Il modello delle 3P per il debriefing nella formazione esperienziale

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Il modello delle 3P per il debriefing nella formazione esperienziale
settembre 2012
Il modello delle 3P per il debriefing
nella formazione esperienziale
di Walter Allievi
Come molti di voi probabilmente già sapranno, una delle chiavi di un intervento formativo
di successo, svolto attraverso una attività di formazione esperienziale, è il debriefing.
Per chi di voi invece è a digiuno dell’argomento, vale la pena di spendere due parole su
questo concetto. Il nome debriefing è di matrice militare e, come viene efficaciemente
spiegato
in
Wikipedia
nella
pagina
dedicata
all’argomento
(http://en.wikipedia.org/wiki/Debriefing) veniva usato per ricevere informazioni da un
pilota o da un soldato dopo una missione […]. Un altro scopo del debriefing militare era di
valutare l’individuo prima di reinserirlo nei suoi ranghi originari dopo la missione.
Figura 1 – 3P Model
Nell’Experiential
Learning (http://en.wikipedia.org/wiki/Experiential_learning),
sempre
citando liberamente Wikipedia, il debriefing è “un processo semi-strutturato attraverso il
quale il facilitatore, al termine di una certa attività, effettua una serie di domande
progressive, con un’adeguata sequenza che lasci i partecipanti riflettere su quanto
accaduto, dando importanti spunti di riflessione con lo scopo di proiettare l’esperienza nel
futuro, collegando quanto fatto con le azioni da compiere in futuro. (traduzione e
adattamento miei).
Voglio portare l’attenzione sul termine “Facilitatore” che viene usato non per caso al posto
di “Formatore”. Il Formatore Esperienziale infatti, nel debriefing, si trasforma in Facilitatore
e la sua arma sono le domande con le quali scatena la riflessione e la accompagna, se
necessario e più o meno palesemente a seconda degli obiettivi formativi, verso un
determinato risultato. Il Formatore, se le cose vanno nel verso giusto, quasi scompare, è il
gruppo il totale protagonista. In certi approcci, forse meno aziendali e più legati
all’educazione sociale, è il gruppo il totale responsabile di ciò che apprende. Quando si
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parla di gruppi aziendali le cose differiscono un minimo, a mio parere, essendo sia noi
Formatori vincolati, generalmente, da obiettivi specifici richiesti dalla Committenza. Ma qui
il discorso si fa lungo e credo non sia la sede per affrontarlo, in ogni caso se volete
approfondire
il
concetto
di
“Facilitatore”
vi
consiglio
di
leggere (http://blog.luigimengato.com/2012/08/insegnante-o-facilitatore.html) e quello
precedente sull’argomento) nel blog dell’amico Luigi Mengato.
Torniamo al debriefing e in particolare al modello che voglio presentarvi. Il modello in
questione si chiama 3P dalle iniziali dei suoi tre concetti chiave:
1. Prodotto
2. Processo
3. Procedura
Questi tre elementi rappresentano, se presi individualmente, tre possibili focus su cui un
individuo può concentrarsi durante un’attività di gruppo. Questi i significati che, nel
modello, vengono assegnati ai tre elementi:
Prodotto
Questa etichetta può essere fuorviante, soprattutto se usata con team che si occupano di
produzione di qualcosa! Per prodotto si intende particolare l’obiettivo dell’attività,
qualunque essa sia. Le persone con questo focus saranno particolarmente attente al
raggiungimento dell’obbiettivo, anche a discapito dei rapporti fra i componenti del team o
del rispetto delle procedure definite. All’estremo, l’importante è ottenere quanto stabilito, il
resto non conta. Come diceva Gunny “Improvvisare, adattarsi, raggiungere lo scopo”!
Processo
Per processo si intende l’attenzione dell’individuo ai processi di interazione umana
all’interno del gruppo. Cioè quanto le persone si ascoltano, in che modo comunicano, se si
supportano l’un l’altro. All’estremo la persona con un focus totale su questo elemento sarà
solamente preoccupata del clima e del fatto che le persone stiano bene insieme, se poi
l’azienda chiude o la squadra viene retrocessa, amen. L’importante è volersi bene…
Procedura
Per procedura, termine che generalmente viene usato aziendalmente come sinonimo di
processo, in questo modello si intende il modo in cui l’obiettivo viene raggiunto. Quella che
generalmente è una classica procedura aziendale. Per ottenere D, dobbiamo fare prima A,
B, C in questa sequenza e con queste modalità, usando un certo tipo di strumenti.
All’eccesso una persona esclusivamente attenta a questo elemento creerà degli intoppi
burocratici immensi e pur di rispettare le regole e le procedure interne farebbe impazzire il
suo migliore amico. Un po’ come il mitico Furio impersonato da un grande Carlo Verdone in
Bianco, Rosso e Verdone:
Come usare il modello
Come avete visto nel primo disegno, ho posizionato le tre parole chiave agli estremi di un
triangolo. Ora immaginate di aver svolto un’attività esperienziale, come ad esempio una
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cosiddetta Small Technique (a proposito, tutto il mondo chiama queste attività appunto
“activities”… noi italiani le chiamiamo con un nome inglese improprio, ma si sa che siamo
dei fenomeni da questo punto di vista…), di essere in fase di debriefing e volete far
ragionare le persone sul modo in cui, individualmente, si sono comportati nei confronti del
gruppo. In questo momento questo modello può venirvi in aiuto. Non dovete fare altro che
“disegnare” un grosso triangolo a terra, sufficiente per contenere in piedi tutte le persone.
Non è necessario che sia un vero e proprio disegno a terra, basta che siano chiari i tre
estremi (ad esempio tre borse, o tre sedie). Poi introducete i tre elementi chiave: prodotto,
procedura e processo e assegnate ad ogni vertice del triangolo uno dei tre elementi (come
nella figura 1).
Fatto questo, e reso ben chiaro al gruppo cosa si intende per le 3P e a che vertice è
assegnata ogni P, date la seguente indicazione ai membri del gruppo
“Pensate all’attività appena conclusa e al vostro ruolo all’interno del gruppo, a come vi siete
comportati e a cosa avete prestato più attenzione (fra i tre elementi). Ora ognuno di voi si
posizioni all’interno del triangolo in modo che la sua posizione nello spazio rifletta il suo
comportamento. Se una persona, ad esempio, è stata particolarmente attiva e attenta nel
raggiugimento dell’obiettivo, si posizioni vicino all’angolo “Prodotto”. Se una persona pensa
di essere stata attenta sia al raggiungimento dell’obiettivo che alla procedura stabilita dal
gruppo per raggiungerlo, si posizioni a metà lungo il lato che collega il vertice “prodotto” a
quello “procedura”. Potete posizionarvi anche nel centro del triangolo, se pensate di aver
dato egual peso ai tre elementi.”
Lasciate poi il tempo alle persone di posizionarsi nel triangolo, dando ulteriori chiarimenti
se necessario. Potreste arrivare ad esempio ad una distribuzione delle persone di questo
tipo (dove ogni puntino blu rappresenta una persona nello spazio):
Figura 2 – Distribuzione “sbilanciata” su un lato
Una volta che le persone si sono posizionate ponete la seguente domanda, lasciando la
libertà di rispondere a chi vuole, se il gruppo è molto numeroso, o a tutti (uno alla volta) se
il gruppo è limitato e, in ogni caso, il tempo lo permette:
“Cosa vi fa dire di essere stati più attenti ad un elemento piuttosto che ad un altro? Più in
particolare, quale vostro comportamento specifico vi fa dire di essere stati attendi, ad
esempio, al processo (di interazione umana)?”
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È importante in questa fase far capire che non si sta parlando di impressioni personali ma
far ragionare le persone sui propri comportamenti specifici. Su ciò che hanno fatto nel
concreto insomma, non sulle buone intenzioni. Risposte del tipo “perché sto attento agli
altri” non sono sufficienti, vanno circostanziate. Una risposta pertinente è “ho permesso a
Tizio di esprimere la sua opinione invitandolo a parlare, mentre Caio e Sempronio non gli
prestavano attenzione parlandogli sopra nel momento X dell’attività”. Questo è un
comportamento specifico.
È possibile che in questa fase, dopo le prime risposte, qualcuno si sposti di posizione nel
triangolo. Ciò è normale anche perché generalmente la domanda sul comportamento
specifico spiazza. Sembra strano, ma non siamo abituati a pensare al nostro
comportamento, il più delle volte ci piace pensare ad un’idea, alquanto astratta, sul come ci
siamo comportati oppure, più semplicemente, non ci abbiamo fatto caso. Già, ripensate a
come vi siete comportati ieri sera (non a quello che avete mangiato), cercate di farlo con
un occhio oggettivo, magari guardandovi dall’esterno (in terza persona o disassociati, come
si dice nella PNL). Magari vi vedrete fare o vi accorgerete di aver fatto qualcosa a cui non
avevate proprio pensato.
La forza di questo modello, a mio parere, è che ci costringe a pensare ai nostri
comportamenti inseriti in uno specifico ambito e prestando attenzione non al tutto in
generale, ma a tre parametri di valutazione precisi. Prodotto, processo e procedura,
appunto.
Il Facilitatore in questo caso dovrà semplicemente far si che le persone raccontino le
proprie esperienze “giustificando” la loro posizione nel triangolo, molte considerazioni
verranno fatte in autonomia dagli stessi partecipanti.
Sarà poi interessante notare come sarà la distribuzione del gruppo all’interno del triangolo.
Premesso che non vi è una distribuzione giusta e una sbagliata in assoluto (lo stesso
gruppo può assumere distribuzioni differenti a seconda del momento, del suo stadio di
sviluppo, dell’attività o della semplice stanchezza) vi possono essere comunque
distribuzioni più o meno equilibrate.
La figura 2, ad esempio, presenta una distribuzione maggiormente spostata sui lati
Prodotto e Procedura. In un gruppo come questo le persone saranno particolarmente
attente a raggiungere l’obiettivo e alla creazione e rispetto di procedure standard di lavoro
a discapito, probabilmente, delle relazioni umane. Potrebbe essere ad esempio un gruppo
di tecnici particolarmente preparati con una forte motivazione, che ottengono nel breve
periodo ottime performance ma che pero nel lungo rischiano di traballare come gruppo,
mancando figure che si occupino dell’ecologia dello stesso.
Una distribuzione come quella riportata in figura 3 invece è sicuramente più equilibrata,
con un gruppo eterogeneo (per lo meno nella situazione analizzata) che presenta al suo
interno differenti atteggiamenti e caratteristiche generalmente più funzionali nel lungo
periodo per la buona salute del gruppo.
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Figura 3 – distribuzione “equilibrata”
Conclusioni
Un vantaggio significativo di questo modello è quello di permettere di ancorare nello
spazio fisico (concetto prettamente di PNL) i comportamenti delle persone e di rendere
evidente non solo a parole ma anche visivamente e cinestesicamente quanto dichiarato
dai singoli individui. In più tutti i componenti del gruppo hanno modo di riflettere
apertamente sulla composizione dello stesso e sui comportamenti che lo caratterizzano.
Questo modello, da solo, non permette un debriefing esaustivo e va integrato di volta in
volta, a seconda degli obiettivi che abbiamo, con altre domande e con altri modelli. In ogni
caso è una modalità estremamente valida per effettuare un’analisi piuttosto efficace di
quanto fatto durante una qualunque attività.
Note sull’autore
Walter Allievi, ha 3 identità: formatore esperienziale, consulente organizzativo e business
coach. Ha lavorato per molti anni nel ruolo di project manager e coordinatore di team di
lavoro in importanti realtà dell’IT e della GDO. Laureato in economia e commercio
all’Università Bocconi di Milano, ha conseguito un Master in Formazione Esperienziale
presso la società ComunicazionEsperienza ed è NLP Trainer riconosciuto dalla Society of
NLP di Richard Bandler. Per quasi vent’anni ha praticato vela a livello agonistico arrivando a
vincere un Campionato Italiano Juniores nella classe 420, è stato per molti anni istruttore
della Federazione Italiana Vela. Pratica arti marziali dal 1990, tuttora si allena e, di tanto in
tanto, insegna.
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