nelle grandi pianure (boschi planiziali) e in alcuni fondovalle
prealpini, ma oggi sono limitati a pochi lembi di enorme valore naturalistico. In realtà
quelli della pianura veneto-friulana sono riferiti all’alleanza illirica Erythronio-Carpinion,
quelli più occidentali al Carpinion. Sono dominati da Quercus robur e Carpinus betulus
a cui si può accompagnare Fraxinus angustifolia. Sono incluse anche le rare
formazioni peninsulari dominate da Q. robur.
41.7 querceti termofili e supramediterranei
41.731 Querceto a roverella dell'Italia settentrionale e dell’Appennino centrosettentrionale
Ostryo-Carpinenion, Campanulo-Ostryenion
Si tratta di boschi dominati da Quercus pubescens o con elevata presenza di Ostrya
carpinifolia che si sviluppano dal piano collinare inferiore, con numerosi elementi della
macchia maditerranea, agli aspetti mesofili distribuiti lungo tutto l’arco appenninico a
quelli più xerofili e freschi dell’Appenino centrale. monogyna e Ligustrum vulgare. Sono
diffusi nell’Italia meridionale e in Sicilia
41.74 Cerrete nord-italiane e dell’Appennino settentrionale
Erythronio-Quercion cerris, Quercion pubescenti-petraea
Si tratta di boschi dominati da Quercus cerris che si sviluppano su substrati acidi. Sono
ben diffuse nell’Italia centrale mentre nell’Italia settentrionale si tratta di formazioni
localizzate in cui spesso il cerro si mescola con altre querce.
41.8 Ostrieti, Carpineti A Carpinus Orientalis E Boschi Misti Termofili
41.81 Boscaglie di Ostrya carpinifolia
Ostryo-Carpinenion,
Laburno-Ostryenion,
Campanulo
mediae-Ostryenion,Pino
calabricae-Quercion congestae (Erico-Pinetea)
In questa grande categoria vengono incluse tutte le formazioni dominate nettamente
da Ostrya carpinifolia (pressoché prive di querce) che si sviluppano sul margine
meridionale dell’arco alpino e negli Appennini. Si tratta di formazioni appartenenti a
diversi tipologie vegetazionali dagli Erico-Pinetea (ostrieti primitivi alpini) a quelli
dell’Italia settentrionale (Ostryo-Carpinenion), della Liguria (Campanulo mediaeOstryenion), dell’Italia peninsulare del (Laburno-Ostryenion)
e quelle dell’Italia
meridionale e insulare (Pino calabricae-Quercion congestae). La suddivisione proposta
da Corine non si adatta a tale complessità perchè distingue le formazioni delle forre
mediterranee nell’ambito del Quercion ilicis
(41.811), le formazioni supramediterrane dei piani collinari (41.813) e gli ostrieti del
piano montano in contatto con faggete e pinete degli Erico-Pineneta o, in alcuni casi
alpini, con alcuni boschi dei Vaccinio-Piceetea.
41.9 Castagneti DH
Sono qui inclusi sia i veri boschi con castagno sia i castagneti da frutto non gestiti in
modo intensivo (83.12). Essi vanno a sostituire numerose tipologie forestali, in
particolar modo querceti e carpineti. Dove sia possibile pare più opportuno riferirli alle
corrispondenti tipologie di boschi naturali. Nei casi in cui i castagneti siano fortemente
sfruttati dal punto di vista colturale è possibile riferirli alla categoria 83.15.
42 Boschi di conifere
42.1 abetine (abies alba)
42.1B Rimboschimenti a conifere indigene
Sono qui raggruppati tutti i rimboschimenti di conifere effettuate all’interno o al margine
dell’areale della specie stessa. In molti casi risulta difficile distinguere le formazioni
naturali, ma gestite dall’uomo, da quelle secondarie o dagli impianti. Il problema
interpretativo si presenta al margine degli areali. Sono inclusi in quest’unica categoria
gli impianti di Abies alba - 42.1B1, Picea abies - 42.26, Pinus sylvestris - 42.5E e Pinus
nigra - 42.67.
44 Boschi e cespuglieti alluviali e umidi
44.1 saliceti ripari
44.12 Saliceti collinari planiziali e mediterraneo montani
Salicetum triandrae, Saponario-Salicetum, Salicetum albo-pedicellatae DH
Sono inclusi i saliceti con aspetti di maggior termofilia dovuti alla quota (saliceti
arbustivi planiziali a Salix triandra 44.121), al clima maggiormente termo-xerico dei
greti centro-italiani (44.122) o dell’Italia meridionale e insulare (44.127).
45 Foreste di sclerofille decidue
45.3 foreste meso e supramediterrane di leccio
45.324 Leccete supramediterranee dell’Italia DH
Es. Cephalanthero longifoliae-Quercetum ilicis, Roso semprevirentis-Quercetum ilicis,
Celtido australis-Quercetum ilicis, Teucrio siculi-Quercetum ilicis
Sono qui incluse le leccete supramediterrane e mesofile che si sviluppano lungo la
penisola ed in Sicilia. Sono incluse le formazioni relittiche prealpine.
SCHEDA 8.4: TORBIERE E PALUDI
51 Torbiere alte
51.1 Torbiere alte prossimo naturali DH
Oxycocco-Sphagnetea
Si tratta di rare cenosi di origine esclusivamente ombrogena (acqua piovana) che sono
dominate dagli sfagni. I cumuli di sfagni si alzano dal livello basale diseccandosi
progressivamente e favorendo la colonizzazione di altre specie quali Vaccinum sp.pl.,
Scheuchzeria palustris. Carex pauciflora, Andromeda polifolia, etc. Sono incluse le
sottocategorie che si riferiscono a porzioni diverse dei cumuli di sfagno e sulla specie
di sfagno dominante.
SCHEDA 8.5: RUPI GHIAIONI E SABBIE
61 Ghiaioni
61.2 Brecciai Calcarei Alpini
61.23 Ghiaioni basici alpini del piano altimontano e subalpino DH
Petasition paradoxus
Si tratta dei ghiaioni del piano montano e subalpino inferiore che si sviluppano sulle
Alpi e negli Appennini. Sono caratterizzati da Petasites paradoxus, Valeriana montana
e Leontodon montanus. Sono incluse le formazioni dei ghiaioni calcareo dolomitici
(61.231) e quelle dei substrati marnosi più umidi a Leontodon montanus (61.232).
SCHEDA 8.7: COLTIVI ED AREE COSTRUITE
82 Coltivi
82.1 Seminativi intensivi e continui
Chenopodietalia
Si tratta delle coltivazioni a seminativo (mais, soja, cereali autunno-vernini, girasoli,
orticolture)in cui prevalgono le attività meccanizzate, superfici agricole vaste e regolari
ed abbondante uso di sostanze concimanti e fitofarmaci. L’estrema semplificazione di
questi agro-ecosistemi da un lato e il forte controllo delle specie compagne, rendono
questi sistemi molto degradati ambientalmente. Sono inclusi sia i seminativi che i
sistemi di serre ed orti.
83 Frutteti, vigneti e piantagioni arboree
83.1 frutteti arborei
83.11 Oliveti
83.2 frutteti arbustivi
83.21 Vigneti
Stellarietea
Sono incluse tutte le situazioni dominate dalla coltura della vite, da quelle più intensivi
(83.212) ai lembi di viticoltura tradizionale (83.211).
83.3 piantagionI
83.32 Piantagioni di latifoglie
83.321 Piantagioni di pioppo canadese
Stellarietea, Galio-Urticetea
Sono incluse tutte le piantagioni di pioppo dei suoli alluvionali mesoigrici con strato
erbaceo più o meno sviluppato.
83.324 Robinieti
Galio-Urticetea
Si intendo robinieti puri, nei casi in cui non sia più riconoscibile la formazione boschiva
originaria. In caso contrario è sempre preferibile definire ai boschi corripondenti
(querceti, carpineti, etc.)
86 Città, paesi e siti industriali
86.1 Città, centri abitati
Artemisietea, Stellarietea
Questa categoria è molto ampia poiché include tutti i centri abitati di varie dimensioni.
In realtà vengono accorpate tutte le situazioni di strutture ed infrastrutture dove il livello
di habitat e specie naturali è estremamente ridotto. Sono inclusi i villaggi (86.2)
LE ORCHIDEE SPONTANEE DELLE COLLINE MORENICHE DEL
LAGO DI GARDA
Premessa
La famiglia delle Orchidaceae che comprende oltre 20.000 specie è la più numerosa
dopo quella delle Compositae. Mentre queste ultime hanno la massima diffusione nelle
zone temperate del nostro pianeta, le Orchidaceae sono maggiormente diffuse nelle
zone tropicali ed equatoriali. In Italia sono presenti 120 specie. Le Orchidee tropicali
spesso sono epifite (vivono sui rami degli alberi senza toccare il suolo assorbendo
l'umidità dell'atmosfera mediante le radici aeree) ed i fiori possono essere anche molto
grandi. Invece le Orchidee nostrane sono tutte neofite provviste di bulbo-tuberi
sotterranei a portamento eretto erbaceo con fiori relativamente piccoli. Nonostante la
grande diversità di aspetto tra le varie specie di Orchidee, gli elementi che formano il
fiore sono gli stessi: tre tepali esterni e tre tepali interni. I tepali esterni sono
normalmente uguali tra di loro e costituiscono i due sepali laterali ed il sepalo
superiore: possono essere liberi oppure saldati fra di loro (conniventi). Vi è invece
grande diversità tra i due petali laterali e quello inferiore, detto labello, che assume
dimensioni maggiori, spesso è lobato e vivacemente pigmentato. L'ovario è infero e
generalmente ritorto di 180°, torsione necessaria per mantenere il labello in posizione
inferiore. La funzione del labello è quella di richiamo per gli insetti impollinatori. Le
Orchidee, a differenza di molte altre piante, non si affidano al vento per
l'impollinazione: infatti l'impollinazione anemofila richiede una grande quantità di polline
per aumentare le probabilità di successo e questo richiede un gran numero di risorse
alla pianta. Il polline delle Orchidee è agglomerato in due masse polliniche sostenute
da due fusticini (caudicole) terminanti in piccoli dischi appiccicosi: questi apparati si
chiamano pollinii.
I pollinii rimangano attaccati all'insetto che visita il fiore di Orchidea a causa della
sostanza vischiosa. In brevissimo tempo, a contatto con l'aria, le caudicole che
sostengono le masse polliniche si piegano ad angolo retto e quando l'insetto visita un
altro fiore di Orchidea il polline si trova nella giusta posizione per lambire la parte
femminile (le Orchidee hanno l'apparato maschile e quello femminile nello stesso fiore)
ed effettuare l'impollinazione. Molte Orchidee attraggono gli insetti impollinatori
(pronubi) grazie alla vistosità del labello ed al sicuro nutrimento costituito dal nettare
(una sostanza liquida zuccherina) che i fiori trattengono in una sacca formata
dall'evaginazione di una parte del labello detta sperone. In alcune specie, come in
Platanthera bifolia, gli speroni sono molto lunghi e stretti e quindi vi è una selezione
negli insetti adatti all'impollinazione, in questo caso i lepidotteri (farfalle) che sono gli
unici a possedere la spirotromba, lunga e sottile, adatta per lambire il nettare posto alla
base dello sperone. In altri casi la selezione è ancora più spinta arrivando al punto che
il fiore è in grado di attrarre solo una particolare specie di insetto. Il caso più
significativo è dato dal genere Ophrys: queste piante non hanno nettare da offrire ai
pronubi, ma il loro labello si modifica fino ad apparire identico per dimensioni,
consistenza, colore, pelosità e soprattutto odore (feromoni) all'insetto femmina pronto
all'accoppiamento. L'insetto maschio viene ingannato dall'apparenza del labello e
cerca di accoppiarsi con il fiore: durante questa falsa copula i pollinii restano attaccati
alla testa dell'insetto che effettuerà l'impollinazione quando sarà ingannato da un altro
fiore. Alcune specie hanno perso il pronubo in quanto si è estinto, quindi l'alternativa
all'estinzione anche della pianta è l’autogamia i pollinii si piegono da soli e toccano la
parte femminile autofecondandosi. Questo tipo di riproduzione è poco vantaggioso in
quanto non fornisce la necessaria variabilità genetica necessaria alla sopravvivenza di
alcuni individui in caso di variazioni climatiche: la pianta infatti si riproduce uguale a se
stessa. Il fatto che le Orchidee siano frequentemente visitate da insetti è la spiegazione
della preferenza dei ragni granchio (una specie di ragno che non tesse la tela, ma usa
la tecnica dell'agguato mimetizzandosi sul fiore per catturare gli insetti).
Cephalantera longifolia (foto N. Giarola)
Questo Aracnide è variamente colorato allo scopo di apparire come parte del fiore su
cui si trova. Una volta fecondato, il fiore produce un'enorme quantità di semi con
pochissima sostanza nutritiva. Una volta germinato l'embrione si ritroverebbe molto
presto senza nutrimento se non intervenissero le ife di un fungo inferiore del genere
Rhizoctonia penetrando nelle cellule dell'Orchidea fornendola di sostanze nutritive
(micorriza endotrofica). La simbiosi con questo fungo finisce di essere necessaria alla
pianta quando questa è in grado di produrre autonomamente il nutrimento necessario
attraverso la fotosintesi clorofilliana, ma nelle Orchidee prive di clorofilla (Neottia,
Limodorum etc.) questa simbiosi non può mai interrompersi. Vi è da dire inoltre che il
tempo che intercorre dal seme germinato ad una pianta in grado di produrre fiori è di
svariati
anni
(fino
a
15
in
Cypripedium
calceolus).
In questa pagina sono riportate le fotografie delle Orchidee presenti nelle colline
moreniche del Lago di Garda.
Le colline moreniche
L’ambiente delle colline moreniche è sub mediterraneo. Le colline moreniche sono
composte dal materiale trascinato dal ghiacciaio che ha scavato la conca del Benaco
durante le ultime glaciazioni, formando un circo di rilievi bassi e di dolce declivio nella
parte meridionale separando il lago dalla pianura padana. Sono gli unici luoghi dove è
possibile incontrare le Orchidee in quanto non sottoposte a coltura intensiva. Spesso
sono terrazzate per la coltura dell'olivo, ma anche in questo caso l'utilizzo del territorio
non è invasivo al punto da distruggere tutte le specie di orchidee (nelle colture
intensive, oltre alla distruzione delle Orchidee viene sterminato anche il fungo
simbionte precludendo un'eventuale ricomparsa delle specie per centinaia di anni
anche nel caso di abbandono delle colture). Altre volte, l'unico utilizzo delle colline
moreniche è stato l'abbattimento degli alberi per il pascolo nei secoli scorsi: la
maggiore insolazione permette l'insediamento delle specie di Orchidee termofile
tipicamente mediterranee (Ophrys). In rari casi la collina non è stata toccata dall'uomo
e presenta le vegetazione climax costituita principalmente (per quanto riguarda le
specie arboree) da Quercus pubescens (roverella) e Fraxinus ornus (Orniello). Qui
troviamo le Orchidee amanti dell'ombra (Cephalanthera, Platanthera, Limodorum,
Neottia etc.). Una collina morenica non è un luogo ideale per le specie vegetali:
l’orizzonte superficiale del suolo ha un piccolo spessore ed è povero di humus (quindi
poco fertile) ed inoltre il terreno è ciottoloso ed è in grado di trattenere solo una piccola
quantità d'acqua.
Le piante devono essere molto specializzate per crescere in tale ambiente. In questo
territorio sono state individuale 19 "stazioni" a partire dal paese di Esenta fino al
comune di Caprino Veronese seguendo una linea orizzontale nelle colline moreniche a
sud del lago che all'altezza di Peschiera del Garda in seguito punta verso nord nella
parte orientale. Queste sono stazioni dove la presenza di Orchidee è sufficientemente
significativa.
Di seguito sono riportate tutte le specie di Orchidee ritrovate da Paolo Bussola,
ricercatore del Gruppo Italiano Ricerca Orchidee Selvatiche, autore delle immagini qui
riprodotte, in questo territorio dal 1990 ad oggi. Orchis purpurea ed Himantoglossum
adriaticum sono stati scoperti per la prima volta in queste stazioni. Non sono state
ritrovate le specie Epipactis palustris, Orchis laxiflora, Orchis provincialis con tutta
probabilità estinte a causa del incremento dello sfruttamento delle colline sia per
l'agricoltura, sia per l'edilizia residenziale e che furono segnalate dal Goiran all'inizio
del secolo. Alcune specie sono state ritrovate in un numero limitatissimo di esemplari e
basta un gesto avventato di un incosciente per cancellarle definitivamente (Orchis
purpurea, Himantoglossum adriaticum). in questo studio vengono considerate solo le
colline moreniche gardesane: ad esempio i monti a nord di Caprino Veronese
(propaggini del monte Baldo) non sono stati considerati anche se l'ambiente è
pressochè indentico fino a 400 metri slm, perchè il censimento comprende solo le
colline moreniche.
SCHEDA 8.8: LE ORCHIDEE DEL GENERE OPHYRS
Possiedono due rizotuberi interi, le foglie sono generalmente basali e l'infiorescenza è
piuttosto lassa con numero di fiori da 2 a 10+. I sepali sono eretti patenti e
generalmente più grandi dei petali laterali. Il labello è modificato in modo tale da
assomigliare ad un insetto: l'impollinazione viene realizzato con l'inganno sessuale
come spiegato in precedenza. Sono Orchidee tipicamente di clima mediterraneo e
quindi si ritrovano solo nei terreni esposti in pieno sole.
Oprhys sphegodes: fior ragno.
La più precoce delle nostre Orchidee: è possibile trovarla in
fioritura già a fine febbraio. Presente in quasi tutte le stazioni,
talvolta in quantità abbondante. Deve il suo nome alla forma
del labello
Ophrys incubacea:
la sua presenza in un'unica stazione nel comune di Caprino è
ancora in via di accertamento, considerata la variabilità
fenotipica delle Orchidee. Si differenzia da Ophrys
sphegodes per le gibbosità laterali del labello molto più
evidenti e per la fioritura leggermente più tardiva.
Ophrys benacensis:
presente in quasi tutte le stazioni ed in discreto numero. La
parte lucida del labello può assumere forme assai diverse,
anche tra fiori di una stessa pianta.
Ophrys insectifera: fior mosca
presente solo nelle stazioni settentrionali. Difficile da scorgere
per l'esile stelo ed i piccoli fiori. I petali sono ripiegati e
filiformi. Il fiore nell’insieme assomiglia ad una mosca.
Ophrys holoserica: si ritrova solo nelle stazioni più
settentrionali. I petali possono essere bianchi o rosati,
brevissimi ed il labello presenta disegni complicati, variabili
ma sempre simmetrici.
Ophrys apifera: la più tardiva delle nostre Ophrys. Si ritrova
solo in poche stazioni ed in pochissimi esemplari. A causa
della scomparsa dell'insetto pronubo questa Orchidea è in
grado di autofecondarsi (come si vede nell'immagine qui
sotto).
SCHEDA 8.9: LE ORCHIDEE DEL GENERE ORCHIS
Possiedono due rizotuberi interi, esistono foglie basali e cauline guainanti il fusto nella
parte inferiore. Infiorescenza con fiori da pochi (Orchis papilionacea) a molti (Orchis
simia). Spesso i sepali sono conniventi a elmo insieme con i due petali laterali. Il
labello è generalmente trilobo (Orchis tridentata), a volte il lobo mediano è a sua volta
trilobo (Orhis simia, Orchis militaris), raramente intero (Orchis papilionacea). Lo
sperone è sempre presente e di varia lunghezza.
Orchis morio: presente in tutte le stazioni e generalmente
abbondante. Sono stati ritrovati esemplari con fiori da bianchi
(forma albina) a viola scuro in tutte le sfumature intermedie.
Normalmente è la seconda specie che fiorisce dopo Ophrys
sphegodes.
Orchis simia: il labello ha una inconfondibile forma di
scimmietta (da cui il nome) con lobi più sottili di quelli di Orchis
militaris. La sua caratteristica più peculiare è il fatto che i fiori
apicali sbocciano prima di quelli basali. Presente nella maggior
parte delle stazioni, nel comune di Lazise è stato ritrovato un
esemplare di colore bianco-giallastro.
Orchis militaris: si ritrova solo nelle stazioni più settentrionali
nel comune di Caprino Veronese e non è mai abbondante.
Orchis ustulata: deve il suo nome al fatto che la sommità
dell'infiorescenza non completamente sbocciata sembra
"bruciata". Presenza sporadica nelle stazioni più settentrionali
nel comune di Caprino Veronese.
Orchis tridentata: la sua presenza è più abbondante nelle
stazioni più settentrionali. Non sono mai state notate grandi
variabilità.
Orchis mascula: un unico esemplare ritrovato nel comune di
Rivoli Veronese.
Orchis coriophora ssp. fragrans: rarissima e la sua
presenza non è confermata in tutti gli anni.
Orchis papilionacea ssp. papilionacea: rarissima anche al
di fuori del territorio considerato, ma nelle radure di Esenta in
alcuni anni si presenta abbondante, presente anche l'ibrido
Orchis papilionacea x morio.
Orchis purpurea: il fusto è di colore violaceo ed i fiori sono
piuttosto grandi. Può raggiungere l'altezza di 50 centimetri.
Considerata introvabile non solo nel territorio considerato ma
anche sul monte Baldo, è presente in 7 esemplari nel
comune di Caprino Veronese in un terreno purtroppo adibito
a sfalcio. La sua presenza è quindi in grave pericolo!
SCHEDA 8.10: LE ORCHIDEE DEL GENERE CEPHALANTHERA
Hanno rizomi brevi ed orizzontali da cui si dipartono numerose radici fascicolate e
filiformi. Infiorescenza multiflora con sepali conniventi a coprire il labello. Amanti
dell'ombra.
Cephalanthera longifolia: fiori bianchi e
numerosi. Presente in gran numero di
esemplari in tutte le stazioni boschive.
Cephalanthera damasonium: Molto rara. E' stata ritrovata
in poche stazioni nel comune di Caprino Veronese. Si
riconosce dalla Cephalanthera longifolia per le foglie più
corte ed i fiori più giallastri che rimangono quasi
completamente chiusi.
SCHEDA 8.11: LE ORCHIDEE DEL GENERE GYMNADENIA
Possiedono rizotuberi palmati. Infiorescenza molto ricca. I sepali laterali sono patenti
ed quello mediano è connivente con i petali. Sperone filiforme.
Gymnadenia conopsea: rara in quanto è una
Orchidea
tipica
dei
pascoli
montani.
L'infiorescenza degli esemplari ritrovati nel
comune di Caprino Veronese può raggiungere
la lunghezza di 30 centimetri.
SCHEDA 8.12: LE ORCHIDEE DELGENERE LIMODORUM
Piante senza clorofilla legate per tutta la vita alla simbiosi con il fungo inferiore. Non
hanno quindi bisogno della luce solare e si possono ritrovare anche in ambienti molto
oscuri. Il rizoma è breve ed ingrossato da cui si dipartono numerose radici. Il fusto è
afillo (senza foglie) ricoperto da squame violacee. L'aspetto del Limodorum prima della
fioritura è quello di un grosso asparago. Sono le uniche Orchidee italiane a possedere
fiori con tinte bluastre.
Limodorum abortivum: si ritrova in piccoli
gruppi nelle stazioni ombreggiate. Se il tempo è
inclemente i boccioli possono non aprirsi ed
autofecondarsi,
eccezionalmente
l'autofecondazione può avvenire sotto il suolo.
SCHEDA 8.13: LE ORCHIDEE DEL GENERE NEOTTIA
Piante senza clorofilla per cui valgono le considerazioni espresse per il genere
Limodorum. L'apparato radicale è costituito da radici coralliformi che hanno l'aspetto di
un nido d'uccello da cui il nome dell'unica specie europea. Il fusto è afillo e
completamente ricoperto di squame. L'infiorescenza è molto ricca, allungata, ed il
labello è bilobo.
Neottia nidus-avis: è completamente di colore giallastro. Si
ritrova solo in zone fortemente ombreggiate.
SCHEDA 8.14: LE ORCHIDEE DEL GENERE PLATANTHERA
L'apparato radicale è costituito da due tuberi fusiformi. Può raggiungere l'altezza di 70
centimetri. I fiori sono di colore bianco-verdastro ed hanno uno sperone lunghissimo e
filiforme. Il labello è intero e allungato.
Platanthera bifolia: è presente solo nel comune di
Esenta, nelle zone molto ombreggiate.
SCHEDA 8.15: LE ORCHIDEE DEL GENERE DACTYLORHIZA
Molto simile al genere Orchis, se ne differenzia per l'aspetto dei tuberi che sono divisi a
forma di dita, da cui il nome.
Dactylorhiza latifolia: questa Orchidea si ritrova
generalmente nel piano montano e sub-montano, ma è
possibile trovarla nel bosco di Esenta a soli 105 metri slm
dove vive insieme ad essenze tipicamente mediterranee
come l'Erica arborea, Orchis papilionacea e Serapias
vomeracea. La zona di Esenta rappresenta un caso raro ed
evidente di areale relitto in cui vivono insieme alcune specie
che dominavano il territorio nei periodi passati più caldi e più
freddi, mentre nelle altre zone si è assistito ad una totale
sostituzione. E' quindi un ambiente particolarmente prezioso
ed è necessaria la sua salvaguardia in quanto molto
frequentato dalle persone in cerca di luoghi tranquilli per il
pic-nic. Dactyloriza latifolia in natura presenta il fenotipo
giallo e rosso, qui la troviamo unicamente in quello giallo e le
piante sono più slanciate e più ricche di fiori rispetto a quelle
che vivono a quote più' elevate.
SCHEDA 8.16: LE ORCHIDEE DEL GENERE EPIPACTIS
Possiedono un rizoma breve più o meno allungato munito di numerose radici
avventizie. Fusto generalmente pubescente, fiore molto particolare.
Epipactis atrorubens: Il fiore profuma di
vaniglia (l'essenza è esclusiva delle Orchidee e
si estrae dalla Vanilla planifolia). Una Orchidea
dei boschi montani, ritrovati solo 3 esemplari nel
comune di Caprino Veronese.
SCHEDA 8.17: LE ORCHIDEE DEL GENERE ANACAMPTIS
Possiedono due rizotuberi ovoidali. L'infiorescenza è densa e ricca. Il labello è
profondamente trilobo, con due callosità laminari e sporgenti (lacinie). Lo sperone è
lungo e rivolto verso il basso.
Anacamptis pyramidalis: deve il suo nome al fatto che
l'infiorescenza non completamente sbocciata ha forma di
piramide. Sul monte Zovo alcuni esemplari hanno
infiorescenze inusitatamente allungate e ricche di fiori.
Una delle Orchidee a fioritura più tardiva, presente in
quasi tutti le stazioni, in alcune di esse in migliaia di
individui. Nel comune di Caprino Veronese è stato
ritrovato un unico esemplare albino.
SCHEDA 8.18: LE ORCHIDEE DEL GENERE SERAPIAS
Orchidee con fiori peculiari, di grandi dimensioni con tepali conniventi in cappa. Si
viene così a formare, all'interno del fiore, ad una cavità che ospita gli insetti al riparo
dalle intemperie grazie alla presenza di ciglia all'apertura. In queste orchidee è l'unica
strateglia per attirare gli insetti, in quanto non hanno nettare né usano l'inganno
sessuale. Sono piante esclusivamente di ambiente mediterraneo.
Serapias vomeracea: rarissima. Presente in discreta
quantità solo nel comune di Esenta, negli stessi luoghi e in
fioritura contemporanea di Orchis papilionacea.
SCHEDA 8.19: LE ORCHIDEE DEL GENERE HIMANTOGLOSSUM
Orchidea di dimensioni enormi, potendo raggiungere l'altezza di un metro.
L'infiorescenza è ricca di fiori relativamente piccoli ma con labello lungo 5-6 centimetri,
nastriforme e ritorto. Nel bocciolo il labello è avvolto su stesso come un molla di
orologio: nel fiore appena sbocciato tende ad assumere una posizione orizzontale per
poi inclinarsi con l'età. Il margini del labello presso la base sono ondulati. I sepali e gli
altri due petali sono conniventi ad elmo. Lo sperone è sacciforme.
Himantoglossum adriaticum: un'Orchidea
rarissima non solo nel territorio considerato.
Ritrovati 11 esemplari in una stazione di
Caprino in pochi metri quadrati. Non era mai
stata segnalata nelle colline moreniche
gardesane.
IBRIDI
Nella stazione di Esenta sono stati ritrovati due esemplari ibridi tra Orchis papilionacea
e Orchis morio. Questi due esemplari, pur con caratteristiche intermedie tra le due
specie, si presentavano molto diversi tra di loro. La loro massima antesi si verificava
quando Orchis morio era alla fine della fioritura ed Orchis papilionacea iniziava a
sbocciare.
IL CENSIMENTO DEGLI ALBERI MONUMENTALI
Platano in Piazza Viviani (Foto N. Giarola)
Un’indagine per valorizzare i “monumenti” della natura, che costituiscono un
patrimonio di inestimabile valore, da conoscere e da tutelare
Premessa
Fra le indagini condotte dal Corpo forestale dello Stato quella sugli alberi monumentali
si caratterizza per l'alto significato culturale, che la differenzia da altre a contenuto più
specificatamente tecnico-scientifico come l'Inventario Nazionale delle Foreste e dei
serbatoi forestali di Cabonio (INFC) e l'indagine sul deperimento delle foreste CONECOFOR
(CONtrollo
ECOsistemi
FORestali)
Il censimento, infatti, non ha interessato gli alberi come categoria vegetale, o come
risorsa economica, ma come singoli soggetti arborei che hanno una propria
"individualità" per essere eccezionalmente vecchi, per essere stati protagonisti di
episodi storici o per essere legati alla vita di uomini illustri o di Santi. Monumenti della
natura, insomma, che si collocano accanto a quelli creati dall'uomo e costituiscono un
patrimonio
di
inestimabile
valore,
da
conoscere
e
da
tutelare.
L'iniziativa di individuare gli "alberi di notevole interesse" presenti sul territorio
nazionale, lanciata nell'estate del 1982, è stata condotta dal personale del Corpo
forestale dello Stato. A seguito dell’indagine è stata raccolta una massa imponente di
dati: 22.000 schede di alberi di particolare interesse che sono state poi ulteriormente
selezionate, fino ad individuare 2.000 esemplari di grande interesse e, fra di essi, 150
che
presentano
un
eccezionale
valore
storico
o
monumentale.
Un censimento di questo tipo non può che restare aperto ad ulteriori revisioni ed
acquisizioni.
Risulta evidente la ricchezza degli spunti culturali, oltre che naturalistici, legati alla vita
degli alberi ed emersi con il censimento del Corpo Forestale dello Stato.
LA
MAPPA
DEGLI
ALBERI
MONUMENTALI
Nel corso del censimento degli alberi monumentali del 1982 – da allora costantemente
aggiornato con la scoperta di nuove piante, con la raccolta di materiali storici e
scientifici che permettono di approfondirne la conoscenza, e con la georeferenziazione
dei singoli esemplari – i Forestali hanno rilevato piante definite di “maggior interesse
ambientale e culturale”. Di queste, 460 sono presenti nelle regioni del nord Italia. Nel
Veneto sono stati contati 57 esemplari di particolare rilievo, 11 dei quali presenti nella
nostra provincia.
I GRANDI ALBERI DELL’AREA VERONESE
Un secondo censimento del 1987, ha riguardato nello specifico la provincia di Verona e
si è concluso con la pubblicazione del volume : “I grandi alberi dell’area veronese, 123
alberi monumentali del veronese.
Gli autori dr. Luciano Corso e dr. Giuliano Lazzarin hanno utilizzato come metodologia
di rilevamento di un “grande albero”, variabili quantitative, come dimensioni ed età e
variabili qualitative, come tipologia dell’essenza in relazione al luogo, forma e
portamento, ubicazione, importanza storica, dividendo gli esemplari in classi di
segnalazione A (da A1 a A7) e B (da B1 a B5).
Il libro è diviso in schede. Ogni scheda riporta il nome popolare, scientifico e comune
dell’esemplare raffigurato. La località, l’altitudine il comune di crescita le coordinate
geografiche rilevate. I rilievi dendrometrici, la classe di segnalazione e l’importanza
storica, culturale e scientifica della pianta.
Numerose le schede dedicate ai grandi faggi delle prealpi veronesi. Vengono descritti
tra le conifere Pecci, Cedri, Pini neri e Pini silvestri, Sequoie, Tassi, Cipressi e Tuie.
Tra le latifoglie troviamo Pioppi bianchi e neri, Carpini neri, Castagni, Olmi montani e
campestri, Bagolari e Platani. Tra le querce Lecci, Roveri, Farnie, Roverelle e Cerro
Sughere. La cartografia descrive la georeferenziazione delle piante indicate in scheda.
Si tratta di un prezioso lavoro che porta alla riscoperta di un cospicuo patrimonio
naturale, che possiamo ritrovare anche all’interno delle mura di Verona, a
testimonianza di quel che resta dell’ottocentesco orto botanico della città purtroppo mai
più risorto.
Siamo andati a vedere 6 dei 123 alberi censiti. Si tratta di cinque degli undici esemplari
proposti dal corpo forestale come alberi monumentali e di un cedro del libano che
cresce nel parco del Chievo. Li abbiamo ritrovati con piacere ancora al loro posto,
magari con qualche acciacco in più, come è capitato al grande faggio di malga Busimo
che ha subito una parziale menomazione probabilmente ad opera di un fulmine.
Abbiamo scattato qualche immagine che proponiamo nelle schede delle piante
rivisitate. I dati relativi ai rilievi dendrometrici riportati nelle schede sono quelli del
censimento del 1987. A ventanni di distanza dalla pubblicazione del lavoro sarebbe
auspicabile proporre un aggiornamento dello stesso.
ASPETTI
LEGISLATIVI
DELLA
TUTELA
DEGLI
ALBERI
MONUMENTALI
Nonostante gli alberi monumentali rappresentino un patrimonio storico, culturale e
biologico di inestimabile valore, sono ancora pochi gli strumenti legislativi per la loro
tutela.
Con la riforma dello Stato, sempre più orientata al decentramento, parte delle
competenze sono passate alle amministrazioni regionali e tra queste anche la potestà
legislativa in materia di patriarchi verdi. Così le regioni Piemonte, Liguria, Emilia,
Romagna, Valle d’Aosta, Lombardia, Veneto, Marche, Toscana, Basilicata e Lazio,
hanno approvato provvedimenti specifici per il loro censimento e la loro conservazione,
anche se dal raffronto delle norme si deve registrare una certa difformità nell’incisività
e organicità delle forme di tutela, e solo in alcuni casi – soprattutto nella normativa più
recente – gli alberi monumentali, sono stati considerati “soggetto” specifico di
salvaguardia. La prima differenza riscontrabile riguarda la definizione stessa di albero
monumentale, fortemente condizionata dai differenti contesti territoriali. Ad esempio, in
Veneto (Legge Regionale 9 agosto 2002, n° 20), sono considerati alberi monumentali
“…gli alberi isolati o facenti parte di formazioni boschive naturali o artificiali che per eta'
o dimensioni possono essere considerati come rari esempi di maestosita' o longevita';
gli alberi che hanno un preciso riferimento a eventi o memorie rilevanti dal punto di
vista storico o culturale o a tradizioni locali”, mentre nel Lazio si parla, tra l’altro, di
“…alberi isolati anche all’interno dei centri urbani (…)”. Le differenze riguardano anche
le competenze dell’organismo regionale che li deve censire, e sul regime
sanzionatorio. In Veneto se ne occupa l’Azienda regionale per l’Agricoltura e per chi
sottoponga i patriarchi verdi a manutenzioni non autorizzate o ancor peggio danneggi o
abbatta una pianta, è prevista una sanzione. Di fatto la sopraccitata L:R. è rimasta
inapplicata
per
mancanza
di
un
regolamento
attuativo.
Per superare le diversità regionali, il Decreto Legislativo 29 ottobre 1999 n. 490 – con il
quale è stata disciplinata tutta la materia dei beni ambientali e culturali – potrebbe
garantire una tutela generalizzata, ponendo i patriarchi verdi sotto l’occhio vigile delle
Soprintendenze alla pari delle dimore storiche, dei monumenti, delle collezioni
artistiche, e delle bellezze paesaggistiche.
SCHEDA 8.20: IL PLATANO DEI CENTO BERSAGLIERI
Nome scientifico: Platanus orientalis
Nome comune: Platano
Comune: Caprino
Località: Platano
L’insegna posta sotto l’enorme pianta recita:”Platano dei cento bersaglieri –
Monumento nazionale (1370). E’ il più grande platano d’Italia – mt 25 di altezza –
mt 15 di circonferenza del tronco – mt 300 di superficie della chioma. Così
chiamato perchè nel 1937, durante una grande manovra dell’esercito italiano, si
nascosero tra le sue fronde100
bersaglieri”
Il
colossale
esemplare,
cresce
all'incrocio di due strade e a pochi metri
dall'alveo del torrente Tasso, nella
località "Platano" di Caprino Veronese.
Da un'immensa base l'albero si innalza
torcendosi nell'aria e si divide in due
tronchi estremamente irregolari, pieni
delle escrescenze tipiche del Platano
Orientale. Anche i rami, contorti e
aggrovigliati, serpeggiano in varie
direzioni.
Alberi come questo sfuggono ad una
misurazione
precisa.
I dati sulle dimensioni riportati dal
cartello sono un po' esagerati. L'albero
sembra
misurare
Mt.
10,30
di
circonferenza e Mt. 18 di altezza.
In ogni caso, anche se non é facile
inserire quest'albero nelle statistiche,
non possiamo fare a meno di ammirarlo
e di considerarlo il "decano" dei nostri
Platani.
(da "Gli alberi monumentali d'Italia" - ed.
Abete 1990)
Foto N. Giarola
SCHEDA 8.21: IL “PIRLAR “ DI CORTE PIETA’
Nome scientifico:Celtis australis L
Nome comune: Bagolaro, Pirlar, Perlar, Spaccasassi.
Comune: Sona
Località: Rosolotti corte Pietà
Ubicazione: la pianta cresce al
accesso alla corte
margine di un vigneto, lungo la strada
Rilievi dendrometrici:
circonferenza 5,8 m,
altezza 11 m,
età presunta 350-450 anni
note: la pianta è molto maestosa. Il tronco
è completamente cavo e per evitare che il
fusto ceda per l’eccessivo peso dei rami e
per l’esiguità dello strato di legno, sono
stati collocati degli appositi tiranti di
sostegno.
condizioni fitosanitarie: discrete
destinazione: ornamentale
Importanza storica, culturale, scientifica:
è la più vecchia pianta di Celtis di tutta la
provincia
Classi di segnalazione: A2, A3, A4a, A6
La foto sopra risale al 1987 quella
sottostante è del 2006.
Foto N. Giarola
di
SCHEDA 8.22: I CIPRESSI DI VOLARGNE
Nome
Cupressus
L.
scientifico:
sempervirens
Nome comune: Cipresso.
Comune: Dolce
Località: Volargne
Ubicazione:
le
piante
crescono a pochi metri
dalla
riva
dell’Adige
all’interno
del
parco
pubblico
Rilievi dendrometrici:
circonferenza 4,80 m,
altezza 22 m,
età presunta 350-450 anni
Foto N. Giarola
note: si tratta di tre esemplari. Sopra sono riportati i dati e l’immagine del più
grande. La pianta ha uno splendido portamento nonostante risulti priva del
cimale.
condizioni fitosanitarie: discrete
destinazione: ornamentale
Classi di segnalazione: B2, B3, B4c.
Altri cipressi di notevoli dimensioni sono ubicati a Verona presso il giardino
Giust e al Chiedo presso villa Marinoni-Pullè
SCHEDA 8.23: IL GRANDE FAGGIO DI MONTE BUSIMO
Nome scientifico: Fagus silvatica L
Nome comune: Faggio
Comune: Erbezzo
Località: Monte Busimo
Ubicazione: la pianta cresce sulla
linea di cresta, nei pascoli alla
destra di malga Busimo.
Rilievi dendrometrici:
circonferenza 8,15 m,
altezza 18,50 m,
età presunta 300-400 anni
Foto N. Giarola
note: il fusto principale si ramifica in due branche gigantesche (una delle quali
spezzata da un fulmine) appena sopra la base. Il modesto sviluppo in altezza è
da imputare all’azione prostrante del vento che sul crinale è molto frequente ed
intenso.
condizioni fitosanitarie: discrete nonostante la perdita di una grossa porzione e
le numerose ferite sulla corteccia causate dalle incisioni fatte da passanti
destinazione: ornamentale
Importanza storica, culturale, scientifica: questa pianta ben visibile anche da
grande distanza per la sua posizione isolata, è conosciuta in tutto l’Altipiano
della Lessinia.
Classi di segnalazione: A2, A3, A4a, A6
SCHEDA 8.24: LA QUERCIA DI CERRO VERONESE
Nome scientifico: Quercus crenata Lam
Nome comune: Cerro- Sugera
Comune: Cerro Veronese
Località: Cerro Veronese
Ubicazione: la pianta cresce nel giardino della piazza
Foto N. Giarola
Rilievi dendrometrici:
circonferenza: 3.80 m, altezza: 18.20 m, età presunta 150-250 anni
note:la pianta è molto bella, presenta un fusto dritto e slanciato che si ramifica in
alto in una chioma molto alta
condizioni fitosanitarie: buone.
Importanza storica, culturale, scientifica: La pianta, erroneamente da quel che si
crede, non è un cerro (Quercus cerris) ma un ibrido molto raropresente nel
veronese in non più di tre quattro esemplari. La cerro-sughera è certamente la
specie arborea più interessante della zona; in inverno la si riconosce facilmente
per le foglie persistenti a margine crenato.
Classi di segnalazione: A1, A2, A4a, A5
SCHEDA 8.25: IL CEDRO DEL LIBANO DI VILLA MARINONI PULLE’
IL CEDRO DEL LIBANO DI VILLA
MARINONI PULLE’
Nome scientifico: Cedrus libani
Nome comune: Cedro del Libano
Comune: Verona
Località: Chiedo
Ubicazione: la pianta cresce nel
parco di fronte all’entrata
Rilievi
dendrometrici:
circonferenza: 4,58 m, altezza: 26
m, età presunta 100-120 anni
note: è una pianta splendida,
come del resto moltissime delle
piante del parco del Chiedo,
caratterizzata dalla particolare
conformazione del fusto.
condizioni fitosanitarie: discrete
Destinazione: ornamentale.
Foto N. Giarola
Classi di segnalazione: A2, A3, A4c.
AREE NATURALI PROTETTE
La vegetazione della Riserva Naturale Integrale Lastoni Selva Pezzi
Foto N. Giarola
PREMESSA
Posta sulle pendici del Monte Baldo e digradante verso il Lago di Garda nel territorio
del comune di Malcesine, copre una superficie di 968 ettari è uno degli ambiti di
maggior interesse botanico oltre che faunistico di tutta la catena del Monte Baldo.
Il paesaggio è un mosaico di boschi di faggio e di abete bianco, estese mughete,
ambienti a vegetazione erbacea sopra il limite del bosco, rupi e ghiaioni, arricchiti da
specie floristiche rare e protette. Il limite orientale della riserva corre lungo la linea di
cresta e tocca le maggiori elevazioni che da sud a nord sono P.ta Telegrafo 2200 m
(M.te Maggiore), P.ta Pettorina 2192 m, Cima Valdritta 2218 m, Cima del Longino 2179
m e Cima delle Pozzette 2132 m. Il percorso di cresta se affrontato con una adeguata
preparazione ed attrezzatura propone un lungo e spettacolare saliscendi tra panorami
unici e possibili osservazioni di rare specie di flora e fauna.
L’ambiente
Tipologie ambientali principali: presenza di boschi con faggio e con abete bianco, di
estese mughete, di ambienti a vegetazione erbacea al di sopra del limite del bosco, di
rupi
e
ghiaioni.
Peculiarità floristico-vegetazionali: faggete (montana dei suoli xerici, montana tipica a
dentaria, primitiva di falda detritica), abieteto dei suoli carbonatici, mughete, nardeto,
seslerieto, vegetazione pioniera a salici nani, vegetazione delle rupi e dei ghiaioni;
presenza di emergenze floristiche (elementi stenomediterranei, orofite, elementi
endemici e subendemici, specie segnalate come rare e/o rarissime nella flora italiana,
piante comprese nell'elenco delle specie protette nella regione del Veneto).
Aconitum napellus
foto N. Giarola
La flora
La Riserva Lastoni-Selva Pezzi, rappresenta una delle aree di maggior interesse
botanico
del
Monte
Baldo.
Numerosi gli interventi di rimboschimento nel periodo compreso tra gli anni '50 e '60,
con
la
piantumazione
di
peccio,
abete
bianco
e
larice.
Mentre le piante di peccio e di abete bianco messe a dimora sono in sintonia con la
vegetazione naturale degli abieteti, i nuclei di larice si distaccano chiaramente da
questi.
La superficie interessata dalla presenza di larice è abbastanza estesa e dispersa in
zone diverse della foresta. La vegetazione è stata suddivisa secondo il seguente
schema:
Leontopodium alpinum
Foto N. Giarola
Vegetazione dei boschi mesofili
•
Faggeta montana dei suoli serici
•
Faggeta montana tipica a dentaria
•
Faggeta primitiva di falda detritica
•
Abieteto dei suoli carbonatici
•
Rimboschimenti con presenza diffusa di larice
Vegetazione ad arbusti dell’orizzonte alpino inferiore (mughete)
•
Mughete a rododendro irsuto dei substrati carbonatici
•
Mughete a rododendro rosso dei substrati acidificati
Vegetazione dei gramineti
•
Nardeto
•
Seslerieto
Vegetazione dei terreni nivali su rocce calcaree
•
Vegetazione pioniera a Salice refuso e Salice reticolato
Vegetazione liofila
•
Vegetazione pioniera su ghiaione
•
Vegetazione delle rupi.
Cardi (Cirsium eriofhorum )
(Compositae)
Foto N. Giarola
SCHEDA 8.26: LA FAGGETA
Faggeta
montana
dei
suoli
xerici
Questa tipologia piuttosto rara di faggeta è segnalata nei dintorni di località Piombi;
predilige suoli con abbondate scheletro, siano essi di origine alluvionale o accumuli di
frana,
più
raramente
situazioni
semirupestri.
La formazione è oggi peraltro costituita principalmente da un rimboschimento di larice
dominante, con presenza di nuclei sparsi di faggio, piuttosto stentato.
La faggeta va quindi vista come situazione potenziale, che in futuro potrà espandersi
se
accompagnata
dalla
progressiva
riduzione
delle
conifere.
Il sottobosco è molto denso.
Faggeta
montana
tipica
a
dentaria
La faggeta montana tipica occupa una fascia che va da 1100 a 1300 - 1400 metri, fino
a
sfumare
gradualmente
nei
soprastanti
abieteti.
Aspetti riconducibili a questa tipologia sono riscontrabili nel tratto di foresta compreso
tra Pozza del Pezzon e Piombi.
Il faggio, che dovrebbe essere sempre dominante, spesso non riesce a manifestare
questa sua tendenza per l'elevata frequenza dell'abete bianco e dell'abete rosso
abbondantemente
diffusi
con
gli
interventi
di
rimboschimento.
Sporadiche sono invece le altre latifoglie: sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia),
sorbo
montano
(Sorbus
aria).
Lo strato arbustivo è poco caratterizzato: vi compaiono il caprifoglio (Lonicera
alpigena), lampone (Rubus idaeus) e maggiociondolo alpino (Laburnum alpinum) e
altre specie; lo strato erbaceo, poco denso, presenta le tipiche specie della faggeta.
E’ da notare che, in alcune situazioni, l'abete bianco partecipa con buone coperture
alla cenosi, permettendo di riconoscere una variante ad abete bianco forse in parte
originaria.
Faggeta
primitiva
di
falda
detritica
Si tratta di formazioni in prevalenza arbustive a contatto con le mughete, con le quali
hanno
in
comune
numerosi
elementi.
Si possono rinvenire soprattutto nella zona delle "pale" a colonizzare i detriti meno
mobili e i costoni in una fase verosimilmente successiva alla mugheta.
Talvolta
la
formazione
si
rinviene
in
habitat
semirupestri.
Lo strato arboreo è quasi assente e rappresentato da rari faggi che si elevano, di poco,
sopra la massa degli arbusti; la massima altezza di questi esemplari non supera
comunque
i
4-6
metri.
Lo strato alto-arbustivo è invece denso e dominato dal faggio, misto al mugo, che può
essere considerato specie guida.
SCHEDA 8.27: LE CONIFERE
Abietato dei suoli cartonatici:
rappresenta la componente vegetazionale che maggiormente caratterizza la zona
forestale della riserva. Si tratta di vegetazione che occupa stazioni di versante con
elevata umidità atmosferica e che, grazie alla posizione topografica e all’andamento
morfologico, risultano parzialmente al riparo dai venti. Lo strato arboreo è costituito
essenzialmente da Abete bianco e Abete rosso, ai quali sporadicamente si aggiunge il
faggio.
Rimboschimenti
con
presenza
diffusa
di
larice
All'interno di Selva Pezzi sono stati effettuati, nel periodo compreso tra gli anni '50 e
'60, numerosi interventi di rimboschimento con la piantumazione di peccio, abete
bianco
e
larice.
Mentre le piante di peccio e di abete bianco messe a dimora sono in sintonia con la
vegetazione naturale degli abieteti, i nuclei di larice si distaccano chiaramente da
questi.
La superficie interessata dalla presenza di larice è abbastanza estesa e dispersa in
zone diverse della foresta.
Pino mugo (Pinus mugo)
(Pinaceae) Foto N. Giarola
SCHEDA 8.28: LE CONIFERE
Il paesaggio di una vasta zona della riserva è fortemente caratterizzato da
impenetrabili mughete, estese qualche chilometro quadrato di superficie.
Le mughete occupano stazioni rupestri e canaloni da 1500-1600 metri fino alle
massime elevazioni.
Mughete
a
rododendro
irsuto
dei
substrati
carbonatici
Le mughete a rododendro irsuto dei substrati carbonatici sono le più frequenti sul
Monte
Baldo.
A causa dell’ampia escursione altitudinale (da oltre 2000 metri fino a circa 1000 metri),
queste
formazioni
presentano
una
complessa
articolazione
ecologica.
Al di sopra di 1600-1700 metri nello strato arbustivo delle mughete compaiono
frequentemente lampone (Rubus idaeus), ginepro nano (Juniperus nana), rododendro
irsuto (Rhododendron hirsutum), Salix glabra, erica (Erica carnea) e, fra le erbe,
Horminum pyrenaicum, Valeriana tripteris, Luzula nivea, Viola biflora, Stachys
alopecurus, ecc.. Mentre alle quote superiori le mughete a carattere microtermo si
compenetrano con le cenosi erbacee tipiche dell’alta montagna, alle quote inferiori (al
di sotto dei 1700 m), sfumano gradualmente in formazioni a mugo più termofile che si
affermano attorno ai 1500-1600 metri di quota, in corrispondenza dei confini della
riserva.
In esse è caratteristica la presenza di specie arbustive quali il pero corvino
(Amelanchier ovalis) e Rhodothamnus chamaecistus, indicatori di ambienti primitivi e
caldi, e di specie erbacee tra le quali abbonda Erica erbacea, a cui si accompagnano
Euphrasia
tricuspidata,
Calamagrostis
varia
e
Globularia
cordifolia.
Il passaggio fra i due tipi di mugheta è molto sfumato e avviene in un ambiente
rupestre difficilmente percorribile.
Mugheta
a
rododendro
rosso
dei
substrati
acidificati
Le mughete microterme acidofile rappresentano le porzioni più mature delle mughete,
soprattutto in posizioni di displuvio; spesso derivano dall’incespugliamento dei pascoli
a
Nardus
striata.
Si possono rinvenire in particolare lungo la dorsale che da Tratto Spino sale in
direzione
di
Cima
delle
Pozzette.
In questa zona la mugheta si sviluppa lungo una fascia che delimita la parte superiore
di
Selva
Pezzi.
La tendenza all’acidificazione del suolo è evidenziata dalla presenza di specie quali
Rhododendron ferrugineum, Vaccinium myrtillus, Vacciunium vitis-idaea, Potentilla
erecta, talvolta Alnus viridis (ontano verde), che si agGiungono a quelle della
precedente
tipologia.
Mirtilli e rododendro, se presenti in massa, possono essere considerate specie guida.
SCHEDA 8.29: I PRATI
Vegetazione dei gramineti
Nardeto
Si tratta di pascoli magri su suoli a reazione acida, decalcificati, in genere derivati dalla
trasformazione naturale dei gramineti a Festuca per lungo tempo sottoposti ad
eccessivo
pascolamento.
Sono presenti nella parte settentrionale della riserva, nel primo tratto della dorsale che
sale verso Cima delle Pozzette, a quote comprese tra i 1700 e i 1800 metri.
Il cotico è molto omogeneo, con una notevole ricchezza floristica: esso è caratterizzato
dalla presenza massiccia del nardo (Narus striata), accompagnato dalle tipiche specie
acidofile dei nardeti: Arnica montana, Gentiana kochiana, Luzula multiflora, Danthonia
decumbens,
Hieracium
pilosella,
Potentilla
erecta,
ecc..
Scarse, se non sporadiche, sono le specie dei prati pingui.
Seslerieto
Questa associazione erbacea è tipica delle superfici in pendio dove il terreno molto
ricco
di
detriti
comincia
a
consolidarsi.
L’aspetto caratteristico è quello dei cosiddetti “prati a scala”, dove si alternano brevi
affioramenti rocciosi a zolle pianeggianti in cui si insediano i cespi erbacei di Sesleria
varia e Carex sempervirens, accompagnati da una larga varietà di altre specie.
Gli elementi più frequenti nell’associazione, oltre alle due specie già citate, sono:
Horminum pyrenaicum, Nigritella nigra, Achillea clavenae, Leontopodium alpinum,
Bupleurum ranuncoloides, Hieracium villosum, Senecio doronicum e Carex baldensis.
In alcune zone del Monte Baldo, in particolare nelle zone di vetta, il seslerieto si
arricchisce di altri elementi floristici che risultano coinvolti nell’associazione con elevati
valori
di
frequenza.
Si tratta, in particolare, di Ranunculus alpestris, Salix reticulata, Carex firma, Carex
ferruginea
e
Rhodothamnus
chamaecistus.
È in questa associazione che si segnala la presenza di Callianthemum kerneranum, la
specie a carattere endemico più tipica del Monte Baldo.
Vegetazione dei terreni nivali su rocce calcaree
Vegetazione
pioniera
a
salice
refuso
e
reticolato
Si trova sul fondo di alcuni dei circhi glaciali, allineati ai piedi delle principali vette del
Baldo, si segnala una vegetazione particolare, caratterizzata da elementi floristici
artico-alpini.
In queste conche la neve persiste infatti per molti mesi, e nelle annate contraddistinte
da precipitazioni particolarmente abbondanti, si mantiene fino ad estate inoltrata.
In questi ambienti si ritrova la cosiddetta vegetazione delle vallette nivali, costituita da
specie adatte a vivere in condizioni di scarsa luminosità (dovuta alla persistenza della
copertura nevosa), a basse temperature e soprattutto a compiere il proprio ciclo vitale
nel breve periodo durante il quale il terreno rimane scoperto dalla neve.
Fra le specie caratteristiche delle vallette nivali vanno citati, in primo luogo, i salici nani
che vivono strettamente appressati al terreno: Salix retusa e Salix reticulata. Comuni
anche Saxifraga androsacea, Galium baldense, Carex parviflora, Ranunculus alpestris.
Foto N. Giarola
Vegetazione litofila
Vegetazione pioniera su ghiaione
I macereti costituiti da detrito grossolano incoerente, continuamente alimentati dal
pietrame che cade dalle rupi sovrastanti, e che si rinvengono soprattutto nei circhi
glaciali ai piedi delle principali vette baldensi, sono colonizzati da un tipo di
vegetazione composta da specie quali Papaver rhaeticum, Cerastium carinthiacum,
Saxifraga
sedoides,
Achillea
oxyloba.
Altre specie che nei rilievi compaiono sempre con elevati valori di copertura sono:
Thlaspi
rotundifolium,
Rumex
scutatus
e
Doronicum
grandiflorum.
Questa formazione vegetale (denominata Papaveretum rhaetici) è presente soprattutto
sui pendii esposti a nord, a quote superiori a 1800 metri.
Globularia cordifolia
Phyteuma orbicolare (Campanulaceae)
Foto N. Giarola
Vegetazione delle rupi
Si trova sugli affioramenti rocciosi, molto abbondanti nell’ambiente rupestre della
cresta sommitale, è insediato un consorzio estremamente specializzato a Potentilla
nitida, Festuca alpina e Physoplexis comosa e poche altre piante, dette casmofite.
Tra queste, quelle che sono comparse con maggior frequenza nel corso dei rilievi sono
Carex mucronata, Paederota buonarota, Valeriana saxatilis, Asplenium viride,
Athamanta cretensis, Helianthemum alpestre e Campanula cochlearifolia.
L’associazione a cui può essere ricondotto questo tipo di vegetazione viene
denominata Potentilletum nitidae, tipico delle Alpi calcaree meridionali.
Sulle pareti rocciose che delimitano le valli che si sviluppano dai circhi glaciali, a quote
comprese tra i 1500 e i 1900 metri, si insedia un’altra combinazione di specie
caratterizzata
dalla
Potentilla
caulescens.
Tra le specie compagne assurgono a ruolo di primo piano Asplenium ruta-muraria,
Cystopteris fragilis, Festuca alpina, Carex mucronata, Globularia cordifolia, Draba
aizoides, Silene saxifraga, Rhamnus pumila, Daphne alpina.
SCHEDA 8.30: EMERGENZE FLORISTICHE
Nell’ambito della Riserva è stata rinvenuta la presenza di una notevole quantità di
interessanti specie, tra cui elementi artico-alpini, cioè specie il cui areale si estende
nelle zone artiche e sulle montagne delle zone temperate boreali.
Sull’arco alpino hanno un areale relitto, disgiunto dall’areale principale della specie in
seguito alla fusione dei ghiacci nel corso dell’ultima glaciazione.
Sono specie che vivono nei pascoli alpini, sopra il limite climatico degli alberi, oppure in
paludi alpine, sulle creste ventose, nelle vallette nivali o ancora sui ghiaioni alpini e
sono ad esempio: Juniperus nana, Salix reticulata, Salix erbacea, Thesium alpinum,
Polygonum viviparum, Silene acaulis, Clematis alpina, Trollius europaeus, Saxifraga
paniculata, Potentilla crantzii, Alchemilla alpina, Dryas octopetale, Sibbaldia
procumbens, Arctostaphylos alpinus, Bartsia alpina, Pedicularis verticillata, Pinguicola
alpina,
Lonicera
cerulea,
Chamaeorchis
alpina.
Nell’ambito della riserva, ritroviamo poi elementi endemici e subendemici, cioè presenti
in un areale più o meno ristretto o circoscritto: Callianthemum kerneranum; Corydalis
lutea, Saxifraga tombeanensis, Primula spectabils, Galium baldense, Euphrasia
tricuspidata, Knautia baldensis e Physoplexis comosa.
Stella alpina (Leontopodium alpinum) tra Rododendro
Foto N. Giarola
Nota:
La riserva integrale Lastoni Selva Pezzi è compresa all’interno del Sito di Importanza
Comunitaria “Monte Baldo Ovest” (IT3210039) il cui formulario standard include, tra le
specie vegetali, due piante elencate nell’allegato II alla Direttiva 92/43/EEC come
specie d’interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di zone
speciali di conservazione: Cypripedium calceolus e Saxifraga tombeanensis.
Raponzolo di roccia (Physoplexis comosa)
(Campanulaceae)
foto M. Macrì