Experiential learning: formazione o intrattenimento?

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Experiential learning: formazione o intrattenimento?
febbraio 2010
Experiential learning: formazione o intrattenimento?
di Hermes Pierotti
tratto da L’Impresa n.1/2005
I metodi che utilizzano l’experiential learning sono sicuramente un potente innesco
all’apprendimento degli adulti. Quando sono in gioco, modelli, valori, atteggiamenti,
comportamenti, quando si richiede un cambiamento di prassi e riferimenti
consolidati, l’apprendimento deve prendere le mosse da sensibilità maturate
attraverso esperienze dirette e personali.
Chi fa formazione lo sa da sempre: il metodo dei casi, il role playing, gli autocasi
stessi, sono tutte forme ante litteram di experiential learning: solo che le casehistory propongono esperienze….altrui ed i role plays sono spesso giocati a valle
dell’enunciazione di un modello, per verificarne l’applicazione e così via. In
generale, si tratta pur sempre di esperienze che impegnano sul piano intellettuale,
mentre, per essere efficaci, per suggerire un progetto autonomo di apprendimento,
dovrebbero determinare un coinvolgimento profondo ed emozionale, prima ancora
che intellettuale e razionale, dovrebbero indurre a scegliere di investire nel proprio
cambiamento.
Il driver, in un processo di apprendimento eterodiretto, dovrebbe essere
rappresentato da valori e modelli “scoperti” (o riscoperti) nel corso di situazioni di
simulazione e di gioco. In altri termini: meglio se le esperienze sono esterne al
contesto operativo, per neutralizzare possibili resistenze profonde ed assunti
acritici. Meglio ancora se sono “divertenti”, perché il gioco stimola maggiore liberta,
produce energia positiva.
In conclusione, se Chris Argyris affermava a buona ragione: “La porta della
formazione è una porta chiusa dall’interno….!”, il processo dell’experiential learning
può indurre individui e gruppi ad aprire la porta o, quanto meno, a rimuovere il
catenaccio!
Experiential learning o entertainment?
Dietro l’indubbio valore del metodo, però, si nascondono equivoci più o meno consapevoli:
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talvolta, il vero, inconfessato obiettivo di un evento di experiential learning non è
apprendimento , ma fun & excitement; se ne misura il successo, non l’efficacia; il
divertimento, che avrebbe dovuto assicurare l’energia positiva per il processo di
apprendimento, acquisisce valore finale, non funzionale;
in questo modo, l’experiential learning diventa una sorta di scorciatoia rispetto
all’impegno ed alla complessità di un processo di cambiamento che procura
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competenze reali (anziché….virtuali), che coinvolga i tre livelli del volere (la
motivazione), del sapere (le competenze), del potere (i sistemi ed il contesto
organizzativo), che impegni nel tempo e attecchisca in prassi e cultura!
Troppo spesso ci si accontenta dei risultati emozionali immediati, dell’eccitazione e,
talvolta, dell’entusiasmo generati; si rischia di confondere con l’apprendimento quelli che
sono “solo” sintomi di una disponibilità ad apprendere (forte, ma volatile), si ricercano
intensità e tensione positiva, per se stesse.
Nessuna obiezione, se l’intento è quello di divertire, emozionare, riconoscere e premiare,
incidere: ma allora si tratta di entertainment!
Se, invece, l’obiettivo è quello di promuovere e gestire un cambiamento, allora serve una
sede dedicata (contesto, tempo, atteggiamenti e ruoli) per un processo di debriefing che
non sia solo accessorio all’esperienza vissuta, ma che capitalizzi le energie e la motivazione
generate nell’esperienza stessa, prima che sedimentino con il rischio di disperdersi.
Altrimenti per consolidare o rilanciare l’apprendimento, si dovrà, a ogni evento, aumentare
la dose di emozione, cadendo nel duplice rischio dell’assuefazione o…dell’overdose!
Quali obiettivi di apprendimento? Quale piano d’azione?
Ancora, pare che le uniche finalità formative siano quelle del team building (integrazione,
senso di appartenenza, condivisione di intenti e valori….) e, sia pure a grande distanza, del
self confidence: sfida ai propri limiti, disponibilità al cambiamento.
Gli inneschi (i giochi, le esperienze…) sono spesso utilizzati in termini indifferenziati, come
se fossero assolutamente fungibili, come se se ne potesse comunque trarre una generica
sensibilità, che verrà poi declinata in funzione dei soliti obiettivi uguali a se stessi: team
building, appunto, o tensione alla sfida ed al cambiamento.
E’ questa fungibilità che insospettisce, perché ne può derivare una tesi maliziosa:
giochiamo, vi facciamo divertire perché questa è la finalità vera! Poi, dobbiamo comunque
collegare l’esperienza – intensa e divertente – alla realtà organizzativa, attraverso metafore
accessibili ed evidenti: l’espressione divertente e intensa delle persone viene assunta come
prova dell’apprendimento.
Questa indifferenziazione, cioè, “scopre” l’equivoco cui si accennava: l’obiettivo,
lucidamente o inconsapevolmente, era forse quello di emozionare, divertire, “colpire”,
mentre gli obiettivi di apprendimento sono poi delle varianti, tratti frettolosamente nel
corso di un debriefing che non vede l’ora di avviare al prossimo gioco.
A questo punto è evidente che le scelte tra volteggi e giochi a terra, sailing e rafting, guida
sui laghi ghiacciati o sulle dune, attengono più al budget disponibile ed alla memorabilità
dell’evento, che all’efficacia formativa.
Le stesse proporzioni tra il tempo dell’esperienza e quello dedicato al debriefing sono
illuminanti: 90% - 10%, nella migliore delle ipotesi!. Il debriefing è spesso privo di
struttura e di supporti, consiste nella verbalizzazione emozionata di sensazioni prevedibili
(senso di achievement, senso di appartenenza, fiducia e confidence in sé e negli altri,
qualità della comunicazione): su questa generica sensibilità non si costruisce insieme al
gruppo una consapevolezza più lucida, un’analisi critica dell’esperienza (bilance of
consequences), un piano d’azione individuale o di gruppo, per le successive attività di
apprendimento effettivo.
Non propongo di arrivare necessariamente alla “fornitura di tecniche” nel corso dell’evento,
ma ritengo che sia indispensabile coprire almeno le prime due fasi del ciclo di Kolb e
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“sfruttare” l’alta temperatura che l’esperienza e la conseguente presa di coscienza hanno
determinato, per indurre gli individui o i gruppi reali a formulare un “piano d’azione”:
priorità, obiettivi e processi che rappresentino il vero ponte tra l’esperienza vissuta e la vita
reale che seguirà.
Il debriefing deve, ovviamente, essere immediato e strutturato, mentre il follow up può
anche essere successivo e articolato nel tempo, ma deve essere oggetto di un patto e di un
piano elaborati nel corso dell’evento.
L’obiettivo deve essere quello di portare individui e gruppi, a conclusione dell’esperienza,
ad una disposizione interiore e a una decisione di apprendimento che si può definire il
“punto di scelta”.
Concretezza e risultati visibili
Io credo che il metodo dell’experiential learning, se e quando si proponga realmente
obiettivi formativi, debba (e possa, per esperienza) riconoscere e osservare i seguenti
criteri metodologici:
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sacrificare magari qualche “picco emotivo”, per privilegiare sì il divertimento, le
dinamiche di gioco e gli scambi, ma in un ambiente e in un contesto che sollecitino
strategie e relazioni più articolate; in taluni casi, infatti, se l’emozione è troppo
intensa, l’esperienza rimarrà certamente indimenticabile, ma anche più difficile da
trasferire, attraverso le metafore organizzative, alla vita reale in quanto l’emozione
stessa farà alone rispetto ai processi di analisi e trasposizione;
ricorrere ad un’ampia gamma di programmi e di esperienze, ognuno dei quali
abbia specifici obiettivi di sensibilizzazione e differenti valenze formative
(pianificazione, allocazione e ottimizzazione delle risorse, decision making,
integrazione interfunzionale, negoziazione, leadership, orientamento al cliente,
ecc..): la scelta delle esperienze non deve fondarsi sul grado di divertimento e di
emozione che sembrano promettere, ma sulla coerenza rispetto a obiettivi di
apprendimento specifici;
dedicare al debriefing un tempo congruo e una “sede” dedicata, come si diceva:
metodi, supporti, clima devono favorire un processo di razionalizzazione che
(ri)scopra i valori, le finalità e le barriere per elaborare e pianificare prassi più
efficaci. Un debriefing che si modella sul gruppo e su obiettivi definiti: se questo
avviene, lo stesso “gioco” può essere utilizzato sia per una sessione del comitato
esecutivo in cui si elabori un progetto di integrazione interfunzionale, sia in un
intervento diretto a impiegati amministrativi, per indurli a lavorare per processi,
anziché per operazioni.
Ecco qui di seguito due esempi concreti di “debriefing di successo”:
Un primo esempio si riferisce ad un progetto della Learning Systems realizzato in Ratti
S.p.A. che, in un contesto caratterizzato storicamente da forte focus su ciascun mercato
specialistico (tessuti per uomo, donna, arredamento, ecc…), ha impegnato tutti i direttori
funzionali in un percorso di envisionning e progettazione. Il direttore del personale,
Maurizio Massoni: “Temevamo che il gioco potesse apparire dispersivo o che, al contrario,
fosse il processo di action planning a risultare “depressivo”, dopo l’eccitazione del gioco.
Invece, dopo la mattina spesa in totale immersione nella simulazione, il pomeriggio ha
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prodotto una vision a un piano d’azione sui fattori critici prioritari per una cultura
integrativa e per processi interfunzionali più efficaci….!”.
Il secondo ha riguardato una popolazione di 140 impiegati amministrativi di Ras
Assicurazioni, i quali, dovendo operare secondo un nuovo modello organizzativo centrato
sui processi, avrebbero dovuto maturare maggiori capacità di collaborazione, supporto
reciproco , orientamento al cliente.
Il direttore amministrativo, Diego Fumagalli: “L’accorgimento vincente è stato quello di
condurre il gioco in plenaria e in sottogruppi casuali, sfruttando l’effetto del numero e dello
“stare tutti insieme”, che rinforzava il valore della globalità, mentre il debriefing è stato
sviluppato nel pomeriggio, nei gruppi reali, così come anche il modulo di follow up è stato
condotto, dopo un mese circa, nei gruppi reali e nelle rispettive sedi operative: questo
significa che si sono adottati criteri di tempo, spazio, composizione dei gruppi, ruolo dei
consulenti…. più coerenti con ciascuna fase dell’intervento. Questa procedura ha consentito
ai partecipanti di avere consapevolezza delle proprie dinamiche all’interno del gruppo e
gettare le basi per lavorare su un futuro cambiamento!”.
E’ il debriefing che, appunto, deve modellarsi sul caso specifico ed è il seguito
dell’esperienza che qualifica il processo di apprendimento: è importante comporre un
percorso che includa ma non si limiti all’esperienza. Questa può essere un modulo
all’interno di una convention, ma può anche essere seguita da una sessione di action
planning; può prevedere, dopo un congruo periodo, un intervento di richiamo/rilancio in cui
si valutino gli impatti reali sui comportamenti e si pianifichino ulteriori azioni; può essere il
modulo di start up per un seminario, con una finalità di condivisione degli obiettivi del
seminario stesso e di “patto d’aula”.
Il direttore generale di Silf, società finanziaria (credito al consumo) del gruppo Banca
Lombarda, Vito Torelli: “Introducendo un modulo di experiential learning – un gioco a
squadre, competitivo, centrato sui temi di pianificazione, allocazione delle risorse, target
settino e strategie – nell’ambito della convention della rete commerciale, siamo finalmente
riusciti a risolvere l’annoso problema della dicotomia tra i momenti operativi – intensi,
impegnativi e sfidanti – centrati sugli obiettivi, risultati, politiche di vendita, prodotti e
condizioni, con i momenti distensivi di motivazion e di rilancio. Il gioco ed il successivo
debriefing, infatti, hanno funzionato da anello di congiunzione, tra gioco e impegni, tra
integrazione e competizione, tra il sorriso ed il corruccio….”.
“A priori non mi rendevo conto delle potenzialità, ma ha funzionato!” dice il direttore dello
sviluppo risorse umane per l’Europa di Cnh, società del gruppo Fiat e leader nelle macchine
per l’agricoltura e le costruzioni. “Abbiamo inserito un modulo di experiential learning
all’apertura della convention europea della funzione marketing & comunication. Volevamo
riuscire a creare la concreta consapevolezza che per diventare più competitivi come
organizzazione, con reparti diversi, ognuno con i propri obiettivi, si dovesse sviluppare un
clima di fiducia e cooperazione, abbandonando la classica focalizzazione su se stessi e sul
proprio reparto, per sentirsi parte di un processo globale. A pranzo, dopo il debriefing, i
partecipanti continuavano a parlare dell’impatto positivo che l’esperienza aveva portato alla
comunicazione ed alle relazioni nel gruppo e immaginavano già il “che fare” nel futuro a
breve”.
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Produrre cambiamenti oltre il divertimento
Insomma, l’experiential learning è e deve essere utilizzato come uno strumento, non come
un succedaneo; è un metodo che produce emozione, ma per trarne energia rispetto ad un
progetto di apprendimento; il fine non è la memorabilità, ma il cambiamento!.
Non inseguiamo l’eccezionalità dell’evento, ma la sua congruità con un preciso piano
formativo e la funzionalità ad uno scopo definitivo.
Misuriamo l’impatto su diversi parametri: divertimento, certo perché no?, ma soprattutto
che cosa è accaduto dopo, che cosa è cambiato, l’evoluzione dei comportamenti e degli
indicatori: d’altronde, non si capirebbe perché queste attese siano sempre più severe,
quando si tratti di “formazione tradizionale”, mentre l’efficacia dell’experiential learning si
dovrebbe poterla misurare solo dai segnali di gradimento dell’audience: non ha fatto già fin
troppi danni ricorrere a questo unico criterio, nella comunicazione televisiva?.
Se l’experiential learning, deve essere solo strumento di divertimento e di emozione, che lo
sia, senza pudori ed alibi: sono finalità nobili, estremamente importanti in tempi di
cambiamento ed incertezza!.
Ma se chiediamo cambiamento e apprendimento, allora il gioco si fa più complesso.
L’experiential learning è un potente strumento che ha fondamenti culturali e metodologici
importanti, con valenze di ampio spettro e grande flessibilità: non riduciamolo all’ennesima
“moda”, non pieghiamolo a funzioni di entertainment o di sommovimento delle coscienze,
deve stupire, senza pretendere effetti “stupefacenti”.
Un’appendice
Abbiamo citato simulazioni e giochi perché queste sono le due componenti fondamentali
dell’experiential learning, ma entrambi sono oggetto di interrogativi e di controversie…….
La simulazione. Deve essere reale o realistica?. Si deve a Alfred Korzybski una frase
ormai celebre: “La mappa non è il territorio”. La simulazione, sia essa di processo o
comportamento, è una mappa più o meno complessa della realtà, una mappa il cui compito
non è solo informare ma anche e soprattutto formare. Ma la simulazione è efficace perché
semplifica la realtà? In realtà la simulazione fa qualcosa di differente dal semplificare:
consente di vedere i contorni. La simulazione non riproduce il sistema ma piuttosto un
modello semplificato del sistema: proprio questo la rende così utile. Se il sistema fosse
rappresentato con una complessità pari a quella reale, la simulazione sarebbe del tutto
superflua.
Il gioco. E’ funzionale alle responsabilità gestionali? Il manager è più homo faber o homo
ludens?….o meglio, nell’era del virtuale, del knowledge, dell’immateriale, è più
interessante, più utile un manager faber o ludens? (Johan Huizinga). Quale è la funzione
del gioco in un processo di apprendimento?. Il gioco è sentito come un momento liberatorio
di fronte alle costrizioni del lavoro. Nel lavoro il principio dominante è il piacere, l’azione
che non produce nulla, la simulazione di altre situazioni considerate come “reali”, a patto
che il gioco stesso abbia una forma ben definita da regole che devono essere rispettate,
altrimenti si finisce fuori gioco.
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Note sull’autore
Hermes Pierotti, ha operato fino al 1969 nelle Funzioni Sales & Marketing di
Aziende Industriali come Olivetti, Buitoni, Rebaudengo e Plastocoat ed occupandosi
poi di formazione e consulenza. E’ specializzato nelle aree del marketing operativo,
delle vendite e dello sviluppo manageriale. Attualmente è Managing Partner di Core
Consultino partecipando al coordinamento delle attività del marchio Learning
Systems. E’ autore di pubblicazioni e interventi in conferenze nazionali e
internazionali.
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