Capitolo N. 8 BIODIVERSITA` E SPECIE PROTETTE
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Capitolo N. 8 BIODIVERSITA` E SPECIE PROTETTE
CAPITOLO 8: BIODIVERSITA’ E SPECIE PROTETTE RETI ECOLOGICHE E BIODIVERSITÀ NEL VENETO Rete Natura 2000 Il precedente rapporto sullo stato dell’ambiente della provincia di Verona (R.S.A. 2004) conteneva la descrizione della rete ecologica Natura 2000 della nostra provincia. Come indicato nella direttiva 92/43/CE, gli obiettivi di Rete Natura 2000 sono la promozione, la tutela e la conservazione della diversità biologica presente nel territorio degli Stati membri. Come noto la rete ecologica si compone di ambiti territoriali designati come Siti di Interesse Comunitario (S.I.C.), che al termine dell'iter istitutivo diverranno Zone Speciali di Conservazione (Z.S.C.), e Zone di Protezione Speciale (Z.P.S.) in funzione della presenza e rappresentatività sul territorio di habitat e specie animali e vegetali indicati negli allegati I e II della Direttiva "Habitat" e di specie di cui all'allegato I della direttiva 79/409/CEE e delle altre specie migratrici che tornano regolarmente in Italia. La Giunta Regionale del Veneto, con lo scopo di applicare la normativa comunitaria in materia di SIC e ZPS, recepita dallo Stato Italiano con D.P.R. N. 357 DEL 1997, oltre ad aver fornito delle disposizioni procedurali in riferimento alla Valutazione di Incedenza Ambientale (V.Inc.A.) di piani e progetti, ad aver individuato a più riprese gli ambiti territoriali regionali di interesse comunitario, ha individuato, con D.G.R. N. 3766 DEL 2001, nel Segretario Regionale per il Territorio, l'autorità competente per l'attuazione nel Veneto della rete ecologica europea Natura 2000 e delle relative valutazioni di incidenza. Con delibera n. 2636 del 2004, è stato istituito il servizio Rete Natura 2000, successivamente modificato con D.G.R. 30 dicembre 2005 n. 4444 in servizio reti ecologiche e biodiversità, quale struttura deputata allo svolgimento dei compiti assegnati alla Segreteria al Territorio ed inquadrata alle dirette dipendenze della medesima Segreteria. Con nota n. DPN/2D/2004/18179 in data 24/06/2004 il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio ha comunicato che la Commissione Europea considera alcune specie ittiche fortemente minacciate ed in particolare le specie Petromyzon marinus e Lethenteron zanandreai, ancora insufficientemente rappresentate per l’Italia e per il Veneto; a tale proposito il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio ha a suo tempo richiesto alla Regione Veneto di individuare entro il 15 luglio 2004 e di approvare entro il 23 agosto dello stesso anno nuove aree SIC (ampliamento e collegamento di siti già segnalati e/o nuove proposte) al fine di evitare che venga attribuita all’Italia la “riserva” per le specie in questione e conseguentemente l’elenco dei Siti Natura 2000 continentali non sia considerato definitivo. Con D.G.R. n. 2673 del 6 agosto 2004 la regione Veneto ha rielaborato l’elenco dei SIC. L’allegato A alla DGR. 1180 del 18/04/2006 riporta in sintesi le modifiche al contenuto del formulario standard e al perimetro di alcuni siti in relazione alla precedente designazione. In provincia di Verona, sono stati inseriti due nuovi territori ricompresi nella tipologia di ambiti fluviali dei corsi d’acqua. Si tratta del SIC IT3210042 :”Fiume Adige tra Verona Est e Badia Polesine” avente una superficie di 2.090 ha e del SIC IT3210043 :”Fiume Adige tra Belluno Veronese e Verona Ovest” avente una superficie di 476 ha. Allo stato attuale la Regione Veneto ha individuato 67 zone di protezione speciale e 100 siti di importanza comunitaria per un totale, considerando che spesso c’è sovrapposizione delle due tipologie, di 131 siti natura 2000. La superficie a SIC è in regione Veneto pari a 367.781 ha e di 331.513 per le ZPS. La superficie totale è di 403.737 ha pari al 22% del territorio regionale. La tabella riporta la percentuale di territorio destinato a sito natura 2000 per ogni provincia e l’ estensione in ettari. VR 7% 22.914 PD 10% 21.493 TV 14% 33.665 RO 15% 27.982 VI 18% 49.505 VE 21% 51.093 BL 54% 197.085 I dati evidenziano come la provincia di Verona sia ampiamente al di sotto della percentuale di territorio regionale. La Commissione Europea è ormai giunta alle fasi conclusive del processo di approvazione dell’elenco definitivo dei Siti di Importanza Comunitaria (S.I.C.) e delle Zone di Protezione Speciale (Z.P.S.). PROGETTO CARTA DELLA NATURA Premessa Il progetto Carta Natura nasce con la Legge Quadro sulle aree naturali protette - n° 394/91 -, che dispone la realizzazione di uno strumento conoscitivo dell’intero territorio nazionale con la finalità di “individuare lo stato dell’ambiente naturale in Italia, evidenziando i valori naturali ed i profili di vulnerabilità”. Carta Natura è un elaborato di natura cartografica a due diverse scale di analisi che può essere di ausilio alla stesura delle linee di assetto del territorio, cosi come previsto dalla legge urbanistica regionale del 23 aprile 2004, n.11 e diventare parte integrante di tutti gli strumenti atti alla salvaguardia e alla gestione del territorio stesso come, ad esempio, la valutazione di impatto ambientale, la valutazione di incidenza e la valutazione ambientale strategica. Il progetto è stato avviato in tutto il territorio nazionale dall’APAT (Agenzia Nazionale per la protezione dell’ambiente e i servizi tecnici) è ha permesso la realizzazione di una elaborazione cartografica a scala 1:250.000 dei paesaggi italiani. Con il supporto operativo delle Agenzie Regionali e delle Regioni si sta ora procedendo, in quasi tutte le regioni, alla realizzazione della cartografia a scala 1:50.000. Nel Veneto il progetto è realizzato da ARPAV con la collaborazione delle Province e del Servizio Forestale Regionale, attualmente lo studio è rivolto alle aree montane delle province di Belluno, Treviso, Vicenza e Verona verrà poi esteso al restante territorio regionale. Faggeta (inverno 2005-M.te Baldo, Val Trovai-foto N. Giarola) Metodologia La cartografia degli habitat, ovvero la cartografia degli ambiti territoriali omogenei alla scala di analisi 1:50.000, costituisce il primo tassello dell’intero progetto e risponde al primo obiettivo di Carta della Natura, ossia quello di rappresentare lo stato dell’ambiente. Questa fase ha previsto un primo inquadramento del territorio, secondo caratteri ecologici, utilizzando come riferimento gli habitat della Classificazione Corine Biotopes 1 leggermente modificata. A questo studio, condotto prevalentemente utilizzando informazioni bibliografiche, è seguita un’attività di verifica in campo attraverso rilievi delle caratteristiche della vegetazione e ulteriori elaborazioni con l’utilizzo di foto satellitari e foto aeree. Le elaborazioni vengono realizzate attraverso un programma informatizzato che consente di gestire banche dati complesse e georiferite e di elaborare informazioni aggiuntive di carattere geologico, morfologico e pedologico, come ad esempio l’altitudine, la pendenza, l’esposizione dei versanti e le tipologie di suolo. Il risultato è una cartografia della vegetazione a scala 1:50.000 (carta degli Habitat) in grado di rappresentare fedelmente la varietà di habitat presenti nel territorio. Lecceta a punta San Vigilio (foto N. Giarola) Il secondo momento di realizzazione di Carta della Natura è costituito da uno studio modellistico-qualitativo che permette, attraverso l’applicazione di un set predefinito di indicatori ecologio-ambientali di attribuire a ciacun habitat individuato e cartografato un insieme di informazioni ambientali che consentono il raggiungimento del secondo e ben più impegnativo obiettivo associato al progetto: la valutazione della qualità ambientale e della fragilità territoriale. 1 programma CORINE: nel 1985 il Consiglio della Commissione Europea decise di intraprendere un progetto sperimentale per raccogliere in modo coordinato i dati sullo stato dell'ambiente e delle risorse naturali negli stati membri della Comunità Europea (Official Journal L 176, 6/7/1985). Da esso prese il via il Programma CORINE (Coordination of Information on the Environment) i cui scopi fondamentali sono: • • • compilare informazioni sullo stato dell'ambiente in particolare su alcuni argomenti di maggiore priorità per gli stati membri; coordinare la raccolta dei dati e organizzare l'informazione non solo all'interno degli stati membri, ma anche a livello internazionale; assicurare validità e compatibilità dei dati. Torbiera in Val Fredda – M.te Baldo (foto N. Giarola) Gli indicatori della carta della natura • Il valore ecologico, inteso come insieme di caratteristiche che determinano la priorità di conservazione di un determinato habitat; si considerano di alto valore quelle tipologie di vegetazione che contengono al loro interno specie animali e vegetali di notevole interesse o che sono ritenute particolarmente rare. • La sensibilità ecologica, interpretata in base alla predisposizione di un habitat a subire un danno alla propria integrità. I rischi possono essere di varia natura ad esempio l’isolamento da altri della sua tipologia, la sua composizione vegetazionale ecc.. • La pressione antropica, analizza i disturbi all’habitat dovuti ad attività legate alla presenza dell’uomo, come ad esempio il numero e il tipo di infrastrutture, la tipologia di vie di comunicazione (strade, ferrovie ecc…). • La fragilità ecologica, direttamente associata alla pressione antropica e alla sensibilità ecologica; mette in relazione la pressione che l’uomo esercita su un determinato habitat e la predisposizione di questo a subire un danno. CARTA DELLA NATURA IN PROVINCIA DI VERONA Per la realizzazione di Carta della Natura il territorio della Provincia di Vicenza è stato suddiviso, per esigenze operative, in tre macro aree : - Monte Baldo e Val d’Adige Lessinia Pianura, Area del Monte Baldo e Val d’Adige : La catena del Monte Baldo è il rilievo più occidentale delle Prealpi Venete, lunga circa 37 km e larga in media 11 km – è orientata in direzione Nord-Nord-Est/Sud Sud-Ovest e separa due grandi valli di origine glaciale: una percorsa dal fiume Adige (la Val Lagarina, a Est), l’altra occupata dal Lago di Garda (a Ovest). Sia il versante occidentale che quello orientale del Monte Baldo sono molto ripidi e i sentieri che li percorrono consentono di passare in pochi chilometri dai 65 m sul livello del mare della sponda del lago, ai 2218 m della Cima Valdritta, il picco più alto della catena. Questa orografia particolare, unitamente alla presenza dell’ampio bacino lacustre del Garda, fa sì che in un’area relativamente piccola siano concentrate specie vegetali caratteristiche di latitudini diverse: dalla flora di tipo mediterraneo, a quella alpina delle quote più elevate, La peculiarità della vegetazione baldense non è legata solo alle odierne caratteristiche climatiche dell’area, ma anche alle antiche vicende glaciali del Quaternario. Il lungo isolamento geografico ha determinato la presenza attuale di numerose specie vegetali endemiche. All’interno dell’area sono presenti i SIC: Monte Luppia Punta San Vigilio, Val dei Mulini Senge della Marciaga Rocca di Garda, e i SIC/ZPS: Monte Baldo Ovest e Monte Baldo Est le Riserve Naturali Lastoni Selva Pezzi e Gardesana Orientale e le Oasi di Protezione Rocca del Garda, Monte Baldo, Monte Luppia Punta san Vigilio i cui confini si sovrappongono in tutto o in parte con i menzionati siti di importanza comunitaria. La Lessinia: Negli alti Lessini sono comprese le tre principali aree boscate che sono sopravvissute ai tagli compiuti dal medioevo fino all’epoca veneziana: quella del Corno d’Aquilio a ovest, la Foresta dei Folignani nella zona centrale del parco e la foresta di Giazza ai limiti orientali del parco. Di grande impatto paesaggistico e naturalistico quali serbatoi di biodiversità sono i vaj che si diramano verso sud, assumendo la caratteristica forma dei "canyon carsici", le cui ripidissime pareti sono interamente boscate. Decisamente più selvaggi sono i vaj della Marciora, dei Falconi e dell’Anguilla compresi tra Sant’Anna d’Alfaedo e Bosco Chiesanuova, più imponente, e con diverse caratteristiche paesaggistiche il Vaio Squaranto. Nella zona di alta quota dell’altopiano, invece, i boschi lasciano spazio a vaste zone di pascolo con la presenza di numerosissime malghe, pozze, fontane, muretti, strade e sentieri segno di un’antica e continua presenza dell’uomo su tutto il territorio. La Pianura: Nella pianura l’uomo ha sicuramente esercitato nel corso dei secoli un’azione modificatrice del territorio più incisiva rispetto alla montagna. Disboscamenti, bonifiche, regimazione dei corsi d’acqua ecc.. La pianura veronese si caratterizza ad ovest dal basso Garda con le sue rive adatte all’insediamento della tipica vegetazione palustre, le zone intramoreniche a sud del Lago di Garda, dove sono presenti gli ultimi lembi palustri anche di interesse comunitario (sic Laghetto del Frassino), le regioni a nord e ad est della riva sinistra dell’Adige un tempo ampiamente paludose (palude Zerpa). Da ricordare altri territori a vocazione umida situati tra l’Adige e il Canal Bianco (Grandi Valli Veronesi). Le valli che fiancheggiano i fiumi Tione, Tartaro, Menago e Bussè. La linea di demarcazione tra alta e bassa pianura si caratterizza con la linea delle risorgive caratterizzate da risorgive e fontanili che alimentano ciò che resta delle zone umide del veronese. Habitat presenti in provincia di Verona Il progetto è stato avviato nel 2005 da parte del gruppo di lavoro appositamente costituito in ARPAV con la collaborazione del Servizio Forestale Regionale. Alla data di stampa del presente rapporto si è realizzata la cartografia degli habitat per i territori del Monte Baldo, della Lessinia e della Valle dell’Adige per la cui visione si rimanda ad una prossima pubblicazione dei dati. Nelle schede sono elencati gli habitat riscontrati e cartografati nella nostra provincia seguendo la classificazione Corine Biotopes 1. SCHEDA 8.1: LE ACQUE NON MARINE 22 Acque ferme 22.1 Acque dolci (laghi, stagni) Isoeto-Nanojuncetea, Littorelletea, Bidentetea (riferiti alle sponde) Sono incluse in questo habitat tutti i corpi idrici in cui la vegetazione è assente o scarsa. Si tratta quindi dei laghi di dimensioni rilevanti e di certi laghetti oligotrofici di alta quota. La categoria, oltre ad un’articolazione sulla base del chimismo dell’acqua (22.11-22.15), include le sponde soggette a variazioni di livello (22.2) nonché le comunità anfibie (22.3) di superficie difficilmente cartografabile. Queste ultime sono molto differenziate nell’ambito dei laghi dell’Italia settentrionale e delle pozze temporanee mediterranee. In realtà quindi si considera l’ecosistema lacustre nel suo complesso. Alcune delle sottocategorie sono comunque rilevanti in quanto habitat dell’allegato I della direttiva Habitat. 24 Acque correnti 24.2 greti fluviali 24.221 Greti subalpini e montani con vegetazione erbacea DH Epilobietalia fleischeri Sono incluse le associazioni dei greti (e gli aspetti di greti nudi) del piano subalpino e montano del margine delle Api e degli Appennini centro settentrionali. Le quote superiori sono caratterizzate da Chondrilla chondrilloides, Epilobium fleischerii e Scrophularia hoppii (=S. juratensis), quelle collinari da Epilobium dodonaei, Scrophularia canina, accompagnate da numerose specie ruderali. SCHEDA 8.2: CESPUGLIETI E PRATERIE 31 Brughiere e cespuglieti 31.5 formazioni a pinus mugo 31.52 Mughete esalpiche delle Alpi centro-orientali DH Erico-Pinion mugo, Rhododendro-Vaccinion Si tratta di cenosi che nei sistemi orientali alpini ricoprono superfici molto vaste. Pinus mugo domina nettamente e a lui si accompagnano su substrati basici Rhododendron hirsutum ed Erica carnea, su quelli acidi (dove l’associazione è molto più limitata) Rhododendron ferrugineum. Vengono qui incluse anche le mughete più endalpiche (31.51) di difficile distinzione 31.8 cespuglieti 31.88 Formazioni a Juniperus communis DH Berberidion Si tratta di stadi di incespugliamento a Juniperus communis su pascoli di diverso tipo dei Festuco-Brometea. Si sviluppano dal piano collinare a quello montano; al ginepro molto spesso si accompagnano le rose. Sono formazioni a nuclei separati che poi tendono a confluire. Vengono tenuti separati dal resto del Berberidion (a cui appartengono) perché sono gli unici dominati da conifere. 34 Pascoli Calcarei Secchi e Steppe 34.7 praterie mediterraneo montane 34.75 Prati aridi sub-mediterranei orientali DH Scorzoneretalia A questa categoria viene dato un significato ampio in quanto tutti i recenti studi hanno confermato la penetrazione dei pascoli a carattere illirico lungo il margine meridionale delle Alpi su substrati calcarei. Questa diffusione è certa fino all’area insubrica. Per questo tutte le praterie xeriche e mesoxeriche dei Festuco-Brometea di questi territori vanno riferite a questa tipologia 36 Praterie Alpine E Subalpine 36.3 pascoli alpini e subalpini acidofili 36.31 Nardeti montani e subalpini e comunità correlate Nardo-Agrostion tenuis (Calluno-Ulicetea), Nardion strictae (Caricetea curvulae) Sono qui inclusi i pascoli a nardo della fascia montana e subalpina. Si tratta quindi di formazioni di sostituzione di peccete acidofile (fascia altimontana) e di pascoli subalpini primari, anche se parzialmente modificati dal pascolamento. Sono dominati da Nardus stricta, cui si accompagnano Arnica montana, Leontodon helveticus, Geum montanum, etc. In alcuni casi risulta difficile la distinzione fra alcuni nardeti subalpini e i pascoli ricchi del Poion alpinae. Oltre a questi due aspetti altitudinali sono inclusi aspetti mesofili (36.311), più igrofili (36.312) e le formazioni chionofile ad Alopecurus alpinus (=Alopecurus gerardii) (36.313). 36.4 PASCOLI ALPINI E SUBALPINI SU CALCARE 36.43 Seslerieti 36.431 Seslerieti delle Alpi DH Seslerion albicantis Rappresentano la vegetazione prativa zonale del piano subalpino in buona parte dei rilievi calcareo-dolomitici delle Alpi. Nei sistemi esterni vengono vicariati dal Caricion australpinae. Sono dominati da Sesleria varia (=Sesleria albicans) e Carex sempervirens. 36.4 PASCOLI ALPINI E SUBALPINI SU CALCARE 36.43 Seslerieti 36.431 Seslerieti delle Alpi DH Seslerion albicantis Rappresentano la vegetazione prativa zonale del piano subalpino in buona parte dei rilievi calcareo-dolomitici delle Alpi. Nei sistemi esterni vengono vicariati dal Caricion australpinae. Sono dominati da Sesleria varia (=Sesleria albicans) e Carex sempervirens. 36.433 Tappeti a Carex firma DH Caricion firmae Si tratta delle cosiddette praterie a zolle che costituiscono o formazioni poco compatte legate a substrati poco evoluti o la vegetazione zonale della fascia superiore a quella dei seslerieti. Oltre a Carex firma, sono presenti numerose specie legnose quali Globularia cordifolia, Salix serpyllifolia e Dryas octopetala. 38 Praterie mesofite 38.2 Prati falciati e trattati con fertilizzanti DH Arrhenatherion Sono qui inclusi tutti i prati stabili con concimazioni (ed eventuali irrigazioni) non troppo intense che permettono una certa biodiversità al loro interno. Sono dominati da Arrhenatherum elatius, Dactylis glomerata, Poa pratensis e Centaurea nigrescens. Vi è una certa variabilità altitudinale (forme planiziali-38.22 e forme collinari- 38.23) ed edafica (da forma secche con molti elementi di brometi alle marcite della pianura Padana). 38.3 Prati falciati montani e subalpini DH Polygono-Trisetion, Cirsetalia vallis-demonis Si tratta dei prati da sfalcio del piano montano ben diffusi nei più alti fondovalle alpini. Rispetto agli arrenatereti si differenziano per la scomparsa di Arrhenatherum elatius e compaiono specie quali Bistorta officinalis (=Polygonum bistorta), Silene vulgaris subsp. commutata (=Silene vulgaris subsp. antelopum), Centaurea transalpina. Sono inclusi i prati stabili delle montagne dell’Italia meridionale e della Sicilia. Più complessa è la distinzione con alcune forme di 36.5. SCHEDA 8.3: FORESTE 41.B Betuleti Corylo-Populion Si tratta di formazioni alto-arbustive arboree che spesso costituiscono pre-boschi e sono domiati da Betula pendula. Sono inclusi due aspetti altitudinali: quello planiziale e collinare (41.B1) e quello invece delle quote superiori (41.B3). Sono qui incluse anche le formazioni endemiche a Betula etnensis (=B. aetnensis) dell’Etna (41.B6). 41 Boschi decidui di latifoglie 41.13 Faggete neutrofile e mesofile delle Alpi Es. Dentario-Fagetum Faggete su substrati calcarei ma con suoli ben evoluti e con carattere di mesofilia, che si sviluppano nella fascia montana. Questa tipologia si riferisce all’Europa centrale e viene adattata alle Alpi. In realtà vi è una forte articolazione fitogeografica con l’alleanza illirica Aremonio-Fagion che si sviluppa fino alle Alpi centrali. In queste faggete mesofile mancano le specie termofile, mentre sono ricche di felci. Le sottocategorie non sono applicabili alla realtà italiana. 41.2 querco-carpineti 41.281 Querco-carpineti dei suoli idromorfi con Q. robur DH Asparago tenuifolii-Quercetum roboris Si tratta di boschi che si sviluppano su suoli idromorfi con falda freatica molto superficiale. Erano diffusi nelle grandi pianure (boschi planiziali) e in alcuni fondovalle prealpini, ma oggi sono limitati a pochi lembi di enorme valore naturalistico. In realtà quelli della pianura veneto-friulana sono riferiti all’alleanza illirica Erythronio-Carpinion, quelli più occidentali al Carpinion. Sono dominati da Quercus robur e Carpinus betulus a cui si può accompagnare Fraxinus angustifolia. Sono incluse anche le rare formazioni peninsulari dominate da Q. robur. 41.7 querceti termofili e supramediterranei 41.731 Querceto a roverella dell'Italia settentrionale e dell’Appennino centrosettentrionale Ostryo-Carpinenion, Campanulo-Ostryenion Si tratta di boschi dominati da Quercus pubescens o con elevata presenza di Ostrya carpinifolia che si sviluppano dal piano collinare inferiore, con numerosi elementi della macchia maditerranea, agli aspetti mesofili distribuiti lungo tutto l’arco appenninico a quelli più xerofili e freschi dell’Appenino centrale. monogyna e Ligustrum vulgare. Sono diffusi nell’Italia meridionale e in Sicilia 41.74 Cerrete nord-italiane e dell’Appennino settentrionale Erythronio-Quercion cerris, Quercion pubescenti-petraea Si tratta di boschi dominati da Quercus cerris che si sviluppano su substrati acidi. Sono ben diffuse nell’Italia centrale mentre nell’Italia settentrionale si tratta di formazioni localizzate in cui spesso il cerro si mescola con altre querce. 41.8 Ostrieti, Carpineti A Carpinus Orientalis E Boschi Misti Termofili 41.81 Boscaglie di Ostrya carpinifolia Ostryo-Carpinenion, Laburno-Ostryenion, Campanulo mediae-Ostryenion,Pino calabricae-Quercion congestae (Erico-Pinetea) In questa grande categoria vengono incluse tutte le formazioni dominate nettamente da Ostrya carpinifolia (pressoché prive di querce) che si sviluppano sul margine meridionale dell’arco alpino e negli Appennini. Si tratta di formazioni appartenenti a diversi tipologie vegetazionali dagli Erico-Pinetea (ostrieti primitivi alpini) a quelli dell’Italia settentrionale (Ostryo-Carpinenion), della Liguria (Campanulo mediaeOstryenion), dell’Italia peninsulare del (Laburno-Ostryenion) e quelle dell’Italia meridionale e insulare (Pino calabricae-Quercion congestae). La suddivisione proposta da Corine non si adatta a tale complessità perchè distingue le formazioni delle forre mediterranee nell’ambito del Quercion ilicis (41.811), le formazioni supramediterrane dei piani collinari (41.813) e gli ostrieti del piano montano in contatto con faggete e pinete degli Erico-Pineneta o, in alcuni casi alpini, con alcuni boschi dei Vaccinio-Piceetea. 41.9 Castagneti DH Sono qui inclusi sia i veri boschi con castagno sia i castagneti da frutto non gestiti in modo intensivo (83.12). Essi vanno a sostituire numerose tipologie forestali, in particolar modo querceti e carpineti. Dove sia possibile pare più opportuno riferirli alle corrispondenti tipologie di boschi naturali. Nei casi in cui i castagneti siano fortemente sfruttati dal punto di vista colturale è possibile riferirli alla categoria 83.15. 42 Boschi di conifere 42.1 abetine (abies alba) 42.1B Rimboschimenti a conifere indigene Sono qui raggruppati tutti i rimboschimenti di conifere effettuate all’interno o al margine dell’areale della specie stessa. In molti casi risulta difficile distinguere le formazioni naturali, ma gestite dall’uomo, da quelle secondarie o dagli impianti. Il problema interpretativo si presenta al margine degli areali. Sono inclusi in quest’unica categoria gli impianti di Abies alba - 42.1B1, Picea abies - 42.26, Pinus sylvestris - 42.5E e Pinus nigra - 42.67. 44 Boschi e cespuglieti alluviali e umidi 44.1 saliceti ripari 44.12 Saliceti collinari planiziali e mediterraneo montani Salicetum triandrae, Saponario-Salicetum, Salicetum albo-pedicellatae DH Sono inclusi i saliceti con aspetti di maggior termofilia dovuti alla quota (saliceti arbustivi planiziali a Salix triandra 44.121), al clima maggiormente termo-xerico dei greti centro-italiani (44.122) o dell’Italia meridionale e insulare (44.127). 45 Foreste di sclerofille decidue 45.3 foreste meso e supramediterrane di leccio 45.324 Leccete supramediterranee dell’Italia DH Es. Cephalanthero longifoliae-Quercetum ilicis, Roso semprevirentis-Quercetum ilicis, Celtido australis-Quercetum ilicis, Teucrio siculi-Quercetum ilicis Sono qui incluse le leccete supramediterrane e mesofile che si sviluppano lungo la penisola ed in Sicilia. Sono incluse le formazioni relittiche prealpine. SCHEDA 8.4: TORBIERE E PALUDI 51 Torbiere alte 51.1 Torbiere alte prossimo naturali DH Oxycocco-Sphagnetea Si tratta di rare cenosi di origine esclusivamente ombrogena (acqua piovana) che sono dominate dagli sfagni. I cumuli di sfagni si alzano dal livello basale diseccandosi progressivamente e favorendo la colonizzazione di altre specie quali Vaccinum sp.pl., Scheuchzeria palustris. Carex pauciflora, Andromeda polifolia, etc. Sono incluse le sottocategorie che si riferiscono a porzioni diverse dei cumuli di sfagno e sulla specie di sfagno dominante. SCHEDA 8.5: RUPI GHIAIONI E SABBIE 61 Ghiaioni 61.2 Brecciai Calcarei Alpini 61.23 Ghiaioni basici alpini del piano altimontano e subalpino DH Petasition paradoxus Si tratta dei ghiaioni del piano montano e subalpino inferiore che si sviluppano sulle Alpi e negli Appennini. Sono caratterizzati da Petasites paradoxus, Valeriana montana e Leontodon montanus. Sono incluse le formazioni dei ghiaioni calcareo dolomitici (61.231) e quelle dei substrati marnosi più umidi a Leontodon montanus (61.232). SCHEDA 8.7: COLTIVI ED AREE COSTRUITE 82 Coltivi 82.1 Seminativi intensivi e continui Chenopodietalia Si tratta delle coltivazioni a seminativo (mais, soja, cereali autunno-vernini, girasoli, orticolture)in cui prevalgono le attività meccanizzate, superfici agricole vaste e regolari ed abbondante uso di sostanze concimanti e fitofarmaci. L’estrema semplificazione di questi agro-ecosistemi da un lato e il forte controllo delle specie compagne, rendono questi sistemi molto degradati ambientalmente. Sono inclusi sia i seminativi che i sistemi di serre ed orti. 83 Frutteti, vigneti e piantagioni arboree 83.1 frutteti arborei 83.11 Oliveti 83.2 frutteti arbustivi 83.21 Vigneti Stellarietea Sono incluse tutte le situazioni dominate dalla coltura della vite, da quelle più intensivi (83.212) ai lembi di viticoltura tradizionale (83.211). 83.3 piantagionI 83.32 Piantagioni di latifoglie 83.321 Piantagioni di pioppo canadese Stellarietea, Galio-Urticetea Sono incluse tutte le piantagioni di pioppo dei suoli alluvionali mesoigrici con strato erbaceo più o meno sviluppato. 83.324 Robinieti Galio-Urticetea Si intendo robinieti puri, nei casi in cui non sia più riconoscibile la formazione boschiva originaria. In caso contrario è sempre preferibile definire ai boschi corripondenti (querceti, carpineti, etc.) 86 Città, paesi e siti industriali 86.1 Città, centri abitati Artemisietea, Stellarietea Questa categoria è molto ampia poiché include tutti i centri abitati di varie dimensioni. In realtà vengono accorpate tutte le situazioni di strutture ed infrastrutture dove il livello di habitat e specie naturali è estremamente ridotto. Sono inclusi i villaggi (86.2) LE ORCHIDEE SPONTANEE DELLE COLLINE MORENICHE DEL LAGO DI GARDA Premessa La famiglia delle Orchidaceae che comprende oltre 20.000 specie è la più numerosa dopo quella delle Compositae. Mentre queste ultime hanno la massima diffusione nelle zone temperate del nostro pianeta, le Orchidaceae sono maggiormente diffuse nelle zone tropicali ed equatoriali. In Italia sono presenti 120 specie. Le Orchidee tropicali spesso sono epifite (vivono sui rami degli alberi senza toccare il suolo assorbendo l'umidità dell'atmosfera mediante le radici aeree) ed i fiori possono essere anche molto grandi. Invece le Orchidee nostrane sono tutte neofite provviste di bulbo-tuberi sotterranei a portamento eretto erbaceo con fiori relativamente piccoli. Nonostante la grande diversità di aspetto tra le varie specie di Orchidee, gli elementi che formano il fiore sono gli stessi: tre tepali esterni e tre tepali interni. I tepali esterni sono normalmente uguali tra di loro e costituiscono i due sepali laterali ed il sepalo superiore: possono essere liberi oppure saldati fra di loro (conniventi). Vi è invece grande diversità tra i due petali laterali e quello inferiore, detto labello, che assume dimensioni maggiori, spesso è lobato e vivacemente pigmentato. L'ovario è infero e generalmente ritorto di 180°, torsione necessaria per mantenere il labello in posizione inferiore. La funzione del labello è quella di richiamo per gli insetti impollinatori. Le Orchidee, a differenza di molte altre piante, non si affidano al vento per l'impollinazione: infatti l'impollinazione anemofila richiede una grande quantità di polline per aumentare le probabilità di successo e questo richiede un gran numero di risorse alla pianta. Il polline delle Orchidee è agglomerato in due masse polliniche sostenute da due fusticini (caudicole) terminanti in piccoli dischi appiccicosi: questi apparati si chiamano pollinii. I pollinii rimangano attaccati all'insetto che visita il fiore di Orchidea a causa della sostanza vischiosa. In brevissimo tempo, a contatto con l'aria, le caudicole che sostengono le masse polliniche si piegano ad angolo retto e quando l'insetto visita un altro fiore di Orchidea il polline si trova nella giusta posizione per lambire la parte femminile (le Orchidee hanno l'apparato maschile e quello femminile nello stesso fiore) ed effettuare l'impollinazione. Molte Orchidee attraggono gli insetti impollinatori (pronubi) grazie alla vistosità del labello ed al sicuro nutrimento costituito dal nettare (una sostanza liquida zuccherina) che i fiori trattengono in una sacca formata dall'evaginazione di una parte del labello detta sperone. In alcune specie, come in Platanthera bifolia, gli speroni sono molto lunghi e stretti e quindi vi è una selezione negli insetti adatti all'impollinazione, in questo caso i lepidotteri (farfalle) che sono gli unici a possedere la spirotromba, lunga e sottile, adatta per lambire il nettare posto alla base dello sperone. In altri casi la selezione è ancora più spinta arrivando al punto che il fiore è in grado di attrarre solo una particolare specie di insetto. Il caso più significativo è dato dal genere Ophrys: queste piante non hanno nettare da offrire ai pronubi, ma il loro labello si modifica fino ad apparire identico per dimensioni, consistenza, colore, pelosità e soprattutto odore (feromoni) all'insetto femmina pronto all'accoppiamento. L'insetto maschio viene ingannato dall'apparenza del labello e cerca di accoppiarsi con il fiore: durante questa falsa copula i pollinii restano attaccati alla testa dell'insetto che effettuerà l'impollinazione quando sarà ingannato da un altro fiore. Alcune specie hanno perso il pronubo in quanto si è estinto, quindi l'alternativa all'estinzione anche della pianta è l’autogamia i pollinii si piegono da soli e toccano la parte femminile autofecondandosi. Questo tipo di riproduzione è poco vantaggioso in quanto non fornisce la necessaria variabilità genetica necessaria alla sopravvivenza di alcuni individui in caso di variazioni climatiche: la pianta infatti si riproduce uguale a se stessa. Il fatto che le Orchidee siano frequentemente visitate da insetti è la spiegazione della preferenza dei ragni granchio (una specie di ragno che non tesse la tela, ma usa la tecnica dell'agguato mimetizzandosi sul fiore per catturare gli insetti). Cephalantera longifolia (foto N. Giarola) Questo Aracnide è variamente colorato allo scopo di apparire come parte del fiore su cui si trova. Una volta fecondato, il fiore produce un'enorme quantità di semi con pochissima sostanza nutritiva. Una volta germinato l'embrione si ritroverebbe molto presto senza nutrimento se non intervenissero le ife di un fungo inferiore del genere Rhizoctonia penetrando nelle cellule dell'Orchidea fornendola di sostanze nutritive (micorriza endotrofica). La simbiosi con questo fungo finisce di essere necessaria alla pianta quando questa è in grado di produrre autonomamente il nutrimento necessario attraverso la fotosintesi clorofilliana, ma nelle Orchidee prive di clorofilla (Neottia, Limodorum etc.) questa simbiosi non può mai interrompersi. Vi è da dire inoltre che il tempo che intercorre dal seme germinato ad una pianta in grado di produrre fiori è di svariati anni (fino a 15 in Cypripedium calceolus). In questa pagina sono riportate le fotografie delle Orchidee presenti nelle colline moreniche del Lago di Garda. Le colline moreniche L’ambiente delle colline moreniche è sub mediterraneo. Le colline moreniche sono composte dal materiale trascinato dal ghiacciaio che ha scavato la conca del Benaco durante le ultime glaciazioni, formando un circo di rilievi bassi e di dolce declivio nella parte meridionale separando il lago dalla pianura padana. Sono gli unici luoghi dove è possibile incontrare le Orchidee in quanto non sottoposte a coltura intensiva. Spesso sono terrazzate per la coltura dell'olivo, ma anche in questo caso l'utilizzo del territorio non è invasivo al punto da distruggere tutte le specie di orchidee (nelle colture intensive, oltre alla distruzione delle Orchidee viene sterminato anche il fungo simbionte precludendo un'eventuale ricomparsa delle specie per centinaia di anni anche nel caso di abbandono delle colture). Altre volte, l'unico utilizzo delle colline moreniche è stato l'abbattimento degli alberi per il pascolo nei secoli scorsi: la maggiore insolazione permette l'insediamento delle specie di Orchidee termofile tipicamente mediterranee (Ophrys). In rari casi la collina non è stata toccata dall'uomo e presenta le vegetazione climax costituita principalmente (per quanto riguarda le specie arboree) da Quercus pubescens (roverella) e Fraxinus ornus (Orniello). Qui troviamo le Orchidee amanti dell'ombra (Cephalanthera, Platanthera, Limodorum, Neottia etc.). Una collina morenica non è un luogo ideale per le specie vegetali: l’orizzonte superficiale del suolo ha un piccolo spessore ed è povero di humus (quindi poco fertile) ed inoltre il terreno è ciottoloso ed è in grado di trattenere solo una piccola quantità d'acqua. Le piante devono essere molto specializzate per crescere in tale ambiente. In questo territorio sono state individuale 19 "stazioni" a partire dal paese di Esenta fino al comune di Caprino Veronese seguendo una linea orizzontale nelle colline moreniche a sud del lago che all'altezza di Peschiera del Garda in seguito punta verso nord nella parte orientale. Queste sono stazioni dove la presenza di Orchidee è sufficientemente significativa. Di seguito sono riportate tutte le specie di Orchidee ritrovate da Paolo Bussola, ricercatore del Gruppo Italiano Ricerca Orchidee Selvatiche, autore delle immagini qui riprodotte, in questo territorio dal 1990 ad oggi. Orchis purpurea ed Himantoglossum adriaticum sono stati scoperti per la prima volta in queste stazioni. Non sono state ritrovate le specie Epipactis palustris, Orchis laxiflora, Orchis provincialis con tutta probabilità estinte a causa del incremento dello sfruttamento delle colline sia per l'agricoltura, sia per l'edilizia residenziale e che furono segnalate dal Goiran all'inizio del secolo. Alcune specie sono state ritrovate in un numero limitatissimo di esemplari e basta un gesto avventato di un incosciente per cancellarle definitivamente (Orchis purpurea, Himantoglossum adriaticum). in questo studio vengono considerate solo le colline moreniche gardesane: ad esempio i monti a nord di Caprino Veronese (propaggini del monte Baldo) non sono stati considerati anche se l'ambiente è pressochè indentico fino a 400 metri slm, perchè il censimento comprende solo le colline moreniche. SCHEDA 8.8: LE ORCHIDEE DEL GENERE OPHYRS Possiedono due rizotuberi interi, le foglie sono generalmente basali e l'infiorescenza è piuttosto lassa con numero di fiori da 2 a 10+. I sepali sono eretti patenti e generalmente più grandi dei petali laterali. Il labello è modificato in modo tale da assomigliare ad un insetto: l'impollinazione viene realizzato con l'inganno sessuale come spiegato in precedenza. Sono Orchidee tipicamente di clima mediterraneo e quindi si ritrovano solo nei terreni esposti in pieno sole. Oprhys sphegodes: fior ragno. La più precoce delle nostre Orchidee: è possibile trovarla in fioritura già a fine febbraio. Presente in quasi tutte le stazioni, talvolta in quantità abbondante. Deve il suo nome alla forma del labello Ophrys incubacea: la sua presenza in un'unica stazione nel comune di Caprino è ancora in via di accertamento, considerata la variabilità fenotipica delle Orchidee. Si differenzia da Ophrys sphegodes per le gibbosità laterali del labello molto più evidenti e per la fioritura leggermente più tardiva. Ophrys benacensis: presente in quasi tutte le stazioni ed in discreto numero. La parte lucida del labello può assumere forme assai diverse, anche tra fiori di una stessa pianta. Ophrys insectifera: fior mosca presente solo nelle stazioni settentrionali. Difficile da scorgere per l'esile stelo ed i piccoli fiori. I petali sono ripiegati e filiformi. Il fiore nell’insieme assomiglia ad una mosca. Ophrys holoserica: si ritrova solo nelle stazioni più settentrionali. I petali possono essere bianchi o rosati, brevissimi ed il labello presenta disegni complicati, variabili ma sempre simmetrici. Ophrys apifera: la più tardiva delle nostre Ophrys. Si ritrova solo in poche stazioni ed in pochissimi esemplari. A causa della scomparsa dell'insetto pronubo questa Orchidea è in grado di autofecondarsi (come si vede nell'immagine qui sotto). SCHEDA 8.9: LE ORCHIDEE DEL GENERE ORCHIS Possiedono due rizotuberi interi, esistono foglie basali e cauline guainanti il fusto nella parte inferiore. Infiorescenza con fiori da pochi (Orchis papilionacea) a molti (Orchis simia). Spesso i sepali sono conniventi a elmo insieme con i due petali laterali. Il labello è generalmente trilobo (Orchis tridentata), a volte il lobo mediano è a sua volta trilobo (Orhis simia, Orchis militaris), raramente intero (Orchis papilionacea). Lo sperone è sempre presente e di varia lunghezza. Orchis morio: presente in tutte le stazioni e generalmente abbondante. Sono stati ritrovati esemplari con fiori da bianchi (forma albina) a viola scuro in tutte le sfumature intermedie. Normalmente è la seconda specie che fiorisce dopo Ophrys sphegodes. Orchis simia: il labello ha una inconfondibile forma di scimmietta (da cui il nome) con lobi più sottili di quelli di Orchis militaris. La sua caratteristica più peculiare è il fatto che i fiori apicali sbocciano prima di quelli basali. Presente nella maggior parte delle stazioni, nel comune di Lazise è stato ritrovato un esemplare di colore bianco-giallastro. Orchis militaris: si ritrova solo nelle stazioni più settentrionali nel comune di Caprino Veronese e non è mai abbondante. Orchis ustulata: deve il suo nome al fatto che la sommità dell'infiorescenza non completamente sbocciata sembra "bruciata". Presenza sporadica nelle stazioni più settentrionali nel comune di Caprino Veronese. Orchis tridentata: la sua presenza è più abbondante nelle stazioni più settentrionali. Non sono mai state notate grandi variabilità. Orchis mascula: un unico esemplare ritrovato nel comune di Rivoli Veronese. Orchis coriophora ssp. fragrans: rarissima e la sua presenza non è confermata in tutti gli anni. Orchis papilionacea ssp. papilionacea: rarissima anche al di fuori del territorio considerato, ma nelle radure di Esenta in alcuni anni si presenta abbondante, presente anche l'ibrido Orchis papilionacea x morio. Orchis purpurea: il fusto è di colore violaceo ed i fiori sono piuttosto grandi. Può raggiungere l'altezza di 50 centimetri. Considerata introvabile non solo nel territorio considerato ma anche sul monte Baldo, è presente in 7 esemplari nel comune di Caprino Veronese in un terreno purtroppo adibito a sfalcio. La sua presenza è quindi in grave pericolo! SCHEDA 8.10: LE ORCHIDEE DEL GENERE CEPHALANTHERA Hanno rizomi brevi ed orizzontali da cui si dipartono numerose radici fascicolate e filiformi. Infiorescenza multiflora con sepali conniventi a coprire il labello. Amanti dell'ombra. Cephalanthera longifolia: fiori bianchi e numerosi. Presente in gran numero di esemplari in tutte le stazioni boschive. Cephalanthera damasonium: Molto rara. E' stata ritrovata in poche stazioni nel comune di Caprino Veronese. Si riconosce dalla Cephalanthera longifolia per le foglie più corte ed i fiori più giallastri che rimangono quasi completamente chiusi. SCHEDA 8.11: LE ORCHIDEE DEL GENERE GYMNADENIA Possiedono rizotuberi palmati. Infiorescenza molto ricca. I sepali laterali sono patenti ed quello mediano è connivente con i petali. Sperone filiforme. Gymnadenia conopsea: rara in quanto è una Orchidea tipica dei pascoli montani. L'infiorescenza degli esemplari ritrovati nel comune di Caprino Veronese può raggiungere la lunghezza di 30 centimetri. SCHEDA 8.12: LE ORCHIDEE DELGENERE LIMODORUM Piante senza clorofilla legate per tutta la vita alla simbiosi con il fungo inferiore. Non hanno quindi bisogno della luce solare e si possono ritrovare anche in ambienti molto oscuri. Il rizoma è breve ed ingrossato da cui si dipartono numerose radici. Il fusto è afillo (senza foglie) ricoperto da squame violacee. L'aspetto del Limodorum prima della fioritura è quello di un grosso asparago. Sono le uniche Orchidee italiane a possedere fiori con tinte bluastre. Limodorum abortivum: si ritrova in piccoli gruppi nelle stazioni ombreggiate. Se il tempo è inclemente i boccioli possono non aprirsi ed autofecondarsi, eccezionalmente l'autofecondazione può avvenire sotto il suolo. SCHEDA 8.13: LE ORCHIDEE DEL GENERE NEOTTIA Piante senza clorofilla per cui valgono le considerazioni espresse per il genere Limodorum. L'apparato radicale è costituito da radici coralliformi che hanno l'aspetto di un nido d'uccello da cui il nome dell'unica specie europea. Il fusto è afillo e completamente ricoperto di squame. L'infiorescenza è molto ricca, allungata, ed il labello è bilobo. Neottia nidus-avis: è completamente di colore giallastro. Si ritrova solo in zone fortemente ombreggiate. SCHEDA 8.14: LE ORCHIDEE DEL GENERE PLATANTHERA L'apparato radicale è costituito da due tuberi fusiformi. Può raggiungere l'altezza di 70 centimetri. I fiori sono di colore bianco-verdastro ed hanno uno sperone lunghissimo e filiforme. Il labello è intero e allungato. Platanthera bifolia: è presente solo nel comune di Esenta, nelle zone molto ombreggiate. SCHEDA 8.15: LE ORCHIDEE DEL GENERE DACTYLORHIZA Molto simile al genere Orchis, se ne differenzia per l'aspetto dei tuberi che sono divisi a forma di dita, da cui il nome. Dactylorhiza latifolia: questa Orchidea si ritrova generalmente nel piano montano e sub-montano, ma è possibile trovarla nel bosco di Esenta a soli 105 metri slm dove vive insieme ad essenze tipicamente mediterranee come l'Erica arborea, Orchis papilionacea e Serapias vomeracea. La zona di Esenta rappresenta un caso raro ed evidente di areale relitto in cui vivono insieme alcune specie che dominavano il territorio nei periodi passati più caldi e più freddi, mentre nelle altre zone si è assistito ad una totale sostituzione. E' quindi un ambiente particolarmente prezioso ed è necessaria la sua salvaguardia in quanto molto frequentato dalle persone in cerca di luoghi tranquilli per il pic-nic. Dactyloriza latifolia in natura presenta il fenotipo giallo e rosso, qui la troviamo unicamente in quello giallo e le piante sono più slanciate e più ricche di fiori rispetto a quelle che vivono a quote più' elevate. SCHEDA 8.16: LE ORCHIDEE DEL GENERE EPIPACTIS Possiedono un rizoma breve più o meno allungato munito di numerose radici avventizie. Fusto generalmente pubescente, fiore molto particolare. Epipactis atrorubens: Il fiore profuma di vaniglia (l'essenza è esclusiva delle Orchidee e si estrae dalla Vanilla planifolia). Una Orchidea dei boschi montani, ritrovati solo 3 esemplari nel comune di Caprino Veronese. SCHEDA 8.17: LE ORCHIDEE DEL GENERE ANACAMPTIS Possiedono due rizotuberi ovoidali. L'infiorescenza è densa e ricca. Il labello è profondamente trilobo, con due callosità laminari e sporgenti (lacinie). Lo sperone è lungo e rivolto verso il basso. Anacamptis pyramidalis: deve il suo nome al fatto che l'infiorescenza non completamente sbocciata ha forma di piramide. Sul monte Zovo alcuni esemplari hanno infiorescenze inusitatamente allungate e ricche di fiori. Una delle Orchidee a fioritura più tardiva, presente in quasi tutti le stazioni, in alcune di esse in migliaia di individui. Nel comune di Caprino Veronese è stato ritrovato un unico esemplare albino. SCHEDA 8.18: LE ORCHIDEE DEL GENERE SERAPIAS Orchidee con fiori peculiari, di grandi dimensioni con tepali conniventi in cappa. Si viene così a formare, all'interno del fiore, ad una cavità che ospita gli insetti al riparo dalle intemperie grazie alla presenza di ciglia all'apertura. In queste orchidee è l'unica strateglia per attirare gli insetti, in quanto non hanno nettare né usano l'inganno sessuale. Sono piante esclusivamente di ambiente mediterraneo. Serapias vomeracea: rarissima. Presente in discreta quantità solo nel comune di Esenta, negli stessi luoghi e in fioritura contemporanea di Orchis papilionacea. SCHEDA 8.19: LE ORCHIDEE DEL GENERE HIMANTOGLOSSUM Orchidea di dimensioni enormi, potendo raggiungere l'altezza di un metro. L'infiorescenza è ricca di fiori relativamente piccoli ma con labello lungo 5-6 centimetri, nastriforme e ritorto. Nel bocciolo il labello è avvolto su stesso come un molla di orologio: nel fiore appena sbocciato tende ad assumere una posizione orizzontale per poi inclinarsi con l'età. Il margini del labello presso la base sono ondulati. I sepali e gli altri due petali sono conniventi ad elmo. Lo sperone è sacciforme. Himantoglossum adriaticum: un'Orchidea rarissima non solo nel territorio considerato. Ritrovati 11 esemplari in una stazione di Caprino in pochi metri quadrati. Non era mai stata segnalata nelle colline moreniche gardesane. IBRIDI Nella stazione di Esenta sono stati ritrovati due esemplari ibridi tra Orchis papilionacea e Orchis morio. Questi due esemplari, pur con caratteristiche intermedie tra le due specie, si presentavano molto diversi tra di loro. La loro massima antesi si verificava quando Orchis morio era alla fine della fioritura ed Orchis papilionacea iniziava a sbocciare. IL CENSIMENTO DEGLI ALBERI MONUMENTALI Platano in Piazza Viviani (Foto N. Giarola) Un’indagine per valorizzare i “monumenti” della natura, che costituiscono un patrimonio di inestimabile valore, da conoscere e da tutelare Premessa Fra le indagini condotte dal Corpo forestale dello Stato quella sugli alberi monumentali si caratterizza per l'alto significato culturale, che la differenzia da altre a contenuto più specificatamente tecnico-scientifico come l'Inventario Nazionale delle Foreste e dei serbatoi forestali di Cabonio (INFC) e l'indagine sul deperimento delle foreste CONECOFOR (CONtrollo ECOsistemi FORestali) Il censimento, infatti, non ha interessato gli alberi come categoria vegetale, o come risorsa economica, ma come singoli soggetti arborei che hanno una propria "individualità" per essere eccezionalmente vecchi, per essere stati protagonisti di episodi storici o per essere legati alla vita di uomini illustri o di Santi. Monumenti della natura, insomma, che si collocano accanto a quelli creati dall'uomo e costituiscono un patrimonio di inestimabile valore, da conoscere e da tutelare. L'iniziativa di individuare gli "alberi di notevole interesse" presenti sul territorio nazionale, lanciata nell'estate del 1982, è stata condotta dal personale del Corpo forestale dello Stato. A seguito dell’indagine è stata raccolta una massa imponente di dati: 22.000 schede di alberi di particolare interesse che sono state poi ulteriormente selezionate, fino ad individuare 2.000 esemplari di grande interesse e, fra di essi, 150 che presentano un eccezionale valore storico o monumentale. Un censimento di questo tipo non può che restare aperto ad ulteriori revisioni ed acquisizioni. Risulta evidente la ricchezza degli spunti culturali, oltre che naturalistici, legati alla vita degli alberi ed emersi con il censimento del Corpo Forestale dello Stato. LA MAPPA DEGLI ALBERI MONUMENTALI Nel corso del censimento degli alberi monumentali del 1982 – da allora costantemente aggiornato con la scoperta di nuove piante, con la raccolta di materiali storici e scientifici che permettono di approfondirne la conoscenza, e con la georeferenziazione dei singoli esemplari – i Forestali hanno rilevato piante definite di “maggior interesse ambientale e culturale”. Di queste, 460 sono presenti nelle regioni del nord Italia. Nel Veneto sono stati contati 57 esemplari di particolare rilievo, 11 dei quali presenti nella nostra provincia. I GRANDI ALBERI DELL’AREA VERONESE Un secondo censimento del 1987, ha riguardato nello specifico la provincia di Verona e si è concluso con la pubblicazione del volume : “I grandi alberi dell’area veronese, 123 alberi monumentali del veronese. Gli autori dr. Luciano Corso e dr. Giuliano Lazzarin hanno utilizzato come metodologia di rilevamento di un “grande albero”, variabili quantitative, come dimensioni ed età e variabili qualitative, come tipologia dell’essenza in relazione al luogo, forma e portamento, ubicazione, importanza storica, dividendo gli esemplari in classi di segnalazione A (da A1 a A7) e B (da B1 a B5). Il libro è diviso in schede. Ogni scheda riporta il nome popolare, scientifico e comune dell’esemplare raffigurato. La località, l’altitudine il comune di crescita le coordinate geografiche rilevate. I rilievi dendrometrici, la classe di segnalazione e l’importanza storica, culturale e scientifica della pianta. Numerose le schede dedicate ai grandi faggi delle prealpi veronesi. Vengono descritti tra le conifere Pecci, Cedri, Pini neri e Pini silvestri, Sequoie, Tassi, Cipressi e Tuie. Tra le latifoglie troviamo Pioppi bianchi e neri, Carpini neri, Castagni, Olmi montani e campestri, Bagolari e Platani. Tra le querce Lecci, Roveri, Farnie, Roverelle e Cerro Sughere. La cartografia descrive la georeferenziazione delle piante indicate in scheda. Si tratta di un prezioso lavoro che porta alla riscoperta di un cospicuo patrimonio naturale, che possiamo ritrovare anche all’interno delle mura di Verona, a testimonianza di quel che resta dell’ottocentesco orto botanico della città purtroppo mai più risorto. Siamo andati a vedere 6 dei 123 alberi censiti. Si tratta di cinque degli undici esemplari proposti dal corpo forestale come alberi monumentali e di un cedro del libano che cresce nel parco del Chievo. Li abbiamo ritrovati con piacere ancora al loro posto, magari con qualche acciacco in più, come è capitato al grande faggio di malga Busimo che ha subito una parziale menomazione probabilmente ad opera di un fulmine. Abbiamo scattato qualche immagine che proponiamo nelle schede delle piante rivisitate. I dati relativi ai rilievi dendrometrici riportati nelle schede sono quelli del censimento del 1987. A ventanni di distanza dalla pubblicazione del lavoro sarebbe auspicabile proporre un aggiornamento dello stesso. ASPETTI LEGISLATIVI DELLA TUTELA DEGLI ALBERI MONUMENTALI Nonostante gli alberi monumentali rappresentino un patrimonio storico, culturale e biologico di inestimabile valore, sono ancora pochi gli strumenti legislativi per la loro tutela. Con la riforma dello Stato, sempre più orientata al decentramento, parte delle competenze sono passate alle amministrazioni regionali e tra queste anche la potestà legislativa in materia di patriarchi verdi. Così le regioni Piemonte, Liguria, Emilia, Romagna, Valle d’Aosta, Lombardia, Veneto, Marche, Toscana, Basilicata e Lazio, hanno approvato provvedimenti specifici per il loro censimento e la loro conservazione, anche se dal raffronto delle norme si deve registrare una certa difformità nell’incisività e organicità delle forme di tutela, e solo in alcuni casi – soprattutto nella normativa più recente – gli alberi monumentali, sono stati considerati “soggetto” specifico di salvaguardia. La prima differenza riscontrabile riguarda la definizione stessa di albero monumentale, fortemente condizionata dai differenti contesti territoriali. Ad esempio, in Veneto (Legge Regionale 9 agosto 2002, n° 20), sono considerati alberi monumentali “…gli alberi isolati o facenti parte di formazioni boschive naturali o artificiali che per eta' o dimensioni possono essere considerati come rari esempi di maestosita' o longevita'; gli alberi che hanno un preciso riferimento a eventi o memorie rilevanti dal punto di vista storico o culturale o a tradizioni locali”, mentre nel Lazio si parla, tra l’altro, di “…alberi isolati anche all’interno dei centri urbani (…)”. Le differenze riguardano anche le competenze dell’organismo regionale che li deve censire, e sul regime sanzionatorio. In Veneto se ne occupa l’Azienda regionale per l’Agricoltura e per chi sottoponga i patriarchi verdi a manutenzioni non autorizzate o ancor peggio danneggi o abbatta una pianta, è prevista una sanzione. Di fatto la sopraccitata L:R. è rimasta inapplicata per mancanza di un regolamento attuativo. Per superare le diversità regionali, il Decreto Legislativo 29 ottobre 1999 n. 490 – con il quale è stata disciplinata tutta la materia dei beni ambientali e culturali – potrebbe garantire una tutela generalizzata, ponendo i patriarchi verdi sotto l’occhio vigile delle Soprintendenze alla pari delle dimore storiche, dei monumenti, delle collezioni artistiche, e delle bellezze paesaggistiche. SCHEDA 8.20: IL PLATANO DEI CENTO BERSAGLIERI Nome scientifico: Platanus orientalis Nome comune: Platano Comune: Caprino Località: Platano L’insegna posta sotto l’enorme pianta recita:”Platano dei cento bersaglieri – Monumento nazionale (1370). E’ il più grande platano d’Italia – mt 25 di altezza – mt 15 di circonferenza del tronco – mt 300 di superficie della chioma. Così chiamato perchè nel 1937, durante una grande manovra dell’esercito italiano, si nascosero tra le sue fronde100 bersaglieri” Il colossale esemplare, cresce all'incrocio di due strade e a pochi metri dall'alveo del torrente Tasso, nella località "Platano" di Caprino Veronese. Da un'immensa base l'albero si innalza torcendosi nell'aria e si divide in due tronchi estremamente irregolari, pieni delle escrescenze tipiche del Platano Orientale. Anche i rami, contorti e aggrovigliati, serpeggiano in varie direzioni. Alberi come questo sfuggono ad una misurazione precisa. I dati sulle dimensioni riportati dal cartello sono un po' esagerati. L'albero sembra misurare Mt. 10,30 di circonferenza e Mt. 18 di altezza. In ogni caso, anche se non é facile inserire quest'albero nelle statistiche, non possiamo fare a meno di ammirarlo e di considerarlo il "decano" dei nostri Platani. (da "Gli alberi monumentali d'Italia" - ed. Abete 1990) Foto N. Giarola SCHEDA 8.21: IL “PIRLAR “ DI CORTE PIETA’ Nome scientifico:Celtis australis L Nome comune: Bagolaro, Pirlar, Perlar, Spaccasassi. Comune: Sona Località: Rosolotti corte Pietà Ubicazione: la pianta cresce al accesso alla corte margine di un vigneto, lungo la strada Rilievi dendrometrici: circonferenza 5,8 m, altezza 11 m, età presunta 350-450 anni note: la pianta è molto maestosa. Il tronco è completamente cavo e per evitare che il fusto ceda per l’eccessivo peso dei rami e per l’esiguità dello strato di legno, sono stati collocati degli appositi tiranti di sostegno. condizioni fitosanitarie: discrete destinazione: ornamentale Importanza storica, culturale, scientifica: è la più vecchia pianta di Celtis di tutta la provincia Classi di segnalazione: A2, A3, A4a, A6 La foto sopra risale al 1987 quella sottostante è del 2006. Foto N. Giarola di SCHEDA 8.22: I CIPRESSI DI VOLARGNE Nome Cupressus L. scientifico: sempervirens Nome comune: Cipresso. Comune: Dolce Località: Volargne Ubicazione: le piante crescono a pochi metri dalla riva dell’Adige all’interno del parco pubblico Rilievi dendrometrici: circonferenza 4,80 m, altezza 22 m, età presunta 350-450 anni Foto N. Giarola note: si tratta di tre esemplari. Sopra sono riportati i dati e l’immagine del più grande. La pianta ha uno splendido portamento nonostante risulti priva del cimale. condizioni fitosanitarie: discrete destinazione: ornamentale Classi di segnalazione: B2, B3, B4c. Altri cipressi di notevoli dimensioni sono ubicati a Verona presso il giardino Giust e al Chiedo presso villa Marinoni-Pullè SCHEDA 8.23: IL GRANDE FAGGIO DI MONTE BUSIMO Nome scientifico: Fagus silvatica L Nome comune: Faggio Comune: Erbezzo Località: Monte Busimo Ubicazione: la pianta cresce sulla linea di cresta, nei pascoli alla destra di malga Busimo. Rilievi dendrometrici: circonferenza 8,15 m, altezza 18,50 m, età presunta 300-400 anni Foto N. Giarola note: il fusto principale si ramifica in due branche gigantesche (una delle quali spezzata da un fulmine) appena sopra la base. Il modesto sviluppo in altezza è da imputare all’azione prostrante del vento che sul crinale è molto frequente ed intenso. condizioni fitosanitarie: discrete nonostante la perdita di una grossa porzione e le numerose ferite sulla corteccia causate dalle incisioni fatte da passanti destinazione: ornamentale Importanza storica, culturale, scientifica: questa pianta ben visibile anche da grande distanza per la sua posizione isolata, è conosciuta in tutto l’Altipiano della Lessinia. Classi di segnalazione: A2, A3, A4a, A6 SCHEDA 8.24: LA QUERCIA DI CERRO VERONESE Nome scientifico: Quercus crenata Lam Nome comune: Cerro- Sugera Comune: Cerro Veronese Località: Cerro Veronese Ubicazione: la pianta cresce nel giardino della piazza Foto N. Giarola Rilievi dendrometrici: circonferenza: 3.80 m, altezza: 18.20 m, età presunta 150-250 anni note:la pianta è molto bella, presenta un fusto dritto e slanciato che si ramifica in alto in una chioma molto alta condizioni fitosanitarie: buone. Importanza storica, culturale, scientifica: La pianta, erroneamente da quel che si crede, non è un cerro (Quercus cerris) ma un ibrido molto raropresente nel veronese in non più di tre quattro esemplari. La cerro-sughera è certamente la specie arborea più interessante della zona; in inverno la si riconosce facilmente per le foglie persistenti a margine crenato. Classi di segnalazione: A1, A2, A4a, A5 SCHEDA 8.25: IL CEDRO DEL LIBANO DI VILLA MARINONI PULLE’ IL CEDRO DEL LIBANO DI VILLA MARINONI PULLE’ Nome scientifico: Cedrus libani Nome comune: Cedro del Libano Comune: Verona Località: Chiedo Ubicazione: la pianta cresce nel parco di fronte all’entrata Rilievi dendrometrici: circonferenza: 4,58 m, altezza: 26 m, età presunta 100-120 anni note: è una pianta splendida, come del resto moltissime delle piante del parco del Chiedo, caratterizzata dalla particolare conformazione del fusto. condizioni fitosanitarie: discrete Destinazione: ornamentale. Foto N. Giarola Classi di segnalazione: A2, A3, A4c. AREE NATURALI PROTETTE La vegetazione della Riserva Naturale Integrale Lastoni Selva Pezzi Foto N. Giarola PREMESSA Posta sulle pendici del Monte Baldo e digradante verso il Lago di Garda nel territorio del comune di Malcesine, copre una superficie di 968 ettari è uno degli ambiti di maggior interesse botanico oltre che faunistico di tutta la catena del Monte Baldo. Il paesaggio è un mosaico di boschi di faggio e di abete bianco, estese mughete, ambienti a vegetazione erbacea sopra il limite del bosco, rupi e ghiaioni, arricchiti da specie floristiche rare e protette. Il limite orientale della riserva corre lungo la linea di cresta e tocca le maggiori elevazioni che da sud a nord sono P.ta Telegrafo 2200 m (M.te Maggiore), P.ta Pettorina 2192 m, Cima Valdritta 2218 m, Cima del Longino 2179 m e Cima delle Pozzette 2132 m. Il percorso di cresta se affrontato con una adeguata preparazione ed attrezzatura propone un lungo e spettacolare saliscendi tra panorami unici e possibili osservazioni di rare specie di flora e fauna. L’ambiente Tipologie ambientali principali: presenza di boschi con faggio e con abete bianco, di estese mughete, di ambienti a vegetazione erbacea al di sopra del limite del bosco, di rupi e ghiaioni. Peculiarità floristico-vegetazionali: faggete (montana dei suoli xerici, montana tipica a dentaria, primitiva di falda detritica), abieteto dei suoli carbonatici, mughete, nardeto, seslerieto, vegetazione pioniera a salici nani, vegetazione delle rupi e dei ghiaioni; presenza di emergenze floristiche (elementi stenomediterranei, orofite, elementi endemici e subendemici, specie segnalate come rare e/o rarissime nella flora italiana, piante comprese nell'elenco delle specie protette nella regione del Veneto). Aconitum napellus foto N. Giarola La flora La Riserva Lastoni-Selva Pezzi, rappresenta una delle aree di maggior interesse botanico del Monte Baldo. Numerosi gli interventi di rimboschimento nel periodo compreso tra gli anni '50 e '60, con la piantumazione di peccio, abete bianco e larice. Mentre le piante di peccio e di abete bianco messe a dimora sono in sintonia con la vegetazione naturale degli abieteti, i nuclei di larice si distaccano chiaramente da questi. La superficie interessata dalla presenza di larice è abbastanza estesa e dispersa in zone diverse della foresta. La vegetazione è stata suddivisa secondo il seguente schema: Leontopodium alpinum Foto N. Giarola Vegetazione dei boschi mesofili • Faggeta montana dei suoli serici • Faggeta montana tipica a dentaria • Faggeta primitiva di falda detritica • Abieteto dei suoli carbonatici • Rimboschimenti con presenza diffusa di larice Vegetazione ad arbusti dell’orizzonte alpino inferiore (mughete) • Mughete a rododendro irsuto dei substrati carbonatici • Mughete a rododendro rosso dei substrati acidificati Vegetazione dei gramineti • Nardeto • Seslerieto Vegetazione dei terreni nivali su rocce calcaree • Vegetazione pioniera a Salice refuso e Salice reticolato Vegetazione liofila • Vegetazione pioniera su ghiaione • Vegetazione delle rupi. Cardi (Cirsium eriofhorum ) (Compositae) Foto N. Giarola SCHEDA 8.26: LA FAGGETA Faggeta montana dei suoli xerici Questa tipologia piuttosto rara di faggeta è segnalata nei dintorni di località Piombi; predilige suoli con abbondate scheletro, siano essi di origine alluvionale o accumuli di frana, più raramente situazioni semirupestri. La formazione è oggi peraltro costituita principalmente da un rimboschimento di larice dominante, con presenza di nuclei sparsi di faggio, piuttosto stentato. La faggeta va quindi vista come situazione potenziale, che in futuro potrà espandersi se accompagnata dalla progressiva riduzione delle conifere. Il sottobosco è molto denso. Faggeta montana tipica a dentaria La faggeta montana tipica occupa una fascia che va da 1100 a 1300 - 1400 metri, fino a sfumare gradualmente nei soprastanti abieteti. Aspetti riconducibili a questa tipologia sono riscontrabili nel tratto di foresta compreso tra Pozza del Pezzon e Piombi. Il faggio, che dovrebbe essere sempre dominante, spesso non riesce a manifestare questa sua tendenza per l'elevata frequenza dell'abete bianco e dell'abete rosso abbondantemente diffusi con gli interventi di rimboschimento. Sporadiche sono invece le altre latifoglie: sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia), sorbo montano (Sorbus aria). Lo strato arbustivo è poco caratterizzato: vi compaiono il caprifoglio (Lonicera alpigena), lampone (Rubus idaeus) e maggiociondolo alpino (Laburnum alpinum) e altre specie; lo strato erbaceo, poco denso, presenta le tipiche specie della faggeta. E’ da notare che, in alcune situazioni, l'abete bianco partecipa con buone coperture alla cenosi, permettendo di riconoscere una variante ad abete bianco forse in parte originaria. Faggeta primitiva di falda detritica Si tratta di formazioni in prevalenza arbustive a contatto con le mughete, con le quali hanno in comune numerosi elementi. Si possono rinvenire soprattutto nella zona delle "pale" a colonizzare i detriti meno mobili e i costoni in una fase verosimilmente successiva alla mugheta. Talvolta la formazione si rinviene in habitat semirupestri. Lo strato arboreo è quasi assente e rappresentato da rari faggi che si elevano, di poco, sopra la massa degli arbusti; la massima altezza di questi esemplari non supera comunque i 4-6 metri. Lo strato alto-arbustivo è invece denso e dominato dal faggio, misto al mugo, che può essere considerato specie guida. SCHEDA 8.27: LE CONIFERE Abietato dei suoli cartonatici: rappresenta la componente vegetazionale che maggiormente caratterizza la zona forestale della riserva. Si tratta di vegetazione che occupa stazioni di versante con elevata umidità atmosferica e che, grazie alla posizione topografica e all’andamento morfologico, risultano parzialmente al riparo dai venti. Lo strato arboreo è costituito essenzialmente da Abete bianco e Abete rosso, ai quali sporadicamente si aggiunge il faggio. Rimboschimenti con presenza diffusa di larice All'interno di Selva Pezzi sono stati effettuati, nel periodo compreso tra gli anni '50 e '60, numerosi interventi di rimboschimento con la piantumazione di peccio, abete bianco e larice. Mentre le piante di peccio e di abete bianco messe a dimora sono in sintonia con la vegetazione naturale degli abieteti, i nuclei di larice si distaccano chiaramente da questi. La superficie interessata dalla presenza di larice è abbastanza estesa e dispersa in zone diverse della foresta. Pino mugo (Pinus mugo) (Pinaceae) Foto N. Giarola SCHEDA 8.28: LE CONIFERE Il paesaggio di una vasta zona della riserva è fortemente caratterizzato da impenetrabili mughete, estese qualche chilometro quadrato di superficie. Le mughete occupano stazioni rupestri e canaloni da 1500-1600 metri fino alle massime elevazioni. Mughete a rododendro irsuto dei substrati carbonatici Le mughete a rododendro irsuto dei substrati carbonatici sono le più frequenti sul Monte Baldo. A causa dell’ampia escursione altitudinale (da oltre 2000 metri fino a circa 1000 metri), queste formazioni presentano una complessa articolazione ecologica. Al di sopra di 1600-1700 metri nello strato arbustivo delle mughete compaiono frequentemente lampone (Rubus idaeus), ginepro nano (Juniperus nana), rododendro irsuto (Rhododendron hirsutum), Salix glabra, erica (Erica carnea) e, fra le erbe, Horminum pyrenaicum, Valeriana tripteris, Luzula nivea, Viola biflora, Stachys alopecurus, ecc.. Mentre alle quote superiori le mughete a carattere microtermo si compenetrano con le cenosi erbacee tipiche dell’alta montagna, alle quote inferiori (al di sotto dei 1700 m), sfumano gradualmente in formazioni a mugo più termofile che si affermano attorno ai 1500-1600 metri di quota, in corrispondenza dei confini della riserva. In esse è caratteristica la presenza di specie arbustive quali il pero corvino (Amelanchier ovalis) e Rhodothamnus chamaecistus, indicatori di ambienti primitivi e caldi, e di specie erbacee tra le quali abbonda Erica erbacea, a cui si accompagnano Euphrasia tricuspidata, Calamagrostis varia e Globularia cordifolia. Il passaggio fra i due tipi di mugheta è molto sfumato e avviene in un ambiente rupestre difficilmente percorribile. Mugheta a rododendro rosso dei substrati acidificati Le mughete microterme acidofile rappresentano le porzioni più mature delle mughete, soprattutto in posizioni di displuvio; spesso derivano dall’incespugliamento dei pascoli a Nardus striata. Si possono rinvenire in particolare lungo la dorsale che da Tratto Spino sale in direzione di Cima delle Pozzette. In questa zona la mugheta si sviluppa lungo una fascia che delimita la parte superiore di Selva Pezzi. La tendenza all’acidificazione del suolo è evidenziata dalla presenza di specie quali Rhododendron ferrugineum, Vaccinium myrtillus, Vacciunium vitis-idaea, Potentilla erecta, talvolta Alnus viridis (ontano verde), che si agGiungono a quelle della precedente tipologia. Mirtilli e rododendro, se presenti in massa, possono essere considerate specie guida. SCHEDA 8.29: I PRATI Vegetazione dei gramineti Nardeto Si tratta di pascoli magri su suoli a reazione acida, decalcificati, in genere derivati dalla trasformazione naturale dei gramineti a Festuca per lungo tempo sottoposti ad eccessivo pascolamento. Sono presenti nella parte settentrionale della riserva, nel primo tratto della dorsale che sale verso Cima delle Pozzette, a quote comprese tra i 1700 e i 1800 metri. Il cotico è molto omogeneo, con una notevole ricchezza floristica: esso è caratterizzato dalla presenza massiccia del nardo (Narus striata), accompagnato dalle tipiche specie acidofile dei nardeti: Arnica montana, Gentiana kochiana, Luzula multiflora, Danthonia decumbens, Hieracium pilosella, Potentilla erecta, ecc.. Scarse, se non sporadiche, sono le specie dei prati pingui. Seslerieto Questa associazione erbacea è tipica delle superfici in pendio dove il terreno molto ricco di detriti comincia a consolidarsi. L’aspetto caratteristico è quello dei cosiddetti “prati a scala”, dove si alternano brevi affioramenti rocciosi a zolle pianeggianti in cui si insediano i cespi erbacei di Sesleria varia e Carex sempervirens, accompagnati da una larga varietà di altre specie. Gli elementi più frequenti nell’associazione, oltre alle due specie già citate, sono: Horminum pyrenaicum, Nigritella nigra, Achillea clavenae, Leontopodium alpinum, Bupleurum ranuncoloides, Hieracium villosum, Senecio doronicum e Carex baldensis. In alcune zone del Monte Baldo, in particolare nelle zone di vetta, il seslerieto si arricchisce di altri elementi floristici che risultano coinvolti nell’associazione con elevati valori di frequenza. Si tratta, in particolare, di Ranunculus alpestris, Salix reticulata, Carex firma, Carex ferruginea e Rhodothamnus chamaecistus. È in questa associazione che si segnala la presenza di Callianthemum kerneranum, la specie a carattere endemico più tipica del Monte Baldo. Vegetazione dei terreni nivali su rocce calcaree Vegetazione pioniera a salice refuso e reticolato Si trova sul fondo di alcuni dei circhi glaciali, allineati ai piedi delle principali vette del Baldo, si segnala una vegetazione particolare, caratterizzata da elementi floristici artico-alpini. In queste conche la neve persiste infatti per molti mesi, e nelle annate contraddistinte da precipitazioni particolarmente abbondanti, si mantiene fino ad estate inoltrata. In questi ambienti si ritrova la cosiddetta vegetazione delle vallette nivali, costituita da specie adatte a vivere in condizioni di scarsa luminosità (dovuta alla persistenza della copertura nevosa), a basse temperature e soprattutto a compiere il proprio ciclo vitale nel breve periodo durante il quale il terreno rimane scoperto dalla neve. Fra le specie caratteristiche delle vallette nivali vanno citati, in primo luogo, i salici nani che vivono strettamente appressati al terreno: Salix retusa e Salix reticulata. Comuni anche Saxifraga androsacea, Galium baldense, Carex parviflora, Ranunculus alpestris. Foto N. Giarola Vegetazione litofila Vegetazione pioniera su ghiaione I macereti costituiti da detrito grossolano incoerente, continuamente alimentati dal pietrame che cade dalle rupi sovrastanti, e che si rinvengono soprattutto nei circhi glaciali ai piedi delle principali vette baldensi, sono colonizzati da un tipo di vegetazione composta da specie quali Papaver rhaeticum, Cerastium carinthiacum, Saxifraga sedoides, Achillea oxyloba. Altre specie che nei rilievi compaiono sempre con elevati valori di copertura sono: Thlaspi rotundifolium, Rumex scutatus e Doronicum grandiflorum. Questa formazione vegetale (denominata Papaveretum rhaetici) è presente soprattutto sui pendii esposti a nord, a quote superiori a 1800 metri. Globularia cordifolia Phyteuma orbicolare (Campanulaceae) Foto N. Giarola Vegetazione delle rupi Si trova sugli affioramenti rocciosi, molto abbondanti nell’ambiente rupestre della cresta sommitale, è insediato un consorzio estremamente specializzato a Potentilla nitida, Festuca alpina e Physoplexis comosa e poche altre piante, dette casmofite. Tra queste, quelle che sono comparse con maggior frequenza nel corso dei rilievi sono Carex mucronata, Paederota buonarota, Valeriana saxatilis, Asplenium viride, Athamanta cretensis, Helianthemum alpestre e Campanula cochlearifolia. L’associazione a cui può essere ricondotto questo tipo di vegetazione viene denominata Potentilletum nitidae, tipico delle Alpi calcaree meridionali. Sulle pareti rocciose che delimitano le valli che si sviluppano dai circhi glaciali, a quote comprese tra i 1500 e i 1900 metri, si insedia un’altra combinazione di specie caratterizzata dalla Potentilla caulescens. Tra le specie compagne assurgono a ruolo di primo piano Asplenium ruta-muraria, Cystopteris fragilis, Festuca alpina, Carex mucronata, Globularia cordifolia, Draba aizoides, Silene saxifraga, Rhamnus pumila, Daphne alpina. SCHEDA 8.30: EMERGENZE FLORISTICHE Nell’ambito della Riserva è stata rinvenuta la presenza di una notevole quantità di interessanti specie, tra cui elementi artico-alpini, cioè specie il cui areale si estende nelle zone artiche e sulle montagne delle zone temperate boreali. Sull’arco alpino hanno un areale relitto, disgiunto dall’areale principale della specie in seguito alla fusione dei ghiacci nel corso dell’ultima glaciazione. Sono specie che vivono nei pascoli alpini, sopra il limite climatico degli alberi, oppure in paludi alpine, sulle creste ventose, nelle vallette nivali o ancora sui ghiaioni alpini e sono ad esempio: Juniperus nana, Salix reticulata, Salix erbacea, Thesium alpinum, Polygonum viviparum, Silene acaulis, Clematis alpina, Trollius europaeus, Saxifraga paniculata, Potentilla crantzii, Alchemilla alpina, Dryas octopetale, Sibbaldia procumbens, Arctostaphylos alpinus, Bartsia alpina, Pedicularis verticillata, Pinguicola alpina, Lonicera cerulea, Chamaeorchis alpina. Nell’ambito della riserva, ritroviamo poi elementi endemici e subendemici, cioè presenti in un areale più o meno ristretto o circoscritto: Callianthemum kerneranum; Corydalis lutea, Saxifraga tombeanensis, Primula spectabils, Galium baldense, Euphrasia tricuspidata, Knautia baldensis e Physoplexis comosa. Stella alpina (Leontopodium alpinum) tra Rododendro Foto N. Giarola Nota: La riserva integrale Lastoni Selva Pezzi è compresa all’interno del Sito di Importanza Comunitaria “Monte Baldo Ovest” (IT3210039) il cui formulario standard include, tra le specie vegetali, due piante elencate nell’allegato II alla Direttiva 92/43/EEC come specie d’interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione: Cypripedium calceolus e Saxifraga tombeanensis. Raponzolo di roccia (Physoplexis comosa) (Campanulaceae) foto M. Macrì