PRODOTTI ITTICI DEFINIZIONE Gli ittici sono uno degli elementi
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PRODOTTI ITTICI DEFINIZIONE Gli ittici sono uno degli elementi
PRODOTTI ITTICI DEFINIZIONE Gli ittici sono uno degli elementi fondamentali della nostra alimentazione da consumare almeno 2-3 volte la settimana. La normativa li distingue in: a) Prodotti della pesca: marini o di acqua dolce o parti di essi comprese le loro uova o lattine esclusi i mammiferi acquatici, le rane e gli animali acquatici oggetto di norme relative alla protezione della specie ed alla politica comune della pesca e dei mercati. b) Prodotti di acquacoltura: prodotti della pesca nati e allevati in condizioni controllate dall’uomo fino al momento della loro commercializzazione come prodotti alimentari, nonché i pesci o crostacei d’acqua dolce o di mare catturati giovani nel loro ambiente naturale ed allevati in cattività, fino a quando abbiano raggiunto la taglia commerciale richiesta per il consumo umano. STATISTICHE Uno studio sulle percezioni degli italiani nei confronti delle varie tipologie di prodotti ittici effettuato dall’Osservatorio Consumi Ittici (www.ismea.it) ha evidenziato in particolare che: - il pesce fresco, sia pescato come il pesce azzurro e il pesce bianco, che allevato, viene riconosciuto salutare, nutriente e dietetico - il saporito e il gusto del mare è, invece, maggiormente associato ai molluschi e ai crostacei - i piatti pronti a base di pesce vengono scelti per la facilità di preparazione ed i tempi brevi che richiedono per essere cucinati - i prodotti ittici, conservati e trasformati sono percepiti come sicuri sia dal punto di vista igienico-sanitario sia nella qualità della materie prime utilizzate - per il pesce congelato/surgelato preparato, i molluschi congelati/surgelati, le conserve e le semiconserve il marchio del produttore è sinonimo di garanzia e sono percepiti come convenienti nel rapporto qualità/prezzo. Una statistica dei prodotti ittici più consumati vede ai primi 10 posti (fonte Altroconsumo n. 191 marzo 2006) – (www.altroconsumo.it): 1- mitili/cozze 2- orate 3- alici 4- spigole/bronzini 5- trote salmonate 6- vongole 7- calamari 8- polpi 9- merluzzi 10- seppie RINTRACCIABILITA’ Dal 1° gennaio 2005 è entrato in vigore la normativa sulla rintracciabilità degli alimenti che obbliga di esporre sui banchi di vendita delle pescherie i cartellini per la rintracciabilità delle varie fasi della produzione, trasformazione e della distribuzione (Regolamento CE 178 del 28.1.2002 artt. 18 e 65) CLASSIFICAZIONE 1- Prodotti ittici freschi: sono quelli che non hanno subito alcun procedimento di congelazione o surgelazione. Un regolamento CEE del 1996 ha reso obbligatoria la distinzione in tre categorie: extra – A – B, ma in Italia non esiste alcuna sanzione per cui la norma è praticamente ignorata 2- Prodotti ittici congelati: possono essere venduti sia sfusi che confezionati. Devono essere trattati con un procedimento tale che al centro del prodotto venga raggiunta una temperatura minima di almeno -18°C e successivamente protetti dall’azione ossidante dell’ossigeno atmosferico mediante uno strato di ghiaccio applicato in superficie detto glassatura, ottenuto con acqua destinata al consumo umano, per aspersione o nebulizzazione o immersione. La sua presenza non va calcolata sul peso netto. 3- Prodotti ittici surgelati: devono essere venduti in confezione chiusa all’origine. Vengono sottoposti ad un trattamento di temperatura di almeno -18°C che deve essere raggiunta in tutte le sue parti. Anche per tali prodotti è prevista la glassatura. L’Istituto Italiano Alimenti Surgelati, costituito nel 1963 e riconosciuto come personalità giuridica nel 1983, ha elaborato il Codice di autodisciplina per la movimentazione e la commercializzazione degli alimenti surgelati in Italia. ETICHETTATURA Prodotti ittici freschi Dall’11.4.2002 l’etichettatura prevede obbligatoriamente: -prezzo di vendita per unità di misura riferito al peso netto -denominazione commerciale della specie -denominazione scientifica della specie (facoltativa nella vendita al dettaglio) -metodo di produzione (pescato o allevato) -la zona di cattura: -per i prodotti pescati in acqua dolce: lo Stato di origine -per i prodotti pescati in mare: la zona di provenienza: 21 –Atlantico Nord Occidentale 27 –Atlantico Nord Orientale 27 III d –Mar Baltico 31 –Atlantico Centro Occidentale 34 –Atlantico Centro Orientale 41 –Atlantico Sud Orientale 37.1, 37.2, 37.3 –Mar Mediterraneo 37.4 –Mar Nero 51, 57 –Oceano Indiano 61, 67, 71, 77, 81, 87 –Oceano Pacifico 48, 58, 88 –Antartico -per i prodotti di allevamento: lo Stato in cui si è svolta la fase finale di sviluppo del prodotto -per i miscugli di pesce di specie diverse: informazioni per ciascuna specie Prodotti ittici congelati L’etichetta deve contenere oltre le indicazioni previste per il pesce fresco anche: -la denominazione di congelato -le modalità di conservazione dopo l’acquisto -la percentuale di glassatura Prodotti ittici surgelati L’etichetta deve contenere oltre quanto previsto per i prodotti freschi anche: -la denominazione di surgelato -il termine minimo di conservazione completato della indicazione del periodo in cui il prodotto può essere conservato presso il consumatore -le istruzioni relative al periodo di conservazione dopo l’acquisto con l’indicazione della temperatura di conservazione o l’attrezzatura richiesta per la conservazione (congelatore o frigo) -l’avvertenza che il prodotto una volta scongelato non può essere ricongelato -le eventuali istruzioni per l’uso -l’indicazione del lotto -il nome o la ragione sociale o il marchio depositato del fabbricante o del confezionatore o di un venditore nell’Unione Europea -le indicazioni relative allo stabilimento di produzione o di confezionamento -il peso sgocciolato -il prezzo di vendita della confezione -la quantità netta o, nel caso di prodotti preconfezionati in quantità unitarie costanti, la quantità nominale -in caso di preparati vari deve essere riportato l’elenco completo delle varietà ittiche presenti e la percentuale in ordine decrescente Molluschi bivalvi e mitili In qualsiasi fase di trasporto, distribuzione o vendita al dettaglio devono essere accompagnati da un bollo sanitario in caratteri leggibili, indelebili e facilmente decifrabili contenenti: -il paese di origine -la denominazione scientifica e in lingua italiana -il visto dell’autorità sanitaria -il numero di riconoscimento dell’identificazione del centro di depurazione o di spedizione -la data di confezionamento riportante almeno il giorno e il mese -la data di scadenza o, in alternativa, la menzione “i molluschi bivalvi devono essere vivi al momento dell’acquisto” Il bollo deve essere realizzato in modo da poter essere utilizzato una sola volta CONSIGLI PER IL CONSUMATORE Per gli ittici freschi -osservare la carne che deve essere compatta, con scaglie lucenti, branchie rosse e occhi vivi. Se trattasi di ittici scongelati e venduti per freschi si avranno carni mollicce, scaglie non lucenti e occhi tipo cotti Per i congelati sfusi -verificare l’igiene dello scomparto di vendita e se a diretto contatto con le mani dell’acquirente -controllare il peso netto della glassatura Per i surgelati -controllare la presenza del termometro che indichi -18°C -i prodotti all’interno delle scatole devono essere separati, scuotendoli devono risuonare -non acquistare confezioni con brina all’interno o all’esterno oppure scatole con deformazioni (segni di avvenuto innalzamento della temperatura lungo la catena del freddo) -controllare la percentuale di glassatura Per i molluschi bivalvi e mitili -non acquistare prodotti la cui provenienza non è sicura -i molluschi devono essere vivi al momento dell’acquisto Per la conservazione -il pesce se fresco, dopo averlo sviscerato, conservarlo nella zona più fredda del frigorifero e consumarlo entro 24 ore -se congelato o surgelato attenersi alle modalità di conservazione indicate FONTI NORMATIVE Legge n. 283 del 30.4.1962 – G.U. n. 139 del 4.6.1962 Legge n. 32 del 27.1.1968 – G.U. n. 36 del 10.6.1968 Legge n. 690 del 25.10.1978 – G.U. n. 316 del 11.11.1978 DPR n. 391 del 26.5.1980 – G.U. n. 211 del 2.8.1980 Decreto legislativo n. 110 del 27.1.1992 – G.U. n. 39 del 17.2.1992 Decreto legislativo n. 110 del 27.1.1992, Corrige – G.U. n. 95 del 23.4.1992 Circolare Ministero Sanità n. 21 del 27.4.1992 – G.U. n. 103 del 5.5.1992 Decreto Legislativo n. 531 del 30.12.1992 – G.U. n. 7 (S.O.) dell’11.1.1993 Regolamento CE n. 2406 del 26.11.1996 – G.U. n. L. 334 del 23.12.1996 Regolamento CE n. 104 del 17.12.1999 – G.U. n. L. 17 del 21.1.2000 Decreto Legislativo n. 226 del 18.5.2001 – G.U. n. 137 del 15.6.2001 Regolamento CE n. 178 del 28.1.2002 – G.U. n. L. 031 dell’1.2.2002 Decreto MIPAF del 27.3.2002 – G.U. n. 84 del 10.4.2002 Circolare MIPAF n. 1329 del 27.5.2002 – G.U. n. 132 del 7.6.2002 Decreto Legislativo n. 181 del 23.6.2003 – G.U. n. 167 del 21.7.2003 Circolare MAP n. 168 del 10.11.2003 – G.U. n. 4 del 7.1.2004 Decreto Legislativo n. 154 del 26.5.2004 – G.U. n. 146 del 24.6.2004 Decreto Legge n. 157 del 24.6.2004 – G.U. n. 147 del 25.6.2004 Legge n. 204 del 3.8.2004 – G.U. n. 186 del 10.8.2004 Decreto MIPAF del 14.1.2005 – G.U. n. 33 del 10.2.2005 Decreto MIPAF del 17.2.2005 – G.U. n. 49 del 1.3.2005 Circolare MIPAF del 23.3.2005 – G.U. n. 93 del 22.4.2005 REGOLAZIONE DEL MERCATO La conciliazione è uno strumento alternativo di risoluzione delle controversie, basato su una procedura volontaria e riservata nella quale si ricorre ad un soggetto neutrale, il conciliatore che assiste le parti nella ricerca di un accordo con reciproca soddisfazione. Scegliere la via della conciliazione significa percorrere una strada dove non ci saranno né vincitori né vinti, ma dove tutte le parti coinvolte potranno insieme raggiungere un accordo. Il conciliatore, infatti, non decide la controversia, ma ha soltanto il compito di facilitare il dialogo tra le parti e di far emergere i loro veri interessi, spesso non percepiti a causa di fattori irrazionali o di non consapevolezza dei reali termini della lite. La conciliazione, senza precludere eventuali azioni giudiziarie o arbitrali, è una scelta che aiuta a ripristinare relazioni compromesse, con la possibilità anche di un miglioramento per il futuro. PROCEDURA Il soggetto interessato ad attivare la procedura presenta la domanda alla Segreteria della Camera di Conciliazione, che informa l’altra parte, invitandola a rispondere. • • Se il tentativo di conciliazione viene accettato: si individua un conciliatore e viene fissata la data dell’incontro; se il tentativo di conciliazione non viene accettato: si chiude il procedimento. Qualora si proceda al tentativo di conciliazione, si potrà avere una soluzione: • positiva: si redige un verbale di avvenuta conciliazione con la sottoscrizione di un accordo che ha valore di contratto; • negativa: si redige il verbale di mancata conciliazione e le parti possono richiedere un arbitrato alla Camera Arbitrale della Camera di Commercio. VANTAGGI DELLA CONCILIAZIONE • • • • • • rapidità: la procedura si conclude entro un termine massimo di 45 giorni dalla presentazione della domanda; economicità: i costi sono contenuti e predeterminati; volontarietà: nessuno è obbligato a partecipare all’incontro e le parti possono abbandonare il procedimento in qualsiasi momento; informalità: è un semplice incontro tra le parti che possono partecipare personalmente o mediante un proprio rappresentante munito dei necessari poteri; riservatezza: tutti coloro che intervengono all’incontro si impegnano a non divulgare le informazioni relative al caso trattato, efficacia: le parti si confrontano reciprocamente con l’aiuto del conciliatore e sono loro stesse a decidere il contenuto dell’accordo, che non solo le soddisfa entrambe, ma che le pone anche in una situazione migliore di quelle in cui si trovavano prima dell’inizio della procedura. COSTI Al momento del deposito della domanda, la parte istante deve versare l’importo di € 30 per diritti di segreteria. L’altra parte che accetta il tentativo di conciliazione deve versare i diritti di segreteria prima dell’incontro. I diritti di segreteria non sono dovuti nei seguenti casi: - quando una delle parti è un consumatore ; - quando il tentativo di conciliazione è previsto come obbligatorio dalla legge; - quando le parti depositano una domanda di conciliazione congiunta. Oltre ai diritti di segreteria, per lo svolgimento della seduta, dovranno essere corrisposte, in misura uguale da entrambe le parti, le spese variabili in base al valore della controversia. La rete camerale dei servizi di conciliazione La Camera di Commercio di Napoli, aderendo al progetto destinato alla creazione di un network di servizi di conciliazione, ha adottato il Regolamento e il Tariffario, che recepisce le indicazioni elaborate da Unioncamere nazionale. Nell’operare come rete camerale dei servizi di conciliazione, la Camera di Commercio di Napoli assicura l’osservanza degli standard nazionali per la formazione dei conciliatori e le norme di comportamento, garantendo professionalità e serietà. CACAO E CIOCCOLATA L’ALBERO DEL CACAO Il nome scientifico è Teobroma cacao. E’ un albero che raggiunge anche i 10 metri di altezza ed è molto sensibile all’ambiente esterno per le variazioni di temperatura (non deve essere < di 20°C), per le precipitazioni (occorre umidità 80%) e per il tipo di terreno. Si coltiva in una fascia di terra che si estende tra il 20° parallelo nord e il 20° a sud dell’equatore. I tipi di cacao più usati sono tre: Criollo (10% - il più pregiato), Forastero (80%), Trinatario (10%). Può essere utilizzato per la raccolta di semi dal quarto anno di età fino e oltre il trentesimo, durante l’anno fruttifica sempre ma ha due periodi, variabili a seconda la zona di produzione, in cui la produzione è massima. Le foglie sono oblunghe e verdi lucide nella parte superiore. I fiori, sparsi a mazzetti di colore bianco, verde o rosa spuntano direttamente sul tronco o sui rami adulti, hanno un calice diviso in cinque petali e solo alcuni diventeranno carbosside o frutto. I frutti sono bacche del peso di 300-500 grammi, di forma ovale, lunghe 10-15 cm., hanno un colore verde che con la maturazione diventa rosso-bruno, contengono una polpa gelatinosa in cui si trovano da 20 a 50 semi a forma piatta di colore rosa disposti in cinque file. STATISTICA DEI CONSUMI La più grande area produttrice di cacao è la costa occidentale dell’Africa, seguita dal centro America, Antille e alcune zone dell’Asia come Malesia, Indonesia e Filippine. L’Italia è al 4° posto, con 200.000 tonnellate all’anno, tra i paesi dell’Unione Europea. Per il consumo pro-capite al primo posto sono gli svizzeri con 10 Kg all’anno, poi tedeschi, irlandesi e americani con 6 Kg seguiti da spagnoli e italiani con 3 Kg/anno pro-capite. Il cioccolatino italiano più venduto nel mondo è il Rocher della Ferrero. STORIA DEL CACAO (dagli Olmechi ……alla Nutella) Gli Olmechi furono la prima popolazione a coltivare la pianta di cacao, nel 1000 a.c. Successivamente furono i Maya che colonizzarono lo Yucatan e la parte più settentrionale dell’America del sud a continuare la coltivazione della piantagione di cacao, ritenuta simbolo di fortuna, utilizzando i semi sia per preparare una bevanda gustosa sia come moneta di scambio. Dopo il decadimento dell’impero Maya furono gli Aztechi a capire l’importanza della pianta che veniva considerata di origine divina. I semi erano definiti “cibo degli dei” (in greco teobroma da theos: Dio e broma: cibo, da cui il nome scientifico assegnato alla pianta dal botanico svedese Carlo Linneo nel 1735), per la bevanda che si ricavava, miscelata nelle classi privilegiate con miele, succo di agave e vaniglia mentre nel resto della popolazione con farina di granturco, acqua e peperoncino. I semi erano anche utilizzati per pagare tributi all’imperatore tanto che l’imperatore Montezuma nel 1520 ne aveva accumulato un enorme quantitativo In Europa il cacao fu portato da Cristoforo Colombo a cui nel 1502 durante i suoi viaggi era stata offerta pasta di cacao spalmata su foglie e lasciata essiccare. Purtroppo il cacao alla corte di Ferdinando e Isabella di Spagna non fu apprezzato. Nel 1519 Cortez approdato alle coste del Messico e ricevuto in regalo dall’imperatore azteco Montezuma una immensa piantagione di cacao si ritiene,senza che vi sia una prova documentata che abbia fatto omaggio al re di Spagna, la stessa mancanza di prove si ha per il carico offerto da Cortez nel 1928 alla corte di Carlo V. una prova certa si ha nel 1944 quando i frati domenicani ritornarono da Verapaz in Spagna alla corte del principe Filippo II, con una rappresentanza di nobili che offrirono, tra i vari doni, anche del cioccolato montato ottenuto con semi di cacao molto gradito alla nobiltà spagnola. Nel 1585 la prima nave carica di chicchi raggiunse Siviglia da Veracruz. Nel 1606 Antonio Carletti trafugò la ricetta segreta degli spagnoli e la diffuse nel resto dell’Europa. Nel 1615 la principessa Anna, figlia di Filippo III sposa Luigi XIII e importa l’uso in Francia. Nel 1657 la bevanda al cacao arriva in Inghilterra e nel 1700 in Italia, dove a Firenze e Venezia vengono preparati i primi dolci al cioccolato. Nel 1819 Francois Louis Cailler aprì la prima fabbrica svizzera. Nel 1928 l’olandese Conrad J. Van Houten brevettò un metodo per estrarre il grasso dai semi di cacao e ottenere cacao in polvere e burro di cacao, inoltre sviluppò un processo per eliminare il gusto amaro trattando il cacao con alcali. Nel 1832 Edward Sacher cuoco di Francesco I° d’Asburgo crea la torta Sacher. Nel 1847 Joseph Fry produsse il primo cioccolato in forma solida. Nel 1875 Daniel Peter crea il primo cioccolato al latte utilizzando il latte in polvere inventato da poco da un fabbricante di alimenti per l’infanzia di nome Henri Nestlè. Nel 1879 a Berna Rudolph Lindt inventa il procedimento chiamato concaggio per togliere l’acidità e fabbrica la prima tavoletta di cioccolato rettangolare. Nel 1911 a Bologna nasce il cremino di Majani. Nel 1922 inizia la produzione e vendita del Baci Perugina. Nel 1946 Pietro Ferrero inventa la pasta gianduia con crema di cioccolata e nocciole. Nel 1964 nasce la Nutella. FASI DELLA PREPARAZIONE Dopo la raccolta frutti vengono schiacciati e lasciati fermentare per 6 giorni, durante la fermentazione alcuni microrganismi si moltiplicano nella polpa aumentandone la temperatura che distrugge gli embrioni e provoca delle trasformazioni con distruzione della parete cellulari, in tal modo varie sostanze si mescolano insieme legando fra loro i composti fenolici, amari e astringenti assumendo un gusto più piacevole. Dopo la fermentazione si liberano i semi che vanno messi ad essiccare per 7 giorni al sole o ad aria calda, proteggendoli dall’umidità per evitare la fermentazione di muffe. I semi vengono liberati dai residui della polpa, sottoposti ad una prima cernita, torrefatti per circa un’ora a 120°C. Poi sgusciati a macchina, cerniti una seconda volta, e macinati fino a formare un liquido denso detto liquore di cacao, formato dalle piccole particelle di seme sospese nell’olio. Dopo si fauna seconda macinazione in una macchina a rulli per ridurre il diametro delle particelle stesse tra i 20 e 50 micron. Si ottiene così la pasta di cacao da cui si ricava per separazione il burro di cacao e il cacao in polvere. Alla pasta di cacao si aggiungono gli ingredienti a seconda del tipo di cioccolato e delle variazioni personalizzate della ditta produttrice. L’impasto ottenuto è sottoposto alla fase più importante detta concaggio, che consiste nel mescolarlo in grossi recipienti per tempi molto lunghi ad una data temperatura in modo da mantenere la miscela liquida e rompere i grumi e ottenere una massa perfettamente liscia ed omogenea. Dalla durata di questo procedimento dipende il gusto (in Svizzera dura 72 ore). Terminata questa fase il cioccolato viene mantenuto fuso in serbatoi a 4550°C, raffreddata gradualmente da 45 a 27°C, poi riscaldata a 37°C e infine raffreddata allo stato solido nelle forme desiderate e avvolte nella carta stagnola per proteggere dall’umidità. DEGUSTAZIONE DEL CIOCCOLATO Secondo gli esperti per degustare il cioccolato sono necessari i cinque sensi. Vista: il colore deve essere uniforme, senza macchie bianche, con aspetto omogeneo e lucido. Udito: rompendo la tavoletta deve esserci un rumore netto e secco. Tatto: deve essere liscio e sciogliersi in bocca rapidamente. Olfatto: l’aroma deve essere persistente e intenso. Gusto: al palato deve dare una sensazione dolce e amaro che varia a seconda se al latte o fondente. DENOMINAZIONE DI VENDITA Burro di cacao: sostanza grassa ottenuta dai semi di cacao o da parti di semi di cacao caratterizzato da un tenore di acidi grassi liberi (espressi in acido oleico) non superiore all’1,75% e in saponificabile in percentuale non superiore allo 0,5%. Cacao in polvere: ottenuto mediante trasformazione in polvere di semi di cacao puliti, decorticati e torrefatti con tenore minimo di burro di cacao del 20% e un tenore massimo di acqua di acqua del 9%. Se il burro di cacao è meno del 20% si ha il cacao magro in polvere. Può anche contenere zuccheri per ottenere il cacao zuccherato, contenente però almeno il 25% di cacao in polvere. Contiene proteine, lipidi, calcio, vitamine del gruppo B. Il contenuto energetico è di circa 320 Kcal se amaro e 360 Kcal se dolce. Cioccolato: ottenuto da prodotti di cacao (burro di cacao e pasta di cacao) e zuccheri con tenore minimo di sostanza secca totale di cacao del 35% e almeno il 18% di burro di cacao e non meno del 14% di cacao secco sgrassato. Contiene zuccheri, lipidi, proteine in misura minore rispetto al cacao in polvere, potassio, fosforo, sodio e ferro. Il contenuto energetico è pari a 540 Kcal. Si può aggiungere: latte non più del 5% di sostanza secca del latte, mandorle e noci intere o a pezzetti, nocciole macinate per un totale non superiore al 60% del peso totale del prodotto. Cioccolato al latte: ottenuto da prodotti del cacao (burro di cacao e pasta di cacao), zuccheri e latte con minimo a) di sostanza secca totale di cacao del 25%, b) di sostanza secca ottenuta dalla disidratazione del latte (intero o scremato) della panna, del burro o grassi del latte pari al 14%, c) di cacao secco sgrassato del 2,5%, d) di grassi del latte del 3,0%, e) di grassi totali (burro di cacao o grassi del latte) del 25%. Se la denominazione di cioccolato al latte è sostituita da 1) cioccolato alla panna: il tenore minimo di grassi deve essere del 5,5%, 2) cioccolato al latte scremato: il prodotto non deve contenere più dell’1% di grassi del latte. Il tenore calorico è pari a 564 Kcal. Cioccolato bianco: ottenuto da burro di cacao, latte o derivati e zuccheri, con non meno del 20% di burro di cacao e del 14% di sostanza secca del latte ottenuta dalla disidratazione del latte, intero o scremato, di panna, di burro o grassi del latte; questi ultimi devono essere presenti almeno in quantità pari al 3,5%. Cioccolato ripieno: prodotto ripieno la cui parte esterna, pari ad almeno al 25% del peso totale, è costituita da cioccolato, cioccolato al latte o cioccolato bianco. Se il ripieno è costituito da prodotti di panetteria, pasticceria, biscotteria o gelato non viene denominato cioccolato ripieno. Cioccolatino o pralina: prodotto della dimensione di un boccone costituito da cioccolato ripieno oppure da un unico cioccolato o miscuglio di cioccolato e di altre sostanze commestibili, sempre che il cioccolato sia almeno il 25% del peso totale del prodotto. Cioccolato puro: indica l’assenza di grassi vegetali diversi dal burro di cacao che la normativa 178/2003 consente di introdurre entro il limite del 5% del prodotto finito. Cioccolato finissimo o superiore: la percentuale di cacao deve essere almeno il 43%. Cioccolato extra: la percentuale di cacao deve essere almeno il 45% e il burro di cacao il 28%. INGREDIENTI AGGIUNTI A) Grassi vegetali diversi dal burro: il Decreto Legislativo 178/2003 nel recepire la direttiva comunitaria 2000/36/CE consente di introdurre nei prodotti di cioccolato grassi vegetali diversi dal burro di cacao e precisamente: -burro di illipè -olio di palma -grasso e stearina di shorea robusta -burro di karitè -nocciolo di mango -olio di cocco (solo per la copertura di gelati e di prodotti simili) La presenza nel cioccolato di questi grassi nel cioccolato deve essere evidenziata in modo ben leggibile, in grassetto con l’indicazione “contiene altri grassi vegetali oltre al burro di cacao”. Tali grassi, entro il limite massimo del 5%, si aggiungono e non sostituiscono le percentuali minime stabilite dalla normativa per il burro di cacao. Se invece nella produzione non sono stati utilizzati il fabbricante ha la facoltà e non l’obbligo di menzionare in etichetta la dizione cioccolato puro, tale facoltà è estesa anche ai prodotti che impiegano il cioccolato come ingrediente. B) Sostanze aromatizzanti: possono essere aggiunte a condizioni che non imitino il sapore del cioccolato naturale e delle sostanze grasse del latte. C) Sostanze commestibili: non devono superare il 40% del peso totale del prodotto finito, tranne i casi in cui sia diversamente prescritto. D) Zuccheri: oltre quelli previsti dalla legge 139/80 possono essere utilizzati anche altri tipi di zucchero. sono presenti sul mercato anche cioccolati privi di saccarosio (prodotti dietetici o per diabetici) in cui lo zucchero è sostituito da dolcificanti che però modificano notevolmente il gusto. EFFETTI SULLA SALUTE - Non esistono prove di un rapporto tra consumo di cioccolato e acne - Non aumenta i livelli di colesterolo nel sangue - Contiene fosforo e polifenoli con effetti antiossidanti che sembra possano prevenire i tumori - La quantità di caffeina contenuta non è significativa - Ha un effetto blandamente psicoattivo per la presenza di teobromina. Da notare che tale sostanza è tossica per i cani, cavalli e altri piccoli animali - Ritarda la metabolizzazione del neurotrasmettitore endogeno anandamide, prolungando la sensazione di benessere ed euforia - Secondo uno studio americano il cioccolato interviene neutralizzando lo streptococco mutans responsabile della carie - Apporta energia per la presenza di zuccheri a rilascio immediato - Aiuta lo sforzo muscolare per effetto del latte e del burro di cacao che vengono rilasciati più lentamente - Contiene acido fenico che evita l’ispessimento delle arterie - La feniletilamina aumenta i battiti cardiaci e la pressione - Sembra che limita il desiderio di alcool e sia utile nel diminuire l’astinenza da ectasy - E’ controindicata nei soggetti affetti da calcolosi renale ossalica e colecistite - Può provocare allergia e disturbi digestivi - Può dare dipendenza detta cioccolismo che colpisce soprattutto le donne - Per evitare di assumere troppe calorie è meglio se contiene un maggior quantitativo di cacao e minore di zuccheri ETICHETTATURA Indicazioni obbligatorie: La denominazione di vendita che indica il tipo di cioccolato L’espressione cacao….% minimo che indica il tenore di sostanza secca che si sta utilizzando La lista degli ingredienti in ordine decrescente Il nome e la sede del produttore o confezionatore o venditore del prodotto o di un importatore stabilito nell’Unione Europea Il paese di origine se situato fuori dall’Unione Europea Il termine minimo di conservazione La quantità del prodotto al netto dell’imballaggio per prodotti superiori a 30g. La dicitura in modo visibile e leggibile “ contiene altri grassi vegetali oltre al burro di cacao” se tali prodotti sono stati utilizzati Per le praline e i cioccolatini confezionati in modo assortiti è sufficiente una denominazione unica ed un unico elenco degli ingredienti Indicazioni facoltative: La modalità di conservazione L’indicazione: extra, fine, finissimo quando vengono utilizzati cacao e latte in misura maggiore La tabella nutrizionale La dicitura “cioccolato puro” se è stato utilizzato soltanto burro di cacao Il codice a barra CONSIGLI PER IL CONSUMATORE Controllare l’etichetta per verificare il tipo di prodotto, gli ingredienti e la scadenza Conservare il cioccolato nella confezione originale oppure prima nella carta stagnola e poi nella pellicola trasparenti Evitare di conservare i prodotti di cioccolato in ambiente troppo caldo Non conservare in frigorifero perché l’umidità fa affiorare lo zucchero in superficie Il cioccolato fondente, conservato in buone condizioni, può durare anche 18 mesi, per gli altri tipi è preferibile consumarli entro un anno altrimenti perdono il loro aroma Per cioccolatini a base di liquore un’esposizione a calore prolungato può causare la fuoriuscita del liquore FONTI NORMATIVE Legge n.109 del 27.1.1992 – G.U. n. 39 (S.O.) del 17.1.1992 Legge n. 139 del 31.3.1980 – G.U. n.109 del 21.4.1980 Direttiva CE n. 36 del 23.6.2000 – G.U. n. L.197 del 3.8.2000 Decreto legislativo n. 178 del 12.6.2003 – G.U. n. 165 del 18.7.2003 CODICI A BARRE CENNI STORICI I codici a barre sono stati introdotti per permettere l’identificazione automatica delle merci; i vantaggi che derivano dalla possibilità di riconoscere in modo automatico (da parte di macchine) e senza errori, l’identità di un prodotto sono veramente numerosi e riguardano sia la produzione che la distribuzione, con notevoli benefici anche per il consumatore finale. Legata allo sviluppo della organizzazione logistica del settore distributivo ed alla globalizzazione del commercio, si è manifestata sempre più forte l’esigenza di un sistema di identificazione dei prodotti che fosse razionale ed il più possibile universale. Ed infatti, negli anni 60 – 70, vi è stato un vero e proprio proliferare di sistemi di codifica introdotti a livello nazionale ed, a volte, anche solo aziendale. Molti di questi sistemi sono ancora attivi in particolari settori come, ad esempio, quello delle biglietterie o dei farmaci. Comunque, un sistema di codifica si è affermato a livello internazionale ed è oggi l’unico utilizzato per l’identificazione dei prodotti confezionati: il sistema EAN (European Article Numbering). Tale sistema è stato introdotto in Europa nel 1977, per iniziativa soprattutto delle imprese di distribuzione, con il fine di creare un sistema di codifica che potesse essere compatibile con alcuni metodi preesistenti (come il sistema UPC in Nord America, il GENCOD francese de il BAN tedesco). Esso fu inizialmente adottato da 12 paesi europei (tra cui l’Italia) e si è poi diffuso, con poche modificazioni, anche a nazioni extra europee (specie in Sud America, Asia ed Africa) ed oggi ha una diffusasi quasi planetaria. DESCRIZIONE DEL SISTEMA DI CODIFICA Il sistema di codifica prevede in codice numerico biunivoco, il che significa che ogni codice identifica, a livello internazionale un solo prodotto, ed ogni prodotto può essere codificato con un solo codice in tutto l’universo EAN. Esistono diverse versioni di formato per i codici (codice EAN 13 a peso fisso, codice EAN 8 a peso fisso, codice EAN a peso variabile di tipo 13 o 8). I numeri sono riportati in chiaro al di sotto di un simbolo rappresentato da una successione di barre verticali a diverso contrasto (in genere bianco e nero) che consentono la decodifica da parte di sistemi automatici di lettura (scanner) Codice EAN 13 a peso fisso: le 13 cifre del codice EAN più diffuso codificano tre semplici informazioni: il prefisso EAN o flag, il codice produttore, il codice articolo. - Prefisso EAN: rappresenta l’autorità nazionale di codifica. Viene assegnato dall’EAN International Organization ad una Agenzia Nazionale che gestisce, localmente, l’assegnazione dei codici. In Italia tale agenzia è l’INDICOD, con sede a Milano ed il flag ad essa corrispondente è costituito dalle cifre 80. Le coppie di cifre 00, 01, 02, 04, 06, 09, non sono utilizzate dal sistema EAN per consentire una parziale compatibilità con il sistema UPC. Le coppie di cifre che vanno da 20 a 29 sono invece utilizzate per i codici EAN a peso variabile. Tutte le altre serie di coppie (anche triple) sono state assegnate ai diversi paesi aderenti al sistema. Di seguito si riporta una lista, non esaustiva, di paesi aderenti al sistema di codifica EAN: Nazione Flag 30 40 50 54 57 64 70 73 76 80 84 87 90 Francia Germania Regno Unito Belgio Danimarca Finlandia Norvegia Svezia Svizzera Italia Spagna Olanda Austria - Codice Proprietario del Marchio: è rappresentano con una serie di 5 cifre che seguono il flag fino al centro del simbolo. Questo codice, a volte impropriamente denominato codice produttore, è assegnato su richiesta dall’Autorità nazionale e non identifica affatto il produttore del bene, ma la ragione sociale di chi possiede il marchio, che può essere, a seconda dei casi, anche una semplice impresa commerciale. Le possibilità di codifica dei possessori del marchio è, come evidente, molto ampia corrispondendo a 105 (centomila) combinazioni numeriche diverse. - Codice prodotto o referenza: è rappresentato dalle successive 5 cifre e spesso viene indicato con il termine codice prodotto. Tale codice viene assegnato liberamente dal possessore del marchio che deve, comunque, rispettare le seguenti regole: è necessario che venga assegnato un codice diverso se: varia la quantità netta del prodotto; varia la composizione/ricetta del prodotto; la confezione contiene un regalo o una promozione. un codice abbandonato (perché interrotta la commercializzazione) non può essere riutilizzato prima di tre anni; il codice non può essere utilizzato per distinguere la sede di produzione - Cifra (digit) di controllo: l’ultima cifra a destra è il “digit” di controllo, non riporta alcuna informazione ma è un numero determinato da una legge matematica funzione della successione delle prime 12 cifre e serve per verificare la corretta decodifica, da parte del sistema automatico di lettura utilizzato, del codice. Il valore della cifra di controllo viene calcolato secondo il seguente algoritmo: 1. sommare i numeri in posizione pari a partire da destra (dal 2o al 12°); 2. moltiplicare per 3 la somma ottenuta 3. sommare i numeri in posizione dispari a partire da sinistra (dal 13° al 3°) 4. sommare i due ultimi risultati 5. individuare il più piccolo complemento ad un multiplo di 10, del risultato dell’ultima somma. I codici a barre, nella sistema di codifica con barre a diverso contrasto, hanno la proprietà di consentire al sistema automatico di lettura il riconoscimento del lato sinistro o destro con cui il simbolo viene presentato. Esempio di codice EAN 13 a peso fisso Codice EAN 8 a peso fisso: è una variante a 8 cifre del codice EAN 13 a peso fisso, utilizzata quando sui prodotti non esiste spazio sufficiente ad apporre un codice EAN 13. Per il flag, codice produttore, codice prodotto e digit di controllo valgono regole analoghe a quelle del Codice EAN 13. Codice EAN 13 a peso variabile: viene utilizzato solo nel punto vendita ed è riservato a quei prodotti confezionati e a peso variabile. E’ facilmente identificabile perché inizia, a sinistra, sempre con la cifra 2. Le cinque cifre che seguono indicano il codice prodotto. Quelle che vanno da 00000 a 19999 sono a disposizione delle imprese commerciali che le assegnano liberamente, mentre quelle che vanno da 20000 a 99999 sono assegnate da INDICOD ai produttori. La settima cifra è un codice di controllo prezzo o peso che viene indicato dalle seguenti 5 cifre (dalla 8a alla 12a). L’ultima cifra è, come al solito, il digit di controllo generale del codice. Esempio di codice EAN a peso variabile CENNI SULLA STRUTTURA LOGICA DEI CODICI A BARRE EAN Come già indicato il codice numerico è rappresentato graficamente mediante una serie di barre verticali a diverso contrasto che formano il simbolo EAN. Tutti i simboli EAN (come quelli UPC) soni simmetrici e bidirezionali: possono cioè essere letti, grazie ad una particolare modalità logica di codifica, da sinistra a destra e viceversa. Essi sono delimitati a destra e sinistra da barre laterali di controllo più lunghe che presentano la successione “bianco-nero-bianco-nero-bianco” e, allo scopo di consentire al sistema di lettura il riconoscimento della parte destra da quella sinistra, hanno al centro analoghe barre dette barre centrali di controllo. LATTE Il latte è il prodotto della mungitura delle vacche. Se ottenuto da altre specie animali non può essere denominato soltanto come latte, ma deve essere indicata la specie animale di provenienza. Contiene acqua, carboidrati, proteine, sali minerali (fosforo, calcio, iodio e fluoruri). CLASSIFICAZIONE Secondo il contenuto in materia grassa - latte intero: uguale o superiore a 3,50% - parzialmente scremato: tra 1,50 e 1,80% - scremato: non superiore allo 0,50% (il precedente Reg. CE 1411/71 prevedeva max 0,30%) Secondo il trattamento termico A) Latte pastorizzato. La pastorizzazione è un processo che consiste nel riscaldare il latte ad un temperatura inferiore al suo punto di ebollizione. Viene portato a 72-78° C per 10-20 sec. E poi rapidamente raffreddato fino a raggiungere una temperatura non superiore a 4-6° C. Questo trattamento determina la distruzione di tutti i microrganismi patogeni eventualmente presenti e di una parte di microrganismi saprofiti, senza però eliminare i lattobacilli in grado di fermentare il lattosio in acido lattico. Vi sono quattro tipi di latte pastorizzato: 1) Pastorizzato: la pastorizzazione può essere fatta anche dopo 48 ore dalla mungitura, le sue caratteristiche sono la reazione negativa alla prova della fosfatasi alcalina e reazione positiva alla perossidasi (se la reazione è negativa sulla confezione deve figurare l’indicazione: pastorizzato a temperatura elevata). Il contenuto delle siero-proteine non deve essere inferiore all’11% delle proteine totali 2) Fresco pastorizzato: deve subire il trattamento di pastorizzazione entro 48 ore dalla mungitura. Le reazioni alla fosfatasi alcalina e alla perossidasi sono negative. Il contenuto delle siero-proteine deve essere superiore al 14% delle proteine totali 3) Fresco pastorizzato di alta qualità: ha elevate qualità igieniche, può essere commercializzato solo da aziende autorizzate dalla ASL. Il contenuto in siero-proteine deve essere almeno del 15,5%. Non può essere preparato come scremato o parzialmente scremato, ma commercializzato solo come latte intero. Il contenuto nutritivo è non meno di 3,2 gr. di proteine e di 3,5 gr. di grassi ogni 100 grammi 4) Microfiltrato: sottoposto a trattamento termico di pastorizzazione dopo filtraggio su elementi aventi pori con luce media da 1,4 a 2 micron con applicazione di pressioni transmembranarie comprese tra 1 e 1,2 bar. B) Latte sterilizzato. La sterilizzazione ha lo scopo di distruggere ogni forma microbica vitale o vegetativa, anche se in effetti non si raggiunge mai la sterilità assoluta. Le caratteristiche sono più alterate rispetto al latte pastorizzato per vari motivi: -la reazione tra lattosio e proteine forma melanina che conferisce un colore tendente al giallo e non al bianco – le proteine del siero liberano gruppi SH che danno al latte un sapore di cotto – le vitamine A e C e alcune del gruppo B, specie B1, vengono distrutte. Vi sono due tipi di latte sterilizzato: 1) Sterilizzato a lunga conservazione: sottoposto a trattamento da 110 a 135° C per 15-20 minuti, poi omogeneizzato, raffreddato e conservato in modo asettico 2) UHT (ultra alta temperatura): subisce un processo di sterilizzazione rapida superiore a 135°C per una durata da 2 a 8 secondi. Le caratteristiche organolettiche sono inferiori al latte pastorizzato ma migliori del latte sterilizzato non UHT C) Latte disidratato. E’ ottenuto per evaporazione dell’acqua. Vi sono due tipi di latte disidratato: 1) Parzialmente disidratato o concentrato: il procedimento consiste nella parziale evaporazione dell’acqua, sottovuoto, alla temperatura di 40-50°C , con una percentuale di acqua residua pari al 75%. Si può anche aggiungere saccarosio, in misura pari al 18%. Può essere ottenuto da latte intero, scremato o parzialmente scremato o da una miscela di essi 2) Totalmente disidratato o in polvere: è ottenuto mediante eliminazione dell’acqua dal latta intero, parzialmente o totalmente scremato o da una miscela di essi. Ha una percentuale di acqua residua inferiore al 5%. Deve essere preparato con sistemi che non provocano alterazioni del grasso e l’aggiunta di acqua deve rigenerare perfettamente il prodotto CONSERVAZIONE DEL LATTE Dalla data di confezionamento : Pastorizzato: 3-4 giorni a 4-6°C Fresco pastorizzato: entro 6 gg. Fresco pastorizzato di alta qualità: entr10 gg. Microfiltrato: entro 10 gg. UHT: entro 90 gg. Sterilizzato a lunga conservazione: entro 180 gg. Dopo l’apertura della confezione: Qualsiasi tipo di latte va conservato in frigorifero e consumato entro 3-4gg. mentre il latte disidratato va consumato subito dopo l’apertura ETICHETTATURA Sulla confezione va obbligatoriamente indicato il nome del produttore, la sede legale dello stabilimento, la data di confezionamento la data di scadenza, il tipo di latte, il tenore in materia grassa. Sulle confezioni di latte fresco va indicato non soltanto il luogo del trattamento termico,ma anche il luogo di origine del latte crudo CONSIGLI PER IL CONSUMATORE Scegliere il tipo di latte, come trattamento termico secondo le proprie necessità nutrizionali di proteine e come tenore di grassi secondo le esigenze dietetiche Controllare, se trattasi di latte fresco, che sia conservato in frigorifero dal rivenditore Non acquistare un numero di confezioni maggiori delle necessità Conservare in frigorifero il latte fresco appena comprato e gli altri tipi di latte dopo l’apertura Scaldare sempre nello stesso recipiente per evitare che assorba odori o sapori di altri cibi Non scaldare in modo brusco o eccessivamente per evitare la perdita di importanti vitamine del latte e la coagulazione delle proteine sottoforma di pellicola Per digerire meglio li latte conviene berlo più lentamente FONTI NORMATIVE DPR n. 54 del 14.1.1957 – G.U. n. 59 (S.O.) del 12.3.1997 Circolare Ministero Sanità n. 16 del 1.12.1997 – G.U. n. 292 del 16.12.1997 Reg. CE n. 2597 del 18.12.1997 – G.U. n. L 351 del 23.12.1997 Decreto Legislativo n. 68 del 25.2.2000 – G.U. n. 72 del 27.3.2000 Decreto MAP n. 27.6.2002 – G.U. n. 160 del 10.7.2002 Decreto Ministero della Salute del 17.6.2002 – G.U. n. 178 del 31.7.2002 Decreti MIPAF del 27.4.2003- G.U. n. 179 del 4.8.2003 Decreto- Legge n. 157 del 24.6.2004 – G.U. n. 147 del 25.6.2004 Decreto MAP del 27.5.2004 – G.U. n. 152 del 1.7.2004 Decreto MIPAF del 14.1.2005 – G.U. n. 30 del 7.2.2005 POMODORI E PELATI STORIA DEL POMODORO Il pomodoro appartiene alla specie Solanum lycopersicum della famiglia delle Soanacee. La pianta è originaria delle Ande. Gli Aztechi chiamavano i frutti “Tolmatl” che significa frutto polposo. Gli spagnoli e portoghesi nel cinquecento importarono il prodotto in Europa chiamandolo “Tolmate”. furono utilizzati solo come piante ornamentale in quanto i frutti erano considerati velenosi. In realtà sono le foglie e i frutti acerbi che contengono una sostanza chiamata solanina che può provocare intossicazione con nausea, vomito e sonnolenza. La prima ricetta con l’utilizzo del pomodoro è del 1964 come preparazione insieme a melanzane e zucchine. Nel 1839 viene utilizzato per condire i vermicelli napoletani. Sempre a Napoli nel 1850 appare sulla pizza. STATISTICA DI PRODUZIONE (fonte ISTAT) Puglia 44% Emilia-Romagna 20% Campania 6% Basilicata 4% Calabria 4% Lazio 4% Lombardia 4% Toscana 3% Sicilia 3% Veneto 2% Altre Regioni 6% complessivo CARATTERISTICHE Nel mondo vi sono 5.000 diverse varietà di pomodoro. Le più conosciute sono: San Marzano, Ciliegino, il pomodoro verde da insalata, Pizzutello e Perino. Viene coltivato tutto l’anno, ma la produzione maggiore si ha nel periodo da luglio a settembre. La coltivazione nei campi all’aria aperta è limitata e destinata al mercato locale, anche se il sapore è più dolce e intenso. Più abbondante è invece la coltivazione in serre riscaldate d’inverno e protette d’estate, destinata soprattutto all’industria conserviera. PROPRIETA’ NUTRIZIONALI Contiene solo 17 Kcal/100 g. Composto per il 95% di acqua, per il resto contiene zuccheri, vitamine (A – PP – e soprattutto la C contenuta nella sostanza gelatinosa che circonda i semi), sali minerali (potassio, magnesio e calcio), acidi organici, sostanze lipidiche e licopene che conferisce al pomodoro il colore rosso (tale sostanza ha elevate proprietà antiossidanti in grado di neutralizzare i radicali liberi, ma per motivi che ancora non si conoscono l’organismo è in grado di assimilarla meglio dai derivati del pomodoro). POMODORI PROTETTI Pachino: nel 2003 ha ottenuto l’IGP (indicazione geografica protetta) se coltivato in ambiente protetto (serre o tunnel) nella zona di Pachino in provincia di Salerno. San Marzano: può essere denominato DOP (denominazione di origine protetta) solo quando è coltivato e inscatolato in provincia di Napoli e Salerno. ETICHETTATURA DEL POMODORO E’ obbligatoria sia per i prodotti sfusi sia in vaschetta e prevede l’indicazione di: - Natura del prodotto: se a grappolo o individuale specificando anche il tipo solo se la confezione non permette di vedere dall’esterno, per il ciliegino invece bisogna sempre specificarlo - Paese di origine - Categoria: extra, prima, seconda –dipende dal grado di difetti tollerato – - Calibro: diametro in millimetri, per le categorie extra e prima e per quelli venduti a grappolo DERIVATI DAL POMODORO PELATI: vengono preparati con pomodori San Marzano sani, freschi e maturi o da pomodori tondi di collina. Il procedimento inizia con lavaggio, eliminazione dei difettosi e suddivisione a seconda della grandezza. La pelle viene eliminata mediante scottatura in acqua bollente o vapore seguita da immersione in acqua fredda. I pomodori vengono poi inscatolati, chiusi non ermeticamente per permettere la fuoriuscita di aria, e riscaldati fino a 60°C. Segue la sterilizzazione a 100 gradi. Possono anche contenere succo di pomodoro (non concentrato) ma in questo caso è obbligatorio indicare il peso sgocciolato che non deve essere inferiore al 60% del peso netto. Le frodi che sono possibili: zuccheri per modificare l’acidità, fecola per addensare, coloranti rossi per migliorare l’aspetto. POLPA DI POMODORO: è ottenuta da pomodori privati della buccia, triturati e succo di pomodoro, ma la normativa non indica l’obbligo di utilizzare pomodori freschi come per i pelati e le passate, per cui potrebbero anche ricavati da polpa congelata o da residui della lavorazione dei pelati, inoltre spesso in etichetta non è indicato il peso sgocciolato. Allo stesso modo ma tagliati in forme diverse si preparano i cubetti, i filetti e i triturati. PASSATA DI POMODORO: con decreto-legge 157/2004 e successivi decreti ministeriali del 23.9.2005 e del 17.2.2006 deve essere ottenuta soltanto per spremitura diretta, centrifugazione e raffinazione meccanica di pomodoro fresco, sano e maturo, eventualmente separato da bucce e semi (non devono superare il 4% in peso del prodotto finito) con parziale eliminazione dell’acqua in modo che il residuo ottico rifrattometrico sia tra 5-12 gradi Brix, con tolleranza del 3% al netto di sale aggiunto, PH non superiore a 4,5, zuccheri totali espressi in zucchero invertito non inferiore al 42% del residuo ottico al netto del sale aggiunto, limite del conteggio Howard 70 campi positivi, acido lattico non superiore all’1% del residuo ottico. E’ possibile aggiungere sale alimentare, correttore di acidità, nonché ingredienti come spezie, erbe, piante aromatiche purchè evidenziati nell’etichettatura. Deve presentare un colore rosso vivo con tonalità chiara, segno di trattamento termico dolce denominato cold break, a differenza dell’hot break che conferisce un sapore di cotto. Caratteristica è la capacità legante della passata dovuta alla presenza di pectina (catene di polisaccaridi idrofili). La passata rustica è invece una salsa di pomodoro setacciata a trama larga. CONCENTRATO DI POMODORO: dopo il lavaggio i pomodori vengono prima triturati e setacciati per rimuovere i semi, poi raffinati per eliminare i residui di bucce e semi fino ad ottenere un succo che viene sottoposto al procedimento di concentrazione con evaporatori per eliminare l’acqua e poi di sterilizzazione e confezionamento della parte solida detta sostanza secca o residuo secco che indica il grado di concentrazione: semi-concentrato (non inferiore al 12%) concentrato (non inferiore al 18%) doppio (non inferiore al 28%) triplo (non inferiore al 36%) sestuplo (non inferiore al 55%). SUCCO DI POMODORO: viene preparato come la passata ma subisce un processo di omogeinizzazione per ridurre le dimensioni delle particelle a poche millesimi di millimetro. Può essere anche ottenuto utilizzando concentrato di pomodoro. POMODORO IN POLVERE: subisce un processo eliminazione dell’acqua maggiore rispetto al concentrato fino ad arrivare al residuo secco del 97%. KETCHUP: si ottiene da pomodoro fresco o da concentrato aggiungendo sale, zucchero in minima quantità, aceto, spezie e aromi che variano a seconda del tipo commerciale. ETICHETTATURA DEI DERIVATI DAL POMODORO I contenitori devono riportare in etichetta impressa o litografata, in lingua italiana: - Nome, ragione sociale e sede legale del produttore - Sede dello stabilimento di produzione - Tipo di prodotto - Peso netto - Eventuali aggiunte ammesse (es. basilico) - L’identificazione del lotto (costituito da una lettera diversa per ogni anno e da un numero corrispondente al giorno di produzione) - Per le passate è obbligatorio dal 15.6.2006 indicare la zona di coltivazione del pomodoro fresco coincidente con la Regione oppure lo Stato dove il pomodoro fresco è stato coltivato. I prodotti senza tale indicazione possono essere venduti fino al 31.12.2007. Questa indicazione dovrebbe consentire di controllare se il prodotto è ottenuto con materie prime di provenienza italiana, in effetti da una indagine effettuata dalla Coldiretti il 20% delle conserve di pomodoro prodotte in Italia contiene pomodori provenienti dalla Cina. CONSIGLI PER IL CONSUMATORE -Lavare bene i pomodori prima di consumarli per evitare ogni traccia di pesticida. -E’ preferibile scegliere pomodori rossi e non verdi per la maggiore quantità di licopene. -In frigorifero maturano più lentamente di quando vengono lasciati a temperatura ambiente. -Per i derivati dal pomodoro controllare la data di scadenza e l’eventuale peso sgocciolato. -I pelati devono contenere pomodori interi e della stessa grandezza. -Il lotto di produzione, costituito da una lettera diversa per ogni anno e da un numero compreso tra 1 e 365 indicante il giorno dell’anno in cui è avvenuta la produzione, permette di verificare se il giorno coincide con il periodo estivo, in tal caso probabilmente si tratta di materia prima migliore e quasi sicuramente non congelata. FONTI NORMATIVE Decreto Legislativo n. 109 del 27.1.1992 – G.U. n. 39 (S.O.) del 17.2.1992 Decreto Legislativo n. 68 del 25.2.2000 – G.U. n. 72 del 27.3.2000 Circolare MICA n. 165 del 31.3.2000 – G.U. n. 92 del 19.4.2000 Circolare MAP n. 167 del 2.8.2001 – G.U. n. 185 del 10.8.2001 Decreto Legge n. 157 del 24.6.2004 – G.U. n. 147 del 25.6.2004 Circolare MAP n. 169 del 15.10.2004 – G.U. n. 252 del 26.10.2004 Decreto del 23.9.2005 – G.U. n. 232 del 5.10.2005 Decreto del 17.2.2006 – G.U. n. 57 del 9.3.2006 ACQUA MINERALE DEFINIZIONE DI ACQUA L’acqua è la componente predominante del nostro organismo, costituisce ilo 60% del peso di un individuo adulto, nella donna il valore è minore del 10% per la maggiore presenza di tessuto adiposo, nell’anziano si riduce al 40%, le variazioni si riscontrano nel settore extracellulare, mentre rimane costante in quello intracellulare, dove è concentrato in misura maggiore. L’organismo umano può sopportare più a lungo la privazione di cibo, in quanto attinge alle riserve nutrizionali di lipidi e glucidi che alla mancanza di acqua dato che non ha la possibilità di immagazzinarla nel corpo. Infatti, si deve bere spesso senza aspettare di avere sete per rinnovare continuamente le perdite giornaliere di liquidi. Il fabbisogno idrico giornaliero è di 2,5 libri di cui 1 litro e mezzo viene fornita dall’acqua che si beve e, il resto, dall’acqua contenuta in alimenti e bevande. Variazioni sono legate all’età, al clima e all’alimentazione. ACQUA PER IL CONSUMO UMANO Si divide in: - Acqua potabile - Acqua di sorgente - Acqua minerale Acqua potabile Decreto Legislativo 31/2001 e 27/2002. L’acqua potabile è fornita tramite una rete di distribuzione non contaminata da microrganismi e parassiti o altre sostanze dannose per la salute. Deve possedere requisiti chimici e microbiologici. Lo Stato determina i requisiti di dette acque intervenendo con innovazioni o modifiche a seconda delle evoluzioni tecnico-scientifiche. Può essere sottoposta a trattamenti come il microfiltraggio e la purificazione che migliorano il gusto, in tal caso viene definita acqua da tavola. Può essere venduta in bottiglie o somministrata negli esercizi pubblici. Acqua di sorgente Decreto Legislativo 339/1999. Sono definite come “acque destinate al consumo umano, allo stato naturale, imbottigliate alla sorgente che, avendo origine da una falda o giacimento sotterraneo, provengono da una sorgente con una o più emergenze naturali o perforate”. Sono consentite operazioni di. - captazione, canalizzazione, elevazione meccanica, approvvigionamento in vasche o serbatoi - eliminazione totale o parziale dell’anidride carbonica libera e successiva incorporazione o reincorporazione - separazione degli elementi instabili come ferro o zolfo - separazione dei composti di ferro, manganese, zolfo, arsenico mediante aria arricchita di ozono I trattamenti di separazione non devono comportare una modificazione nei componenti essenziali che conferiscono le caratteristiche all’acqua. Non possono essere aggiunte sostanze battericide o batteriostatiche o altro che comporti modificazione della flora microbica. Le caratteristiche dell’acqua sono valutate in base a criteri geologico e idrogeologico, organolettico, fisico, fisico-chimico, chimico e microbiologico. La composizione, la temperatura e le altre caratteristiche essenziali devono mantenersi costanti alla sorgente nell’ambito delle variazioni naturali, in seguito ad eventuali variazioni di portata. Il riconoscimento come acqua di sorgente va richiesto al Ministero della Salute che emana un decreto pubblicato sulla Gazzette Ufficiale che riporta il nome, il luogo della sorgente e l’eventuale trattamento. L’immissione in commercio è autorizzata dalla Regione previo accertamento degli impianti. Dopo ottenuta l’autorizzazione l’utilizzazione deve avvenire in prossimità della sorgente e il trasporto con recipienti destinati al consumatore muniti di dispositivo di chiusura che impedisca il rischi di falsificazione, contaminazione e fuoriuscita. Acqua minerale Decreto Legislativo 105/92 e 339/1999, Decreto Ministero della Salute dell’11.9.2003 e del 29.12.2003. La denominazione di acqua minerale naturale o mineralizzata non può essere attribuita ne all’acqua di sorgente ne all’acqua da tavola. Secondo la normativa vigente “sono considerate acque minerali naturali le acque che, avendo origine da una falda o giacimento sotterraneo, provengono da una o più sorgenti naturali o perforate e che hanno caratteristiche igieniche particolari e, eventualmente, proprietà favorevoli alla salute”. In effetti non sono attribuite specifiche proprietà salutari ma solo favorevoli per la salute. Sono consentite operazioni di: -captazione, canalizzazione, elevazione meccanica, approvvigionamento in vasche o serbatoi -eliminazione totale o parziale dell’anidride carbonica libera e successiva incorporazione o reincorporazione -separazione degli elementi instabili come ferro e zolfo -separazione dei composti di ferro, manganese, zolfo e arsenico mediante aria arricchita di ozono I trattamento di separazione non devono comportare una modificazione nei componenti essenziali che conferiscono le proprietà all’acqua stessa. E’ vietata l’aggiunta di sostanze batteriche o batteriostatiche che ne modificano la flora microbica. E’ consentita l’aggiunta di anidride carbonica. La composizione, la temperatura e le altre caratteristiche essenziali devono mantenersi costanti alla sorgente nell’ambito delle variazioni naturali, anche a seguito di variazioni di portata. Il riconoscimento di acqua minerale naturale va richiesto al Ministero della Salute emana un decreto in cui è riportata la denominazione dell’acqua minerale naturale, il nome della sorgente, il luogo dell’utilizzo, le caratteristiche e le eventuali proprietà favorevoli alla salute, con indicazione e controindicazioni relative. L’utilizzazione della sorgente va richiesta alla Regione che effettua un controllo sugli impianti. L’utilizzazione deve avvenire in prossimità della sorgente e il trasporto con recipienti destinati al consumatore, muniti di dispositivi di chiusura per evitare il pericolo di falsificazioni, di contaminazioni e di fuoriuscita. COMPOSIZIONE ANALITICA DELL’ACQUA MINERALE NATURALE Residuo fisso: è il contenuto di sali minerali che rimane dopo la completa evaporazione a 180° di un litro d’acqua. Si distinguono: minimamente mineralizzate fino a 50 mg/l oligominerale da 50 a 500 mg/l mediamente mineralizzata da 500 a 1500 mg/l ricca di sali oltre 1500 mg/l PH: indica il grado di acidità dell’acqua neutra 7 acida minore di 7 alcalina maggiore di 7 Conducibilità elettrica: aumenta con l’aumentare dei sali disciolti. In genere è compresa tra 100 e 700 µS/cm (micro siemens al centimetro) Durezza: è il valore, espresso in gradi francesi, per la presenza di calcio e magnesio. Determinano una variazione del gusto. Se non è indicato in etichetta può essere ricavato moltiplicando il valore del calcio per 2,5 e quello del magnesio per 4,1 poi sommare e dividere per 10. dolci se minore di 15°F medie tra 15 e 30°F dure superiore a 30°F Cationi: sodio, potassio, calcio, magnesio, ferro e manganese Anioni: cloruri, fluoruri, solfati e bicarbonato Anidride carbonica: presente nelle acque effervescenti naturali Tra 1000 e 1300 mg/l Sostanze organiche: nitriti, nitrati e ammoniaca. Devono essere assenti o presenti in minima percentuale Radon: è un gas che in alcune acque può essere presente, è espressa in attività alfa Bq. Produce radiazioni che rimangono negli strati più superficiali dell’apparato digerente. ETICHETTATURA DELL’ACQUA MINERALE Indicazioni obbligatorie -Denominazione legale di acqua minerale naturale integrata con le informazioni circa la presenza o meno di anidride carbonica -Nome commerciale -Nome della sorgente e luogo di utilizzazione -Composizione analitica (se il fluoro è maggiore di 1,5 mg/l occorre la menzione che non è adatta per lattanti) -Data e laboratorio di analisi (vanno aggiornate ogni 5 anni) -Contenuto nominale -Titolari dei provvedimenti di riconoscimento e di autorizzazione all’utilizzazione -Termine di conservazione -Dicitura di identificazione del lotto, tranne quando il termine di conservazione figura con l’indicazione del giorno e del mese -Informazioni su eventuali trattamenti consentiti come l’ozono. In tal caso l’etichetta deve riportare in prossimità della composizione analitica la dicitura “acqua sottoposta ad una tecnica di ossidazione dell’aria arricchita di ozono” Indicazioni facoltative -Grado di mineralizzazione -Indicazioni su eventuali proprietà terapeutiche menzionate dal decreto di riconoscimento: “può avere effetti diuretici” “può avere effetti lassativi” “indicata per la preparazione degli alimenti dei neonati” “stimola la digestione” “può favorire le funzioni epatobiliari” -altre menzioni su proprietà favorevoli alla salute, non per la prevenzione, la cura e la guarigione -eventuali indicazioni per l’uso -eventuali controindicazioni CONSUMO DI ACQUA Il consumo di acqua minerale è aumentato dal 1990 ad oggi del 3% l’anno. La preferenza è per le minerali lisce seguite dalle effervescenti e poi dalle frizzanti. Minore è il consumo dell’acqua di sorgente e dell’acqua da bere. Non vi è preferenza per una determinata marca, in genere per l’acquisto si preferisce usufruire di iniziative promozionali. Preferenza elevata viene invece espressa per il tipo di contenitore in materiale PET, mentre il vetro è scarsamente richiesto. Da ricordare che il polietilene è a rischio di luce-calore con rischio di sostanze tossiche come le aldeidi, per cui è meglio scegliere bottiglie uscite dalla fabbrica da poco tempo (controllare l’etichetta). Da ricordare che nei ristoranti l’acqua minerale naturale non deve essere servita in caraffe ma esclusivamente in bottiglie in confezioni sigillate o previa apertura al momento della consumazione. L’acqua gassata, cioè addizionata di anidride carbonica, è più dissetante, si conserva più a lungo perché impedisce lo sviluppo di microrganismi, tuttavia va evitata da chi soffre di gastrite e ulcera. L’acqua può essere venduta anche dopo la data indicata in etichetta, sotto la responsabilità del venditore, come previsto dalla norma sugli alimenti che riportano il tempo minimo di conservazione e non la scadenza. SCEGLIERE L’ACQUA MINERALE (fonte: Federazione Italiana delle Industrie delle Acque Minerali Naturali) www.mineracqua.it Minimamente mineralizzata residuo fisso minore di 50 mg/l Indicata per la preparazione degli alimenti per l’infanzia Oligominerale residuo fisso minore di 500 mg/l Azione diuretica e antispastica Medio minerale residuo fisso tra 500 e 1500 mg/l Azione digestiva. Può favorire le funzioni epato-biliari Ricca in sali minerali residuo fisso superiore a 1500 mg/l Indicata negli stati di carenza di sali minerali Contenente bicarbonato tenore superiore a 600 mg/l Azione anti-infiammatoria, di facilitazione dei processi digestivi Solfata tenore superiore a 200 mg/l Favorisce la digestione e stimola le vie biliari Calcica tenore superiore a 150 mg/l Indicata nella crescita e prevenzione dell’osteoporosi e dell’ipertensione Magnesiaca tenore superiore a 50 mg/l Utile per il sistema nervoso, muscolare ed antistress Ferruginosa tenore superiore a 1 mg/l Indicata nelle anemie da carenza di ferro Acidula tenore di anidride carbonica sup. a 250 mg/l Sodica tenore superiore a 200 mg/l Facilita la digestione Indicata in stati di carenze specifiche e nell’attività sportiva A basso contenuto di sodio tenore inferiore a 20 mg/l Indicate nelle diete povere di sodio Fluorata tenore superiore a 1 mg/l Utile per rinforzare la struttura dei denti e la prevenzione delle carie CONSIGLI PER IL CONSUMATORE -Controllare la data di scadenza -Conservare in luogo fresco e asciutto al riparo dalla luce e da fonti di calori -Richiudere sempre la bottiglia per mantenere le caratteristiche originarie, specie se gassata -Al ristorante o al bar controllare che la bottiglia sia sigillata e aperta al momento -Non bere se capovolgendo e agitando la bottiglia vi sono sostanze o schiuma -Evitare il ghiaccio perché altera il gusto ma conservare in frigorifero con tappo chiuso -Dopo il consumo schiacciare le bottiglie di plastica e inserirle nei contenitori differenziati -E’ meglio bere a piccoli sorsi e in più riprese specie con acqua fredda -Bere almeno un litro e mezzo durante la giornata -Durante i pasti non bere più di mezzo di litro per evitare di interferire con la digestione FONTI NORMATIVE Decreto Ministero della Sanità del 21.3.1973 – G.U. n. 104 del 21.3.1973 – S.O. DPR n. 391 del 26.5.1980 – G.U. n. 211 del 2.8.1980 Direttiva CEE n. 777 del 15.7.1980 – G.U. n. L 229 del 30.8.1980 Decreto Legislativo n. 105 del 25.1.1992 – G.U. n. 39 del 17.2.1992 e n. 51 del 2.3.1992 Decreto Legislativo n. 109 del 27.1.1992 – G.U. n. 39 del 17.2.1992 – S.O. Decreto del Ministero della Sanità n. 542 del 12.11.1992 – G.U. n. 8 del 12.1.1993 Decreto del Ministero della Sanità del 13.1.1993 – G.U. n. 14 del 19.1.1993 Direttiva CEE n. 70 del 28.10.1996 – G.U. n. L 299 del 23.11.1996 Decreto Legislativo n. 339 del 4.8.1999 – G.U. n. 231 del 1.10.1999 Decreto del Ministero della Sanità del 31.5.2001 – G.U. n. 147 del 27.6.2001 Circolare MICA n. 166 del 23.6.2001 – G.U. n. 66 del 20.3.2001 Direttiva CEE n. 40 del 16.5.2003 –G.U. n. L 126 del 22.5.2003 Decreto Legislativo n. 181 del 23.6.2003 – G.U. n. 167 del 21.7.2003 Decreto Ministero della Salute del 11.9.2003 – G.U. n. 229 del 2.10.2003 Decreto Ministero della Salute del 29.12.2003 – G.U. n. 302 del 31.12.2003 e n. 18 del 23.1.2004 Decreto MAP del 24.3.2005 – G.U. n. 78 del 5.4.2005 GELATI Il gelato è definito come una preparazione alimentare ottenuta con una miscela di ingredienti portata allo stato solido o pastoso mediante congelamento e contemporanea agitazione. I principali ingredienti sono latte, panna, zucchero, uova, grassi vegetali cui si può aggiungere frutta, frutta secca, cacao, cioccolato, caffè e altro. STORIA DEL GELATO La sua origine è controversa. Nella Bibbia si parla di Isacco che avrebbe offerto ad Abramo latte di capra e neve. Nell’antichità si refrigeravano frullati di latte e miele per ottenere cibo ghiacciato. Alessandro Magno gradiva, durante le marce verso l’Oriente, miele, frutta e spezie impastato con la neve. Anche gli Egizi impastavano neve e succo di frutta. il gelato moderno ha invece origini italiane e precisamente a Fiorentine. La prima versione ne attribuisce la nascita a Bernardo Buontalenti, chimico, scultore e scenografo che nel 1565 preparò, per conto del duca Cosimo I dei Medici, un miscuglio simile al gelato molto gradito alla delegazione spagnola venuta a Firenze. Secondo un’altra versione fu Ruggieri, allevatore di polli, che preparò, non si sa bene se per una gara culinaria o per le nozze nel 1533 di Caterina dei Medici con Enrico II, un miscuglio gelato di zabaione, panna e frutta. In entrambe le versioni fu la stessa Caterina dei Medici a divulgare il gelato in tutta l’Europa. Negli Stati Uniti il gelato fu introdotto nel 1770 da Giovanni Bosio. Il primo gelato nel cono risale al 1904 durante la fiera mondiale di St. Louis quando un gelataio non avendo contenitori per mettere il gelato utilizzò i wafer a forma conica venduti in uno stand accanto al suo. Se il gelato è originario dell’Italia, la produzione di gelati a livello industriale è iniziata in America, preferendo però utilizzare la panna al posto delle uova nell’impasto iniziale. CONSUMO IN ITALIA Gli italiani sono al 3° posto nel mondo con una media di 7,5 kg di gelato all’anno pro-capite. Negli ultimi anni è aumentato il consumo di gelati in vaschetta e secchielli specie in confezioni trasparenti, ma è diminuito quello dei gelati da passeggio, in ripresa nella versione mini. Il maggior consumo si ha nel periodo da marzo a settembre e durante le festività natalizie. PROPRIETA’ NUTRIZIONALI Il gelato contiene: Proteine 0-6% (a seconda della quantità di latte, uova e biscotti impiegati) Grassi 0-22% (se meno del 2% a basso contenuto, dal 2 al 16% a medio contenuto) Glicidi 20-50% (zuccheri semplici a rapido assorbimento e pronta disponibilità energetica) Sali minerali 0,4-1,4% Additivi 0,2-0,5% Acqua 20-50% Calorie: Meno di 150 Kcal/100 grammi = basso contenuto calorico Da 150 a 250 Kcal/100 grammi = medio contenuto calorico Oltre 250 Kcal/100 grammi = alto contenuto calorico CLASSIFICAZIONE SECONDO LE MODALITA’ DI PREPARAZIONE Gelato artigianale: la preparazione è caratterizzata da una lenta in corporatura di aria, circa 30-50% durante la gelatura della miscela, da cui deriva un prodotto morbido e corposo. E’ preparato prevalentemente con materie prime fresche, gli altri ingredienti possono essere scelti dall’artigiano a seconda della sua esperienza e creatività. Si possono aggiungere anche prodotti finiti come frutta candita, cacao, sale e biscotti. possono contenere additivi, ma non coloranti, aromatizzanti o conservanti, per cui devono essere prodotti in piccole quantità avendo una durata solo di pochi giorni. Gelato industriale: la preparazione consiste nell’introduzione di aria pari al 100-300% durante la gelatura della miscela per ottenere un prodotto detto soffiato molto soffice e leggero. Contiene additivi come coloranti, emulsionanti, addensanti, stabilizzanti, aromi e conservanti in modo da consentire il consumo anche dopo molti mesi dalla preparazione. Vengono distribuiti anche in zone lontane dal luogo di produzione per cui occorre il supporto di una valida catena del freddo. CLASSIFICAZIONE A SECONDA DEGLI INGREDIENTI - gelato al latte: contiene il 25% di sostanza secca totale - gelato alla crema: non può contenere grassi diversi da quelli del latte - gelato alla crema di latte o alla panna: contiene almeno l’8% di crema di latte e il 2,5% in proteine - gelato alla frutta: almeno il 15% di frutta - gelato al gusto di frutta: può contenere anche solo l’aroma - gelato allo yogurth: deve contenere almeno il 40% di vero yogurth - gelato con lo yogurth: contiene una percentuale del 20% - gelato di soia: preparato con estratto di soia, grassi vegetali, fruttosio, cacao o altri componenti SEMIFREDDI Sono un prodotto intermedio tra gelati e dolci da forno in quanto costituiti da una base solida (pan di spagna o meringa) in percentuale ridotta e da una componente fredda. E’ meno calorico del dolce classico, ma più del gelato. Spesso come per il gelato si possono trovare ingredienti come oli e grassi vegetali, addensanti, stabilizzanti, grassi idrogenati e coloranti. Sia la preparazione artigianale che quella industriale dovrebbe indicare gli ingredienti. ADDITIVI Sono adoperati soprattutto nei gelati industriali. Vengono indicati con il loro nome ma spesso si utilizza un codice caratterizzato da una sigla composta dalla lettera E (Europa) seguita da tre cifre. - Addensanti: amalgamano e danno consistenza es. alginati, farina di carrube, semi di guar - Aromi: per imitare il sapore - Edulcoranti: sono dolcificanti artificiali,va indicata in etichetta la dizione “con edulcoranti” - Emulsionanti: legano acqua e grassi per dare uniformità e cremosità - Coloranti: adoperato in genere per i gelati alla frutta - Conservanti: non sono usati in eccesso perché il freddo del gelato già ne consente la conservazione NORMATIVA Quantità e qualità degli ingredienti: I gelati non sono disciplinati da alcuna normativa, esiste soltanto il “Codice di autodisciplina per i prodotti della gelateria industriale”, trattandosi però di norme volontarie non esistono sanzioni in caso di inadempienza Elenco degli ingredienti: L’etichettatura è obbligatoria sulla confezione per i gelati pre-confezionati e, mediante un cartello o un registro bene in vista, per i gelati sfusi Il termine minimo di conservazione: E’ obbligatorio per le confezioni pluridosi e per le vaschette di gelato ma non per i gelati monodose Carica batterica: Sono previsti solo per alcuni batteri i limiti di carica che non possono essere superati. Il Regio Decreto del 1890, ancora in vigore, vieta di preparare i gelati con acque insalubri, acido solforico, piombo e rame Rintracciabilità: Dal 1° gennaio 2005 anche nel settore dei gelati va applicata la norma sulla rintracciabilità indicata dal regolamento CEE 178/2002 (artt. 18 e 19) che stabilisce l’obbligo per tutti gli operatori del settore alimentare di poter individuare la provenienza delle materie adoperate e l’identificazione dei fornitori CONSIGLI PER IL CONSUMATORE -Controllare la scadenza sulle confezioni pluridosi e sulle vaschette di gelato -Verificare l’elenco degli ingredienti, per i gelati sfusi deve essere esposto un cartello con le indicazioni -Controllare che sulle confezioni non vi sia brina formatasi per diminuzione della temperatura lungo la catena del freddo -Verificare l’igiene del banco di vendita -In caso di allergia alle proteine del latte vaccino: utilizzare il gelato di soia -Soggetti con colon irritabile: consumare il gelato lentamente in quanto il latte contenuto stimola il riflesso gastro-colico e l’attività muscolare dell’intestino tenue -Soggetti affetti da colelitiasi (calcolosi della colecisti): rischio di coliche con gelati a base di cioccolato, uova e panna -Diabetici: per la presenza di zuccheri consumare a fine pasto quando l’assorbimento degli zuccheri semplici è più lento -Obesi: per il rischio di eccedere nella quota calorica giornaliera, il consumo deve tener conto delle calorie contenute, bilanciando con una diminuzione delle calorie degli altri alimenti della giornata FONTI NORMATIVE Decreto Legislativo n. 181 del 23.6.2003 - G.U. n. 167 del 21.7.2003 artt. 8 e 13 PREIMBALLAGGI Attualmente la maggior parte dei prodotti che si vendono al supermercato sono contenuti in imballaggi preconfezionati in massa o volume. Per imballaggio preconfezionato o preimballaggio si intende l’insieme di un prodotto e dell’imballaggio individuale nel quale tale prodotto è preconfezionato. Un prodotto è preconfezionato quando è contenuto in un imballaggio di qualsiasi tipo chiuso in assenza dell’acquirente e preparato in modo tale che la quantità del prodotto in esso contenuta abbia un valore prefissato e non possa essere modificata senza aprire o alterare palesemente l’imballaggio stesso. La massa nominale o il volume nominale del contenuto è la massa o il volume corrispondente alla quantità di prodotto netto che si ritiene debba contenere. Per i prodotti preconfezionati in massa la quantità deve essere espressa in chilogrammi o grammi. Per quelli preconfezionati in volume, la quantità deve essere espressa in litri, centilitri o millilitri. Nelle indicazioni della quantità nominale, il valore numerico deve essere seguito dal simbolo dell’unità di misura usata o eventualmente dal suo nome per esteso. Le suddette iscrizioni devono essere indelebili, ben leggibili e visibili nelle condizioni usuali di presentazione dell’imballaggio, e comunque nello stesso campo visivo del nome del prodotto. E’ vietato accompagnare l’iscrizione relativa alla quantità nominale con indicazioni comportanti imprecisioni o ambiguità come “circa” o altri termini analoghi. I preimballaggi devono recare, oltre alle indicazioni relative alle quantità nominali, un marchio o una iscrizione che permetta di identificare chi ha effettuato o fatto effettuare il riempimento, oppure, qualora si tratti di preimballaggi CEE provenienti da stati non membri della Comunità europea, l’importatore stabilito nella Comunità. I preimballaggi diversi da quelli CEE devono recare una sigla numerica, alfabetica o alfanumerica che permetta di identificare il lotto di appartenenza. ETICHETTATURA I prodotti alimentari, nel momento in cui sono posti in vendita, devono riportare sulle confezioni e sulle etichette in lingua italiana le seguenti indicazioni : -la quantità netta ossia la quantità effettiva del prodotto, peso o volume. Essa deve essere espressa per mezzo di cifre seguite dal simbolo dell’unità di misura utilizzata o, eventualmente, dal suo nome. -denominazione di vendita, ossia la denominazione prevista dalle norme che disciplinano il prodotto (vino, burro, pane ecc) ovvero il nome consacrato da usi e consuetudini (es. panettone, torrone …….) -l’elenco degli ingredienti, ossia l’elenco in ordine decrescente di peso di tutte le sostanze utilizzate per la fabbricazione o preparazione dell’alimento o della bevanda, compresi gli additivi, e che siano ancora presenti nel prodotto finito, anche se in forma modificata. -il termine minimo di conservazione o la data di scadenza, il termine minimo di conservazione è indicato con la dicitura “da consumarsi entro il giorno….” oppure “da consumarsi preferibilmente entro la fine ….” ed indica il termine fino al quale l’alimento, conservato adeguatamente, mantiene intatte le proprie qualità organolettiche e nutrizionali. La data di scadenza è invece la data entro la quale il prodotto va consumato e va specificata con giorno/mese/anno -la sede dello stabilimento di produzione o confezionamento, indicata in modo tale da poter facilmente risalire all’effettivo stabilimento di produzione nonché la sede, il nome o ragione sociale o marchio depositato del fabbricante o del confezionatore o di un venditore stabilito nella Unione Europea -il luogo di origine o di provenienza quando la sua omissione possa indurre in errore l’acquirente es.: Emmenthal (svizzero, francese ecc) -il titolo alcolometrico ossia l’indicazione del volume effettivo per le bevande aventi contenuto alcolico superiore al 42% espresso con il simbolo “ % vol.” preceduto dal numero indicante la percentuale di alcool contenuto. -il lotto di appartenenza ossia una serie convenzionale di numeri e lettere precedute dalla lettera “L” che, sotto la responsabilità del produttore o del confezionatore o del primo venditore stabilito nella Comunità Europea, identifica in un unico insieme tutte le unità di vendita prodotte o confezionate in circostanze identiche di tempo, luogo e linea di produzione -le modalità di conservazione e di utilizzazione, qualora sia necessaria l’adozione di particolari accorgimenti in funzione della natura del prodotto. -le istruzioni per l’uso ove la loro omissione non consenta al consumatore un uso appropriato dell’alimento (es.: “consumare previa cottura”, “cuocere senza scongelare” ecc.) -Oltre alle indicazioni di legge fin qui trattate, i prodotti alimentari possono recare anche una etichettatura nutrizionale. Tale etichetta, normalmente facoltativa, diventa obbligatoria quando nella presentazione o nella pubblicità del prodotto, ad eccezione delle campagne pubblicitarie collettive, figuri una informazione nutrizionale (ad esempio alimenti a basso contenuto di grasso) o il prodotto sia destinato ad una alimentazione particolare( ad esempio alimenti per celiaci). CONSIGLI PER IL CONSUMATORE Ciò che bisogna controllare: -che la quantità nominale indicata sui preimballaggi sia espressa con le unità di misura consentite. -che sull’etichetta non siano riportate indicazioni comportanti imprecisioni o ambiguità come “circa” o altri termini analoghi -che il prodotto confezionato sia contenuto in un imballaggio (confezione) tale che il contenuto non possa essere modificato senza che la confezione non possa essere e non sia stata manomessa -che siano presenti tutte le indicazioni obbligatorie -che il prodotto non sia scaduto di validità e sia conservato secondo le modalità indicate in etichetta -l’elenco degli ingredienti, in particolare in presenza di intolleranze o allergie alimentari, tenendo presente che lo stesso alimento del medesimo produttore, se prodotto in stabilimenti diversi, può presentare la presenza di ingredienti non identici. – N.B. l’indicazione degli ingredienti non è obbligatoria per: ortofrutticoli freschi, acqua gassata, acquaviti e distillati, mosti e vini, birra con contenuto alcolico superiore al 12%, latte e creme di latte fermentate, formaggi, burro e prodotti costituiti da un solo ingrediente. FONTI NORMATIVE Legge n. 614 del 19/08/76 – G.U. n. 233 del 2.9.1976 Legge n. 690 del 25/10/78 – G.U. n. 316 del 11.11.1978 D.P.R. n. 391 del 26/05/80 - G.U. n. 211 del 2.8.1980 D.L.vo n. 109 del 27/01/92 – G.U. n. 39 del 17.12.1992 – S.O. n. 31 D.L.vo n. 68 del 25/02/2000 – G.U. n. 72 del 27.3.2000 Circolare M.I.C.A. n. 165 del 31/03/2000 – G.U. n. 92 del 19.4.2000 CARNE PROPRIETA’ NUTRIZIONALI La carne è definita come la parte commestibile degli animali destinati al consumo umano. I costituenti maggiori sono acqua e lipidi che variano in proporzione diversa a seconda del tipo di carne, in media 50-80% di acqua e 10-30% di lipidi come grasso muscolare e adiposo. Contiene inoltre proteine di alto valore biologico contenente aminoacidi, tra le proteine intracellulari la più importante è la miosina, mentre il collageno è tra le extracellulari. Sono presenti piccole quantità di zuccheri sottoforma di glicogeno muscolare che si trasforma in acido lattico durante la frollatura. Contiene, inoltre, potassio, fosforo, ferro, zinco, magnesio e calcio. Presenti soprattutto nelle frattaglie le vitamine A – D – B1 – B2 – B6 – B12 – e acido pantotenico. Variabile è l’apporto di calorie p.e. 100 grammi di carne bovina magra forniscono circa 110 calorie. La digeribilità della carne dipende dal taglio, dalla cottura, dal contenuto in grasso e in tessuto connettivo. CLASSIFICAZIONE Carne propriamente detta: si riferisce solo alla muscolatura striata e ai tessuti ad essa connesa Frattaglie: cuore, fegato, reni, cervello, milza e polmoni. Contengono basi puriniche e colesterolo Trippa: stomaco e primo tratto dell’intestino tenue dei ruminanti Animelle: pancreas, timo e ghiandole salivari CATEGORIE Le categorie dalle quali provengono le carni si suddividono in: -Animali da macello Bovini: vitello: di età inferiore a 12 mesi, in genere macellato verso i 120 gg. di età vitellone: tra i 12 e i 18 mesi manzo: dopo i 18 mesi bue: bovino castrato dopo i 4 anni e mezzo di età vacca: femmina di 6-8 anni Suini: suino, scrofa e verre Ovini: agnello, montone e pecora Caprini: capra, capretto e becco Equini -Animali da cortile Polli, galline, tacchini, oche, piccioni, conigli, anatre, faraone, capponi, struzzi. Sono facilmente digeribili, la parte grassa è contenuta nella pelle. -Animali da selvaggina Fagiani, lepri, quaglie, cinghiali, cervi, daini, caprioli, tordi, pernici, beccacce, allodole. Sono dette carni nere per il loro colorito, contengono più proteine e meno grassi ETICHETTATURA CARNE BOVINA Le informazioni obbligatorie secondo le norme comunitarie e nazionali sono: - codice identificativo del capo - stato di nascita dell’animale - stato in cui è avvenuta la crescita e l’allevamento - stato dove è avvenuta la macellazione e numero di riconoscimento del macello - stato in cui è avvenuto il sezionamento ( taglio e preparazione) nonchè il numero di riconoscimento del laboratorio Tali indicazioni devono essere fornite per ogni taglio di carne, mediante un cartello esposto sul banco di vendita o con etichetta per le carni confezionate. Il cartellino o l’etichetta della carne esposta al pubblico deve anche indicare il prezzo unitario per chilogrammo, la specie e lo stato fisico se fresche, congelate o scongelate. Le informazioni facoltative riguardano: l’azienda di nascita, la tecnica di allevamento, il tipo di alimentazione adottata, la categoria, la razza o il tipo genetico, l’età dell’animale, la data di macellazione o di preparazione delle carni, il periodo di frollatura. Dal 1° luglio 2003 per i prodotti a base di carne (salsicce, patè, carni cotte, piatti pronti e carne in scatola) deve essere specificato se trattasi di carne (dicitura riferita al muscolo), di frattaglie o di grasso. Per le carni macinate le indicazioni obbligatorie sono: - numero di codice di riferimento dell’animale - nome dei paesi di crescita e di allevamento se differenti da quello di preparazione - nome del paese dove è avvenuta la macellazione - nome del paese dove sono state preparate le carni macinate I paesi di origine, allevamento, macellazione e sezionamento devono essere riportati per esteso senza abbreviazione CONSIGLI PER IL CONSUMATORE -Controllare che vi siano per ogni taglio le informazioni obbligatorie mediante un cartello esposto sul banco di vendita o con etichetta se trattasi di carne confezionata -Verificare che il prodotto sia esposto in vendita in banchi frigoriferi e controllarne l’igiene -La carne deve essere di colore rosso vivo, con odore gradevole, non deve presentare eccessiva umidità o essere troppo secca, ne avere cattivi odori per putrefazione, colori impropri per contaminazione da microrganismi. - Il grasso deve avere un colorito bianco o giallo paglierino, non deve presentare riflessi irregolari per irrancidimento dei grassi o cristalli di ghiaccio rilevati in superficie. -Se si comprime la carne con un dito l’avvallamento che si forma deve scomparire dopo la pressione. -Per la conservazione in frigorifero o nel congelatore avvolgere la carne, non troppo umida, in fogli di alluminio, di polietilene o in sacchetti per uso alimentare, in modo aderente per evitare il contatto con l’aria, oppure in contenitori di vetro a chiusura perfetta -Per le frattaglie, essendo più facilmente deperibili, è preferibile cuocerle presto -Consumare la carne non più di tre volte a settimana, come raccomandato dall’OSM (Organizzazione Mondiale della Sanità) -E’ preferibile che la porzione non superi i 100 grammi per favorire la digeribilità ed evitare un eccesso di acido urico. Anche l’associazione con uova, latte, frutta secca e amidi può favorire un aumento dell’ambiente acido. E’ meglio abbinare a verdura -Evitare la scelta di carne di vitello perché vengono alimentati con mangimi poveri di ferro per rendere la carne bianca e tenera e, inoltre più facilmente potrebbero essere trattati con cortisone e anabolizzanti. FONTI NORMATIVE Decreto MIPAF del 22.12.1997 – G.U. n. 114 del 19.5.1998 Decreto MIPAF del 30.8.2000 – G.U. n. 268 del 16.11.2000 DPR n. 437 del 19.10.2000 – G.U. n. 30 del 6.2.2001 Circolare MIPAF n. 5 del 15.10.2001 – G.U. n. 250 del 26.10.2001 Decreto MIPAF del 13.12.2001 – G.U. n. 23 del 28.1.2002 Legge n. 39 del 1.3.2002 – G.U. n. 72 del 26.3.2002 Decreto Ministero Salute del 31.1.2002 – G.U. n. 72 del 26.3.2002 Circolare MIPAF n. 1 del 9.4.2003 – G.U. n. 93 del 22.4.2003 Decreto MIPAF dell’1.8.2003 – G.U. n. 226 del 29.9.2003 Decreto Legislativo n.58 del 29.1.2004 – G.U. n.51 del 2.3.2004 Circolare MIPAF del 30.3.2004 – G.U. n. 82 del 7.4.2004 Decreto MIPAF del 29.7.2004 – G.U. n. 241 del 13.10.2004 Decreto MIPAF del 25.2.2005 – G.U. n. 101 del 3.5.2005 STRUMENTI PER PESARE Per “strumento per pesare”,comunemente chiamato bilancia,si intende uno strumento di misura che serve a determinare la massa di un corpo utilizzando la forza di gravità che agisce su di esso. La determinazione della massa è richiesta: 1) per le transazioni commerciali; 2) per il calcolo di un pedaggio,una tariffa,un premio,un’ammenda,una remunerazione,un’indennità o compenso di tipo analogo; 3) per l’applicazione di disposizioni legislative o regolamentari: perizie giudiziarie; 4) nella prassi medica nel contesto della pesatura di pazienti per ragioni di controllo,diagnosi e cura; 5) per la preparazione di medicine su prescrizione in farmacia e per le analisi effettuate in laboratori medici e farmaceutici; 6) per determinare il prezzo in funzione della massa per la vendita diretta al pubblico e la confezione di preimballaggi. CLASSIFICAZIONE Gli strumenti per pesare si classificano in strumenti meccanici ed elettronici.Nei primi la lettura del valore della massa è letto ,ad es.,nel punto su un quadrante in cui arriva nella sua rotazione, l’ago di una bilancia “ad orologio”.Nei secondi ,la lettura è visibile su un display. Questi due tipi di strumenti,si dividono a loro volta in strumenti a funzionamento non automatico e automatico : nel primo rientrano tutti quelli in cui è necessario l’intervento di un operatore,come quello di collocare sul piatto manualmente l’oggetto da misurare ; nel secondo quando (ad es.una linea di produzione) l’oggetto è collocato sul piatto dal movimento di un nastro trasportatore. Un altro elemento che caratterizza una bilancia è la portata ossia il valore del peso max che essa può raggiungere. Le bilance “da banco” sono caratterizzati da una bassa portata, I “bilici” o le cosidette “bascule” raggiungono una portata media e sono poggiati al suolo.Le” pese a ponte” o “pesi fissi” raggiungono portate elevate come 100000Kg ,sono incassate al suolo, e servono per pesare autotreni carichi di merci o vagoni ferroviari VENDITA A PESO NETTO In base alla legge 441/81 o comunemente denominata “legge sul peso netto”, nelle transazioni commerciali i prodotti devono essere venduti al netto della tara ossia non considerando il peso dell’involucro che li riceve. Nelle vecchie bilance meccaniche a due piatti denominate “semplici”o “a sospensione inferiore”,la tara viene eliminata ponendo un uguale involucro nel piatto di destra e sinistro. Nelle bilance da banco meccaniche dette “a settore” in quanto l’indicazione del peso è dato dalla rotazione di un ago su un quadrante a settore circolare e costituite da due piatti,la tara è eliminata come nel caso precedente. Le stadere che venivano usate, principalmente,da rivenditori di frutta e verdura sono strumenti in cui non si può costruire un dispositivo sottrattivo di tara,e quindi il loro uso è solo consentito per la vendita di prodotti a peso senza involucro (es.verdura). Nelle bilance meccaniche da banco dette“ad orologio”,invece,furono introdotti due sistemi sottrattivi ditara.Il primo consisteva nel porre sulla crociera della bilancia (ossia l’organo su cui poggia il piatto) un supporto recante un certo numero di pesetti: quando si poggia sul piatto l’involucro,l’ago si sposta sul quadrante in senso orario .Si legge il peso e si toglie il pesetto corrispondente dal supporto in modo che l’ago ruotando in senso antiorario ritorna al valoe zero.Anche se relativamente economico, il sistema non trovò vasto successo in quanto i pesetti non avendo un adeguato freno nelle sedi praticate sul supporto,andavano perduti e l’ago non si trovava mai sul valore corrispondente a zero. Il secondo sistema ,invece,consisteva nel montare sulla parte destra della colonna dello strumento (ossia il tratto verticale tra il quadrante e il basamento della bilancia) una scatoletta a forma cilindrica,che reca sulla superfice laterale dei tasti con impressi dei numeri corrispondenti a valori di pesetti.In corrispondenza della base esterna trova posto una levetta che raggiunge due posizioni una in basso e l’altra in alto:quando si pone l’involucro sul piatto,si sposta l’ago in senso orario e si legge sul quadrante il peso. Indi si preme il tasto corrispondente della scatoletta e l’ago torna a zero; la levetta si porta nella posizione più alta e si può leggere il peso dell’involucro in una finestrella quadrata posta sotto i tasti..Al termine della pesata o all’inizio di una nuova, si deve spostare la levetta nella posizione inferiore in modo che nella finestrella compari il valore zero e il tasto premuto ritorni nella posizione di riposo. Negli strumenti elettronici il valore della tara è tolto in modo spedito,digitando il tastorecante l’indicazioe “T” in modo che compare sul display il valore del peso corrispondente. E’ da precisare che la legge regola solo la vendita al dettaglio. CONSIGLI PER IL CONSUMATORE Alla luce delle descrizioni precedenti, quando si vende un prodotto si devono seguire determinate norme per il rispetto della suindicata legge. Se il rivenditore non sottrae la tara,è evidente che oltre ad avere un peso di merce minore,si paga anche l’involucro secondo il valore al kg della merce che contiene. Per fare un esempio, si compri in salumeria 200g di prosciutto al costo unitario di40Euro al kg . E’stato usato un involucro del peso di 10g e non è stato sottratto il suo peso; non solo si hanno 10g di merce in meno,quanto poi l’involucro viene ad essere pagato Euro 0,40.Ci si domanda: può un poco di carta costare tanto? La stessa cosa capita se si compra in pescheria,in pasticceria,in macelleria ecc. Se il rivenditore usa una bilancia elettronica: 1) constatare che all’inizio della pesata sia impostato solo il costo unitario della merce; 2) verificare che , dopo aver posto l’involucro sul piatto,venga sottratto il suo peso . Infatti , digitando il tasto “T”,il valore della tara comparirà in un’altra parte del dsplay, e la bilancia si azzera; 3) una volta riposto la merce sull’involucro comparirà il peso netto e digitando un altro tasto comparirà infine il’importo in Euro da pagare che può essere verificato moltiplicando il costo unitario per il peso indicato. Se invece il rivenditore usa ad es.una bilancia meccanica ad orologio con il dispositivo di peso netto a tasti: 1) posto l’involucro sul piatto assicurarsi che l’ago della bilancia torni a zero dopo che è stato pigiato il tasto sul dispositivo corrispondente al peso dell’involucro.Inoltre nella finestrella del dispositivo comparirà questo valore. 3) leggere il valore del peso netto della merce riposta sull’involucro e calcolarne l’importo. In virtù dell’art.5 della legge suindicata,lo strumento metrico deve essere collocato in modo tale da consentire all’acquirente la visione libera ed immediata non solo del dispositivo indicatore del peso,ma anche dell’intera parte frontale e laterale dello strumento stesso. E’ utile sapere che alcuni rivenditori hanno sempre impostato sulla bilancia uno stessoi valore d tara., per qualsiasi quantità di merce da pesare.Quindi si ha solo la parvenza di rispettare la legge. Lo strumento per pesare,con scadenza triennale e a richiesta obbligatoria da parte dell’esercente,deve essere sottoposto a verifica metrica ed eseguita da un Ispettore dell’Ufficio Metrico competente,ovvero da un laboratorio accreditato dalla Camera di Commercio.Tale verificazione è giustificata dalla presenza sullo strumento di una etichetta autodistruggente di colore verde,recante il mese e l’anno di scadenza,nonché l’Ente o il marchio di fabbrica del laboratorio accreditato responsabili del procedimento. FONTI NORMATIVE Legge n. 441 del 05/08/198 – G.U. n. 218 del 10.8.1981 D.L. n. 517 del 29/12/1992 – G.U. n. 306 del 31.12.1992 – S.O. D.L. n. 40 del 24/02/1997 – G.U. n. 54 del 6.3.1977 D.M. n. 182 del 28/03/2000 – G.U. n. 154 del 4.7.200 PRODOTTI NATALIZI Panettone, pandoro e spumante sono i tre prodotti alimentari che caratterizzano il periodo di Natale. PANETTONE E’ definito: prodotto dolciario da forno a pasta morbida, ottenuto per fermentazione naturale da pasta acida, di forma a base rotonda con crosta superiore screpolata e tagliata in modo caratteristico, di struttura soffice ad alveolatura allungata e aroma tipico di lievitazione a pasta acida. Se di piccole dimensioni è denominato panettoncino. STORIA DEL PANETTONE Diverse sono le origini indicate per la nascita del panettone. Una sostiene che all’inizio era confezionato con una pasta pronta e con la forma di un grosso pane, alla cui preparazione doveva sovrintendere il padrone di casa che prima della cottura incideva una croce con un coltello in segno di benedizione. Tale pane veniva consumato in occasione delle feste natalizie. Un’altra sostiene che fu inventato da Messer Ughetto degli Atellani per aumentare le vendite del fornaio dove si era fatto assumere perché si era innamorato della figlia Algisa. Il dolce ebbe successo e permise al giovane di sposare la ragazza. Una terza versione più conosciuta indica nell’inventore un certo Toni al servizio di Ludovico il Moro come sguattero. Aveva preparato il dolce la mattina per se stesso, ma pensò di consegnarlo al cuoco disperato per aver bruciato il proprio dolce infornato per il pranzo di Natale tra nobili. I nobili entusiasti chiesero al cuoco il nome del dolce ed egli rispose: “L’è ‘l pan de Toni” cioè “Il pan di Toni” diventato poi panettone. In ogni caso dal 1600 iniziò la diffusione del panettone oltre l’Italia. INGREDIENTI Obbligatori Farina di frumento, zucchero, uova di gallina (cat. A) o tuorlo d’uova o entrambi (tuorlo non meno del 4%), materia grassa butirrica non meno del 16%, uvetta e scorze di agrumi canditi non inferiore al 20% (se assenti va indicato in etichetta, nei prodotti speciali sono facoltativi), lievito naturale costituito da pasta acida, sale. Facoltativi Latte e derivati, miele, malto, burro di cacao, zuccheri, altri lieviti (entro l’%),aromi naturali, emulsionanti, acido sorbico e sorbato di potassio. Speciali Farciture, bagne, coperture, glassatura, decorazione e frutta. L’impasto base deve essere almeno il 50%. PROCESSO TENOLOGICO Preparazione della pasta acida Fermentazione Preparazione impasto con dosaggio ingredienti Porzionatura Pirlatura Lievitazione Scarpatura Cottura Raffreddamento Confezionamento PANDORO E’ definito: prodotto dolciario da forno a pasta morbida, ottenuto per fermentazione naturale da pasta acida di forma a tronco di cono con sezione a stella ottagonale e con superficie esterna non crostosa, una struttura soffice e setosa ad alveolatura minuta ed uniforme ed aroma caratteristico di burro e vaniglia. Se di piccole dimensioni e denominato pandorino. STORIA DEL PANDORO Non si conosce l’origine certa del pandoro. Secondo alcuni risale ai pasticcieri della Casa Reale di Vienna ai tempi dell’Impero Asburgico. Altri ritengono che sia stato preparato nel periodo del Rinascimento dai pasticcieri della Repubblica Veneta per le famiglie patrizie e denominato “pan de oro”. Secondo un’altra versione l’origine va attribuita ad un dolce a forma di stella Nadalin che veniva preparato a Natale alla fine dell’Ottocento a Verona INGREDIENTI Obbligatori Farina di frumento, zucchero, uova di gallina (cat. A) o tuorlo o entrambi con tuorlo non meno del 4%, materia grassa butirrica non meno del 20%, lievito naturale costituito da pasta acida, aroma di vaniglia o vanillina, sale. Facoltativi Latte e derivati, malto, burro di cacao, zuccheri, lievito non oltre l’1%, zucchero impalpabile,aromi naturali e naturali identici, emulsionanti, conservanti (acido ascorbico e sorbato di potassio). Speciali Farciture, bagne, coperture, glassature, decorazioni e frutta. L’impasto base deve essere almeno il 50%. PROCESSO TENOLOGICO Preparazione della pasta acida Fermentazione Preparazione impasto Porzionatura Pirlatura Lievitazione Cottura Raffredamento Zuccheratura superficiale opzionale Confezionamento ETICHETTATURA DI PANETTONE E PANDORO Obbligatorie Denominazione del prodotto Lista degli ingredienti Nome e sede del produttore o confezionatore o venditore del prodotto Termine minimo di conservazione Quantità del prodotto al netto dell’imballaggio Facoltative Descrizione del prodotto Modalità di conservazione Tabella nutrizionale Codice a barra CONSIGLI PER IL CONSUMATORE PER PANETTONE E PANDORO -Controllare l’etichettatura per gli ingredienti e la data di scadenza -Conservare i prodotti in luogo fresco e asciutto -Prima del consumo lasciarli in ambiente caldo per migliorare la sofficità e la fragranza FONTI NORMATIVE PER PANETTONE E PANDORO Direttiva CE n. 34 del 22.6.1998 – G.U. n. L 204 del 21.7.1998 AIDI – Codice di Buona Pratica Produttiva – Dicembre 2003 Decreto MAP del 22.7.2005 – G.U. n.177 del 1.8.2005 SPUMANTE E’ definito un vino liquoroso ottenuto dalla prima o dalla seconda fermentazione alcolica di uve e di mosto caratterizzato alla stappatura del recipiente da uno sviluppo di anidride carbonica proveniente esclusivamente dalla fermentazione e che conservato alla temperatura di 20°C in recipienti chiusi, presenta una sovrapposizione non inferiore a 3 bar e una gradazione alcolica minima effettiva al consumo del 9,5% vol. Se vengono adoperate solo uve bianche si ottiene un blanc de blancs, se invece si utilizzano uve nere si ottiene un blanc de noirs. STORIA DELLO SPUMANTE Nell’anno 1000 a.c. si trova la prima citazione di un vino con le bollicine bevuto in una coppa. Nell’Iliade, XVIII libro, Omero descrivendo lo scudo di Achille parla della raffigurazione di contadini che bevono spumante. Successivamente nel periodo dell’Impero Romano aumenta la produzione e il consumo e inventano la tecnica della rifermentazione nelle anfore in cui il mosto concentrato è aggiunto al mosto in fermentazione. Segue un periodo di stasi dovuto alle invasioni barbariche. La ripresa inizia nel Medioevo e continua nel Rinascimento. Contemporaneamente in Francia un benedettino Dom Pérignon inventa rifermentazione in bottiglia. Nel secolo scorso vengono perfezionati i meccanismi di fermentazione e delle bollicine e viene inventato il metodo della rifermentazione in autoclave. METODO DI SPUMANTIZZAZIONE Metodo classico Spumantizzazione in bottiglia. Si beve qualche anno dopo la vendemmia. Veniva chiamato metodo Champenois ma la Francia ha vietato questa dizione. Champagne è lo spumante prodotto con metodo classico in Francia nelle regioni Marne, Aube e Aisne, Seine-et-Marne. Le uve che devono avere una buona acidità, non troppo mature ne troppo calde, vengono pressate in modo lieve per estrarre il succo che viene fatto fermentare. Segue l’assemblaggio tra varietà e annate diverse a seconda del tipo che si vuole ottenere. La base preparata viene addizionata con saccarosio e lieviti naturali, poi subito imbottigliata e tappata ermeticamente. Le bottiglie vengono accatastate e coricate in cantina alla temperatura di 10-12 gradi per far avvenire una lenta fermentazione durante la quale i lieviti consumano lo zucchero l’ossigeno, si depositano nella bottiglia e infine si autolisano per scioglimento della parete cellulare. La durata della fermentazione lenta può variare da 3 a 10 anni, terminato tale periodo le bottiglie vengono per due mesi periodicamente agitate e inclinate verso la punta con una angolazione ogni volta maggiore, in modo che alla fine dei due mesi le bottiglie sono completamente a testa in giù dove in una parte del tappo viene raccolto e quindi eliminato il deposito che si è formato. Segue la sboccatura: stappare la bottiglia riportandola contemporaneamente in posizione eretta. Oggi è effettuato in modo automatico con il congelamento del collo e la stappatura a macchina in linea continua. La bottiglia viene poi colmata per riempire la parte vuota con lo stesso prodotto, con sciroppo di zucchero o con piccole quantità di distillati pregiati. Metodo Charmat Spumantizzazione in autoclave. Si beve senza attendere tempo dalla vendemmia. Il procedimento fu ideato da Federico Martinotti utilizzando dei contenitori chiusi temocondizionati. Eugene Charmat inventò i condizionatori a pressione denominati autoclavi. In questo metodo la fermentazione nella presa di spuma avviene a temperatura più elevata e il ciclo completo ha una durata minore. Il prodotto base è inserito in autoclavi dopo l’aggiunta di lieviti e zuccheri. Portato a pressione di 4-5 atmosfere viene poi raffreddato a 4-5 gradi durante causando il deposito di lieviti e la solubilizzazione dell’anidride carbonica. Per eliminare i depositi si utilizza il metodo della microfiltrazione, seguita da imbottigliamento isobarico a cui segue un periodo di riposo da 4 a 10 mesi. Il metodo Charmat lungo si ottiene prolungando la fermentazione del vino sulle fecce alla temperatura di12-13 gradi. CLASSIFICAZIONE Spumante Durata del processo di elaborazione per spumantizzazione: non sono previsti limiti Durata della fermentazione e permanenza del vino sulle fecce: non sono previsti limiti Sovrapressione: non inferiore a 3 bar Gradazione alcolica effettiva: almeno 9,5% vol. Spumante di qualità Durata di elaborazione per spumantizzazione: In autoclave almeno 6 mesi, in bottiglie almeno 9 mesi Durata fermentazione e permanenza del vino sulle fecce: Almeno 90 gg, se l’autoclave è provvista di dispositivi agitatori almeno 30 gg. Sovrapressione: almeno 3,5 bar Gradazione alcolica effettiva: almeno 10% vol. Spumante di qualità di tipo aromatico Deriva da uva di varietà aromatiche Durata di elaborazione per spumantizzazione: almeno 1 mese Permanenza del vino sulle fecce: non obbligatoria Sovrapressione: non inferiore a 3 bar Titolo alcolometrico totale non inferiore a 10% vol. ed effettivo non inferiore a 6% vol. Spumante di qualità prodotto in una Regione Determinata D.O.C. e D.O.C.G. Durata di elaborazione per spumantizzazione: In autoclave almeno 6 mesi, in bottiglie almeno 9 mesi Durata fermentazione e permanenza del vino sulle fecce: Almeno 90 gg., se l’autoclave è provvista di dispositivi agitatori almeno 30 gg. Sovrapressione: almeno 3,5 bar Gradazione alcolica effettiva: almeno 10% vol. Spumante di qualità di tipo aromatico prodotto in una Regione Determinata D.O.C. e D.O.C.G. Deriva da uve di varietà aromatiche Durata di elaborazione per spumantizzazione: almeno 1 mese Permanenza del vino sulle fecce: non obbligatoria Sovrapressione: non inferiore a 3 bar Titolo alcolometrico totale non inferiore a 10% vol. ed effettivo non inferiore a 6% vol. Spumante gassificato Non rientra nella categoria dei naturali in quanto l’anidride carbonica non è ottenuta da fermentazione , ma è in parte o completamente aggiunta mediante saturatori di CO2 che insufflano gas all’interno del liquido per un periodo di 4-5 ore. Dopo un periodo di riposo il prodotto viene sottoposto a filtrazione e immesso in autoclave alla temperatura di 4°C per effettuare l’imbottigliamento isobarico. ETICHETTATURA Indicazioni obbligatorie: -Denominazione di vendita -Nome o ragione sociale e sede dell’elaboratore o del venditore -Gradazione alcolometrica effettiva -Volume nominale del prodotto -Lotto -Indicazioni ecologiche -Tipo di prodotto a seconda dello zucchero aggiunto dopo la formazione di spuma: dosaggio zero: non è stato aggiunto zucchero extra-brut: se compreso tra 0 e 6 g/l brut: se inferiore a 15 g/l extra-dry: se compreso tra 12 e 20 g/l sec, secco, asciutto, dry: se compreso tra 17 e 35 g/l demi-sec o abboccato: se compreso tra 33 e 50 g/l dolce: se superiore a 50g/l Tali indicazioni, tranne il lotto e le indicazioni ecologiche devono essere in caratteri chiari, leggibili, indelebili e sufficientemente grandi da risaltare sullo sfondo, inoltre vanno raggruppate in unico campo visivo. Indicazioni facoltative sono diverse a seconda della categoria di spumante -Per tutti i tipi di spumanti Marchio CE Marchio anche non depositato (non deve generare confusione o indurre in errore) -Per tutti i tipi di spumanti naturali (sono esclusi i gassificati) Nome della varietà di vite -Per spumanti di qualità, prodotti in una Regione Determinata e aromatici Annata di raccolta dell’uva Dicitura fermentazione in bottiglia Dicitura fermentazione tradizionale o classica Nome di una zona geografica Menzione Premium o Riserva CONSIGLI PER IL CONSUMATORE -controllare sempre l’etichetta -lo spumante secco può accompagnare un pasto ma non va adoperato per gli alimenti dolci -va servito a temperatura di 6-8 gradi conservando la bottiglia stappata nel secchiello del ghiaccio -il bicchiere più adatto è la flute perché prolunga l’effetto bollicine e della spuma, per gli spumanti dolci e aromatici è indicata la coppa FONTI NORMATIVE Direttiva CEE n. 112 del 18.12.1978 – G.U. n. L 33 dell’8.2.1979 Regolamento CE n. 337 del 5.2.1979 – G.U. n. L 54 del 5.3.1979 Regolamento CE n. 358 del 5.2.1979 – G.U. n. L 54 del 5.3.1979 Regolamento CE n. 3309 del 18.11.1985 – G.U. n. L 320 del 29.11.1985 Regolamento CE n. 823 del 16.3.1987 – G.U. n. L 84 del 27.3.1987 Regolamento CE n. 1493 del 17.5.1999 – G.U. n. L 179 del 14.7.1979 Regolamento CE n. 735 del 29.4.2002 – G.U. n. L 118 del 4.5.2002 Regolamento CE n. 2086 del 25.11.2002 – G.U. n. L 321 del 26.11.2002 Decreto MIPAF del 3.7.2003 – G.U. n. 174 del 29.7.2003 Circolare MIPAF -Ufficio II- Prot. 21723- pos 28/4 del 14.5.2004